Europa, migranti, frontiere - page 21

Europa, migranti, frontiere. Diritti fondamentali e accoglienza dei profughi nell’Unione europea
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178.000 persone hanno ottenuto la cittadinanza italiana; sul totale influisce anche il mancato
rinnovo del permesso di soggiorno, con conseguente obbligo di lasciare il paese, per 64.000
persone. I nuovi stranieri registrati all’anagrafe sono stati 250.000. Le persone sbarcate nel
2015 sono state 153.842, contro i 170.100 del 2014.
Ma come si entra in Italia o più in generale in Europa? I canali e le tutele sono distinti, a
seconda che si tratti di migrazione che definiamo “forzata” o di migrazione cosiddetta
“volontaria”. La prima si dice forzata perché le persone lasciano il loro paese non per libera
scelta ma perché costretti. Le cause sono varie e complesse, può trattarsi di guerre, di
persecuzioni o di cause naturali. La migrazione volontaria avviene invece per ragioni di lavoro,
di studio, di ricerca o per ricongiungimento familiare. Tuttavia, più si analizzano i singoli casi in
profondità, più risulta difficile distinguere nettamente tra i due tipi di migrazione. Per entrare
nel merito della complessità delle procedure, si rinvia al precedente saggio L’Europa dei diritti
alla prova dell’immigrazione.
Qui ci preme sottolineare come, in materia di immigrazione “volontaria”, le competenze
dell’Unione europea siano limitate in maniera determinante dallo stesso Trattato fondamentale.
Gli Stati membri si riservano infatti la prerogativa sulle due questioni fondamentali della
gestione dei flussi a livello quantitativo e dell’integrazione. Per quanto riguarda la migrazione
“forzata”, invece, malgrado competenze ben più ampie, l’Unione procede in maniera
asistematica, attraverso accordi intergovernativi e seguendo una logica emergenziale. Inoltre va
rilevato che taluni accordi, faticosamente raggiunti, vengono poi ampiamente disattesi, come
nel caso del piano stabilito dall’Ue a settembre 2015 per ripartire tra i diversi Stati membri
160.000 profughi arrivati in Grecia e in Italia. A oltre un anno di distanza, soltanto 3.000 dei
160.000 sono stati trasferiti in un altro paese europeo.
Rispetto alle cifre dell’immigrazione in Italia, ciò che allarma rispetto al passato è che i
flussi attuali non sono programmati, perché composti perlopiù da profughi. Questo si innesta
nella fase congiunturale sfavorevole a livello economico, per cui ogni nuovo ingresso è visto
come una minaccia sociale. In Italia, da un lato sono aumentati gli arrivi dei profughi, dall’altro
non sono più state varate dal 2012 le quote d’ingresso per lavoro per cittadini non europei.
Tuttavia, a ben vedere, anche quando non c’era l’emergenza profughi, le politiche
dell’immigrazione si sono basate, più che su una vera programmazione, su periodiche
regolarizzazioni di fatto.
Un’ultima questione su cui riflettere è l’impatto sociale degli stranieri, che non presenta
solo aspetti negativi, anzi, per certi aspetti costituisce un fattore determinante per lo sviluppo.
Infatti, in Europa come in Italia le previsioni sull’invecchiamento della popolazione e sul calo
demografico sono allarmanti. Secondo Eurostat, in Europa gli ultrasessantacinquenni
aumenteranno del 33% entro il 2060. Sulla questione demografica la Commissione europea
riconosce da tempo che le migrazioni possono contribuire a ridurre il ritmo di invecchiamento
della popolazione. Già dieci anni fa, con la Comunicazione “Il futuro demografico dell’Europa,
trasformare una sfida in un’opportunità”, COM(2006) 571 def., la Commissione raccomandava
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