Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.6 del 24/09/24 - Legislatura n. XII - Sedute dal 8 giugno 2024

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE NICCO



(La seduta inizia alle ore 10.10)



PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Do atto che l'o.d.g. è stato comunicato con la convocazione.
Non essendovi proposte di modifica, l'o.d.g. è approvato, ai sensi dell'articolo 58 del Regolamento interno del Consiglio regionale.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico: a) Congedi Ha chiesto congedo Ebarnabo.
Il numero legale è 26.
b) Distribuzione processi verbali È a disposizione e visibile sulla Intranet del Consiglio regionale alla sezione "Supporto sedute istituzionali-sedute di Aula" il processo verbale n. 5 relativo alla seduta del 17 settembre 2024.
c) Approvazione processi verbali È in approvazione il processo verbale n. 4 relativo alla seduta del 9 settembre 2024.


Argomento: Istruzione e Formazione Professionale: argomenti non sopra specificati

Esame ordine del giorno n. 11 presentato da Pentenero, Canalis, Isnardi Rossi, Paonessa, Ravetti, Verzella, Calderoni, Valle, Pompeo, Avetta Conticelli, Salizzoni, Unia e Nallo, inerente a "Riconoscimento dello ius scholae quale requisito per la cittadinanza italiana"


PRESIDENTE

Procediamo con l'esame dell'ordine del giorno n. 11, di cui al punto 2) all'o.d.g.
Ricordando che il tempo massimo per l'illustrazione è dieci minuti.
La parola alla Consigliera Pentenero per l'illustrazione.



PENTENERO Gianna

Grazie, Presidente.
Non vedo componenti della Giunta. Avevo visto il Presidente Cirio prima di iniziare i lavori, però forse è bene che qualche rappresentante della Giunta sia presente.



PRESIDENTE

Ha ragione. Il Presidente Cirio è arrivato. Diamogli il tempo di entrare in Aula.
Sospendo i lavori. Consigliera Pentenero, le ridarò la parola quando riprenderà la seduta.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 10.12, riprende alle ore 10.27)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Prego i Consiglieri di prendere posto.
La Consigliera Pentenero stava illustrando il suo ordine del giorno.
Prego, Consigliera; ha facoltà di intervenire.



PENTENERO Gianna

Grazie, Presidente.
Saluto il Presidente Cirio e lo ringrazio per essere presente in questa mattinata che noi riteniamo importante.
Ringrazio il Presidente Cirio per essere presente questa mattina.
Peraltro, mi hanno raccontato che nella legislatura precedente non era una sua grande abitudine partecipare alle sedute consiliari. Il fatto che questa mattina abbia scelto di partecipare alla seduta, in cui parliamo di ius scholae, credo sia per l'importanza che attribuisce al tema, pensando che la scorsa settimana in quest'Aula stavamo discutendo dell'autonomia differenziata. L'opposizione ha chiesto l'indizione del referendum ed è stato respinto, ma entrambe le argomentazioni, seppur da punti di vista diversi, partono dal fatto che chiediamo maggiore protagonismo alle Regioni.
Nel chiedere maggiore protagonismo alle Regioni, sappiamo perfettamente che sul tema dello ius scholae la Regione non può legiferare, perché è un tema di carattere nazionale. Però se vogliamo essere coerenti con quanto abbiamo discusso la scorsa settimana, possiamo essere protagonisti almeno da un punto di vista politico, cercando di portare le istanze del territorio su temi di civiltà all'interno della Conferenza Stato-Regioni e oggi sappiamo quanto sia importante quel luogo - e soprattutto stimolando le aule del Parlamento affinché si arrivi a modificare la legge n. 91 del 1992, che afferisce a un contesto socio-economico molto diverso rispetto a quello che oggi il nostro Paese sta vivendo.
L'inverno demografico porta con sé delle cifre con le quali tutti quanti dovremo fare i conti, insieme al settore economico, alla società nel suo complesso e alle scuole. Sappiamo bene quanto questo elemento sia importante, ma sappiamo anche che, nel corso della XII Legislatura parlamentare, è stato approvato alla Camera dei Deputati un testo unificato che proponeva la riforma della legge n. 91, riforma che prevedeva l'estensione dei casi di acquisizione della cittadinanza. Il testo non ha completato il proprio iter, è rimasto fermo all'interno della Camera dei Deputati e non è stato ripreso durante questa nuova legislatura.
L'iter che era stato approvato prevedeva l'introduzione di due nuove modalità di acquisizione della cittadinanza per figli minorenni di genitori stranieri: lo ius soli temperato, per cui la cittadinanza si acquisisce se si è nati nel territorio di un determinato Stato e almeno uno dei due genitori vi risiede legalmente da un certo numero di anni, e il cosiddetto ius scholae, che lega la concessione della cittadinanza alla frequenza delle scuole in Italia.
Ed è proprio dal tema delle scuole che vogliamo partire, perché la sfida dell'accoglienza e dell'intercultura, la sfida con la quale combattere le diseguaglianze educative è la scuola, cioè il luogo che garantisce contaminazioni tra le culture, i saperi e le lingue dei diversi bambini e bambine.
Sappiamo quanto oggi la nostra scuola fatichi nel mettere a sistema le tante sperimentazioni, le tante attività e i tanti approcci didattici inclusivi che sono stati sperimentati negli anni. C'è la necessità di facilitare il percorso all'interno delle scuole, inaugurando una nuova stagione. Dobbiamo anche riconoscere le fatiche con le quali spesso la scuola combatte, nel momento in cui si trova di fronte a bambini che non hanno la cittadinanza italiana. Pensiamo banalmente a una gita; spesso la gita diventa un problema per i bambini che non hanno la cittadinanza. È quindi, necessaria la cura delle relazioni e il luogo più importante in cui avviene questo è la scuola.
Credo che la cura delle relazioni sia la chiave per un percorso che possa permettere alle persone di inserirsi all'interno del nostro Paese non mi piace molto usare questo termine, ma sicuramente la cura delle relazioni garantisce un percorso inclusivo e di successo, così come la padronanza della lingua, che è un altro elemento fondamentale per l'inserimento all'interno della scuola e poi della società. Spesso questi bambini apprendono con grande facilità e con grande attenzione due lingue.
Il non avere la cittadinanza italiana, come ho detto, mette in difficoltà la scuola e anche nella quotidianità.
Un recente studio che è stato fatto in Germania dimostra che, in un Paese come la Germania, dove avviene il riconoscimento dello ius scholae il senso di appartenenza che nasce nei bambini e delle bambine che frequentano le scuole migliora la loro capacità di apprendimento.
Allora, se tutti questi elementi li ritroviamo all'interno del nostro contesto piemontese, cito soltanto due numeri: sappiamo che in Italia ci sono 914.860 studenti e studentesse che non hanno la cittadinanza italiana e che frequentano le nostre scuole, che vivono con i nostri figli e che vivono con i bambini dei nostri territori, e rappresentano l'112% del territorio italiano. Soltanto il 15,5% delle scuole del nostro Paese non hanno cittadini stranieri. È una cifra davvero molto piccola quella relativa alle scuole (15,5%) che non hanno una cittadinanza italiana.
Recentemente l'Osservatorio interistituzionale sui cittadini stranieri dimostra come nella nostra Regione (calcolato sempre sul 10% rispetto al dato nazionale) ci sono circa 66.827 alunni e alunne che senza cittadinanza italiana e 21.000 risiedono nel capoluogo della Città di Torino.
Nel corso dell'anno scolastico appena trascorso, il 14% della popolazione scolastica piemontese era composta da alunni con cittadinanza non italiana; un dato che è in crescita rispetto agli anni precedenti.
Cito soltanto e vale solo la pena di fare un piccolo riferimento a quello che i rappresentanti del mondo delle imprese ci dicono.
La stessa API, lo scorso anno, ha presentato un rapporto, dove ha esplicitato l'esigenza di avere persone con cittadinanza italiana che possano entrare all'interno del loro sistema aziendale, così come la stessa Confartigianato recentemente ci ha comunicato l'esigenza di avere più persone formate più persone che sappiano lavorare all'interno delle nostre aziende.
Quindi, i nostri progetti di accoglienza devono essere rivisti, devono dare quel segnale di civiltà, devono dare quel segnale di appartenenza al proprio Paese nel momento in cui tu lo vivi, nel momento in cui frequenti come dicevo prima, il luogo per eccellenza della cultura, il luogo per eccellenza della relazione, il luogo per eccellenza all'interno del quale determiniamo coesione e all'interno del quale determiniamo il percorso di vita delle persone, dei bambini e delle bambine che, appunto, frequentano le nostre scuole.
Per questo motivo, chiediamo che si riprenda il percorso iniziato nella legislatura precedente all'interno delle nostre Camere. Non è certamente quello che auspicheremmo essere il risultato migliore per il nostro Paese perché immagineremmo una nuova legge sulla cittadinanza e quindi una modifica di una legge che, come dicevo prima, è una legge del 1992, la legge 91. Una legge datata che, quindi, oggi ha bisogno di essere adeguata a quelli che sono i nuovi contesti che il nostro Paese ci pone davanti: non dimenticando il tema dell'inverno demografico, ma soprattutto tenendo in considerazione la necessità di avere percorsi educativi e scolastici che siano adeguati e che possano garantire un reale coinvolgimento dei bambini e delle bambine stranieri. I numeri sono numeri importanti e non possiamo girare la testa dall'altra parte e non possiamo non dare questo segnale di civiltà.
Crediamo innanzitutto che lo ius scholae è un punto di partenza - lo risottolineo - non è certamente il punto d'arrivo, ma un punto di partenza sul quale possiamo trovare punti di accordo e possiamo trovare punti di convergenza, perché ci permette di dare un primo segnale importante e in molti ce lo stanno chiedendo. Ce lo stanno chiedendo, come dicevo un attimo fa, i contesti economici, i contesti culturali, i contesti sociali e ce lo sta chiedendo chi vive una quotidianità faticosa, ad esempio, all'interno delle scuole e all'interno delle nostre imprese, un elemento a cui tutti quanti guardiamo con attenzione e per il quale ci chiedono persone che siano formate e, quindi, anche tutto il tema del riconoscimento dei titoli.
Oggi vi è un altro tema che ovviamente tocca non soltanto i bambini, ma tocca i cittadini con qualche anno in più: nel momento in cui raggiungono la maggiore età, molti cittadini che arrivano da paesi stranieri faticano a farsi riconoscere i propri titoli di studi, perché è un percorso in cui la certificazione avviene con processi molto complessi e, spesso, non si raggiunge l'obiettivo. Sono persone che hanno una formazione che attribuisce loro grandi competenze, ma non hanno nessuna possibilità di vederle riconosciute all'interno del nostro Paese.
Pertanto, Presidente e colleghi, con l'ordine del giorno vogliamo che si riprenda quel percorso iniziato nelle Camere del nostro Paese; vogliamo che questo percorso ricominci il suo cammino legislativo e che si possa arrivare il più presto possibile alla determinazione affinché bambini e bambine possano vivere come cittadini italiani e possano davvero sentirsi appartenenti al nostro Paese.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliera Pentenero.
Dichiaro aperta la discussione generale. Ricordo che ogni Consigliere può intervenire per un tempo massimo di dieci minuti.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Coluccio; ne ha facoltà.



COLUCCIO Pasquale

Grazie, Presidente.
Cercherò di essere breve, cercando di non ripetere quanto già detto dalla collega Pentenero.
Come Movimento 5 Stelle, sosteniamo convintamente l'ordine del giorno anche se personalmente sono arrivato in ritardo nella sottoscrizione del documento, essendo nuovo dei meccanismi del Consiglio regionale.
Inizierei facendo un breve parallelo: ho due figlie nate e cresciute in Italia, hanno studiato in Italia, hanno passioni tutte italiane, amano la loro terra e, allo stesso modo, hanno avuto colleghi di studio, di giochi di sport che, nelle stesse identiche condizioni, purtroppo sono sempre stati cittadini di serie B.
Questo grazie a una legge, come diceva la collega Pentenero, che ha oltre trent'anni; una legge che, per assurdo, permette a chi è figlio di un italiano, magari nato lontano della nostra Nazione, che magari non apprezza minimamente il nostro Paese o - passatemi una battuta - addirittura lo detesta, di ricevere in automatico la cittadinanza italiana. Altri ragazzi invece, continuano a essere catalogati come cittadini di serie B.
Le cifre accennate dalla collega Pentenero sono cifre importanti e, di solito, alle cifre si risponde con altre cifre. Magari qualcuno può dire che le cittadinanze riconosciute in Italia, dati Eurostat del 2022, sono 214 mila. Diciamo che noi, nel concedere la cittadinanza, abbiamo scelto una certa strada, riconoscendo cittadinanza prevalentemente a persone di origine albanese, che hanno una storia in particolare, o sudamericane mentre altri Paesi riconoscono la cittadinanza a persone che fuggono dalla guerra o dalla fame.
Nei numeri bisognerebbe anche entrarci, nel senso che all'estero la legislazione è molto più avanti rispetto a noi: in Germania, per essere cittadini tedeschi basta nascere da genitori che risiedono in Germania per cinque anni e viene riconosciuta in automatico la cittadinanza; in Francia basta avere almeno otto anni di residenza continua e all'età di 13 anni diventi cittadino francese; in Spagna è ancora più breve: se nasci da cittadini stranieri residenti in Spagna, dopo 365 giorni diventi cittadino spagnolo.
La domanda è: perché questa battaglia? Mi rivolgo soprattutto ai colleghi della Lega. È un semplice calcolo elettorale, perché cittadinanza vuol dire anche diritto di voto? Mi sembra un po' poco, personalmente non ci voglio credere.
Non penso neanche che questa battaglia, in qualche modo, sia utilizzata come strumento di compattazione del centrodestra a difesa di un'identità nazionale che, onestamente, mi sembra faccia un po' acqua da tutte le parti, perché ormai la nostra sovranità l'abbiamo affidata, su tutti i piani, in altre sedi: da quella politica a quella monetaria, economica e via dicendo.
Poniamoci un'altra domanda: perché è giusto approvare questa legge? Semplifico. Un ragazzo che vive in Italia, che spesso prende anche l'accento della Regione in cui abita, se cresce sino all'età di 18 anni senza pensare e sperare nella cittadinanza, vive in qualche modo ai margini. Concedendogli, invece, la cittadinanza avremmo un ragazzo che cresce convintamente nella nostra nazione e sicuramente farà di tutto per stare nell'alveo del fiume.
Faccio una battuta, rivolgendomi in particolare ai colleghi della Lega.
Come diceva De Gregori, sono convinto che dietro il cappello, tutti quanti voi pensate sicuramente che questa è una battaglia sbagliata. Sbagliata perché sono differenze e limiti che poniamo noi adulti, ma i bambini non pongono differenze e non vedono differenze. Chi mi conosce sa che percorro più strada a piedi che in macchina e spesso e volentieri mi piace camminare per le città e vedo nei giardini e nei campi da calcio, gruppi di ritrovo di ragazzi e bambini che vivono tranquillamente non ponendosi minimamente nessuna preclusione. Purtroppo questa la poniamo noi, la pone la politica li crea la politica i confini e le separazioni.
Questa è una battaglia senza senso, lo dico veramente a cuore aperto, è semplicemente rimandare la questione. Questo non vale solo per l'argomento che stiamo trattando, ma anche per tanti altri principi che oggi ci si pone come ostacolo, offrendo sicuramente un cattivo servizio per tutti quanti.
Oggi avremmo il tempo per affrontare la questione con la giusta calma invece questi ragazzi posti ai margini, in qualche modo un domani diventeranno un fiume in piena che sarà sicuramente più difficile arginare.
Chiudo con un'immagine. Qualche giorno fa ho visto una foto del Presidente Cirio all'uscita di una scuola con due bambini. Una foto che a me onestamente è piaciuta, perché rappresenta un po' le istituzioni che prendono per mano due bambini di origini diverse e li accompagnano. Penso che questo sia il nostro dovere, cioè accompagnare tutti affinché nessuno rimanga indietro.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Coluccio.
Ha chiesto di intervenire la Consigliera Paonessa; ne ha facoltà.



PAONESSA Simona

Grazie, Presidente Cirio, per essere presente oggi.
Cari colleghi e colleghe, vengo da un piccolo paese di 4.000 abitanti che ospita la più grande comunità croata del Vercellese. Ho sempre frequentato la scuola insieme a ragazze e ragazzi di nazionalità diversa dalla mia. I miei amici non sono nati in Italia, ma sono cresciuti, vivono e hanno studiato qui. Loro si sentono italiani, ma nonostante questo non possono votare e partecipare a concorsi pubblici o intraprendere percorsi di studio all'estero.
Ricordo che ci vogliono più di due anni per ottenere la cittadinanza e farne richiesta costa quasi 300 euro e bisogna avere un reddito di oltre 8.000 euro. Perché questi ragazzi e queste ragazze devono pagare per sentirsi dire ufficialmente che sono italiani? Lo ius scholae permetterebbe agli oltre 2,5 milioni di stranieri residenti nel nostro Paese di avere un'opportunità di uguaglianza giustizia sociale e speranza nel futuro, riconoscendo il ruolo fondamentale della scuola come luogo di condivisione e di integrazione. È arrivato il momento di cambiare la legge sulla cittadinanza, affinché lo Stato riconosca come cittadini coloro che già sono italiani.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola la Consigliera Marro; ne ha facoltà.



MARRO Giulia

Ringrazio la collega Gianna Pentenero per questo ordine del giorno e il Presidente Cirio per la sua presenza.
Noi abbiamo scelto di non firmare questo ordine del giorno, in precedenza, perché abbiamo una posizione che riteniamo ulteriormente migliorativa per le persone potenzialmente interessate. Però crediamo che sia un importante atto. Ogni gesto è un piccolo passo verso una dimensione di acquisizione della cittadinanza che ci permette di andare in linea con gli altri Paesi europei, come già ricordato, e soprattutto che va a rinnovare quel patto sociale per il quale tutte le cittadine e i cittadini hanno il dovere di prendersi cura del proprio Paese, in cambio del diritto di viverlo, di abitarlo e di partecipare alle scelte.
In questi giorni è in atto una raccolta firme per un referendum sulla cittadinanza e siamo arrivati stamattina all'88%. Questo referendum chiede di ridurre da dieci a cinque gli anni di residenza legale in Italia richiesti per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana che, una volta ottenuta, sarebbe automaticamente trasmessa ai propri figli e alle proprie figlie minorenni.
Noi sosteniamo questa campagna referendaria, ma appoggiamo oggi in quest'Aula la richiesta nella collega Pentenero, perché pensiamo che sia importante dare un segnale di riconoscimento di dignità e civiltà a persone che sono già italiane a tutti gli effetti, in quanto vivono nel nostro Paese, lavorano al nostro fianco, parlano la nostra lingua e, sempre più spesso, i nostri dialetti, ma che ancora non hanno scritto cittadino o cittadina sui loro documenti.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola la Consigliera Verzella; ne ha facoltà.



VERZELLA Emanuela

Grazie, Presidente.
Volevo citare delle leggi, volevo parlare della legge n. 91/92, della sua vecchiezza e decrepitezza, invece farò quello che so fare e dico quello che conosco. Quello che so, essendo uscita dalla scuola un mese e mezzo fa è che noi qui non dobbiamo avere paura, perché è la paura che ci conduce ad avere dei dubbi su questa scelta. È una paura, vi assicuro, immotivata perché le aule le conosco da una vita, le ho studiate prima, le ho frequentate dopo, le ho guidate da docente e poi da dirigente e, in questi anni, ho visto arrivare tantissimi ragazzini stranieri, bambini stranieri in tutti i livelli di scuola e ho potuto insegnare loro la lingua italiana perché è in questo che mi sono laureata. Ho potuto affrontare il tema anche da madre, perché nella classe di mio figlio, in un piccolo paese del Piemonte, oltre il 30% degli alunni erano di origine straniera. E mio figlio ha acquisito, tramite questo contatto, una serie di competenze che mai avrebbe potuto apprendere in un ambiente che fosse una semplice riproposizione del suo.
Vi dico che non dobbiamo avere paura del confronto tra culture. E guardate che i nostri ragazzi sono i migliori ambasciatori del nostro modo di vivere. È con loro che dobbiamo lavorare, perché seguono un modo di vivere eticamente connotato. Quando gli altri si avvicinano ai coetanei apprendono e solo insieme ai coetanei questo è possibile. Naturalmente, più si va avanti, il discorso della cittadinanza diventa importante e diventa palese anche ai genitori.
Ho avuto esperienze di moltissimi genitori che non sono riusciti ad acquisire la cittadinanza italiana e, quindi, a trasmetterla ai propri figli, perché non hanno potuto dimostrare di essere stati dieci anni in Italia, in quanto sono dovuti tornare nei Paesi d'origine in tempi diversi per soccorrere anziani, genitori e parenti malati o per motivazioni lavorative. Queste interruzioni creano un vulnus enorme anche per la cittadinanza dei genitori e quindi dei figli.
Passare per lo ius scholae non ci deve creare un problema di paura del rendimento dei nostri figli.
Ogni tanto, arrivano indicazioni secondo le quali i test INVALSI di alunni stranieri rappresentano parecchie difficoltà nella lingua. Queste situazioni sono di sprone nelle scuole, da anni, a lavorare e moltissime parti delle nuove innovazioni, anche dal punto di vista didattico sulle discipline STEM, derivano da un nuovo modo di porsi di fronte a classi multietniche. In realtà, c'è stato un grandissimo miglioramento da questo punto di vista, proprio perché le scuole si sono interrogati su come lavorare su classi multietniche.
È un lavoro e un processo che non dobbiamo interrompere per delle paure che non hanno luogo di esistere. Lo ius scholae è solo una parte del cammino, come è stato detto, ma è assolutamente importante dare un segno di civiltà. La scuola è il luogo dell'incontro, la scuola è il luogo dell'inclusione, è il luogo dove noi possiamo anche contaminare i genitori più retrivi.
Non mi nascondo e non vi nascondo di aver avuto diverse difficoltà con genitori di alunni stranieri, ai quali ho indicato le nostre modalità di trattare la genitorialità, il nostro modo di educare i figli, come un modello. Se noi riusciamo a includere i figli, abbiamo anche il dovere di trascinare i genitori in questa struttura, diciamo così, nuova della vita dell'apprendimento anche attraverso l'educazione degli adulti, del quale in ultimo mi sono occupata, perché attraverso l'inclusione dei figli passa anche l'inclusione dei genitori.
Voglio spendere un'ultima parola importante a favore di questo ordine del giorno - importante secondo me, ma spero anche per tutti voi - per l'inclusione delle madri di questi alunni che spesso sono escluse da qualsiasi possibilità di apprendere la lingua e la apprendono dai propri figli. Capite quale grande esempio di civiltà daremmo appoggiando un'innovazione come questa, dando un segnale e legando la cittadinanza questo lo dico come proposta mia - anche all'apprendimento della lingua da parte dei genitori. Un apprendimento serio fatto nelle strutture adeguate.
Soltanto così possiamo vincere le nostre paure. Credetemi: non c'è paura che tenga di fronte a una scelta di civiltà e questa senz'altro lo è.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Isnardi.



ISNARDI Fabio

Grazie, Presidente.
Ringrazio anche il Presidente Cirio e l'Assessore Chiarelli per essere presenti in questa discussione.
Nel mio intervento, per non ripetere quanto è già stato detto, faccio soltanto una considerazione: il nostro Paese concede in pochi mesi la cittadinanza italiana a persone che abitano dall'altra parte del mondo semplicemente perché hanno un bisnonno o un trisnonno che alla fine dell'Ottocento è emigrato in Argentina, in Uruguay o in Brasile, anche se non conoscono una parola di italiano e anche se non pagano un centesimo di tasse in Italia.
Chi è stato amministratore locale sa anche come fanno: queste persone non hanno neanche minimamente idea da dove proveniva al loro avo, il loro bisnonno o il loro trisnonno. Magari sanno che in era nato in Piemonte quindi mandano una generica mail a tutti i Comuni del Piemonte (peraltro scritta in un italiano tradotto con Google Translate), nella quale chiedono di ricercare se negli archivi anagrafici esiste un certo signore (dico Mario Rossi come esempio, ma ovviamente citando più o meno un nome che ricordano del loro avo), nato tra il 1860 e il 1870. Sanno solo della provenienza italiana. Hanno cognomi e nomi assolutamente non italiani, se ne vogliamo fare una questione anagrafica, ma queste persone ottengono la cittadinanza in pochi mesi. Una volta ottenuti tutti i documenti vengono in Italia, dove esistono associazioni o persone che affittano case in campagna, fanno prendere loro la residenza per avere la cittadinanza e poi quando la ottengono, tornano indietro. Da lì, ricomincia il giro: prende la residenza un altro, ottiene la cittadinanza e torna da dove proviene.
Non voglio usare il termine "battaglia", perché siamo in un periodo di guerra e le battaglie non mi piacciono, ma vorrei piuttosto usare il termine "scelta di civiltà", che vorrebbe dire premiare persone che scelgono di venire ad abitare nel nostro Paese, di crescere i propri figli nel nostro Paese, di farli studiare nelle nostre scuole, di fargli imparare le nostra storia e la nostra geografia (probabilmente conoscono la storia degli antichi romani meglio di me, che ho studiato molti anni fa), ma che purtroppo continuano a sentirsi non voluti in Italia.
I nostri figli e i nostri bambini non vedono differenze. I bambini quando giocano con altri bambini, guardano e vedono solo bambini, non vedono bambini con la pelle scura, con gli occhi a mandorla o di un ceto sociale più basso. Per fortuna, nella loro semplicità, vedono soltanto compagni e amici con cui giocare.
Mi auguro che questa scelta di civiltà sia anche condivisa dal Consiglio regionale. So perfettamente che è una competenza del Parlamento nazionale, ma, purtroppo, a mio avviso, il bipolarismo che abbiamo in Italia ha creato alcuni danni, tra cui quello di dividerci in maniera molto chiara: chi è in maggioranza vota a favore, chi è all'opposizione vota contro, senza ricordarci che quest'Aula, ma anche il Parlamento, si basano su una Repubblica parlamentare, al cui interno possono nascere leggi indipendentemente dall'appartenenza dello schieramento politico; altrimenti in Italia, se non fosse così, non avremmo neanche ancora la legge sul divorzio o sull'aborto, difese da referendum e dai cittadini, ma approvate dal Parlamento italiano, indipendentemente dal Governo del momento.
Mi auspico che su questa scelta di civiltà il Parlamento nazionale torni a fare il proprio lavoro, che non è solo quello di dire "sì" ai decreti del Governo in quel momento in carica, ma è di occuparsi di tematiche che vanno al di là dell'appartenenza al centrodestra o al centrosinistra.
Lo dico in un momento in cui si sta raggiungendo il quorum le firme sul referendum della cittadinanza, che ormai credo abbiano raggiunto il 90 delle 500 mila necessarie; a dimostrazione che è un tema su cui i nostri cittadini, e anche i cittadini piemontesi, hanno una certa sensibilità.
Abbiamo presentato questo ordine del giorno e ci auguriamo, oltre alla discussione, che anche il Consiglio regionale lo possa condividere semplicemente per mettere al centro dell'attenzione del Parlamento su quella che è - l'ho già detto prima, ma lo ripeto sempre più convintamente una scelta di civiltà. Se così non fosse, come ha detto qualcuno prima di me, sono assolutamente convinto che è solo una questione rimandata, perch alla fine possiamo essere conservatori finché vogliamo, ma le scelte giuste, prima o poi, ottengono il giusto riconoscimento.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la Consigliera Nallo; ne ha facoltà.



