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Dettaglio seduta n.129 del 04/03/16 - Legislatura n. X - Sedute dal 25 maggio 2014 al 25 maggio 2019

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAUS



(La seduta ha inizio alle ore 10.13)


Argomento: Immigrazione - Diritto di asilo - Profughi

"Indicazioni strategiche del Comitato delle Regioni in merito all'Agenda europea sulla migrazione"


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Questo Consiglio regionale è convocato in Assemblea aperta, ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno, per la trattazione del tema "Indicazioni strategiche del Comitato delle Regioni in merito all'Agenda europea sulla migrazione", come richiesto dall'Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (AICCRE).
Su proposta della Federazione piemontese dell'AICCRE, abbiamo deciso di convocare questa Assemblea aperta per affrontare un tema cruciale. Vogliamo oggi discutere il ruolo degli Enti locali e regionali nelle politiche di gestione dei flussi dei profughi a livello europeo.
La questione è molto complessa, anche perché il tema dell'immigrazione in generale e quello dei profughi in particolare sono estremamente urgenti e politicamente controversi. In specifico, quella che viene definita "emergenza profughi", ma che emergenza non è in quanto si tratta di un fenomeno strutturale, richiede soluzioni - appunto - strutturali.
Solo per dare un'idea delle sue dimensioni, secondo fonti UNHCR, in Europa vi sono stati, nel 2015, un milione di arrivi per mare e 3.770 morti e dispersi nel Mediterraneo.
I dati del 2016 indicato che l'80% dei profughi proviene da un gruppo di dieci Paesi cui spetta il primato a livello mondiale in tema di rifugiati. I più significativi sono, nell'ordine, Siria, Afghanistan, Iraq Iran e Pakistan.
Per venire al Piemonte, la nostra Regione ospita 7.873 richiedenti asilo, di cui 950 nel sistema SPRAR, costituito quest'ultimo dalla rete degli Enti locali.
Tuttavia, il focus del nostro dibattito - ci tengo a ribadirlo per evitare fraintendimenti - non si deve concentrare sulla questione dell'accoglienza dei profughi, ma su quale debba essere il modello di governance multilivello, relativo all'accoglienza che garantisca la rappresentatività e il ruolo degli Enti locali all'interno dei processi decisionali europei.
Noi, qui presenti, in quanto rappresentanti di Enti locali e regionali conosciamo bene i problemi di chi si trova in prima linea a fronteggiare la difficile situazione dell'accoglienza. Ne abbiamo discusso nel corso del 2015 in occasione di ben due Consigli regionali, oltre che durante il workshop, che abbiamo organizzato lo scorso 23 ottobre insieme all'AICCRE e che ha visto la partecipazione attiva di ben 40 rappresentanti di Comuni ed Enti locali da tutto il territorio regionale.
E' stato con grande soddisfazione che a fine anno abbiamo trovato le nostre istanze efficacemente espresse nel parere in merito all'Agenda europea sulla Migrazione, approvata dal Comitato delle Regioni. Per questo abbiamo deciso di proporre il documento alla discussione dell'Aula.
Il punto nodale è che l'Agenda europea sulla Migrazione esprime un impianto centralistico, che a nostro parere disapplica il principio di sussidiarietà su cui è basata la politica dell'Unione e non tiene in debito conto i poteri locali e regionali.
Questo risulta evidente su tre questioni fondamentali: la partecipazione ai processi decisionali, la disponibilità delle risorse finanziarie e l'apporto alla creazione di strutture di accoglienza e integrazione.
Il parere approvato dal Comitato delle Regioni pur apprezzando le proposte contenute nell'Agenda sottolinea come questa consideri solo marginalmente il ruolo del Enti locali e regionali nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche a medio e lungo termine.
Nel documento, il Comitato delle Regioni afferma tre punti su cui, in particolare, invito a soffermarci: che gli Enti locali dispongano di maggiori risorse finanziarie e che siano coinvolti e consultati nell'attuazione delle misure proposte dall'Unione Europea; che si attui una distinzione tra i richiedenti asilo e i migranti per motivi economici; che si potenzi la lotta contro il traffico illegale di esseri umani; che si garantisca l'accesso degli Enti locali e regionali ai fondi nazionali ed europei, come il fondo asilo-immigrazione, il fondo sociale europeo e il fondo per le frontiere esterne.
Per queste ragioni e per le ovvie ricadute su sistemi di Governo nazionale, il Comitato delle Regioni ha proposto alla Commissione europea di organizzare annualmente un momento congiunto di confronto sull'integrazione, con l'obiettivo di valutare e concertare strategie partecipate sull'integrazione dei migranti nelle diverse realtà locali.
E' importante, tra l'altro, notare come questa presa di posizione si inserisca nel dibattito più generale sui nuovi assetti della governabilità dell'Unione Europea.
Auspico che il Consiglio aperto sui contenuti del parere rappresenti un momento decisivo per valutare il sostegno e la partecipazione dei rappresentanti piemontesi al momento congiunto proposto dal Comitato delle Regioni.
Mi auguro, infine, che il dibattito consenta di giungere ad una presa di posizione da parte del Consiglio regionale affinché si faccia latore delle istanze espresse dal Comitato delle Regioni sulle strategie di integrazione dei migranti a tutti i livelli: locale, regionale, nazionale ed europeo.
Vi ringrazio per l'attenzione e auguro a tutti voi un buon lavoro.
Do una comunicazione su come si svolgerà la seduta del Consiglio aperto.
I Consiglieri che chiedono di intervenire possono parlare dal posto invece gli ospiti possono avvicinarsi al podio.
Per i saluti dalla Presidente Delegata della Consulta europea, la parola alla Vicepresidente, Daniela Ruffino.
Prego, Vicepresidente.



RUFFINO Daniela, Vicepresidente del Consiglio regionale

Grazie, Presidente, e un buongiorno all'Aula.
Parto dalle immagini quotidiane dei telegiornali che ci ricordano come il tema dei flussi migratori sia diventato anzitutto un dramma umano che coinvolge migliaia di persone, tra cui tantissime donne e bambini. Ci ricordiamo anche però l'enorme sforzo messo in campo dai cittadini italiani, dai Comuni e dai loro Sindaci per fronteggiare un'emergenza di questa portata.
Se è vero che essere accolti è un diritto, è anche giusto che chi accoglie veda garantite le proprie condizioni di vita e di sicurezza altrimenti si giunge all'assurdo: per tutelare i diritti di alcuni si fanno "fuori" (tra virgolette) i diritti i diritti di altri.
Dal 2000 al 2011 sono aumentate le denunce rispetto agli stranieri. E' indispensabile coniugare le politiche di sicurezza con quelle dell'accoglienza. Bisogna contrastare l'ingresso e il soggiorno irregolare degli stranieri, ma anche prevedere forme e fondi per l'integrazione.
Questo è un aspetto importantissimo: integrazione sociale di chi soggiorna regolarmente, per lavoro o per asilo a livello europeo, statale e anche a livello regionale.
Nel 2015, per l'accoglienza in Italia si è spesso oltre 800 milioni di euro e sappiamo che il costo medio per l'accoglienza di un richiedente asilo o rifugiato è di 35 euro al giorno.
La Commissione europea ha stanziato quasi due miliardi e mezzo di euro per i prossimi sei anni. Di questi fondi, circa 560 milioni sono riservati all'Italia: non sono sufficienti, se il problema non viene affrontato in modo strutturale da parte di tutti gli Stati membri.
L'accoglienza non può essere soltanto uno slogan politico: alle parole vanno abbinate le azioni. La nostra Regione purtroppo, rispetto alla coesione sociale, ha avuto tagli. Devo dire che in questi fondi rientrano anche quelli per mettere in campo - come dicevo prima - non solo parole, ma anche politiche concrete d'integrazione che aiutino a prevenire ghettizzazioni ed emarginazioni e che possono, a volte, costituire anche dei focolai estremamente rischiosi, che assolutamente dobbiamo evitare.
La conseguenza è quella di lasciare anche questo problema sulle spalle dei singoli Comuni, e sappiamo che tante volte abbiamo parlato in Aula di questo problema e di questa difficoltà; Comuni che sono messi a dura prova per le difficoltà che hanno nel gestire il loro territorio, e sto parlando di Comuni spesso piccoli, che hanno dato spontaneamente anche la loro disponibilità.
Credo sia importante dire, affermare e anche cercare di guardare oltre puntare in futuro a progetti di sviluppo da realizzare nei Paesi di origine dei profughi e dei migranti. Un recente convegno che si è tenuto in Sala Viglione - una mattinata molto interessante di lavori, promossa proprio dal Consiglio regionale su iniziativa dei Salesiani - ha messo in risalto l'efficacia di questa linea d'azione. Ad esempio, i progetti vanno messi in atto nei Paesi di origine e partono dal rafforzamento della formazione professionale e dell'inserimento occupazionale; poi si va alle attività formative in campo agricolo, e per le donne principalmente; poi ancora l'incremento dei centri socio-educativi, le borse di studio, i programmi di supporto scolastico e nutrizionale per i giovani a rischio.
Concludo dicendo che nessuno potrà vivere nella sicurezza, se questa società sarà attraversata da centinaia di migliaia di persone che vivono nell'insicurezza. La vera sicurezza o è di tutti coloro che abitano su un determinato territorio, o non è di nessuno.
Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Vicepresidente per l'Italia del Comitato delle Regioni Onorevole Piero Fassino.



FASSINO Piero, Comitato delle Regioni

Ringrazio dell'invito e ritengo utile un confronto sulle indicazioni strategiche che il Comitato delle Regioni ha fornito e che rappresenta un quadro di riferimento delle linee guida che dovrebbero consentire, in ogni situazione, di poter gestire in modo efficace il tema delle migrazioni.
Parto anch'io dalla considerazione che ha svolto il Presidente Laus, e cioè che siamo in presenza di un fenomeno che viene definito usualmente emergenziale, ma che in realtà non lo è, nel senso che il fenomeno migratorio ha una sua strutturalità del tutto evidente sia sotto il profilo della migrazione per ragioni economiche sia delle migrazioni legate a crisi e conflitti che, certo, producono delle emergenze, ma - come mi pare ben dimostra una riflessione su quello che succede nel Mediterraneo da quattro anni - non sono riconducibili a crisi di breve periodo facilmente componibili o risolvibili, ma invece a una situazione di criticità che si prolunga nel tempo e, prolungandosi nel tempo, sotto il profilo politico determina una strutturalità di flussi migratori.
Quindi, il primo dato con cui bisogna fare i conti credo sia questo: la strutturalità del fenomeno migratorio per ragioni economiche e il carattere, se non strutturale, certamente però di lungo periodo che hanno i flussi migratori determinati da crisi e da conflitti. Basterebbe pensare al fatto che in Siria il conflitto si protrae ormai da più di quattro anni che le turbolenze che investono il bacino del Mediterraneo sono tutte criticità con cui ormai conviviamo da tempo.
La seconda riflessione che voglio fare riguarda il rapporto tra le competenze nazionali nella gestione del fenomeno e il carattere continentale che deve avere una politica adeguata per gestire tale fenomeno. Perché è del tutto evidente che il fenomeno migratorio, così come si delinea, si configura sempre di più come un fenomeno che non può essere gestito adeguatamente soltanto sulla base delle semplici politiche nazionali. Per noi questo è del tutto evidente e dobbiamo renderlo evidente ancora di più ad altri Paesi europei, perché siamo un Paese di primo accesso ed è del tutto evidente che i flussi migratori che investono il nostro Paese non sono finalizzati ad un radicamento in Italia: una buona quota di coloro che approdano e transitano nel nostro Paese ha come obiettivo quello di radicarsi in altre realtà, il che significa appunto che si richiede una strategia di natura europea, capace di guardare all'intero spazio di Schengen come uno spazio comune (come esso è), con una gestione di questo tema in comune.
Da questo punto di vista, non possiamo che guardare con grandissima preoccupazione all'atteggiamento che una serie di Paesi hanno assunto soprattutto negli ultimi mesi, teso a rimettere in discussione lo spazio di libera circolazione, a reintrodurre sistemi di controllo alle frontiere che riducono la libera circolazione e a porre in essere una serie di barriere anche fisiche (penso ai muri che sono stati eretti, alle chiusure di frontiere che in alcuni Paesi sono state decise), che rappresentano non solo la messa in discussione dello spazio di libera circolazione e quindi la messa in discussione di un caposaldo nel processo di integrazione europea, ma mettono in discussione la concreta gestibilità del fenomeno migratorio.
Credo che questo debba essere guardato con enorme preoccupazione e si debbano mettere in campo tutte le azioni istituzionali e politiche che consentano di superare queste tendenze al ripiegamento e alla chiusura di tipo nazionale, perché ciò rende più difficile la gestione dei fenomeni migratori e scarica il problema in modo significativo su alcuni Paesi. Il caso più clamoroso è quello della Grecia, che rischia di essere uno spazio totalmente intercluso su cui si scarica un flusso migratorio dalle dimensioni drammatiche, e ovviamente questo rischia di investire in misura non meno preoccupante il nostro Paese.
Una terza questione riguarda la modifica del quadro normativo di riferimento, e mi riferisco segnatamente agli Accordi di Dublino. E' del tutto evidente, ormai, che gli Accordi di Dublino siano stati sottoscritti e stipulati in un contesto e in una situazione molto diversa da quella in cui ci troviamo oggi. Quell'intesa non solo non è adeguata a gestire flussi migratori così quantitativamente rilevanti, ma è anche incardinata su dei presupposti che si dimostrano del tutto ingestibili. In particolare, la norma che prevede che il migrante che approda debba essere ospitato e radicato nel Paese di approdo è del tutto priva di senso, perché questo significa che alcuni Paesi sono esposti a una presenza migratoria costante e continua e altri Paesi, che non sono di primo approdo, sono assolti da qualsiasi tipo di responsabilità. Con questo criterio, in Austria non arriva nessun profugo, perché prima passano in Germania, in Italia, in Ungheria e quindi, se devono stare lì, è palesemente una sciocchezza.
Naturalmente noi sappiamo bene che il fenomeno della gestione di questi flussi suscita inquietudini, preoccupazioni e allarmi nell'opinione pubblica; nessuno di noi è così cieco da non vedere la delicatezza del problema. Però questo problema non si risolve con una chiusura e un ripiegamento su se stesso di ogni Paese, ma semmai rafforzando i dispositivi comuni. Questo porta ad un altro tema delle linee guida dell'Agenda europea, che è il ruolo di Frontex e la messa in campo di un più forte meccanismo di gestione delle frontiere che sia comune. Fino ad oggi il ruolo di Frontex è stato un ruolo di monitoraggio e di intervento successivo alla gestione dei flussi.
Oggi penso che dobbiamo chiedere con molta forza - come peraltro si è incominciato a fare e alcune misure sono state già assunte in questa direzione - che la gestione delle frontiere, in particolare delle frontiere esterne, non sia scaricato soltanto sulla responsabilità dei Paesi investiti ed interessati, ma che ci sia un meccanismo di governo delle frontiere esterne che sia comune attraverso un rafforzamento di Frontex.
Altro tema è come si gestiscono coloro che approdano nei nostri Paesi e, in particolare, il tema delle tutele, delle protezioni e dell'asilo. Noi non abbiamo oggi un sistema di protezione europeo e non abbiamo soprattutto una regola comune in materia di asilo. Il fatto che il tema dell'asilo sia affidato soltanto alle politiche nazionali non solo determina difformità di normative e di legislazioni, ma rende più complicata la gestione di coloro che, approdando, vengono considerati - perché provenienti da Paesi investiti da crisi - titolari di protezione. Quindi, credo che il problema di avere un'unica normativa di asilo sia un'altra questione che va posta con grande forza e che viene indicata nelle linee guida.
Tutto questo naturalmente richiede anche la capacità di affrontare almeno altri due temi. Il primo è una regolazione della gestione della clandestinità, anch'essa affidata ad oggi soltanto a normative nazionali.
Valga ad esempio che gli accordi di riammissione sono accordi bilaterali su base nazionale.
Credo che si ponga il tema di un coinvolgimento dell'Unione Europea negli accordi di riammissione, perché un conto è se questa materia è affidata soltanto alla bilateralità - ed è obiettivamente più complessa e più debole - ma altro conto è se c'è un coinvolgimento pieno dell'Unione Europea e degli strumenti di controllo dei flussi e di regolazione dei flussi di ritorno legati alla clandestinità, che coinvolga l'Unione attraverso un suo diretto coinvolgimento negli accordi di riammissione.
L'altra questione più di fondo è una questione politica, che non attiene tanto a norme e a regole. Però noi non possiamo non vedere che negli ultimi anni, in virtù delle politiche di spending review, di austerità e di riduzione della spesa che ogni Paese ha messo in essere in una fase di crisi, tutti i Paesi, chi più chi meno, hanno sostanzialmente ridotto, in modo spesso significativo, le politiche di aiuto ai Paesi in via di sviluppo e di cooperazione con i Paesi da cui provengono i flussi migratori.
Questa è una palese contraddizione, perché - la dico in un modo molto semplice - se non vuoi che vengano tutti qui, ti dovrai porre il problema di farli vivere meglio lì! Perché l'unica cosa che non si spiega ad un uomo e ad una donna in qualsiasi parte del mondo è che se sta male, va bene così e stia male! Questo non lo spieghi a nessuno. O lo aiuti a stare meglio o cercherà di stare meglio con le energie proprie.
Quindi, il tema di come si rimette in campo una politica di cooperazione e di aiuto allo sviluppo, una politica che consenta a questi Paesi di conoscere una evoluzione economica che riduca i flussi, quanto meno i flussi per ragioni economiche, è una questione che sta davanti a noi.
Io considero un fatto politicamente significativo, ad esempio, che nell'ultima legge di stabilità del Governo italiano, per la prima volta dopo 12 anni, si sia invertita la tendenza alla riduzione delle risorse dedicate alla cooperazione e allo sviluppo e si sia tornato a investire su questo tema. E così altri Paesi hanno ricominciato a farlo, sotto l'incalzare dei flussi migratori, e credo sia saggio muoversi così.
Anche su questo piano, però, tutto questo è affidato soltanto alla bilateralità delle relazioni o c'è un investimento forte dell'Unione Europea su politiche di sostegno a questi Paesi, che consenta di favorirne un'evoluzione economica che riduca i flussi? Valga un esempio molto concreto: all'indomani della caduta del muro di Berlino, l'Europa è stata invasa da lavavetri polacchi. Oggi non ce n'è più uno! E non ce n'è più uno perché la Polonia ha conosciuto uno sviluppo economico che ha riassorbito gradualmente gran parte di quelli che, nell'immediatezza della caduta del muro di Berlino, avevano cercato ragione di vita fuori dalla Polonia.
Il tema di come si torna ad investire per sostenere lo sviluppo di questi Paesi è un tema strategico, strettamente connesso alla possibilità di gestire i flussi di chi viene qui.
Penso che questi sono i temi rilevanti che stanno davanti a noi.
Ovviamente, dentro queste linee guida, ciascun Paese deve essere in grado di mettere in campo le politiche nazionali necessarie. Noi, Paese di primo approdo, ovviamente siamo più investiti dai flussi, quindi questo è un tema di maggiore impatto nella vita del nostro Paese.
Vi è la necessità di gestire e di governare questo fenomeno in ragione tale da realizzare l'accoglienza, senza che questo determini una condizione d'allarme, di inquietudine o addirittura di competizione nei confronti delle condizioni di vita dei cittadini italiani. Da questo punto di vista il tema più rilevante è come si costruisce una politica dell'accoglienza che sia capace di ridurre gli addensamenti, perché il problema vero è questo. In questo momento i 100.000 profughi o migranti che, a rotazione insistono sul nostro Paese - perché ne arrivano e ne ripartono in continuazione, mediamente ne abbiamo una consistenza di 100.000 - sono ospitati in mille Comuni.
E' evidente che se l'accoglienza viene gravata su mille Comuni rispetto a 8.000, in quei mille Comuni si produce un addensamento che è la ragione prima dell'inquietudine, della criticità e dei problemi.
Quindi, un tema che sta davanti a noi è come avviare un piano di gestione di questo fenomeno che sia più capace di coinvolgere l'intero territorio, e coinvolgendolo con criteri di proporzionalità e di buon senso condivisi per evitare addensamenti.
Così come è un tema che riguarda la gestione delle politiche di accoglienza del Paese il superamento dell'attuale sistema fondato su un doppio canale: il canale dello SPRAR, che vede protagonisti i Comuni e che ospita circa 30.000 di quei 100.000, ma che è in grado di ospitarne molti di più, se ci si affida al meccanismo SPRAR rispetto al canale prefettizio che è stato attivato sotto l'incalzare dell'emergenza dal Ministero dell'Interno, ma che è un canale che è spesso la ragione principale delle criticità di fronte alle quali siamo nei territori in cui vengono poi distribuiti i profughi e i migranti. Un Comune che accoglie dei profughi e dei migranti, infatti, non si limita ad accoglierli: si pone il problema di gestirli. Il canale prefettizio, invece, fa dei bandi, distribuisce questi profughi e successivamente la gestione è molto più fragile e molto più debole, con tutti i problemi che questo comporta.
Il superamento di questo doppio canale, quindi, è assolutamente necessario se si vuole dare alla strategia di accoglienza e di gestione dei profughi del nostro Paese maggiore razionalità di quella che fin qui abbiamo potuto realizzare. Così come rimane non adeguatamente risolto il tema degli hub intermedi di prima accoglienza.
La strategia che è stata definita nel rapporto tra Governo e sistema degli Enti locali è fondata su tre momenti: la raccolta in mare o l'accoglienza sulle coste da parte degli Organi dello Stato; l'allocazione in hub di prima accoglienza dove determinare tutti gli screening sanitari normativi e di asilo per tutti coloro che sono arrivati; e poi la distribuzione sul territorio.
Oggi la stazione intermedia in quasi tutte le Regioni non c'è: quindi quelli che arrivano sulle coste vengono immediatamente distribuiti nei Comuni, spesso con un meccanismo piuttosto convulso, che determina una criticità di gestione.
Questo è il tema, dunque, di come si dà maggiore ordine alla gestione del fenomeno del nostro Paese, dando compimento a quel progetto che nella sua integrità ha una sua logica e una sua razionalità, ma che se non viene gestito nella sua interezza ovviamente è meno razionale e quindi esposto ad una maggiore criticità nella sua gestione quotidiana.
Vi ringrazio.



