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Dettaglio seduta n.96 del 15/12/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Questioni internazionali

Esame della situazione polacca


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Egregi colleghi, la seduta odierna è stata programmata nell'ultima conferenza dei Capigruppo in seguito al colpo di Stato in Polonia. Quando domenica abbiamo appreso dalla TV questa notizia ci siamo tutti preoccupati perché questo colpo di Stato naturalmente può avere conseguenze molto gravi. Certamente l'equilibrio europeo, già molto precario, può avere grosse conseguenze, forse ancora inimmaginabili.
Un mese fa abbiamo ricevuto un gruppo di sindacalisti di Solidarnosc con i quali abbiamo trovato un'intesa sulle loro iniziative e sugli aiuti che ci avevano chiesto. Non sappiamo se in questo momento siano già stati arrestati o s e siano ancora liberi.
Ho letto le dichiarazioni del Capo del Governo e le sue preoccupazioni che sono le preoccupazioni di tutti i partiti, che si sono espressi con sfumature più o meno diverse. Normalmente quando i militari vanno al governo non c'è molto da sperare. Sono appena tornato dall'Uruguay dove pure c'è un governo militare e dove ho saputo che l'ultima disposizione emessa da quel governo era di rinchiudere quindici sindacalisti. Domenica abbiamo avuto la sensazione che stessero per ripetersi i fatti di Budapest del 1956, della Primavera di Praga del 1969. Mi auguro che questa sia una cattiva sensazione. Ieri sera c'é stata una riunione tra i Capigruppo, i sindacati e la Charitas. Abbiamo pensato di incominciare forme di solidarietà effettiva con la raccolta di viveri per i bambini: latte, carne in scatola, riso. La dislocazione di questi beni era Varsavia (8 milioni di abitanti). Dopo la riunione di ieri abbiamo deciso di continuare la raccolta di aiuti per dirottarli, appena possibile, ai più sofferenti dì questa situazione.
Ritengo che la nostra discussione di oggi serva per dare al popolo polacco la certezza che noi non dimentichiamo la loro situazione, auguriamo che tutto si risolva senza spargimento di sangue e che la Polonia abbia la libertà che giustamente merita.
Ho ricevuto una lettera e un telegramma che il collega Alasia mi ha pregato di comunicare in Consiglio.
Scrive il Consigliere Alasia: "La prego di volermi considerare in congedo nella seduta straordinaria di oggi trovandomi al Comune di Villadossola per l'assemblea dei lavoratori in cassa integrazione".
All'ordine del giorno del Consiglio di oggi vi è la solidarietà con il popolo polacco. Questo mi induce a fare presente, nella mia qualità di Presidente del Comitato d'intesa fra le formazioni partigiane del Piemonte e della Valle d'Aosta, non solo la nostra decisa condanna per lo stato d'assedio in Polonia e la nostra ferma richiesta di immediato ripristino delle libertà democratiche, ma anche il nostro impegno e la nostra piena disponibilità ad essere presenti ed impegnati per confluire in quelle iniziative concrete sul piano politico e solidaristico che il comitato antifascista, da lei presieduto, promuoverà. Data la gravità della situazione mi sono permesso di fare questa doverosa anticipazione e le sarei grato se vorrà darne comunicazione".
Il telegramma è indirizzato all'Ambasciata della Polonia: "At nome Comitato d'intesa formazioni partigiane autonome Garibaldi CGIL. Matteotti e Piemonte esprimiamo viva condanna per dichiarazione stato assedio, per arresti e deferimento corte marziale decisi dal Governo polacco. Resistenza italiana ha lottato e lotterà sempre per dare condizioni libertà e democrazia e perché siano ovunque rispettate.
Chiediamo ripristino libertà democratiche e sindacali per popolo polacco onde superare la crisi".
Ha ora la parola il Presidente della Giunta regionale, Enrietti.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, la crisi polacca si è tramutata in dramma. Nella notte tra sabato e domenica scorsi, con un metodo che ha tutte le caratteristiche di un colpo di stato militare, il Gen. Jaruzelski alla testa di un comitato militare di salvezza nazionale, ha proclamato lo stato d'assedio, sospendendo tutte le garanzie costituzionali, compreso il diritto di sciopero, isolando la Polonia dal resto del mondo, decretando la sospensione del sindacato libero Solidarnosc, vietando ogni riunione pubblica, chiudendo tutte le scuole e Università del Paese, militarizzando i lavoratori dei servizi, inasprendo la censura sulla stampa e sulla radio televisione.
Da quel momento non si può sapere con certezza che cosa stia capitando in Polonia. Sono giunte in Occidente voci di migliaia di arresti, di scioperi ed occupazioni operaie, ma fino ad ora per fortuna non voci di scontri armati, di morti e feriti.
Pur nella frammentarietà delle notizie il succo politico degli avvenimenti è chiaro: di fronte ai tentativi, peraltro ancora timidi, di aprire spazi di democrazia nella società polacca, in presenza di un'organizzazione di massa non controllata dal Partito Comunista e che conta ben 10 milioni di iscritti, in presenza di crescenti difficoltà economiche, il regime polacco ha scelto la strada del pugno di ferro, della repressione militare, della "normalizzazione".
La nostra solidarietà va al popolo polacco, privato per l'ennesima volta nella sua storia della speranza.
La condanna del colpo di mano militare deve venire forte, e con essa la richiesta della liberazione degli arrestati e del ripristino delle precedenti garanzie costituzionali a partire dal diritto di sciopero.
Appare in questo momento più che mai necessario moltiplicare gli sforzi umanitari e intensificare l'invio di materiale in Polonia, giacché la situazione alimentare è drammatica.
Sul piano delle pressioni internazionali occorre ammonire chiunque a non interferire negli affari interni della Polonia: intendiamoci, noi non crediamo che le decisioni dei militari polacchi siano politicamente tutta farina del loro sacco; noi vogliamo sia scongiurata la possibilità - che esiste - di un intervento militare sovietico.
Occorre il massimo di mobilitazione democratica e popolare affinché il dramma del popolo polacco non si tramuti in tragedia.
Do ora lettura dell'ordine del giorno della Giunta regionale, che offriamo, quale contributo, al dibattito del Consiglio: "La Giunta regionale del Piemonte di fronte alla proclamazione dello stato di assedio in Polonia, alla soppressione di tutte le attività sindacali e agli arresti di cittadini e di dirigenti di Solidarnosc, rendendosi interprete dei sentimenti della popolazione piemontese e dei lavoratori, esprime la condanna più netta nei confronti di atti che accrescono la tensione internazionale, tendono a reprimere le speranze di rinnovamento della maggioranza del popolo polacco allontanano la concreta possibilità di uscita dalla crisi di un Paese e di un popolo amico.
In questo momento, più che mai, ribadiamo che tocca al popolo polacco liberamente ed in piena autonomia, operare le scelte per il presente ed il futuro della propria Nazione.
La Giunta regionale del Piemonte chiede al Governo italiano di intervenire perché i dirigenti sindacali e tutti i cittadini polacchi arrestati, siano immediatamente liberati ed esprime alla comunità polacca del Piemonte la sua piena solidarietà".



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Oggi il Consiglio è chiamato a dare un contributo serio e concreto alla causa polacca che viene definita in termini generali come la causa della libertà. Il Gruppo socialista non si presterà a strumentalizzazioni in una vicenda così grave e così dolorosa come quella che colpisce la Polonia.
Riteniamo che il nostro contributo debba essere vero, autentico e reale.
Vogliamo essere lucidi assertori di una causa che abbiamo sempre combattuto sia in questo Consiglio, sin dalla sua nascita, sia nel Paese, dalla Liberazione in poi.
La causa della libertà è anche la causa della pace. La Polonia è situata all'interno di uno schieramento geografico e politico così delicato da evocare momenti di pericolo grave per la pace.
Non vogliamo in questo dibattito strumentalizzare nulla, però, colleghi Consiglieri, non vogliamo neanche tacere.
E' stato detto che la libertà è rivoluzionaria. Se la libertà è rivoluzionaria, come ha detto anche qualche comunista, bisogna riconoscerla, e noi chiediamo, a voi comunisti come a tutte le altre forze politiche, di percorrere a fondo questa libertà.
Noi abbiamo percorso questa libertà nei momenti del Vietnam, quando non abbiamo taciuto l'influenza imperialistica americana e, così come abbiamo costantemente detto che l'influenza americana nel sud - America ha caratteristiche imperialistiche e di oppressione dei popoli, ugualmente diciamo che nella situazione di oggi non vi è differenza fra il comportamento degli Stati Uniti d'America e quello dell'Unione Sovietica.
Non ci debbono essere timori nel dire queste cose e nel percorrere questa strada.
La Polonia, come tanti Paesi dell'est, non ha potuto percorrere questa strada, ma c'è chi è stato più fortunato che ha trovato la linea Kadar, la linea Honecker. Se molte prospettive di autentica e reale libertà non sono state realizzate è perché le zone di influenza in effetti esistono e noi riteniamo che il modello europeo possa essere di aiuto nel processo di democrazia e di libertà non soltanto alla Polonia, ma anche agli altri popoli oppressi dall'Unione Sovietica.
Ci turba la caratteristica nuova dell'intervento operato in Polonia che oseremmo definire di stampo sud-americano. Fino ad oggi c'era stato l'intervento diretto oppure si suscitava all'interno un movimento che, in un modo o nell'altro, risolveva la situazione. Oggi, sul palazzo del governo non sventola più la bandiera rossa, il che significa che se Solidarnosc si poneva il problema di rendere più democratico lo Stato polacco, i generali, ammainando quella bandiera e issandone un'altra dicono che sono al governo e che intendono cambiare l'orientamento che lo Stato polacco aveva fino a qualche giorno prima.
Occorre meditare sulle situazioni che hanno portato a questo punto il cosiddetto socialismo reale nei Paesi dell'est. Noi siamo stati tacciati di calunnia e accusati di non aver compreso il patto storico. Noi abbiamo anche sofferto per queste ipotesi e abbiamo percorso le aree delle grandi democrazie della Mitteleuropa comunitaria e quei modelli che tendono a realizzare il socialismo democratico che non opprime la libertà e i popoli.
Abbiamo presentato un ordine del giorno della massima responsabilità.
Non possiamo giocare neanche un millimetro della sorte politica sulla pelle del popolo polacco e, proprio per aiutare questo processo democratico dobbiamo dire come stanno le cose e quali possono essere le prospettive a cui vogliamo andare incontro.
Impegniamo la Presidenza a portare il nostro ordine del giorno direttamente al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli Esteri, auspichiamo che si promuova in campo europeo un processo in questo senso. Chiediamo agli altri Gruppi di dare il loro apporto nel massimo di unità possibile. Soltanto attraverso questo canale riusciremo a dare un reale contributo al popolo polacco.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, a noi sembra che la situazione determinatasi in Polonia sia una situazione di estrema gravità, non soltanto perché in Polonia, con un atto di forza, vengono tagliati quei rapporti che faticosamente si erano avviati in questi mesi tra il Governo di quel Paese e un movimento sociale della classe operaia portatrice di rivendicazioni ma anche di una proposta che può significare l'avvio importante della risoluzione di alcuni nodi che il movimento in Polonia ha messo in evidenza.
Noi, come PDUP, condanniamo quest'atto di forza, condanniamo lo stato di assedio proclamato in quel Paese. A nostro avviso, ci sono delle gravissime responsabilità rispetto alla situazione che si è determinata. Le responsabilità rispetto a questa situazione sono prima di tutto del gruppo dirigente di quel Paese che non ha saputo né voluto raccogliere quanto di positivo e di nuovo esprime il movimento operaio polacco, quanto di positivo e di nuovo esprime il sindacato Solidarnosc; non ha voluto n saputo raccogliere questo per affrontare quelli che sono i nodi che travagliano non solo la Polonia e che il movimento operaio polacco ha messo in evidenza, ma sono nodi che travagliano più in generale le società dell'est. Il gruppo dirigente non ha voluto né saputo raccogliere la positività di questo movimento e la sua proposta, per un coinvolgimento finalmente reale e di massa della popolazione, della classe operaia per affrontare e sciogliere questi nodi.
Riteniamo anche gravi le responsabilità dell'Unione Sovietica per la continua denigrazione del sindacato Solidarnosc e delle sue iniziative. Nè sono esenti da responsabilità coloro che, al di fuori del blocco dell'est quindi in occidente, hanno voluto ridurre la questione polacca a mera questione di equilibri internazionali, spesso strumentalizzando la questione polacca per fini interni, per battaglie politiche interne ai Paesi; ben misera cosa di fronte al destino che avrà la vicenda polacca.
Non siamo d'accordo con quanti dicono che la vicenda polacca è un fatto interno, per due ragioni: intanto perché il suo esito si lega alla possibilità o meno di apportare modifiche sostanziali nei Paesi del socialismo reale attraverso il coinvolgimento di massa della popolazione e dei lavoratori per superare la loro subalternità al potere che viene esercitato in loro nome, ma che non li vede partecipi delle scelte.
Da forza comunista quale siamo non esitiamo ad affermare che questo implica una profonda riflessione della sinistra e nella sinistra sulla natura delle società dell'est. Noi, questa riflessione l'abbiamo iniziata da molti anni con il convegno del "Manifesto" a Venezia nel novembre 1977.
Oggi non basta esprimere condanne e dire che quello è un fatto interno a quel Paese. Riteniamo che la sinistra debba schierarsi dalla parte dei lavoratori e dalla parte di Solidarnosc nella ricerca del significato di democrazia - socialismo per dare una risposta credibile al nesso democrazia formale - democrazia sostanziale, la cui risposta non è soltanto attesa nelle società dell'est, ma anche in occidente.
Con la solidarietà e con l'impegno concreto di tutti, della sinistra in particolare, bisogna mettere i polacchi in condizione di scegliere la loro strada sovrana e democratica. I polacchi oggi non possono scegliere in modo autonomo. La vicenda polacca non è un fatto interno perché i suoi riflessi si sentiranno anche sul problema della pace.
Uno sbocco tragico della vicenda polacca provocherebbe un irrigidimento dei blocchi, quindi un equilibrio internazionale sempre più fondato sul terrore; mentre milioni di cittadini in Europa hanno marciato in queste settimane per chiedere invece un equilibrio fondato sulla cooperazione e sul disarmo. Un'evoluzione positiva della vicenda polacca è la condizione per l'avvio della disgregazione dei blocchi, per l'avvio di un'Europa autonoma, fuori dai blocchi.
Le cautele con le quali i Governi occidentali si sono espressi in queste ore sono del tutto conseguenti alla logica dei blocchi. Riteniamo queste cautele dannose alla causa polacca e umilianti per la classe operaia e per Solidarnosc. Il nostro partito riafferma il proprio impegno a fianco dei lavoratori polacchi e a fianco di Solidarnosc perché vengano liberati gli arrestati, perché vengano ripristinate le libertà democratiche, perch quanto di positivo c'é stato nel processo avviato in Polonia sia riconfermato.
E' necessario l'impegno di tutte le forze politiche, in particolare la sinistra deve avere coraggio di scavare nei problemi delle società dell'est. Abbiamo presentato un ordine del giorno che raccoglie le nostre idee, sulle quali ci auguriamo si determini l'unità dei partiti della sinistra.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

