Europa, migranti, frontiere. Diritti fondamentali e accoglienza dei profughi nell’Unione europea
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Appare dunque chiaro che il diritto internazionale non consente di condizionare il rispetto
dei diritti umani allo status giuridico della persona. Questo principio vale quindi anche per la
libertà di movimento. L’art.13 della
Dichiarazione universale
lo afferma chiaramente: “
1. Ogni
individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. 2.
Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel
proprio paese
”. Lo stesso principio universale è ribadito dall’art. 12 della Convenzione
internazionale sui diritti civili e politici del 1976.
Lo strumento più completo finora elaborato a livello internazionale per i diritti delle
persone migranti è la
Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti
e delle loro famiglie
del 1990. Il principio di parità di trattamento per quanto concerne l’occupazione è affermato in
numerose convenzioni e raccomandazioni dell’OIL, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro:
la convenzione OIL n. 111 del 1958 e la relativa raccomandazione tutelano contro la
discriminazione in materia di lavoro e occupazione; due convenzioni e relative raccomandazioni
OIL sono poi specificamente dedicate ai lavoratori migranti, la n. 97 del 1949 sulla migrazione
per motivi di lavoro e la n. 143 del 1975 sui diritti dei lavoratori migranti.
Alla luce di questa evoluzione storica, la Carta dei diritti fondamentali, che l’Unione
europea si è data nel 2000, si presenta come un tentativo di sintesi tra vecchi e nuovi diritti:
accanto ai diritti tradizionali di libertà, uguaglianza, solidarietà, si affiancano i diritti dei
disabili, degli anziani, dei bambini, il diritto alla tutela dei dati personali e i grandi diritti
collettivi come il diritto alla pace, alla tutela dell’ambiente, il diritto allo sviluppo sostenibile e
il diritto dei popoli all’autodeterminazione.
Per quanto riguarda il principio di cittadinanza, la Carta dell’Ue lo ripropone come
cittadinanza dell’Unione. Da un lato questa è una conquista, nel senso di un avanzamento
rispetto alla logica nazionale. Con il Trattato di Maastricht del 1992, si introduce infatti il
principio di “cittadinanza europea”, con cui si stabiliscono per i cittadini dell’Unione una serie
di diritti, tra cui quello di circolare e soggiornare su tutto il territorio dell’UE; quello di votare
ed essere eletto alle elezioni municipali e del Parlamento europeo nello Stato di residenza;
quello di ricevere al di fuori dell’Unione la protezione diplomatica e consolare delle autorità di
ogni paese dell’UE se lo Stato di cui l’individuo è cittadino non è rappresentato.
Per un altro verso, se facciamo riferimento al diritto internazionale, non possiamo non
osservare la natura ancipite della Carta dell’Unione, da un lato ancorata al modello
“nazionale”, dall’altro protesa verso i valori universali. La stessa Carta afferma nel preambolo
di rifarsi tanto alle tradizioni costituzionali, quanto agli obblighi internazionali comuni agli Stati
membri. Per questo, alcuni diritti fondamentali stabiliti dalla Carta contrastano con quelli
stabiliti dalle Nazioni Unite, in quanto non sono universali ma valgono solo per i cittadini
dell’Unione. Tra questi rientrano il “diritto di lavorare” (art. 15) e la libertà di circolazione e di
soggiorno (art. 45). Su questo secondo punto, la Carta si vincola ai Trattati dell’Unione,
rinviando a quanto da questi previsto.