NALLO Vittoria

Grazie, Presidente, e buongiorno, colleghi Consiglieri.
Oggi siamo qui a discutere un tema che ci è particolarmente caro ovvero il riconoscimento della cittadinanza a chi, pur essendo nato o cresciuto in Italia, viene ancora considerato straniero.
È impensabile che un immigrato possa ottenere la cittadinanza spesso più rapidamente di un bambino che è nato e ha frequentato qui le nostre scuole, ha imparato qui la nostra lingua, condiviso qui i nostri valori e già contribuisce a costruire il futuro del nostro Paese.
Quest'estate abbiamo accolto favorevolmente le parole del Presidente Cirio, che di recente ha lodato pubblicamente lo ius scholae. Certo, il Presidente parlava di dieci anni e non di cinque dal palco della festa di Forza Italia, in ultimo all'inaugurazione dell'anno scolastico a Torino.
Forza Italia è quel partito che ha anche bocciato in Aula gli emendamenti che erano volti a riformare la legge sulla cittadinanza, inclusi quelli a favore dello ius scholae.
Durante l'ultima votazione alla Camera abbiamo visto 169 voti contrari 126 favorevoli e tre astenuti. Anche Forza Italia ha votato contro nonostante le dichiarazioni del suo Vicesegretario, che a parole si esprime favorevolmente alla riforma, solo con una differenza legata agli anni. Non è la prima volta che assistiamo a questo tipo di comportamento spesso da parte di alcuni esponenti della classe politica e della maggioranza: proclami, interviste, convegni, inaugurazioni, ma seguiti da un immobilismo totale quando si tratta di tradurre le parole in fatti.
Sappiamo che le parole sono facili, ma quello che conta poi davvero sono le azioni e lo ius scholae non è un concetto nuovo; se ne discute da anni, come è già stato detto dai colleghi nel 2018 con una proposta che si è poi fermata nel 2022 con la caduta del Governo Draghi. Quella proposta avrebbe garantito la cittadinanza ai minori stranieri nati e cresciuti in Italia dopo cinque anni di scuola e con residenza continuativa. Questo percorso d'integrazione, attraverso l'istruzione, è l'unico modo per far sentire italiane queste seconde generazioni che oggi vivono con la percezione di essere, in Italia, cittadini di serie B.
Dobbiamo ricordare che la cittadinanza non è solo un passaporto e che come ricordava il collega Isnardi, viene concesso a chi magari in Italia non è nemmeno mai venuto, continua a vivere fuori, ma ha la cittadinanza italiana e il passaporto italiano solo perché uno dei suoi trisavoli era italiano. La cittadinanza è il riconoscimento di un'appartenenza, una dichiarazione che queste seconde generazioni sono italiani a tutti gli effetti, ma è solo attraverso un percorso d'inclusione che possiamo costruire una società più sicura e coesa.
È provato che esiste una correlazione tra la mancanza di riconoscimento e l'aumento del rischio di marginalità e delinquenza, e lo dico qui visto che quello della sicurezza è un tema caro all'attuale maggioranza: la sicurezza vera si costruisce anche attraverso il riconoscimento della cittadinanza, dandola a chi, a tutti gli effetti, è già italiano attraverso la scuola e l'istruzione.
Voglio chiarire: integrare non significa rinunciare alla propria identità e alle proprie tradizioni, tutt'altro. Per prima auspico che questa possa costituire per tutti noi cittadini italiani un'opportunità di slancio e di orgoglio in primis per noi per conoscere e per ricordare la nostra identità, che significa anche combattere quella cancel culture che sempre più si sta presentando nelle nostre nazioni e nella nostra cultura.
L'integrazione non è una minaccia alla nostra cultura, bensì un'opportunità, ed è una strada obbligata per affrontare le grandi sfide del nostro tempo e preservare quei valori democratici a cui teniamo tutti quanti.
Sono fiera di essere italiana, personalmente ho giurato sulla Costituzione italiana quando portavo le stellette e le emozioni che ricordo nel momento del giuramento sono le stesse identiche emozioni che provano quelle persone che si trovano a giurare sulla Costituzione per acquisire la cittadinanza; quella è un'emozione vera, quelle sono davvero le emozioni che fanno capire quanto quelle persone siano già italiane, ben prima di quel giuramento che poi è l'apice, è il momento della formalità ultima con cui si riesce a ottenere quella cittadinanza.
Pertanto, non mi sento minimamente minacciata dall'idea che qualcuno possa acquisire la cittadinanza dopo un ciclo scolastico di soli cinque anni come viene detto: è nella mancata integrazione che germogliano gli integralismi.
La politica, colleghi, è fatta di scelte coraggiose. Certo, questa è una di quelle e sicuramente, com'è stato detto, è solo un punto di partenza.
A proposito di questo, parlando di una delle riforme più recenti, mi viene in mente quella delle unioni civili dell'allora Segretario del PD Matteo Renzi. Quella non era una legge perfetta, anzi qualcuno la riteneva eccessiva, eccessivamente radicale, mentre qualcun altro sosteneva che non fosse abbastanza. Eppure è stata fatta e ci ha permesso in quel momento di garantire un riconoscimento di diritti fondamentali, davanti al quale non potevamo più fare passi indietro.
Questo è lo stesso coraggio che chiediamo oggi alla maggioranza, quindi non solo parole, ma azioni concrete. È il momento di dimostrare coerenza tra quanto viene dichiarato pubblicamente e ciò che si vota in Parlamento.
La cittadinanza non può più essere negata a chi è, di fatto, italiano e non possiamo permetterci di rimandare ancora una riforma che questo Paese attende da troppo tempo. Con questo documento che oggi votiamo, per il quale annuncio il mio voto favorevole, chiediamo una presa di posizione precisa che includa il fatto di riaprire un dialogo con tutte le forze politiche e i singoli parlamentari che sanno, in coscienza loro, quanto sia urgente integrare e riconoscere queste generazioni come parte del nostro tessuto sociale.
Pertanto, Presidente e colleghi, chiediamo un impegno concreto, non solo a parole, per far sì che questo Paese sia all'altezza dei suoi principi di uguaglianza e di giustizia.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola la Consigliera Ravinale; ne ha facoltà.



RAVINALE Alice

Grazie, Presidente.
Attendo con ansia di sentire quanto il Presidente Cirio avrà da dirci su questo argomento così rilevante. Prendo atto che i Consiglieri delle forze politiche di maggioranza hanno preferito dare la parola al Presidente della Giunta regionale e che, di fatto, non stiamo facendo un dibattito, ma stiamo perorando una causa rispetto alla questione dello ius scholae.
Come ha ben detto la collega prima di me, noi siamo favorevoli. Nella sola città di Torino sono il 30% i bambini nati da famiglie straniere che potrebbero beneficiare di questa normativa. L'obiettivo finale, per quanto ci riguarda, sarebbe quello dello ius soli, ma queste sono cose note che sapete e che non ripeto per non annoiarvi.
Mi stupisce che alcune delle riflessioni fatte stamattina partissero dal concetto di paura. Mi chiedo davvero di che cosa dovremmo avere paura perché stiamo parlando di bambini e di bambine, di ragazzi e di ragazze che frequentano le scuole e di cui non possiamo avere paura. Non è possibile avere paura dei bambini e delle bambine. Stiamo parlando di persone che sono i compagni di classe e di banco dei nostri figli e delle nostre figlie, che però vengono man mano esclusi da tutta una serie di diritti basilari. Sono bambini e bambine che non possono andare in gita, che non possono andare in vacanza all'estero, che quando cresceranno non potranno fare concorsi pubblici, perché le discriminazioni di chi non ha la cittadinanza sono importanti e molteplici.
Confido che questa svolta che si è paventata nel mese di agosto, cui noi guardiamo con estremo favore, relativamente allo ius scholae, possa trovare compimento, perché l'Italia attende da troppi anni che finalmente si prenda atto della situazione e, come ben detto prima di me, si vada verso politiche che, riconoscendo i diritti alle persone, permettano alle stesse di essere pienamente parte della nostra comunità con oneri e diritti. Confido che questo succeda.
Segnalo solo, visto che sto parlando con chi governa questo Paese, che ovviamente i diritti vanno poi presi sul serio e concretizzati, perch l'attuale legge sulla cittadinanza è una legge oggettivamente superata e problematica. Quanto diceva prima il Consigliere Isnardi sugli oriundi e sulle oriunde è verissimo. Leggevo in questi giorni che il Tribunale di Venezia è intasato, perché ha 18 mila richieste di cittadinanza, che non permettono al Tribunale di lavorare su altro, che arrivano proprio da quegli "italiani d'America" che oggi (perché le nostre leggi lo consentono) chiedono la cittadinanza. Ma è importante che anche le modalità di accesso vengano poi presidiate.
Oggi chi ha il diritto di ottenere la cittadinanza ha tutto in regola: i dieci anni di residenza continuativa, le tasse pagate e via discorrendo aspetta, però, quattro anni per ricevere la cittadinanza, perché le istituzioni preposte a questo impiegano tutto questo tempo. Questo non è un caso, ma dipende da scelte specifiche, come per esempio quella di non rinnovare i contratti per il personale in somministrazione delle Questure e delle Prefetture che si occupava delle pratiche relative alla cittadinanza così come in generale del servizio agli stranieri.
Se su una materia difficilissima, come quella del diritto dell'immigrazione, compresa la parte della cittadinanza, continuiamo a non formare il personale e a usare dei contratti di somministrazione precari come è avvenuto a cavallo tra il 2022 e il 2023, lasciando a casa centinaia di persone formate e mettendo persone che non hanno ricevuto l'opportuna formazione a seguire queste pratiche, anche quella è frutto di una precisa volontà, di una precisa intenzione.
Quindi, ben venga lo ius scholae. Io mi auguro che finalmente l'Italia in questa unione anche di forze differenti, vada nella giusta direzione che è quella di ridurre a cinque anni il requisito di residenza continuativa, come chiede l'ottima proposta di referendum e che poi magari, si arrivi un giorno, finalmente, a poter parlare di ius soli, per facciamolo concretamente, perché se i diritti esistono sulla carta ma poi ci vogliono quattro anni per ottenere il certificato comunque continuiamo ad avere un problema.



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Canalis.



CANALIS Monica

Grazie, Presidente.
Magari la sorprenderò, perché non intendo iniziare citando grandi principi sociali e umanitari, per quanto sicuramente il tema della cittadinanza riguardi l'inclusione sociale, l'uguaglianza, che è un principio fondante della nostra Costituzione, riguardi l'avvicinamento alle norme dei più grandi Paesi europei, come la Francia e la Germania, riguardi i temi d'integrazione culturale. No, intendo citare "Il Sole 24 Ore" sicuramente non una rivista di carattere culturale o esclusivamente culturale, ma una rivista che scrive in rappresentanza del mondo delle imprese e dell'economia.
Ebbene, "Il Sole 24 Ore" del 23 settembre riportava questi dati: 2,4 milioni di lavoratori stranieri in Italia, nel 2023, hanno contribuito per l'8,8% al PIL nazionale. Nel 2023, la differenza tra le tasse e i contributi versati dagli stranieri e le prestazioni di welfare che sono state fornite agli stranieri dalla Pubblica Amministrazione italiana, il saldo è stato di 1,2 miliardi di euro. La fonte è il rapporto annuale sull'economia dell'immigrazione della Fondazione Leone Moressa.
Perché cito "Il Sole 24 Ore" e cito questi dati? Perché tutti conosciamo un detto, un moto, che è "no taxation without representation" un motto nato nella Rivoluzione americana della fine del Settecento coniato dai coloni americani che si rifiutavano di pagare le tasse alla madrepatria inglese in assenza di una rappresentanza politica. Questo è un principio dell'impianto culturale liberale, un principio alla base di ogni ordinamento politico giuridico liberare, quindi non è appannaggio del centrosinistra, ma è alle fondamenta anche del centrodestra o, perlomeno di una porzione del centrodestra.
"No taxation without representation".
I dati ci dicono che oggi in Italia ci sono tante persone, non soltanto minori, anche adulte, che pagano le tasse, lavorano, rispettano le leggi parlano la nostra lingua, possono dimostrare di avere anche un inserimento abitativo sul suolo italiano; insomma, hanno i requisiti della cittadinanza, gli stessi che sono richiesti nelle altre grandi democrazie europee, eppure queste persone sono penalizzate da questo squilibrio.
Pertanto, faccio appello non tanto al buon cuore, alla pietà umana, a giustissimi e sacrosanti principi umanitari e sociali, ma faccio appello al rispetto dell'ordine liberale che ci accomuna tutti trasversalmente, a prescindere dall'appartenenza degli schieramenti politici, e dico: nelle ore in cui il referendum sulla cittadinanza sta raggiungendo il quorum (proprio in queste ore stiamo raggiungendo le 500 mila firme), se la Corte costituzionale lo approverà, il popolo italiano sarà chiamato a esprimersi tra l'altro, trascinando anche il referendum sull'autonomia differenziata.
Dico a quest'Aula, e naturalmente in prima battuta ai Consiglieri della maggioranza chiamati a votare e agli esponenti della Giunta, ringraziando il Presidente Cirio per essere qui con noi, di sintonizzarsi con il sentimento del popolo italiano. Il referendum è stato depositato il 6 settembre e oggi, 24 settembre, probabilmente raggiungerà le 500 mila firme. È un ottimo viatico e segnale che il nostro popolo è pronto. La politica non deve arrivare dopo, deve arrivare prima, deve anticipare questi grandi processi culturali, sociali ed economici di sostenibilità della nostra convivenza civile, della nostra tenuta e della comunità.
Faccio ancora un appello, oltre alla memoria liberale che ci accomuna tutti, a non galleggiare in quest'Aula, a non ricorrere all'equilibrismo e ai cavilli (dieci anni sì, cinque anni no), ma a ricorrere al coraggio delle idee, a sintonizzarsi con il popolo. Attenzione che rischiamo di ribaltare quello schema, forse un po' semplicistico, di cui si è parlato negli ultimi anni: noi saremmo stati rappresentanti dell'élite e voi i rappresentanti del popolo. Attenzione che il voto di quest'Aula, questa mattina, può portarvi dalla parte sbagliata: qui il popolo, il sentimento popolare pronto a una modifica della legge sulla cittadinanza e, dall'altra parte, qualche residuo che non rappresenta la maggioranza degli italiani.
Bando alle ambiguità, bando ai cavilli legali, bando agli equilibrismi e ai galleggiamenti: uniamoci in una battaglia che, sono sicura, ci vedrà presto tutti coinvolti anche nel referendum.



PRESIDENTE

Grazie.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Unia; ne ha facoltà.



UNIA Alberto

Grazie, Presidente.
Ho pensato a lungo come intervenire sul tema (mi sono scritto un po' di appunti che poi non leggerò, come al solito) ma poi ho pensato: io esattamente, quando mi sono sentito italiano? Voi ve lo siete chiesti? Quando ci siamo sentiti italiani? Mi sono sentito italiano in un periodo specifico, che non è da un giorno all'altro. Lo ricordo benissimo, come fosse adesso. Avevo tre o quattro anni, andavo a scuola, non mi sentivo italiano, ma figlio dei miei genitori, stavo insieme ad altri bambini a giocare e poi un giorno, una volta iniziate le scuole elementari, esattamente dalla classe terza in avanti, usando quel famoso "libro delle ricerche" (magari qualcuno di voi se lo ricorda: libriccino in cui si ritagliavano le immagini per poi attaccarle), ho capito in che posto stavo vivendo, perché lì veniva spiegato nel dettaglio dove stavo vivendo, e ho iniziato a sentirmi davvero parte di questo Paese.
Per questo ius scholae e non ius qualcos'altro, perché è proprio in quel momento che si forma la coscienza individuale di essere parte di una comunità, che è quella italiana.
È evidente che noi siamo anacronistici in quest'Aula, perché ormai il mondo è andato avanti rispetto a quello di cui stiamo discutendo. Stiamo discutendo di un argomento per cui i nostri figli sono oltre, sono avanti molto avanti.
So benissimo che è inutile cercare di convincerci a vicenda, per facciamo una riflessione insieme, al di là delle filosofie e di tutto quello che c'è dentro (destra, sinistra, centro, sopra e sotto), cercando di andare oltre e capire che, forse, dovremmo prepararci per il mondo che verrà fra vent'anni, anche se siamo già in ritardo. Dobbiamo darci una mossa.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la Consigliera Conticelli; ne ha facoltà.



CONTICELLI Nadia

Ho aspettato a prenotarmi per l'intervento perché avevo capito che questo fosse un dibattito politico, quindi aspettavo di sentire le posizioni dei colleghi dei vari partiti della maggioranza, visto che parliamo di un tema che riguarda direttamente la vita e il futuro del Paese. Com'è stato ricordato, ci sono centinaia di migliaia di cittadini che hanno firmato.
Lo trovo piuttosto indecoroso questo dibattito fatto da una sola parte.
Indecoroso perché bisogna avere la responsabilità delle scelte politiche che si fanno, soprattutto quando le stesse impattano sulla carne viva e sulla vita delle persone. È per questo che siamo qui, altrimenti tutto questo ambaradan lo potevamo anche chiudere.
Alcuni colleghi hanno parlato del lavoro e altri del diritto, altri hanno citato l'investimento sulla scuola, su cui voglio tornare.
L'investimento sulla scuola in Italia diventa un investimento a perdere. Il nostro Paese investe nella formazione di ragazzi e di ragazze, di bambini e di bambine che poi vanno a lavorare all'estero. Vanno a lavorare laddove gli sono riconosciuti i diritti, dove possono giocarsela alla pari rispetto alle proprie competenze, capacità, conoscenze e passioni. In Paesi che non sono imballati come il nostro, perché il nostro, purtroppo, è un Paese che non guarda al futuro, ma al passato. Questo vale non solo per i giovani stranieri, ma ancor di più per i giovani italiani. Un Paese che è diventato incapace di vedere il futuro, lo sbandiera per slogan elettorale agitandolo, ma non lo governa. Questo è il motivo per cui i giovani nati in Italia con cittadinanza italiana vanno a studiare all'estero, vanno a lavorare all'estero, perché la differenza è ricchezza e quindi vanno a studiare laddove questa differenza e questo confronto è valorizzato.
Alla Facoltà di Medicina del San Luigi, una sorta di spin-off di Cambridge aperta da pochi anni, il 30% degli studenti è straniero. Quella facoltà è un fiore all'occhiello, e il Presidente lo saprà, per la Regione ma a quel 30% di studenti che formiamo, non riconosciamo i diritti di cittadinanza. Gli diciamo: siete bravi, siete l'eccellenza, siete al pari dei vostri compagni e compagne coetanee che, come voi, sono riusciti ad accedere alla facoltà, ma una volta presa la laurea, voi siete meno degli altri. Quegli studenti cosa faranno? La formazione che avevano appreso in Italia, andranno a spenderla all'estero, da un'altra parte: un altro investimento a perdere.
La difesa dell'identità, tanto cara alla propaganda delle forze politiche che si oppongono a questo provvedimento, in realtà si fa nella consapevolezza dell'alterità e della differenza: non c'è identità se non c'è consapevolezza della differenza e ricchezza della differenza.
L'identità nella differenza si arricchisce e non si perde, altrimenti restiamo guardiani di una tomba di glorie passate su cui portare fiori.
I giovani sono una risorsa e le scuole sono una risorsa, è già ricordato dai colleghi e dalle colleghe. Pensiamo alle scuole dei piccoli paesi che possono, magari, superare il multiclasse o possono restare aperte grazie ai nuovi cittadini (mi aspetto che qui, prima o poi, arriverà la retorica della difesa delle scuole dei piccoli paesi), ma anche alle università (vi ho fatto l'esempio della facoltà di medicina).
Non si può stare al Governo, non si può governare e volgere la testa dall'altra parte rispetto alle esigenze del Paese e, soprattutto, dei giovani, ma anche al sentiment del Paese come hanno ricordato le colleghe.
Il referendum arriverà e chi governa in questo momento non avrà saputo anticipare e governare un'esigenza reale. Sappiamo che il referendum esprime una volontà dei cittadini, ma non può sostituirsi all'attività legislativa e alla responsabilità legislativa che i cittadini ci consegnano quando ci mandano nelle istituzioni.
Spero, al di là del silenzio tombale di questa mattina, che i colleghi (che sono persone) non tradiscano le aspettative e gli interessi del Paese per rispondere acriticamente a uno slogan elettorale, ma spero che guardino al Paese reale, guardando in faccia le persone e, soprattutto, i nostri giovani.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola la Consigliera Pompeo; ne ha facoltà.



POMPEO Laura

Buongiorno, Presidente. Saluto il Presidente Cirio, i Consiglieri e le Consigliere.
Mi associo a quanto è stato detto prima di me, aggiungendo solo qualche piccola notazione.
Abbiamo gioito pochissime settimane fa per i nostri atleti e le nostre atlete alle Olimpiadi. Tra quelli che si sono evidenziati per gli ottimi risultati raggiunti, per i quali abbiamo applaudito, esultato e ci siamo emozionati, moltissimi sono stranieri. Eppure hanno portato in alto la bandiera dell'Italia, la bandiera del nostro Paese e paradossalmente molti di questi non erano cittadini italiani. Gli viene riconosciuto oggi per merito sportivo. Cito, ad esempio, Paola Egonu e Myriam Sylla; cito le bravissime atlete dell'atletica leggera.
Proprio perché i risultati non devono essere per merito - e per merito eccelso, come quello che abbiamo visto - credo che sia fondamentale in un lessico civile, in una prassi di democrazia che tutto questo venga riconosciuto fin da piccoli.
Si parlava prima del viaggiare: il progetto Erasmus di cui tanto parliamo, negli ultimi anni si è esteso a Paesi anche extraeuropei. Questo è un vantaggio che può alimentare le forze, le energie e le intelligenze del nostro Paese, ma deve anche consentire ai ragazzi e alle ragazze stranieri che crescono qui di potersi esprimere al meglio. Questo ci dà il polso, ci dà il senso di quanto ci stiamo muovendo e di quanto il nostro Paese, in crisi demografica, ha bisogno delle risorse e delle energie dei bambini e delle bambine che vengono da fuori.
Io abito non lontano da qui, ho un figlio che tra poco avrà 16 anni e quando l'ho iscritto alla scuola materna vicino a Porta Palazzo, la bidella prendevano ancora le iscrizioni manualmente - ha chiamato la maestra che doveva registrarlo, dicendo: "Donatella, vieni, c'è una mamma italiana". Il rischio è la ghettizzazione degli stranieri, ma anche degli italiani.
Riflettiamo su questo, lavoriamo su questa apertura del nostro territorio, su questa osmosi tra i bambini italiani e altri bambini che italiani devono essere.



PRESIDENTE

Non essendovi altri interventi, dichiaro chiusa la discussione generale.
Chiedo alla Giunta se intende intervenire.
La parola al Presidente Cirio.



CIRIO Alberto, Presidente della Giunta regionale

Grazie, Presidente Nicco, di avermi dato la parola, e grazie a tutti i Consiglieri regionali che sono intervenuti su un tema così importante per il futuro del nostro Paese.
Intervengo come Presidente della Giunta regionale, ma anche come elemento di sintesi della coalizione di centrodestra che rappresento all'interno del Governo regionale, per esprimere la posizione della nostra maggioranza, non perché qualcuno voglia sottrarsi al dibattito, ma perché i dibattiti si organizzano. I dibattiti, quando si parla di temi così importanti, devono nascere dalla necessità di affrontarli, di sviscerarli di dire come la si pensa e magari di cercare se possono esistere posizioni comuni.
Quando invece i dibattiti cercano di essere indotti per legittimi motivi di carattere politico, evidentemente, come è avvenuto da parte della collega Pentenero, che legittimamente ha presentato un ordine del giorno ma non lo ha presentato l'anno scorso, due anni fa, tre anni fa, quattro anni fa o cinque anni fa; lo ha presentato oggi, quasi come un gesto di sfida a questa maggioranza dicendo: "Se hanno diversità, emergeranno all'interno del Consiglio regionale".
Ecco perché non c'è il dibattito. Ecco perché un ordine del giorno impostato in questo modo rischia di svilire un argomento; non è il fatto che qualcuno non interviene a parlarne, è il fatto che si sia voluto discuterne in modo non sufficientemente - io credo - condiviso data l'importanza di quello di cui stiamo parlando.
Ecco perché intervengo come rappresentante della coalizione, proprio per rispettare questo Consiglio regionale che rappresenta tutti i cittadini del Piemonte che la pensano, come ben diceva la Consigliera Canalis, in modo diversificato e che dobbiamo rispettare, però dobbiamo avere anche la serietà di non usare argomenti così importanti per cercare di dividere l'avversario, per cercare di far emergere legittime situazioni politiche ma dobbiamo invece cercare di provare a fare qualcosa di utile per il nostro Paese e per la nostra Regione.
Ho ascoltato davvero tutti gli interventi con attenzione e rispetto tutti gli interventi di tutte le persone che hanno parlato.
Mi ha emozionato la Consigliera Paonessa, che ringrazio. Mi dicevano che è la più giovane nella storia del Consiglio regionale. È bene ascoltarli i ventenni, sempre; a iniziare dai nostri figli, ma è bene ascoltare i pareri dei ventenni, come ho ascoltato tutti gli altri interventi. Alcuni, per carità, non li condivido. ma mi permetto di fare qualche sottolineatura.
Le atlete che hanno rappresentato l'Italia alle Olimpiadi sono tutti italiane e sono italiane con le regole attuali; non sono italiani per meriti sportivi, sono italiani perché, nel caso di Paola Egonu, il padre che era nigeriano, è diventato cittadino italiano e, quindi, lei ha potuto diventare cittadina italiana; non è mica il colore della pelle che dice se si è italiani o meno. Questo è bene ricordarcelo.
Noi abbiamo una situazione normativa che già oggi permette di diventare italiani e di cui dobbiamo, evidentemente, prendere atto.
Orgogliosi tutti di essere italiani, Consigliere Unia. Sa quando mi sono sentito italiano io? Quando ho capito che mio nonno aveva fatto il partigiano e cosa voleva dire fare il partigiano. In quel momento lì.
Perché? Perché la storia della tua vita lo fa chi sei, ma lo fa anche la storia della tua famiglia, i sacrifici che la tua famiglia ha fatto per la libertà di cui oggi noi godiamo, per la democrazia.
Essere italiani è un grande orgoglio, ma è anche il frutto di grandi sacrifici ed è frutto di un processo di integrazione.
La collega Pentenero, presentando un ordine del giorno con un metodo che - ripeto - io non condivido, è riuscita a scrivere un ordine del giorno, che però nel merito compatta tutta la nostra maggioranza. Siete riusciti a presentare un ordine del giorno che noi non possiamo condividere neanche nel merito, proprio nessuno.
Poi parleremo delle ius scholae e anche delle diverse sensibilità che ci sono nel centrodestra italiano e che non bisogna nascondere, ma quell'ordine del giorno ci vede tutti convintamente contrari. Perché? Innanzitutto, perché vede lo ius scholae come propedeutico all'introduzione dello ius soli nel nostro Paese. Noi siamo e saremo sempre profondamente contrari a qualsiasi tipo di riconoscimento della cittadinanza italiana che possa passare attraverso una situazione fattuale e anche abbastanza casuale: non è perché nasci casualmente in un posto che sei cittadino di quel posto. Noi non lo potremo mai accettare, perch crediamo che essere cittadino italiano derivi, invece, da un processo di integrazione con il nostro Paese.
Integrarsi in un Paese vuol dire, innanzitutto, conoscerlo, vuol dire conoscerne le regole, conoscerne la cultura, conoscerne la storia conoscerne la lingua; soltanto gli strumenti di integrazione permettono di diventare cittadini già con le regole attuali.
Pertanto, noi sullo ius scholae, da sempre e per sempre, continueremo a dire no.
Tuttavia, anche nell'accezione dello ius scholae che voi proponete introducete questo valore dei cinque anni. Anche la parte sensibilmente più aperta a ragionare, politicamente, nella nostra maggioranza, nel centrodestra italiano, sui temi di integrazione scolastica si vede contraria, perché i cinque anni non vivono l'analogia con la scuola dell'obbligo. Perché noi diciamo dieci anni? Perché - e qui parlo come rappresentante della mia forza politica e anche della lista civica che fa parte della nostra coalizione - chi nel centrodestra apre, comunque, a ragionamenti sullo ius scholae e dice dieci anni e non cinque? Perché dieci anni è la scuola dell'obbligo e se un cittadino italiano deve frequentare dieci anni di scuola, lo fa anche un cittadino straniero.
Questo è il ragionamento di base. Se in Italia riteniamo che dieci anni siano il corso di studi necessario per far acquisire a un cittadino, a nostro figlio, l'obbligatorietà dell'educazione scolastica - ricordo a tutti che la scuola obbligatoria e gratuita per tutti venne introdotta dal Ministro Michele Coppino, di Alba, che cito sempre con grande onore - noi diciamo dieci anni e non cinque. Noi chi? La mia forza politica, aperta a ragionare sul tema.
L'ordine del giorno che voi proponete con cinque anni suscita la contrarietà netta di tutta la nostra maggioranza, per cui voteremo convintamente in maniera contraria. Voteremo in maniera unanime contro l'ordine del giorno.
Questo non vuole dire, da forze politiche che rappresentano una coalizione, che non ci possano essere sensibilità diverse di apertura a ragionamenti. Nella nostra maggioranza ci sono forze come Fratelli d'Italia e la Lega - la Lega ancora di più - che nettamente hanno posizioni di ostilità verso questo tipo di riconoscimento, vedendo in esso il rischio di scorciatoie, che evidentemente devono essere assolutamente impedite; ma ci sono anche sensibilità che aprono alla scuola come uno strumento di possibile integrazione.
Di questo parleremo, ma ne parleremo nel centrodestra. Parlarne nel centrodestra vuole dire parlarne politicamente all'interno di una coalizione politica. Noi non siamo una coalizione aritmetica che si mette insieme solo per cercare di sommare, aritmeticamente, i quozienti e vincere le elezioni, in qualche modo in barba a una sorta di condivisione di programmi comuni. Noi abbiamo programmi comuni. Non c'è, nel programma comune del Governo regionale, ma neanche nazionale, il tema dello ius scholae.
Questo non ci dividerà e porremo, come rappresentanti di una forza politica all'interno della coalizione, un tema agli alleati, conoscendo le loro sensibilità, ma nel centrodestra.
Nessuno pensi di dividere; nessuno pensi in maggioranza alternative nessuno pensi a strumenti che nulla hanno a che fare con quella che per noi vuole essere la coerenza di una coalizione in cui crediamo, associata anche alla libertà, all'interno della coalizione, di dire come la si pensa. Io voglio un centrodestra moderno; voglio un centrodestra che si raffronti con la società che cambia. Pertanto, sarà mia cura, anche come Vicesegretario nazionale di Forza Italia, insieme ai nostri alleati, ragionare di questo tema, ragionare se ci può essere una sensibilità comune, verificare se potranno esserci sensibilità comuni, anche perché parliamo di due anni. Il paradosso è che, oggi, un cittadino che nasce in Italia da genitori stranieri a 18 anni diventa italiano, indipendentemente da quello che ha fatto e indipendentemente dalla sua storia.
È così, collega Pompeo; vuole leggere la legge? Occorre conoscere le leggi, altrimenti si dice che uno diventa italiano perché ha vinto un oro olimpico. Uno partecipa alle Olimpiadi perché italiano, ma oggi in Italia se tu nasci da cittadini stranieri e vivi per 18 anni in Italia, se a 18 anni chiedi di essere italiano, sei italiano. Ripeto, la mia parte politica, la mia forza politica sostiene che è ora di ragionare sulla possibilità che frequenti la scuola dell'obbligo e a 16 anni, dopo 16 anni che vai a scuola con profitto, ti sei diplomato, hai imparato l'italiano e conosci la nostra cultura, magari puoi diventarlo due anni prima.
Questo è il ragionamento politico su cui si fonda la sensibilità all'interno delle forze del centrodestra, che credo ne rappresenti un valore. Il valore di forze che, al loro interno, senza nessun tipo di velleità di cambiare le maggioranze o le minoranze, affrontano i temi e cercano posizioni comuni. Ed è la stessa posizione che abbiamo a livello nazionale, la stessa posizione che ci ha portato anche in Parlamento a votare contro la mozione che era all'o.d.g. su questo tema.
Ripeto, nella sintesi complessiva che faccio come Presidente della Regione Piemonte, noi votiamo contro nel merito perché non lo condividiamo in nessuno dei suoi punti. Come membro di una coalizione del centrodestra continueremo a fare la nostra parte con lealtà per capire se il centrodestra, su questo tema, potrà individuare una posizione comune, ma lo faremo nelle sedi politiche e non nelle sedi istituzionali dove, invece vigono gli accordi di governo e i programmi di governo, quelli per cui i cittadini ci hanno eletti e che noi vogliamo rispettare.
Il mio intervento vale anche come dichiarazione di voto. Ringrazio tutti i colleghi intervenuti perché credo che su tutti i temi c'è sempre da imparare da tutti. Soprattutto noi dobbiamo essere aperti al confronto, ma il confronto deve essere sempre condiviso. Se voi aveste voluto fare una giornata su questi temi, avremmo potuto ragionarci, l'avremmo fatta in una bella sala e in un bel convegno (magari non pagati dai cittadini piemontesi), ma al di fuori di questa sede istituzionale come attività politica.
Non dobbiamo dimenticare che questa è un'Aula importante, ed è giusto che si dibatta di tutti i temi. Tuttavia, abbiamo la necessità di condividere i momenti di dibattito e di condividere i momenti di confronto: aperti al confronto, aperti al dibattito, ma non strumentalmente.
La maggioranza non si divide, ma è coesa e compatta e se, magari, ha sensibilità non affini su alcuni temi, è un elemento di ricchezza. Noi siamo persone leali che parlano tra di loro e cercano una posizione comune per il bene del Piemonte e dell'Italia.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie, Presidente Cirio.