Colleghi Consiglieri, nell'affrontare e nel disaminare la tragica vicenda della repressione militare in Polonia, ritengo innanzitutto che vada sbarazzato il terreno da un equivoco: non è esatto e non è realistico affermare (come è stato fatto ieri sia alla Camera sia al Senato da parte dei Gruppi politici, che si collocano nell'area di sinistra) che le tragiche vicende in Polonia consistono pur sempre in un colpo di mano interno, condannabile, ma addebitabile esclusivamente all'oligarchia politico-militare di stampo sovietico che governa quel Paese.
Siffatte affermazioni, a mio avviso, sanno di distinguo degno del "dottor Sottile", e vanno respinte in quanto appare di tutta evidenza (alla luce di fatti concreti, precedenti, concomitanti e immediatamente successivi ai fatti di Polonia, esteriorizzatisi, in particolare, con la presenza in Polonia, da qualche settimana, del Capo di Stato Maggiore del Patto di Varsavia) che l'Unione Sovietica, in questa grave vicenda, si colloca non come deuteragonista, ma come protagonista, come interprete principale e come mandante dell'intera vicenda. Penso che questo vada affermato a chiare note, e che vada altresì affermato (per rendere questo concetto con una sintesi) che Breznev da una parte, come Capo dell'Unione Sovietica, e quel generale polacco che ha comandato e comanda la rivolta in Polonia dall'altra, stanno fra di loro nel rapporto fra mandante ed esecutore del medesimo crimine, violatore del diritto delle genti e violatore della libertà e dell'indipendenza del popolo polacco.
Questa esatta ottica (che penso possa essere colta facilmente anche da un superficiale osservatore) degrada a particolare irrilevante la circostanza che i carri armati che oggi stazionano a Danzica e a Varsavia appartengano all'esercito del governo polacco, o non piuttosto all'esercito dell'Unione Sovietica.
Appare di tutta evidenza che la paternità di tale operazione va addebitata, con tutte le grosse conseguenti responsabilità per il pericolo della pace del mondo, all'Unione Sovietica.
Fatta questa doverosa premessa, ritengo che sia necessario cogliere e chiarire la causale della repressione militare. E questa causale non risiede soltanto nella logica, in forza della quale (come è stato detto da più parti politiche, ed io ho colto un'espressione molto concisa e lapidaria del collega Brizio in un'intervista apparsa su "La Stampa" del 14 dicembre) "i regimi comunisti sono incompatibili sul piano politico con la democrazia e con il pluralismo".
Da parte nostra aggiungiamo (completando siffatta affermazione) che il comunismo non può vivere con la libertà: o muore l'uno o muore l'altra.
Si tratta di due assiomi di estrema e solare evidenza che si completano a vicenda, che sono storicamente esatti, che affondano le loro radici nella realtà, che hanno, soprattutto, dei precedenti e dei riscontri obiettivi che si chiamano Ungheria, Cecoslovacchia, Berlino-est, Afghanistan.
La causale dell'attuale repressione militare in Polonia non sta per soltanto in quell'ottica e in quella logica dei partiti comunisti che si riconoscono nell'Unione Sovietica. C'é qualche cosa di più immediato, di più concreto, di più palpabile che sostanzia questa causale. Questo qualcosa di concreto si chiama sindacato Solidarnosc, si chiama Walesa, si chiama "i dieci milioni di lavoratori" che hanno aderito a quel sindacato: e che, da "maggioranza silenziosa" dell'estate di Danzica del 1980, hanno preso coscienza della possibilità di poter diventare, in prospettiva uomini liberi; e che, nel contempo, hanno anche preso coscienza che (anche nell'interno del rapporto di lavoro) si può essere "soggetti" e non "oggetti", non "oggetti" di quello Stato padrone di stampo sovietico che li governava e con la repressione li opprime.
Questa presa di coscienza ha preoccupato la dirigenza comunista polacca; questa presa di coscienza è stata alimentata dall'Enciclica "Laborem exercens" del Papa polacco Wojtyla, laddove, in sintesi delle sintesi, ha affermato che il concetto di lavoratore soggetto (e non oggetto) del rapporto di lavoro va esaltato e che va altresì esaltata la partecipazione del lavoratore all'impresa e nell'impresa, sotto il profilo morale e materiale.
Ecco qui la causale immediata della repressione perché la dirigenza comunista polacca si è resa conto che questo anelito di libertà e questa presa di coscienza dei diritti dei lavoratori erano pericolosi (e non sono piaciuti) e si è arrivati a questa grave forma di repressione in violazione di quel grande principio, sempre sbandierato dai partiti comunisti di osservanza sovietica (e non solo sovietica) in forza della quale il proletariato dovrebbe essere tutelato ed esaltato. E qui, con la repressione, si arriva al risultato opposto.
Concludendo questa disamina e queste affermazioni incisive sull'intera situazione, viene giustamente da chiedersi che cosa possiamo e che cosa dobbiamo fare.
A mio avviso, di fronte ai tre mila sindacalisti arrestati, di fronte all'arresto di Walesa, di fronte alla minaccia dei plotoni di esecuzione non è sufficiente esprimere lo sdegno o la solidarietà. Occorre, sul piano operativo, qualche cosa di più incisivo, così come ieri è stato messo in evidenza alla Camera e al Senato dai Gruppi politici del Movimento Sociale Italiano.
Chiediamo, cioè, responsabilmente, che si convochi (parallelamente e congiuntamente a tutte le altre iniziative: sdegno, aiuti, richieste di ripristino delle libertà sindacali e politiche, richiesta di rilascio degli arrestati) il Consiglio di Sicurezza dell'ONU affinché, nei limiti delle proprie competenze, questo importante organo internazionale, che è sorto decine di anni fa come supremo garante della pace, intervenga incisivamente per riportare, quanto meno, un barlume di libertà al popolo polacco e per ripristinare, in quanto possibile, il dialogo fra i dieci milioni di lavoratori e la classe politica dirigente della Polonia.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Reburdo.