PRESIDENTE

Grazie a lei per il contributo.
La parola all'Assessore Cerutti per l'illustrazione dell'Agenda europea sulla migrazione.



CERUTTI Monica, Assessora all'immigrazione

Buongiorno a tutte e a tutti: ai nostri ospiti, ai Consiglieri e alle Consigliere.
Per la verità proverò a riprendere alcuni dei punti importanti dell'Agenda europea sulla migrazione, cercando poi di proporre dei collegamenti anche rispetto a quelle che sono, molto più modestamente, le strategie regionali.
Da questo punto di vista credo che - così come ha sottolineato inizialmente il Presidente Laus e com'è poi stato ripreso anche dall'Onorevole Fassino - la questione fondamentale sia riuscire a creare una governance multilivello, partendo dalle indicazioni europee per arrivare alle Regioni e ai Comuni, in una logica che consideri questo un fenomeno con il quale ci si deve confrontare e sul quale - mi si permetta di dire - la stessa Europa gioca la sua sopravvivenza a livello politico come entità politica.
Nell'Agenda europea sulla migrazione abbiamo come premessa - tengo a sottolineare questo - che l'Europa deve continuare ad essere un rifugio per chi teme persecuzioni e una destinazione attraente per il talento e l'intraprendenza di lavoratori, studenti e ricercatori. Abbiamo quindi già questi due aspetti, posti proprio nella premessa dell'Agenda europea sulla migrazione. Vi è poi la consapevolezza che, per giungere ad attuare questi due principi, nessuno Stato europeo è in grado di affrontare da solo la questione della migrazione. Io credo che questi due elementi-obiettivo e questa consapevolezza debbano guidare le politiche sulla migrazione.
In particolare, nell'Agenda troviamo alcune azioni immediate; io non entrerò troppo nei dettagli, però mi piace ricordarle proprio perché sono sicuramente azioni condivise fondamentali, specialmente quelle immediate.
La prima è salvare vite umane in mare; questo credo sia elemento condiviso e che debba vedere come seconda azione quella di combattere le reti criminali di trafficanti e quindi, nel momento dell'accoglienza, far fronte al gran numero di migranti in arrivo nell'Unione Europea, utilizzando anche lo strumento - che comunque stiamo vedendo faticare ad essere attuato della ricollocazione. Vediamo però che la ricollocazione stimata di circa 160.000 persone fa fatica ad essere applicata e dovrebbe prevedere la redistribuzione equilibrata con criteri ispirati alla popolazione (quindi al numero di abitanti), al PIL, alle domande di asilo fatte in modo spontaneo e al tasso di disoccupazione.
Insieme alla ricollocazione, l'altro aspetto è quello di un approccio comune sugli sfollati bisognosi di protezione, per i quali viene previsto il reinsediamento: reinsediamento, quindi, per le persone che si trovano ancora negli Stati dove hanno condizioni che non permettono loro di vivere in sicurezza e che dovrebbe prevedere, da qui al 2020, la ricollocazione nei Paesi europei di 22.000 persone.
Altra azione che ricordava nella parte finale del suo intervento l'Onorevole Fassino è quella di collaborare con i Paesi terzi per affrontare a monte la questione della migrazione: programmi di sviluppo quindi, e protezione regionale nei Paesi terzi.
Infine, occorre usare gli strumenti dell'Unione Europea per aiutare gli Stati membri in prima linea. E da questo punto di vista sappiamo che l'Italia, con la Grecia, è proprio uno dei Paesi che si trova ad essere in prima linea. Quindi nell'Agenda europea debbono essere previste delle azioni specifiche.
In particolare, ricordo che nell'Agenda viene specificata la creazione dei punti di crisi, i cosiddetti hotspot, di cui penso abbiate già avuto modo di leggere la progressiva creazione; per l'Italia se ne prevedono sei che ricordo: Augusta, Lampedusa, Porto Empedocle, Pozzallo, Taranto e Trapani. Sappiamo che anche questo elemento è in fase di attuazione. I punti di crisi dovrebbero avere l'obiettivo di condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione, rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo, in modo da permetterne la ricollocazione nei Paesi dell'Unione europea.
Da questo punto di vista, credo che queste azioni immediate, con le criticità a cui poi arriverò, permetterebbero di gestire questo fenomeno per il governo del quale, però, sempre nell'Agenda, si prevede una rivisitazione delle politiche con la scelta di mettere effettivamente in atto - questo veniva già detto - una forte politica comune europea di asilo (noi attualmente non abbiamo questo tipo di approccio, ma ogni Paese ha la sua politica di asilo), così come con la possibilità di rivedere il sistema di Dublino, per una maggiore condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri. E sappiamo che, per l'appunto in questo mese, dovrebbe essere avviata una riconsiderazione del sistema di Dublino, proprio per comprendere ciò che non sta funzionando.
L'altro elemento dell'Agenda - appunto perché, fino a questo momento stiamo parlando in particolare dei richiedenti asilo, quindi dei richiedenti protezione umanitaria - è quello di prevedere, rispetto alla migrazione economica che sappiamo essere, in molte situazioni indistinguibile dalla migrazione per problemi legati alla richiesta di rifugio, quindi di asilo, una nuova politica di migrazione legale.
Questo è un altro elemento di cui effettivamente si parla poco e che dovrebbe essere, invece, al centro delle politiche dell'Europa, proprio perché dovremmo provare a gestire bene la migrazione regolare e la politica dei visti, arrivare ad un'integrazione effettiva e massimizzare i vantaggi per lo sviluppo dei paesi d'origine.
Ho voluto ripercorrere questi punti, perché ritengo che, accanto alle azioni immediate ed alle revisioni delle politiche europee, sia fondamentale anche quest'ultimo aspetto, che nell'agenda politica ha poca dignità, ma che è fondamentale per costruire delle vere politiche d'integrazione.
Vengo, poi, alla realtà, e quindi alla difficoltà di mantenere una posizione comune, con il pericolo, addirittura, di dover rinunciare alle politiche di Schengen. Mettere in dubbio Schengen significherebbe rinunciare al progetto d'integrazione europea: questo lo dobbiamo dire perché è un altro degli aspetti fondamentali. Così come, nel superare il regolamento di Dublino, dovremmo provare a capire come, anziché presentare domanda d'asilo ai singoli Stati, possa essere presentata domanda d'asilo all'Unione Europea. Questo è un altro di quei passaggi politici che permetterebbe di costruire delle politiche integrate.
Inoltre, invece di parlare di ricollocazione nei termini che sono stati adottati finora, occorrerebbe pensare a meccanismi obbligatori per la ricollocazione delle persone all'interno degli Stati europei.
E, ancora, un'ultima questione che finora non è stata affrontata, che tra l'altro - ieri ha ripreso anche il Presidente Mattarella: il tema del pensare sempre di più - e questo nell'Agenda europea non ha ancora visto uno sviluppo - alla definizione di canali legali sicuri, cioè pensare alla creazione dei cosiddetti corridoi umanitari.
Abbiamo visto in questi giorni l'attuazione di un progetto molto concreto, portato avanti dalla comunità di Sant'Egidio, dalle Chiese Evangeliche e dalla Tavola Valdese, che ha visto arrivare in Italia delle persone, distribuite sui nostri territori. Quindi, è possibile. E' chiaro che si tratta di numeri importanti, ma questa è una strada che permette di attuare la prima azione dell'Agenda europea: salvare vite umane.
Veniamo, quindi, dopo questa rapida sintesi, all'Agenda europea ed a quello che è certamente - così come ha detto all'inizio il Presidente Laus un approccio troppo poco orientato alle comunità locali. Come Regione Piemonte stiamo ragionando su un Piano di accoglienza regionale, che preveda, in assoluta sintonia col Piano di accoglienza nazionale, la creazione dei Centri di prima accoglienza (hub) e l'orientamento a superare il doppio canale dei CAS e dello SPRAR, quindi all'accoglienza prefettizia dei Centri di Accoglienza Straordinaria, a favore del sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati, gestito direttamente dai Comuni.
Noi pensiamo che l'obiettivo che ci si è posti a livello nazionale debba essere perseguito con maggiore efficacia: abbiamo visto un nuovo bando del sistema SPRAR, che prevedeva 10.000 nuovi posti, ma in realtà sappiamo che di questi, al momento, i Comuni che si sono candidati andranno a coprirne probabilmente poco più della metà. Questo è un problema: finch non si attuano delle politiche vere di condivisione e costruzione di un sistema d'integrazione, i Comuni troveranno sicuramente difficoltà a mettersi in campo in prima persona.
Come Regione, stiamo ragionando su quello che va oltre la prima accoglienza, cioè un sistema d'integrazione che preveda anche una programmazione a medio e lungo termine, utilizzando le risorse provenienti dal Fondo asilo migrazione e integrazione, da programmare insieme al Fondo Sociale Europeo.
Questo elemento può aiutare anche i Comuni a mettersi in gioco, perch è fondamentale condividere una prima accoglienza, ma è altrettanto fondamentale pensare a ciò che avverrà rispetto ad un progetto a medio e lungo termine, che deve cercare di arrivare ad un'integrazione vera.
Ritengo che, da questo punto di vista, il lavoro da farsi sia sempre di più quello di coinvolgere le comunità locali, che possano vedere una progettualità e lavorare ad una reciproca conoscenza con le persone che arrivano nei propri territori, sapendo che queste azioni di sviluppo riguardano - sì - le persone accolte, ma possono riguardare anche le comunità locali stesse.
Occorre, pertanto - e su questo concludo - vivere il tema dell'immigrazione non solo come un problema, ma un'opportunità effettiva di crescita. L'auspicio è anche quello di un'opportunità effettiva di creazione di basi politiche vere in quella che è attualmente l'Unione Europea. Se ciascuno Stato andrà, come si sta vedendo, in ordine sparso, il rischio è che l'Unione Europea risulti incapace di proseguire come entità politica.
Mi fa piacere aver avuto, oggi, l'opportunità di discuterne, perch sicuramente dobbiamo parlare - come diceva la Vicepresidente del Consiglio regionale - di politiche concrete, ma dobbiamo anche avere presente che su questo tema si sta giocando una partita molto complessa, che riguarda anche il futuro delle nostre comunità.



PRESIDENTE

Grazie, Assessora Cerutti.
La parola al dottor Davide Rigallo, per l'illustrazione del parere della Commissione CIVEX-VI del Comitato delle Regioni da parte del Responsabile Area Immigrazione dell'AICCRE.



