Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.147 del 15/07/82 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Università

Dibattito sui problemi delle sedi universitarie in Piemonte (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prosegue il dibattito sui problemi delle sedi universitarie in Piemonte, di cui al punto quarto all'ordine del giorno.
La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Questo dibattito sull'Università è dominato da un dato di fondo: ognuno tenta di portare l'Università nella sua zona. Seguendo questa logica si potrebbe anche sostenere la localizzazione dell'Università al Lingotto così le lavoratrici licenziate dalle aziende appaltatrici troverebbero una collocazione come bidelle.
Ma, al di là delle battute, io credo che l'Università ha significato se è di supporto ai programmi di sviluppo di determinate zone. Quale legame ha questa proposta di nuova Università con i programmi di sviluppo delle zone dove dovrebbe sorgere? Sarebbe più opportuno chiarire questo aspetto visto l'alto costo per istituire una seconda Università. Chi sopporterà questi costi? Il Governo o la Regione? La Regione non ha questa possibilità in bilancio, quindi le forze politiche dovrebbero indicare in che modo e dove si possono reperire questi soldi, visto che mancano i fondi per la manutenzione delle sedi attuali.
Inoltre, in che logica rientra una nuova Università con sede a Vercelli, e con Facoltà a Novara e ad Alessandria quando Novara dista venti minuti da Milano e Vercelli è abbastanza vicina a Torino e quando all'interno del progetto MITO (che peraltro non condivido affatto) si tenta di migliorare i trasporti da Torino e Milano abbreviando i tempi di percorrenza? A me sembra che la proposta della seconda Università si inquadra nelle migliori intenzioni nella logica della politica spettacolo che si è concretizzata con la proposta del MITO, oppure si inquadra in una logica deteriore di prurito elettorale e clientelare. E' comprensibile che ogni provincia tenti di avere l'Università perché questo significa anche sviluppare il terziario, che però è tutt'altra cosa del terziario avanzato di cui tanto si parla. Ecco allora che è necessario collegare il riassetto delle strutture universitarie del Piemonte con i piani di sviluppo di determinate zone.
Per questo motivo riteniamo che non si debba andare alla costruzione della seconda Università ma al decentramento di alcune Facoltà, per esempio, della Facoltà di Veterinaria e di Agraria nell'area del Cuneese che interesserebbe non solo quel bacino di utenza, ma probabilmente anche una parte della Liguria.
Il decentramento di alcune Facoltà sarebbe possibile anche nell'Astigiano e nell'Alessandrino.
Intanto si deve sollecitare il Governo perché intervenga sia per il riassetto delle Facoltà esistenti, sia per il decentramento.
Dopodiché si potrà verificare se i programmi di sviluppo richiederanno una seconda Università. A quel punto potremmo essere disponibili a discutere.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Villa.



VILLA Antonino

Prendendo spunto dalle ipotesi di viaggio che il Consigliere Marchini faceva questa mattina, dico subito che la Democrazia Cristiana sale sul treno della seconda Università, sale sul treno del decentramento universitario per i motivi che esporrò tra poco.
Non è certo un treno vacanziero; è un convoglio di progresso! Qui e la serietà del problema che si articola in rapporto alla configurazione attuale e soprattutto futura dell'Università; all'incidenza nell'ambito culturale del territorio; alle potenzialità finanziarie che in concreto rendono attuale la soluzione del problema; allo sviluppo della domanda di professioni qualificate; al quadro dell'offerta giovanile; alla lievitazione scientifica e tecnica degli strumenti nuovi dell'umana convivenza.
Questo è il quadro che ci permette di salire sul treno; questo è il quadro che ci ha fatto presentare l'ordine del giorno esposto questa mattina.
Pur passati attraverso il travaglio di riflessioni, che tenevano seriamente conto degli argomenti presentati dal Consigliere Marchini delineati non come originaria esigenza programmatoria, ma come obbligata derivazione dell'esistente dal Consigliere Viglione, sfiorati anche in chiave polemica dalla collega Bergoglio, noi saliamo sul treno e presentiamo il nostro ordine del giorno con alcune osservazioni che valgano a precisare la nostra posizione, non brancolante nelle nebbie del dubbio ma chiarita all'interno dal dibattito e dal raffronto con le domande delle comunità piemontesi, che non sono chiuse nella cinta daziaria, pur prestigiosa, della Capitale.