REBURDO Giuseppe

Ho seguito con attenzione, anche attraverso i confronti che ho avuto con gli amici e compagni del sindacato Solidarnosc, i problemi e le questioni che sono in gioco all'interno della Polonia.
Quando un regime socialista calpesta l'espressione delle masse e non le rende protagoniste non ha il diritto di chiamarsi socialista. La battaglia che Solidarnosc portava avanti, e che ci auguriamo possa continuare a portare avanti, era diretta a creare, anche in Polonia, le condizioni perché il socialismo abbia la possibilità di coniugarsi con libertà protagonismo e partecipazione reale.
Questa lotta però ha trovato ostacoli diretti nel partito operaio unificato polacco che non ha corrisposto a tali esigenze, anzi, con i processi di burocratizzazione ha reso il regime incapace a dare risposte concrete alla popolazione. Le carenze dal punto di vista economico e le carenze nel campo degli approvvigionamenti stanno a dimostrare che il regime del partito operaio unificato ha fallito. Solidarnosc, al di là delle strumentalizzazioni che si sono tentate anche nel nostro Paese, ha condotto un'esperienza che non viola i principi del socialismo, anzi, cerca di dare ad esso corpo, sostanza e credibilità.
Sono importanti le battaglie e le indicazioni che, accanto a Solidarnosc, la Chiesa ha sviluppato cercando il dialogo e il confronto tra le forze politiche protagoniste della Polonia.
Credo che l'intervento militare in Polonia abbia risposto a pressioni esterne, a quella logica dei blocchi che imbavaglia le esperienze dell'est e che rende difficili i processi di autonomia in Occidente. Basti pensare agli ostacoli che si frappongono, per esempio, all'entrata del PCI nel governo.
La grave situazione della Polonia va affrontata con senso di responsabilità.
Personalmente mi preoccupano alcune dichiarazioni che tentano di stravolgere i fatti polacchi per pura e meschina cucina interna al nostro Paese, mentre ho apprezzato l'intervento alla Camera del Presidente del Consiglio Spadolini che ha chiamato le forze politiche alle loro responsabilità affinché non utilizzino questo dramma per interessi interni invitandole a fare una riflessione sui modi con cui in concreto si potrà dare un aiuto alla Polonia per uscire dalla crisi.
Non credo, però, si possa dare un aiuto chiedendo la rottura dei rapporti tra est e ovest che, a mio avviso, rischierebbe invece di acuirli.
Gli arresti dei dirigenti di Solidarnosc e di rilevanti intellettuali sono attacchi concreti alle prospettive di protagonismo delle masse.
Dobbiamo lavorare perché questi atti non si ripetano, perché si ristabilisca il dialogo tra le forze protagoniste in Polonia.
Questo è ancora possibile? I polacchi possono ancora nutrire speranze? Positivo è stato l'intervento del Primate, monsignor Glemp, il quale ha citato una frase drammatica: "Non vi è bene più grande della vita umana.
Per questo farò appello alla ragione, anche a prezzo di ricevere insulti, e chiederò, anche se dovessi farlo in ginocchio e a piedi nudi, che un polacco non lotti contro un altro polacco".
E' un'indicazione attorno alla quale dobbiamo lavorare. Il dialogo, il confronto, lo spazio che si è conquistati Solidarnosc devono riemergere in tutta la loro forza e in tutta la loro pregnanza.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Lo scopo della convocazione straordinaria del Consiglio regionale ha sempre una duplice valenza: la prima è quella di porre un'assemblea elettica e politica di fronte ad un problema, generalmente molto grave e di far pronunciare l'assemblea su quel problema. Credo che essendo stati presentati già tre o quattro ordini del giorno si stia rivelando l'intenzione di uno sbocco politico credibile a questa assemblea e noi ci auguriamo che lo sbocco sia quello di un ordine del giorno unitario.
La seconda è quella di affermare il ruolo dell'assemblea quale moltiplicatore di informazione e quindi di sensibilizzazione e di presa di coscienza più generale e quindi popolare dell'avvenimento o degli avvenimenti.
La prima valenza la stiamo ponendo in essere verificando attraverso i vari interventi; a questo riguardo vorrei esprimere al Presidente del Consiglio il mio disappunto per non avere questa assemblea avuto lo svolgimento che la riunione dei Capigruppo aveva dato. Per la verità alla riunione dei Capigruppo si era detto che questa riunione avrebbe potuto avere un diverso svolgimento, ma questo avrebbe dovuto sortire da un'ulteriore intesa fra i Capigruppo stessi. Siccome io non sono stata informata e l'insofferenza di Marchini mi fa pensare che anche il PLI non fosse stato informato, vorrei, senza drammatizzare, segnare questa cosa.
Per quanto riguarda la seconda valenza, quella dell'informazione e della sensibilizzazione verso l'opinione pubblica, oserei dire che a questo riguardo l'assemblea giunge in ritardo in quanto negli ultimi tempi, mai avvenimento internazionale di così grande importanza è penetrato così repentinamente e profondamente fra la gente scuotendola, indignandola e obbligandola a correre subito nelle piazze e nelle strade del Piemonte d'Italia e del mondo per dimostrare il suo sdegno ed il suo profondo dissenso.
I partiti nelle sedi europee, nelle sedi parlamentari romane, nelle sedi regionali e provinciali hanno reso nota la loro condanna ed il loro giudizio politico.
Il mio intervento non può che confermare quella condanna e quel giudizio a cui non possono essere estranei i miei personali sentimenti profondamente turbati dalle immagini che il gelido vento polacco ci ha regalato in una domenica piemontese già carica di tristezza e apprensione per il nostro lavoro, per le nostre fabbriche: un cancello di fabbrica presidiato dalle grige divise dei militari, un mezzo corazzato fermo tra la neve, cupo e silenzioso fanno parte di queste immagini.
La bandiera polacca sventola da domenica sui palazzi governativi di Varsavia; il generale Jaruzelski ha fatto ammainare il vessillo rosso del Partito Comunista e lo ha sostituito con il simbolo della Nazione. Un gesto che vorrebbe rendere credibile al popolo polacco il colpo di stato, il primo in un Paese a regime comunista. Ma nulla, è bene ricordarlo, e meno credibile di un colpo di stato, nulla può far credere all'occidente libero che la grigia divisa di un generale possa riportare ordine e legalità. Le vicende della Polonia hanno portato nelle piazze europee migliaia di persone, gli interrogativi si moltiplicano, le supposizioni su ciò che domani, o forse fra un'ora, potrà accadere sono all'ordine del giorno.
La gente si chiede se la mossa di Jaruzelski abbia innalzato uno scudo protettivo verso l'Unione Sovietica o se, invece, lo scudo lo manovrino da lontano i dirigenti del Cremlino, affinatisi nella loro politica d'invasione. Le torrette dei carri armati sovietici domenica sono rimaste ai confini, gli errori dell'Afghanistan non si sono ripetuti, la politica sovietica si è stemperata nella sua durezza, si è assurdamente ingentilita è rimasta prudentemente fra le guglie innevate del Cremlino.
Addirittura la meccanica del golpe, tanto sud-americano nella sua limpida logica fascista, è cambiata: nessuna repressione palesemente violenta, cruenta, sembra quasi che il regime dittatoriale comunista voglia far capire ai Paesi occidentali che stupirsi di quanto accade in Polonia sia un'esagerazione.
Il giudizio politico è stato ovunque unanime tranne che a Mosca. Da quanto accade tutti concordano nel dire che la condizione umana libera non è condivisibile con la condizione proposta dall'ideologia marxista, in virtù della quale Sacharov ha dovuto digiunare fino allo stremo delle forze per concedere alla moglie di suo figlio la gioia di un mondo dove si pu anche rinnegare la libertà senza finire fra le nevi della Siberia.
La popolazione polacca è per natura e condizione culturale molto diversa dagli altri Paesi dell'est europeo, nello spirito del lavoratore di Varsavia non è difficile ravvisare sentimenti e vivacità sindacale simile a quella dell'operaio di Torino.
La condizione sindacale polacca ha una storia ricca di momenti d'intervento all'interno della rigidità del regime e questo accade a partire dal secondo dopoguerra quando Ungheria e Polonia ravvisarono la necessità di svolgere un dibattito sulla possibilità di una pianificazione democratica che non ricalcasse il modello sovietico.
Il procedimento auspicato si svolse prevalentemente in quei Paesi nei quali si stava avviando un primo graduale avvio di industrializzazione, non interessando per contro Bulgaria, Romania e Albania, basati su un'economia prevalentemente agricola. Il modello di Mosca prevalse già in quel primo approccio autonomistico quando nel 1949 l'Unione Sovietica impose la costituzione del Comecon, un sistema integrativo che non poteva lasciare spazio alle politiche economiche eretiche così lontane dalle imposizioni volute dalla Russia. Un sistema economico, però, anche se imposto dal potere centrale, non poteva tenere conto di riflesso dei rinnovamenti in atto in altri Paesi non sottoposti al regime comunista. Il prezioso margine di autonomia che non poteva non essere preso in considerazione da Paesi come la Jugoslavia e l'Ungheria che si collocavano in posizione differente nel panorama europeo e che agirono all'interno del proprio contesto con modalità d'intervento differenti. Il progressivo concetto autonomistico della Jugoslavia si è sviluppato dal 1948 ad oggi secondo l'immagine dell'autogestione, uno sviluppo avvalorato e sostenuto dal governo jugoslavo, che nel dopoguerra sancì definitivamente la sua autonomia industriale da Mosca e nel contempo diede vigore alla forza di non allineamento voluta da Tito e che egli stesso seppe difendere in momenti politici anche difficili, ma che oggi pongono la Jugoslavia in una posizione assai differente da quella degli altri Paesi del blocco socialista.
Il sistema economico ungherese ha seguito invece fasi storiche diverse a partire da gli anni immediatamente susseguenti all'invasione sovietica.
Venne avviata una normalizzazione che non poté tenere conto delle esigenze vitali di una graduale riforma dell'industria ungherese, in rapporto anche al mercato internazionale.
A questo punto s'inserisce il riconoscimento dell'autonomia dell'impresa, a questa è concesso di elaborare autonomamente i propri piani e di disporre dei propri fondi finanziari, da utilizzare secondo fondi di mercato.
Il momento polacco segue di molti anni quello jugoslavo ed ungherese con connotazioni diverse da entrambi ma che nella fase iniziale fecero pensare ad un avvicinamento del modello jugoslavo.
Lo sviluppo sindacale polacco è andato sviluppandosi in poco più di un anno con un aumento a dismisura senza precedenti nella storia dell'est europeo, ora la grande speranza di milioni di lavoratori polacchi si è infranta, si è spezzata contro il vetro di una triste condizione politica.
Bisognerà adesso riflettere anche sugli errori di Solidarnosc, sui guasti arrecati ad un'economia già fragile da ondate di rivendicazioni incontrollate e talvolta anarcoidi. Il libero sindacato di dimensioni imponenti, la ricerca di nuove forme generose di pluralismo, il ruolo peculiare della Chiesa cattolica, le caratteristiche della gente polacca così orgogliosa e fiera, così distante dall'indifferenza del freddo nordico, hanno fatto dell'esperienza polacca una situazione totalmente differente da quella ungherese o cecoslovacca.
Allora, come oggi, ci svegliammo sgomenti alla vista delle armi con la stella rossa, ma oggi scoprire che un equilibrio democratico fondato su sistema misto, come poteva rivelarsi quello polacco, è tramontato ci toglie speranze ed illusioni sul futuro di pace attraverso un asse moderatamente libero.
Al nostro Governo, come a tutti quelli occidentali, spetta un duplice dovere. La complessità del problema impone, innanzitutto, che i Governi s'impegnino a non favorire in nulla il precipitare della crisi verso altre forme di repressione, oggi più vicine di ieri, con lo sguardo della Russia alle porte. Infatti, il rapido colpo di stato non esclude che le truppe sovietiche possano varcare i confini polacchi da un momento all'altro. Al popolo polacco si deve, in seconda istanza, dare tutto il sostegno e l'autentica solidarietà dell'Occidente. Le nostre forme di partecipazione democratica libera alla vita pubblica non possono da oggi ignorare o sottovalutare l'infame atto compiuto in una notte dai dirigenti di Varsavia.
Lo stretto legame che unisce i lavoratori della CGIL. CISL e UIL ai lavoratori del sindacato polacco deve invogliare i primi a lavorare da oggi anche per i secondi. Dimostrando in fabbrica e non soltanto in piazza versando un quarto d'ora di lavoro per le famiglie dei lavoratori confinati nell'isolamento politico, la propria solidarietà.
Le condizioni sociali ed economiche, già così precarie, in queste ore precipiteranno e la Polonia, che sente il dramma della fame come un Paese del Terzo Mondo, non potrà rimanere isolata. Esiste un sistema solo per non cancellarla dal resto dell'Europa e questo sistema è racchiuso nelle parole dette dal Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini che da oggi facciamo nostre: "Ogni credente nella libertà si sente in questo momento compartecipe del dramma polacco, un po' cittadino della Polonia", una dichiarazione di fedeltà alla libertà che non possiamo ignorare.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, già nel dibattito del mese di settembre scorso avevamo avuto modo di sottolineare gli aspetti positivi di una società come quella polacca in forte evoluzione, tale da tenere conto della maggior articolazione al suo interno, di una diversa distribuzione del potere sociale e politico fra gruppi socio-economici, quindi della loro espressione sul piano politico, sul piano sindacale. Ciò a sottolineare l'esigenza, sempre più avvertita, anche in quella società, di maggiori gradi di pluralismo e di libertà di espressione garantiti a tutti i livelli sociali e politici.
Ma, in allora, esprimemmo anche le preoccupazioni per possibili evoluzioni negative di quel processo. In questi giorni abbiamo avuto la conferma che quelle preoccupazioni non erano certamente ingiustificate, e i timori si sono dimostrati fondati per un'involuzione degenerativa del sistema socialista polacco.