RIGALLO Davide, Associazione Italiana Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (AICCRE)

Presidente, Consigliere, Consiglieri e Autorità, il mio saluto e il mio ringraziamento per la possibilità che mi è offerta di illustrare questo Parere.
Comincio subito con il sottolineare il carattere fortemente critico del documento rispetto all'Agenda europea. Pur nel quadro di un suo generale apprezzamento, il testo del Parere mette in rilievo alcuni nodi critici che vanno a ripercuotersi sulla gestione concreta dei flussi migratori di profughi, sulla loro accoglienza e sulla loro integrazione.
Le criticità si snodano attraverso 53 punti: si tratta di un corpo di paragrafi complesso. Ritengo, pertanto, che debbano essere, in qualche modo, enucleati attraverso l'individuazione di linee di indirizzo.
L'impostazione fortemente critica riguarda le politiche dell'accoglienza e si appunta sia su elementi di merito dell'Agenda stessa sia sul comportamento degli Stati nell'esitante ricezione e applicazione dell'Agenda.
Per quanto riguarda l'impostazione dell'Agenda, ritengo particolarmente importante quanto espresso ai punti 41), 42) e 43), laddove è messa in discussione la sua stessa base giuridica che fa riferimento all'articolo 78 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea e, in particolare alla cosiddetta "clausola emergenziale" (che poi è il paragrafo 3), la quale conferisce un forte potere di intervento a quello che è l'organo intergovernativo per eccellenza nell'assetto dei poteri europei, ossia il Consiglio Europeo. Meglio sarebbe stato rifarsi all'articolo 80), che afferma il principio della solidarietà e dell'equa ripartizione di responsabilità nei settori dell'asilo, del controllo delle frontiere esterne dell'UE e dell'immigrazione. Solo da questa diversa opzione potrebbe, infatti, discendere un approccio differente in materia di politiche di asilo, di immigrazione e controllo delle frontiere. I tre elementi sono strettamente connessi.
Noi ci troviamo di fronte a un sistema di asilo che viene definito "comune", mentre il Parere rivendica che esso, per essere funzionante deve: 1) diventare "unitario", ossia superare le 28 differenze che intercorrono tra i sistemi di accoglienza e valutazione delle domande di asilo dei rispettivi Stati dell'Unione Europea; 2) arrivare, infine, a garantire un trattamento equo ed uniforme ai richiedenti asilo e una ripartizione degli oneri di accoglienza e di integrazione tra tutti gli Stati UE in maniera vincolante: quindi, in modo da superare la volontarietà che, invece, oggi costituisce una condizione causa di squilibri tra i vari Paesi.
Ma non c'è soltanto questo.
L'Agenda europea sulla migrazione, secondo quanto rilevato dal Parere non offre un approccio e una risposta al fenomeno dei flussi strutturali.
Rimane, cioè, confinata in una visione emergenziale, ossia in una contingenza che, se in una qualche maniera può rispondere alle criticità maggiori, non offre dispositivi di lungo termine. Non offre, cioè, la possibilità di una gestione efficace nel tempo. Questo è dovuto anche al fatto - e mi collego al punto centrale dell'Agenda, all'elemento, forse, di maggiore interesse - al non sufficiente coinvolgimento degli Enti locali: coinvolgimento che dovrebbe avvenire sia a livello politico - quindi, con una partecipazione attiva alla formazione degli atti normativi dell'Europa sia a livello economico - ossia, prevedendo risorse sufficienti in grado di garantire una risposta reale e concreta sui territori -; sia a livello operativo, cioè con una valutazione delle capacità pratiche di risposta dei Comuni e delle Regioni.
Per questo motivo viene affermato, in maniera molta perentoria, che gli Enti locali, quindi i poteri regionali e locali, sono "enti di prossimità" sulle cui amministrazioni e sulle cui popolazioni ricade il peso e l'impatto dell'accoglienza e dell'integrazione dei migranti. È opportuno pertanto, che siano coinvolti in tutte le fasi del processo di gestione del fenomeno, al fine di concertare insieme un approccio di tipo "strutturale".
Mi soffermo ancora su un punto che riguarda un'altra carenza delle politiche europee, e in particolare - e lo sottolineo - delle politiche degli Organi centrali europei. Su questo, credo vada messa in evidenza la particolarità e l'importanza di questo documento, che è espressione del Comitato delle Regioni, ossia di un organo comunitario che rappresenta i poteri regionali e i poteri locali. Le soluzioni espresse nell'Agenda sono proposte dalla Commissione e, naturalmente, risentono molto degli indirizzi del Consiglio Europeo, che ha natura intergovernativa. Non siamo infatti ancora in un assetto federale, ma in una fase di costruzione dell'integrazione europea.
Il fronte esterno rappresenta quell'altra carenza su cui si appunta criticamente il Parere del Comitato delle Regioni, perché agire sul "fronte esterno" significa capacità, da parte dell'Unione Europea, di intervenire sulle cause che muovono i flussi migratori. In particolare, questo Parere rileva che non si è ancora arrivati a una revisione delle "politiche dei visti". Questo è importante, perché i corridoi umanitari, di cui molto si parla anche in questi giorni, sono possibili laddove le domande di asilo diventino esaminabili ed eventualmente concedibili nei luoghi di origine o comunque, in luoghi di transito sicuri, prima che si arrivi nel Paese di primo approdo.
Questa soluzione era già stata presa in considerazione in vari Consigli europei. Nel primo Consiglio Europeo dell'attuale legislatura, il Consiglio di Ypres del giugno 2014, è stata espressamente considerata, ma non si è arrivati all'elaborazione di un piano pratico che la rendesse in qualche modo possibile. Questa mancata soluzione fa sì che la gestione delle richieste di asilo risulti attualmente di competenza degli Stati di primo approdo, perché con il Regolamento Dublino è previsto così.
Un'altra sollecitazione molto forte che viene da questo Parere è quella di procedere finalmente alla reciproca conoscenza tra i vari Stati delle domande di protezione che abbiano avuto esito positivo, perché c'è una mancanza di comunicazione tra i vari sistemi di asilo nazionali.
Naturalmente, i punti e le criticità sono molteplici: 53 punti mettono effettivamente in evidenza un complesso molto ricco di osservazioni, che però hanno anche una volontà proattiva nei confronti della Commissione Europea, di stimolo (com'è già stato ricordato prima) ad attivare un momento di "dialogo strutturato tra Commissione Europea ed Enti locali (Regioni e Comuni)", per valutare i piani di accoglienza e di integrazione e rendere effettiva la partecipazione degli Enti locali alla vita stessa dell'Unione Europea attraverso il Comitato delle Regioni.
Ritengo che questo sia molto importante.
È un lavoro che può essere fatto dal Consiglio regionale e dagli Enti locali, nella fattispecie dagli Enti locali piemontesi, affinché si ravvivi e si incentivi la partecipazione al Comitato delle Regioni, in modo che questo Parere, che riguarda l'immigrazione nello specifico, venga recepito come piano di lavoro per guidare la partecipazione stessa di chi avrà accesso ai lavori del "momento congiunto". Questo, naturalmente, dovrà avvenire attraverso i dispositivi legislativi nazionali che sono in essere e che regolano la partecipazione degli Enti locali al Comitato delle Regioni.
Li ringrazio.



PRESIDENTE

Grazie a lei, dottor Rigallo.
Comunico che si sono iscritti a parlare il Presidente Marrone e il Consigliere Valle. Seguiranno i rappresentanti dell'Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (AICCRE), dottor Alfonso Sabatino e dottor Michele Picciano; il rappresentante del Movimento Federalista Europeo, professor Sergio Pistone; i rappresentanti delle organizzazioni sindacali, dottor Armando Murella (UGL), dottor Lamine Sow (CGIL), dottor Paolo Pozzo (CISL); il rappresentante del Coordinamento dei Comuni per la Pace (COCOPA), dottor Edoardo Daneo; il Segretario Generale del Comitato Italiano delle Città Unite (CICU), dottor Paolo Morello. Nel frattempo, ha chiesto di intervenire anche il Consigliere Campo.
Prima di cedere la parola al Presidente Marrone, vi porto i saluti del Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, Franco Iacop, che ci ha fatto pervenire una breve nota, che recita: "La rappresentanza dalle Assemblee regionali italiane, composta da quattro membri titolari e quattro supplenti, di cui tre membri titolari in Civex, in seno alla delegazione italiana presso il Comitato delle Regioni esprime condivisione ed apprezzamento per il delicato e difficile compito affrontato dal collega Decoster per portare ad approvazione, attraverso complesse negoziazioni, il parere Agenda europea sulla migrazione.
La rappresentanza delle Assemblee legislative regionali italiane ha contribuito alla formazione del parere Agenda europea sulla migrazione sin dalle fasi iniziali di redazione, nella prima discussione, e successivamente, con emendamenti in Commissione Civex e in seduta plenaria sempre con spirito di grande collaborazione e rispetto per il lavoro del Relatore Decoster.
Di seguito si sottolineano i contributi di maggior impatto delle Assemblee regionali italiane: l'inserimento del problema dei minori non accompagnati, chiedendo che al tema venga dato adeguato rilievo dedicando risorse apposite agli Enti regionali e locali per sorvegliarli, evitare che scompaiano e che diventino oggetto di sfruttamento.
Si è ribadita la rilevanza di un'informazione corretta e supportata da dati statistici, anche attraverso una campagna di informazione della Commissione europea, diretta alle autorità locali e regionali, quale elemento chiave della comprensione del fenomeno migratorio. Allo stesso modo, rendere pubbliche le migliori pratiche e le ricadute economiche e demografiche consente di andare oltre l'emergenza e aiuta a dare una visione più positiva e di lungo periodo.
E' stata inoltre sottolineata l'importanza che, nell'ambito della revisione obbligatoria del quadro finanziario pluriennale, venga valutata l'opportunità di incrementare le risorse per l'attuazione dell'Agenda europea sulla migrazione.
E' stata sostenuta l'idea, nell'ambito delle critiche alla Commissione per non aver previsto misure specifiche per i richiedenti asilo, al fine di creare rotte sicure e legali verso l'Europa; di realizzare misure quali la creazione di un corridoio umanitario, il rilascio di un maggior numero di visti per motivi umanitari e l'apertura di centri di accoglienza nei Paesi di transito dove esaminare le domande di protezione internazionale.
Nell'ambito della proposta di incentivo di 6.000 euro garantiti ad ogni individuo ricollocato nel contesto del programma di ricollocazione e di emergenza a titolo del Fondo asilo migrazione e integrazione, si è sollecitata, per l'immediato futuro, una modifica dei relativi regolamenti per conferire alle Regioni accesso diretto al Fondo asilo migrazione e integrazione".
Questo era il contributo del Presidente Franco Iacop.
Ha chiesto la parola il Consigliere Marrone; ne ha facoltà.



MARRONE Maurizio

Volevo iniziare con un appello a lei, Presidente.
Questo è un Consiglio aperto e, quindi, un momento straordinario: dovrebbe essere un'opportunità di confronto tra il Consiglio regionale e i soggetti esterni.
Eppure, parte già con il piede sbagliato, perché l'esponente del Parlamento europeo che doveva illustrarci l'Agenda europea - Mercedes Bresso, che forse abbiamo già sentito nominare in questa sala - non c'è.



PRESIDENTE

Mi scusi - poi non la interromperò più - ma stiamo parlando di una persona assente per motivi strettamente familiari. È stata sostituita dall'Assessora Cerutti.
Tanto dovevo per dovere istituzionale.



MARRONE Maurizio

Per carità, non metto in discussione l'impedimento dell'Onorevole Bresso. Penso, però, che in Europarlamento ci siano altri Deputati, magari anche di altri schieramenti, senza dover per forza farsi sostituire, con una mescolanza fuori luogo anche di ruoli istituzionali, dall'Assessora Cerutti.
Anche perché il paradosso è che questa dovrebbe essere la risposta delle Regioni all'Unione Europea; invece ci vediamo illustrata l'Agenda europea da un esponente della Giunta regionale.



PRESIDENTE

Sono stati invitati tutti i Parlamentari europei; non posso obbligarli!



MARRONE Maurizio

Sì, ma non credo con diritto di intervento.



PRESIDENTE

Sì, sì.



MARRONE Maurizio

Mettiamola così: è una situazione un po' particolare, perché io non credo che ci sia grande rispondenza tra l'Agenda europea - soprattutto quello che l'Agenda europea annuncia - e quello che il Comitato delle Regioni ha chiesto. Poi, giusto perché così chiudo la chiosa sulla confusione del ruoli, mi fa effetto vedere il mio Sindaco, Fassino intervenire in questa sede non come "Sindaco della Città di Torino", ma proprio a nome del Comitato delle Regioni. Si vede che c'è stata un po' di confusione: sarà il periodo elettorale, forse, ad aver creato confusione nell'indicare l'ordine dei lavori e degli interventi. Capita.
A voi capita anche di frequente! Entrando nel merito, mi sarebbe piaciuto che ci fosse qualcuno dell'Europarlamento per sottolineare un aspetto: questa Agenda affronta un tema fondamentale, quello del Regolamento Dublino III, promettendo un riesame e una "eventuale" revisione del Regolamento. Il che vuol dire un riesame nel merito e l'assoluta assenza di garanzie che il Regolamento Dublino III venga rivisto e modificato. Nel Comitato delle Regioni, invece vedo una richiesta di procedere ad una "radicale" revisione del Regolamento. Passaggio non così secondario, nella misura in cui, con il Regolamento Dublino III, l'Unione Europea, come spesso fa con l'Italia nel rifilare fregature, ci ha condannato al ruolo di "filtro" - per non dire "cassonetto" - dell'enorme ondata migratoria che va verso il resto dei Paesi membri dell'Unione Europea, imponendoci immediatamente obblighi di hotspot - un modo molto modaiolo, fashion anglosassone, per dire "campi profughi", perché questo è ciò che sono gli hotspot, laddove ci sono, con drammatici episodi di cronaca che riguardano ogni tanto anche i circondari abitati di questi hotspot - senza concedere, dall'altra parte, uno straccio minimo di garanzia sulle quote vincolanti, perché vincolanti non lo sono.
E, sempre andando a vedere la citata (e non esplicata, a mio modo di vedere) Agenda europea, negli allegati vediamo le percentuali del meccanismo di ricollocazione (coloro che, per dirla in modo molto franco sono già arrivati qua e che noi ci siamo già accollati per colpa del Regolamento Dublino, che, lo ricordo, impone la permanenza del richiedente asilo nel Paese dov'è stato identificato e dove ha iniziato la pratica di richiesta di asilo).
Per chi di voi vorrà esaminare, fra i documenti allegati, la Tabella 1 vedrà che l'Italia ha una percentuale di ricollocazione - e questo dovrebbe essere il meccanismo che ci alleggerisce! - dell'11,84% del totale. Siamo terzi su 25 Paesi membri citati, subito dopo Germania e Francia. Tutti gli altri Paesi membri hanno percentuali che vanno dal 3%, grosso modo, allo zero e qualcosa per cento. E questa dovrebbe essere la garanzia per l'Italia della ricollocazione? Per non parlare del reinsediamento, rivolto a coloro che ancora devono arrivare, in termini di impegno oltre la ricollocazione, di 1.989 ogni 20.000 che arrivano.
Con una percentuale del 9,94% siamo quarti su 28 Paesi membri (quindi la graduatoria è peggiore!), solo dopo Germania, Francia e Regno Unito.
Vedete, questo lo vogliamo sottolineare in questa sede perché è ora di smettere di prendere in giro i nostri cittadini. C'è un'Unione Europea che ha deciso di agevolare una sorta di invasione a scapito dei soliti Paesi sfigati - consentitemi il termine politicamente poco tecnico - di questa Unione Europea a due marce, dove c'è sempre chi subisce e c'è sempre chi riceve i benefici.
In particolare, l'Italia, vuoi per la sua conformazione geografica e vuoi per l'assoluta assenza di peso sullo scacchiere internazionale che ha determinato le crisi che scatenano l'ondata migratoria, si ritrova ad essere il Paese semplicemente più colpito, con il paradosso, da una parte di sentire stigmatizzare quegli altri Paesi di confine, in particolare quelli dell'est Europa - che almeno ci provano a difendere i propri confini, a fronte di un completo abbandono dell'Unione Europea nella sua inesistente politica unitaria - ma, dall'altra, di lamentarsi con un leggero piagnucolio nei confronti della stessa Europa che abbandona noi esattamente come quei Paesi. Il risultato è che i Paesi che costruiscono il muro - ci riusciranno o non ci riusciranno - tentano di deviare l'ondata migratoria, e noi, così, ci becchiamo l'ondata migratoria che arriva con i barconi da sud. Adesso, tramite l'Albania, ci beccheremo anche l'ondata migratoria che arriva da est, proprio perché c'è un'Europa che subisce - in certi casi la legittima - quella che è pur sempre arroganza da parte degli Stati che alzano la voce e scarica tutto il peso e tutto l'onere sui Paesi come l'Italia, che, invece, subiscono.
Questo lo voglio dire, perché, senza voler volare troppo basso, le crisi internazionali che il Sindaco - pardon, portavoce del Comitato delle Regioni - Piero Fassino ci ha ricordato hanno delle responsabilità ben precise.
Vogliamo iniziare con le Primavere arabe del Nord Africa, che gran parte dello scacchiere politico nazionale ha salutato con grande giubilo come una ventata di democrazia e di liberalismo, quando, invece, hanno portato il Califfato, con i tagliatori di teste e quelli che imbacuccano le donne negando loro qualsiasi diritto e soggettività, a pochi metri dalle nostre coste? Vogliamo ricordare il caso della Siria? Lì il nostro Paese ha finanziato le milizie dissidenti che hanno costituito il cavallo di Troia proprio per lo stesso Califfato di tagliatori di teste. Per cui, abbiamo un Califfato che parte da lì e si allarga in Africa, addirittura, da notizie recenti, ai terreni dell'Europa nell'ex Jugoslavia, in Bosnia, con villaggi mussulmani bosniaci che innalzano la bandiera nera del Califfato.
Vogliamo ricordare, per esempio, l'ostilità che viene mossa da molti Paesi europei occidentali nei confronti della Russia, che si è dimostrata l'unico Paese ad essere intervenuto militarmente in Siria per frenare il Califfato, dopo mesi di inconcludenza di una coalizione che con una mano combatte il Califfato e con l'altra lo aiuta indirettamente tramite altre milizie islamiste loro alleate? Vogliamo parlare dell'isolamento con cui sono stati trattati i Governi laici del Nord Africa, come quello egiziano di Al Sisi, o quello parlamentare eletto dal popolo di Tobruch in Libia, che abbiamo costretto a scendere a patti con gli islamisti di Tripoli? Perché, se vogliamo volare alto, queste cose ce le dobbiamo dire, perché i meccanismi internazionali non avvengono a caso, avvengono secondo dinamiche ben precise, su cui anche il nostro Paese, pur nella sua inconsistenza sullo scenario politico internazionale, un minimo di responsabilità quantomeno per la sua posizione strategica e militare ce l'ha.
Arrivando più al concreto, noi non possiamo accontentarci di commentare un'Agenda europea sulla migrazione; dobbiamo ricordarci anche le responsabilità politiche territoriali di quest'Aula e di chi, ciascuno con il suo ruolo, vi siede all'interno, a partire dal ruolo di coordinamento.
Vogliamo ricordare il fatto che le Prefetture hanno completa mano libera nell'individuare i lotti dove infilare gli immigrati, trattando privatamente con cooperative e assolutamente scavalcando, volendo, Sindaci e anche Presidenti di Circoscrizione in città come il capoluogo di Torino? Questo è un passaggio inammissibile, così come comuni minuscoli con frazioni da 180 persone si ritrovino 60 immigrati in un ex hotel, come a Villar Pellice, con inevitabili situazioni di tensione, come le risse sui mezzi pubblici, che sono insufficienti per una massa di persone simili.
Vogliamo ricordare, per esempio, che nel momento in cui si sta già sviluppando un business profughi con le solite cooperative coinvolte - mi spiace che il Sindaco Fassino ci abbia già abbandonato, e mi avvio alla conclusione - non si ricordi che per due anni e mezzo il Comune di Torino eludendo il divieto di frazionamento degli appalti, ha conferito con affidamenti diretti sempre al solito circuito di cooperative e associazioni l'accoglienza profughi e che ha adottato un sistema di evidenza pubblica solo dopo essere stato richiamato dall'Autorità Nazionale Anticorruzione a farlo.
Queste cose ce le vogliamo dire? Ci vogliamo dire che il Vice Sindaco del Capoluogo interpellato su quali fossero e quanti fossero i pregiudicati o i richiedenti asilo con precedenti penali che attualmente beneficiano dell'accoglienza comunale ha risposto di non averne la più pallida idea perché non ha i dati delle Questure? Vogliamo dire che quasi un terzo degli immigrati arrivati qui sono dei fantasmi perché, sperando che andassero abusivamente oltralpe, non sono stati identificati? Cosa per cui siamo stati richiamati dall'Unione Europea che, per quell'unica volta, forse, un po' di ragione effettivamente ce l'ha! - e da cui derivano i rischi di infiltrazione, anche terroristica perché non il Consigliere Marrone, ma i servizi segreti del Regno Unito, i Governi di Libia e di Egitto ci dicono che sui barconi ci sono jihadisti infiltrati per fomentare cellule. Ma noi tutto questo non lo diciamo perch per volare alto - per carità, è politicamente scorretto - non si dice.
Concludo con un elemento: di fronte alla poltrona vuota del Sindaco Fassino - che è intervenuto in questa sede e non si è nemmeno degnato di ascoltare la fine del dibattito, forse c'erano altri impegni di campagna elettorale incipienti - faccio presente che il Sindaco non ricorda un elemento, ovvero l'insostenibilità, anche in termini di costi di welfare di questa accoglienza dello SPRAR che pesa sulla città, perché io avrei potuto...



