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Vent'anni dalla nascita dei Garanti: una responsabilità repubblicana
Era il 14 maggio 2003 quando la Città di Roma, prima in Italia, deliberava l’istituzione di una figura di garanzia dedicata alle persone detenute. E il 6 ottobre dello stesso anno la Regione Lazio approvava la legge regionale 31, Istituzione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale.
Sono dunque passati 20 anni!
Il percorso di costruzione e definizione dei Garanti nel nostro Paese, come spesso accade sulle cose importanti, delicate e “divisive”, è partito dal basso, cioè dalle istituzioni territoriali più vicine alla sensibilità dell’opinione pubblica e più prossime alla realtà sociale e antropologica delle comunità penitenziarie e dei suoi particolarissimi e cronici problemi. Il percorso “bottom up” ha – alla fine - raggiunto anche il livello nazionale, con le norme di un decreto nel 2013, convertito in legge nel 2014 e attuato nel 2016 con la costituzione del Collegio del Garante.
Una riflessione pubblica a due decenni dalla nascita dei Garanti è stata proposta nella conferenza sul tema Carcere e diritti, a vent’anni dalla nascita dei Garanti, alla presenza di Stefano Anastasia, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà della Regione Lazio e portavoce nazionale dei Garanti territoriali.
Martedì 23 maggio a Cuneo, nella Sala Giolitti del Palazzo della Provincia, dopo i saluti istituzionali del presidente della Provincia di Cuneo Luca Robaldo e la relazione di Anastasia, sono intervenuti i Garanti comunali delle Città di Alba e Asti Paola Ferlauto e Saluzzo Paolo Allemano, i direttori delle Case di reclusione di Cuneo Domenico Minervini, Alba Giuseppina Piscioneri e Fossano Assuntina Di Rienzo, la rappresentante della Camera penale del Piemonte occidentale e Valle d’Aosta Dora Bissoni, il direttore dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna (Uepe) di Cuneo Elena Boranga, i presidente di Acli Piemonte Mario Tretola, Associazione Ariaperta Paolo Romeo, Associazione Sesta opera Carla Vallauri e i responsabili delle aree trattamentali di Cuneo Gaetano Pessolano e di Fossano Antonella Aragno.
La domanda che ci si è posti è stata: come è cambiato, se è cambiato, il contesto della privazione della libertà grazie alla presenza di osservatori istituzionali come i Garanti? Si sono fatti passi avanti rispetto almeno alla consapevolezza di una responsabilità collettiva in riferimento al carcere?
Le risposte sono state molteplici ma convergenti: in una realtà significativa come la ""Provincia Granda"", che annovera ben 4 istituti penitenziari (su 13 in Piemonte e 189 in Italia) e una Rems (su 2 in Piemonte e 31 in Italia) tutti hanno accettato di discutere con i Garanti ad eccezione della Magistratura di sorveglianza, oberata di incombenze vecchie e nuove.
Oggi, in tutta Italia, si contano 80 figure di garanzia per le persone private della libertà di Regioni, Province autonome, Province e aree metropolitane e Comuni, di cui 12 nel solo Piemonte, regione ove ciascun Comune sede di carcere ha provveduto a dotarsi della delibera istitutiva del proprio Garante.
Anastasia ha ricordato come “si pensava a una sperimentazione locale di una figura nazionale che già s’ipotizzava, ma nelle more del procedimenti legislativi e delle discussioni parlamentari, si pensò: vediamo se si può fare sul territorio”. Il portavoce nazionale ha inoltre sottolineato “Credo che l’esperienza condotta a livello territoriale abbia fatto riscoprire il valore e l’importanza dei territori nella materia dell’esecuzione penale e della privazione della libertà. Anche dopo l’istituzione del Garante nazionale, i Garanti territoriali hanno mantenuto la loro ragione di esistere e ne hanno trovato di nuove”.
Richiamando la Costituzione, laddove non si parla di “carcere” ma di “pene” al plurale - “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” – i Garanti hanno voluto richiamare e evidenziare la responsabilità dei territori al fianco dell’Amministrazione penitenziaria, un ruolo reso ancora più esplicito dalla legislazione del settore, a cominciare dallo stesso Ordinamento penitenziario del 1975, che ha messo in capo ai vari soggetti istituzionali tutte le attività peculiari del trattamento e del percorso di recupero e reinserimento sociale.
“L’articolo 27, comma 3, della Costituzione – ha concluso Anastasia - chiama a una responsabilità repubblicana, non solo dell’amministrazione della giustizia, ma anche di altre amministrazioni centrali, degli enti territoriali e della cittadinanza attiva. Se si vuole tenere fede all’articolo 27, cioè attuare pene che non siano lesive della dignità della persona e che perseguano la finalità di recupero e reinserimento sociale, l’apporto degli enti territoriali è fondamentale Pensiamo al fornire ai detenuti assistenza sanitaria adeguata, rieducazione scolastica, formazione professionale e orientamento al lavoro, tutte materie di competenza degli enti territoriali. Quindi serve l’attivazione del territorio, altrimenti l’articolo 27 rimane lettera morta. La nostra responsabilità di Garanti territoriali è innanzitutto quella di stare dalla parte delle amministrazioni territoriali, sollecitarle a fare tutto ciò che è nelle loro possibilità e nelle loro responsabilità per concorrere a quello scopo che è dato dall’articolo 27 della Costituzione. Per questo l’esperienza dei Garanti territoriali è importante per il passato ma soprattutto per il futuro e andrebbe irrobustita”.
bruno mellano