(Applausi)



PRESIDENTE

Per favore, colleghi.
Prima di passare alla votazione dell'ordine del giorno, la parola alla Consigliera Pentenero che, in quanto prima firmataria, ha diritto a una replica.



PENTENERO Gianna

Grazie, Presidente.
Credo che in questo modo si sia tolta la maschera a questa maggioranza che ha manifestato la propria incapacità di discutere in un processo democratico. Voglio ricordarle, Presidente, che un ordine del giorno ha una natura politica. Quest'Aula ha una natura politica, la Giunta ha una natura amministrativa, il Consiglio ha il compito e il dovere di ratificare i provvedimenti di natura amministrativa. Vorrei ricordarle, Presidente, ma dovrebbe saperlo, che l'ordine del giorno risponde a un processo democratico.
Ricordo che l'ordine del giorno è stato presentato due settimane fa e quindi noi avremmo accolto qualsiasi tipo di altro ordine del giorno qualsiasi tipo di emendamento che la maggioranza avesse avuto voglia di proporre, ma nessuno della maggioranza ci ha interpellati, eppure l'ordine del giorno è caricato sulle procedure da due settimane. Anzi, prima che si concluda il percorso di caricamento dell'ordine del giorno passano esattamente quattro o cinque giorni e quindi, addirittura, si può ancora intervenire in quella fase proponendo delle modifiche o tutti i possibili modi per partecipare al processo democratico per innestare quello che giustamente il Presidente ha evocato: un processo di condivisione su un tema così delicato e complesso.
Da un lato è stato invocato un processo di condivisione nel merito, ma dall'altro non si invocano gli strumenti che lo Statuto della nostra Regione e il Regolamento di quest'Aula ci mettono a disposizione, ovvero la possibilità di innestare quel processo democratico di confronto attraverso gli strumenti che abbiamo.
Pertanto, si può emendare, si può presentare un altro ordine del giorno e si possono intraprendere tutte quelle azioni che fanno sì che un ordine del giorno possa raggiungere il suo obiettivo, cioè rappresentare un processo democratico di partecipazione e di condivisione, per aprire il dibattito e il confronto.
Tutto questo non è avvenuto. Ce l'ha dimostrato in quest'Aula questa mattina in un modo un pochettino imbarazzante (non per lei, ma per i colleghi), cioè non poter esprimere la propria opinione nel merito e delegando il Presidente, che sicuramente è il responsabile e il capo della maggioranza, ma è il Presidente di tutta la Regione Piemonte. Questo lo vorrei ricordare.
Forse le regole non le sono tutte chiare, ma faccio l'esempio di un fatto che è successo nella città di Torino. Il Presidente della Repubblica dopo il Covid ha richiesto la segnalazione di cittadini e cittadine che fossero stati meritevoli, cioè che avessero svolto, durante il periodo del Covid, azioni tali da poter determinare un riconoscimento importante, come il Cavalierato, che è un riconoscimento che viene dato dal Presidente della Repubblica ai cittadini meritevoli che si sono particolarmente distinti all'interno del nostro Paese.
L'UNICEF ha segnalato una ragazza della nostra città. È una storia comparsa sui giornali, quindi, non sto raccontando nulla che sia, in qualche modo, riservato o che afferisca a questioni di privacy. Ha consegnato l'onorificenza a una ragazza marocchina che è vissuta e cresciuta all'interno della nostra città, ma che non può avere la cittadinanza italiana, anche se ha compiuto 18 anni. Non può, perché la mamma non ha la cittadinanza italiana e perché la mamma non ha un lavoro fisso.
Questa ragazza ha cresciuto le sue sorelle e durante il periodo del Covid, attraverso una serie di relazioni e di conoscenze, ha utilizzato i PC messi a disposizione da società della nostra città, permettendo a 40 ragazzi che abitano in una zona dove i cittadini stranieri sono piuttosto numerosi, cioè Porta Palazzo, di non perdere nessun insegnamento che era stato fatto negli anni in cui hanno frequentato la scuola.
Il Presidente della Repubblica, nel consegnare l'onorificenza, ha detto ad Amina: "Io posso fare solo questo. Ti posso consegnare soltanto questa onorificenza, ma fanne buon uso. Spiega agli italiani che questo è uno strumento che può permetterti di essere riconosciuta come cittadina italiana di eccellenza e per la quale occorre che le aule intraprendano un percorso per permetterti di essere cittadina italiana".
Bene, lei ha frequentato tutte le scuole della nostra città e della nostra regione, ha frequentato l'università. Oggi sta frequentando la Scuola Normale di Pisa e successivamente andrà ad affrontare un master presso l'Unione Europea.
Presidente, nell'affermare il nostro voto, che ovviamente sarà favorevole, è profondamente sbagliato il messaggio che oggi ha cercato di far passare all'interno di quest'Aula, cioè che il tentativo di innestare un dibattito in un'Aula, che ha come fondamento il processo democratico sia un tentativo di divisione. No, è un tentativo di poter mettere in evidenza le questioni che toccano la nostra Regione e il nostro Paese sulle quali anche noi possiamo contribuire a dare un segnale di civiltà.
Sul quotidiano "la Repubblica" questa settimana l'avvocato Gianaria che è persona di grande valore, ha scritto: "Non ci accontentiamo di diventare vecchi, preferiamo essere ottusi e autolesionisti". Mi sembra che questa mattina quest'Aula abbia confermato questo principio che un personaggio autorevole della nostra città ha affermato sui giornali locali.



PRESIDENTE

Si era prenotata a parlare la Consigliera Disabato, ma ricordo che non è ammesso nessun altro intervento, se non quello del primo firmatario.
Quindi, non posso darle la parola, in quanto sugli atti d'indirizzo è prevista solo la replica del primo firmatario.
Procediamo ora con la votazione.



(Commenti fuori microfono)



PRESIDENTE

Si può intervenire sull'ordine dei lavori, ma non su quello che ha detto il Presidente, perché non è ordine dei lavori.
Procediamo con la votazione.
Indìco la votazione palese sull'ordine del giorno n. 11, il cui testo verrà allegato al processo verbale dell'adunanza in corso.
Il Consiglio non approva.
Sospendiamo i lavori per cinque minuti.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 11.54, riprende alle ore 12.02)



PRESIDENTE

La seduta riprende.


Argomento: Difensore civico

Relazione annuale del Difensore Civico e successivo dibattito (ai sensi della l.r. 50/1981)


PRESIDENTE

Passiamo alla relazione annuale del Difensore Civico e successivo dibattito (ai sensi della l.r. 50/1981), di cui al punto 3) all'o.d.g.
L'articolo 8 della legge regionale 50 del 1981, che istituisce la figura del Difensore civico regionale, prevede che il medesimo trasmetta ogni anno al Consiglio regionale una relazione sugli accertamenti espletati, sui risultati di essi e sui rimedi organizzativi e normativi di cui intende segnalare le necessità.
La relazione del Difensore civico è sottoposta a discussione del Consiglio regionale secondo le norme del Regolamento interno.
Il Difensore civico ha depositato le relazioni annuali riferite all'attività svolta nelle annualità 2022 e 2023.
Entrambi i documenti sono reperibili alla sezione "Supporto sedute istituzionali" della Intranet, in corrispondenza dell'odierna seduta.
Invito il Difensore civico regionale, avvocata Paola Baldovino, a entrare in aula per svolgere le proprie relazioni al Consiglio, richiedendo possibilmente di circoscrivere l'intervento in 20 minuti.
La seduta è sospesa.



(La seduta è sospesa alle ore 12.04)



PRESIDENTE

La parola all'avvocato Baldovino.



BALDOVINO Paola, Difensore civico regionale

Buongiorno a tutte e a tutti.
Saluto il Presidente del Consiglio regionale, Davide Nicco, il Presidente della Regione Piemonte, l'Onorevole Alberto Cirio (anche se non presente in questo momento in Aula); saluto il Consigliere Mauro Castello che presiede l'Aula, gli Assessori presenti e tutte le Consigliere e i Consiglieri.
Ringrazio il Presidente del Consiglio per avermi dato oggi la possibilità di illustrare la relazione relativa all'attività svolta dal mio ufficio negli anni 2022 e 2023. Si tratta di un momento importante, poich la difesa civica costituisce un osservatorio privilegiato per comprendere i disservizi riscontrati dai cittadini nell'interagire con gli uffici regionali e con gli uffici delle amministrazioni periferiche dello Stato.
Brevemente, desidero ricordare come il Difensore civico, istituito con legge regionale n. 50 del 1981, trovi riconoscimento anche nell'articolo 90 dello Statuto della Regione Piemonte, quale organo di garanzia preposto alla tutela dei cittadini, a presidio della buona amministrazione, in ossequio dei principi sanciti dall'articolo 97 della Costituzione.
Nel 2016 il legislatore regionale ha assegnato al Difensore civico anche la funzione di garante del principio di non discriminazione e di pari opportunità delle persone e nel 2018 quella di garante per il diritto alla salute, sottolineandone così il ruolo di garanzia nell'ambito del sistema sanitario e sociosanitario.
Il Difensore civico svolge, inoltre, la funzione di organo di riesame in materia di accesso documentale e di accesso generalizzato, alla luce della legge sul procedimento amministrativo, (legge n. 241 del 1990) e del decreto cosiddetto trasparenza (decreto legislativo n. 33 del 2013).
Si comprende, pertanto, quanto ampi siano gli ambiti nei quali il Difensore civico interviene e le utilità e le potenzialità di questo istituto, cui tutti i cittadini possono rivolgersi, essendo un servizio gratuito e facilmente accessibile.
La difesa civica costituisce una forma di tutela precontenziosa, in quanto il cittadino può richiedere l'intervento prima di adire l'autorità giudiziaria, presentando una segnalazione a seguito della quale il Difensore civico interviene per cercare di correggere l'azione amministrativa, a beneficio non solo dell'istante ma dell'intera collettività. Attraverso il suo intervento il Difensore civico sollecita e propone possibili soluzioni, affinché l'Amministrazione elimini il disservizio, contribuendo, in questo modo, a ristabilire il rapporto di fiducia tra cittadino e pubblica amministrazione.
Passiamo ora a esaminare i dati relativi alle segnalazioni pervenute nel 2022 e 2023.
Il totale dei fascicoli complessivamente trattati dall'Ufficio è stato 1.033, numero che, però, non tiene conto delle richieste telefoniche o di quelle pervenute tramite e-mail, riguardanti chiarimenti e richieste di informazioni sulla modalità di tutela dei diritti, svolgendo l'ufficio un importante ruolo di orientamento per i cittadini.
Entrando nello specifico delle materie oggetto delle segnalazioni sottoposte all'attenzione dell'ufficio, particolare rilevanza hanno avuto quelle concernenti la tutela della salute, in quanto diritto fondamentale della persona di godere delle migliori condizioni psicofisiche.
Questa difesa civica, in qualità di Garante per il diritto della salute, oltre a garantire la qualità, l'efficienza e il buon funzionamento dei servizi prestati dal sistema sanitario, vigila anche su eventuali violazioni della dignità delle persone ricoverate. In questo ambito pertanto, ho accolto l'invito della Direzione regionale della Sanità a contribuire all'informazione e alla formazione degli operatori sanitari, in materia di utilizzo della contenzione. Questo alla luce delle importanti linee guida, che sono state emanate dalla Regione Piemonte nel novembre 2022 e che hanno sottolineato come questo strumento costituisca una misura eccezionale, non assimilabile a un trattamento terapeutico.
Inoltre, sono pervenute all'ufficio numerose segnalazioni che hanno sollevato criticità in ordine alle liste d'attesa - problema, peraltro, non solo piemontese - che hanno dato luogo a interlocuzioni con la Direzione generale della sanità. In particolare, è stata evidenziata l'importanza di avere liste d'attesa dinamiche, istituendo un sistema di presa in carico dell'utenza, in modo che al primo contatto del cittadino, in caso d'indisponibilità nei termini previsti dal codice di priorità riportato sulla prescrizione medica, l'utente non sia costretto a ricontattare il sistema di prenotazione, ma che sia, invece, il sistema stesso a prendere in carico la richiesta e ricontattare lo stesso utente, per indicare una data, nel frattempo resasi disponibile magari a seguito di una cancellazione. Soluzione, questa, sulla quale la Regione Piemonte sta lavorando.
Fra l'altro, a mio avviso, sarebbe opportuno migliorare la comprensione anche per quanto riguarda le tabelle sui tempi di attesa delle prestazioni che le Aziende sanitarie sono tenute a pubblicare sui propri siti web.
Nella trattazione delle segnalazioni è, inoltre, emerso come sia necessario prestare maggiore attenzione nel fornire informazioni o nel dare delle spiegazioni maggiormente esaustive, così da consentire ai cittadini di meglio comprendere le ragioni per le quali le loro richieste di prenotazioni non possono trovare accoglimento. La risposta, quand'anche negativa, infatti, se data in modo chiaro, contribuisce a contrastare l'insorgenza di sentimenti di frustrazione e a ristabilire un rapporto di fiducia con le istituzioni.
A tal fine, non si può non ricordare che l'articolo 1, comma 2 bis della legge n. 241/1990 prevede che tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione debba instaurarsi un rapporto improntato ai principi della collaborazione e della buona fede e che questi principi devono valere per entrambe le parti.
Sempre con riferimento alla domanda sanitaria, è emersa la necessità di rispettare i principi dell'appropriatezza prescrittiva, poiché in alcuni casi il codice di priorità che era stato apposto dal medico di medicina generale non è risultato corretto, con riferimento a quella determinata prestazione.
Per quanto riguarda le segnalazioni ricadenti nell'area relativa alla partecipazione al procedimento, negli anni 2022-2023 sono state presentate all'ufficio 108 istanze di riesame in materia di accesso documentato e di accesso generalizzato. L'attribuzione di questa funzione, assegnata al Difensore civico dal legislatore nazionale, consente al cittadino di ricorrere a questo ufficio, prima di rivolgersi al TAR, avverso ai provvedimenti di diniego delle amministrazioni regionali e degli enti locali; servizio che, ricordo, è gratuito, e con un chiaro ed evidente effetto deflattivo del contenzioso giudiziario.
Altre segnalazioni, inoltre, hanno riguardato disservizi nell'ambito delle prestazioni erogate dall'INPS e dall'Agenzia Territoriale per la Casa.
Pertanto, vista l'attinenza delle segnalazioni ai diritti fondamentali della persona, ho ritenuto di rinnovare l'intesa di buone pratiche con l'Agenzia Territoriale per la Casa e di adottare lo stesso modus operandi anche con l'INPS, in modo da stabilire interlocuzioni frequenti e il più possibile celeri ed efficaci nel risolvere il problema segnalato dal cittadino. Questa è una modalità che, devo dire, ha dato ottimi risultati in questi anni.
Il confronto e il dialogo sono, infatti, strumenti essenziali per la difesa civica, perché contribuiscono a garantire una buona amministrazione più attenta ai bisogni concreti delle persone.
Infine, nel 2022-2023 sono state trattate alcune segnalazioni congiuntamente con gli altri organi di garanzia, con i quali reputo importante agire in sinergia, condividendo iniziative e progetti volti a promuovere e sensibilizzare la collettività su temi comuni. In particolare con la Garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza sono state affrontate diverse tematiche riguardanti i diritti dei minori in materia di sanità e di istruzione.
Nello specifico, un tema rilevante riguarda il problema della carenza degli insegnanti di sostegno specializzati e il ricorso a docenti privi di una formazione specifica, nonché il ritardo nel conferimento degli incarichi e la discontinuità didattica, con la conseguente interruzione del percorso inclusivo degli alunni con disabilità. Su questo tema congiuntamente alla Garante per l'infanzia e l'adolescenza, sono state avviate interlocuzioni con l'Assessorato competente, nonché con il coordinamento regionale per l'autismo.
In veste di Garante del principio di non discriminazione, nel corso del 2023 è stato portato avanti il progetto già iniziato l'anno precedente, nel 2022, con la FIGC nazionale e la Garante regionale per l'infanzia e adolescenza in merito all'importanza dello sport nell'educazione. Lo sport è uno strumento d'inclusione per eccellenza, i cui valori positivi sono importanti per la crescita dei nostri ragazzi.
Questa collaborazione è stata suggellata con la sottoscrizione di un Protocollo d'intesa che ha impegnato la FIGC, il Difensore civico e la Garante per l'infanzia e adolescenza a realizzare progetti aventi tali finalità.
Sul fronte nazionale, in questi anni, ho partecipato attivamente alle riunioni periodicamente organizzate dal Coordinamento nazionale dei Difensori civici delle Regioni e delle Province autonome; un coordinamento che ha il compito di condividere le buone pratiche e di promuovere la difesa civica sui territori regionali.
Fra gli argomenti più discussi si evidenzia il tema della copertura territoriale della difesa civica a seguito della soppressione dell'istituto del Difensore civico comunale disposta dal legislatore nazionale, nel 2010 per ragioni legate al contenimento della spesa pubblica e non perché il legislatore si sia ricreduto sull'importanza e sull'utilità di questa figura di garanzia. Tant'è vero che la stessa legge finanziaria ha previsto l'attribuzione delle funzioni del soppresso Difensore civico comunale mediante apposita convenzione, al Difensore civico della Provincia, nel cui territorio ricade il relativo comune.
Tuttavia, l'intervento di revisione che ha investito successivamente le Province ha, di fatto, vanificato, sempre per ragioni di contenimento della spesa, l'istituzione dei Difensori civici territoriali su base provinciale.
In alcune Regioni, per colmare questo vulnus, i difensori civici regionali hanno esteso la propria competenza anche nei confronti delle amministrazioni comunali attraverso la sottoscrizione di apposite convenzioni, determinando però così una disuguaglianza tra cittadini di Comuni che hanno sottoscritto la convenzione e quelli che non vi hanno aderito. Al riguardo, occorre precisare che l'ufficio della difesa civica piemontese aveva trattato, per alcuni anni, senza tuttavia dar luogo alla sottoscrizione di convenzioni, le segnalazioni presentate nei confronti degli uffici comunali, proprio in considerazione dell'avvenuta soppressione del Difensore civico comunale.
In sede di coordinamento nazionale dei Difensori civici regionali s'intende avviare un'interlocuzione con l'ANCI nazionale, al fine di trovare una soluzione che estenda la difesa civica a livello locale garantendo, in questo modo, una tutela omogenea nei confronti dell'azione amministrativa per tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione.
L'estensione della competenza della difesa civica regionale nei confronti delle amministrazioni comunali comporta, tuttavia, la necessaria implementazione di risorse umane e strumentali degli uffici, in considerazione del carico di lavoro che ne deriverebbe.
Nel concludere questo mio intervento, desidero ringraziare il Dirigente del Settore, dottor Nicola Princi, tutti i funzionari per il lavoro svolto a supporto della difesa civica nel corso di questi anni, nonché le direzioni del Consiglio regionale. Infine, rivolgo a tutti loro Consiglieri un augurio di buon lavoro per questa XII Legislatura.
Grazie per l'attenzione.



PRESIDENTE

Ringrazio l'Avvocato Baldovino per la relazione.
La seduta riprende.



(La seduta riprende alle ore 12.20)



PRESIDENTE

Apriamo il dibattito sulla relazione del Difensore civico.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Avetta; ne ha facoltà.



AVETTA Alberto

Grazie, Presidente.
Grazie all'avvocato Baldovino per questa relazione, che abbiamo letto con attenzione.
Sappiamo tutti che la relazione del Difensore civico, come anche quello del Garante per l'infanzia cui è connessa, rappresenta una fotografia importante della situazione concreta in cui vivono tanti cittadini piemontesi. Per questa ragione, pensiamo che la discussione sulla relazione sia un momento importante anche per quest'Aula, che conferma quanto siano state rilevanti le riforme individuate proprio dal Difensore civico.
Bene ha detto l'avvocato Baldovino: c'è un contrappeso terzo e stabile rispetto ai maggiori poteri riconosciuti negli anni alle Regioni. Lo dico soprattutto in un contesto di contingenza politica in cui abbiamo recentemente discusso di autonomia, soprattutto per chi crede al modello di autonomia improntata al principio di sussidiarietà e dei connessi principi di differenziazione e di adeguatezza, a maggior ragione in un contesto sociale come quello della Regione Piemonte, che conta 1.180 Comuni, la cui stragrande maggioranza sono piccoli e piccolissimi. È un sistema complesso e articolato che, a nostro avviso, qualificherebbe la discussione sull'autonomia e sulle riforme tanto attese dalla pubblica amministrazione locale, perché di questo parliamo.
In questo senso sarebbe attuale e interessante, come diceva prima l'avvocato Baldovino ragionando sui Difensori civici provinciali, una riflessione del ruolo, abolito nel 2010, del Difensore civico comunale, la cui mancanza rischia o ha rischiato di alimentare, in modo un po' surrettizio, il contenzioso dei cittadini con la Pubblica Amministrazione.
Ci piacerebbe che la discussione sull'autonomia si concentrasse su questi aspetti concreti delle politiche che poi mettiamo in campo, più che rispetto agli assetti istituzionali.
Per quanto riguarda il merito della relazione, un dato appare subito evidente: la gran parte di interlocuzioni tra Difensore civico e cittadini interessano i tempi d'attesa delle prestazioni sanitarie.
La relazione cita un rapporto ISTAT, quello del benessere equo e sostenibile, che indica un dato, a nostro avviso, molto preoccupante: il 7,6% della popolazione italiana rinuncia alle cure.
Lo sappiamo, l'abbiamo sentito molto anche durante la recente campagna elettorale e lo sentiamo quotidianamente dai nostri cittadini che ci chiedono conto di una situazione diventata ormai insostenibile sulle liste d'attesa. In proposito, la relazione riporta una considerazione che merita qualche riflessione in più da parte nostra, laddove si legge: "La simmetria informativa tra l'Azienda sanitaria e l'utente non ha permesso a quest'ultimo di conoscere le ragioni del diniego di prenotazione".
L'avvocatessa ha fatto un passaggio specifico sulla questione. Crediamo che questa mancanza d'informazione a favore del cittadino sia sintomo di un modello che non sta funzionando e che genera sfiducia nell'istituzione regionale che, al contrario, sarebbe chiamata a tutelare la salute di quel cittadino nel modo più efficace.
Del pari, merita anche la nostra attenzione la riflessione che viene proposta poco dopo a proposito del Piano operativo regionale per il recupero delle liste d'attesa, quando la relazione si concentra sul dovere d'informazione che sta in capo all'ente. Nel richiamare l'articolo 14 del decreto legislativo n. 502 del 1992, che prevede l'attivazione di un efficace sistema di informazioni sulle prestazioni erogate sulle tariffe e sulle modalità di accesso ai servizi - quindi non stiamo inventando niente stiamo solo parlando dell'acqua calda, la scaldiamo e diventa calda - si rileva come i siti web delle Aziende sanitarie dovrebbero contenere informazioni basilari e fruibili da parte del cittadino. In altre parole dovrebbero garantire al cittadino utente delle modalità facilmente identificabili che consentano allo stesso cittadino di accedere alle liste e alla gestione dei tempi di attesa. Questa sottolineatura che fa la relazione, quindi il Difensore civico, sulla carenza di informazioni, di rapporto tra cittadino e aziende e tra cittadino e sistema sanitario, è una sottolineatura molto rilevante. Queste liste d'attesa, quindi anche l'incapacità di rapportarsi - l'impossibilità, molto spesso, per taluni cittadini più di altri - con il sistema sanitario regionale, rappresenta anche una delle concause, o forse la causa principale, per la rinuncia alle cure del sistema pubblico da parte dei cittadini. Vale sempre la vecchia regola: chi ha i soldi per permetterselo, può risolvere il problema in altro modo.
La relazione, inoltre, affronta anche altre questioni che rivestono assoluta rilevanza. Tra queste mi preme evidenziare come sia preoccupante l'aumento esponenziale delle diagnosi di disturbo dello spettro autistico: più 97% dal 2016 al 2022. In questo contesto critico, trovo molto apprezzabile che il Difensore civico si sia fatta carico, insieme alla Garante dell'infanzia, di accendere un faro sulla situazione, che è sempre più preoccupante, così come altrettanto preoccupante è il tema del sostegno scolastico alle persone disabili (altro aspetto sottolineato nella relazione dal Difensore civico). Anche in questo caso, la collaborazione tra Difensore e Garante la riteniamo non solo apprezzabile, ma credo sia il modo efficace di affrontare una questione molto complessa. Condivisibile infatti, l'intenzione del Difensore e della Garante di interloquire con l'Ufficio Scolastico Regionale, affinché sia garantito il sostegno necessario a tutti gli studenti diversamente abili, così come sentenziato dal Consiglio di Stato. Questa assistenza non può essere riconosciuta solo a quegli studenti e a quelle persone che hanno una famiglia che pu permettersi di rivolgersi a un avvocato per far ricorso al TAR e ottenere giustizia, ma questa assistenza e questa doverosa garanzia di servizio di carattere pubblico devono essere garantite anche a quelle persone e a quelle famiglie che non si possono permettere un ricorso giurisdizionale.
Merita altrettanto conforto e sostegno l'azione volta a garantire il diritto a un insegnante di sostegno specializzato e alla continuità didattica, altro tema significativo rispetto al quale è necessario e opportuno fare qualche riflessione un po' più approfondita. Sappiamo bene quanto, soprattutto per talune disabilità, la continuità con la medesima figura professionale si riveli fondamentale e quanto, al contrario, il cambio di insegnante possa compromettere quel diritto all'integrazione scolastica che riteniamo fondamentale e anche segno del nostro livello civico.
Andrebbero evidenziate tante altre questioni importanti, ad esempio le prospettive demografiche e la gestione delle persone anziane su tutte, ma la relazione fa dei passaggi approfonditi su questo tema e su queste carenze croniche che, purtroppo, la relazione rimarca puntualmente.
Confermano, però, un dato, cioè quanto quello del Difensore civico sia, a nostro avviso, un ufficio indispensabile per garantire quella democraticità dell'azione politica ed amministrativa cui è stato fatto riferimento.
È evidente che, per fare questo, servono risorse, serve impegno e anche la volontà politica che non sempre registriamo da parte della maggioranza che sta governando oggi il Piemonte, soprattutto per interpretare al meglio un'esigenza, che è quella di intendere il lavoro di questa struttura - su questo, devo riconoscere la sottolineatura fatta dall'avvocato Baldovino che ringrazio - come una sana e utile opera di prevenzione che attenua le contrapposizioni. Questo ufficio serve a evitare il contenzioso (la dico un po' male) e contribuisce in modo efficace a riavvicinare il nostro ente ai cittadini e alla loro fiducia.
Abbiamo bisogno di sviluppare, di sostenere e di tutelare tutte quelle figure che sono previste dalle nostre normative, che servono proprio a questo, cioè a riavvicinare i cittadini all'ente che rappresentiamo dal punto di vista politico, perché siamo stati eletti. Credo che il Difensore civico abbia questo ruolo fondamentale, quindi ringrazio per il lavoro che state facendo e per quello che farete durante questa legislatura.



