Europa, migranti, frontiere. Diritti fondamentali e accoglienza dei profughi nell’Unione europea
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Ginevra
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il compito di definire le misure ritenute più opportune, come anche la facoltà di
avvalersi o meno dell’intervento dell’UNHCR.
L’ampio margine bianco derivante da quest’ultimo punto è all’origine dell’applicazione
disomogenea del diritto d’asilo nei vari Stati sottoscrittori della
Convenzione
del 1951, nonché
delle differenti forme di tutela umanitaria e di accoglienza che essi attuano: si tratta di un
fattore di estrema importanza, dal momento che il diritto d’asilo, nella maniera in cui è
formulato, si realizza interamente nel rapporto
individuo-Stato,
riservando agli organismi
internazionali un ruolo di indirizzo e di controllo che, solo in seconda istanza e se richiesto, può
tradursi in operatività diretta. La mancanza di uniformità nell’applicazione pratica dell’asilo,
tuttavia, è solo uno dei problemi che discendono dal quadro normativo della
Convenzione
del
1951 e del successivo
Protocollo
.
Come è facile comprendere, l’efficacia di un strumento giuridico è verificabile solo in
rapporto alle evoluzioni del fenomeno sociale a cui esso si riferisce. Nel caso dei movimenti di
profughi, il contesto storico a cui gli estensori della
Convenzione di Ginevra
guardavano era
essenzialmente quello europeo dell’immediato dopoguerra, e la tipologia delle persecuzioni era
quella che, nella prima metà del novecento, aveva visto sterminati o costretti alla fuga milioni
di ebrei, armeni, zingari, dissidenti politici. La definizione di
rifugiato
non poteva che afferire
a questo contesto e individuare nelle
persecuzioni
il fattore di spinta prioritario e dirimente per
il riconoscimento della protezione. Del resto, la storia europea del dopoguerra confermerà
questa concezione: nel periodo della contrapposizione bipolare USA-URSS, molti paesi europei
diventeranno terra d’asilo per perseguitati politici di altri paesi europei (pensiamo all’Austria
nei confronti dei fuoriusciti ungheresi, in seguito all’occupazione sovietica del 1956; oppure alla
Germania, alla Francia e all’Italia verso numerosi dissidenti greci, spagnoli e portoghesi, durante
le dittature presenti nei rispettivi paesi). Negli anni settanta, il panorama comincerà a farsi più
globale, allargando lo spettro degli asilanti anche all’America Latina (pensiamo ai molti profughi
cileni, argentini, brasiliani che troveranno riparo in Francia o in Italia), ma mantenendo
sostanzialmente immutato il quadro dei fattori di spinta.
È soltanto dagli anni novanta del secolo scorso, con il venire meno dell’assetto geopolitico
dei
blocchi contrapposti
e con il forte incremento delle pressioni migratorie da numerosi regioni
dell’Africa e dell’Asia verso l’Europa, che il sistema di protezione internazionale entra
progressivamente in crisi, al punto da costringere gli organismi sovranazionali e gli stati stessi a
interrogarsi sulla necessità di un suo adeguamento alla fase storica attuale.
In particolare:
1. di fronte ai crescenti afflussi di profughi da zone segnate da crisi belliche o umanitarie, i
singoli stati sono ancora in grado di rispondere in maniera adeguata con le loro sole risorse? In
alternativa, non sarebbe opportuno conferire specifiche competenze a Organismi sovranazionali
(p. es.: l’Unione europea) o internazionali, favorendo prassi unitarie che rendano possibile quel
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Il numero degli stati aderenti alla Convenzione di Ginevra è 142.