E' già stato ricordato il fatto nuovo, e per molti versi assai grave di essere in presenza di un golpe militare di triste memoria sud-americana un fatto che non ha precedenti nella storia dell'Europa nord-occidentale e che non ha precedenti nella storia dei Paesi a socialismo reale. Non ha precedenti neanche in un Paese che ha, una lunga tradizione parlamentare e le cui origini possono addirittura trovarsi nelle pieghe di epoca rinascimentale. E' un golpe militare che ha colpito duramente il sindacato i lavoratori, il popolo polacco e - pare - lo stesso Partito Comunista polacco. L'intervento dell'esercito deve portarci a valutare quale pu essere il suo ruolo, il suo significato, in una considerazione storica.
La Polonia di oggi non è quella a cui storicamente molte volte si è fatto riferimento anche in questi diciassette mesi, nel senso che è una Polonia che è spostata geograficamente ad ovest, che non può rientrare in possesso delle province perdute a seguito della seconda guerra mondiale dopo la spartizione di allora, senza entrare in conflitto con la seconda potenza mondiale, l'Unione Sovietica, e non può neanche rinunciare ai suoi territori ad occidente senza turbare l'equilibrio internazionale. Vale a dire, paradossalmente: la sua identità nazionale dipende da quell'ordine internazionale che il sindacato Solidarnosc rischiava di minacciare con la sua azione per i suoi risvolti politici.
Può essere forse questa una chiave di lettura dell'intervento dell'esercito, sul cui sfondo c'è, a nostro avviso, anche lo scontro fra due nazionalismi: quello libertario e spirituale di Walesa e quello politico territoriale di Jaruzelski.
Ma, per rimanere ai tempi assegnatici, vogliamo qui esprimere la solidarietà piena e incondizionata al popolo polacco, ai lavoratori e alla loro libera organizzazione nel tentativo di dare davvero un volto umano al socialismo reale, che pare non conoscere transizioni né dolci né facili verso maggiori gradi di pluralismo e di libertà.
A nostro avviso era questo un modo originale, un avvio, un tentativo per cercare di trovare una combinazione anche in quei regimi fra democrazia e libertà. Da questo punto di vista il golpe militare rappresenta una novità sia rispetto a Budapest nel 1957, sia rispetto a Praga nel 1968, che forse rimane il più alto tentativo di democratizzazione di quei regimi partendo dall'interno del Partito Comunista.
Esprimiamo anche la preoccupazione che i recenti fatti polacchi possano rappresentare un attacco alla distensione e alla pace per la quale si stava faticosamente, proprio in questo periodo, ricucendo un'iniziativa internazionale anche grazie all'apporto decisivo dei giovani e delle popolazioni europee con le loro manifestazioni ed anche per un'azione decisa della Comunità Economica Europea. Forse può essere anche più di una circostanza il fatto che il golpe militare avvenga in Polonia proprio quando Schmidt e Honecker si incontrano per cercare di ricucire una politica di distensione che arrivi al superamento dei due blocchi. Non si cercano con questi dibattiti strumentalizzazioni, che sono assolutamente al di fuori della nostra tradizione e noi le rifiutiamo; ma certo non si pu assumere una posizione di equilibrio tra le due parti.
In questa circostanza non si può non essere del tutto a fianco con il sindacato e con i lavoratori oppressi dal regime poliziesco e militare instaurato. Siamo anche dell'opinione che occorre in questo momento un atteggiamento di prudenza sul piano internazionale. La situazione polacca è oggi in bilico e dipende - come ha detto bene Bettiza - da come Jaruzelski è visto all'interno del sistema sociale polacco, se come l'ultimo baluardo per evitare l'intervento delle truppe sovietiche oppure come l'uomo di paglia dell'Unione Sovietica.
Condividiamo appieno l'ordine del giorno che assieme al Gruppo socialista abbiamo depositato alla Presidenza del Consiglio, nel quale sono riassunte le indicazioni testé riferite, nel quale si esprime la solidarietà al sindacato e ai lavoratori e si esprime la preoccupazione che questo episodio finisca per turbare il tentativo che si sta faticosamente portando avanti per la distensione e la pace nel mondo.
Condanniamo anche le colpe che ha l'Unione Sovietica su questa vicenda con il rammarico che - davvero - ci sembra sempre più lontana la prospettiva in cui si possa coniugare il socialismo con la libertà, ideali per i quali il nostro partito è impegnato in Occidente per la loro affermazione nel sistema politico internazionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, signori Consiglieri, ho l'onore di esprimere in questa assemblea, in questo Parlamento, come direbbe Viglione, caricando il termine Parlamento di tutto il suo significato di rappresentanza e di responsabilità assunte e da assumere nel nome di tutta la collettività, i sentimenti, le valutazioni e le determinazioni dei liberali piemontesi.
In primo luogo la solidarietà a tutto il popolo, solidarietà che è totale, piena e senza riserve, semmai incrinata e sofferta dalla consapevolezza della sua inadeguatezza alla gravità dell'ora, una risposta certo non in grado di confortare, rassicurare e rafforzare chi dalle Regioni, dove oppressione è sistema, chiede alle Regioni delle libertà, ai popoli delle libertà, ai partiti delle libertà.
Solidarietà è consapevolezza che il popolo polacco con noi e soprattutto per noi sta vivendo giorni grandi non solo della sua e della nostra vita, ma della sua e della nostra storia, della storia dell'uomo.
Certo, giorni grandi, perché giorni grandi dell'uomo e delle nazioni non sono solo i giorni esaltati dal successo ed illuminati dalla gioia, ma soprattutto i giorni della tristezza e dell'angoscia e magari della sconfitta se tristezza, angoscia e sconfitta ci servono a riconoscere, a verificare e a fare più nostri i valori per i quali viviamo e subiamo tristezza, angoscia e sconfitta.
Un brutale fatto aggressivo, colleghi, le sue modalità, l'occasione che ci si offre di misurarci sui grandi temi delle libertà e del dissenso, del pluralismo e, in una parola, della democrazia, questi sono i temi di un intervento che vogliamo sia rigoroso nell'impostazione, realistico negli obiettivi, ma anche non evasivo del dovere che abbiamo in questa sede di confrontarci e misurarci.
Un brutale fatto oppressivo, "il golpe dei deboli" è stato detto, un colpo di stato militare sul quale in ogni manifestazione dalle bandiere alle divise e ai simboli agli stessi speackers televisivi, il volto vero di un regime oppressivo, barbaro, grossolano, liberticida e militarista emerge tutto tondo non più mascherato dalle grisaglie degli anonimi funzionari di partito e dai simboli dell'internazionalismo operaio.
Colleghi Consiglieri, il Partito Comunista è contro il popolo, il Partito Comunista è contro le masse.
E' cessata, è finita un'illusione, l'illusione di chi credeva possibile un miracolo della storia e della volontà e della capacità degli uomini, la coesistenza di un doppio potere: quello del governo, debole, esautorato svuotato da un lato e quello vero, reale, legittimo, perché consacrato dal consenso del sindacato.
Il miracolo della normalizzazione, se non della cooperazione, non si è realizzato ed insieme si è impedito che si verificasse un'esperienza traumatica e pericolosa e pertanto inaccettabile per il comunismo e quindi da combattere e da reprimere e da schiacciare ad ogni costo e ad ogni mezzo. Ed è stato il dramma, ed è stato lo scontro e forse sarà la tragedia; la storia si ripete. Quando un movimento a grande rappresentativa popolare, ricco di determinazione e cosciente della sua forza, dopo aver occupato tutto lo spazio del sociale, con i suoi obiettivi, si spinge sul terreno più aperto del politico per rivendicare legittimità di presenza per vedersi riconoscere quale portatore di istanze più profonde che vanno dalle richieste di settore alla più ampia e profonda e diffusa domanda di libertà civile, politica ed economica allora è lo scontro. Così è avvenuto in Russia nel 1917, così è avvenuto nella Polonia del 1981.
Un brutale fatto oppressivo che afferma e sottolinea ancora una volta verità consacrate dalla politica e dalla storia. Una domanda di libertà e di democrazia nella fabbrica e nei rapporti di lavoro porta inevitabilmente ad una domanda di democrazia più completa di diritti civili, politici ed economici, alle libertà di associazione, al pluralismo, alle libertà classiche, in una parola alla democrazia vera e reale nella quale viviamo e per la quale operiamo.
Pensate veramente, colleghi comunisti, che Solidarnosc potesse dare ai lavoratori il sabato libero senza riempirlo ed arricchirlo di libertà di espressione, di stampa, di associazione, di possibilità di scegliere e determinarsi? Se questo credete (ma penso che non possiate crederlo) ecco che trova per noi spiegazione quella parte del comunicato della vostra Direzione centrale dove si contestano le tendenze che voi qualificate "estremistiche" ed "irresponsabili" di Solidarnosc. Queste non sono spinte estremistiche di irresponsabili: è il passo lento ma inesorabile della storia, è il vento leggero, ma teso e costante, della libertà di ogni uomo e di ogni popolo.
Ancora una verità esce rafforzata e provata dal dramma di Varsavia. Il tentativo di democrazia, abbozzato e parziale, è incompatibile con il modulo del PCI in un regime a socialismo reale. E' stato scritto che solo un comunismo suicida si allea alla democrazia. Ed è ormai un ectoplasma di comunismo quello che in Polonia è svuotato di ogni idealità e di ogni consenso, soffoca con la forza delle armi la speranza di libertà e di democrazia.
Qualcosa sulle modalità di questo odioso fatto oppressivo. In modo cinico ed ipocrita da parte di molti ci si compiace che la repressione sia stata operata dai militari polacchi e non dai più sperimentati ed affidabili specialisti sovietici, reduci dalla gloriosa campagna dell'Afghanistan.
Noi liberali diciamo subito con forza che il fatto che la repressione sia stata operata dall'esercito polacco è un fatto politico grave significativo e gravido di conseguenze, forse più grave, più significativo e più gravido di conseguenze di quanto non sarebbe stato se la repressione fosse stata operata dichiaratamente ed apertamente dalla Piazza Rossa.
Certo, non siamo noi ad auspicare file di miliziani in casacca bianca che scendono la scalinata con le carabine spianate; certo, non vogliamo noi vedere ruzzolare carrozzine per bimbi, anche perché non ci sarebbe in questo caso l'occhio e l'obiettivo di Einseinstein. Ma, certo, sappiamo che se oltre al freddo, alla fame, all'umiliazione ed alle lacrime non sarà versato sangue, questo lo si dovrà alla compostezza, al senso politico e forse alla rinuncia del popolo polacco. Il fuoco dei fucili e dei cingoli dei carri armati, direbbero i latini, non hanno odore, in modo eguale privano, in modo eguale straziano, in modo eguale uccidono.
Pensiamo, al contrario, che Mosca, utilizzando l'esercito polacco abbia voluto minare una delle strutture più solide e radicate nella coscienza del popolo polacco.
Del resto la storia si ripete, le Fosse di Catin che tutti quanti ricordate, hanno seppellito il meglio dell'aristocrazia militare polacca e le macerie di Varsavia, insorta e distrutta sotto gli occhi indifferenti e complici dei sovietici, hanno seppellito la classe politica emergente della nuova Polonia portatrice di istanze di libertà e di progresso.
Ci sarebbe qualcosa da dire sull'interpretazione che dà il collega Reburdo del comportamento della Chiesa cattolica e altro questo comportamento non potrebbe essere, ma, certo, che il messaggio del primate polacco venga trasmesso ogni quarto d'ora, mi sembra vera strumentalizzazione.
Anche qui si cerca di minare l'altro cardine della realtà polacca.
Ancora due parole sull'interpretazione del dramma data dalle forze politiche, ed in ispecie ed è d'obbligo, sull'interpretazione data dal PCI.
Vi è stato un documento della Direzione e, a nostro avviso, non è molto di più che un giudizio di fatto del tutto acritico e del tutto elusivo rispetto alla problematica del dramma polacco. Socialismo e democrazia pluralismo e regime, legame inscindibile fra libertà sindacali, civili ed economiche e la necessità quindi che la democrazia si attui e si realizzi attraverso la loro armonizzazione soprattutto priva di ogni giudizio vero sul sistema politico e di potere, sull'ideologia che il dramma polacco hanno voluto e perpetrato.
Ma, se come liberali dobbiamo rispetto alle opinioni altrui, anzi, ne dobbiamo garantire gli spazi ed espressioni, respingiamo con forza nel documento, che ho richiamato, lo spirito paternalistico e didascalico quando invita ad evitare strumentalismi e controposizioni, soprattutto quando apprendiamo, leggendo la pag. 2 dell'"Unità" di ieri, che propagandista, strumentale, sbracato e vessillifero di guerra fredda è Publio Fiori quando dichiara, quando condanna "i principi, gli obiettivi ed i metodi del comunismo internazionale" e sempre propagantista, strumentale sbracato e vessillifero di guerra fredda sarebbe Pietro Longo quando parla di totale fallimento dell'ideologia e della politica comunista.
Colleghi comunisti, se questo fallimento che è sotto gli occhi del mondo non viene da voi riconosciuto, se veramente non vi dissociate con una dura condanna dai principi, dagli obiettivi, dai metodi del comunismo internazionale, allora il vostro approccio ai temi della libertà e della democrazia è lontano ed inadeguato rispetto ad una democrazia quale noi vogliamo e per la quale lavoriamo, libera, aperta, articolata, pluralistica e garantista.
Colleghi Consiglieri, signor Presidente, lo Zar di tutte le Russie proclamava sulle rovine fumanti della città di Varsavia, una città che è nel cuore di tutti noi da sempre ma che è da ieri ancora di più nel cuore di quanto non lo fosse, "L'ordine regna a Varsavia". Da quelle rovine è risorto un popolo ricco ed orgoglioso nei suoi valori di fede nella religione dei padri e di speranza nella libertà degli uomini.
Oggi la Tass, moderno banditore del nuovo despota, comunica: "La situazione a Varsavia è tranquilla". Noi siamo certi che dall'angoscia di quel popolo, dall'umiliazione di quel popolo, dalla sofferenza di quel popolo, riemergeranno, ricche della loro capacità di rinnovamento, forti della volontà di affrancazione e progresso, le insopprimibili irrinunciabili, eterne ragioni della libertà.
Comunico ai colleghi che il nostro Gruppo ha sottoscritto il documento del PSI e del PSDI.