PRESIDENTE

Ha ora la parola il Consigliere Magliano.



MAGLIANO Silvio

Grazie, Presidente.
Ringrazio anch'io il Difensore civico, avvocato Baldovino, per l'illustrazione delle relazioni e per il lavoro svolto.
Faccio mie le parole del collega Avetta sulle sottolineature e su quantomai sia necessario in questa fase, almeno su alcuni settori sfruttare al meglio la figura del Difensore civico, proprio per garantire un accesso alla Pubblica Amministrazione da parte dei cittadini il più equo e trasparente possibile.
Pensiamo, però - su questo abbiamo avuto modo, nella scorsa legislatura, di interloquire con il Presidente Allasia, a suo tempo, e con il Difensore civico - che, alla luce delle modifiche e della tipologia di richieste che i cittadini stanno ponendo in essere e anche dopo l'inserimento della parte sanitaria all'interno delle competenze del Difensore civico, forse sia arrivato il momento, come sta accadendo in altre Regioni, di una riforma dell'istituto. Mi riferisco a una riforma non dell'istituto in quanto istituto, ma in quanto competenze e capacità di azione.
È evidente, lo dico ai colleghi, che se diamo forza a questa figura, ne potremmo trarre dei benefici, alcuni dei quali sono stati ben espressi dal collega Avetta. Questo vuol dire dare al Difensore civico innanzitutto uno spazio d'azione più ampio o una possibilità di avere più personale che possa lavorare col Difensore civico. Noi oggi abbiamo una dotazione che è abbastanza residuale (possiamo definirla così) che si dà un gran da fare però è evidente che più diamo al Difensore civico competenze e possibilità d'interlocuzione con i cittadini e più la mole di lavoro aumenta; più le istanze sono differenziate e più è necessario avere competenze. Pertanto da questo punto di vista, sono abbastanza convinto - lo dico anche ai colleghi della maggioranza - che sia necessario affrontare alcuni elementi di modifica dell'istituto, per quanto riguarda non solo la durata, ma anche le competenze.
Nella scorsa legislatura proponemmo un ordine del giorno su questo, per spingere il Parlamento a normare l'istituzione del Difensore civico nazionale, perché il Difensore civico nazionale è una figura che ha origini nell'istituzione del diritto romano, ma nasce in seno ai Paesi europei del Nord Europa e dice anche della possibilità di un Paese di considerarsi democratico a tutti gli effetti.
Su questo, le riunioni che vengono fatte dai Difensori civici regionali dimostrano la necessità di avere un'interlocuzione nazionale. Certo, come diceva il Consigliere Avetta, in termini sussidiari non abbiamo più il Difensore civico comunale - questo anche in termini di spending review come venne fatta a suo tempo - però dobbiamo garantire tutta la filiera affinch i Difensori civici regionali possano avere nel Difensore civico nazionale un punto di riferimento.
Pensate al tema di cui discutevamo poc'anzi, che è all'interno della relazione, cioè il tema dell'accesso ai servizi dell'istruzione da parte di persone con disabilità. Questo è un tema europeo, quindi occorre avere un'interlocuzione con altri Difensori civici europei che hanno altri nomi perché vengono definiti diversamente. Però è utilissimo richiamare il tema dell'accesso alla sanità, il tema dell'accesso ai diritti rispetto a coloro che non sono cittadini europei, il rapporto di trasparenza che c'è tra l'accesso che ha il cittadino rispetto alle funzioni della Pubblica Amministrazione, che è il grande tema che è stato affrontato sia dall'attuale Difensore civico, ma anche dal suo predecessore. Ricordo il tema legato alla contenzione, che fu un altro elemento di grande discussione all'interno delle RSA, perché riguarda le corrette prassi di contenzione e tutto il tema legato alla psichiatria.
Orbene, penso che sia doveroso immaginare di iniziare su questo un percorso di riforma dell'istituto partendo da ciò che sta accadendo nelle altre Regioni; immaginare di dare più forza e più possibilità d'azione fornendo il personale adeguato all'istituto del Difensore civico regionale e, poi, insieme, come forze politiche, magari, sollecitare il Parlamento perché nasca e, quindi, venga istituita la figura del Difensore civico nazionale non solo perché l'Europa lo sta chiedendo, da Maastricht in poi dal 1992 in poi, ci viene richiesta questa figura, ma anche perché pensiamo che sia necessario continuare a dare forza, come spesso è capitato nelle varie riforme dei vari procedimenti civili, trovare tutti quegli strumenti di mediazione prima di arrivare alla fase in cui si apre un contenzioso.
Sappiamo che il contenzioso in questo Paese ha tempi e tempistiche di natura incerta perché ha un costo, come correttamente diceva il collega Avetta, e forse perché penso che una Pubblica Amministrazione in grado di avere un istituto come questo, che fa da compensazione a ciò che non viene dato ai cittadini come diritto, sia un elemento di avvicinamento dei cittadini alle istituzioni.
Da questo punto di vista, almeno come forza politica ringraziamo per il lavoro svolto, ma sappiamo che c'è un lavoro anche legislativo da fare sull'istituto e su questo magari - lo dico al Presidente, come Ufficio di Presidenza - si potrà immaginare di trovare le modalità più adeguate raccogliendo le intuizioni e i consigli migliori per andare, anche noi come hanno fatto altre Regioni, alla riforma di questo istituto e, nello stesso tempo, impegnarsi come forze politiche, affinché il Parlamento italiano istituisca finalmente la figura nazionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ruzzola.



RUZZOLA Paolo

Grazie, Presidente.
Rivolgo alla dottoressa Paola Baldovino il nostro ringraziamento e il ringraziamento di tutto il nostro Gruppo per il lavoro puntuale che ha svolto, ormai non solo più in questi mesi ma in questi ultimi anni facilitando il rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione, anche attenuandone le conflittualità in senso deflattivo. Credo che sia la funzione principale e, quindi, credo che l'abbia svolta pienamente.
La relazione che ci ha illustrato attesta l'ampiezza e la complessità delle competenze, in cui il collega Avetta è entrato puntualmente, cui è chiamato l'Istituto del Difensore civico anche a seguito delle modifiche che ne hanno potenziato la portata.
Certamente, nella sua azione è stato centrale l'impegno sulla questione sanitaria, in un momento storico dove è alta la conflittualità tra cittadini e personale sanitario, purtroppo, non solo nella nostra Regione ma direi in tutta Italia, quindi è un argomento che non va strumentalizzato ma, laddove è possibile, risolto con la forza delle proposte. In questo senso, crediamo che il Difensore civico sia veramente la nostra punta di diamante, che può lavorare e operare in tal senso.
I fatti di cronaca che diventano sempre più frequenti devono farci lavorare certo sul fronte della messa in sicurezza degli operatori sanitari, ma devono anche spronarci a operare, come sta facendo la Regione su servizi più efficienti.
Le liste d'attesa restano una criticità, come si evince dalla relazione, ma rileviamo che l'approccio del Difensore è stato quello di un confronto costruttivo con la Direzione sanitaria per risolvere rapidamente di eventuali disservizi. È questo lo spirito collaborativo che si traduce in un buon governo e, direi, in un buon rapporto tra la Pubblica Amministrazione, il cittadino e l'utente.
Vorrei porre l'accento sulla questione della presa in carico del CUP. È indispensabile che l'onere sia invertito e che la presa in carico sia effettiva e non scaricata sul paziente. Aggiungo un elemento: quando viene negata la prenotazione della prestazione, purtroppo non si ha memoria storica e, quindi, non siamo nemmeno in grado di dire quanta utenza è in attesa di quell'esame o di quel servizio.
So che si sta lavorando, dovendo riformare il CUP con il nuovo bando, a intervenire proprio su questo aspetto, in modo da avere un quadro complessivo per dare le risposte.
Garantire le velocità nelle visite e nella prenotazione degli esami si traduce anche in una politica di prevenzione che permette minori costi successivi per l'ente pubblico.
Infine, crediamo sia necessario sostenere l'azione del Difensore civico per alzare il livello degli insegnanti di sostegno nelle nostre scuole.
L'accesso a un'istruzione e a un'assistenza adeguata è l'unica via per abbattere le barriere. Le segnalazioni di disservizi su questo ambito costituiscono una criticità che va affrontata con il Governo, essendo un annoso problema; una questione spesso legata alla precarietà degli operatori in questo comparto (ne abbiamo proprio sentito parlare in questi giorni con l'avvio dell'anno scolastico).
Come Forza Italia, crediamo ci sia la possibilità di dare risposte alle famiglie piemontesi e italiane in questo senso, perché parliamo di un diritto ragionevole che va garantito.
Concludo riprendendo le parole del collega che mi ha preceduto, secondo cui, giustamente, dovremmo sollecitare l'istituzione di un Garante nazionale, ma, come ben sottolineato nella sua relazione, dobbiamo innanzitutto preoccuparci di garantire il sostegno a quei cittadini di Comuni o Province dove addirittura non è istituito, pur essendo possibile.
Dobbiamo partire dai primi livelli, quindi comunale, provinciale e infine, regionale. Sicuramente il livello nazionale sarà importante, ma credo che il nostro dovere sia iniziare dando una risposta a quello locale.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Ruzzola.
Non essendovi altre richieste d'intervento, sospendiamo i lavori, che riprenderanno alle ore 14 con la trattazione delle interrogazioni a risposta immediata.
La seduta è sospesa.



(La seduta è sospesa alle ore 12.40)



CAROSSO FABIO



(I lavori proseguono alle ore 14.10 con l'esame delle interrogazioni a risposta immediata, ai sensi dell'articolo 100 del Regolamento interno del Consiglio regionale)



PRESIDENTE

Buongiorno a tutti.
Per delega del Presidente Nicco, dichiaro aperto l'esame delle interrogazioni a risposta immediata.
In merito allo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata come recita l'articolo 100 del Regolamento, oggi si provvederà a rispondere come segue: interrogazione a risposta immediata n. 35 presentata dalla Consigliera Ravinale, cui risponderà l'Assessore Vignale; interrogazione a risposta immediata n. 36 presentata dal Consigliere Unia, cui risponderà l'Assessore Vignale; interrogazione a risposta immediata n. 37 presentata dal Consigliere Calderoni, cui risponderà l'Assessore Gabusi interrogazione a risposta immediata n. 38 presentata dalla Consigliera Pompeo, cui risponderà l'Assessore Vignale; interrogazione a risposta immediata n. 39 presentata dal Consigliere Valle, cui risponderà l'Assessore Vignale; interrogazione a risposta immediata n. 40 presentata dalla Consigliera Disabato, cui risponderà l'Assessore Gabusi interrogazione a risposta immediata n. 41 presentata dal Consigliere Coluccio, cui risponderà l'Assessore Vignale.
Se per voi va bene, a seguito di una richiesta avanzata dalla Giunta regionale, faremo una piccola inversione: iniziamo con l'interrogazione a risposta immediata n. 41 del Consigliere Coluccio, cui risponderà l'Assessore Vignale; seguirà l'interrogazione a risposta immediata n. 40 della Consigliera Disabato, l'interrogazione n. 37 del Consigliere Calderoni e a seguire tutte le altre.
Prego gli Assessori che rispondono alle interrogazioni a risposta immediata di disporre l'invio via mail delle risposte scritte agli interroganti e all'Ufficio Aula.
Ricordo agli interroganti che nel resoconto della seduta, trasmesso via mail in visione a tutti i Consiglieri intervenuti dall'Ufficio Resocontazione prima della pubblicazione e poi pubblicato integralmente in banca dati, è reperibile la trascrizione integrale di tutti gli interventi sia degli interroganti sia degli Assessori che rispondono.
Ricordo, infine, che l'interrogante ha a disposizione tre minuti per l'illustrazione, mentre il componente della Giunta ha a disposizione cinque minuti per la risposta e non sono previste repliche.


Argomento: Tutela dagli inquinamenti idrici - Tutela dell'ambiente - Inquinamenti: argomenti non sopra specificati

Interrogazione a risposta immediata n. 41 presentata da Coluccio, inerente a "Emergenza PFAS, con quali criteri verrà condotta la seconda fase del biomonitoraggio?"


PRESIDENTE

Iniziamo i lavori con l'esame dell'interrogazione a risposta immediata n. 41.
La parola al Consigliere Coluccio per l'illustrazione.



COLUCCIO Pasquale

Grazie, Presidente.
L'interrogazione che sottoponiamo oggi all'Aula ha per oggetto l'emergenza PFAS. Le PFAS sono prodotti chimici che l'Agenzia europea per l'ambiente sigla come un gruppo di sostanze chimiche artificiali ampiamente utilizzate nel corso del tempo che si accumulano negli esseri umani.
Questa tipologia di inquinanti viene definita eterna per l'arco temporale che impiegano per essere smaltiti. Su queste sostanze c'è un elemento recente che risale a novembre 2023, in cui l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, grazie a una ricerca condotta a Lione, classifica uno dei due componenti di questa sigla, nello specifico il PFOA, cancerogeno, senza nessun dubbio, per l'uomo, mentre il PFOS come potenzialmente cancerogeno. Va puntualizzato che questi prodotti vengono utilizzati per vari processi produttivi industriali e, purtroppo, li utilizza anche un polo chimico presente nella Provincia di Alessandria nello specifico a Spinetta Marengo.
A livello europeo ci sono paesi come Danimarca, Germania, Paesi Bassi Norvegia e Svezia, che hanno già da tempo proposto il bando definitivo di questi prodotti. Purtroppo, in questa partita l'Italia, invece, rimane indietro.
Per quanto riguarda il territorio dell'Alessandrino, una recente ricerca di Greenpeace ha individuato nella nostra provincia territori con grande quantità di questi prodotti; nello specifico, in cinque paesi della nostra provincia, tra cui Alzano Scrivia, Castelnuovo, Molino dei Torti Guazzora e Tortona. Sempre nell'Alessandrino, le concentrazioni maggiori sono state rilevate a Montecastello nel maggio del 2020.
In un recente incontro a Spinetta, l'Assessore Riboldi ha annunciato di voler avviare una seconda fase di biomonitoraggio più estesa della prima condotta nei mesi scorsi e di voler, inoltre, istituire una task force che coinvolga Giunta regionale, Assessorato alla sanità, ARPA, SPreSAL, ASL Azienda universitaria e Università.
In merito alla seconda fase del biomonitoraggio, sarebbe opportuno conoscere il numero di persone coinvolte, l'estensione territoriale, le attività di comunicazione a esso legate e le tempistiche. Pertanto, si interroga l'Assessore competente per conoscere criteri e modalità con i quali verrà condotta la seconda fase del biomonitoraggio sui PFAS.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Vignale per la risposta.



VIGNALE Gianluca, Assessore regionale

L'interrogante chiede correttamente alla Giunta criteri e modalità con i quali verrà condotta questa seconda fase del biomonitoraggio che, come ricordava, è stata anche annunciata dall'Assessore in un incontro sul territorio.
Per la seconda fase del biomonitoraggio, si procederà suddividendo l'area di interesse in differenti fasce concentriche. Nello specifico, come riportato nel Protocollo approvato dal Comitato Etico in data 15 luglio 2024, il biomonitoraggio si estenderà alle zone limitrofe del Polo Chimico di Spinetta Marengo, in aree concentriche con zone a distanza crescente da zero-tre chilometri, da tre a sei chilometri, da sei a dieci chilometri e oltre i dieci chilometri, per verificare l'impatto, anche a seconda della distanza di chi vive in quell'area dal polo chimico.
Si partirà con il reclutamento, ovviamente volontario, delle persone residenti entro tre chilometri dal polo e, in base ai risultati ottenuti si deciderà se procedere con il reclutamento dei residenti delle fasce via via più distanti dal Polo Chimico.
Oltre alla sottoposizione di prelievo ematico, ai soggetti che decideranno volontariamente di partecipare, verrà proposto un questionario finalizzato a raccogliere dati anagrafici, condizioni ambientali di residenza, attività lavorative e abitudini alimentari, con l'obiettivo di valutare quali fattori possano influenzare le concentrazioni di PFAS e individuare le eventuali zone di rischio.
Il reclutamento avverrà secondo la modalità organizzativa dei programmi di screening oncologici, che prevede l'identificazione delle persone eleggibili mediante l'anagrafe sanitaria regionale e la loro chiamata attiva.


Argomento: Trasporti su ferro - Trasporti e comunicazioni: argomenti non sopra specificati

Interrogazione a risposta immediata n. 40 presentata da Disabato, inerente a "Stato di abbandono di 19 elettrotreni Minuetto nelle stazioni piemontesi. A che punto siamo con la reimmissione in servizio?"


PRESIDENTE

Proseguiamo i lavori esaminando l'interrogazione a risposta immediata n. 40.
La parola alla Consigliera Disabato per l'illustrazione.



DISABATO Sarah

Grazie, Presidente; buongiorno, Assessore.
Ho deciso di riportare in Aula il tema riguardante i 19 elettrotreni Minuetto abbandonati in diverse stazioni piemontesi, come già avvenuto alla fine della scorsa legislatura a seguito di documentazione fotografica inerente a 19 treni pressappoco intatti, però lasciati alla loro sorte in queste stazioni. In particolare, quattro sono nella stazione di Ciriè, due a Mathi, tre a Rivarolo, tre si trovano nella stazione di Germagnano e altri sette nello smistamento di Torino.
Ovviamente, i vandali vanno a nozze in questa situazione. Infatti, la maggior parte dei treni risultano vandalizzati, coperti da graffiti e quant'altro, e più passa il tempo, più le condizioni di questi mezzi peggiorano.
Come dicevo, nella scorsa legislatura abbiamo presentato una prima interrogazione perché ci sembrava davvero surreale dover assistere a questo stato di degrado, soprattutto perché c'è ingente bisogno di nuovi mezzi sulle ferrovie piemontesi. In particolare, questi 19 elettrotreni erano stati acquistati nel 2004 per servire le ferrovie Torino-Ceres e Canavesana, poi sono stati dismessi dopo il passaggio a Trenitalia della tratta.
So che ci sono stati dei cambiamenti a seguito dell'interrogazione perché ho visto che i treni sono passati nelle disponibilità dell'Agenzia Mobilità Piemontese, che li ha presi in carico, però ci stiamo interrogando rispetto al cronoprogramma dei lavori per rimetterli in linea.
Naturalmente, a seguito della sua risposta, abbiamo appreso le esigenze di ammodernamento di questi treni e questa operazione ha un costo; certo, è sempre meglio ammodernarli anziché buttarli via o comprarne di nuovi, per sappiamo anche che l'Agenzia Mobilità Piemontese ha bisogno di risorse e la Regione dovrebbe farsene carico, visto che era il primo proprietario titolare dei 19 mezzi.
A seguito di una nota trasmessa dall'Agenzia Mobilità Piemontese sappiamo che sono necessari all'incirca 61 milioni per la riammissione in servizio dei 19 treni e che Regione Piemonte, a seguito del cronoprogramma dei lavori dal 2024 al 2026, per riammodernare i mezzi, ha risposto destinando un importo pari a 37.904.000 euro al servizio di manutenzione degli elettrotreni. Questo rientra in un programma più vasto, ovviamente sancito da una determina dirigenziale a favore dell'Agenzia Mobilità Piemontese per il rinnovo della flotta in generale, quindi una parte di quelle risorse andrà destinata esattamente per la partita degli elettrotreni. Ho fatto il parallelo semplicemente tra la disponibilità di Regione Piemonte e la richiesta di AMP e ci vedo una differenza di qualche milione.
Volevo sapere che cosa intenda fare la Regione, nel senso se la richiesta di AMP è quella di avere 61 milioni per rimettere a nuovo i mezzi, Regione Piemonte dovrà corrispondere eventualmente quella cifra. Ha intenzione di farlo? Questa è la domanda che oggi ho deciso di porle.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Gabusi per la risposta.



GABUSI Marco, Assessore regionale

Grazie, Presidente.
Ringrazio per l'inversione dell'ordine delle interrogazioni e anche la Consigliera Disabato.
Tendenzialmente, non leggo le risposte, ma poiché ci sono una serie di dati e di tempistiche, è meglio essere precisi e puntuali.
Per ripercorrere quanto richiesto dalla Consigliera Disabato, con una nota del 10 febbraio 2023 Agenzia della Mobilità richiedeva alla Regione la disponibilità di un finanziamento pari a circa 61 milioni di euro per la riammissione in servizio di 19 treni Minuetto, cadenzati su diversi anni 22 milioni di euro per il 2024, 21,6 milioni per il 2025 e 17 milioni per l'anno 2026.
A seguito di un'indagine di mercato condotta dal nostro Assessorato della Direzione regionale Opere pubbliche, circa il fabbisogno necessario a effettuare il servizio manutentivo in oggetto e di un'attività svolta internamente agli uffici della Giunta regionale volte al reperimento di risorse finanziarie fino a quel momento non disponibili, con una determina del 19 dicembre 2023 sono stati impegnati 44 milioni a favore dell'Agenzia della Mobilità, di cui i famosi 37.900.000, proprio per il servizio di manutenzione di questi 19 elettrotreni Minuetto.
Per consentire definitivamente all'Agenzia della Mobilità Piemontese di dare il via al servizio di manutenzione necessario per immettere nuovamente il servizio questi 19 treni, la Regione sta concludendo necessarie procedure tecnico-amministrative volte a perfezionare il trasferimento degli stessi dal patrimonio dell'agenzia, condizione preliminare alla successiva cessione in comodato d'uso da parte dell'Agenzia Trenitalia per la futura messa in esercizio.
È relativamente recente la notizia e la comunicazione da parte di Trenitalia, Direzione business regionale e sviluppo intermodale del Piemonte, in data 9 agosto 2024 (lo dico perché non è arrivata ieri in seguito alla vostra interrogazione), la trasmissione della stima dei costi e le tempistiche per l'esecuzione delle necessarie attività di manutenzione per il ripristino di 19 Minuetto, ex GTT.
La cifra richiesta da Trenitalia, che è di fatto la cifra che serve e non quella ipotizzata e stimata dall'Agenzia - che, ci mancherebbe, aveva alla base uno studio - è di 32.000.931 euro, al netto dell'installazione del sistema ERTMS e di ulteriori rilievi sui cinque dei 19 TTR vandalizzati. Manca ancora una cifra relativamente agli atti vandalici, ma può essere ricondotta in qualche centinaio di migliaia di euro. Pertanto, è compatibile con i fondi impegnati dalla Direzione regionale, che sono i 37 milioni. Se fate i conti, ci sono circa cinque milioni di abbuono, cioè avanzerebbero addirittura cinque milioni che però probabilmente, con la compensazione sugli atti vandalici, potrebbero azzerarsi.
Al momento, la risposta alla Consigliera Disabato è che in questo momento le risorse sembrano sufficienti. È evidente che nel momento in cui dovessero verificarsi ulteriori atti vandalici - che speriamo non avvengano più - ma, soprattutto, approfondimenti tecnici dovessero evidenziare alcuni scostamenti rispetto all'ultimo preventivo di Trenitalia, soggetto più deputato a fare il preventivo, essendo quello che poi paga la manutenzione naturalmente la Regione si impegna a metterli in previsione nei prossimi bilanci, sapendo che il bilancio che li prevedeva era un bilancio triennale '24-'25-'26, quindi con tutto il tempo per prevedere se ci fosse qualche sfrido di ulteriori risorse.


Argomento: Trasporti su ferro - Trasporti e comunicazioni: argomenti non sopra specificati

Interrogazione a risposta immediata n. 37 presentata da Calderoni, inerente a "Individuare con la massima urgenza soluzioni condivise per tutelare il diritto alla mobilità dei pendolari della linea ferroviaria Cuneo Ventimiglia"


PRESIDENTE

Proseguiamo i lavori esaminando l'interrogazione a risposta immediata n. 37.
La parola al Consigliere Calderoni per l'illustrazione.



CALDERONI Mauro

Grazie, Presidente.
Gentili colleghi, colleghe e Assessore, il diritto alla mobilità dei pendolari della linea ferroviaria Cuneo-Ventimiglia è gravemente compromesso. La linea ferroviaria internazionale Cuneo-Ventimiglia, che risale al 1860 e che riveste un ruolo cruciale di collegamento tra la produttiva provincia di Cuneo, la Liguria e i territori francesi della Valle Roya e della Costa Azzurra, è da tempo in crisi.
Considerato, inoltre, che il Tunnel di Tenda è inagibile dall'ottobre 2020 a seguito della tempesta Alex e non è ancora certa la data della sua riapertura; considerato che la strada dei 46 tornanti, già strutturalmente pericolosa d'inverno, viene chiusa, la linea ferroviaria rimane l'unica alternativa.
Dal monitoraggio eseguito risultano attivi, su questa linea, 50 pendolari quotidiani e un migliaio di passeggeri su base settimanale.
Purtroppo, gli scioperi del personale operativo nel tratto francese, che da settimane sono in corso in Valle Roya, causano inevitabili ripercussioni che quasi giornalmente colpiscono la tratta. Le agitazioni sindacali del personale dell'SNCF si verificano, inoltre, senza una precisa programmazione.
Tale situazione tiene di fatto sotto scacco le 50 persone di cui sopra compromettendone la vita privata sin dal periodo della chiusura del Tunnel di Tenda e, maggiormente, nelle ultime settimane. In vari casi ha portato a dimissioni, nonché a gravi disagi psicologici.
Fermo restando il diritto inviolabile di tutti i lavoratori a scioperare e pur tenendo conto che le agitazioni sindacali interessano una società francese, occorre, a nostro avviso, contemperare le esigenze dei dipendenti della SNCF con il diritto alla mobilità di tutti i lavoratori.
I pendolari della linea Cuneo-Ventimiglia, pertanto, sollecitano l'intervento della Regione Piemonte, limitatamente a quanto di sua competenza, affinché sensibilizzi le istituzioni francesi e la SNCF, al fine di garantire almeno i convogli n. 22955 delle ore 6.41 in partenza da Cuneo e n. 22898 delle 16.20 in partenza da Ventimiglia.
In subordine, viene proposto dai pendolari di consentire che il treno in partenza da Cuneo non si fermi a Limone in caso di sciopero, ma prosegua almeno fino a Vievola (dall'altro lato del colle) per permettere a questi lavoratori di raggiungere il luogo di lavoro.
Un'occasione propizia potrebbe essere, come abbiamo appreso dai media l'incontro che si terrà proprio sulle problematiche della linea ferroviaria Cuneo-Ventimiglia con l'ambasciatore francese previsto nei primi giorni di ottobre (anzi, lo auspichiamo).
Chiediamo pertanto all'Assessore come intenda attivarsi urgentemente per quanto di propria competenza, per individuare, con il coinvolgimento del Governo italiano e francese, di SNCF e di RFI, nonché della Commissione intergovernativa per il miglioramento dei legami franco-italiani nelle Alpi meridionali, le modalità per garantire i collegamenti ferroviari minimi e necessari ai lavoratori e studenti pendolari che usufruiscono quotidianamente della linea Cuneo-Ventimiglia.
Soltanto questa mattina ho ricevuto un report degli ultimi tre mesi delle attività della linea ferroviaria in questione, che poi lascio all'Assessore.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Calderoni.
La parola all'Assessore Gabusi per la risposta.