Passo, in pratica, a leggere con qualche piccola chiosa l'ordine del giorno. I Gruppi repubblicano e comunista, nel presentare l'ordine del giorno, hanno accennato al fatto concreto, a quello cioè che ha dato lo scatto al nostro discorso, purtroppo solo di oggi, anche se nel passato ha avuto dei momenti acuti e fervidi di attività concettuale, anche se nel passato ha detto qualche cosa e ha posto delle basi; però, non so se il passato talmente remoto ha ancora degli addentellati al presente. Mi riferisco al progetto di legge che risale al Ministro della Pubblica Istruzione Valitutti e che raccoglie sia il disegno di legge del Governo sia le proposte di legge di iniziativa dei Senatori appartenenti a tutti i partiti politici (alcuni li conosco, altri no).
Tutti i partiti sono confluiti nel Senato nel votare, nella seduta del 29 aprile 1982, questa legge, che è poi passata alla Camera per la seconda lettura. Se parliamo di sorpresa (in un primo tempo avevo parlato di ingiustificazione e di ingiustizie per quanto riguardava la presentazione di questa legge), dobbiamo coinvolgere nelle responsabilità tutti i presentatori e tutti coloro che hanno votato questa legge.
Il Senato all'unanimità, sin dai tempi del Ministro Valitutti ripropone il problema universitario con delle soluzioni parziali. Ha accantonato le proposte di legge che erano venute da parlamentari piemontesi, appartenenti al Partito Comunista e alla Democrazia Cristiana e, tale era l'imprecisione o la sorpresa che avrebbe eccitato questa legge che ha sentito il dovere di prospettare delle priorità nel quadro del piano quadriennale 1982/1986.
L'urgenza dell'iniziativa è data dal fatto che i lavori sono iniziati in Commissione Pubblica Istruzione alla Camera alcuni giorni fa. Alcuni parlamentari piemontesi, appartenenti a tutti i Gruppi (da Fiandrotti a Gastaldi, alla Nespolo, a Romita, a Costa, ecc.) si sono sentiti in dovere di presentare un capitolo da aggiungere agli altri contemplati nella legge passata al Senato per accordare anche la proposta della seconda Università nel Piemonte orientale, con baricentro a Vercelli, che se non è prestigiosa per numero di abitanti lo è certamente per la sua storia, e ha accanto Novara, Alessandria ed eventualmente, nell'orientalità piemontese, la provincia di Asti.
Oppure, nel decentramento dell'Università di Torino che coinvolga il territorio cuneese, non può essere accostato il territorio astigiano? Abbiamo, in effetti, una griglia geografica che dà la possibilità di queste soluzioni, che forse sono viste con poco entusiasmo da coloro che considerano l'Università in termini o aulici, o eccessivamente tecnici.
Negli anni 1973/1974 l'Intercommissione, che ha svolto un approfondito sagace, intelligente lavoro, riceve la sollecitazione non soltanto dai corpi accademici, sindacali, imprenditoriali, ma anche dagli Enti locali tant'è vero che non possono essere disattese le esperienze dei centri superiori, dei centri di sperimentazione e di corsi decentrati, in un primo tempo, bersaglio di aspri dardi. Alla fine, l'Amministrazione provinciale di Vercelli, nel 1971, quella di Novara, nel 1972, con la collaborazione di altri Comuni interessati, degli Ospedali e delle Camere di Commercio, hanno dato una consistenza che avesse il significato di decentralizzazione all'Università di Torino.
Il lavoro dell'Intercommissione ha avuto un dinamismo che si è espresso in realtà effettuali nella nostra Regione. La conclusione è venuta il 17 settembre 1974.
Nel 1977 non c'é stata che una rapidissima riconferma del parere espresso nel 1974 ed è stata talmente rapida che non ci si era accorti che stava finendo la seduta del Consiglio, tant'è vero che il verbale dice: "Il Presidente conclude la seduta e convoca il Consiglio per giovedì 23 giugno" dando altresì notizie delle elezioni in Spagna.
Venne posto ai voti, per alzata di mano, ed approvato, all'unanimità dei 49 Consiglieri presenti, l'ordine del giorno inerente l'istituzione di nuove Università che non fa altro che ribadire quanto era già stato detto e conclude con l'impegno preciso per la Giunta e per la competente Commissione consiliare di assumere le necessarie iniziative. Quali sono state le necessarie iniziative dal giugno del 1977 al luglio del 1982? Il Consigliere Montefalchesi ha pienamente ragione nel dire che una seconda Università deve avere rapporto con il piano programmatorio, ma questo non deriva, forse, da un vuoto di cinque anni? La Regione Piemonte non poteva essere all'oscuro dell'esistenza della proposta di legge Valitutti e delle proposte dei Senatori. Come mai dopo la votazione del Senato, dopo il passaggio alla Camera dei Deputati, spunta fuori, fiore estivo e forse postume (speriamo di no), una proposta alla Camera per rivedere la situazione? Non possiamo non sottolineare, che di quanto era scritto nella proposta del piano di sviluppo degli anni 1976/1980 pochissimo venne recepito dal piano 1977/1980 (una sola riga, timidamente, accenna al problema del decentramento universitario) e nulla è detto nell'aggiornamento post verifica.