PRESIDENTE

Ha facoltà di intervenire il Consigliere Revelli che ne ha fatto richiesta.



REVELLI Francesco

Al di là delle contestazioni che si possono fare, che sono liberissime è ampiamente nota la posizione assunta dal PCI di fronte alla drammatica evoluzione delle vicende polacche. E' una posizione netta di condanna che è già stata commentata in diverse sedi, in primo luogo nel Parlamento della Repubblica dal compagno on. Pajetta, e questa sera credo verrà ripresa dal compagno Berlinguer nella conferenza televisiva.
Condanna, apprensione, angoscia sono state ripetute anche qui e sono state ripetute con passione in un grande movimento di solidarietà con il popolo polacco, dalle forze sindacali, dai lavoratori, dalle forze della sinistra, dai partiti democratici, dai giovani, da tutti coloro che sono stati attivi in queste settimane nella battaglia per la pace.
Al di là di ogni protesta, di ogni solidarietà morale e concreta, al di là di ogni calcolo di parte, che è sempre presente in momenti così drammatici e che ha le sue motivazioni, occorre capire il perché della posizione di condanna.
Mi si permettano alcune brevi considerazioni che hanno le loro radici nel Memoriale di Yalta di Palmiro Togliatti che forse, prima di ogni altro nel campo dei partiti comunisti, seppe cogliere l'approssimarsi della fine di un'epoca.
La prima considerazione è improntata a quella che è stata definita qui dall'intervento di Viglione e di altri, la realpolitik e riguarda i gravi pericoli per la pace. Non sono fatti esterni od interni a quel Paese, sono un attacco ad una linea progressiva della politica di distensione. Viene quindi rimessa in discussione la sicurezza europea all'est e all'ovest. Si fanno ancora più precari gli equilibri; atti preoccupanti vengono commessi sul piano delle relazioni politiche internazionali come era già avvenuto nel 1956, all'epoca dell'occupazione dell'Ungheria e, successivamente, nel 1968 con l'occupazione della Cecoslovacchia; atti che su altri scacchieri tendono ad alimentare lo scontro in altre aree del mondo ed ancor più nel bacino mediterraneo.
Non voglio mettere sullo stesso piano i fatti di Israele di questi giorni, della Turchia, o anche il significato diverso che assume l'entrata della Spagna nella NATO.
Ecco, dunque, che anche per questo vi è un atteggiamento di tanti Governi improntato a prudenza, a non spezzare i tenui fili del dialogo e delle possibilità di incidere con il sistema nelle relazioni internazionali tra Governi e Stati sul regime instauratosi in Polonia. Ma bisogna pur anche dire che vi è una sottile intenzione quasi di mantenere così gli equilibri e di permettere ad est ciò che si potrebbe permettere ad ovest.
Sulla prudenza di tentare gli interventi, in ogni condizione da parte di un Governo come quello italiano, c'é stata e c'é convergenza tra le grandi forze della democrazia del nostro Paese. Ma la realpolitik non è sufficiente. La riflessione deve andare più a fondo.
Noi abbiamo sempre appoggiato il processo di rinnovamento in Polonia perché riteniamo che anche nelle grandi questioni internazionali gli schieramenti contino poco. C'è in primo luogo un problema di contenuti che si impongono, con prepotenza con la dura verità dei fatti e della storia ai comunisti, alla sinistra, alle forze del cambiamento nel nostro Paese.
E' in crisi l'equilibrio dei blocchi. Abbiamo già avuto modo di dirlo nella discussione sulla pace e della fame nel mondo. Sono in crisi, cio gli equilibri mondiali che hanno retto le sorti del mondo e condizionano rigidamente anche gli schieramenti interni ai singoli Paesi che fanno dichiaratamente parte dei blocchi contrapposti.
Si stanno dimostrando miopi le concezioni della sicurezza che ignorano le aspirazioni profonde alla pace, all'indipendenza, all'autonomia e allo sviluppo. Se prevale ad ogni costo la logica di blocco, come prevale nei fatti di Polonia, il linguaggio dell'equilibrio del terrore e le logiche di potenza, vengono stroncate le aspirazioni dei popoli ad affermare le loro storiche tradizioni nazionali, anche quando il socialismo gli è stato portato senza chiedergli il permesso.
Le esigenze di partecipazione si sono affermate negli ultimi decenni in tutto il mondo. Alla strettoia è giunto tutto il complesso storico da un lato in cui il sistema occidentale, guidato dagli USA, ha organizzato e diretto lo sviluppo, la civiltà dell'industria, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. L'uso mondiale delle risorse corrisponde ad una crisi profonda del socialismo reale, al prevalere, questo è il primo dato che voglio risottolineare come comunista italiano, della sfiducia nella possibilità di estendere la politica di distensione e di coesistenza. E' un dramma questo fatto.
E la considerazione che ne consegue è quella di chiarire che la politica di un partito eurocomunista come il nostro non si può ridurre soltanto a prendere le distanze dal socialismo reale; non possiamo limitarci ad affermare e dimostrare la nostra autonomia, cosa ampiamente nota. Non sta qui la novità della nostra politica.
Noi abbiamo la convinzione e la testardaggine, non da soli certamente di poter parlare ad est ripercorrendo la nostra storia, lo sviluppo della nostra politica, del nostro orientamento ideale in modo incisivo, partendo dalle cose, in primo luogo dai temi della pace, dalla nostra concezione del socialismo, legato per la nostra storia, per le nostre battaglie alla democrazia ed alle libertà politiche come beni indiscutibili, indivisibili ed irrinunciabili. Al tempo stesso pensiamo di dare il nostro contributo per ridefinire, anche qui non da soli, ma rispondendo alle domande che ci ponevano i compagni dell'area socialista ed altre forze democratiche, e con il peso che ci viene dalla rappresentanza che ci è affidata nel Paese, dal patrimonio politico e culturale della nostra elaborazione, un nuovo ruolo delle classi operaie e popolari europee, del loro sistema di alleanze nazionali ed internazionali.
Partiamo anche qui dalla convinzione di dover essere elementi attivi e progressivi in uno schieramento molto ampio di forze le quali, al di là delle etichette storiche e delle tradizioni politico-ideologiche, possono contribuire in modo positivo a dare risposte di rinnovamento e di progresso ai problemi del mondo, a creare le premesse per un possente movimento che liberi il mondo dalla cappa dei blocchi. Vogliamo batterci prima che inizi come qualcuno pensa anche a sinistra - la terza guerra mondiale che rende inevitabili gli schieramenti per superare questa soglia che ha caratterizzato un'epoca.
Ma noi comunisti italiani - e avete ragione a chiedercelo, colleghi delle forze democratiche - siamo una forza politica radicata nella società nei sentimenti, nella sensibilità democratica profonda del nostro popolo e non possiamo fermarci con i nostri giudizi sulla soglia delle cancellerie o dei giovani, alla realpolitik da un lato, o anche soltanto ai valori di cui siamo portatori. Entriamo nel merito del problema polacco e di qui la terza ed ultima rapida considerazione.
Gli avvenimenti polacchi dimostrano il fallimento dell'intero strato dirigente della società polacca organizzato nel Poup. Il potere assunto dai militari, lo stato di assedio, la sospensione di ogni diritto ne sono una drammatica conferma, perché cancellano anche il partito. Dallo scorso settembre, quando discutemmo del problema polacco, ad oggi, abbiamo assistito ad uno scontro continuo che ha bruciato speranze, idee, energie con lo spreco di grandi possibilità. C'é sempre stato un divario profondo tra le aspirazioni all'ambizione al cambiamento ed i rigidi condizionamenti esterni della logica di blocco, condizionamenti interni dovuti alla situazione economica, non insuperabili, però esterni, insuperabili invece per le ricorrenti minacce dell'intervento del patto di Varsavia dell'Unione Sovietica, minacce che si sono fatte più impellenti e cogenti nell'ultima fase. Questa involuzione che interrompe un processo di rinnovamento non è solo da giudicare gravissima e da condannare. Dimostra ai Paesi dell'est come sia illusorio sviluppare una trasformazione socialista soffocando un'esigenza di democrazia, di libertà politica che si è espressa in condizioni diverse, ieri in Cecoslovacchia, oggi a Varsavia, con così grande consenso dei lavoratori e del popolo.
Cara collega Vetrino, il sindacato Solidarnosc ha commesso errori? E' possibile sul piano sindacale, lo diceva ieri anche Lama. Ne commettiamo tanti anche qui. Ma, attenti! Quegli errori sono resi più tragici e drammatici dal fatto che quello Stato, quegli organismi dirigenti, quel modo di conduzione ha sempre impedito che vi fosse questo sindacato. Non dico che l'Ungheria sia il mio ideale. Lo cito come un dato storico, un fatto senza ideologia. Nel 1958 gli hanno dato la libertà di scioperare.
Certo, lavoreranno poco anche là, come dice l'unico grande sindacalista dell'est che abbia qualche credito nel mondo, Gaspar. Tanti difetti ci sono anche là, però c'è la contrattazione: il sindacato è una cosa, il partito è un'altra. Lo Stato cerca di esserne un'altra. Si tratta non soltanto di gridare più forte la propria critica per avere ragione: lo sappiamo bene noi comunisti. Occorre invece capire che la mancanza di democrazia politica non solo contrasta con i fini più profondi del socialismo, ma espone quei Paesi a crisi gravi, ricorrenti ad autentiche tragedie nazionali che nessun intervento repressivo esterno od interno potrà mai sanare.
E' proprio dalla posizione antidogmatica dei comunisti italiani che inizia la loro differenza rispetto ad altre forze comuniste ed anche alla sinistra. Anche da ciò è derivata la nostra caratteristica di forza portatrice di una volontà di trasformazione ma, al tempo stesso decisamente unitaria. L'idea unitaria - lo dico ai colleghi della Giunta che condividono con noi una responsabilità di governo in questa Regione così importante - per noi non può nascere se non si parte innanzitutto dalla comprensione delle ragioni degli altri.
Non giudichiamo retoriche le domande che altri o noi stessi poniamo.
Sappiamo per certo che l'intreccio tra democrazia e socialismo implica una visione non pedagogica della politica, comporta un diverso rapporto tra partiti e Stato. Siamo convinti che nessun partito in nessuna condizione possa essere più ricca della società in un confronto costante tra società ed istituzioni.
Questa è la posta in gioco in Polonia. L'allargamento delle basi del potere per costruire un socialismo pluralista, originale per quel popolo se lo vuole, per la tradizione di quella Nazione.
Non richiamerei le fosse di Catin. Questa è una mia opinione strettamente personale. Nel momento in cui parte della mia famiglia lottava con Anders, appena ritornati in Polonia si vedeva costretta all'alleanza con i nazisti di una parte del Governo di Anders, in cambio di qualche chiesa in Ucraina: tantum religio potuit suadere malorum. Siamo con Lucrezio, non con il generale Jaruzelski e tanto meno vogliamo imporre le nostre opinioni a Glemp. Ci chiediamo invece: la sinistra ha oggi una valida alternativa ai mali che affondano nelle strutture le loro radici qui e là? Noi, lottando coerentemente per la libertà di ogni popolo, con i nostri limiti, ma con il nostro grande patrimonio di lotte che ci trasmette chi è venuto prima di noi e chi ha lottato insieme ad altri di altre forze politiche di sinistra per la sua autonomia, ribadiamo che occorre uscire anche se ci vorrà del tempo, dalla grande rigenerazione culturale dei vecchi schemi e dei facili schieramenti.
Collega Vetrino, non ci va l'ordine di Varsavia, quello di oggi figuriamoci quello di ieri, anche perché non ammicchiamo con nessuno che per strada ci ferma in queste giornate così drammatiche per tutti i democratici pensando che quasi non quell'ordine, ma qualche soluzione moderata andrebbe bene per noi o in altri Paesi. Noi guardiamo anche a Mosca, ma soprattutto all'Italia, all'Europa, al mondo, al rapporto nord sud. Questo è il nostro impegno per la terza via.
Che vi possiamo dire d'altro?