GABUSI Marco, Assessore regionale

Iniziamo dal report che anche noi abbiamo visionato, perché un problema imprevedibile come quello degli scioperi lo stiamo affrontando con tanta difficoltà da anni.
A luglio, su 248 treni programmati, i treni soppressi sono 33. Ad agosto, sui 248 treni programmati, i treni soppressi sono 27. Fino al 22 settembre i treni soppressi sono 25 su 676, quindi capite che gli scioperi stanno aumentando.
Purtroppo gli scioperi francesi tendenzialmente sono annunciati con 24 o 48 ore di anticipo, per cui è oltremodo complicato gestire questi disservizi, ancor di più se riguardano SNCF Réseau, l'omologo di RFI italiana, quindi il gestore dell'infrastruttura. Ecco perché non c'è la possibilità di entrare in Francia in quegli orari. Anche per questo la proposta del Consigliere Calderoni e dei comitati, che sostanzialmente è quella di prolungare fino a Vievola il treno che arriva a Limone, è impercorribile, perché si passa in Francia: che il prolungamento sia di un chilometro, di cinque o di 50, non ci sarebbe l'autorizzazione ad entrare.
È evidente che la situazione è ancora più grave rispetto al territorio circostante, cioè alla difficoltà del tunnel di Tenda, che ben conosciamo in quanto complicata dalla difficile interlocuzione a tutti i livelli con il Governo francese che si è appena composto, ma che per circa 60 giorni non aveva neanche un Presidente e non aveva un Ministro in materia. Capite bene che la difficoltà è tanta.
La competenza della Regione Piemonte è molto marginale: quella di cercare, da responsabili amministratori di questo territorio, di garantire il diritto alla mobilità e cercare di farlo in qualsiasi condizione. Avremo un'occasione certamente il 4 ottobre, seppur ancora non ne conosciamo i contenuti, gli orari e le modalità. In quella data ci sarà una CIG sia per quanto riguarda la questione del tunnel di Tenda sia per quanto riguarda i servizi ferroviari entro l'autunno, ma stiamo cercando un'interlocuzione anche tramite il livello centrale italiano, quindi tramite il Governo, ora che una definizione del Governo francese sembra esserci, per provare a dirimere la questione ai più alti livelli.
Da parte nostra, ribadiamo quello che abbiamo fatto in tutti questi anni su una linea che aveva due coppie di treni nel 2019 e oggi ne ha quattro; su una linea che ha garantito, in tutte le annualità della chiusura del tunnel di Tenda, il servizio navette prima come unico collegamento per i pendolari e per i turisti, poi come unica possibilità di muoversi in quelle valli. Continueremo a farlo fino a quando sarà necessario, sapendo che non abbiamo mai smesso non solo di investire risorse, ma anche di investire intellettualmente su quella linea.
Per chi conosce quella tratta, sa che era più caro percorrere Limone Tenda che Limone-Ventimiglia, perché si entrava in territorio francese quindi la tratta costava molto di più pur trattandosi di pochissimi chilometri. È notizia di qualche settimana fa che, finalmente, siamo riusciti a risolvere questo problema con una soluzione che sarà attuata con la conclusione dei processi amministrativi. C'è già la lettera di ringraziamento da parte del Vicepresidente Serrus della Région Sud, perch siamo riusciti a ottenere la tariffa italiana per tutta la tratta.
Siamo riusciti a superare questo problema, che è un problema importante, un problema che toccava tutti coloro che utilizzavano quella linea e si fermavano in Francia, quindi stiamo davvero cercando di fare il massimo sforzo.
Questa vicenda dello sciopero francese, che certamente non riguarda noi, era ulteriormente imprevista, ma in tutti i consessi e in tutte le opportunità che avremo da qui in poi, cercheremo di sensibilizzare il Governo e SNCF Réseau sul fatto che chiudere quella linea e fare sciopero su quella linea vuol dire, di fatto, inchiodare ulteriormente una valle e inchiodare i lavoratori, che spesso sono lavoratori della sanità francese che garantiscono un servizio indispensabile anche in territorio francese in questo momento particolarmente importante.


Argomento: Personale del servizio sanitario - Sanita': argomenti non sopra specificati

Interrogazione a risposta immediata n. 39 presentata da Valle, inerente a "Quali tutele per i lavoratori dell'Ospedale Civico Città di Settimo da parte della Regione Piemonte?"


PRESIDENTE

Proseguiamo i lavori esaminando l'interrogazione a risposta immediata n. 39.
La parola al Consigliere Valle per l'illustrazione.



VALLE Daniele

Grazie, Presidente.
Il question time di oggi serve per portare all'attenzione di questo Consiglio la situazione dell'Ospedale di Settimo. È una storia che si trascina da tanto tempo e sappiamo che era una sperimentazione della gestione mista pubblico-privato, che poi ha mostrato alcuni limiti sui quali abbiamo giudizi differenti. Però è inutile tornare indietro, dopo il periodo del Covid.
Al termine di questa sperimentazione, la Regione ha inteso procedere con la liquidazione di quell'esperienza; in particolare, adesso i servizi all'interno di quella struttura, che è stata poi completamente acquisita al pubblico, sono oggetto di una gara per tutto quello che concerne i servizi socioassistenziali e connessi in modalità global service per l'affidamento di servizi sociosanitari (infermieri, OSS, fisioterapisti) e correlati (reception, guardiania, fattorinaggio, rifiuti sanitari, lavaggio, gestione magazzini, eccetera).
C'è stata l'aggiudicazione con un ribasso pari al 10% e il question time ha l'obiettivo di sapere quali garanzie sono state predisposte per garantire la piena occupazione e la tutela del personale che, pur con le alterne vicende e con le diverse realtà che si sono susseguite, però ha lavorato per tanti anni in questo ospedale.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Vignale per la risposta.



VIGNALE Gianluca, Assessore regionale

Grazie, Presidente.
Il Consigliere sa, e lo ricordava anche nella sua illustrazione, tutti i passi che sono stati compiuti per fare in modo che il presidio sanitario di Settimo venisse acquisito al patrimonio pubblico regionale tramite l'Azienda sanitaria. In questo percorso il tema occupazionale è una delle parti - non diciamo l'ultima - su cui c'è sempre stata attenzione sia da parte dell'Amministrazione locale sia da parte dell'Amministrazione regionale.
Relativamente alla gara che citava nell'interrogazione, ferme restando le prerogative di autonomia gestionale del liquidatore di SAAPA, non si pu che fare riferimento a quanto previsto dalla vigente normativa e riportato nel disciplinare di gara pubblicato da SAAPA stessa.
In proposito, l'articolo 9 del Disciplinare dei Servizi Socio Assistenziali riporta testualmente: "L'aggiudicatario è tenuto a garantire l'applicazione del contratto collettivo nazionale e territoriale (o dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore), oppure di un altro contratto che garantisca le stesse tutele economiche e normative per i propri lavoratori e per quelli in subappalto. Ferma restando la necessaria armonizzazione con la propria organizzazione e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto l'aggiudicatario del contratto di appalto è tenuto a garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato nel contratto, assorbendo prioritariamente nel proprio organico il personale già operante alle dipendenze dell'aggiudicatario uscente, garantendo le stesse tutele del Contratto Collettivo Nazionale indicato al punto 3.
L'elenco e i dati relativi al personale attualmente impiegato dal contraente uscente per l'esecuzione del contatto sono riportati nell'Allegato 'Elenco del personale da riassorbire'".
Mi permetto solo di aggiungere, concertandolo con l'Assessore competente, che, come il Consigliere sa, vi sono due aspetti. Vi è un aspetto formale, ma indispensabile, cioè quello di introdurre la clausola sociale all'interno del contratto; vi è poi un aspetto, se mi consente, di carattere più politico, cioè quello di intervenire nella libertà del soggetto contraente e in un'attività di persuasione rispetto all'applicazione reale della clausola sociale che, come il Consigliere sa ha certamente alcuni vantaggi, che sono quelli della continuità lavorativa ma anche alcuni limiti che sono quelli della libertà della forma organizzativa.
È evidente che i due aspetti, quello meramente amministrative da contratto, come quello di una persuasione che, a partire dal Comune di Settimo, ma anche dalla Regione Piemonte cercheremo di fare, come in altre occasioni, saranno determinanti per garantire la continuità occupazionale dei dipendenti.


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera - Sanita': argomenti non sopra specificati

Interrogazione a risposta immediata n. 38 presentata da Pompeo, inerente a "Ospedale unico dell'ASL TO5. Fare chiarezza con urgenza su ogni criticità ancora esistente"


PRESIDENTE

Proseguiamo i lavori esaminando l'interrogazione a risposta immediata n. 38.
La parola alla Consigliera Pompeo per l'illustrazione.



POMPEO Laura

Grazie, Presidente.
La domanda che sottoponiamo oggi all'Aula riguarda l'ospedale dell'ASL TO5.
Sappiamo che si parla di un ospedale unico che accorpa gli ospedali di Moncalieri, Carmagnola e Chieri da ormai parecchie legislature.
A Moncalieri (sono originaria di Moncalieri) si parla di un nuovo ospedale addirittura dagli anni Sessanta del Novecento; il territorio è in grande sofferenza ormai da alcuni anni.
Nel 2019, a fronte di una proposta, un'ipotesi precedente che prevedeva la realizzazione del nuovo ospedale a Moncalieri nell'area al confine con Trofarello, vicino a MoviCentro (area industriale Vadò) l'allora nuova Amministrazione regionale propose altre perizie.
Nel 2021, il Politecnico ha realizzato ulteriori approfondimenti e analisi e IRES Piemonte ha avviato e realizzato ulteriori studi comparativi tra le diverse aree che erano state proposte dai territori. Nello specifico, l'area di Vadò era stata ritenuta idonea per i 40 Comuni della zona.
Nel 2023, a seguito di un ulteriore e approfondito percorso di analisi di studio l'area scelta è divenuta Cambiano per costi inferiori che purtroppo, successivamente, pare non si siano rivelati così vantaggiosi inoltre, di recente, abbiamo appreso dai giornali che i tempi per la realizzazione dell'ospedale si sarebbero allungati.
Nell'aprile di quest'anno, l'ASL aveva annunciato l'assegnazione del progetto di fattibilità tecnico-economica, dando nove mesi per definire superfici, piani, volumi e l'esatto posizionamento dell'edificio e, invece abbiamo appreso, di recente, che la progettazione deve ancora partire e sappiamo che i tempi di realizzazione non saranno sicuramente brevi. Si tratta di una gara europea e conosciamo il percorso articolato e complesso per una realizzazione di questo genere.
La domanda è quella di fare chiarezza sulle criticità e, in particolare, sui tempi di assegnazione del PFTE.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Vignale per la risposta.



VIGNALE Gian Luca, Assessore regionale

Grazie, Presidente.
La Consigliera Pompeo mi scuserà se nella risposta che, evidentemente ha predisposto l'ASL con l'Assessorato, sarò un po' didascalico rispetto ai tempi, però credo che sia importante anche rispetto alle domande poste nell'interrogazione.
Con deliberazione del Direttore Generale n. 325 dell'8 maggio 2023 l'ASL TO5 ha preso atto della deliberazione del Consiglio regionale in merito alla localizzazione del nuovo ospedale unico dell'ASL TO5 presso il Comune di Cambiano e ha disposto lo svolgimento, da parte delle Strutture Complesse Aziendali, di tutte le attività propedeutiche e necessarie per addivenire, nei tempi stabiliti dall'INAIL, all'individuazione dell'operatore economico che dovrà eseguire la costruzione del nuovo ospedale unico dell'ASL TO5.
In data 20 giugno 2023 è stato sottoscritto tra la Regione Piemonte, il Comune di Cambiano e l'ASL TO5, il protocollo d'intesa finalizzato all'avvio delle azioni e procedure per la realizzazione del nuovo ospedale.
Con deliberazione del Direttore Generale n. 879 del 6 dicembre 2023 è stata indetta gara a procedura aperta per l'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura inerente alla redazione del Progetto di fattibilità tecnica economica oggetto dell'interrogazione.
Con DGR n. 21-8561/2024/XI, la Regione Piemonte ha approvato lo schema tipo di accordo, ex art. 15, da sottoscrivere con l'INAIL, per la realizzazione del nuovo ospedale unico sito in Cambiano.
Il 5 luglio 2024 il Commissario straordinario dell'ASL TO5 ha deliberato gli atti di gara necessari all'aggiudicazione dei servizi di ingegneria e architettura inerenti alla redazione del Progetto di fattibilità tecnica economica, andati a un raggruppamento temporaneo di imprese (con i soggetti indicati nella risposta).
Il comma 3 dell'art. 18 del Codice degli appalti prevede che il contratto non possa essere stipulato prima di 35 giorni dall'invio dell'ultima comunicazione del provvedimento di aggiudicazione, trasmesso il 2 agosto 24. La stipulazione era, dunque, tecnicamente possibile a far data dal 6 settembre. Tuttavia, alla data di comunicazione dell'aggiudicazione decorreva anche il termine di 30 giorni per un'eventuale sua impugnazione avanti il TAR, circostanza sempre prudentemente da considerare, a maggior ragione nel caso di specie, ove un operatore economico non aggiudicatario aveva presentato istanza di accesso agli atti.
La proposizione di ricorso al TAR con contestuale domanda cautelare contro l'aggiudicazione determina infatti, ai sensi del comma 3 dell'art.
18 del Codice degli appalti, l'impossibilità di stipulare il contratto per il tempo stabilito, caso per caso, dal medesimo articolo citato.
Poiché i tempi processuali ordinari avanti al TAR sono sospesi, per legge, dal 1° al 31 agosto di ogni anno (periodo feriale), la decorrenza dei termini per la possibile presentazione di ricorso avanti al TAR è ripartita dal 1° settembre, con scadenza il 30 settembre 2024. Ne consegue che, per ragioni di prudenza, il contratto può essere stipulato a far data dal mese di ottobre, quindi terminata questa data.
Con la stipula del contratto decorreranno, quindi, i nove mesi di tempo previsti dal capitolato prestazionale del servizio di progettazione, per la consegna del Progetto di fattibilità tecnico economica.
Tali scadenze, al netto delle tempistiche sopra richiamate, rientrano nel cronoprogramma indicato dall'INAIL, che prevede la consegna del PFTE entro il 31 dicembre 2025, perché dal 1° ottobre 2024, prima decade di ottobre del 2024, in cui verosimilmente si stipulerà il contratto, con i nove mesi previsti nel capitolato rispetteremo i tempi del 31 dicembre. Il capitolato dovrebbe essere consegnato nel rispetto di questa tempistica avendo anche penali rispetto al ritardo. Dovremmo risparmiare alcuni mesi.
Sono stati risparmiati alcuni milioni di euro di progettazione avendo partecipato molte società. La Consigliera ha esordito dicendo che è dalla fine degli anni Sessanta che si parla dell'ospedale unico di Moncalieri.
È corretto che il Consiglio monitori costantemente i tempi d'attuazione delle tante e nuove opere che sono in corso, ma la differenza sostanziale è che oltre a essere stato individuato un luogo - cosa già avvenuta in passato - è stata trovata anche copertura economica per la realizzazione ed è stato dato un mandato alla progettazione. Il cronoprogramma - non solo questo, ma anche per tutte le altre opere - lo trovate in modo assolutamente trasparente sul sito della Regione. Chiunque di voi voglia digitare "Edilizia sanitaria" sul sito della Regione Piemonte troverà un numero consistente di slide.
Concludo dicendo che l'Assessore Riboldi è disponibile a convocare la IV Commissione sull'edilizia sanitaria, quindi non soltanto sull'ospedale unico dell'ASL TO5, ma su tanti altri ospedali in via di progettazione.


Argomento: Beni ambientali - tutela del paesaggio (poteri cautelari, vincoli - Valutazione impatto ambientale - Pianificazione territoriale - Urbanistica: argomenti non sopra specificati

Interrogazione a risposta immediata n. 36 presentata da Unia, inerente a "Parco della diseducazione ambientale"


PRESIDENTE

Proseguiamo i lavori con l'esame dell'interrogazione a risposta immediata n. 36.
La parola al Consigliere Unia per l'illustrazione.



UNIA Alberto

Grazie, Presidente.
Ringrazio l'Assessore Vignale per la risposta che mi darà.
Come ben sapete, la Città di Torino da tre anni a questa parte ha deciso di dichiarare guerra ai parchi torinesi e, all'interno di questa guerra, la maggioranza ha inserito anche il Parco del Meisino. Un parco sul fiume del Po importante dal punto di vista naturalistico che sta per essere impattato da quest'opera. All'interno dei lavori che verranno effettuati verrà toccata anche la struttura dell'ex galoppatoio con una serie d'interventi.
La mia interrogazione è per chiedere, visto che il Piano d'area vigente è di responsabilità dell'Ente Parco del Po, quindi anche della Regione, se sono state fatte, o se nel tempo verranno fatte, tutte le verifiche necessarie da parte della Regione per definire se, effettivamente, i lavori sono conformi a quanto previsto dal Piano d'area vigente.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Vignale per la risposta.



VIGNALE Gian Luca, Assessore regionale

L'interrogazione del Consigliere Unia chiede: "Secondo quanto previsto dalla legge regionale n. 19, e secondo il piano d'Area vigente" - come il Consigliere sa, è uno strumento sovraordinato ai piani regolatori anche delle amministrazioni comunali - "se la Regione abbia verificato che gli interventi pianificati dal Comune di Torino, sui fabbricati della cascina 'Malpensata' siano effettivamente interventi di restauro e risanamento conservativo" - perché questo prevede il Piano d'area vigente - "senza modifiche alla trama edilizia e non una mera ristrutturazione non consentita dalla legge stessa".
Si comunica quanto segue. La competenza per l'espressione dei pareri in merito agli interventi ricadenti nei Parchi naturali e nelle aree contigue risulta attribuita agli enti di gestione delle aree protette, come correttamente veniva ricordato, ai sensi della legge 19 del 2009.
Il progetto di Città di Torino (Misura M5C2 investimento 3.1 - sport ed inclusione - Parco dello sport e dell'educazione ambientale) si compone come il Consigliere sa, di due cluster: Cittadella dello Sport, riguardante gli interventi legati alle attività sportive e ambientali, e il cluster 2 (Rigenerazione ex galoppatoio militare), relativo agli interventi sulla Cascina Malpensata.
Il Consigliere sa che le valutazioni d'incidenza sono un aspetto che compete tecnicamente agli uffici dell'Ente Parco e in altri casi agli uffici regionali e non sono - non è scritto, ma lo dico io - correttamente una scelta politica, altrimenti non sarebbe una valutazione di incidenza ambientale, ma sarebbe una scelta che potrebbe anche andare oltre a quello che il Piano d'area prevede.
Con determinazione dirigenziale dell'Ente Parco del 1° febbraio 2023 si concludeva negativamente il parere, ai sensi del Piano d'area, della prima formulazione del progetto; l'istruttoria tecnica allegata alla sopracitata determinazione esterna in modo dettagliato le motivazioni della conclusione negativa del parere, elencando gli elementi d'incompatibilità e, allo stesso tempo, le modalità di intervento invece compatibili.
Il progetto è stato successivamente riformulato, tenendo conto delle osservazioni che erano state precedentemente fatte, ottenendo un parere positivo di compatibilità col Piano d'area espresso dall'Ente Parco, con determina dirigenziale 112, di cui si riporta parte dell'istruttoria allegata al precedente provvedimento. Non le leggo, altrimenti il Presidente mi sgrida, ma è fra virgolette quanto è stato indicato.
Parallelamente sul progetto aggiornato è stata espletata la procedura di valutazione d'incidenza, che si è conclusa con giudizio positivo condizionata al rispetto delle prescrizioni contenute nella determinazione dirigenziale del 20 aprile. Il contributo d'incidenza è stato espresso anche avvalendosi del contributo tecnico scientifico di ARPA Piemonte.
Se poi il Consigliere lo riterrà, oltre alla risposta, ovviamente potrà accedere alle due differenti valutazioni dell'Ente Parco.


Argomento: Edilizia pubblica (convenzionata, sovvenzionata, agevolata) - Opere pubbliche - Edilizia: argomenti non sopra specificati

Interrogazione a risposta immediata n. 35 presentata da Ravinale, inerente a "La Regione e l'ATC Piemonte Centrale hanno un piano per ristrutturare le centinaia di alloggi a oggi vuoti, in modo da renderli agibili e poterli assegnare alle persone inserite in graduatoria per l'assegnazione?"


PRESIDENTE

Proseguiamo i lavori esaminando l'interrogazione a risposta immediata n. 35.
La parola alla Consigliera Ravinale per l'illustrazione.



RAVINALE Alice

Ritorno su un tema che, tra l'altro, è stato ampiamente al centro del dibattito politico quest'estate, vale a dire la questione dell'occupazione delle case vuote, in questo caso dell'ATC Piemonte centrale, perché ci sono stati nuovi episodi di richieste di sgombero, che hanno riguardato in particolare il Comune di Collegno, dove c'è un piano di sgomberi in corso e che riguarda il villaggio Leumann.
Ponevo, però, l'attenzione su questo fatto perché, come tutti sappiamo il piano complessivo e la presenza complessiva di case popolari è assolutamente inadeguata. Da due anni a questa parte mancano i fondi alla morosità incolpevole e i fondi di sostegno all'affitto, che quindi hanno reso ancora più difficile il mercato della locazione. Purtroppo, al problema degli immobili che mancano si aggiunge il problema degli immobili che non vengono manutenuti; nel solo Comune di Collegno, ATC ha 60 immobili vuoti perché sono inagibili di fatto e quindi non possono essere messi.
Volevo solo rilevare che noi possiamo continuare, nel nome della legalità, a portare avanti questi sgomberi, che però si riveleranno del tutto inutili al fine di assegnare case popolari. Ricordo che nella sola città di Torino ci sono 150 nuclei già in graduatoria aventi diritto alla casa popolare, che sono in attesa dal 2018.
Pertanto, sollecito la Giunta per capire se l'ATC Piemonte Centrale e la Regione avessero dei programmi già determinati per quanto riguarda le risorse da stanziare, per far sì che le case popolari, già insufficienti che restano vuote, perché non sono oggetto di manutenzione, possano essere effettivamente messe al servizio di chi ne ha bisogno.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Vignale per la risposta.



VIGNALE Gianluca, Assessore regionale

Grazie, Presidente.
Dai dati forniti dall'ATC risulta che il fenomeno della sfittanza quindi degli immobili a vario titolo gestiti da ATC e non affittati ammonta a circa il 10% del patrimonio complessivo dell'ente. Quindi, è un tema assolutamente centrale rispetto alla risposta del bisogno di casa.
Il tema è quello della mancanza di un flusso certo e costante per gli investimenti di ERP a far data dalla fine del prelievo GESCAL del 1992 e dell'inadeguatezza del canone che è deliberatamente mantenuta a livelli sociali, anche a fronte della necessità della manutenzione che riguarda anche gli alloggi regolarmente assegnati, ma che non è in grado di avere un saldo anche solo a parità rispetto a questo dato, come credo la Consigliera sappia, rispetto a quanto ATC incassa e a quanto spende per le manutenzioni.
L'attenzione della Regione Piemonte e delle ATC è di intercettare programmare e gestire in maniera ottimale fondi disponibili di finanziamento che non siano quelli semplicemente legati al pagamento degli affitti.
Nell'ultimo quinquennio la Regione ha effettuato la tempestiva programmazione di interventi di riqualificazione edilizia degli immobili ERP per un totale di 141 milioni. Vedrà illustrati 21 milioni della deliberazione CIPE, gli 84 milioni del PNRR, la legge n. 80, lettera b) per 13,2 milioni di euro, di cui 3,8 all'ATC del Piemonte Centrale e la riprogrammazione del residuo dei fondi GESCAL per 17 milioni di euro, di cui 9,9 al Piemonte Centrale.
A queste risorse si aggiungono quelle che le ATC hanno autonomamente referito, per esempio, accedendo al superbonus o per la partecipazione al programma innovativo della qualità dell'abitare sui fondi PNRR destinati a Comuni e Città metropolitana.
In questo percorso di programmazione, gestione ed efficienza è necessario procedere, non essendo le sole disponibilità finanziarie della Regione adeguate a fronteggiare il fenomeno.
Da una stima di larga massima effettuata sugli importi a preventivo degli interventi ricompresi nell'ultima delle linee di finanziamento attivata, la DGR del 5 giugno 2023, ex GESCAL, l'ordine di grandezza e le risorse necessarie per rendere assegnabili gli alloggi di risulta sfitti nella gestione delle tre ATC, ammonta a 19 milioni di euro per interventi di manutenzione fino a 15 mila euro per alloggio e 86 milioni di euro, dei quali 45 stimati per l'ATC centrale e per gli interventi di ristrutturazione, fino a 50 mila euro ad alloggio.
Su questi importi, che riguardano la sola sfittanza, si procederà con un'analisi più accurata per individuare le azioni programmatiche più adeguate a supportare qualunque strumento disponibile, compreso l'autorecupero, su cui la Consigliera sa che esiste una legge regionale.
Infine, il fenomeno delle occupazioni abusive interessa lo 0,74% degli alloggi gestiti dalle ATC e gli sgomberi vanno eseguiti, anche se, usando le parole dell'interrogante, "fini a sé stessi", per rispondere all'allarme sociale e per ripristinare la legalità.



PRESIDENTE

Dichiaro chiusa la trattazione delle interrogazioni a risposta immediata.
Comunico che l'apertura del Consiglio sarà alle ore 15.15.



(Alle ore 15.02 il Presidente dichiara esaurita la trattazione delle interrogazioni a risposta immediata)



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GRAGLIA



(La seduta riprende alle ore 15.21)



PRESIDENTE

La seduta riprende.


Argomento: Rapporti Regioni - Governo - Ordine pubblico e sicurezza

Relazione annuale 2023-2024 delle attività svolte da parte del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, ai sensi dell'articolo 6 della legge regionale 28/2009


PRESIDENTE

Passiamo all'esame della "Relazione annuale 2023-2024 delle attività svolte da parte del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, ai sensi dell'articolo 6 della legge regionale 28/2009", di cui al punto 4) all'o.d.g.
L'articolo n. 6 della legge regionale n. 28 del 2009 istituiva il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale e prevede che il medesimo presenti ogni anno al Consiglio regionale una relazione sull'attività svolta e sui provvedimenti organizzativi e normativi di cui intende segnalare la necessità. Il Consiglio regionale discute la relazione in apposita sessione.
Il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale ha depositato la relazione annuale riferita all'attività svolta nel 2022 e nei primi sei mesi del 2023, nonché la relazione annuale riferita all'attività svolta nel 2023 e nei primi sei mesi del 2024; entrambi i documenti sono reperibili nella sezione Supporto sedute istituzionali della Intranet, in corrispondenza dell'odierna seduta.
Interrompiamo formalmente i lavori per dare spazio alla relazione del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte.
Invito, quindi, il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, l'Onorevole Bruno Mellano, a entrare in aula per svolgere le proprie relazioni al Consiglio, richiedendo possibilmente di circoscrivere l'intervento in 20 minuti, ma saremo clementi.
Pertanto, dichiaro sospesa la seduta, che sarà riaperta per il relativo dibattito.
La seduta è sospesa.



(La seduta è sospesa alle ore 15.22)



PRESIDENTE

La parola al dottor Bruno Mellano.