(Il Presidente ricorda al Consigliere che il tempo a disposizione è terminato)



MARRONE Maurizio

Sto concludendo, Presidente, è veramente l'ultimo punto.
Avrei potuto ricordargli la pagina welfare del bilancio del Capoluogo del 2015, l'ultimo appena passato - vedremo nel previsionale del 2016 dove, a fronte di un taglio - e ce n'è anche per la Regione, perché deriva altresì da mancati finanziamenti regionali (i due milioni per l'assistenza ad anziani e disabili) - di 1,6 milioni - questo è un taglio solo comunale sulle risorse destinate agli adulti in difficoltà, ai senzatetto e alle famiglie in crisi di reddito, abbiamo invece un'unica voce in attivo.
Sapete qual è l'unica voce in attivo? Quella dei posti SPRAR, perché non è vero che lo SPRAR viene pagato solo con fondi nazionali e internazionali infatti c'è una quota di compartecipazione del Comune di Torino.
Quindi, la nostra Città ha tagliato su tutte le voci del welfare badate bene, anche quelle degli stranieri regolarmente integrati con permesso di soggiorno ma non richiedenti asilo - tranne 800 mila euro - che è quasi un milione, in un anno - di compartecipazione comunale ai progetti SPRAR.
Questi 800 mila euro sono gli 800 mila euro che non sono stati dati agli anziani, bisognosi di assistenza domiciliare, ai gravi disabili, che sono stati tagliati in buoni trasporto - quelli sono quei soldi, non sono altri! Concludo con una frase: spesso ci viene rimproverato di cavalcare una supposta guerra tra poveri; invece, vedete, nel cercare di riequilibrare un welfare, che voi avete trasformato razzista al contrario, si cerca proprio di disinnescare questa guerra, perché noi abbiamo una periferia rossa come il fuoco, dove di sicuro non c'è alcun rischio di conservatorismo o di ideologia xenofoba, dove, invece, il razzismo si sta insinuando proprio per la rabbia nei confronti di queste sperequazioni nel welfare.
Sa cosa le dico, Presidente? Che noi questa guerra tra poveri non la vogliamo, vogliamo evitarla e convincervi a smetterla con questo doppio binario di welfare incomprensibilmente privilegiato in un senso e di graduatorie infinite nell'altro; però vi diciamo anche che, se voi seguitate in questa incomprensibile guerra tra poveri italiani e poveri stranieri, al netto di business che qui a Torino di sicuro non ci interessano, sappiamo da che parte stare.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Marrone. Le faccio notare che le ho regalato tre minuti.
Consigliere Marrone, l'Onorevole Piero Fassino è stato invitato non perché Sindaco ma perché Vice Presidente nazionale del Comitato delle Regioni. Capisco che per lei è un problema, però...



(Commenti del Consigliere Marrone)



PRESIDENTE

Detto questo, do la parola al dottor Michele Picciano, Presidente nazionale dell'AICCRE.



PICCIANO Michele, Associazione Italiana Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (AICCRE)

Grazie, Presidente.
Non sono ringraziamenti di facciata, ma sentiti, perché questa opportunità rappresenta - non solo per voi, ma per noi, quali rappresentanti di un'associazione che, come lei sa, è importante, con sessant'anni di storia - un momento di sintesi e di confronto per tutte le cose che noi abbiamo fatto, che stiamo facendo e che dobbiamo fare.
Ringrazio lei, ringrazio l'intero Consiglio regionale, le autorità presenti, i rappresentanti delle altre associazioni federaliste, le gentili signore e gentili signori presenti. Confrontarsi su una tematica importante come quella dell'immigrazione, dell'asilo e dell'accoglienza significa fare riferimento ad una politica di indicazione e di confronto per quanto riguarda il welfare.
Si tratta di un'iniziativa che è stata fortemente voluta, in modo particolare dall'AICCRE-Piemonte, con la rappresentanza del dottor Sabatino, del dottor Rigallo e degli altri amici che rappresentano la nostra associazione, che oggi andrà anche a congresso per rivedere gli organi rappresentativi.
Lei è il Presidente di AICCRE-Piemonte e conosce le battaglie che noi continuamente stiamo portando a compimento; quindi, un welfare non più settoriale, ma un welfare che va a incidere con uno scibile indicativo di proposte, di suggerimenti anche di confronti legislativi. Un nuovo welfare che si diceva anche negli ultimi interventi, che va ad inglobare le politiche dell'istruzione, le politiche della formazione professionale, le politiche attive del lavoro per chiudere lo stesso cerchio politico istituzionale con le politiche sociali. E all'interno delle stesse, noi come Enti locali, ma anche in vista della stagione delle riforme che vede protagonisti non solo gli Enti locali e le Regioni, le Province fino a quando ci saranno, andiamo a confrontarci su un sistema di funzioni che dallo Stato passano alle Regioni, dalle Regioni agli Enti locali attivando il sistema delle autonomie locali, per applicare due principi fondamentali della nostra Costituzione, che sono quelli della solidarietà e quelli della sussidiarietà.
Quindi, più spazio agli Enti locali come rappresentanza e rappresentatività, come punto di riferimento per i cittadini, per avere risposte in tempi immediati in efficienza e in efficacia.
L'iniziativa del Comitato delle Regioni di intervenire sull'Agenda europea sulla migrazione è importante; soprattutto sono rilevanti le indicazioni strategiche che esso porta avanti, quindi, il ruolo degli Enti locali e regionali.
La nostra associazione, anche d'intesa con le altre, con l'ANCI, con l'UPI fino a quando ci saranno le Province, ma in modo particolare con il CINSEDO e con il Comitato delle Regioni, è rappresentativa di questi organismi e di queste istituzioni per quanto riguarda le politiche europee.
Quindi ruolo degli Enti locali è decisivo sull'accoglienza, soprattutto sull'inclusione dei migranti nei nuovi contesti sociali. I nuovi contesti sociali, per noi, sono rappresentativi e decisivi e riguardano il lavoro riguardano la casa, riguardano la scuola. A ciò occorre aggiungere l'opera dei mediatori culturali, l'opera del mondo importante e fondamentale quale quello dell'associazionismo, che è volto a comprendere il contesto di provenienza dei migranti e spiegare loro il nuovo contesto ospitante a tutti gli effetti.
Noi, come Italia, facciamo la nostra parte; noi, come associazione vogliamo essere il punto di riferimento, di raccordo e di assistenza perché non bisogna integrarli e nello stesso tempo pensare solo a un problema di lingua, ma pensare a tutte le necessità che impongono non solo le emergenze che continuano ad essere, almeno per il nostro Paese impellenti. Dove arrivano, la prima tappa si può dire che è in Italia a tutti gli effetti, dove trovano pronte le Istituzioni, ma in modo particolare il raccordo con il Ministero dell'Interno e quindi con il Governo sul territorio.
L'AICCRE è pronta a condurre un'opera di accompagnamento dell'intervento dei Comuni e delle Regioni sulle tematiche dell'immigrazione ed è soprattutto disponibile. Questo è uno dei momenti culmine e fondamentali, come dicevo, di rappresentanza e di rappresentatività, dando la disponibilità nell'assistenza, al rapporto con il Comitato delle Regioni, organismo che rappresenta il punto di arrivo di una rivendicazione storica della nostra associazione, che solo con il trattato di Maastricht ha trovato l'accoglienza delle Istituzioni dell'Unione Europea. Quindi, l'assistenza della nostra associazione.
L'assistenza dell'AICCRE si inserisce in un'altra iniziativa legislativa forte che c'è stata negli anni passati: mi riferisco alla legge n. 234 del 2012, che contiene le norme generali di partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione normativa delle politiche dell'Unione Europea, la cui importanza spesso non viene considerata dal sistema dei poteri locali e regionali italiani.
Noi chiediamo, anzitutto, all'interno di un organismo fondamentale previsto dalla legge n. 234 - mi riferisco alla Conferenza Stato-Città dove almeno ogni anno vi sono due sessioni importanti, che riguardano le politiche dell'Unione Europea, la rappresentatività ed il ruolo degli Enti locali, con un'incidenza diretta, con un ruolo fondamentale - che vengano accorciate le distanze per quanto riguarda la progettualità, quindi anche la possibilità di dare agli Enti locali la partecipazione diretta agli stessi, non con le varie fasi che devono avere i Comuni, il Governo, il Comitato delle Regioni e poi la Commissione europea.
L'AICCRE vuole accompagnare questo processo di semplificazione istituzionale verso i Comuni e in modo particolare. Non c'è in questo momento il Presidente Laus, ma vorrei ringraziarlo, dicendo che credo che questo luogo, Assemblea legislativa che è il punto di riferimento più importante per una comunità, quale più alto luogo rappresentativo della rappresentanza politico-istituzionale, se non l'ha elaborata, senz'altro vorrà elaborare una legge regionale sulla partecipazione del Consiglio alla formazione degli atti normativi dell'Unione Europea, recependo le direttive della legge n. 234.
Credo che attraverso l'informazione, la partecipazione, ma in modo particolare attraverso il coinvolgimento di altri organismi che possono essere rappresentati dai CAL e, quindi, dall'intervento del Settore delle autonomie locali, senz'altro anche noi possiamo fare la nostra parte.
Come ho detto all'inizio, ci candidiamo a livello nazionale, come AICCRE, ma ci candidiamo a livello regionale, come AICCRE regionale anche all'indomani del nostro Congresso che avremo nel pomeriggio, per dare la nostra assistenza tecnica, per offrire la nostra collaborazione, per mettere a disposizione, così come ha fatto il dottor Rigallo, con la sua provata esperienza in un settore strategico importante, come quello dell'immigrazione, i nostri tecnici e i nostri consulenti che operano a costo zero nell'interesse dell'associazione, per far crescere questa Regione e, aggiungo, in qualità di rappresentante nazionale di quest'Associazione, di far crescere la nostra Nazione e di far crescere la bella Italia.
Grazie e auguri di buon lavoro.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE RUFFINO



PRESIDENTE

Ringrazio per l'intervento il dottor Michele Picciano.
Chiedo a chi interviene di immaginare che il Consiglio termina alle ore 13. Quindi, senza voler assolutamente imporre un contenimento dei tempi, ma volendo veramente che tutti i presenti possano intervenire, vorrei che questa possibilità fosse garantita a chi è ancora in elenco. Grazie.
La parola al Consigliere Valle.



VALLE Daniele

Grazie, Presidente.
Ci proverò senz'altro.
Devo dire che sono pochine le cose con cui riesco a concordare dell'intervento del Consigliere Marrone, però una invece la voglio riprendere, perché penso che manchi dal dibattito pubblico di questi giorni. Mi riferisco alla totale assenza o, comunque, dimenticanza e sottovalutazione delle questioni di politica internazionale nel dibattito pubblico politico, sia a livello nazionale, sia interno ai partiti.
Se penso all'attenzione con cui le questioni fuori dall'Italia venivano seguite dieci o vent'anni fa, se penso al momento della guerra in Kosovo che ha significato per molti di noi una grande mobilitazione, una grande partecipazione e una grande attenzione a quello che veniva fuori dall'Italia, oggi tutto questo non c'è più: il nostro dibattito è tutto ripiegato all'interno. Qualche volta riusciamo a occuparci di Europa, ma solo e soltanto in virtù delle ripercussioni che le azioni dell'Europa hanno sul nostro territorio e sul nostro vivere cittadino.
Questa ossessione per le questioni territoriali che ha contraddistinto gli ultimi anni di dibattito pubblico ci ha resi ciechi e completamente disinteressati a tutto quello che accade fuori da noi, e penso che si trovi lì una delle grandi ragioni per cui noi riusciamo ad affrontare poco e male anche la questione delle migrazioni internazionali.
L'Agenda dell'Unione Europea si fissa degli obiettivi e degli interventi sicuramente condivisibili, rispetto ai quali è difficile muovere critiche, anche per il livello di genericità su cui l'Agenda stessa si situa. Contrastare l'immigrazione irregolare, cercare di sigillare le frontiere con azioni comuni, andare verso un timido sistema di richiesta di asilo comune, governare il processo di ricollocazione sul territorio cercare di rigovernare la migrazione legale e quindi cercare di costruire dei meccanismi che ci garantiscano quella mano d'opera qualificata in quei settori in cui ci serve e di cui abbiamo sicuramente bisogno: sono tutti obiettivi che noi senz'altro possiamo condividere.
Comprendo solo in parte la critica che ho sentito provenire da più parti rispetto al mancato coinvolgimento nell'Agenda, in particolare, delle Regioni e degli Enti locali. Proprio in virtù del principio di sussidiarietà, io vedo il contrario, cioè vedo che tocca agli Stati nazionali decidere quale livello di coinvolgimento dedicare a quali dei loro Enti locali, tra l'altro in un contesto come quello europeo, dove Comuni, Dipartimenti, Province e Regioni hanno competenze e anche dimensioni molto diverse tra loro. Quindi, tutto sommato, vedo bene che siano gli Stati a decidere chi fa cosa al loro interno, e l'Italia l'ha fatto, almeno per quello che riguarda il sistema SPRAR.
Non tanto l'altra metà del cielo, cioè il canale prefettizio di cui parlava prima, ma almeno per il sistema SPRAR l'Italia ha fatto questo: ha individuato delle competenze chiare delle Regioni, ha chiamato in causa i Comuni e le comunità locali, ha chiamato in causa - dando vera concretezza al principio di sussidiarietà - anche e soprattutto l'associazionismo e il terzo settore, non fermandosi soltanto al pubblico (come, secondo me, è decisamente opportuno aver fatto).
L'Agenda richiama anche gli Stati a due forme di solidarietà importanti nella costruzione europea: da una parte la solidarietà tra Stati, per cui chi è fuori (sostanzialmente per ragioni geografiche) dal fenomeno non pu esimersi né dalla strada della ricollocazione né dalla strada della contribuzione economica alle spese a cui alcuni di questi Stati - l'Italia in particolare, la Grecia è già stata ricordata prima - sono fortemente richiamati; ma, dall'altra parte, anche la solidarietà con le persone.
Rispetto all'intervento del Consigliere Marrone e di altri prima rimango sempre in imbarazzo quando, su una questione tanto importante e tanto impattante sulla vita delle persone, si arriva a parlare di soldi e dire: "A questi di più, a questi di meno". Io penso che noi dovremmo fare uno sforzo in tal senso. Mi rendo conto che forse è utopico o forse è semplicistico, ma non riesco a scegliere tra i poveri nostri e i poveri che arrivano, non riesco a dare una priorità, non riesco a dire: "Occupiamoci prima degli uni o prima degli altri, prima dei nostri e poi degli altri se ce ne avanza".
Da questo punto di vista, lo sforzo a cui siamo chiamati, secondo me, è maggiore e, richiamando quello che dicevo in apertura, se noi riuscissimo a riaprire i nostri occhi e portare la nostra attenzione su tutto quello che capita fuori dall'Italia anche come partiti, forse il nostro dibattito interno riuscirebbe un po' più facile. Invece noi, che ci avvitiamo continuamente a parlare soltanto dei casi nostri, poi evidentemente, quando è il momento delle scelte, abbiamo difficoltà a condividere le criticità le esigenze, le difficoltà degli altri.
Secondo me, la critica vera - ma molti l'hanno già tratteggiata - che noi dobbiamo fare al sistema che l'Agenda europea delinea è proprio il fatto che è un bel piano, è un piano probabilmente fatto molto bene, che fissa degli obiettivi che credo possiamo condividere tutti quanti, ma la realtà è che gli attori di questo concerto non hanno nessuna intenzione di collaborare tra loro. Se io dovessi fare un bel lavoro col Consigliere Rostagno e col Consigliere Ravetti, ci potremmo mettere d'accordo, fare un buon piano, efficiente, capace di raggiungere l'obiettivo, condividere anche l'obiettivo, ma poi ognuno di noi tre pensa che, in realtà dovrebbero essere gli altri due a fare di più questo lavoro, ognuno pensa che tutto sommato sta già facendo abbastanza, pensa che tutto sommato a lui fare quel lavoro lì non piace, ed è chiaro che non bisogna essere John Nash per capire che probabilmente non faremmo un gran lavoro e saremmo tutti e tre insoddisfatti dell'esito, quale che sia.
Questo sta capitando in Europa in questo momento: ciascuno cerca di scaricare sugli altri il peso. Ciascuno pensa di poterne rimanere indenne qualcuno perché dice "io sono una via di transito, poi se ne andranno da un'altra parte", qualcuno perché pensa "io ho le montagne che mi difendono", qualcun altro perché pensa di poter tornare indietro nel processo di integrazione europea. Ed è per questo che probabilmente, se noi ci limitiamo ad affrontare i temi che sono oggetto dell'agenda, non daremo una risposta sufficiente, perché l'Agenda si occupa veramente soltanto della punta dell'iceberg.
Devo dire che in questo i rischi che sta correndo l'Unione Europea sono particolarmente significativi, come il rischio di aver dato per acquisito il processo di unificazione europea e di considerarlo sostanzialmente magari rallentato, ma che non può tornare indietro. In questi giorni è emerso chiaramente che è invece esattamente il contrario. Io vi parlo per chi ha la mia età, per esempio, e ha la possibilità di spostarsi liberamente nell'Unione Europa senza controlli alle frontiere: è qualcosa che per me è dato per scontato, è dato per acquisito e l'idea che si possa tornare indietro è raccapricciante, da un canto, ma ha un'evidenza reale, e se l'Unione Europea non saprà sortire insieme da questa difficoltà probabilmente rischia davvero di concretizzarsi.
Consideriamo anche - e in questo forse una critica al passato dobbiamo farla - che probabilmente questo è anche frutto dell'aver allargato oltre le dimensioni realmente sostenibili di progetto di Unione Europea pensando che, da una parte l'aspetto economico e, dall'altra, l'aspetto burocratico potessero bastare a tenerla insieme. Mancava però una reale volontà politica, che è quella che manca oggi per affrontare sinceramente questo tema. Manca una volontà nel coltivare una vera politica estera comune rivolta agli Stati in particolare difficoltà in questo momento, da cui arrivano queste orde di persone che cercano un futuro migliore per loro e per i loro figli; manca una politica comune di cooperazione internazionale che possa veramente aiutare queste economie a riprendersi; manca la condivisione sincera tra gli Stati della necessità di sollevare gli altri Stati membri particolarmente sottoposti a questa pressione perché, se non lo faremo, saranno loro i primi a far saltare il banco. In sostanza, il bene comune dell'Unione Europea unita rischia di saltare proprio per l'egoismo dei singoli.
E allora ritorno dove ho iniziato. Al di là del tema contingente, mi sento di ridimensionare gli impatti, perché - lo diceva bene il Sindaco Fassino - il problema grosso è che noi abbiamo un'accoglienza che si puntualizza molto in alcune situazioni ed è totalmente assente in altre proprio perché abbiamo abdicato all'idea che tutta la regia potesse passare tramite gli Enti locali, tramite il sistema SPRAR, e questo evidentemente crea tensioni, crea allarmismi.
Ma parliamo di numeri. L'ha ricordato il Presidente Laus prima: 8.000 persone accolte in Piemonte in questo momento: poco più di Bruino probabilmente. Vuol dire che sono due persone ogni mille; se dovessero dormire a casa nostra, come ogni tanto nella retorica politica si dice vuol dire una notte ogni due anni a casa di ciascuno di noi. Ecco, di queste dimensioni stiamo parlando. Una regia migliore, una migliore diffusione sul territorio sarebbero sicuramente in grado di rendere più sostenibile un sistema dell'accoglienza che, laddove ha funzionato, ha creato degli esempi fantastici. Penso a chi ha avuto la fortuna di ascoltare il Coro Moro delle Valli di Lanzo, tanto per dirne una, che è una delle esperienze più fortunate e più apprezzabili dell'accoglienza delle nostre valli che peraltro, tramite questa risorsa, stanno anche contrastando fenomeni importanti come lo spopolamento e l'invecchiamento della popolazione.
Chiudo tornando all'inizio. Penso che sapremo veramente affrontare questa questione e renderla vitale se da questa difficoltà sapremo trarre lo spunto per rinvigorire il processo di unificazione europea e quindi andare realmente verso un movimento federalista, attuando una vera uscita dalla logica intergovernamentale; logica che, evidentemente, non è in grado, in questo momento, di affrontare una difficoltà come questa.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAUS



PRESIDENTE

La parola al dottor Sabatino, Segretario generale dell'AICCRE.



SABATINO Alfonso, Segretario generale AICCRE

Signor Presidente e membri del Consiglio regionale, Signore e Signori grazie per l'opportunità che è offerta alla Federazione regionale piemontese AICCRE di intervenire in questa giornata di lavoro.
Voglio subito dire che un breve intervento non può toccare che una sola decisiva questione politica ed istituzionale sollevata dal Comitato delle Regioni nell'adozione del suo Parere in merito all'Agenda europea sulla migrazione.
Mi riferisco soprattutto all'urgenza di realizzare una capacità europea di governo multilivello a fronte del nodo drammatico dell'afflusso massiccio di rifugiati sulle coste della Grecia o attraverso la rotta balcanica, oppure sulle coste dell'Italia meridionale e insulare.
Com'è stato ricordato anche in precedenti interventi, le comunità locali e regionali sono chiamate a gestire l'accoglienza e l'inclusione dei migranti e sostengono direttamente le conseguenze e gli oneri delle politiche europee e nazionali di immigrazione in un contesto di crisi economica, che ha portato a centralizzare in molti Paesi le decisioni e gli interventi di accoglienza sul territorio e a limitare l'autonomia locale gestionale e finanziaria.
Il sistema dei poteri locali e regionali rivendica, attraverso il Comitato delle Regioni, la priorità degli interventi umanitari rispetto all'esigenza di sicurezza delle frontiere esterne e di controllo degli ingressi irregolare dei migrante, ma contemporaneamente suggerisce alle autorità europee e nazionali una strategia autenticamente europea per interventi di pace e di sviluppo politico, economico e sociale nelle aree di fuga, al fine di arginare i dirompenti flussi migratori in atto.
Con questi obiettivi, il Comitato delle Regioni ha rivendicato l'istituzione di un dialogo strutturale con la Commissione Europea. Il Comitato delle Regioni, com'è stato detto, chiede un incontro annuale con la Commissione Europea per fare il punto sulle politiche di immigrazione e sulla loro gestione.
Tuttavia, il Comitato delle Regioni non ha solo raccomandato l'affermazione di una capacità di governo multilivello nel quadro istituzionale dell'Unione Europea. Il Comitato delle Regioni ha dimostrato proprio l'utilità del metodo con la stessa procedura che ha condotto alla stesura del Parere sull'Agenda europea della migrazione, adottato il 3 dicembre 2015.
La Commissione Civex del Comitato delle Regioni ha, infatti, redatto il parere dopo un'ampia consultazione di Enti locali e regionali e la nostra stessa Federazione si è preoccupata di segnalare la consultazione ai nostri iscritti e soprattutto nel corso del workshop sul tema "Quale funzione degli Enti locali nelle politiche di asilo e accoglienza dei migranti?" organizzato il 23 ottobre proprio presso il Consiglio regionale del Piemonte.
Proponendo alla Commissione di organizzare annualmente un dialogo strutturato sull'integrazione dei migranti, il Comitato delle Regioni ha indicato la via della cooperazione istituzionale tra organismi di governo locale e regionale e istituzioni europee nello stesso momento in cui, a livello di rapporti tra Governi degli Stati membri e dell'Unione Europea sono emerse le note di visione sul riallocamento dei rifugiati e sull'attraversamento delle frontiere che hanno condotto poi alla crisi pericolosissima degli accordi di Schengen.
Si può anche aggiungere che, nel momento stesso in cui è stato proposto il dialogo, le posizioni espresse dal Parere non sono state certamente accomodanti nei confronti della Commissione e del Consiglio. Infatti, il Comitato delle Regioni ha messo in mora Commissione e Consiglio e sollecita, in primo luogo, l'entrata in vigore di un sistema europeo di asilo unitario, umano ed equo a favore delle persone che cercano rifugio e chiede l'istituzione di centri obbligatori di riallocazione per Paese.
In secondo luogo, il Comitato delle Regioni chiede la revisione completa del Regolamento di Dublino III, in modo da eliminare le differenze legislative e operative in materia di riconoscimento del diritto d'asilo di accoglienza e di tutela umanitaria.
In terzo luogo, il Comitato delle Regioni chiede una rapida definizione delle politiche dei visti per i profughi e l'attivazione di corridoi umanitari.
Voglio ricordare che negli anni Venti e Trenta questi corridoi umanitari furono organizzati dalla Società delle Nazioni. Non mi dilungo sull'argomento, ma voglio soltanto ricordare questo precedente.
Spetta ora ai poteri locali e regionali, attraverso la loro rappresentanza nel Comitato delle Regioni e soprattutto nella Commissione Civex, competente per materia, di fare affluire progetti e proposte di intervento, rivendicare la partecipazione alle decisioni comunitarie da parte delle Amministrazioni più vicine ai bisogni delle collettività locali.
Concludo, ringraziando il Presidente Laus e il Consiglio regionale per avere accolto l'opportunità di questa discussione da noi proposta. Trovo necessario sottolineare che questa Assemblea aperta vada considerata come un'occasione di riflessione anche per interventi del sistema dei poteri locali e regionali del Piemonte su altre materie che interessano il governo del territorio e delle collettività residenti, come l'argomento dei fondi strutturali.
Grazie per l'attenzione.



PRESIDENTE

La ringrazio, dottor Sabatino.
Prima di dare la parola al Consigliere Vignale, comunico all'Aula che ci sono 11 interventi. Pertanto, chiediamo di stare nei tempi e di ridurre altrimenti non c'è la possibilità di far parlare tutti.
Comunico altresì che oggi non sarà votato alcun atto di indirizzo. In un prossimo Consiglio tutti i contributi che sono stati consegnati oggi possono essere tradotti in un atto di indirizzo successivo da parte dei Gruppi consiliari.
La parola al Consigliere Vignale.



VIGNALE Gian Luca

Grazie, Presidente.
La discussione che facciamo oggi e che, di fatto, si basa e verte sull'Agenda europea sull'immigrazione rischia di essere inutile sostanzialmente per un motivo: chiunque l'abbia letta - alcuni colleghi e anche l'Assessore ne hanno ricordato alcuni aspetti - si renderà conto che ancorché sia stata votata nel maggio 2015, quell'Agenda è ampiamente superata da tutto ciò che è avvenuto nel corso dell'anno.
Un aspetto rimane in piedi di quell'Agenda, cioè salvare le vite umane e questo è un dato. Ma quell'Agenda aveva i corridoi umanitari, aveva i riposizionamenti e aveva l'applicazione della Direttiva sui rimpatri, aveva tutta una serie di aspetti che oggi cadono di fronte a quello che è il "lazzaretto" della Grecia. Infatti, su questo si è chiusa la politica dell'Unione Europea: individuare risorse economiche da trasferire al Governo di Atene, che ha individuato 120 luoghi in cui far alloggiare finché ci staranno, migranti, e poi vedremo. Questa è il sostanziale aspetto della politica europea.
Però, visto che noi siamo molto distanti, e lo si vede anche dalla rappresentanza che il Parlamento Europeo ha in questa sala - devo dire anche della Giunta - nella giornata odierna rispetto a questo tema, provo a cercare di capire quello che potremmo fare a livello fra la Regione e lo Stato. Questo, infatti, è anche un po' il compito che ha l'AICCRE.
E l'AICCRE, che rappresenta le Regioni e i Comuni, nel suo documento che ho molto apprezzato ha un passaggio, al punto 2), molto significativo che dice che "una strategia strutturale, duratura ed efficace verso l'immigrazione non può avere successo se i processi decisionali avvengono solo presso gli organi centrali degli Stati, senza coinvolgere attivamente a livello politico, economico ed operativo gli Enti locali", che è quello che è avvenuto all'interno di questo Stato. Ma non è che è avvenuto per sfortuna: non è che lo Stato centrale ha volutamente deciso di gestire la problematica migranti senza coinvolgere in alcun modo né le Amministrazioni regionali né quelle comunali perché siamo stati sfortunati, ma si è trattato di una scelta precisa che il Governo italiano ha fatto. E l'ha fatto in modo pervicace, perché in un primo momento i Comuni e le Amministrazioni locali non erano in alcun modo toccate e solo nell'ultimo periodo, rendendosi conto che in realtà quello creava più problemi che altro, ha cercato di coinvolgere le Amministrazioni comunali.
Tra l'altro, l'ha fatto più o meno, perché se si legge l'ultimo bando della Prefettura non è che ci sia questo coinvolgimento così interessante nel senso che si è molto più interessati a vedere che ci sia un soggetto che garantisca l'intera copertura del lotto e che ci sia un soggetto che con un algoritmo meraviglioso - io vi invito ad andarlo a leggere - abbia un certo numero di giorni di gestione di migranti, precedentemente al bando aperto, per potervi partecipare.
Se un soggetto, cioè - una cooperativa sociale, un'impresa un'associazione - che non si è mai occupato negli ultimi anni di migranti volesse partecipare al bando, non può perché c'è un algoritmo che dice che si devono avere al meno tot giorni di lavoro con i migranti, moltiplicati per 270, per ogni migrante che si vuole gestire. Visto che i lotti devono essere quanto più possibile ampi, questo cosa significa? Significa che quel lotto che non è ancora chiuso - ma facciamo una previsione assolutamente semplice: non dobbiamo dire che la mettiamo da un notaio - parteciperanno e vinceranno esclusivamente - e-sclu-si-va-ment-te - i soggetti che oggi già gestiscono. E allora non è che poi ci si deve stupire - lo dico al collega Valle - quando il collega Marrone dice che dietro a questo c'è un aspetto economico.
Noi non vogliamo distinguere tra la povera gente, che sia italiana o che scappi da una situazione o di guerra o di povertà - e poi tornerò anche su questo - perché lo dice l'Agenda europea; neanche noi vogliamo distinguere, però la politica dello Stato - e la politica dello Stato che utilizza, per attuare l'Agenda, le Prefetture - questa dinamica la applica e questa distinzione la fa; non bada solo al soggetto che eroga il servizio: bada al soggetto che eroga il servizio, ma si accerta che l'abbia fatto per molte, molte settimane. Allora questo ci consente di fare qualche valutazione, perché noi un bando così, in questa Regione, non potremmo farlo: noi non potremmo fare un bando per l'erogazione di prestazioni in cui chiediamo un servizio per anziani, ma con la clausola che chi lo eroga può farlo esclusivamente se ha gestito anziani, "moltiplicato per 270 volte": solo allora può partecipare a quel bando. Noi non potremmo fare un bando simile, perché sarebbe un bando contro cui qualunque soggetto ricorresse lo vincerebbe e perché sarebbe un bando eticamente non corretto.
Ma è quanto avviene in questa Regione.
C'è poi un ultimo aspetto: chi rappresenta l'AICCRE? Rappresenta le Regioni e i Comuni. Oggi abbiamo sentito alcuni interventi: l'Assessore Cerutti ha fatto il parlamentare europeo, il Sindaco Fassino ha fatto alcune valutazioni, una parte delle quali anche condivise (una parte!). Le Regioni e i Comuni, però, si sono fatti sentire nei confronti dello Stato nazionale rispetto al rilievo che fa l'AICCRE? Io voglio ricordare, cioè che fino a dicembre di quest'anno questa Regione ha avuto una fortuna quella di avere i rappresentanti delle Regioni e dei Comuni che erano torinesi: il Presidente Chiamparino fino a dicembre di quest'anno ha rappresentato le Regioni e il Sindaco Fassino ancora oggi rappresenta i Comuni. Ma qualcuno di noi o qualcuno di voi ricorda una presa di posizione che sostiene quello che dice l'AICCRE, cioè che non è possibile gestire i migranti in una dinamica solo centralista, ma che è possibile gestirli solo esclusivamente in una relazione con gli Enti locali e le Regioni? Io magari mi è sfuggita - non me la ricordo.
Mi ricordo singoli Amministratori locali, di qualunque area politica che hanno lamentato di essere soli di fronte ad una gestione e ad un problema più grande di loro: di qualsiasi area politica. Il collega Marrone ricordava il problema di Villar Pellice, ma possiamo ricordare quello di Settimo o quello di molte altre realtà in cui i Sindaci sono stati nudi e soli e, soprattutto, hanno subito una scelta che altri hanno preso in nome e per conto della loro comunità. Questo è quanto avvenuto. Dico di nuovo che non si è trattato di sfiga, eh: questa è stata una scelta voluta perché ogni qualvolta il Governo nazionale vuole invece coinvolgere le Regioni, lo fa.
Nel 2011 ha funzionato in modo diverso: nel 2011, quando gestimmo credo, perché non ricordo - la crisi libica o un'altra emergenza, questa venne gestita d'intesa non solo con le Amministrazioni locali, ma anche con i singoli soggetti che davano disponibilità e che quindi avevano presentato progetti di integrazione differenti. Tant'è che è sufficiente leggere nel documento che la Regione ha redatto nell'agosto del 2015 per vedere cosa fa la Regione: sono previste quattro righe per il "ruolo di coordinamento", ma la Regione non sa leggere quelle quattro righe e non fa nulla. Non può fare nulla, perché non ha gli strumenti per far nulla, salvo dire una cosa: pensiamo alla seconda accoglienza.
Ecco, anche da questo punto di vista questo è un altro aspetto delicato.
Infatti - e concludo - è facile dire che noi non distinguiamo tra i poveri. Ripeto che l'Agenda europea distingue, intanto, fra richiedenti asilo aventi titolo e immigrati che scappano da luoghi di povertà e dice chiaramente che intanto c'è una Direttiva rimpatri, che intanto il 50% dei richiedenti non hanno titolo, che di quel 50% molti di loro sono di determinate nazionalità, come sono quelle in Piemonte, perché in Piemonte gran parte dei migranti che noi abbiamo non sono siriani o libici, ma arrivano dall'Africa centrale, dove c'è una situazione di grande povertà ma dove non c'è una situazione di guerra. E anche l'Unione Europea li distingue e dice che solo per il 39% di coloro i quali dovrebbero essere rimpatriati per la Direttiva migranti - perché poi le Direttive sono tutte uguali: non è che applichiamo solo quelle che ci piacciono e non applichiamo quelle che non ci piacciono - questa viene applicata; oppure viene applicata "all'italiana", con un Ministro dell'Interno che dice che l'anno scorso abbiamo rimpatriato 16.000 non aventi titolo; no, abbiamo emesso 16.000 fogli di via: non ne abbiamo rimpatriato neanche uno. E allora dobbiamo anche dirci, da questo punto di vista, la verità. Infatti anche queste persone, stanno da qualche parte.
E poi badate - e finisco davvero - che i numeri che citava il Presidente sono quelli di coloro i quali risiedono in una struttura. Quando la Giunta approva il documento triennale sull'immigrazione, fornisce i dati di allora, che parlavano di 4.000 migranti presenti nelle strutture e 8.000 censiti e "volati via"; ma all'interno di questi 8.000 censiti ci sono parte di quei 40.000 minori non accompagnati che ci siamo "persi". E una parte di questi ce la siamo persa in Piemonte. A qualcuno interessa sapere che un minore non accompagnato oggi è certamente - o alcuni di loro sono certamente - nelle mani della criminalità, oppure no? Oppure il buonismo supera tutto? Diceva il Sindaco Fassino che non dobbiamo fare gli accentramenti e che non dobbiamo metterne tanti insieme. Ma il MOI è a Torino o da qualche altra parte? Cioè, 900 immigrati, 1.000, 1.200: gli irregolari sono a Torino o sono da qualche altra parte? E un Sindaco può intervenire per fare qualcosa, oppure no? Altrimenti il rischio è che ce la cantiamo e ce la suoniamo, come rischia di essere la seduta di Consiglio di oggi, senza uscire da quest'aula con una decisione concreta, declinando - soprattutto - ciò che scriviamo - e in parte io condivido - ma non attuiamo.
E allora, questo non è fare governo, non è governare una dinamica complessa: è parlare su una dinamica complessa e lasciare che qualcuno all'interno di questa dinamica complessa, faccia i propri affari.