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, domenica pomeriggio, mentre giungevano le dolorose notizie dei fatti polacchi, a nome del Gruppo D.C.
ho richiesto la convocazione urgente del Consiglio regionale, convocazione che anche altri contemporaneamente, o quasi, richiedevano.
Oggi, a quarantotto ore di distanza, mentre la richiesta seduta si tiene, sono qui a dire con quale spirito l'abbiamo sollecitata, con quali intendimenti vi partecipiamo.
Non è in noi prevalente lo spirito polemico che pure potremmo esercitare confrontando la nostra ideologia con altre che nell'ipotesi polacca stanno miseramente fallendo: mentre è in gioco la libertà di un popolo e la vita di tante persone, non si può indugiare a dimostrare la superiorità che si ritiene abbiano le proprie idee ed i modelli di vita democratica a cui ci ispiriamo. Né intendiamo nemmeno in questa occasione far uscire il Consiglio regionale dai rigorosi binari delle sue competenze.
Proprio il 12 settembre 1980, discutendo sui fatti di Polonia di quel momento affermavo: "Diamo il senso ed il valore che discussioni come questa ed altre consimili debbono avere in consessi che istituzionalmente non sono propri per interventi del genere". Dunque, non ci sostituiamo al Parlamento e al Governo, ma portiamo la nostra voce di eletti del popolo per la più completa formazione di una volontà e di un pensiero che altri istituzionalmente competenti e nelle competenti sedi internazionali e diplomatiche, manifesteranno.
L'esaltante stagione di Solidarnosc è dunque finita o, per dirla col governo polacco, è "sospesa".
Il Comitato di difesa nazionale istituito dal generale Jaruzelski ha militarizzato i più importanti settori dell'economia nazionale polacca, ha istituito la legge marziale, ha tolto le più elementari libertà, ha arrestato 3.000 sindacalisti, compreso - come pare - Walesa.
L'unica libertà rimasta ai polacchi - ha osservato un acuto giornalista è forse quella d i "respirare" ma non troppo rumorosamente. E' stato un errore quello degli oltranzisti di Solidarnosc, che nel congresso di Danzica a settembre hanno ridimensionato il potere di Walesa, volendo bruciare tutte le tappe verso una più ampia libertà, o è stato un errore quello di Walesa che in una riunione di qualche giorno fa, a porte chiuse di Solidarnosc a Radom (a porte chiuse ma spiata dal Governo o dal partito), ha affermato che bisognava agire rapidamente e mettere il potere davanti a fatti compiuti? E' troppo presto per dirlo; è certo che il regime comunista polacco, come molti prevedevano, non ha retto di fronte a limitate libertà che, a partire dall'agosto 1980, aveva dovuto concedere, e le ha soppresse.
La condanna e lo sdegno del nostro Paese, per non parlare di altri sono stati generali e pressoché unanimi così come avviene ogni qualvolta nel mondo sono calpestati i fondamentali diritti dell'uomo. Nessuna forza politica ha avuto incertezze nella condanna dei fatti e noi comprendiamo cosa voglia dire questo, quale impegno, quale sofferenza per il PCI che si trova a dover giudicare e condannare l'azione del Partito Comunista di un altro Paese.
Noi della D.C. diciamo con molta chiarezza che queste condanne non bastano; non basta la condanna della Giunta regionale, nei confronti dello stato d'assedio, della soppressione delle attività sindacali e degli arresti.
Sono insufficienti, limitate queste condanne se non sono accompagnate da due altre severe considerazioni sul ruolo dell'URSS in questa vicenda e sul fallimento del "socialismo reale". Non voglio esprimere questi giudizi con parole mie assai poco autorevoli. Nel dibattito del 1980 mi ero rifatto ad un magistrale scritto di Norberto Bobbio. Oggi mi rifaccio ad un altro grande del pensiero, a Leo Valiani, che così si è espresso ieri sul "Corriere della Sera": "Non a caso il dramma polacco è giunto all'apice con la decisione imposta dall'URSS al Governo di Varsavia di stroncare, anche con le armi, il movimento operaio che nell'estate del 1980 era riuscito a riconquistare le libertà sindacali che gli vengono riconosciute in tutti i Paesi democratici e che solo le dittature, ivi comprese quelle comuniste impudentemente esercitate nel nome del proletariato, che non ne vogliono sapere, rifiutano di accettare. Il fallimento di Gomulka seguito da quello di Gierek ed, infine, di Kania, che aveva cominciato con il riconoscere le conquiste strappate a Danzica dalla classe operaia guidata da Walesa, un lavoratore emerso spontaneamente dall'anonimato, prova l'inconciliabilità con ogni libertà, anche soltanto sindacale, di quel socialismo di stampo totalitario che una oligarchia poliziesca e militarizzata tiene in piedi nell'URSS ed esporta con talune attenzioni nei paesi satelliti dell'Impero Sovietico".
Nel momento del dramma della Polonia, il mondo (credenti e non) guarda alla Chiesa polacca, a quella Chiesa dalla quale proviene oggi il successore di Pietro nella speranza che il magistero morale della Chiesa possa avere il sopravvento sulle violenze, sulla repressione, sulla privazione di ogni libertà.
Ed il Primate Glemp non ha avuto incertezze, lo ricordava il collega Reburdo: "La chiesa non vacillerà quando si tratterà di difendere la vita umana. Non c'è valore più alto della vita umana". Ma questa affermazione va vista nel contesto di una precedente affermazione del Primate Glemp: "Un rappresentante della Chiesa non può insegnare cose diverse da quelle del Vangelo e con il suo insegnamento egli deve illuminare una nuova realtà".
La Chiesa è impegnata dunque in un'opera difficile e tremenda: innanzitutto oggi la salvaguardia della vita umana.
Non si può versare altro sangue, ha detto il Papa, ed il clero polacco opererà su questa strada.
Ma anche il mondo, le nazioni libere e civili devono far sentire la loro voce. L'appello già avanzato dalla Giunta regionale, dalle organizzazioni sindacali perché i dirigenti e tutti i cittadini polacchi arrestati siano immediatamente liberati deve essere anche l'appello di questo Consiglio, deve essere il monito che il nostro Paese rivolge con forza ai governanti polacchi perché recedano dalle azioni intraprese.
La situazione polacca deve essere considerata non a sé stante - è già stato detto e ripetuto - ma come minaccia per la pace mondiale. E' certo che la composizione oggi della vicenda polacca può praticamente passare solo attraverso il riconoscimento della validità essenziale della mediazione da parte di chi è in grado di esercitarla, attraverso la garanzia di uno spazio politico di autogoverno ai milioni di cittadini polacchi che hanno ricercato attraverso Solidarnosc una via di libertà sociale per se stessi, per i propri figli e per la Polonia.
E' altrettanto certo che non vi potrà essere pace autentica e stabile se essa non sarà fondata sulla possibilità dei popoli, la Polonia oggi come altre Nazioni, di decidere di se stessi e del proprio futuro perché questa è la fondamentale regola della democrazia.
Nel sostegno morale ed anche materiale (le iniziative umanitarie intraprese in Regione nei limiti del possibile devono essere portate avanti) agli operai di Solidarnosc ed alla Nazione polacca nella sua generalità, Torino e il Piemonte sono certamente come in tanti casi analoghi in prima fila. Lo sono oggi con questa assemblea che è la massima espressione elettiva della Regione, lo sono stati ieri sera nella pubblica manifestazione di Piazza Castello, indetta dai sindacati, lo saranno in tutti i luoghi (istituzioni, fabbriche, scuole) dove il caso Polonia verrà seguito. La mia parte politica è con tutti coloro che con impegno, con sofferenza, con sforzo anche critico operano per il superamento della difficile situazione polacca.
Non è invece con quei gruppuscoli - abbiamo il dovere di dirlo alto e solenne da questa tribuna - che ieri sera, in Piazza Castello, contro la storia, hanno avuto il coraggio di gridare: "Solidarietà sì, ma contro la D.C.". A costoro ci corre l'obbligo di ricordare che in Italia la D.C., per la sua parte che è notevole, ha sempre garantito in questi ultimi trentacinque anni, pace, democrazia e libertà.
In Italia si può manifestare anche contro il Governo; non si deve attendere che lo facciano altri, in altre Nazioni. Calpestare la storia offuscare la verità, è un cattivo servizio che si fa a coloro che soffrono che sono privati della libertà e che si vogliono aiutare. Ammesso poi che lo si voglia questo aiuto, effettivamente, seriamente.



PRESIDENTE

Sono stati presentati quattro ordini del giorno: il primo dal Gruppo D.C., il secondo dal PDUP, il terzo dai Gruppi PSDI, PSI, PLI, il quarto dal Gruppo PCI. Sarebbe opportuno che tutte le forze politiche si riconoscessero in un documento unitario.
Chiede la parola il Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Voglio intanto aderire all'invito del Presidente di fare un ordine del giorno comune. Devo dichiararmi stupito dell'introduzione del Presidente Enrietti anche perché, ordini del giorno di questa natura, i nostri partiti li firmano insieme in responsabilità di Governo.



BONTEMPI Rinaldo

Ritengo sia utile riunire i Capigruppo per cercare di raggiungere un'intesa unitaria.



VIGLIONE Aldo

Non abbiamo difficoltà a cercare delle convergenze, in verità l'ordine del giorno contiene dei punti che possono essere accettati dalle altre forze politiche.



PAGANELLI Ettore

Il Gruppo D.C. ha presentato un ordine del giorno che sintetizza le posizioni che ho espresso nel mio intervento. Esso è in molte parti simile all'ordine del giorno presentato dai Gruppi socialisti ai quali ha aderito il Gruppo liberale.
Non ritengo che sia un'impresa inutile quella di vedere l'opportunità di non frazionarsi in tanti ordini del giorno ma di raggiungere su un unico ordine del giorno la maggiore confluenza di consensi possibili.



VETRINO Bianca

Nel mio intervento ho già espresso la necessità che di fronte a quattro ordini del giorno ci fosse la necessità di pervenire ad un ordine del giorno unitario. Ritengo che questo possa essere fatto soltanto in una riunione dei Capigruppo.



MONTEFALCHESI Corrado

Dobbiamo prendere atto che le nostre posizioni si avvicinano a uno degli orini del giorno presentati. Non condividiamo la rigidità espressa dal Capogruppo socialista, Viglione, rispetto alla quale verifichiamo con l'adesione del PLI, che il Gruppo socialista cerca alleanze presso una precisa parte politica. Aderiamo alla riunione dei Capigruppo sapendo che queste difficoltà rendono problematica la ricerca di una soluzione unitaria.



MIGNONE Andrea

L'intervento del Consigliere Montefalchesi richiede da parte mia una precisazione, nel senso che non vorrei che si facessero delle strumentalizzazioni in ordine alle firme apposte all'ordine del giorno. I due Gruppi socialisti hanno presentato un ordine del giorno sul quale altri Gruppi hanno ritenuto di concordare. Credo sia del tutto legittimo il nostro comportamento e quello del Gruppo liberale. L'ordine del giorno contiene alcuni punti sui quali il nostro Gruppo non intende rinunciare.
Questo non vuol dire che non vi sia disponibilità a concordare un ordine del giorno che accomuni tutte le forze politiche presenti in Consiglio.



PRESIDENTE

Sospendo la seduta e convoco i Capigruppo.