MELLANO Bruno, Garante regionale delle persone sottoposte a misure

restrittive della libertà personale Grazie, Presidente; grazie, Consiglieri.
Sì, sono due le relazioni che sono alle vostre a vostre mani, perch l'ultima audizione avvenne il 22 novembre 2022 ed era riferita all'attività del 2021, più i primi sei mesi del 2022.
Negli ultimi anni ho adottato la strategia di fare delle relazioni a scavalco delle annualità, un po' perché la previsione della norma prevede di presentare la relazione a marzo, ma tendenzialmente poi si discute tardi o si discute quando, giustamente, il Consiglio ritiene di poterlo fare con opportuna attenzione. Nelle ultime occasioni si era potuto presentare delle relazioni con dati obiettivamente un po' superati e, allora, facendo così abbiamo presentato due relazioni. Ovviamente, l'ultima è aggiornatissima fino ai dati di agosto del 2024.
Chiedo scusa, in effetti, per il materiale che avete a vostre mani, ma sicuramente nei prossimi giorni riusciremo a renderlo disponibile sul sito del Consiglio regionale.
Comincio con un'annotazione ulteriore su quel che è il Garante dei detenuti della Regione Piemonte così sintetizzato. In realtà è "Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale", che vuole dire che, per legge e per organizzazione anche nazionale in relazione con gli altri Garanti, ci occupiamo non soltanto delle persone detenute in carcere, che sono sicuramente il core business dell'attenzione di un ufficio del Garante, ma anche di tutte le persone in esecuzione penale esterna, una fetta molto significativa; le persone afferenti alle aree che abbiamo definito della sicurezza, quindi persone temporaneamente fermate presso caserme e luoghi idonei per l'identificazione come caserme di Polizia e dei Carabinieri; l'area del controllo delle migrazioni, tema molto delicato anche in Piemonte per la presenza di un Centro permanente per i rimpatri e per l'identificazione delle persone che corrono il rischio di essere espulsi, ed eventualmente espulsi: poi l'area sanitaria, tema particolare che potrebbe essere ulteriormente espanso da una forte attività di un Garante, sicuramente negli ultimi anni, anche con una legge che ha determinato il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari con la creazione delle REMS (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza), strutture regionali dove è limitata - fortemente limitata - la libertà del paziente, in forza di ordinanze di sentenze. Ovviamente, si tratta di strutture di competenza e di controllo del Garante.
Su iniziativa e proposta del Garante nazionale, il precedente Collegio del Garante nazionale, si è fatta una riflessione, nata in particolare nel periodo del Covid, sulla permanenza forzata e limitata di persone anche dentro a residenze socio-sanitarie come le RSA. Durante il Covid abbiamo avuto varie segnalazioni anche noi Garanti dei detenuti e delle persone sottoposte a misure restrittive e della libertà, e c'è stato un avvio, che per il momento non è andato a sistema, di riflessioni e di valutazioni su come intervenire, in termini preventivi, rispetto alla garanzia dei diritti di persone che, autonomamente, sono in strutture residenziali, ma che poi hanno una limitazione della libertà.
Sono quattro aree molto grandi e molto importanti. Ripeto l'annotazione sul fatto che, anche per come sono nati i Garanti dei detenuti, c'è un interesse prioritario, anche perché è più definito e più storicamente strutturato rispetto alle carceri, però non è soltanto carcere.
Faccio una veloce citazione: in questo momento abbiamo 60 mila detenuti nelle 189 carceri italiane, ma abbiamo, in questo momento, 130 mila altre persone sottoposte a misure limitative della libertà personale, ovviamente domiciliari o come affidamento ai servizi o comunità, quindi una platea più del doppio, su cui è più difficile intervenire. Mentre per la popolazione detenuta la rete dei servizi, del volontariato, degli avvocati e delle strutture arriva più facilmente a porre segnalazioni o richieste al Garante, è chiaro che una persona ai domiciliari, oppure sul territorio accede al servizio che può rendere il Garante dei detenuti con più difficoltà.
Dopo questa premessa, voglio abusivamente fare un'inversione della mia relazione, partendo dalle conclusioni. Ho visto che nelle altre relazioni tendo ad allargarmi e a focalizzare poco su quello che credo sia uno dei compiti salienti della relazione: il quadro e la definizione della problematica carceraria e della limitazione della libertà. Ovviamente, in parte è conosciuto, le istituzioni lo conoscono e la relazione lo testimonia, però credo sia decisivo, per la relazione annuale del Garante fare quanto prevede la legge, cioè provare a dire alle istituzioni dall'osservatorio dell'ufficio del Garante, quello che può essere il ruolo specifico che una Regione come la nostra può svolgere per contribuire a migliorare la situazione di garanzia dei diritti dei cittadini reclusi. Il miglioramento di questo ruolo può partire, per esempio, da un lavoro che abbiamo fatto l'anno scorso, quasi un anno fa, il 2 ottobre 2023, quando abbiamo organizzato a Torino, nel nostro piccolo, ma con un buon riscontro in concomitanza dell'importante riunione del Festival delle Regioni organizzato dalla Regione Piemonte con la presenza di alcuni esponenti del Governo, di tutti i Presidenti delle Regioni e moltissimi interlocutori e stakeholder sulle tematiche del ruolo delle Regioni, un seminario pubblico dal titolo "Carcere: il ruolo delle Regioni".
È dall'ordinamento penitenziario del 1975 che gran parte delle competenze sul trattamento delle persone detenute non sono in capo all'amministrazione penitenziaria. Ovviamente l'Assemblea parlamentare regionale, come le Assemblee parlamentari nazionali, possono discutere se è buono o meno, ma il meccanismo messo in campo dal 1975, cinquant'anni fa, a oggi, è che gran parte delle attività trattamentali sono di competenza di altre istituzioni chiamate a collaborare in modo proattivo con l'amministrazione penitenziaria, che deve organizzare e assicurare in sicurezza la gestione degli istituti penitenziari. Ma tutte le principali attività, a cominciare dal servizio sanitario dentro il carcere, sono di esclusiva competenza della Regione e delle ASL del territorio.
La stessa cosa si può dire sulle politiche attive del lavoro, sulla formazione professionale, sulle politiche sociali - in collaborazione ovviamente, con gli enti locali - e sulla scuola. È essenziale una collaborazione stretta fra la Regione e gli Uffici Scolastici Regionali per assicurare all'interno del carcere quei percorsi di formazione e di scuola che sono, in molti casi, l'elemento che fa la differenza fra un carcere che funziona (un carcere costituzionale che volge la sua attenzione al recupero, al reinserimento e alla rieducazione e un carcere della disperazione) e un carcere che non funziona.
Mi permetto di fare questo affondo iniziale, sottolineando alcuni punti più volte segnalati nella relazione e nelle relazioni che il Garante ha intessuto in questi anni (ormai dieci), con i vari Assessori e Presidenti che si sono susseguiti e con cui ho potuto collaborare o, comunque, offrire una lettura del problema. Credo che la novità di oggi potrebbe essere di riuscire a dare gambe e sostanza a quell'analisi che è stata prodotta negli anni. Voglio essere molto concreto e molto preciso perché ho esteso questo lavoro fatto in Regione Piemonte, anche a livello nazionale.
Nella scorsa legislatura la Regione Piemonte ha fatto un lavoro eccelso con la IV Commissione presieduta allora dal Presidente Stecco, su indicazioni di una mozione del Consiglio regionale a prima firma del Consigliere Domenico Rossi e della Consigliera Sara Zambaia, che ha chiesto, ottenuto e poi sviluppato un gruppo di indagine sulla sanità penitenziaria. È, infatti, fondamentale capire cosa c'è, cosa funziona e cosa non funziona, che cosa si può fare per migliorare in un contesto sappiamo molto delicato e molto complicato come il servizio sanitario regionale, per offrire alla popolazione detenuta ma, dirò di più, alla comunità penitenziaria e agli operatori del carcere, gli strumenti operativi per presidiare il tema della sanità in carcere.
Un documento, vagliato e inviato dal Consiglio regionale e allegato anche alla relazione (ma solo per memoria, perché ovviamente è un atto ufficiale del Consiglio), contiene una traccia di cose che si possono fare subito e su cui in parte si è cominciato a fare, poi c'è stata ovviamente l'interruzione delle elezioni e il periodo di ripartenza dell'attività istituzionale. Credo davvero che occorra ripartire da lì per mettere assieme dei risultati concreti sul presidio sanitario interno al carcere.
Un secondo punto riguarda il lavoro. Sul lavoro la Regione Piemonte ha un percorso, una storia di impegno e di sedimentazioni di scelte molto significative.
Nel momento in cui, il 16 aprile, il Ministro Nordio, con il Presidente Brunetta del CNEL, ha avviato una campagna nazionale chiamata "Recidiva zero", che puntava proprio su formazione, lavoro e scuola per dare strumenti al carcere per essere efficaci, mi sono permesso di segnalare quello che la Regione Piemonte aveva fatto, a cominciare dallo Sportello Lavoro in carcere. Siamo l'unica Regione in Italia che ha, per ognuno dei 13 istituti penitenziari, uno sportello legato alle politiche attive del lavoro. È legato a un percorso che certamente si può espandere e si può, soprattutto, sistematizzare e far diventare sistema più radicato e più connesso con le reti del territorio, ma è importante.
So che il CNEL lo ha apprezzato e so che il nuovo Segretariato sociale del CNEL, che si occuperà di carcere, è molto interessato a questa prospettiva di lavoro che la Regione Piemonte per prima ha affrontato.
La stessa cosa si può dire sulla formazione professionale. C'è una storia di cinquant'anni di formazione professionale di livello. In alcuni casi - sicuramente è stato fatto negli ultimi due anni - si è cercato anche di svecchiare dei meccanismi ed evitare che magari ci sia una prosecuzione sempre dei soliti corsi, che magari non corrispondono alle esigenze del mercato del lavoro o anche alle esigenze e alle sensibilità delle persone detenute, ma credo che la formazione lavoro, con le politiche attive del lavoro e con il rapporto nuovo con la scuola, a cominciare dai CPIA quindi, da quel sistema di formazione per adulti che in carcere vede un percorso che parte dall'alfabetizzazione e arriva anche a progetti di assoluta qualità - sia una sfida particolarmente significativa per questa Regione.
Chiunque sia entrato in questi anni in carcere o si sia avvicinato a tale realtà, sa che l'offerta scolastica e l'offerta formativa sono elementi decisivi di aggancio e per fornire delle prospettive e dei percorsi.
Ancora due punti nelle conclusioni e poi dirò altre cose. Anche per quanto riguarda le REMS, le Residenze per le Misure di Sicurezza, la Regione Piemonte ha una specificità. Come molte Regioni, ha avuto difficoltà nel far partire questo servizio regionale sanitario di accoglienza delle misure di sicurezza. Si scelse - Regione Piemonte commissariata, come altre otto Regioni in Italia - di andare su REMS private convenzionate. Il modello era pubblico, del servizio sanitario pubblico.
Il mio giudizio - l'ho detto in tutte le salse e lo dico anche qui oggi è che il meccanismo ha funzionato, forse meglio che da altre parti perché il nostro privato di esperienza si è messo in campo. La clinica San Michele di Bra e la Fatebenefratelli di San Maurizio Canavese hanno investito professionalità e competenze in un terreno molto delicato e molto complicato, come la gestione degli autori di reato, malati mentali, il cui percorso giudiziario viene chiuso perché si apre una partita che è sanitaria.
Due sono le REMS, 20 sono i posti fissi; questa è la grande scommessa: sono 20 e non più di 20. Il servizio è di assoluto livello e qualità.
Certo, è inutile negarci che l'amministrazione penitenziaria e le nostre carceri, nella crescita esponenziale (che si è avuta anche all'esterno) di disagio sociale, malattia mentale e disagio psichico non hanno più avuto lo strumento, che aveva la magistratura prima, di mandare in ospedale psichiatrico giudiziario molte più persone di quelle che adesso sono presenti nelle REMS. In tal modo, si crea un problema che corrisponde però, a un'altra responsabilità della Regione Piemonte, perché le REMS sono la parte esterna di un percorso in cui si prevedeva di valorizzare e potenziare i servizi territoriali di salute mentale. Poi, però, c'è un meccanismo all'interno, che sono le ATSM (Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale) dentro il carcere.
In Piemonte ce n'è una sola, che è quella di Torino, il famoso Sestante, che però è un vecchio progetto superato dalla delibera istitutiva degli ATSM, dove i posti sono limitati e occorrerebbe capire come potenziare la presa in carico di questi casi, perché, è inutile negarlo basta una persona chiaramente disagiata in una sezione per mandare all'aria tutta la sezione. Faccio una chiosa su questo, perché il tempo va velocissimo.
In molti casi, e lo dico assumendomene la responsabilità, ma con assoluta sicurezza di quello che dico, quando escono le notizie sui giornali, ma anche prima dei giornali, di incidenti gravi dentro il carcere, che pure sono all'ordine del giorno e sono sicuramente una "patata molto bollente" di questa fase della gestione delle carceri, i numeri sono legati a singoli casi su cui poi magari il resto della popolazione penitenziaria si aggrega per segnalare il disagio del detenuto malato, il disagio del detenuto "fuori di testa" che sta distruggendo la sezione, il disagio di un detenuto totalmente incapace di stare in quella comunità e che crea disagio a sé stesso, agli altri detenuti e alla Polizia penitenziaria.
La narrazione spesso è di complete devastazioni di intere sezioni.
Faccio questo esempio. Io sono della provincia di Cuneo e in questi ultimi mesi il carcere di Cuneo è stato molto attenzionato da questo tipo di episodi; personalmente, ho contato almeno cinque allarmi in cui il carcere era stato distrutto per più della metà della struttura.
Per fortuna, non è così. Per fortuna, sono stati episodi limitati ripeto - gravi, inaccettabili, difficili da gestire, con una problematica molto complessa per gli operatori penitenziari e per gli operatori sanitari, ma per fortuna il dato è di lettura più complessa.
Questo ci deve spingere o, almeno, deve spingere un'istituzione del territorio come il Consiglio regionale a una lettura più complicata dei fenomeni e, soprattutto, riuscire a distinguere - mi permetto di fare questa considerazione - rispetto a quelle che non lo sono, le legittime proteste non violente e di dialogo, che pure ci sono state, pure a Torino che, dal 12 luglio, vede invece una costanza di protesta, di mancati rientri in sezione, di situazioni certo illecite o, comunque, fuori dal regolamento.
Ora, un conto è la rivolta del carcere minorile di Torino, dove 60 detenuti hanno devastato gran parte dei luoghi comuni del carcere, un conto sono i 270 detenuti del padiglione B di Torino che scendono all'ora d'aria e dicono "noi non rientriamo più in sezione" restando per otto ore al sole in un quadrato di cemento, per porre all'attenzione dell'Amministrazione il sovraffollamento, la mancanza di servizi, la mancanza di medici, la mancanza di risposte della Magistratura di sorveglianza, la mancanza di risposte di un sistema che, da un certo punto di vista, non riesce a leggere in quei 73 detenuti suicidi in Italia un dato di mobilitazione forte rispetto a una condizione di detentiva, come Torino, dove 1.500 detenuti stanno in una struttura nata per 1.000 detenuti.
Inoltre, il carcere minorile, il 1° agosto, quando ha avuto la rivolta aveva 60 detenuti in gran parte minori. Ricordo che si rimane nell'Istituto penale minorile fino a 25 anni, avendo compiuto il reato da minore, per negli ultimi anni si è invertita la tendenza, perché prima erano in prevalenza giovani adulti e adesso sono per due terzi minori, spesso minori non accompagnati, che quindi non hanno reti sul territorio, non hanno famiglia, non hanno quegli agganci che possono essere utili all'Amministrazione penitenziaria per costruire appositi percorsi.
Questi 60 detenuti il 1° agosto erano nel carcere di Torino IPM Ferrante Aporti, che ha una capienza di 46 posti, 12 dei quali erano collocati a dormire sulle brandine da mare, perché di questo l'Amministrazione ha potuto fruire nell'emergenza di agosto per quei detenuti.
Ovviamente, non si può giustificare la rivolta e non si possono giustificare gli episodi gravi che sono avvenuti, ma questo è il contesto in cui sono avvenuti.
Oggi sono 42. La diminuzione dei detenuti è perché, ovviamente, molti sono stati spostati dal carcere di Torino a seguito della rivolta; la capienza è scesa, ma i posti sono 39 e, quindi, siamo in sovraffollamento anche oggi.
L'ultima chiosa che volevo fare all'inizio e che invece faccio alla fine è ricordare la questione del CPR, il Centro di corso Brunelleschi chiuso il 3 marzo 2023, anche a seguito di incidenti, incendi e proteste per una vita che dentro quella struttura è peggio che in carcere (lo dicono tutti quelli che sono passati prima in carcere e poi al CPR).
È una situazione di assoluta disperazione, perché sono persone che volenti o nolenti, vedono naufragare un progetto di vita o una speranza di vita in Occidente, con la spada di Damocle dell'espulsione.
La chiusura del CPR di Torino sta per terminare. Abbiamo avuto un incontro con la Prefettura di Torino per capire come e quando riaprirà. Ci è stato detto che molto probabilmente entro fine anno riaprirà e che sono stati eseguiti lavori di risistemazione, però sicuramente si riporrà la questione del senso e della gestione dei CPR. Sono dieci a livello nazionale ed è una minoranza estrema quella delle persone che passano nei CPR per essere poi espulse, rispetto alle 600 mila considerate irregolari sul nostro territorio. In genere, ogni anno sono 2/3.000 le persone che passano nei CPR e le condizioni di vita nei CPR sono davvero molto complicate.
Ancora una considerazione sui suicidi. C'è questa dinamica per cui anche in Piemonte abbiamo un piccolo record: negli ultimi anni abbiamo avuto tre, quattro e cinque (poi di nuovo cinque, ma quest'anno siamo già a sei) detenuti suicidi nelle carceri piemontesi.
Terminerei con una battuta che credo debba essere assolutamente fatta rispetto ai procedimenti in corso in Piemonte, in quattro istituti penitenziari su 13, relativi a violenze e contestazioni di reati di tortura. Come Garante dei detenuti, autonomamente o con l'aiuto di un avvocato pro bono (lo voglio citare perché l'avvocato Capra, Presidente della Camera penale del Piemonte e della Val d'Aosta, è stato veramente molto cortese e disponibile nei miei confronti), mi sono costituito per i fatti di Torino e per i fatti di Ivrea (intendo costituirmi anche per i fatti di Biella e di Cuneo, di cui avrete letto sui giornali), secondo la chiave che mi è propria, ossia la difesa assoluta garantista di tutti quelli coinvolti, con la richiesta che il procedimento vada veloce e che sia risolto il più facilmente possibile sotto il profilo delle questioni penitenziarie. Dall'altro punto di vista, però, è anche indispensabile la tutela dei buoni servitori dello Stato, da quelli che rischiano (in parte il processo per rito abbreviato a Torino è già arrivato a delle condanne) e quelli che non sono stati buoni servitori dello Stato.
Credo che questo lo si debba alla comunità penitenziaria e lo si debba per dare il senso della dignità, ma anche il senso della legalità nelle nostre carceri.
È un terreno delicato e complicato. Rivendico di aver mantenuto in questi anni un dialogo, una collaborazione e un confronto quotidiano anche con gli operatori penitenziari e con i sindacati di Polizia penitenziaria perché credo si debba fare, come devo dire che nella scorsa legislatura il Consiglio lo aveva anche richiesto. Come costituzione di parte civile, non senza dibattimento e contestazioni, sono stato comunque ammesso sia a Torino sia a Ivrea (vedremo poi a Cuneo e a Biella).
Termino qui perché sono passati 25 minuti.



PRESIDENTE

Ringraziamo l'Onorevole Mellano.
La seduta riprende.



(La seduta riprende alle ore 15.48)



PRESIDENTE

Apriamo il dibattito sulla relazione dell'Onorevole Mellano.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Rossi; ne ha facoltà.



ROSSI Domenico

Grazie, Presidente.
Comincio il mio intervento ringraziando il Garante Mellano. Credo che questa sarà l'ultima relazione, se non vado errato, che ascolteremo dal Garante Mellano, per cui tengo davvero a sottolineare come in questi anni abbia svolto un lavoro prezioso, non solo per le dettagliate relazioni messe a disposizione del Consiglio, che mi auguro vengano lette con attenzione dai colleghi, ma anche per il lavoro svolto sul territorio piemontese.
È riuscito a mettere in piedi una rete regionale, ha promosso una rete regionale dei Garanti comunali che fino a qualche anno fa non c'era e che credo di poter ricondurre al lavoro ottimo che ha fatto l'Onorevole Mellano. È stato anche un punto di riferimento costante e continuativo per tutti i Consiglieri regionali, sicuramente nelle ultime due legislature che in lui hanno sempre trovato un riferimento per quanto riguarda il rapporto con il complesso sistema penitenziario piemontese, trovando sempre una persona preparata, disponibile, attenta al confronto e utile anche per noi per capire come meglio muoversi. Davvero lo ringrazio per il lavoro di quest'anno e di questi anni.
Il Piemonte ha una consapevolezza diversa sul tema del carcere, anche grazie al lavoro di Bruno Mellano. Ogni anno, quando discutiamo la relazione del Garante, purtroppo non vediamo miglioramenti sulle questioni di fondo e nei numeri, alla fine, parliamo sempre di affollamento (che ormai è strutturale), sovraffollamento, problemi nell'ambito sanitario carenza di personale, aumento dei suicidi; invece in altre situazioni condizioni di alcune strutture non sempre sufficienti, se non fatiscenti.
Mi chiedo oggi, Presidente, quante volte dovremmo sentirci ripetere tutto questo, come istituzione, affinché si cominci anche a provare a risolvere alcuni di questi problemi. Il gruppo di lavoro all'interno della Commissione citato dall'Onorevole Mellano, che ringrazio per averlo fatto in realtà è stato un tentativo che andava in questa direzione: proviamo ad approfondire la questione dei problemi legati alla sanità penitenziaria visto che è in capo alla Regione, e proviamo a tirar fuori delle indicazioni concrete per la Giunta, per i decisori politici e per le ASL.
Dopo relazioni di questo tipo, il Consiglio, ma anche la Giunta dovrebbe cercare di provare a fare un elenco di cose puntuali a fianco al quale mettere anche una scadenza. Fare questo lavoro in sei mesi, un anno due anni, perché su alcune questioni si può davvero intervenire. Serve una volontà politica, serve concentrarsi su quella situazione perché, dobbiamo essere onesti: sul carcere facciamo sempre troppo poco.
Purtroppo apro una piccola parentesi politica in questa discussione, ma il carcere è una discussione profondamente politica. Per risolvere i problemi di cui stiamo parlando, occorre smettere di guardare al carcere come un luogo in cui scaricare i problemi della società e cominciare davvero a vederlo, come ci chiede la Carta Costituzionale, come un luogo di riabilitazione e di reinserimento sociale. Noi stiamo andando in una direzione opposta. Cito il disegno di legge n. 1660 recentemente approvato alla Camera e che adesso andrà in discussione al Senato, che i nostri parlamentari hanno correttamente definito un frutto avvelenato caduto dall'albero del panpenalismo.
Che cos'è il panpenalismo? È quella corrente di pensiero che crede di poter affrontare qualunque fenomeno presente nella società aumentando a dismisura il numero dei reati, aggravando le pene, aggiungo, soprattutto nei confronti dei più poveri o di chi esprime dissenso. Se andiamo in quella direzione, che è una direzione opposta a quella di cui abbiamo bisogno, i problemi di cui stiamo ragionando anche in questa sede, anche oggi, non solo non li risolveremo, ma li aggraveremo.
Faccio un esempio in riferimento al disegno di legge appena citato. C'è una norma che colpisce, e che mi auguro venga modificata nell'iter parlamentare, delle poche decine di madri detenute incinte o con figli entro un anno. Oggi c'è un obbligo di rinvio dell'esecuzione della pena.
Con questo disegno di legge si interviene dicendo che non c'è un obbligo ma è una facoltà il rinvio dell'esecuzione della pena. È come se dicessimo ai giudici: mi raccomando, se potete tenetele dentro. Si ignora così completamente il valore del bene supremo del minore.
Questa è una direzione che non ci permetterà di risolvere i problemi di cui stiamo discutendo, ma di aggravarli, perché continueremo a immaginare che mettere le persone in galera e aumentare le pene, anche in situazioni come questa - donne incinte o donne con figli di un anno - possa essere la soluzione ai problemi che pur ci sono nella nostra società.
Dobbiamo fare il contrario. Cosa fare? Basta leggere la relazione. Cito alcuni dati che, per me, sono davvero paradigmatici. Il dato più eclatante è quello relativo ai titoli di studio. Se prendete questa relazione e quelle precedenti, potete leggere: "Emerge in modo preoccupante il dato di persone analfabete o prive di titoli di studio, con un conseguente numero molto basso di persone, invece, in possesso di un titolo o di una laurea".
Praticamente più le persone hanno un titolo di studio elevato, meno vanno in carcere.
Pertanto, il primo insegnamento è che anziché aumentare le pene dobbiamo investire nella scuola, se vogliamo costruire una società alternativa, una società che ha meno bisogno di carcere. Se diciamo che vogliamo avere una società in cui c'è bisogno di meno carcere, dobbiamo investire sulla scuola e fare in modo che le persone vadano a scuola. Non lo dico io, lo dicono i dati: più è alto il titolo di studio e meno le persone vanno in carcere. Questo è il primo insegnamento che dobbiamo portare a casa.
Anche il secondo lo potete trovare nella relazione. Ci sono tantissime persone in carcere con pena da scontare inferiore a un anno. Quando parliamo di sovraffollamento, parliamo di condizioni di vita all'interno del carcere che riguardano tutti i detenuti, ma anche gli operatori, perch il sovraffollamento è un problema anche per chi lavora in carcere, non soltanto per chi è detenuto.
Non esistono delle modalità per chi è alla fine della pena o per chi ha un reato tenue con una pena inferiore? Non ci sono possibilità di promuovere pene alternative? Credo che questo gioverebbe ai detenuti e anche agli operatori.
C'è un dato che in quest'Aula abbiamo citato, ma mi colpisce perché è un dato che anche questo urla, se si legge la relazione. L'Italia detiene il primato in Europa per numero di persone detenute per violazione della normativa in materia di stupefacenti. È la più alta in Europa, con una percentuale del 34,8% che è quasi doppia rispetto alla media europea e comunque superiore a quella mondiale, che è del 21,6%.
Signori e signore, o in Italia c'è un livello di malavita legata agli stupefacenti e di consumo di stupefacenti superiore a quella mondiale e doppia dal punto vista europeo, oppure sono le nostre norme che, se paragonate a quelle degli altri paesi vicini al nostro, sono norme che spostano nel carcere la soluzione a un problema gravissimo come quello dello spaccio e anche di chi poi diventa tossicodipendente. È evidente però, che la soluzione che abbiamo trovato come sistema paese non funziona altrimenti significherebbe che tutti gli altri paesi a livello europeo e a livello mondiale stanno sbagliando. Forse è più facile farci una domanda sul nostro modo di affrontare questo tipo di reati.
Un'altra questione che credo sia importante sottolineare a commento di questa relazione è il tema dei mediatori culturali. Noi, come in tantissime altre situazioni, ci troviamo di fronte a un sistema che si evolve, con strumenti spesso obsoleti, cioè figli di una lettura di decenni fa. Noi abbiamo bisogno di aumentare la figura dei mediatori culturali all'interno delle carceri, per facilitare il lavoro di chi già lavora in carcere e per fare in modo che chi è in carcere possa, in qualche maniera, fare meglio un percorso di riabilitazione e di reinserimento sociale.
Chiudo con due questioni molto regionali.
Presidente, non ricordo se il tempo è di 10 minuti o di 15.



(Commenti fuori microfono)



ROSSI Domenico

Allora concludo, Presidente, chiedo scusa. Prendo solo un minuto e chiudo subito.
È necessario, in primis, potenziare l'ufficio dei Garanti. Noi ogni anno, come Consiglio regionale, di solito abbiamo un avanzo positivo di bilancio e credo che una parte di questo avanzo di bilancio debba andare a potenziare delle questioni specifiche che sono indicate nella relazione.
Non le riporto, perché sono già indicate, ma occorre potenziare la struttura.
Inoltre, ringrazio per il riferimento alla relazione sulla sanità penitenziaria, di cui sono stato tra i promotori nella scorsa legislatura.
Sono contenuti molti aspetti puntuali. Ne cito uno perché ho terminato il tempo, ma in ogni caso la relazione è allegata: occorre mettere in piedi un osservatorio interistituzionale dove il sistema del carcere parli con il sistema della Regione, perché le questioni vanno affrontate tra istituzioni che si parlano insieme per mettere insieme progetti comuni per i problemi che abbiamo. Fino a oggi si sono parlati troppo poco - questo ci hanno detto - quindi cominciamo a mettere in piedi l'osservatorio e tante altre cose specifiche che abbiamo indicato nella relazione e che mi auguro che la nuova Giunta possa prendere in considerazione per mettere in campo soluzioni concrete.



