Info Difensore Civico n°4 del 04/11/2020

Tipologia articolo Newsletter

Categoria Newsletter Info Difensore Civico

Data pubblicazione

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Questa mia è dedicata alla vasta e molto complessa questione della stretta correlazione esistente tra le sospensioni e/o restrizioni alle visite dei parenti degli anziani ricoverati nelle RSA imposte dalla situazione emergenziale ed alcune caratteristiche, più generali, dei meccanismi dell’istituzionalizzazione.
Il tema delle limitazioni alle visite dei parenti nelle RSA è stata affrontato lo scorso luglio da questo Ufficio con una Relazione straordinaria[1], trasmessa al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro della Sanità, con cui si rappresentava come fossero pervenute al Difensore civico molteplici richieste di intervento da parte di parenti di anziani ricoverati che esponevano accorate doglianze con riferimento alla situazione di isolamento affettivo e psicologico in cui versavano i loro congiunti.
 Doglianze almeno in parte condivise da questo Difensore civico che osservava come,  per un verso, le scelte rigorosamente prudenziali dei Direttori sanitari delle RSA trovino adeguata giustificazione nella constatazione della straordinaria attitudine diffusiva del virus proprio nei luoghi di cura, divenuti involontari fattori di moltiplicazione del contagio, e come, per altro verso, la chiusura alle relazioni con l’esterno possa determinare significativi peggioramenti delle condizioni di salute psico-fisica degli anziani ricoverati.
Non vi è dubbio infatti che, in specie nei soggetti più fragili, i sentimenti di solitudine e di abbandono possano produrre gravi stati depressivi e conseguenti ricadute sulla attitudine alla sopravvivenza. Anche l’isolamento affettivo può infatti evolvere in fattore aggressivo della salute psico-fisica dei pazienti ricoverati e, per questa ragione, esso va doverosamente scongiurato, alla pari del rischio di contagio
Si sottolineava dunque, in quella Relazione, come la norma che prevede che l’accesso alle strutture da parte di parenti e visitatori sia circoscritto ai soli casi “indicati dalla Direzione sanitaria della Struttura che è tenuta ad adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione” fosse meritevole di una rivisitazione che tenesse conto della opportunità di non lasciare soli i Direttori sanitari delle RSA nella ricerca di soluzioni, essendo invece auspicabile un intervento del Governo indirizzato a suggerire rimedi ed indirizzi di comportamento uniformi nell’intero territorio nazionale..
Rimedi ed indirizzi che, evidentemente, devono avere natura preminentemente organizzativa e riguardare, ad esempio, la realizzazione di spazi deputati esclusivamente all’incontro tra il paziente ed i suoi cari, attrezzati con compartimentazioni di vetro o plexiglass[2], simili alle strutture separative esistenti nei parlatori delle carceri, dedicati agli incontri dei detenuti con i propri familiari.
Proprio il paragone con ciò che avviene nelle carceri suggerisce una riflessione sul legame intercorrente tra necessità di limitazioni alle visite nel periodi della pandemia e caratteristiche istituzionalizzanti delle RSA, strutture in cui gli anziani trascorrono l’ultima parte della propria vita in un regime generalmente connotato da una compressione (minore o maggiore a seconda dei casi) della propria libertà di autodeterminazione.
Nella Relazione dell’Ufficio relativa all’attività svolta nell’anno 2019[3], si sono messe in luce le vaste e complesse problematiche dell’assistenza a domicilio, da un lato, e dell’istituzionalizzazione dall’altro, osservando peraltro come in non pochi casi il forte impatto che le demenze in stato avanzato producono sullo stato funzionale dei soggetti colpiti rendano non fronteggiabili, per i familiari ed anche per le assistenti private, situazioni di estrema difficoltà che richiederebbero elevata capacità e formazione per l’ assistenza.
Per altro verso si è dato atto della posizione di un gruppo di valorosi operatori sanitari che, sulla scorta della propria esperienza[4] criticano la filosofia e la pratica dominanti nelle RSA, evidenziando come il rischio maggiore per queste strutture è che in esse si realizzi una sorta di limbo in cui i pazienti, custoditi in attesa della morte, si limitano a sopravvivere, avendo perso l’obiettivo ed il senso della vita. Essi descrivono una realtà in cui l’istituzione comunica continuamente ai pazienti che sono vecchi, malati, e morenti e che l’impegno di chi si occupa di loro si realizza nel tenerli tranquilli e ben assistiti, senza che le famiglie possano recriminare. Ed invocano riforme, culturali, normative ed organizzative volte a migliorare le cure e l’assistenza, a superare la standardizzazione, le abitudini stereotipate ed il burn out che colpisce i lavoratori nelle case di riposo.
Alle critiche ed alle riflessioni che ho riportato aggiungo la sottolineatura di un fenomeno che mi sembra essere il più aggressivo del benessere degli anziani ricoverati nelle case di riposo, quello del prevalere di un paternalismo medico-assistenziale che, pretendendo di tutelare in primo luogo sicurezza ed incolumità dei pazienti, fa sì che nei loro confronti si adotti una inaccettabile prassi di immobilizzazione continuativa realizzata con congegni e dispositivi meccanici. Si tratta di un fenomeno sconosciuto alla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, rispetto al quale si registra un’ inadeguata reazione di contrasto da parte degli organi chiamati alla vigilanza delle strutture ed anche da parte della magistratura, nonostante esso sia vietato dalla legge penale e dalla Costituzione (tema, questo, cui pure è dedicata ampio spazio di analisi nella Relazione annuale dell’Ufficio[5]).