(La seduta, sospesa alle ore 17,55 riprende alla ore 18,50)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Nella riunione dei Capigruppo c'é stato qualche chiarimento, ma non ancora un'intesa completa e chiara.
Chiede la parola il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Nella riunione dei Capigruppo c'é stato un utile scambio di opinioni.
Le motivazioni addotte in ordine alle varie posizioni sono motivazioni reali e sentite quindi non peccano di quella strumentalizzazione che il Gruppo socialista attraverso la dichiarazione del suo esponente paventa e che anche noi in queste occasioni paventiamo.
L'attenzione si è soffermata sul recupero del discorso dei blocchi, sul fatto che occorre superare la logica dei blocchi militari contrapposti a cui annettiamo la causa principale delle minacce alla pace del mondo e in questa logica collochiamo il comportamento dell'Unione Sovietica. Su questa richiesta è stata manifestata la disponibilità. Abbiamo fatto alcuni rilievi sulle terminologie. Abbiamo rilevato che la parte relativa ai missili è superflua rispetto al fuoco del dibattito e agli esami che avevamo fatto. L'attenzione principale si è incentrata sulla questione della frase che sta nell'ordine del giorno socialista e che dice: "il socialismo reale dell'Est ancora è incompatibile con libertà e democrazia".
Questo è comunque un punto importante per noi. Il compagno Revelli lo ha detto con molta chiarezza nel suo intervento. Non ci muove, non ci ha mossa, nella discussione tra i Capigruppi nessuna preoccupazione di ordine tattico. Mi sembra peraltro che questo sia l'apporto più serio che si debba dare in un momento così grave rispetto alla chiarezza delle posizioni dei vari Gruppi politici per intervenire attivamente e positivamente sulla gravissima situazione polacca. Non essendo il nostro un atteggiamento n una preoccupazione tattica abbiamo ritenuto di esplicare la nostra non concordanza su quella frase. Perché? Non perché anche noi non ci stiamo interrogando su compatibilità tra struttura e conseguenze che si stanno dimostrando oggi come in passato in Polonia. Riteniamo che una frase apodittica di questo tipo oltre che non cogliere l'articolazione delle situazioni sia a nostro avviso animata, forse non nelle intenzioni, ma nella sua oggettività, da uno spirito che tende pericolosamente a chiudere ogni porta che noi riteniamo invece di dover tenere spalancata al cambiamento di quei sistemi in senso democratico e pluralista. Riteniamo legittime le domande e gli interrogativi che ci sono stati posti proprio perché ce li poniamo anche noi. Aderendo a quella frase, a questa limitazione intrinseca del concetto non facciamo un servizio positivo a quella evoluzione dei sistemi che noi traducevamo come visione politica generale in Europa, in Italia con il termine "terza via". Questo non ha permesso di arrivare ad una formulazione unitaria. Questo dibattito ha messo noi nelle condizioni di capire gli altri e gli altri nelle condizioni di capire fino in fondo la nettezza e la chiarezza della nostra proposta.
Non avremmo difficoltà ad astenerci sull'ordine del giorno presentato dal Gruppo socialista, su cui si apprestano a convergere gli altri Gruppi e riteniamo di dover mantenere il nostro ordine del giorno perché esprime compiutamente la nostra posizione e la nostra visione chiedendo l'astensione da parte degli altri Gruppi. Il regolamento prescrive che un ordine del giorno è approvato se ottiene la maggioranza dei presenti pertanto 20 Consiglieri non permetterebbero, sotto il profilo tecnico l'approvazione. Rivolgiamo pertanto ancora un perché sostanziale agli altri Gruppi, in particolare ai Gruppi che stanno con noi in maggioranza all'area socialista alla quale, sempre ci rivolgiamo come a un interlocutore privilegiato anche per esigenze di politica internazionale un perché non ci si possa astenere sul nostro ordine del giorno, visto che non passerebbe e visto che più che contrarietà al nostro ordine del giorno si esprime la mancanza di qualche cosa che dalla risposta alla questione che sto ponendo, che renderebbe lo spirito con cui abbiamo lavorato, che più di altre volte è stato posto da parte di tutti per capire l'autonomia e la chiarezza delle reciproche posizioni e credo che lo sforzo di dare un senso unitario a questa giornata rende più forte la speranza di intervenire positivamente, anche da qui, per la Polonia.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Ringrazio il collega Bontempi per le sue dichiarazioni. Riconosco il grande sforzo unitario che è stato compiuto oggi in quest'aula rispetto ad una problematica che non riguarda soltanto la Polonia ma investe rapporti che risalgono da lunghissimi decenni. Noi manteniamo il nostro ordine del giorno. Su questo problema, che è in evoluzione, non abbiamo ancora una perfetta identità. Voglio ripetere questo dando atto al Gruppo comunista di avere compiuto un grandissimo sforzo di elaborazione, di meditazione rispetto ad un problema così importante e così drammatico. Ciascuna forza politica ha delle esigenze alle quali non può rinunciare. Non per questo noi non ci possiamo accompagnare in tanti momenti della nostra vita.
Verificheremo nel tempo se, come e quando si potrà superare questo, se sarà esatto o giusto un indirizzo o un altro.
La mia interpretazione non è solo tecnica, è anche di chiarezza. Vi sono delle posizioni sulle quali ci confrontiamo da lunghi decenni. C'è stata la scissione del 1921, dopo della quale, voi siete compagni comunisti e noi socialisti. Abbiamo compiuto una lunga strada insieme, poi, questa strada si è interrotta. Questi obiettivi devono essere chiari, non devono avere furbizie, infingimenti, doppi giochi. Diamo atto ai comunisti di aver compiuto un grande sforzo ma ritenevamo che la verifica potesse essere fatta fino in fondo, fosse perfezionabile fra di noi. Proprio in questi giorni, si discute del diario di Nenni, che parte dal 1946 e arriva al 1956. Prendere atto non significa creare un trauma, significa prendere atto che esistono delle posizioni che vedono unite su grandi temi le forze democratiche, ma significa anche che ci sono dei momenti che non ci trovano uniti. Non facciamone un dramma.
Ritengo che il voto su questo documento possa portare ad un maggiore avvicinamento rispetto a ipotesi future.
Poniamo al voto il nostro documento. Non so come potrà essere integrato con quello democristiano. Spetta alla D.C. e non a me.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Dobbiamo dare atto della chiarezza che su problemi così gravi è stata espressa nella riunione dei Capigruppo. L'ordine del giorno presentato dai Gruppi del PSI e del PSDI non è condivisibile. Riteniamo che non si faccia un buon servizio a Solidarnosc e alle forze del cambiamento in Polonia affermando che nei Paesi del socialismo reale sono incompatibili e impraticabili libertà e democrazia. Siamo convinti che quel processo, o avrà uno sbocco drammatico, oppure significherà l'introduzione di elementi di cambiamento, di elementi di democrazia in quella società. O si crede in questa possibilità oppure se questo si esclude a priori, allora, colleghi si dà per scontato che la soluzione sarà una sola e drammatica, non siamo convinti di questo. Siamo invece convinti che la classe operaia, i lavoratori hanno la possibilità di ricercare una serie di interlocutori e di alleanze all'interno della società polacca che permettano questo cambiamento. Per questo dobbiamo lavorare.
L'ordine del giorno non è condivisibile poi in ordine al problema dei missili. Pertanto voteremo contro l'ordine del giorno del PSI e del PSDI, e ci asterremo sull'ordine del giorno del PCI dal quale non ci dividono grandi cose, però manca di esplicitare la necessità (che i fatti di Polonia mettono in rilievo) che è ormai all'ordine del giorno il problema della trasformazione delle società dell'est e il nesso tra democrazia formale e democrazia sostanziale che nel nostro documento è contenuto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Faccio in primo luogo una considerazione di metodo. Ritengo irriguardoso nei confronti del Consiglio questo modo di lavorare. Nella riunione dei Capigruppo si è deciso che questo dibattito doveva essere caratterizzato da economia di tempo, rigorosità di argomenti e chiarezza di posizioni. La realtà è invece che dopo aver contenuto gli interventi dei Gruppi in termini stringati, si sono perse due ore nella logica della mediazione che non è la logica delle aule parlamentari delle grandi democrazie europee. Non solo, si viene in questa sede non a illustrare le ragioni per cui si vota o non si vota, ma le ragioni per cui non si è pervenuti al voto unitario su un ordine del giorno o su un altro. Questo significa stravolgere la logica delle dichiarazioni di voto.
Noi votiamo il documento del PSI e del PSDI, integrato dalle considerazioni della D.C. che attengono alla fase transitoria, ricordiamo che abbiamo sottoscritto senza con questo voler togliere la paternità del documento del PSI e del PSDI, semplicemente per segnare che noi facevamo nostri autonomamente questi argomenti senza in alcun modo voler porre problemi alla maggioranza o stravolgere la logica di presentazione dei documenti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Siamo andati alla riunione dei Capigruppo avendo come obiettivo quello della massima concordanza. In questa luce, avevo già dichiarato che avremmo aderito all'ordine del giorno socialista, ove ci fosse stata l'integrazione di un punto del nostro ordine del giorno sulla situazione contingente della Polonia.
Nel tentativo di maggiore concordanza, che è già stato reso noto dal Capogruppo comunista Bontempi, i presentatori dell'ordine del giorno hanno accettato anche altre modifiche, alle quali pure noi avevamo aderito per non frapporre ostacoli in questa linea di maggiore concordanza. Senza drammi, senza strumentalizzazioni, il Capogruppo comunista ha dichiarato che il suo Gruppo non può aderire ad una frase che ha una notevole importanza, quella relativa al rapporto tra socialismo reale e libertà e democrazia. Il giudizio che diamo è che questa frase si riferisce ad una realtà attuale e non tanto, come vorrebbe Bontempi, ad una speranza, ad una apertura per il futuro: quindi, riferendosi ad una realtà attuale, da noi è intesa e interpretata nel senso che l'ordine del giorno dice.
Precisate nella chiarezza, nella sincerità, le posizioni, debbo dichiarare l'atteggiamento della D.C. che ovviamente ritira il suo ordine del giorno, che aderisce all'ordine del giorno socialista integrato dalla nostra frase e che, conseguentemente, pur non dissentendo totalmente perch vi sono molte affermazioni confluenti con gli altri ordini del giorno voterà contro l'ordine del giorno comunista. Ritiene infatti la D.C. che in un Parlamento la volontà debba essere manifestata e la volontà non pu manifestarsi in ordini del giorno frazionati ma in un ordine del giorno che deve raccogliere la maggioranza dei consensi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Devo dire che ho trovato molte delle cose che avevo espresso nel mio intervento in tutti e quattro gli ordini del giorno presentati. Per questo mi sembrava la possibilità che avevamo auspicato di un ordine del giorno unitario non fosse così remota. Questo non è stato possibile, naturalmente esprimiamo il nostro rammarico.
La sintesi che si è operata attraverso la fusione dell'ordine del giorno della D.C. e di quello del PSI e del PSDI, sul quale peraltro già erano convenuti i voti del partito liberale, ci è sembrato un tentativo apprezzabile di coagulare la maggior parte possibile delle forze di questo Consiglio su alcuni punti fondamentali che erano peraltro emersi dal dibattito, cioè la condanna ferma e netta dei fatti della Polonia l'evidenziazione della responsabilità dell'Unione Sovietica, argomento questo compreso in tutti e quattro gli ordini del giorno, la solidarietà reale che dobbiamo dare al popolo della Polonia, la richiesta della liberazione dei prigionieri e della restituzione di tutti i diritti civili e sindacali a quel popolo e la ripresa di un confronto costruttivo. Questo era l'elemento qualificante dell'ordine del giorno della D.C. ed è stato tratto appunto per essere inserito nell'ordine del giorno del PSI e del PSDI.
Tutti questi aspetti erano presenti anche nel documento del PCI peraltro tutti questi aspetti sono stati anticipati ed esaltati nell'ottimo intervento vorrei dire, del collega Revelli, ma è anche comprensibile, come peraltro diceva Viglione, che l'evoluzione del PCI che i repubblicani seguono da sempre con molto interesse e che sollecitano in ogni occasione non possa esplicitarsi oggi in modo definitivo anche se noi abbiamo apprezzato lo sforzo compiuto dal Gruppo comunista e dal suo Capogruppo in particolare di far raggiungere al Consiglio una posizione unitaria su questo argomento.
Con un certo rammarico confermo la nostra posizione di voto favorevole sull'ordine del giorno congiunto presentato dal PSI e dal PSDI, dalla D.C.
dal PLI.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

Pur condividendo la sostanza dei principali passi del documento della D.C. (ora fuso con quello del Gruppo socialista) e, in particolare quei passi dove si accenna ad una ferma condanna delle misure repressive, e alla preminente responsabilità dell'URSS, oltre che all'auspicio della ristabilizzazione dei diritti civili e politici in Polonia, tuttavia dichiaro di astenermi: principalmente, perché manca (come avevo auspicato nel corso del mio intervento) una conclusione operativa diretta a sollecitare l'intervento mediatore del Consiglio di sicurezza dell'ONU nella vicenda polacca.