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Conticelli.



CONTICELLI Nadia

Grazie, Presidente.
Ringrazio il Garante per la sua, anzi, le sue relazioni, che ci mettono di fronte alla realtà più oggettiva di quello che, ormai, purtroppo quotidianamente, leggiamo sulle cronache, cioè che la situazione degli istituti di detenzione in Italia è una situazione drammatica che si trascina da mesi; sono stati ricordati sei suicidi in Piemonte, ma in tutta Italia sono 72 nel 2024 e, purtroppo, l'anno non si è ancora concluso.
Contrariamente a quanto previsto dalla nostra Costituzione, il nostro istituto di detenzione è diventato un'istituzione di tipo punitivo punitivo, però, per tutti e tutte coloro che vi si trovano all'interno: non solo le persone ristrette, ma anche i lavoratori, gli educatori. Questo ha delle cause che sono davanti ai nostri occhi da mesi, forse, anche da qualche anno e che sono cause molto concrete. Anzitutto, la carenza di personale.
Quest'estate ci sono state varie denunce e visite anche di esponenti politici e pure il Ministro è venuto in visita al carcere torinese. Mancano 200 agenti. La carenza di personale rende impossibile l'applicazione delle pene alternative alla detenzione.
Naturalmente, l'estate fa scoppiare quelli che sono problemi endemici.
Stiamo assistendo in questi giorni a una protesta tragicamente silenziosa che è quella dello sciopero della fame a staffetta delle 75 detenute. La sezione femminile, così come il resto del carcere, non ha le minime condizioni igienico-sanitarie; è infestata da topi e blatte e questo è un elemento endemico nel carcere torinese, nonostante il cospicuo intervento di manutenzione che è in atto, dove i lavori, peraltro, quest'estate erano fermi; magari, però, sono ripresi.
Dal punto di vista strutturale, il sovraffollamento porta a ospitare due persone in celle previste per una persona soltanto. È stato detto prima: nel carcere torinese ci sono dalle 500 alle 700 persone in più e questo, naturalmente, con impatti e con effetti devastanti sulla salute psicologica.
Il nostro carcere oggi non è riabilitativo. C'è l'80% di recidiva perché l'ambiente è malsano sotto tutti i punti di vista.
Il Carcere Lorusso Cotugno è stato definito come uno delle carceri più complesse in Italia, proprio non solo per il tipo di struttura che ricordiamo, era più rivolta ad ospitare i terroristi negli anni di piombo che non a riabilitare, ma anche perché qui è presente il Centro di salute mentale (l'ICAM), com'è stato ricordato, che ha una valenza sovraregionale e attira qui casi complessi anche da altre Regioni.
Le difficoltà che si trovano, rispetto alla sanità, al di fuori del carcere impattano anche all'interno del carcere, perché su alcuni percorsi ad esempio le analisi strumentali, anche chi, all'interno del carcere, deve fare esami e subisce le stesse lungaggini delle liste d'attesa. Se è già drammatico fuori dal carcere aspettare anche dieci mesi per un'ecografia all'interno del carcere diventa davvero insostenibile il dolore fisico naturalmente potenziato dal dolore di quelle condizioni di vita.
La struttura torinese è stata pilota, in Italia, per tanti progetti. Il primo polo universitario, all'interno di una struttura carceraria, è nato qui e c'è tutta una serie di esperienze, anche di inserimento lavorativo che però richiedono la possibilità di lavorare all'interno e all'esterno della struttura, ma che progressivamente vengono perse per carenza di personale, per carenza di investimenti e per una ragione già sollevata dal collega: questo Governo, in particolare, utilizza la detenzione, anche la detenzione breve, in maniera un po' demagogica.
In queste condizioni il carcere non può essere rieducativo per nessuno e non diventa neanche un deterrente. Cosa serve? Serve sicuramente una nuova struttura carceraria, non per aumentare il numero di detenuti, ma per sostituire la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno sulla quale, dal punto di vista strutturale, non si può più intervenire, perché è una struttura da abbattere; serve abbandonare la demagogia e guardare la concretezza, stessa cosa cui ci richiamavamo (perché abbiamo parlato da soli) stamattina; serve non puntare su una brutta copia del carcere con il CPR, perché tutto quello che avviene in carcere è solo peggio e quindi, se già non funziona nel carcere, non può funzionare nemmeno altrove.
Serve anche, in attesa della costruzione di un nuovo carcere - e credo che sia interesse precipuo della Regione - interloquire con il Ministro. La richiesta del nuovo carcere l'ho sentita sostenere dal Ministro in più contesti e in varie parti d'Italia, quindi vorrei capire in maniera molto concreta, essendo un po' come la questione della rete degli ospedali, dove si intende fare e con quanti fondi. Speriamo, oltretutto, che quella di Torino sia tra le strutture da rifare completamente.
Nel frattempo, però, quello che serve al più presto è una dotazione di organico decente.
Per la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno, ad esempio, anche l'Amministrazione comunale torinese ha chiesto un raddoppio della dirigenza: essendo una struttura talmente complessa, le difficoltà di organico sono a tutti i livelli, quindi anche a livelli dirigenziali.
Cosa può fare la Regione? Sicuramente la Regione può farsi parte attiva per quanto riguarda le politiche dell'abitare. Spesso, la difficoltà di mettere in atto pene alternative alla detenzione è proprio legata all'abitare, cioè a dove possono stare queste persone. Questa è una competenza della Regione.
Per quanto riguarda gli inserimenti lavorativi o i percorsi educativi o pedagogici, magari anche insieme alle amministrazioni comunali, a partire da quella dei capoluoghi delle città che ospitano strutture carcerarie, la Regione può investire progettualità e denaro.
Naturalmente ci aspettiamo che la Giunta regionale interloquisca con forza con il livello nazionale, perché questa situazione è veramente insostenibile. Non abbiamo solo le proteste, più o meno violente, delle persone detenute; abbiamo le proteste dei lavoratori, di tutti i lavoratori all'interno della struttura carceraria e del terzo settore, che lavorano con progetti a scavalco.
Su questo, abbiamo intenzione di presentare un documento.
Poiché questa mattina il Presidente Cirio ci ha spiegato che il dibattito non si fa in Aula, ma ci si parla prima e si cercano posizioni condivise, lo faccio ufficialmente in questa sede, altrimenti non saprei da dove farlo, anche se vi posso mandare un messaggino su WhatsApp. Vi ricordo che siamo Consiglieri e questo è il luogo istituzionale, ve lo dico a microfono, a verbale: se il tema v'interessa, se vogliamo costruire un documento che affronti il dolore di quelle persone, di tutte le persone compresi i lavoratori, invece di mandare il comunicato stampa dopo, vi invito a collaborare con noi alla redazione di un documento come Regione Piemonte per segnalare la nostra situazione al Governo.



PRESIDENTE

Se siete d'accordo, facciamo come sempre, alterniamo interventi di minoranza e maggioranza.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Ravello; ne ha facoltà.



RAVELLO Roberto

Grazie, Presidente.
Parto da una riflessione, quella secondo cui - credo che su questo ci si possa trovare tutti d'accordo - in un mondo ideale non ci sarebbero n carceri né garanti chiamati a lavorare per assicurare il rispetto dei diritti di chi vive recluso.
Mi scusi, Onorevole Mellano, devo agganciarmi in coda a un dibattito di questa mattina: per quanto noi siamo ottusi e autolesionisti, non siamo così ingenui o, ancor peggio, irresponsabili da non considerare che, in una democrazia compiuta, la figura dei Garanti in generale e del Garante delle persone private della libertà personale, abbiano una funzione molto importante. Ed è per questo che voglio approfittare dell'occasione per ribadire che non mettiamo in discussione l'istituto del Garante. Anzi rivendichiamo il fatto che la Regione Piemonte sia una delle Regioni con il sistema delle reti dei Garanti più avanzato d'Italia. Se non ricordo male in ogni città sede di istituto penitenziario del Piemonte vi è un Garante comunale proclamato e designato dal proprio Consiglio comunale: non credo sia così comune e così diffuso nelle altre Regioni d'Italia.
Voglio ringraziare lei, Onorevole Mellano, il suo istituto ma soprattutto, lei per il lavoro che, indiscutibilmente, da ormai più di dieci anni, svolge con oggettiva passione, altrettanto impegno e una certa dedizione che è ciò che fa la differenza nella qualità del nostro operato.
La ringraziamo anche perché ogni volta che si presenta al Consiglio regionale, offre l'occasione all'Aula di affrontare, attraverso una mole di informazioni che ci trasferisce, tutta una serie di spunti di confronto, di dibattito e anche di criticità. Ci offre in questo caso anche l'opportunità di riaffermare il fatto che respingiamo con fermezza certe risposte alle problematiche del mondo carcerario. Penso ad alcune di queste: alle depenalizzazioni, agli indulti, alle amnistie, ad alcune che definisco solo per pietà più bislacche, ma che ritengo siano decisamente gravi e pericolose, come addirittura l'abolizione degli istituti di pena per i minori, così come la definizione, l'assegnazione al carcere dell'etichetta di istituto razzista.
Questa è l'occasione non solo per prendere le distanze da certe visioni un po' grottesche - penso ad una delle ultime che ho sentito in quest'Aula quasi come se si volesse assegnare, a seconda del titolo di studio, un tipo di pena - ma anche per affermare e raccontare a chi non è così informato ciò che è stato prodotto negli ultimi 20 mesi di Governo, almeno su tre fronti, che considero principali.
Il primo è quello della sicurezza delle strutture, degli operatori e dei reclusi. Posso ricordare le 7.000 assunzioni finanziate, alle quali si aggiungono le 2.000 extra assunzioni per coprire il turnover, cosa che non era mai stata fatta prima nella Pubblica Amministrazione. Altrettanto posso ricordare l'istituzione del GIO, il Gruppo di Intervento Operativo ispirato a un modello francese che, negli ultimi dieci anni, ha ridotto sensibilmente il numero di rivolte e di tumulti interni al carcere. Gruppo specializzato formato da personale debitamente equipaggiato, ma soprattutto debitamente formato per far fronte a tutte le sfumature che si possono manifestare all'interno di una situazione critica quale quella di una rivolta carceraria. Penso, quindi, alle doti di mediazione sì, ma anche alla dotazione di equipaggiamenti necessari per sedare, entro un'ora, in ogni istituto d'Italia ogni forma di rivolta.
Penso alla risposta a un appello che lei stesso, signor Garante, ha fatto nella sua ultima relazione, quello che ha portato finalmente alla copertura delle posizioni apicali pressoché in tutti gli istituti di pena di Italia, coprendo con la figura del Comandante e la figura del Direttore una catena di comando solida e funzionale.
Il secondo fronte di cui tutti parliamo e rispetto al quale tutti siamo oggettivamente preoccupati, è quello del sovraffollamento. Intanto facciamo un'ammissione: è da quando ero adolescente che in Italia sento parlare di sovraffollamento carcerario. Ed è da quando ero adolescente che le uniche risposte che questa Nazione ha dato a questo problema sono state misure svuotacarceri. Ed è da quando ero adolescente che assistiamo a un circolo vizioso, composto da sovraffollamento e svuotacarceri, temporanea pace, ri-sovraffollamento e risvuota carceri e così via.
Di fronte a queste situazioni, sono orgoglioso di poter ricordare che negli ultimi 20 mesi, sono stati sbloccati 250 milioni di euro per l'edilizia carceraria, per recuperare entro il 2026 7.000 dei circa 10 mila posti che vengono a mancare.
Così come - e lei lo ricorda molto correttamente nell'ultima relazione i fondi per la manutenzione ordinaria sono stati portati dal Ministero da quattro a 48 milioni di euro, ovvero 12 volte tanto. Non solo: con l'ultimo Decreto carceri è stata anche nominata la figura del Commissario straordinario, chiamato proprio ad attuare in maniera celere, rispettandone i tempi, le misure di recupero delle strutture carcerarie necessarie per aumentare i posti, così come eventualmente la costruzione di nuove.
Il terzo fronte è quello della rieducazione e del reinserimento. Anche su questo non ci si è limitati a vani appelli da salotto televisivo, che sono sempre comodi e facili e forse sempre un po' meno divertenti da ascoltare, ma è stata (finalmente) completamente saturata la pianta organica dei funzionari giuridico-pedagogici.
Così come - e anche lei lo ricorda - non si può negare l'impegno straordinario della Regione Piemonte nel sostegno a tutti i progetti di formazione lavoro. Si tratta di circa tre milioni di euro e 1.134 beneficiari del Progetto Sportello Lavoro Carcere, così come i cantieri di lavoro per lavori di pubblica utilità, così come i quasi tre milioni di euro per progetti di formazione nelle carceri di detenuti adulti e minori solo nell'ultimo anno formativo.
L'ultima voce sempre legata a questa macro voce è la sanità. Credo che molto si debba agli esiti del lavoro del gruppo presieduto e coordinato dal collega Rossi, rispetto anche a quello che la Giunta regionale, superata la parentesi elettorale, ha riavviato. Penso al lavoro di potenziamento dei servizi di telemedicina nelle carceri, così come alla recentissima attivazione delle procedure per l'apertura della terza REMS Piemonte.
Signor Garante, voglio dirle, cercando di concludere e stando nei tempi, che ho apprezzato nella sua relazione - non è la prima volta che lo fa - il richiamo al concetto di comunità carceraria, a voler significare evidentemente, che gli istituti di pena sono degli organismi molto complessi, ai quali appartengono diversi portatori d'interessi, con necessità ed esigenze profondamente distanti tra loro e molto spesso purtroppo, confliggenti. Parlare di comunità carceraria credo che sia un bel salto di qualità fatto da un Garante che, per definizione, potrebbe essere chiamato ad occuparsi solo di una delle componenti di questa comunità.
Da parte mia, nel parlare di comunità carceraria, non posso non pensare a una parte essenziale che la compone. Penso alle migliaia di donne e di uomini della Polizia penitenziaria, cui è affidata una doppia responsabilità: garantire la sicurezza all'interno degli istituti di pena e di contribuire in maniera significativa alla sicurezza generale di tutta la società. A lei, certamente, deve essere riconosciuto il merito di aver sdoganato il principio secondo cui la Polizia penitenziaria è qualcosa di estraneo alle competenze e alle attenzioni del Garante.
Si potrebbe fare di meglio, certamente. Non pare essere questo il suo core business, però ha fatto un passaggio significativo, richiamandola in qualche paragrafo della sua relazione e nella sua illustrazione. Credo che questo s'inserisca in un processo finalizzato ad assegnare all'istituto del Garante sempre maggiore credibilità. Quando sento la parola "credibilità" penso sempre al Giudice Rosario Livatino, che diceva: "Quando moriremo saremo tutti giudicati, non per quanto siamo stati credenti, ma per quanto siamo stati credibili".
Credo che questo giudizio possa esserci assegnato anche nelle more della nostra dipartita. Attorno a questo concetto, però, mi permetto di sottolineare come non possa sfuggire che la credibilità di un qualunque istituto di garanzia non possa che essere proporzionale al suo equilibrio alla sua terzietà, alla sua capacità di prestare la dovuta attenzione a tutte le componenti di quella variegata comunità. È su questo punto che mi pare di cogliere qualche sbavatura.
Non è tanto l'aver voluto prendere parte, costituendosi nei processi per tortura, a carico di soggetti appartenenti al Corpo della Polizia penitenziaria (decisione assolutamente legittima), pur sottolineando come in molti casi o almeno finora questi procedimenti abbiano visto assoluzioni, derubricazione di reato, insomma, come a volte - io spero che sia così - che si sia avuta la sensazione che attorno a queste vicende si sia costruita un po' un'attenzione eccessiva e si sia montata, come dicono i miei figli, un po' troppo la panna. Dicevo, però, non è tanto questo quanto il non averlo mai fatto in nessuno degli innumerevoli procedimenti a carico della popolazione carceraria responsabile di aggressioni e violenze agli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria.
Onorevole Mellano, ci conosciamo da abbastanza tempo perché io possa serenamente trasferirle questa istanza, aspettandomi quel salto di qualità che mi attenderei dal Garante, cioè quello di saper ampliare la propria visione e di diventare davvero un istituto con la "I" maiuscola.
Lei sa, conoscendomi, che non lo faccio con polemica, ma lo faccio davvero profondamente con spirito costruttivo, perché credo in questo istituto e credo che ciascuno di noi sia chiamato a fare la propria parte per renderlo sempre più credibile.



PRESIDENTE

Grazie.
Abbiamo concesso un piccolo sforamento, come era stato concesso al collega Rossi, però chiederei di stare nei dieci minuti, se è possibile anche perché intervenite ancora in molti.
La parola alla Consigliera Marro.



MARRO Giulia

Grazie, Presidente.
Vorrei brevemente dare una risposta a questo intervento, che trovo coraggioso, ma credo sia un po' assurdo proporre di reagire alle violenze con violenza.
Le rivolte in carcere, come sappiamo, hanno una base che dobbiamo analizzare; dobbiamo intervenire per evitare che ci siano altre rivolte e non impiegare ancora soldi e denaro, facendo investimenti su agenti che dovrebbero sedare le rivolte. È un intervento che dobbiamo fare noi con Regione e ringrazio il Garante dei detenuti per il lavoro di questi anni.
Personalmente, da quando sono stata eletta, sono tanti anni che frequento il carcere. Siamo andati a visitare tante carceri dell'area piemontese, constatando la situazione al loro interno e parlando con i detenuti; vedere le celle, i bagni, le docce è davvero qualcosa di impattante che porta noi, o dovrebbe portarci tutti insieme, a trovare una soluzione, al di là del colore politico e delle ideologie.
Parliamo di sovraffollamento. Quest'estate ne abbiamo sentito parlare molto. Quello che il Governo ha dato come risposta è un disegno di legge sicurezza che aumenta le possibilità di andare in carcere. Ecco, questa non è una soluzione: bisogna cercare di curare le cause.
Probabilmente l'intervento del Consigliere Rossi sui titoli di studio è stato male interpretato: non significa che bisogna adattare le pene a seconda dei titoli di studio, ma investire sulla formazione. La popolazione che va in carcere non è omogenea, non rappresenta la società fuori; in carcere ci sono persone che non hanno riferimenti all'esterno e la maggior parte, non riuscendo ad affrontare le tante problematiche della vita sociale, finiscono in carcere.
Dobbiamo evitare che continuino a essere una discarica sociale e come istituzioni dobbiamo delle risposte affinché le persone vivano degnamente fuori e dentro il carcere.
A questo proposito, nei temi della salute c'è una questione segnalata più volte nelle visite in carcere: quando uno entra in un carcere e non ha la residenza in quella città, non può essere facilmente preso in carico dall'ASL e, soprattutto, dal SER.D. Conosciamo l'alto numero di detenuti con problematiche di tossicodipendenza che finiscono in carcere. Se davvero vogliamo che sia rieducativo, che abbia la sua funzione rieducativa, il carcere deve dare una risposta e deve riuscire a seguire tutte le persone.
Il modo in cui i detenuti stanno manifestando in questi mesi è perché sono arrivati a un punto veramente intollerabile di sopportazione delle condizioni all'interno. Certo, è molto saggio il modo in cui manifestano le donne all'interno del carcere di Torino: questo sciopero della fame a staffetta vuole tenere alta l'attenzione sulle condizioni delle carceri che non è soltanto pessima per il sovraffollamento, quindi il numero alto di persone detenute, ma anche proprio per le condizioni nelle quali vivono.
Gli educatori e il personale sanitario non riescono a stare dietro alle esigenze e questo fa sentire ancora più soli i detenuti e le detenute. Ci deve essere, anche dal punto di vista sanitario, una coerenza, a livello regionale, dei farmaci prescritti, perché ci è stato segnalato che a volte le persone cambiano di carcere e, quindi, vengono cambiate le terapie senza far fronte alle conseguenze di astinenza e di effetto fisico dovute al cambiamento di terapia.
Segnalo che al momento il carcere di Alba è in gran parte chiuso. Non è un carcere ordinario, ma una casa lavoro, nella quale ci sono persone detenute che potrebbero aver scontato la pena, ma rimangono rinchiuse perché considerate un pericolo per la società.
Ecco, una Regione nella quale vorrei essere fiera di vivere è una Regione che prenda sul serio le problematiche di queste persone e non gli imponga un'immeritata detenzione.
Vorrei ricordare un altro aspetto, sempre legato al disegno di legge proposto, quello che aumenta la possibilità di entrare in carcere.
L'Italia, rispetto ad altri paesi europei, accetta che le persone rimangano in carcere anche una settimana o un mese. Questo è assurdo nell'Unione Europea. Vi ricordo che in Spagna la detenzione è vietata per chi è condannato a meno di sei mesi e ci sono pene alternative che davvero funzionano.
Qual è il problema di stare un mese in carcere? È che una persona entra a contatto con persone che magari vivono di microcriminalità o, comunque non si può controllare con quali persone questi giovani vengono a contatto.
Si deve pensare a cosa interrompono nella vita fuori: a volte perdono il lavoro, la casa, i contatti e, dopo un mese di carcere, hanno più difficoltà a reinserirsi nella vita quotidiana.
Dobbiamo cercare di intervenire in questo senso. Certo, possiamo investire soldi nella costruzione di nuove carceri, ma il problema della recidiva rimane, per cui cosa facciamo? Continuiamo ad avere persone che entrano ed escono dal carcere e questo non ha senso.
Volevo anche fare riferimento al numero di persone straniere nelle nostre carceri. Secondo la narrazione che arriva da fuori e che leggiamo sui giornali, sembra che le nostre carceri siano piene di stranieri. In realtà, il numero di detenuti stranieri sta diminuendo in questi anni.
Certo, è concentrato maggiormente nelle carceri del Nord e quindi, a volte vediamo dei numeri molto alti, ma in realtà dobbiamo anche ricordarci che le persone straniere spesso sono rese invisibili al di fuori delle carceri e nelle nostre strade, proprio per le scelte politiche di questo Governo.
In più, vivono in condizioni molto più difficili perché non hanno rete al di fuori, sono completamente soli e abbandonati e una volta che escono dal carcere, non ci sono servizi sufficienti per garantire un reinserimento nella società.
Come abbiamo visto, grazie alla relazione del Garante, ci sono tantissimi punti da affrontare. La nostra proposta è che il Consiglio regionale istituisca una commissione sul carcere, così come avviene in Regione Lombardia, proprio perché sarebbe più semplice e con un confronto più regolare, confrontarci su queste tematiche.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la Consigliera Gancia; ne ha facoltà.



GANCIA Gianna

Inizio con i ringraziamenti doverosi all'Onorevole Mellano con cui collaboro da, ahimè, tanti anni. Ringrazio soprattutto per la dedizione nello svolgere questo ruolo.
Ringrazio anche per quanto rivendicato dal Consigliere Ravello, per quanto è stato fatto da parte del Consiglio e della Giunta nella scorsa legislatura.
Mi soffermerei su alcuni punti. Sapete quanto sono pragmatica, posso sembrare cruda, ma non lo sono. Mi sta molto a cuore il fatto che abbiamo seri problemi con persone che hanno un disagio mentale o un disagio psichiatrico. Voglio ricordare un episodio in cui lei è stato di grande aiuto e rendere partecipe l'Aula, quando fu previsto il carcere per un giovane ragazzo con problemi psichici, ma una volta incarcerato fu scarcerato perché doveva andare in una struttura, ma questa non era pronta a riceverlo e quindi si è trovato per strada. Noi ci siamo attivati perché la politica è servizio e l'avrebbe fatto chiunque di noi - ma non è che possiamo intervenire sui singoli casi.
Come hanno ribadito un po' tutti, questa mancanza oggettiva va assolutamente colmata. Dobbiamo fare in modo che ci sia una forma di persuasione affinché il disagio psichico, psichiatrico e mentale debba essere curato, ma non con il sistema carcerario, soprattutto se parliamo di reati minori.
Per quel che riguarda lo stato delle carceri italiane, purtroppo anche piemontesi, vorrei scomodare Voltaire, il quale sosteneva che il grado di civiltà delle carceri, è il grado di civiltà di un paese. Voglio porre all'attenzione dell'Onorevole e del Presidente anche il degrado culturale e morale che sta vivendo il Paese e non parlo della politica, ma di una situazione che si è venuta a creare, purtroppo, per cui certi reati non vengono quasi più presi in considerazione dall'opinione pubblica. In questo periodo storico, oggettivamente ci ritroviamo ad avere una popolazione carceraria che è degli ultimi.
Sono, per esempio, molto stupita dal fatto che certi decreto - e non sto parlando della Regione Piemonte - vengano adottati dal Governo sulla base di trasmissioni televisive. Noi abbiamo un decreto che parla di borseggiatrici, come se in Italia noi avessimo il problema di borseggiatrici, ma in realtà sappiamo bene che la televisione, che è ancora dominante in questo momento storico, fa vedere che a Milano ci sono le borseggiatrici ogni due per tre. Siamo, pertanto, in una situazione abbastanza particolare e credo di essere stata chiara.
La percezione della legalità è una percezione ancora molto basata sui quotidiani e sulle televisioni, perché sappiamo che poi i social riprendono ancora in Italia i mainstream e ancora quello. Quindi, in questo preciso momento storico i detenuti costituiscono sicuramente gli ultimi cui si dedica una particolare attenzione.
Detto questo, francamente le dico che io non mi sarei costituita parte civile - quindi sono d'accordo su questo con il collega Ravello - perch credo che anche la popolazione delle guardie carcerarie si trovi a lavorare in una situazione di estrema difficoltà. Di conseguenza, mi sembra davvero che occorra - e proprio lei, nel suo ruolo e con la sua esperienza, pu farlo - veramente creare una forma di equilibrio e continuare a fare quello che lei sta facendo, però che da guardia carceraria si possa maggiormente interagire con i detenuti. Credo che anche i numeri che ha indicato il collega Ravello possono essere confortanti.
Tutto è perfettibile e lo sappiamo, perché chiunque di noi sa che, in questo momento, c'è un problema oggettivo e ne siamo consapevoli. Quindi mi appello a lei anche per questo.
Penso anche che dovrebbe farci riflettere - l'ha detto qualcuno dei miei colleghi - il fatto che molti reati sono legati all'uso di droghe leggere e questo è un problema tutto italiano. Dovremmo pensare, forse (ma fuori dai riflettori) di fare un dibattito - che può partire dal Piemonte perché credo che il nostro essere sabaudo, in un momento di totale caos possa aiutarci - per fare in modo che chi usa droghe leggere non venga penalizzato con il carcere. Ovviamente condanno, però credo che le soluzioni adottate da tutti i paesi vicini possano esserci di aiuto. In marketing lo si chiamerebbe un benchmark, quindi un confronto.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola la Consigliera Verzella; ne ha facoltà.