PRESIDENTE

La parola al professor Sergio Pistone, rappresentante del Movimento Federalista Europeo.



PISTONE Sergio, Movimento Federalista Europeo

Voglio svolgere una rapida osservazione sullo stato dell'unificazione europea.
Oggi dev'essere chiaro che l'unificazione europea è sull'orlo del disfacimento. Prendiamo atto di questo fatto: è sull'orlo del disfacimento e una ragione fondamentale è la sfida del processo migratorio.
La sfida del processo migratorio - in sostanza - sta mettendo in crisi Schengen. Se Schengen viene messo in crisi, incomincia il disfacimento reale, e già in parte si sta realizzando.
Il problema è: cosa fare? La risposta immediata da dare alla sfida del processo migratorio, soprattutto alla tendenza a portare al disfacimento (letteralmente) dell'unificazione europea è - è stato detto - una politica unitaria, non comune, perché le cose comuni sono di nessuno, ma unitaria rispetto al problema dell'immigrazione.
Il problema dell'immigrazione ha vari aspetti (ricordati dall'Assessora Cerutti, dal Sindaco Fassino, dal dottor Rigallo, ma anche da altri): la Polizia di frontiera comune, la solidarietà nel distribuire i pesi dell'immigrazione, la capacità d'intervenire su quelle situazioni che provocano questo flusso immigratorio eccessivo. Un certo flusso immigratorio non solo è inevitabile, ma è anche positivo: l'Europa chiuderebbe, senza gli immigrati. Questo lo sanno tutti, ma si cerca di non dirlo. Certamente, è eccessivo.
Occorre, pertanto, intervenire per limitare questo flusso: un intervento enorme di stabilizzazione del Medio Oriente e dell'Africa vuol dire il piano Marshall per il Medio Oriente e per l'Africa, vuol dire un impegno enorme.
La politica monetaria, rispetto all'immigrazione, è molto impegnativa.
Il problema che voglio ricordare, perché è importante, è che dev'essere finanziata. Dal punto di vista del finanziamento, nei suoi vari aspetti della politica europea dell'immigrazione, voglio ricordare una proposta molto importante del Ministro tedesco Schäuble, il quale viene criticato dalla Germania come poco europeista, ma questo è l'intervento più europeista ed avanzato che ci sia stato.
Cosa ha detto Schäuble? Se si vuole affrontare questa politica, va finanziata con un fondo di molti miliardi. Ha proposto una tassa sulla benzina, applicata - se non da tutti - da chi ci sta. Tale tassa, oltre a servire in termini ambientali, di antinquinamento, servirebbe a finanziare la politica unica, non comune, sul tema dell'immigrazione.
Questa è la cosa immediata da fare, anche se non è sufficiente. Voglio ricordare che al Parlamento Europeo (peccato che l'Onorevole Bresso non sia potuta venire) c'è una proposta presentata dall'Onorevole Verhofstadt, che è stato premier belga per dieci anni ed attualmente fa parte del Gruppo Spinelli. Egli è relatore di una proposta di riforma dei Trattati, con l'orientamento di arrivare all'unione politica europea.
I problemi che oggi ha l'Unione Europea richiedono la rapida costruzione dell'unione politica europea, in tutti i suoi aspetti. Quello che è interessante è che Verhofstadt dà un'indicazione molto coraggiosa: bisogna fare l'Unione politica e la si fa con chi ci sta. E, infatti propone - nel suo rapporto, che non è ancora ufficiale, ma che sarà approvato entro la fine dell'anno - l'Europa a cerchi concentrici. L'unità politica si fa con chi ci sta, partendo - grosso modo - dai Paesi dell'eurozona. Gli altri - a cominciare dall'Inghilterra, Ungheria e molti altri - che non sono disposti a fare questo trasferimento di sovranità per attuare l'unione politica, resteranno in un cerchio esterno. Un'Unione Europea più ampia, in modo che il nucleo (la maggior parte dei Paesi dell'Unione Europea) possa realizzare realmente l'Unione politica europea che in 28 Paesi non si realizza, non si comincia neanche.
C'è, quindi, questa proposta importante, che riprende un po' la proposta di Spinelli del 1984, che indicava di istituire l'Unione Europea con chi ci sta.
Oggi questa proposta è all'o.d.g. e la risposta immediata, politica dell'immigrazione nel senso che ho detto (con finanziamenti adeguati), deve essere - l'ha detto anche Verhofstadt - il punto di partenza per avviare il processo costituente dell'unione politica europea con chi ci sta, a cerchi concentrici.
Questo è il punto centrale da tenere presente, di cui dovremo discutere in questa fase.
Grazie.



PRESIDENTE

La parola al dottor Lamine Sow, rappresentante della CGIL.



SOW Lamine, OO.SS.-CGIL

Buongiorno e grazie per l'opportunità di parlare in quest'Assemblea, in rappresentanza di oltre quattro milioni e mezzo di piemontesi. Voglio però, ricordare che, sempre in Piemonte, vivono oltre 450.000 immigrati che costituiscono il 10% della popolazione ed anche il 10% della forza lavoro.
Questo è il contesto. Abbiamo parlato anche dei 7.000 richiedenti asilo, però vorrei che partissimo da questi dati. Queste persone qui lavorano, qui vivono, qui pagano le tasse, qui pagano l'IRPEF nazionale qui pagano l'IRPEF regionale e qui pagano anche l'IRPEF comunale.
Pertanto, sono soggetti attivi nella costruzione di questa regione e di questo Paese e sono anche il futuro. Basta andare a vedere i dati delle presenze nella scuola primaria, nelle scuole medie e superiori, ed oggi anche nell'università.
Ma, non siamo qua per approfondire questo aspetto.
Sull'Agenda europea: abbiamo parlato dell'asilo, che è un tema importante. L'Europa, oggi, deve dare la possibilità a queste persone (grazie ai corridoi umanitari, che tanti interventi hanno sottolineato) di arrivare in sicurezza sul territorio europeo, perché c'è la Convenzione di Ginevra che è stata ratificata da tutti i Paesi europei.
Poi, sappiamo che esiste un problema riguardante le procedure: qui abbiamo parlato di Dublino. La Convenzione di Dublino è da rivedere, anzi rischia anche di far saltare il progetto europeo. Vuol dire che il progetto rischia di saltare per via della non gestione del problema dell'asilo.
Anche qua, ci sono elementi da vedere: noi sappiamo che i rifugiati richiedenti asilo provengono da vari continenti e Paesi, però l'Europa non può neanche stilare una lista dei Paesi cosiddetti sicuri. Sono dei Paesi: io firmo la Convenzione di Ginevra, perché la richiesta di asilo fa capo alla persona che ha una storia dietro le spalle. Nello stesso modo, stilo una lista di Paesi cosiddetti sicuri: tutti quelli che provengono da quei Paesi, difficilmente riescono ad avere la protezione in quanto rifugiati oppure anche quella sussidiaria e nemmeno la protezione umanitaria.
Questo è un problema, perché così non si rispetta la storia delle persone. Questo è quello che stiamo vivendo anche in Piemonte, anche qui a Torino: le domande di tante persone, solo per il fatto di provenire da determinati Paesi, sono già classificate e non hanno un seguito.
L'Agenda europea ruota, in particolare, per tutto quello che riguarda le frontiere: come l'Europa si deve chiudere, come si devono rimpatriare le persone e come si devono fare accordi in materia di riassimissione delle persone.
Ruota, quindi, intorno alla sicurezza: l'Europa che si chiude.
Sul piano dell'integrazione, vengono dette alcune cose, però non abbastanza. Un importante studioso, Jaques Attali, il cui nome sicuramente tanti di voi avranno già sentito, proponeva di istituire in Europa un'Agenzia sull'integrazione, una vera Agenzia per l'integrazione degli immigrati. Ha anche proposto un nome: Integrex, perché oggi c'è solo Frontex, che è per il respingimento alle frontiere.
Anche qua parliamo di Agenda sull'immigrazione: asilo ed immigrati.
L'Europea dovrebbe cercare di incentivare anche gli accordi in materia di sicurezza sociale tra l'Italia e i Paesi di provenienza degli stranieri.
Sappiamo che qui gli stranieri pagano le tasse e contributi, ma se un domani, pur pagando tasse e contributi, decidessero di tornare nei loro paesi d'origine, non hanno la sicurezza di portarsi dietro i contributi frutto del loro lavoro in Italia.
L'Europa e i singoli Paesi fanno accordi in materia di riammissione delle persone, però in materia di sicurezza sociale c'è poco o niente.
Anche qua, qualcosa si è fatto, e l'Italia lo sa, perché a suo tempo fece accordi in materia di sicurezza sociale con i Paesi dove gli italiani andavano a lavorare.
C'è, quindi, materia su questo ed è una cosa da fare oggi, perché serve per le persone che hanno anche l'obiettivo di rientrare nei loro Paesi d'origine, dopo aver svolto un periodo di lavoro in Italia.
Se però, tornando nel Paese d'origine, non sono sicuro di conservare i miei contributi, questo fattore diventa un freno per il rientro nei Paesi d'origine.
Nell'Agenda europea della Commissione si parla di attrarre i talenti. I talenti sono benvenuti. Con l'emissione della Carta blu, tutti quelli talentuosi possono lasciare i Paesi in via di sviluppo e venire in Europa.
I non talentuosi, o i cosiddetti poveri, non dovrebbero avvicinarsi all'Europa.
Anche questa è una follia.
Prima il professor Pistone parlava del piano Marshall per l'Africa e il Mediterraneo, ma tu non puoi prendere i talenti e poi rifiutare i poveri quando quei talenti sono stati formati in altri Paesi. Quando quei talenti sono stati formati in Paesi in via di sviluppo, tu vuoi solo attrarre i talenti e poi i poveri non li vuoi sul suolo europeo.
Anche questa è follia, perché alla fine questi Paesi non saranno più in via di sviluppo, nel senso che se tu prendi tutti i talenti, che prospettive di un futuro migliore ci sono per quei Paesi? In Italia si dice che non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca: tu vuoi i talenti, però quando quei Paesi persisteranno nella povertà, non vuoi avere i poveri, che non hanno opportunità nel loro Paese e cercano di venire in Europa.
L'Assessore Cerutti parlava degli ingressi illegali, perché oggi non è possibile arrivare in modo legale in Europa e ce lo dicono i dati. Oggi per avere cittadinanza in Europa, devi fare una domanda, in quanto richiedente asilo. Anche se non hai nessun fondamento, devi fare quella domanda, perché tu sai che quella domanda ti permetterà di stare qua almeno un anno/un anno e mezzo, perché non è possibile arrivare legalmente.
Nell'Agenda europea, bisognerebbe prevedere anche forme di sponsorizzazione, perché ci sono degli immigrati che, lavorando qui legalmente, potrebbero garantire anche per connazionali che arrivano.
Questa è la via dell'immigrazione: io vengo a Torino perché ho mio fratello che vive qua: dove vado so che c'è un punto di riferimento.
Perché non legalizzare quel processo, quando sappiamo che ci sono persone che qui lavorano e potrebbero garantire per altre persone in cerca di lavoro? Era previsto, non ci inventiamo niente: la Turco-Napolitano all'inizio prevedeva quella possibilità, che fu poi cancellata dalla Bossi-Fini.
Questi sono gli scenari, però dobbiamo sempre tenere presente che stiamo parlando di persone che in Europa lavorano, vivono, producono cultura e reddito. Qui in Piemonte sono il 10% della popolazione: pagano tasse nazionali, regionali, comunali e hanno anche voce in capitolo.
Anche le risorse europee di cui si parla, quindi, sono frutto del contributo degli immigrati.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
Invito i prossimi invitati a parlare a contenere i loro interventi nei cinque minuti assegnati, altrimenti non c'è spazio per tutti.
La parola al dottor Paolo Pozzo, rappresentante della CISL.