PRESIDENTE

Dopo le dichiarazioni del Consigliere Paganelli, l'ordine del giorno della D.C. viene ritirato.
Pongo in votazione l'ordine del giorno presentato dal Consigliere Montefalchesi.
"Il Consiglio regionale del Piemonte condanna: la decisione delle autorità Polacche di procedere ad un vero e proprio stato d'assedio della Polonia, mediante l'intervento dell'esercito polacco insieme alla soppressione di tutte le norme costituzionali e delle libertà civili e democratiche.
Condanna altresì: la decisione di procedere alla proibizione delle attività del sindacato Solidarnosc ed alla revoca degli accordi già stipulati tra i rappresentanti del Governo polacco e i dirigenti di Solidarnosc, insieme alla decisione di arrestare un numero imprecisato di dirigenti di quel sindacato.
Il Consiglio regionale del Piemonte considera: tutto questo come palese ammissione da parte delle autorità polacche dell'incapacità a governare democraticamente i conflitti, sociali che da tempo sono aperti in quel paese; il ricorso all'esercito non farà che aggravare la frattura tra società civile e sfera delle competenze ed autorità statali.
La ricerca di una soluzione di forza è tesa ad eludere l'esigenza sempre più forte nella situazione polacca, di dare una nuova e più credibile risposta politica e sociale al nesso tra democrazia formale e democrazia sostanziale, tra forme della democrazia politica e controllo sociale della produzione temi ed esigenze queste che si pongono, sia pure con differenti cause e motivazioni sia in relazione alla crisi del sistema di produzione capitalistico e dello stato assistenziali, sia nei sistemi ad economia centrale gestita dallo stato.
Gravi in questo senso sono le responsabilità del gruppo dirigente di quel paese, dell'URSS che non ha mai attenuato la polemica e perfino la denigrazione delle iniziative di Solidarnosc e di quanti in generale hanno sempre voluto ridurre la questione polacca a pura questione di equilibri internazionali, strumentalizzandola a fini interni.
Il Consiglio regionale del Piemonte considera inoltre come l'aggravarsi della situazione polacca cade in una fase delicata per il mantenimento della pace e per la riapertura delle trattative Est - Ovest, ed in un momento in cui non mancano segni di irrigidimento sia ad Ovest come ad Est.
Il Consiglio regionale del Piemonte: auspica fermamente che in Polonia si vada all'immediato ripristino di tutte le libertà e garanzie costituzionali, civili e democratiche, ed alla immediata liberazione dei dirigenti ed attivisti sindacali di Solidarnosc arrestati e di altri esponenti intellettuali che hanno subito analoga sorte.
Sottolinea infine come sia necessario l'impegno fattivo delle forze democratiche, delle istituzioni democratiche nazionali; delle organizzazioni sindacali e di quanti oggi si battono per la pace e la distensione nel mondo affinché i principi dell'autodeterminazione dei popoli, il progressivo superamento della divisione in blocchi politici ed economici e militari dell'Europa e dell'intera comunità internazionale, un ruolo autonomo e di pace dell'Europa si affermino, consentendo così una risoluzione positiva e democratica della crisi polacca, in un quadro di distensione internazionale, premessa per una modifica sostanziale dell'attuale assetto politico e sociale sia all'Est come all'Ovest dell'Europa".
Chi è favorevole a tale ordine del giorno è pregato di alzare la mano.
E' respinto con 1 voto favorevole, 30 contrari e 19 astensioni.
In merito all'ordine del giorno presentato dai Gruppi PSI, PSDI e PLI do la parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Il documento viene modificato e integrato dall'inciso della D.C.



BONTEMPI Rinaldo

E' una questione di carattere generale. Sono d'accordo. L'unico problema è che dovremo ricordarcelo sempre, forse in particolar modo noi perché di solito in Commissione formuliamo ordini del giorno, leggi delibere. In realtà tutti gli sforzi migliorativi che giudichiamo tali, non per il fatto che sistematicamente di voti contro, noi li ritiriamo.



PRESIDENTE

La frase che viene aggiunta al documento presentato dal PSDI, PSI é: "Auspica la ripresa e un confronto costruttivo fra tutte le componenti della società polacca come premessa per ulteriori processi di democratizzazione che consentano effettive possibilità di autodeterminazione dei cittadini nella convinzione che tutti gli sforzi di mediazione che possono essere messi in atto costituiscono un contributo per evitare lo scivolamento verso lo scontro civile". Questa frase diventa parte integrante del documento presentato.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

E' stato concordato di inserire un'altra frase. Se no si fa un'altra riunione.



VIGLIONE Aldo

Il Gruppo comunista ha chiesto di inserire una frase, nell'ipotesi che si raggiungesse un accordo. Questa frase, che è del documento comunista credo che neanche il Gruppo comunista pretenda di trasportarla in un documento, mantenendo il proprio. Potevamo andare ad un documento comune.
Se non andiamo ad un documento comune è giusto fare così.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

Questo fa parte però della posizione del Gruppo socialista.



VIGLIONE Aldo

D'accordo. Allora i sei punti dell'ordine del giorno comunista bisogna trasportarli in un ordine del giorno unico, ma questo non e possibile.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, penso di averlo già spiegato prima. C'è una questione di ordine generale che ho tenuto a sottolineare, che vale per il passato e varrà anche per il futuro. Sulla questione in discussione riteniamo che i nostri elementi potessero essere migliorativi; con ciò se l'interpretazione che viene ingenera confusioni, noi non ne facciamo un particolare problema. Ringrazio chi ha voluto farsi carico fino in fondo di una frase a cui tenevamo. Se questo può portare a confusione lasciamo così.
Sul piano generale, in futuro, di questo ce ne ricorderemo.



VETRINO Bianca

Desidero fornire qualche elemento di chiarezza soprattutto per far capire al Consiglio la mia posizione rispetto all'ordine del giorno. Non avevo aderito in prima istanza all'ordine del giorno presentato dal PSI e dal PSDI. Avevo aderito in sede di riunione di Capigruppo, e l'ho confermato in questa sede, dopo che su quell'ordine del giorno si era sviluppato un lungo dibattito all'interno delle forze politiche, dopo che quell'ordine del giorno raccoglieva un aspetto importante per il mio Gruppo segnalato nell'ordine del giorno della D.C. e dopo che in parte veniva emendato sotto il profilo letterario, uno dei capoversi, quello che si riferisce in particolare al socialismo reale.
Lamento intanto che prima di passare alle dichiarazioni di voto non si sia letto l'ordine del giorno nella formulazione ultima e definitiva.
Chiedo al Presidente di leggerlo in questo momento.



PRESIDENTE

Vi do lettura dell'ordine del giorno presentato dai Gruppi PSI, PSDI e PLI.: "Il Consiglio regionale esprime la propria angoscia di fronte al precipitare della situazione in Polonia, dove il vigente regime, attuando un colpo di Stato militare, ha eliminato brutalmente le prime parziali conquiste di libertà delle masse lavoratrici polacche ed ha spinto il paese sull'orlo della guerra civile, arrestando in massa i dirigenti del sindacato libero Solidarnosc e proclamando lo stato d'assedio.
Il Consiglio regionale conferma la propria totale solidarietà al popolo e ai lavoratori polacchi, chiede che vengano garantiti in Polonia i diritti fondamentali di associazione, di informazione, di libera circolazione delle persone e delle idee, il diritto di sciopero conquistato dalla lotta degli operai polacchi e auspica, in ogni caso, che lo sviluppo degli eventi non porti a spargimenti di sangue e a nuove occupazioni militari.
Il Consiglio regionale ritiene che, nel provocare l'attuale situazione sia stato determinante il comportamento dell'Unione Sovietica, fin dall'inizio del nuovo corso polacco, confermando la politica di potenza del regime sovietico, incapace di accettare qualsiasi tipo di evoluzione all'interno di quella che considera una propria zona di influenza, e dimostrando ancora che il 'socialismo reale' dei paesi dell'est è impraticabile per la libertà e la democrazia.
Il Consiglio regionale ritiene che l'attuale situazione in Polonia costituisca anche una minaccia alla pace in Europa e nel mondo e conferma quindi l'esigenza, per difendere realmente la pace, che venga riequilibrata la situazione militare in Europa con lo smantellamento dei missili nucleari sovietici, condizione indispensabile perché non vengano installati i missili nucleari della NATO.
Auspica la ripresa di un confronto costruttivo tra tutte le componenti della società polacca, come premessa per ulteriori processi di democratizzazione che consentano effettive possibilità di autodeterminazione dei cittadini, nella convinzione che tutti gli sforzi di mediazione che possono essere messi in atto costituiscano un contributo per evitare lo scivolamento verso lo scontro civile.
Il Consiglio regionale impegna il suo Presidente a trasmettere il presente ordine del giorno al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro degli Esteri affinché compiano i passi necessari per il ristabilimento della democrazia e della libertà in Polonia, oggi così gravemente compromesse".
Chi è favorevole a tale ordine del giorno è pregato di alzare la mano.
E' approvato con 30 voti favorevoli, 20 contrari ed 1 astensione.
Vi do lettura dell'ordine del giorno presentato dal Gruppo PCI.
"Il Consiglio regionale del Piemonte di fronte al colpo di stato militare che in Polonia ha portato alla proclamazione dello stato d'assedio, alla costituzione di un organismo militare straordinario, all'arresto dei dirigenti del sindacato libero Solidarnosc, al divieto di esercizio di tutte le forme di libertà politiche, civili e sindacali esprime la propria netta e ferma condanna nei confronti di un atto che gravissimo in sé, viene ad interrompere i tentativi in corso di risolvere politicamente la drammatica crisi ritiene che a determinare tale situazione abbiano concorso in modo grave le responsabilità dei gruppi dirigenti polacchi e quelle dell'URSS responsabilità queste da ricondurre su un piano più generale alla logica dei blocchi militari contrapposti conferma la propria totale solidarietà al popolo e ai lavoratori polacchi, chiede che vengano garantiti in Polonia i diritti fondamentali di associazione, di informazione, di libera circolazione delle persone e delle idee, il diritto di sciopero conquistato dalla lotta degli operai polacchi e auspica, in ogni caso, che lo sviluppo degli eventi non porti a spargimenti di sangue ed a nuove occupazioni militari chiede che vengano immediatamente liberati tutti gli arrestati e a tal fine si impegna in ogni iniziativa che possa portare a tale risultato.
Il Consiglio regionale esprime la propria vivissima preoccupazione per il fatto che gli avvenimenti polacchi rimettono in discussione la sicurezza europea all'est ed all'ovest, tendono a rendere più precari gli attuali equilibri favoriscono l'attuarsi di gravi decisioni sul piano delle relazioni politiche internazionali, possono avere l'effetto di alimentare lo scontro in altre aree del mondo ed in particolare nel bacino del Mediterraneo.
Anche questi fatti stanno a dimostrare che occorre liberare il mondo dalla logica dei blocchi militari contrapposti, perché essa ignora e calpesta le aspirazioni profonde dei popoli alla pace, all'indipendenza, all'autonomia ed allo sviluppo.
Il Consiglio regionale impegna il suo Presidente a trasmettere il presente ordine del giorno al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministero degli Esteri affinché compiano i passi necessari per il ristabilimento della democrazia e della libertà in Polonia, oggi così gravemente compromesse".
Chi è favorevole all'ordine del giorno del Gruppo PCI è pregato di alzare la mano.
E' respinto con 19 voti favorevoli, 31 contrari e 1 astensione.
Il Consiglio è convocato per il giorno 17 dicembre prossimo.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,30)



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