VERZELLA Emanuela

Grazie, Presidente.
Ringrazio i colleghi, ma soprattutto voglio ringraziare Bruno Mellano essendo stata fortunata testimone del suo agire dal 2014, da un altro punto di vista, cioè da dirigente del CPIA.
I 13 istituti penitenziari hanno tutti al loro interno delle strutture d'istruzione e tutti i miei colleghi non hanno che da ringraziare dello sforzo, lo sforzo proattivo a favore dei ristretti in seno alla comunità carceraria. Lo ringrazio anche - e colgo l'occasione di uno spunto offertoci dal collega Ravello - per l'interlocuzione diuturna con i sindacati della polizia penitenziaria, che sono coloro che sono deputati a difendere e appoggiare le giuste istanze della Polizia penitenziaria, così come le istanze dei ristretti vengono ascoltate dal Garante che noi abbiamo nominato.
Esistono, quindi, ruoli precisi che sia i sindacati della Polizia penitenziaria, sia il Garante hanno onorato al meglio e continuano a onorare anche in seno ai processi.
Sulla relazione, che ho scorso con grande interesse, come già fatto da qualcun altro, vorrei innanzitutto porre l'accento sul lavoro di Bruno Mellano in relazione alla creazione della rete dei Garanti comunali, che va sostenuta e qualificata, anche stimolando gli uffici degli enti locali ad adeguare i loro bandi alle linee guida sulle nomine firmate da ANCI e Garante nazionale nell'agosto 2023. I Garanti nella nostra Regione vengono nominati in base a dei bandi che sono prodotti in maniera autonoma, che non sempre fanno riferimento a queste linee guida che ci siamo dati a livello di enti locali.
L'azione sinergica del Garante regionale e di quelli locali ha condotto a numerosi positivi frutti in termini di organizzazione di risposte sempre più efficienti, in un quadro che però rimane critico alle esigenze trattamentali dei ristretti, sulle quali mi voglio concentrare.
Le recidive che tanto ci preoccupano sono inversamente proporzionali all'offerta trattamentale degli istituti: istruzione statale, formazione professionale e regionale e lavoro, ciascuno per la loro distinta ma sinergica parte, hanno, come ben evidenzia la relazione, un ruolo fondamentale per la sicurezza sociale, al pari di quella assicurata dai corpi di polizia dentro e fuori dal carcere.
Il trattamento, come ben fa notare il Garante nella relazione, comincia dalle strutture; al di là dei fondati e significativi discorsi sul sovraffollamento e dei gravissimi problemi manutentivi che affliggono anche i nostri istituti di detenzione, affrontabili in linea di principio con le nuove risorse stanziate dal Governo, io, francamente, almeno nelle due carceri di cui mi sono occupata fino a giugno, ho stentato a vederli. È assolutamente necessario sostenere il Garante e i Garanti nella richiesta inevasa di ricognizione puntuale dei locali delle nostre 13 strutture insieme al PRAP.
Il PRAP non ha dato corso a questa richiesta. In tutte le nostre carceri, però, al di là dei problemi manutentivi, ci sono spazi inutilizzati, locali sottoutilizzati o male utilizzati, che potrebbero utilmente rientrare per le aree di trattamento; colloqui, lezioni, financo le attività dei cappellani, a volte, si svolgono in luoghi inadeguati o che non garantiscono la necessaria privacy e separatezza da altre attività.
Riadattare le aree e destinarle al trattamento è un primo passo per arricchire i piani d'istituto delle aree trattamentali, che spesso soffrono dei "no" dovuti alla sola mancanza di spazi: ci sono le energie, ci sono gli insegnanti, ci sono i formatori, c'è il terzo settore, ma manca il luogo dove svolgere le attività, lo spazio, l'aula, il laboratorio. Ciò in attesa, naturalmente, come sottolinea il Garante, che magari si costruiscano strutture aggiuntive da PNRR. Peccato che però dobbiamo spendere le risorse entro il 2026, quindi siamo un filo in ritardo; questo è molto importante.
C'è anche il grande discorso della ristrutturazione delle caserme dismesse per farle diventare carceri, ma forse non è la soluzione migliore.
Di carcere si muore, ci dice il Garante.
Quest'anno si chiuderà, se il trend continua, con un record tragico di suicidi, che hanno coinvolto sì i detenuti ma, come sempre viene ricordato dal nostro Garante, anche la Polizia penitenziaria. Un triste rosario di difficoltà che colpisce anche questi operatori, questi lavoratori all'interno di strutture che sono inadeguate anche alle loro esigenze personali.
Negli ultimi anni, in diverse carceri e questo lo voglio far notare, si è tornati - l'ho visto succedere ed è per questo che ve lo dico - dalla sorveglianza dinamica a quella statica di reparto. L'85% dei suicidi avviene con questa organizzazione: nel momento in cui si chiudono i reparti e si ostacola materialmente, non foss'altro, l'azione trattamentale istruzione, formazione e lavoro diventano più difficili per spazi e per tempi, perché la sorveglianza dinamica garantisce il movimento all'interno del carcere, il raggiungimento delle opportunità di lavoro e delle opportunità formative.
Dobbiamo seriamente pensare alla Polizia penitenziaria e ai suoi organici; bene che si sia garantito il turnover, ma non basta, dobbiamo fare molto di più e non lo deve fare il Garante, ma questa Regione sconsigliando al Governo di insistere su questa strada.
In carcere non soltanto si muore, cresce anche il disagio. Fanno impressione i numeri: nell'ultimo anno sono in aumento, dal 29 al 34%, le segnalazioni al Garante per disagi detentivi, eventi critici, violenze e maltrattamenti, disagi strutturali, contestazioni e rapporti di disciplina interna, problemi per le telefonate, problemi sul diritto allo studio incompatibilità ambientale, problemi di posta e ricezione pacchi. Ho voluto elencarli perché sono gli elementi che costituiscono la vita dei ristretti e ognuno di loro è importante, oltre alle difficoltà che vivono nella fase di rilascio in merito al disagio abitativo.
Proattiva deve essere la Regione - lo sollecita il Garante - nel sostenere gli sforzi degli enti locali per l'individuazione delle case di reintegrazione sociale, sulle quali il terzo settore e il volontariato sono molto attivi nella nostra regione, anche se non è corretto che si sostituiscano, e ovviamente non ce la fanno a sostituirsi in toto, a un'azione che deve essere necessariamente istituzionale.
Molti dei nostri ristretti rilasciati non sanno dove andare; molti non hanno neanche soldi per arrivare alla stazione e prendere un treno per le loro località d'origine o dove hanno un giro di amicizie o di parenti.
Per il Garante, il ruolo della Regione è basilare nell'indirizzare il suo agire con le ASL, come prescritto e come si è detto anche nel gruppo di lavoro riguardo i LEA, soprattutto per l'emergenza psichiatrica.
Non mi dilungo, essendo già stato accennato da altri colleghi, ma voglio solo fare un accenno alla telemedicina. A fine giugno mi sono resa conto dei limiti in termini di infrastrutture tecnologiche a disposizione degli istituti. Sono limiti estremi: spesso, neanche nelle aule si pu utilizzare internet, neanche sotto stretta vigilanza, perché non ci sono le bande necessarie. La telemedicina dovrebbe essere una soluzione - badate anche per certi impegni della Polizia penitenziaria, che tutte le volte deve prendere le persone e portarle fuori, sottraendo così gli agenti ad altre mansioni ed esasperando la deficienza degli organici. Non conto le volte in cui gli addetti alle aule scolastiche sono stati "girati" a fare da scorta per queste e altre motivazioni. In quel momento la scuola chiude perché l'addetto alle aule deve fare altro.
Vedete, quindi, che ci sono grandi problemi.
La telemedicina è una questione, ma avere una banda decente e controllata sotto tutti i punti di vista (tra l'altro, oggetto di protocolli tra USR e PRAP, di cui non vediamo ancora l'attuazione) è fondamentale anche nella scuola, nella formazione e nel lavoro.
In ultimo, non mettere in concorrenza nelle case carcerarie, come spesso accade, i tre aspetti che rendono il possibile recupero: istruzione lavoro e formazione.
A volte, il detenuto viene costretto a scegliere e non è costituzionale né corretto, perché sul lavoro si guadagna, ma sulla scuola si guadagna, in futuro, in termini di sicurezza.
Dobbiamo rivalutare tutta una serie di azioni intraprese per approfondirle e renderle più efficaci. In questo, la relazione del Garante ci è di guida, quindi ancora lo ringrazio.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la Consigliera Ravinale; ne ha facoltà.



RAVINALE Alice

Grazie, Presidente.
Ringrazio anch'io l'Onorevole Mellano per la sua relazione e per il lavoro svolto in questi anni, unitamente ad altri Garanti. In particolare mi piace ricordare la Garante della Città di Torino, con cui abbiamo lavorato a stretto contatto in questi anni.
I Garanti stanno, a oggi, svolgendo una funzione fondamentale: lo fanno loro, lo fanno le associazioni (penso ad Antigone in particolare) che nelle carceri ci stanno tutti i giorni, in un Paese che sta tragicamente rinunciando al perimetro costituzionale all'interno del quale dovrebbe stare l'istituto carcerario, cioè quello della rieducazione e della riabilitazione delle persone detenute.
Da quando siamo state elette più volte abbiamo visitato le carceri piemontesi, in particolare quello di Torino (l'ultima visita l'abbiamo fatta nella sezione femminile non più di due settimane fa). Nell'estate 2023 il Ministro Nordio è venuto a Torino perché nel giro di pochi giorni sono morte due donne: una si chiamava Susan Jhon (ogni tanto è bene anche ricordare i nomi e cognomi delle persone) e aveva 42 anni, l'altra si chiamava Azzurra Campari e ne aveva 28. La prima si è lasciata morire di fame e la seconda si è suicidata. Il Ministro in visita a Torino promise che, su una situazione complessa come quella del carcere Lorusso e Cutugno ci sarebbero stati investimenti e sarebbero cambiate le cose.
Non più di due settimane fa siamo tornate nel carcere di Torino: 52 donne della sezione femminile stavano facendo uno sciopero della fame a staffetta, 52 donne stavano denunciando che nulla è cambiato, che la situazione nelle carceri continua a essere insostenibile. È insostenibile per motivi legati ai presidi educativi, ai presidi di riabilitazione, al tema della salute fisica e mentale delle persone ristrette e lo è anche a fronte della situazione dell'organico.
Diceva prima il collega Ravello che abbiamo risolto i problemi: a me non risulta che a Torino siano risolti. Relativamente alla Polizia penitenziaria, se non sbaglio, mancano circa 200 persone in pianta organica e al Ferrante Aporti siamo più o meno al 50% della pianta organica riempita, soprattutto sulla Magistratura di sorveglianza, che è uno dei veri problemi drammatici in questa fase. Le persone che maturano il diritto a ottenere permessi e sconti di pena, non li ottengono perché la Magistratura di sorveglianza, a fronte del sovraccarico delle strutture non dà le risposte nei tempi in cui dovrebbe darle. Questa è una lesione ulteriore dei diritti. Abbiamo incontrato detenuti e detenute che dicono: "Noi abbiamo sbagliato e accettiamo la nostra pena, ma un conto è la pena e pagare per i reati che abbiamo commesso, un altro è essere calpestati nei nostri diritti di persone". Su questo credo che ci si debba interrogare.
La protesta delle 52 donne in sciopero della fame - e anche qui mi rivolgo agli interventi che mi hanno preceduto - è interessante. Quelle donne protestano nell'interesse dell'universo carcerario e quindi anche nell'interesse della Polizia penitenziaria, perché la contrapposizione che si crea, talvolta, ovviamente anche mediatica, è molto meno presente sicuramente non lo è nella sezione femminile del carcere di Torino.
Veniva ricordato prima la Polizia penitenziaria: sette sono gli agenti che si sono tolti la vita quest'anno e 78 sono gli agenti che si sono tolti la vita tra il 2011 e il 2022. È un'emergenza, è una situazione drammatica anche perché si tratta di persone non soltanto messe in condizione di lavorare in una sicurezza minore (perché sono pochi e poche), ma anche messe a svolgere compiti che non sono propri perché non possono essere formatori, non possono badare alla salute mentale delle persone ristrette in carcere. Questo crea situazioni di affanno totale.
Noi esprimiamo vicinanza e continueremo a far nostre le istanze giuste dei sindacati per quanto riguarda le condizioni lavorative degli agenti della Polizia penitenziaria. Tuttavia riteniamo che, come bene ha detto il Garante dei detenuti, laddove si verificano fatti gravissimi che possono essere assunti e configurati giudiziariamente addirittura all'interno del reato di tortura, non abbiamo alcun timore di dirlo e di perseguirlo. Credo che sarebbe buona cosa se la Regione valutasse la pratica di costituirsi essa stessa parte civile nei procedimenti che denotano la più grave lesione dei diritti possibili e farlo non significa certo avercela con un'istituzione.
Bene ha fatto il Garante prima, perché mi stupisce che da qualcuno venisse fatta una sottolineatura di non sufficiente ringraziamento alla Polizia penitenziaria. Mi pare che il tenore di questa discussione sia stato chiarissimo e che sia un atto di rispetto nei confronti della Polizia penitenziaria, che chiaramente è in difficoltà. Occorre sempre dire che solo alcuni sbagliano e che non si tratta dell'istituzione, ed è nel loro interesse che questo venga fatto al meglio. Dopodiché, sappiamo che il problema del sovraffollamento è la madre di tutti i problemi. Io non ripeto quanto è già stato detto su quanto la Regione potrà fare, soprattutto dal punto di vista sanitario, e cercheremo di perseguire questi obiettivi.
Noi - lo dico senza timore - crediamo che l'indulto sarebbe una soluzione da tenere in considerazione. Crediamo che sarebbe necessaria la depenalizzazione di taluni reati, in particolare quelli in materia di droga sui quali continuiamo a ragionare come se fossimo negli anni Settanta peraltro continuando a mandare in carcere persone che escono ed entrano, a loro volta sfruttate da un sistema di criminalità che, invece, prospera tranquillamente a fronte del fatto che quei prodotti continuino ad essere tutti indistintamente illeciti. Apprezzo l'apertura che proveniva dalla collega che è intervenuta prima di me. Credo che davvero sarebbe buona cosa se questo Consiglio si confrontasse per quanto riguarda le cosiddette droghe leggere, anche nell'interesse di chi oggi lavora con la canapa e rischia di essere molto danneggiato da alcuni provvedimenti.
Evidentemente questo Governo non la pensa così. Quindi, con le carceri sovraffollate, il "disegno di legge sicurezza" oggi in discussione al Senato è un disegno di legge che nuovamente torna a utilizzare il carcere come deterrenza e torna ad utilizzare il diritto penale come unica risposta, in particolare al dissenso. Questa cosa si chiama diritto penale del nemico, non ha un altro termine. Viene utilizzato il diritto penale per punire, con condanne fino a due anni di carcere, chi fa blocchi stradali chi protesta in carcere o nei CPR con condanne fino a vent'anni, chi protesta contro le grandi opere con delle aggravanti chiaramente ad hoc (questo è evidente). Carcere fino a sette anni per chi occupa una casa sfitta e solidarizza con le occupazioni; durante il question time abbiamo colto quanto sia grave il problema: 0,74% di appartamenti contro il 10% di appartamenti popolari vuoti in Piemonte. Quindici anni per resistenza attiva a pubblico ufficiale, quattro anni per resistenza passiva. La norma è già stata denominata anti-Gandhi, perché siamo ormai al ridicolo e via discorrendo.
Poi vi è un'altra cosa gravissima: il carcere immediato per le madri incinte o con figli molto piccoli, anche qui senza tenere in considerazione la persona.
Di conseguenza, continuiamo a far nostre queste istanze, continueremo ad andare nelle carceri. Continueremo a sostenere e a ringraziare i Garanti e le Garanti per il lavoro che stanno facendo, ma se nell'anno in cui c'è stato il massimo tasso di suicidi nelle carceri italiane, in cui qualunque forza politica - anche quelle che intorno a Ferragosto hanno aderito all'appello dei radicali e sono entrate nelle carceri - riconosce il problema, l'unica risposta diventa quella di aumentare le pene e aumentare i reati, sapendo perfettamente che questo non regge dal punto di vista strutturale, per cui ho l'impressione che siamo di fronte a un paradosso da cui non si uscirà facilmente.
Faccio un ultimo appunto in questo minuto e mezzo; ringrazio il dottor Mellano per aver citato il Centro di permanenza e rimpatrio di Torino.
Quella struttura riaprirà a novembre, riaprirà nonostante il Consiglio comunale di Torino e la Città di Torino abbia detto chiaramente che non è quella la funzione che quella struttura dovrebbe avere. Riaprirà, tra l'altro, all'interno di un aumento generale di queste strutture. È una struttura inutile, è una struttura disumana. Le persone entrano lì dentro senza aver commesso nessun reato. Soprattutto è un enorme dispendio di risorse pubbliche per far star male delle persone, per un tempo che è di sei mesi, perché adesso è stato anche aumentato il periodo di permanenza.
Ricordo che il tasso dei rimpatri è pari al 30%, quindi la stragrande maggioranza delle persone si fa quattro mesi a botte di psicofarmaci e poi esce e la situazione resta tale e quale a prima. Questo si sa da prima perché è noto quali sono i Paesi con cui ci sono accordi per il rimpatrio e quali no, quindi si sa che certe persone entrano lì del tutto inutilmente.
Ricordo, per la cronaca, che il bando che è uscito per l'assegnazione della gestione del CPR prevede un costo per persona pari a 163 euro al giorno. Ricordate tutti il dibattito sui 35 euro dell'accoglienza che ci ha dilettato qualche anno fa, riducendo poi a 29 euro.
Sono 163 euro al giorno più tutto il costo dell'apparato di forze dell'ordine, compreso l'esercito, che stanno lì a guardare persone che devono essere tenute recluse per il solo fatto di non avere i documenti.
Io sono comunque ottimista di natura e confido che, prima o poi, tutti insieme ci renderemo conto di quale danno sia, innanzitutto alla nostra dignità, la presenza dei CPR. Continueremo a monitorare la situazione.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Unia; ne ha facoltà.



UNIA Alberto

Grazie, Presidente.
Innanzitutto, vorrei salutare l'Onorevole Mellano, con il quale abbiamo avuto il piacere di conoscerci già tempo fa, e vorrei ringraziarlo per il lavoro svolto.
Non ripeterò quanto detto adesso dalla collega Ravinale, che condivido al 100%, anche perché non sono bravo come lei a spiegarlo, quindi è meglio che lo faccia lei, assolutamente.
Mi permetto di provare a dare un focus su un'idea che era nata ai tempi in cui mi occupavo di ambiente; grazie all'ambiente e ai rifiuti c'era un progetto di inclusione dei detenuti nei lavori socialmente utili che potevano fare all'esterno. Poi, era partita l'idea, visto che si parlava della comunità carceraria, di provare ad aprire all'interno del carcere un ambulatorio veterinario, provando a coinvolgere i detenuti come assistenti quindi cercando di dare una sorta di formazione all'interno.
Credo che se, all'interno delle carceri, si provasse a sviluppare in maniera continuativa attività interne, che sì ci sono sempre state, per sempre in maniera sporadica.
Una volta, quando ero ragazzino, mi ricordo che al Ferrante Aporti c'era la falegnameria che funzionava benissimo, dove si formavano questi ragazzi, perché non ci si limitava a tenere le persone lì in attesa che finisse la pena per poi continuare magari a delinquere, laddove poteva capitare; si cercava, invece, di dare una formazione che potesse avere un seguito.
Da parte nostra, da parte del Movimento 5 Stelle, c'è tutta la disponibilità per sedersi intorno a un tavolo, provare ad aprire una discussione seria su questo, al di là delle posizioni strettamente politiche, per cercare di trovare una soluzione e di fare in modo che non sia soltanto un momento di detenzione, ma un momento per crescere, per imparare a stare nella società, come tutti.
Ricordiamoci che siamo liberi finché non lo siamo più, nel senso che noi non sappiamo cosa ci può succedere; un attimo di debolezza, un attimo di difficoltà e tutti, tutti, ripeto, tutti possiamo finire in detenzione perché magari abbiamo sbagliato. Non sono sempre gli altri, ma magari siamo anche noi.
Credo sia il caso di riflettere su questo e pensare che, un giorno quando noi - spero di no, ovviamente - saremo dall'altra parte, forse, un minimo di possibilità in più di riprendere in mano la propria vita è il caso di provare a farlo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Magliano.



MAGLIANO Silvio

Grazie, Presidente.
Sarò velocissimo.
Innanzitutto, vorrei ringraziare il Garante, l'Onorevole Mellano per il lavoro che fa con puntualità, passione e anche con un certo tasso di oggettività rispetto a quello che vede, anche perché non l'ho mai visto non riconoscere i tentativi che venivano fatti da destra e sinistra (dal centrodestra e dal centrosinistra) quando c'era da mettere in campo delle soluzioni.
Ho avuto l'onore di fare parte della Commissione che nella scorsa legislatura ha approfondito con grande attenzione e dedizione il tema sanitario all'interno delle carceri, perché è quello di cui ci dobbiamo occupare. Una delle cose che mi colpiva particolarmente è quanto sarebbe importante portare il più possibile i medici, gli specialisti all'interno invece che prendere i carcerati o le carcerate e portare all'esterno. Si ricorda, Garante, che questa era una delle preoccupazioni che avevamo perché sguarnivamo una parte del personale che si occupa del controllo dei detenuti e, poi, perché di fatto aumentavano i costi della gestione.
Avevamo fatto un approfondimento ancora più importante sul tema psichiatrico e su quella parte del carcere. Quando si andava in visita dicevamo: "Sì, questa sezione è ridotta malissimo". Certo, perché le persone che ci vivono hanno dei comportamenti che portano, per problemi psichiatrici, a rompere gli arredi e a distruggere parte di quel posto in cui sono chiamate a stare per un periodo neanche troppo breve. Avevamo approfondito con grande attenzione questo aspetto. Forse, il tema sanitario sarà l'oggetto del nostro impegno il più possibile perché quello ci spetta.
Tante cose sono state dette e bene ha fatto il collega a ricordarle perché il Governo ha provato a mettere nuove risorse e a impegnare più persone nella pianta organica, perché di questo stiamo parlando. D'altra parte, in questo mio intervento sostengo che un ragionamento sull'aumento dei posti sia necessario farlo, anche perché siamo in infrazione sul numero di metri quadri destinati ai carcerati. Questo lo sappiamo e non da oggi però quello che ci interessa, e particolarmente a me, è provare a ragionare su quello che può accadere all'interno delle carceri, in termini di formazione e proiezione sul mercato del lavoro.
Tante volte, con il Garante abbiamo discusso delle esperienze del carcere di Bollate o del carcere di Padova, al cui interno vi sono cooperative e aziende di eccellenze che permettono ai detenuti di imparare mentre vivono in carcere, oppure di uscire dal carcere durante il giorno per poi ritornarvi a dormire.
In questo modo, si dà loro una chance di ridurre la recidiva a punti percentuali ridicoli, perché vi è la possibilità, usciti dal carcere, di guadagnarsi da vivere per sé e per quello che rimane dei propri affetti e della propria famiglia, senza tornare a delinquere.
In proposito, avevamo lavorato con grande attenzione sulla legge Smuraglia, legge varata dai precedenti Governi che permette di assumere persone che lavorano in carcere o che escono di giorno dal carcere per lavorare. Chiedevamo che questa possibilità venisse concessa anche a chi è privato della libertà, quindi a chi vive a casa propria ma ha una serie di misure che lo privano totalmente della libertà. Questo perché siamo convinti che il lavoro sia una delle prime forme con cui una persona si pu liberare da ciò che ha fatto. Noi partiamo dalla percezione che colui che si è macchiato di un reato non è il reato stesso, cioè la persona è più di quello che ha commesso e di ciò per cui è in carcere. Deve scontare la pena per il reato commesso, ma deve avere la possibilità di avere una seconda chance, anche in un'ottica di redenzione che, peraltro, fa pure parte della cultura politica dalla quale provengo.
Eravamo riusciti a ottenere dall'Assessora Chiorino una modifica attraverso un intervento, di un comma della legge che permetteva di mettere a disposizione un quantitativo importante di risorse anche per la formazione, affinché ci sia un reskilling delle competenze delle persone oggi in carcere, per permettere loro di essere appetibili per il mercato del lavoro. Sappiamo bene che il mondo del terzo settore e il mondo del no profit hanno avuto una grande stagione in carcere; un po' meno, soprattutto nel carcere di Torino, negli ultimi anni, con il susseguirsi di direttori non direttori o direttori a scavalco.
A nostro avviso, un patto tra mondo dell'impresa, mondo del terzo settore, carceri e istituzioni potrebbe garantire dove si può e con chi si decide di fare questo percorso lavorativo. A volte uno può fare un percorso di formazione che gli potrebbe dare una seconda chance, magari in tempi più lunghi, rappresentando un'eccellenza.
Su questo mi auguro che si possa, come istituzioni, copiare (perché, a volte, copiare è meglio che inventarsi modelli nuovi) da carceri che già adottano questa procedura, come Padova, Bollate o altri. Sono convinto che il nostro obiettivo, se vogliamo avere un approccio securitario, deve essere sviluppato su due elementi.
Il primo è la scuola, per far sì che i ragazzi sappiano che di certi atti ne devono rispondere, perché purtroppo siamo in una cultura in cui emerge con chiarezza la parola "diritto", ma, spesso, dovere e responsabilità non fanno parte del portato educativo e formativo delle nuove generazioni.
Il secondo è che un approccio sensato alle tematiche lavorative e all'opportunità lavorativa può diventare una forma di riscatto e, quindi di abbassamento della recidiva.
Occorre lavorare affinché non si commettano reati - questo sicuramente attraverso prevenzione e informazione, ma allo stesso modo, a mio giudizio, è importante che la gente non ne commetta perché, dopo un percorso carcerario, non ha avuto la possibilità di inserirsi in un ambito formativo e lavorativo. Gli strumenti giuridici e normativi ci sono abbiamo solo da utilizzarli, magari secondo un accordo di coprogettazione con programmatica programmazione che il codice del terzo settore, peraltro ci permette di utilizzare.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Ruzzola; ne ha facoltà.



RUZZOLA Paolo

Grazie Presidente.
Sarò estremamente sintetico, anche perché non ho intenzione di prendere il posto dell'onorevole Mellano né, tanto meno, di fare una controrelazione.
Innanzitutto voglio ringraziare il Garante, a nome del gruppo di Forza Italia, per il prezioso lavoro svolto in questi anni per la Regione Piemonte, in particolare in quest'ultimo anno: un anno molto complicato e molto faticoso per tutto quello che lei e i colleghi hanno ricordato.
Come evidenzia la sua relazione, il numero di detenuti è ulteriormente aumentato di 625 unità, con un evidente aggravamento del problema del sovraffollamento (uno dei grossi problemi che abbiamo), che crea tensioni all'interno degli istituti carcerari.
Il Piemonte è sotto la media nazionale per sovraffollamento, ma le medie raccontano spesso una verità parziale, limando gli eccessi e le criticità che anche la popolazione in stato di detenzione vive nella nostra regione. In queste settimane ho avuto modo di fare visita al Lorusso e Cutugno di Torino con il Ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo e di confrontarmi sia con una rappresentanza degli agenti di polizia giudiziaria sia con una parte della popolazione carceraria. Da un lato, è risultato chiaro che è necessario intervenire per implementare il personale che opera negli istituti, in modo da farli lavorare in maggiore sicurezza. Dall'altro, è altrettanto evidente la richiesta sociale che proviene dai detenuti, che chiede dignità di trattamento e un paracadute per quando termina il periodo di pena da scontare, al fine di non essere ostaggi di un ritorno alla criminalità, spesso per pura sopravvivenza. Sono stato colpito dalle parole di molti detenuti quando hanno detto che purtroppo, una volta finito il periodo di detenzione, non avendo un sufficiente accompagnamento per un reinserimento, ritornano velocemente in carcere.
Se abbiamo scelto un sistema penale fondato sull'umanizzazione della pena, sul reinserimento sociale e sulla rieducazione del detenuto, non possiamo mancare a questo dovere. Forza Italia sta portando avanti una battaglia di civiltà in questo senso a livello nazionale. Lo sta facendo in collaborazione con il Partito radicale che, siamo certi, si tradurrà in politiche concrete a tutti i livelli compatibili con le ristrettezze di bilancio che tutti conosciamo.
Alla certezza della pena, che consideriamo un principio sacrosanto e da difendere, dobbiamo associare percorsi realmente rieducativi e di reinserimento lavorativo che offrono non illusioni, ma una seconda occasione a chi esce dal carcere (su questo ci crediamo fortemente e crediamo si debba lavorare in tal senso). Solo così saremo garanti della sicurezza della nostra regione e del nostro Paese.
Concludo che, rispetto a quello che ho sentito da tanti colleghi, è anche altrettanto evidente che la soluzione non può essere semplicistica nel dire costruiamo carceri infinite, ma neanche quella di chiudere le carceri perché non abbiamo più bisogno che le persone vadano in carcere.
Una Consigliera faceva riferimento al diritto penale del nemico perch si è legiferato sul blocco stradale. Ma scene come ho visto in televisione di contestatori che, per sostenere le loro legittime istanze, possono permettersi di distruggere un patrimonio culturale storico unico al mondo come quello che abbiamo in Italia o bloccare intere arterie stradali impedendo alle persone di raggiungere un ospedale o un posto di lavoro, non credo sia legittimo. Va bene manifestare, ma credo che lo si debba fare nelle forme e nei modi in cui tutti siamo stati abituati.
Non credo che le soluzioni siano così facili, ma non possiamo neanche pensare, come qualche Onorevole agli onori del Parlamento europeo immagina di non mandare più nessuno in carcere. Vorremmo che così fosse, ma vivremmo in un mondo ideale, che non esiste.



PRESIDENTE

Non vi sono più richieste d'intervento.
Rinnovo il ringraziamento all'Onorevole Bruno Mellano.
Sono le ore 17.13, per cui chiuderei i lavori d'Aula e convocherei la Conferenza dei Capigruppo.
Buona serata a tutti.
La seduta è tolta.



(La seduta termina alle ore 17.13)



< torna indietro