POZZO Paolo, OO.SS.-CISL

Grazie e buongiorno.
Tenterò, anche se l'argomento è estremamente vasto.
Vi ringrazio anch'io dell'opportunità di ascoltare il dibattito che parte da questo interessante documento.
Naturalmente condivido tutto ciò che è stato detto dal mio collega Lamine Sow. Faccio solo due brevi ragionamenti su come, secondo me, sia utile tentare di ragionare per declinare le raccomandazioni contenute all'interno del documento del Comitato delle Regioni sul territorio piemontese, così come si sta facendo nel dibattito di oggi.
Per quanto riguarda l'azione sul territorio, credo che tante cose siano in campo con grandissime difficoltà di risorse e di rapporti con lo Stato centrale.
Quello che mi viene in mente è che ci sono alcuni strumenti che potrebbero essere attivati per mettere insieme e a sistema tutti gli attori interessati che possono concorre alla migliore gestione. La Consulta per l'Immigrazione, ad esempio, è prevista, ma non è ancora operativa. Penso che momenti consuntivi permanenti, al di là di queste occasioni, siano estremamente importanti, perché ci aiutano a lavorare insieme.
Questa è una prima considerazione.
Per quanto riguarda alcuni punti citati nel dibattito generale personalmente credo che ci sia una visione che continua ad essere un po' troppo in prospettiva.
Evidentemente, il territorio ha da gestire con priorità la questione dei rifugiati, gli ingressi e quant'altro.
Come sistema Piemonte, però, si dovrebbe recuperare una visione un po' più ampia, cioè pensare alla nostra partecipazione e alla soluzione del problema, andando sicuramente al di là dei confini nazionali, ma anche di quelli europei.
E' chiaro che il rapporto con l'Europa è fondamentale e condivido tutto ciò che è stato detto e che è contenuto nel documento, però un paio di punti, che considero fondamentali, sono citati in modo un po' sbrigativo.
Sono quelli che si riferiscono, come qualcuno ha già citato oggi, al nostro rapporto, come Paese ma anche come Regione, con i Paesi di origine degli immigrati e con i Paesi, in generale, a noi vicini.
Facendo una piccola riflessione, ci sono immigrati che arrivano per ragioni di sicurezza, quindi richiedenti asilo, a cui è dedicata un'attenzione ovviamente dovuta; poi ci sono immigrati cosiddetti "economici", che sono esclusi da circuiti di protezione.
Dobbiamo fare alcuni ragionamenti.
Primo, ci sono molti Paesi - è stato citato prima dal mio collega della CGIL-che sono borderline, cioè non rientrano nelle liste dei Paesi da cui è certificato che, se provieni da lì, sei un rifugiato perché a rischio di sicurezza. Ma ci sono molti Paesi in cui le condizioni di marginalità, di povertà, di esclusione e di non partecipazione democratica, di violenza (causata anche da situazioni di marginalità), fanno, di molte persone soggetti che non riescono a sopravvivere nel loro Paese e quindi tentano il percorso migratorio. E lo fanno all'interno di questo flusso di rifugiati che apre, evidentemente, dei canali fino a ieri non utilizzati (oltre all'instabilità dei Paesi del nord Africa).
Vi pongo un esempio banale: parlando anche di minori e quindi di altri aspetti emergenziali, i giovani marocchini che non hanno possibilità di inserimento sociale e lavorativo nel Paese d'origine - ricordo che è un Paese che non rientra fra quelli cosiddetti "pericolosi" - hanno l'opportunità di spostarsi in Tunisia, di rimpolpare le file dei fondamentalisti islamici in cambio di progetti di arricchimento o comunque di identità che al momento è troppo labile, hanno la possibilità - senza visto - di prendere un aereo con 50 euro e recarsi in Turchia, da cui poi il percorso prosegue.
Quello che voglio dire è che se non ci decidiamo ad investire in maniera seria e ponderata in Paesi origine di migrazione, ma anche destinazioni di migrazioni interne.
Qualcuno ricordava prima che siamo preoccupati delle persone che arrivano in Europa, ma il grosso del fenomeno migratorio non avviene rispetto all'Europa, ma sono migrazioni intra-Paese fra Medio Oriente e fra Paesi africani, e che vedono persone in stato di estrema esposizione a pericolo e a miseria.
Se non incidiamo su questi meccanismi, scordiamoci di gestire, con una visione introspettiva all'interno dei confini europei, il fenomeno migratorio. Perché non solo non si arresterà, ma diventerà sempre più grave.
A partire da questo - cercherò veramente di essere rapido - il ruolo degli Enti locali all'interno delle politiche di cooperazione internazionale è fondamentale.
L'evoluzione è talmente rapida che le considerazioni citate nel documento due mesi dopo diventano vecchie. Il processo di Khartoum o il processo di Rabat offrono delle condizioni - su questo l'Unione Europea si sta attrezzando - di procedere con investimenti in termine di cooperazione in molti Paesi.
Il trust fund recentemente allocato dall'Unione Europea al costo di un miliardo e 800.000 euro (è per 23 Paesi e suddiviso in cinque anni, quindi non rappresenta una cifra così impegnativa, sebbene siano comunque delle risorse), assieme ad altre risorse comunitarie e assieme al percorso di cooperazione che - giustamente, com'è stato ricordato - finalmente si riprende anche da parte del Governo centrale italiano, non vedono le Regioni e gli Enti locali italiani giocare un ruolo preminente, cosa che invece, dovrebbe e potrebbe essere.
Vi pongo un ulteriore piccolo esempio: dove l'Ente locale funziona ed è meccanismo di partecipazione e di costruzione democratica, lì il fondamentalismo attecchisce molto meno; lì i processi di partecipazione fanno sì che lo sviluppo vada avanti. Dove questo non accade, ecco che subentrano le forze, quelle ostili, quelle radicali, che invece tirano verso altre dimensioni.
La mia raccomandazione è che si riprenda il dibattito interno alla nostra Regione, per valorizzare al massimo tutte le competenze e la storia ventennale di cooperazione decentrata che questa Regione ha proprio con quei Paesi da cui partono tante persone in cerca di alternative. Dunque ricostruire.
Nel documento si cita addirittura un maggior impegno economico da parte delle Regioni. Sappiamo che la situazione è difficile; sappiamo che le risorse sono poche; ma sappiamo anche che ogni risorsa messa in campo dalla Regione o da altri Enti locali assume un effetto moltiplicatore con il concorso di tutti quegli altri attori sociali della cooperazione e della solidarietà sociale che esistono sul territorio.
Dobbiamo avviare processi virtuosi. Non dobbiamo pensare che il problema sia solamente interno ai nostri confini, ma dobbiamo cominciare ad interagire all'esterno.
Abbiamo una grande tradizione; abbiamo molte risorse da mettere in campo e penso che questo debba diventare oggetto di un tavolo di lavoro o comunque, di una politica condivisa su cui lavorare nel prossimo futuro.
Grazie.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Campo; ne ha facoltà.



CAMPO Mauro

Grazie, Presidente. Cercherò di essere breve, anche perché molti temi sono già stati toccati e analizzati.
Dal nostro punto di vista, è evidente che la situazione attuale mostri limiti a tutti i livelli. Oggi il tema doveva essere la collaborazione multilivello tra Enti locali e livelli nazionali ed europei. Ma è giusto sottolineare che siamo in una situazione in cui non funziona nulla; quello che si sta facendo doveva essere il frutto di una programmazione che arrivava dal lungo periodo, da quando si è deciso di istituire "Schengen" che definiva una serie di frontiere esterne e aboliva quelle interne. È chiaro che si sarebbero dovuti sviluppare tutti i discorsi relativi a come gestire le politiche migratorie. Cosa che, più o meno, si è tentato di fare con le prime direttive europee, che risalgono al 2003, quindi poco dopo l'introduzione strutturale di Schengen, che - ricordo - nasce nel 1985 e viene definito e partecipato da diversi Paesi europei a partire dal 1990, e finalmente dal 2000 diventa un costrutto integrale dell'Unione Europea. Ma soltanto nel 2014, con l'avvento del nuovo Presidente europeo, questo deve diventare uno dei dieci punti prioritari da affrontare durante il suo mandato. Il che vuol dire che è già troppo tardi.
Sappiamo benissimo - perché lo abbiamo già visto tante volte nella storia, a partire dalle crisi balcaniche degli anni Novanta alle successive situazioni con Afghanistan, Iraq e quant'altro - che ogni qualvolta si destabilizza un equilibrio da qualche parte, arrivano ondate migratorie legate, sostanzialmente, alle problematiche dei diritti umani, e quindi all'insicurezza delle popolazione a vivere nei loro Stati.
Non si tratta, quindi, di problemi economici e, dunque, di migranti economici, che ci sono sempre stati e sempre ci saranno. A margine, ricordo che l'Italia in un secolo (tra il 1880 e il 1977) ha contribuito alla migrazione economica con 23 milioni di italiani! È un Paese che dovrebbe riflettere seriamente su cosa sia la "migrazione", in particolare quella economica. Ma qui parliamo, soprattutto, di rifugiati.
Il problema dei rifugiati è stato male affrontato a tutti i livelli: è stato male affrontato innanzitutto a livello italiano, perché ancora oggi non siamo capaci neanche di ridistribuire internamente i richiedenti asilo che arrivano sul nostro territorio, tant'è che la ripartizione tra le Regioni è quantomeno sproporzionata, con un'evidente prevalenza significativa dell'accoglienza nelle Regioni di primo arrivo.
Dunque, quello che noi lamentiamo nei confronti dell'Unione Europea, lo facciamo anche in "casa" e non lo abbiamo ancora risolto.
Poc'anzi il collega Marrone protestava, sostanzialmente, contro le imposizioni dei ricollocamenti: signori, se noi chiediamo all'Europa un sistema automatico di ricollocamento, dovremmo avere noi per primi un sistema automatico di ricollocamento dei rifugiati in Italia. Dopodiché non siamo neanche in grado, come Paese di prima accoglienza, tra l'altro con un ordine di grandezza inferiore rispetto alla Grecia.
Ricordo che la Grecia è un Paese di 11 milioni di abitanti, che vive una situazione economica drammatica: eppure, riceve 800.000 migranti. Noi che siamo un Paese di 60 milioni di persone, terzo mercato dell'Europa continentale, ne riceviamo 100.000 in un anno. L'ordine di grandezza è spropositatamente diverso! Eppure, noi non siamo in grado di gestirli. Eppure, l'Europa non è in grado affrontare neanche la ricollocazione dei 40 mila nostri! Allora di cosa stiamo parlando, di partecipazione degli Enti locali? Signori, se non riescono a parlare gli Stati con l'Europa pensate quanto si possa pensare di far collaborare anche gli Enti locali.
Ricordo che, a livello nazionale, abbiamo addirittura la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Enti locali, che, tra l'altro, esprime anche pareri vincolanti, mentre, ad esempio, la Conferenza delle Regioni a livello europeo non esprime pareri vincolanti, può esprimere delle opinioni, può addirittura fare delle proposte di legge, ma non ha niente di vincolante. Quindi, veramente, il costrutto europeo, oggi, è totalmente inadeguato.
Faccio un altro esempio banalissimo perché, prima, il dottor Pistone parlava di nuovo piano Marshall: ricordatevi che il piano Marshall prese forma per un'Europa occupata dagli americani e venne sviluppato investendo quasi 17 miliardi di dollari tra il 1948, quando partì, e il 1951; nel 1951 era finito ed aveva già esplicato i suoi effetti.
Pensate che l'Europa sia oggi in grado di fare una cosa del genere quando tra il 2014 e il 2016 siamo riusciti appena a pubblicare un'agenda per cosa fare, per cosa vogliamo fare? Infatti, non riusciamo a gestire gli Stati dell'Unione per permettere di organizzare le cose; non riusciamo a convincere l'Italia a identificare e a gestire correttamente i migranti che arrivano, perché, a parte quelli che vengono intercettati dal sistema di accoglienza, di una buona parte ne perdiamo anche la traccia, soprattutto di quelli che arrivano via terra.
Quindi, veramente, questa è la riflessione da fare oggi, ed è questo che si dovrebbe chiedere allo Stato come Enti locali, perché è vero che sugli Enti locali e sul tessuto sociale si scarica il peso dell'effettiva gestione. In Italia, poi, c'è il solito corollario di ruberie, di male gestioni e il solito interesse per tutti i soldi che cominciano a girare intorno alla questione. Si deve chiedere un'Europa che sia in grado di adottare provvedimenti tempestivamente e non dopo tre anni; non deve verificarsi la situazione in cui si impiegano tre anni per recepire la direttiva, poi si fa la procedura di infrazione e si impiegano altri anni perché, alla fine, c'è già un altro problema o il problema è diventato di ben altra natura. Questi sono i problemi.
Evitiamo, per favore, di buttare soldi per cercare di risolvere i problemi oltre confine in maniera approssimativa, tipo regalare tre miliardi e 300 milioni di euro a una Turchia che è parte in causa nella questione siriana, che ha interessi propri strategici, anche religiosi ed etnici, nella questione siriana, quindi che difficilmente potrà gestire in modo corretto questa situazione.
Queste situazioni vanno affrontate con tutto è quanto emerso negli interventi di oggi, che sono stati molto interessanti, ma gli Enti locali devono farsi sentire a livello nazionale, perché, alla fine, in Europa, chi decide sono la Commissione e il Consiglio (il Parlamento conta veramente poco), quindi gli Stati nazionali, ed è per questo che oggi non funziona niente. Grazie.



PRESIDENTE

Grazie a lei.
La parola al rappresentante del Coordinamento Comuni per la Pace dottor Edoardo Daneo.



DANEO Edoardo, Coordinamento Comuni per la Pace della Provincia di Torino (Co.CO.PA)