Gli argomenti che si sono trattati fino ad ora riguardano non solo le coscienze di chi opera nelle RSA o di chi ha congiunti anziani con problemi di non autosufficienza cui vorrebbe garantire una qualità di vita il più decorosa possibile ma quelle di tutte noi. Ecco perché si è fortunatamente avviata nel Paese una discussione prospettica che ha ad oggetto non solo il tema di come riuscire a migliorare le RSA ma anche e soprattutto di come e dove vogliamo assistere gli anziani non autosufficienti.
Dò conto qui di seguito degli interventi che sono riuscito a rintracciare, scusandomi per averne, con tutta probabilità, trascurati molti altri.
Relazionando ad un convegno sulla situazione degli anziani nell’emergenza sanitaria promosso recentemente a Bologna dai sindacati dei pensionati[6], il Cardinale Zuppi ha osservato che la norma, e non l’eccezione, dovrebbe essere che gli anziani stiano a casa e lì vengano protetti: con l’assistenza domiciliare, forme di cohousing e case famiglia.
Una riflessione sovrapponibile a quella proposta da Enzo Bianchi in un articolo intitolato “Chiudiamo le RSA. Ma per sempre”[7] in cui ci invita a scandagliare “un dramma vissuto da molti, benché sia il più possibile occultato…Un dramma carico di dolore e sofferenza” che ha coinvolto personalmente l’ex Priore di Bose, avendo riguardato una persona a lui cara che, affetta da demenza ingravescente e per questo istituzionalizzata, si era ribellata al ricovero, rifiutando il cibo fino a morire.
Enzo Bianchi si interroga sul rischio più intenso prodotto dal processo di istituzionalizzazione, quello di trattare i vecchi come se fossero scarti; ed osserva che  “gli anziani sono ritenute persone che stanno per uscire dalla vita, ad essi non solo non si riconosce più la saggezza dell’esperienza ma vengono considerati unicamente dal punto di vista demografico: quanto pesa la loro percentuale sulla società a livello medico, quale impegno comporta la loro assistenza, quale costo rappresentano per la società”. L’invocazione finale appare netta ed assai poco diplomatica:“Abbiamo chiuso le case per malati mentali, abbiamo chiuso gli orfanatrofi, cerchiamo di chiudere presto anche le RSA! Contrastiamo la follia che ci conduce a una vecchiaia artificiale di solitudine e non di vita, impegnandoci a percorrere vie diverse, come in altri Paesi: convivenze, condomini protetti, comunità, domiciliarità.”
Alle voci provenienti da un cattolicesimo liberale e progressista si affianca l’approfondimento di un attento studioso di questa complessa problematica[8] che, ricordando uno studio del 2016 sulle RSA della Lombardia, ci indica come  la drastica insufficienza del “minutaggio” medio settimanale di assistenza medico-infermieristica-fisioterapica nelle strutture, associata alla segregazione in atto ormai da diversi mesi nelle case di riposo, vada a comporre “un quadro che solleva più di un interrogativo sul futuro di queste strutture”. Potendosi prefigurare, in prospettiva, un modello di cura “orientato al domicilio (o forse sarebbe meglio dire alle diverse tipologie di domicilio da sviluppare)” che, assorbendo “il patrimonio di professionalità imprenditoriale, clinica, assistenziale racchiuso nelle RSA” lo utilizzi, coinvolgendo correttamente le famiglie, per fornire risposte personalizzate alle esigenze dei pazienti non autosufficienti.
Dunque una “terza via”[9], sull’esempio di alcune esperienze già sperimentate in altri Paesi.
Segnalo, conclusivamente, il particolare rilievo di un’iniziativa assunta dal Ministro alla Salute, Roberto Speranza: l’istituzione di una Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria della popolazione anziana. Commissione presieduta da Monsignor Vincenzo Paglia, attento conoscitore della problematica, cui è stato affidato il compito di aiutare il Governo nel disegnare le basi di una proposta di riforma intesa a favorire una transizione dalla residenzialità all’assistenza domiciliare attraverso il sostegno alle famiglie.
Una riforma che -questo è l’auspicio di chi scrive- tenga conto del fatto che in gioco c’è l’individuazione non solo delle strategie volte a migliorare la qualità dell’assistenza ai nostri vecchi ma anche di quelle destinate a garantire loro una piena cittadinanza, connotata da intransigente rispetto per il diritto alla inviolabilità della libertà personale scolpito nell’articolo 13 della Costituzione.
Augurandomi che queste note possano aver suscitato non solo la vostra attenzione ma anche la Vostra condivisione, Vi saluto cordialmente.
Il Difensore civico
Augusto Fierro

[1] La Relazione, avente ad oggetto Suggerimenti del Difensore civico del Piemonte con riguardo all’articolo 1, lettera bb), del DPCM 11 giugno 2020, è rintracciabile sul sito di questo Ufficio
[2] Lettera aperta del dottor  Marco Geddes, medico componente della Commissione di bioetica della Regione Toscana, pubblicata da Sos Sanità ed intitolata “Per combattere la solitudine, per non perdere la tenerezza”,  
[3] Pagine 138 e ss della Relazione annuale per il 2019, pubblicata sul sito dell’Ufficio
[4] C.f..r Marco Pagani, Antonio Grillo, Roberto Franchini, Claudio Ivaldi, La residenza Sanitaria assistenziale, in Rivista di psicogeriatria, 2016, numero 3, pagine 69 e ss
[5] Relazione annuale cit., pagine 92 e ss
[6] C.f.r La Repubblica, cronaca di Bologna, 14.10.2020, pagina 3
[7] C.f.r., La Repubblica, 26.10.2020, pagina 24
[8] C.f.r., Giuseppe Liotta, Il problema non è migliorare le RSA ma come vogliamo assistere gli anziani, Domani , 28 ottobre 2020
[9] Relazione annuale di questo Ufficio, pag. 154 e ss

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