Grazie, Presidente.
Buongiorno a tutti i Consiglieri; grazie della pazienza di ascoltarci.
Noi siamo una rete di Istituzioni, che è nata esattamente vent'anni fa formata da 31 Comuni della provincia di Torino e dalla la Città metropolitana. Ovviamente, non possiamo che appoggiare e condividere in tutto e per tutto il parere del Comitato delle Regioni, perché vi abbiamo rinvenuto i valori che hanno suggerito, all'inizio del nostro percorso, a 13 Comuni (oggi sono 31) di riunirsi in un coordinamento istituzionale che promuova la cultura della pace e dei diritti umani e fondamentali dell'integrazione e della solidarietà. Quindi, le critiche che vengono mosse all'Agenda europea, anche in merito ad un coinvolgimento dei territori e degli Enti locali, non possono che vederci concordi.
Qualcuno diceva, mi sembra il Consigliere Valle, che abbiamo un po' dimenticato questo sguardo fuori dai nostri Comuni. Paradossalmente, porto un'esperienza diversa, anche se magari di nicchia: questi 31 Comuni amministrano i loro territori con uno sguardo a quello che capita nel mondo, perché noi sappiamo che le dinamiche che avvengono sui nostri territori oggi sono sempre più dipendenti da ciò che capita fuori dal territorio, non solo comunale ma anche nazionale.
Noi arriviamo all'appuntamento di oggi grazie al coinvolgimento dell'AICCRE e del Consiglio regionale di questi ultimi due anni, che ci ha permesso di lavorare molto su quanto vi dirò oggi e anche di mettere insieme e di diffondere un po' di buone pratiche.
Sul tema specifico, per le ragioni che chi mi ha preceduto ha espresso benissimo, noi, come coordinamento, oggi siamo molto sollecitati dai Comuni per accompagnarli nell'individuare anche la strada per gestire i processi di integrazione sul proprio territorio. Senza il coinvolgimento degli Enti locali - è stato detto oggi - non è possibile che iniziative internazionali o nazionali si traducano in qualcosa di virtuoso e spesso si creano più problemi che altro.
Qui è stata citata l'emergenza Libia, per esempio, e il caso del MOI di Torino. E' un caso tipico in cui, per decreto, un Governo ha deciso che un'emergenza era finita e ha pensato di risolvere tutto dando 500 euro a ciascun rifugiato o richiedente asilo, a chiunque venisse da un territorio di guerra, dicendo che era finito tutto. Questa gente qui con 500 euro non è riuscita a costruire il proprio futuro ed è rimasta a carico degli Enti Locali.
Oppure, è già stato citato anche il caso dei progetti con le prefetture: certamente, noi promuoviamo moltissimo il sistema dello SPRAR per due ragioni fondamentali. Per prima cosa, l'Ente locale ha un ruolo attivo, quindi non è, come nel caso dei progetti della Prefettura, che bene prima sono stati citati, scavalcato da soggetti del privato sociale che mettendosi d'accordo con proprietari di case o intervenendo su un territorio, accolgono e gestiscono richiedenti asilo in emergenza senza che lo sappia il Comune.
Il secondo motivo - faccio riferimento a quanto è stato più volte evocato qui - riguarda la trasparenza amministrativa dei processi. Il progetto dello SPRAR permette agli Enti locali di avere un controllo e richiede anche di avere precisione e rendicontazione eseguita in modo puntuale. Questo è un elemento che crea anche qualche problema - lo stiamo constatando - ai nostri Enti locali per aderire, perché è richiesto avere personale formato, che sia capace di gestire una rendicontazione non banale e i piccoli Comuni fanno un po' fatica. Ciò nonostante, noi proprio su questo stiamo insistendo sul territorio: se ancora solo la metà dei posti è stata richiesta dai nostri Enti locali, sicuramente in regione Piemonte sono molti appartenenti al nostro coordinamento che grazie a questo lavoro si sono messi insieme - quattro o cinque Comuni, e qui ci sono persone che sono a diretto contatto con questa esperienza - e si sono presentati ai bandi. Oggi, su 31 Comuni, oltre 20 Comuni, a fronte dei quattro che hanno partecipato al primo bando SPRAR, stanno partecipando.
Ovviamente, condividiamo che si affermino le politiche di accoglienza e di integrazione, ma qui mi sembra che tutti siate d'accordo rispetto ad un approccio securitario, anche perché teniamo presente che un approccio securitario costa, drena moltissime risorse e, peraltro, non risolve il problema. Probabilmente, è vero che le persone disperate che non hanno nulla da perdere, che hanno diritti riconosciuti dalla nostra Carta costituzionale, dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla stessa Carta dell'Unione Europea, sono coloro che scappano dalla guerra; coloro che scappano dalla miseria estrema non vengono arrestati dai pattugliamenti o da quant'altro; insomma, a nostro avviso, non è possibile fermare chi si imbarca in questi viaggi, e ci chiediamo anche se sia etico fermarli.
Noi certamente oggi vediamo che l'Italia, che ha molto contribuito a far nascere l'Europa come soggetto istituzionale, deve insistere affinch l'Europa non perda quella credibilità internazionale che oggi sembra veramente perduta, a vedere quanto è parcellizzata ed incapace di prendere decisioni.
Pensiamo, per esempio, al fatto che non si riescano a prendere delle posizioni sull'accoglienza, oppure si evochi solo a parole il corridoio umanitario, di cui parla anche lo Stato italiano. Ma poi chi lo applica? Sono la comunità di Sant'Egidio insieme a qualche Comune e insieme alle Chiese Evangeliche che prima sono state menzionate; non vi è una risposta pubblica.
Probabilmente, se si volesse insistere sull'idea del canale umanitario come primo modo di accogliere rifugiati, questo potrebbe consentire di risolvere diversi problemi. Il primo è il riconoscimento di chi ha diritto allo status di rifugiato nelle aree prossime a quelle di crisi; questo eviterebbe quello che noi viviamo sul nostro territorio, cioè che lo SPRAR ci obbliga a formare, a fare corsi di alfabetizzazione, a fare dieci ore di integrazione sul territorio di coloro che accogliamo, salvo poi dire loro dopo un anno, che non hanno diritto di asilo.
Oggi - proprio in questi giorni - sul nostro territorio ci sono stati problemi di conflitti, per esempio a Settimo Torinese e in altri casi in cui ci sono stati degli immigrati cui, dopo aver fatto loro compiere un processo di integrazione, si dice che ci abbiamo messo un po' troppo tempo e li rimandiamo non si sa bene dove, tra l'altro.
Il corridoio umanitario ci potrebbe anche permettere di non rivedere più di tanto il protocollo di Dublino. Nel momento in cui si creassero dei corridoi che portano i richiedenti asilo, dopo che è stato riconosciuto loro tale diritto, ad arrivare nei territori, non ci sarebbe più il problema che evocava prima il Sindaco Fassino o il Vicepresidente Fassino che diceva che ci sono Paesi che non avrebbero probabilità di arrivi perché i richiedenti asilo verrebbero fermati prima.
Noi stiamo anche partecipando ai bandi FAMI (fondi per l'asilo e l'immigrazione sul rimpatrio assistito, eccetera); sicuramente siamo grati del coinvolgimento della Regione e desidereremmo continuare a lavorare su queste politiche con la Regione.
Badate che sui nostri territori ci sono anche delle buone esperienze di integrazione. Al di là della valorizzazione - si diceva prima del Coro Moro in attività culturali e della comunicazione sul territorio, vorrei anche parlare dell'asilo diffuso, cioè dell'accoglienza più parcellizzata sul territorio. Vorrei parlare del volontariato di restituzione, che alcuni dei nostri Comuni stanno mettendo in piedi anche per evitare che i richiedenti asilo restino senza nulla fare.
Infine, - sembrerà strano - formazione professionale, perché vi sono alcuni settori in cui gli italiani non vogliono lavorare e i richiedenti asilo, invece, sono coinvolti.
Qualche tempo fa, confrontandoci con la Città di Palermo, abbiamo scoperto, per esempio, che loro stanno cercando di dare molta forza alle consulte degli stranieri, cosa che da noi, invece, è un po' un discorso da riprendere, anche per la prevenzione della criminalità e delle infiltrazioni. C'è un accordo tra il Comune, Consulta degli stranieri e Prefettura attraverso cui alcune comunità di stranieri, che sono le prime a battersi contro gli integralismi, segnalano le persone sospette di estremismo che arrivano sul territorio. E' una cosa interessante.
Ora vengo anche a qualche indicazione concreta di lavoro con la Regione. La prima è che crediamo sia necessario riprendere il tema dell'educazione, sensibilizzazione e approfondimento del tema. Oggi è stato un bell'esempio, tranne qualche caso: devo dire che non ho apprezzato la metafora del "cassonetto", usata: è un termine che non deve essere usato mai a riguardo di persone umane, comunque la si pensi. Dico, invece, che quello che dobbiamo fare è accompagnare i territori all'integrazione di chi già c'è.
Negli anni Ottanta siamo riusciti a fare una cosa straordinaria con la Regione, con la legge 67/95 sui territori, per aiutare l'integrazione culturale delle generazioni migranti agendo dal punto di vista dell'educazione. Oggi quelle potenzialità sono del tutto inespresse, perch quella legge non ha finanziamento. Inoltre, è stata evocata la cooperazione allo sviluppo. Anche qui, mi chiedo, quest'Amministrazione sta rilanciando la cooperazione con un ottimo sistema territoriale che lavora e produce buoni risultati. Bisognerebbe anche dare un segnale dal Consiglio, con un piccolo finanziamento che ci consenta almeno di concorrere ai bandi europei.
Direi che termino così. Aggiungo semplicemente un'ultima osservazione.
Sicuramente, è necessario che la Regione si faccia carico, attraverso gli strumenti che fornirà, anche la legge già citata, di interloquire con l'Unione Europea, anche per sciogliere alcune ambiguità.
Oggi non è stato affrontato il tema della produzione e del commercio delle armi. Ricordiamoci che molti Paesi europei sono tra i primi produttori e venditori di armi all'estero e che i rifugiati di guerra sono le vittime delle stesse armi che vengono commercializzate.
Mi rendo conto che è un discorso economico difficile da fare, però va affrontato in modo serio, altrimenti lavoreremo sempre sugli effetti e mai sulle cause, dei problemi di cui abbiamo discusso oggi Grazie.
Qui di seguito, il testo dell'intervento scritto che così recita: Il Coordinamento Comuni per la pace della provincia di Torino, rete composta da 31 Comuni, e dalla Città Metropolitana condivide il documento del Comitato delle Regioni perché vi riconosce i valori che ci hanno ispirato esattamente 20 anni a costituirci in coordinamento istituzionale per promuovere sul nostro territorio la cultura della pace e dei diritti fondamentali dell'uomo, dell'integrazione e della solidarietà e che ci ha visti lavorare concretamente sia sul nostro territorio sia nel campo della cooperazione territoriale, spesso in programmi ed iniziative promossi dalla Regione Piemonte.
Giungiamo all'incontro di oggi dopo condiviso diverse iniziative promosse dall'AICCRE che ci hanno visto riflettere ed elaborare documenti sul tema insieme al Consiglio Regionale ed agli Enti ed Associazioni del territorio.
Sul tema specifico dei rifugiati, siamo sempre più sollecitati dai Comuni che, come giustamente si afferma nella nota, sono i soggetti istituzionali più vicini ai cittadini e che vivono più direttamente sui territori gli effetti dei fenomeni migratori.
Senza il coinvolgimento attivo degli Enti Locali qualsiasi iniziativa internazionale e nazionale rischia di avere conseguenze negative. Basti pensare alla gestione della emergenza Libia -della quale è stata dichiarata la "fine" a livello governativo-, lasciando agli Enti Locali la gestione e l'assorbimento di centinaia di rifugiati ai quali non sono bastati i 500 euro donati per costruire il proprio futuro. Oppure ad alcuni casi (per fortuna rari nella nostra Regione) in cui arrivano sul territorio di piccoli Comuni decine di rifugiati accolti con i programmi di emergenza delle prefetture che prevedono il coinvolgimento di soggetti del privato sociale, che a volte hanno operato senza informare l'amministrazione e dunque nella più totale assenza di coordinamento, generando tensioni e difficoltà.
In linea di principio riaffermiamo che vi sia un obbligo giuridico oltre che etico nell'accoglienza dei rifugiati, che discende dalla sottoscrizione della carta dei diritti dell'uomo e dai documenti fondanti l'UE.
Per questo ci pare importante che sia riaffermata una priorità di politiche volte all'accoglienza ed alla integrazione di chi ne abbia diritto piuttosto che un'approccio securitario che tra l'altro drena consistenti risorse e non risolve il problema. Il flusso di chi è disperato e non ha nulla da perdere non può essere arrestato in alcun modo se non quello di lavorare sulle cause che lo portano ad intraprendere un lungo e pericolosissimo viaggio.
Questa scelta politica, si deve tradurre in un aumento dei fondi per il riconoscimento dei diritti dei rifugiati, in aree prossime a quelle di crisi, ed alla creazione di canali umanitari per contrastare l'abominio chi sfrutta il fenomeno e trae profitto dalla miseria altrui.
L'Europa che l'Italia ha molto contribuito a far nascere, come soggetto istituzionale, vede minacciata la propria credibilità se gli Stati membri non riusciranno insieme a convergere su posizioni comuni e a farsi carico pro quota dei richiedenti asilo.
Partendo dalle parole di Aldo Capitini ("A ciascuno di fare quello che può per la pace"), i nostri Comuni stanno cercando di fare la loro parte pur attraversando una fase delicata a causa della crisi finanziaria, che impatta in modo molto significativo sui cittadini italiani e si trovano ad affrontare anche questa sfida che ha dimensioni crescenti e che rischia di aumentare il conflitto sociale sui nostri territori. Conflitto sociale che rischia di trasformarsi in una lotta tra poveri.
Alcuni Comuni (Torino, Ivrea, Settimo Torinese, Avigliana, Rivalta) sono stati tra i primi Enti italiani a partecipare ai bandi SPRAR e a dar vita a buone pratiche di accoglienza ed integrazione.
Noi stiamo sostenendo ed accompagnando le amministrazioni aderenti affinché partecipino sempre di più, e possibilmente in modo consorziato tra loro a questi bandi che prevedono una gestione trasparente e pubblica ed il protagonismo degli Enti locali che sono direttamente coinvolti.
E, grazie a questo lavoro sono sempre di più i Comuni del Co.Co.Pa. che hanno elaborato progetto in tal senso.
Alcuni Enti, insieme ad associazioni, parrocchie, pro loco, scuole stanno sperimentando progetti di asilo diffuso, di volontariato di restituzione, di formazione professionale in settori in cui si fa fatica a trovare mano d'opera italiana.
Altri cercano di valorizzare i rifugiati come una risorsa e ne coinvolgono alcuni in incontri pubblici di sensibilizzazione, in percorsi rivolti alle scuole, ed in iniziative culturali.
Molte delle questioni che oggi affrontiamo non possono essere risolte a livello locale, ma vi sono alcune azioni che proponiamo al Consiglio Regionale: recepire la legge n. 234/2012 in modo da poter interagire ed incidere maggiormente in ambito europeo e reperire risorse per l'accoglienza e l'integrazione promuovere, insieme agli Enti Locali e agli altri attori del territorio progetti di educazione alla integrazione ed alla multiculturalità, analogamente a quanto fatto in passato con la legge 67/95 che ha visto il nostro Coordinamento lavorare attivamente sul territorio.
Attività di tipo educativo e culturale affinché il fenomeno venga conosciuto nelle sue dimensioni reali, si conoscano meglio le migrazioni forzate e si possano anche conoscere testimonianze dirette del fenomeno.
rilanciare la cooperazione territoriale allo sviluppo, soprattutto nei paesi dai quali provengono i migranti e, ove possibile, i rifugiati di guerra. Abbiamo apprezzato gli sforzi per ridare a queste politiche il ruolo che in passato ebbero in Regione, ma ad oggi è necessario anche stanziare a bilancio qualche risorsa che permetta al nostro sistema Piemonte di partecipare a bandi europei (che spesso vinciamo). Serve un impegno che corrisponda alla annunciata volontà politica.
Sono proposte concrete che ci aiuterebbero, almeno localmente, ad affrontare il problema in modo strategico e non solo come risposta ad un fenomeno che ci spiazza ed è quotidianamente oggetto di strumentalizzazioni mediatiche, disinformazione e e toni che mirano ad inasprire, anzich trasformare i conflitti sociali.
Da un punto di vista strategico occorre anche, a tutti i livelli chiedere con forza la costruzione di una politica estera europea che miri a prevenire i conflitti prima che essi degenerino al punto dall'essere gestiti mediante l'uso della violenza e delle armi che generano vittime e profughi.
Ed anche affrontare alcune ambiguità, che vedono diversi paesi che costituiscono l'Unione (e tra questi l'Italia) molto attivi nella produzione e nel commercio di armamenti che poi producono gli effetti che cerchiamo di contrastare con la cooperazione, la ricostruzione e l'accoglienza.
Oggi servono ragionamenti alti, scelte coraggiose e pratiche concrete che ci aiutino a capire e governare i fenomeni di cui parliamo perché come sappiamo i diritti umani fondamentali, vengono rispettati ovunque oppure sono destinati ad essere perduti progressivamente da tutti.



PRESIDENTE

Grazie a lei.
Procediamo con l'ultimo intervento e ringrazio i Consiglieri per aver rinunciato e aver voluto lasciare spazio agli ospiti. Ancora grazie.
La parola al dottor Morello.



MORELLO Gian Paolo, Segretario generale Comitato Italiano Città Unite

Ringrazio il Presidente e, ovviamente, tutti i Consiglieri. Ringrazio anche l'AICCRE per aver promosso questo incontro.
Ricordo anche che abbiamo condiviso con l'AICCRE, fin dal 2004, il compito di rappresentare gli Enti Locali e le Regioni italiane presso l'Associazione mondiale Città e Governi locali uniti, di cui facciamo parte come attori delle azioni.
Molto rapidamente, ripropongo alcuni temi che mi ero segnato, tra cui il fatto che le migrazioni sono un dato strutturale da accettare ormai come tale all'interno delle nostre stesse società. Affrontare strategicamente e correttamente le migrazioni del nostro millennio richiede una revisione strategica dei bisogni e dell'organizzazione delle nostre società, in particolare a livello locale, nelle nostre città e Regioni, che sono in prima linea per affrontare questi problemi. E qui faccio riferimento a quel welfare cui accennava il Presidente Picciano dell'AICCRE, per esempio.
Siamo quindi pienamente d'accordo con il testo del parere del Comitato delle Regioni quando afferma che soltanto un approccio strategico, globale ed integrato, che affronti le cause di fondo delle migrazioni, riuscirà ad affrontare più che risolvere, come dice il testo, il problema.
Occorre preparare un intervento rapido oltre che piani d'azione a lungo termine, globali e concreti, "in stretta collaborazione con i Paesi terzi" perché, citando sempre il documento, "la migrazione regolare può essere un fattore essenziale per lo sviluppo".
Ancora: "Una politica europea in materia di migrazione si pu realizzare con successo solo in presenza di una chiara comprensione e di un impegno a lungo termine a favore di politiche ed integrazione efficaci", e si rileva che è soprattutto a livello locale che si determina il successo o il fallimento dell'integrazione.
Infine condividiamo l'invito all'Unione Europea e ai suoi Stati membri per "intensificare la cooperazione con i Paesi terzi, dove occorre rafforzare la democrazia e lo stato di diritto e coordinare al meglio la loro politica esterna, esistendo un nesso intrinseco tra il livello e la qualità delle politiche di sviluppo e il numero crescente di persone che migrano", con l'invito a raggiungere quel famoso 7% di aiuto allo sviluppo che tutti noi auspichiamo.
Se esiste oggi un'emergenza è perché prima non sono state messe in opera misure di questo tipo, atte a prepararsi a questi nuovi e accelerati spostamenti di popolazione.
Oggi le soluzioni e le misure, qualunque esse siano, pur se eccezionali, dovranno poter fornire delle esperienze e dare delle indicazioni per i singoli Paesi affinché essi preparino la loro strategia per il futuro delle migrazioni.
Le misure, le azioni e i programmi dedicati ai salvataggi delle vittime delle organizzazioni criminali che lucrano sui migranti clandestini e le stesse misure di contrasto a questo traffico di uomini e donne, le misure dedicate all'accoglienza e quelle dedicate alla solidale ripartizione tra i vari Stati europei, Regioni e Città dovranno poter essere incluse all'interno delle nostre strutture e nelle nostre politiche locali, in un modo strategico e non semplicemente per affrontare un'eccezionalità. E questo vale anche per poter finalmente radicare e consolidare il principio della solidarietà, il principio della cooperazione con i Paesi e le Regioni di provenienza, il principio dell'adeguamento e miglioramento delle vie legali alla migrazione, per costruire non solo corridoi umanitari - questo fa parte dell'emergenza - ma soprattutto per avere dei veri strumenti che permettano ai migranti di poter fruire tranquillamente di queste strade e fornire il loro contributo al futuro delle nostre società.
Possiamo quindi condividere appieno il parere del Comitato delle Regioni che l'Agenda europea sulla migrazione è un tentativo di approccio complesso proiettato su un futuro che va oltre l'emergenza. Ma in questo caso dobbiamo considerare l'Agenda europea delle migrazioni un documento in progress. Non possiamo accettarlo così com'è oggi, dobbiamo sicuramente lavorare perché l'Agenda, con il contributo di tutti i Paesi europei naturalmente, ma anche del Comitato delle Regioni, e anche con il contributo degli Enti locali e delle Regioni, possa diventare un documento di base per costruire una vera politica europea per le migrazioni.
L'Agenda distingue le azioni immediate da quelle strategiche e cita quattro pilastri. Questi quattro pilastri sono ancora in gran parte legati ai problemi che devono essere affrontati nell'emergenza. Consideriamoli un primo punto di partenza che dobbiamo discutere, che dobbiamo ampliare specificare e soprattutto rendere operabili attraverso una buona interpretazione delle nostre politiche locali.
Parecchi punti dell'Agenda non solo sono da migliorare, ma possono fornire al sistema dei governi locali delle indicazioni, degli strumenti e indicare il tipo di risorse sulle quali operare.
Vorrei citare due esempi toccati dall'Agenda soprattutto negli ultimi punti.
Il primo è quello riguardante la costruzione di una politica di integrazione effettiva, da ampliare a competenza anche europea (oggi appartiene solo agli Stati membri) e da rafforzare come riconoscimento attivo del ruolo delle Città e delle Regioni. Vorrei ricordare, a questo proposito, le iniziative legate proprio ad accrescere le capacità locali di integrazione: per fare un esempio lunedì scorso, ospiti del Presidente del Consiglio, abbiamo promosso un'azione riguardante l'utilizzo delle seconde generazioni come "mediatori" per una migliore integrazione dei migranti.
In riferimento alle necessità di costruire programmi e quadri di dialogo con i Paesi di provenienza dei migranti, l'Agenda cita il programma "Partenariati per la mobilità", il cui successo francamente è ancora tutto da valutare, soprattutto perché è un meccanismo complicato, che richiede tre partner contestualmente (il Paese di provenienza, il Paese di destinazione e l'Unione Europea) e un accordo fra questi tre diventa lungo e complicato: infatti, non sono molti i contratti di partenariato sinora firmati e attuati.
L'Agenda non fa alcun cenno invece a un'importante esperienza voluta fortemente e promossa proprio dalla componente latina dei Paesi europei (Italia, Francia e Spagna) c cioè il programma "Migrazione per lo sviluppo", che ha coinvolto in 51 progetti le autorità locali in cooperazioni fra i Paesi di provenienza e i Paesi di destinazione.
Sono questi esempi concreti di scambio sul tema del ruolo delle autorità locali per costruire in modo pragmatico e partecipato un'efficace progetto e una politica europea per le migrazioni. Su questo piano operativo, a partire da queste concretezze ,mi piacerebbe poter proseguire il confronto e lo scambio con le iniziative della Regione Piemonte. Ed è da questo punto di vista che il Comitato Italiano Città Unite si rende disponibile a collaborare appieno a tutti i momenti di preparazione di una nuova e necessaria politica della Regione Piemonte e dei nostri Enti per affrontare correttamente la costruzione di un'Agenda piemontese per le migrazioni.



PRESIDENTE

Ringrazio i colleghi Consiglieri e i gentili ospiti per il loro contributo e dichiaro chiusa la seduta.
Grazie e buona giornata a tutti.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13.07)



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