E' possibile che durante la verifica, nella congerie di problemi messa sui tavoli, non si sia pensato ai collegamento dell'Università e del decentramento universitario con la realtà della periferia? Quello che è più tragico è il nulla nelle prospettive del secondo piano di sviluppo.
Non una parola si riferisce al problema del decentramento universitario e all'Università. O il problema è del tutto risolto ed allora non c'è bisogno di pensarci, oppure non si è neanche pensato che esista questo problema. Ecco il significato dell'aggettivo "tragico" che ho pronunciato.
Auspico, quindi, che nella proiezione dei quattro, cinque mesi di tempo prima della discussione del piano di sviluppo, ci sia anche la possibilità di inserire il decentramento universitario, che non è un decentramento puro e semplice.
Posso capire il discorso del Consigliere Viglione sulle distanze chilometriche, ma - mi chiedo - per l'esaltazione della nostra Regione non conviene pensare ad un ripescaggio dal centrifughismo pendolare esistente verso le altre Università? Possiamo evitare che i vercellesi, i novaresi, i casalesi, i biellesi, gli abitanti del Verbano-Cusio Ossola gravitino sulla Regione Lombardia? Questo aspetto è basilare per quanto riguarda la programmazione del Piemonte sul piano sociale ed economico, ma anche sul piano culturale.
In Piemonte abbiamo una sola Università a fronte di 4.500.000 abitanti.
Allora è giustificata la proposta di legge dei parlamentari. Il nostro meditato viaggio su quel treno è dovuto proprio al sovraffollamento della nostra Università. La questione del diritto allo studio può avere delle possibilità di attuazione più facili.
Sono più che convinto che non si può parlare di Università alla porta di casa, però sono anche convinto che un'articolazione che dia respiro al Piemonte occidentale e che dia apertura al Piemonte meridionale soddisfi maggiormente e più facilmente l'esigenza di raggiungere i gradi più alti degli studi.
Il lungo silenzio della Regione Piemonte non ha aperto la possibilità da tutti auspicata, di inserire nella società piemontese livelli di alta qualificazione, che sorreggano lo sviluppo di nuove realtà tecniche scientifiche, culturali in genere, che sono vive nel poliedrico tessuto territoriale della Regione.
Capisco che ci possano essere dei livelli tali per cui è indispensabile un raggruppamento, una coincidenza, una polarità gravitante su un unico polo. Non sarei così ingenuo da pensare che ovunque possano sorgere laboratori, istituti di ricerca, ecc. Però la futura indicazione dell'Università può essere sviluppata in senso territoriale più ampio soprattutto faciliti l'articolazione di studi superiori che anche attraverso il decentramento sul territorio permetta soluzioni più adeguate ai problemi di funzionamento.
Si è parlato anche di qualità dell'Università: la qualità deriva dal funzionamento, dagli uomini, dagli strumenti, dalle strutture, ecc.
Tale funzionamento può essere superato anche dal decentramento territoriale. Attualmente questi problemi pongono ostacoli non lievi alla valenza qualitativa dell'Università.
Concludo leggendo lo stesso ordine del giorno, il quale ". . .invita la Commissione della Pubblica Istruzione della Camera dei Deputati, in occasione dell'esame del testo approvato dal Senato della Repubblica, ad inserire l'istituzione di una Università policentrica nel Piemonte orientale. . ." . "nonché un decentramento nel Piemonte meridionale che tenga in considerazione l'ampia fascia che va dal Cuneese all'Astigiano" .
. . "affinché in tale strutturazione possano venire riconosciute evidenziate, incentivate le virtualità culturali e tecnologiche delle varie zone".
Penso sia utile non discostarsi dagli ordini del giorno presentati dal Partito Repubblicano e dal Partito Comunista.
In definitiva, credo tuttavia che con forza si debba far presente e sottolineare che comunque le esigenze di sviluppo delle comunità piemontesi richiedono una pluralità di centri universitari.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Il Ministro Bodrato e la Commissione parlamentare, poiché sta andando a compimento l'iter legislativo sulle sedi universitarie, hanno chiesto il parere della Regione Piemonte attorno ad una questione così complessa. La nostra posizione è chiara, non ha dubbi, anche se ci facciamo carico dei ragionamenti dei Consiglieri Marchini e Viglione. Noi siamo sempre stati favorevoli all'istituzione della seconda Università in Piemonte e nulla è cambiato nella nostra impostazione.
Abbiamo svolto un lavoro proficuo nel 1973 ma quel lavoro ebbe a livello governativo - parlamentare una risposta negativa.
Va a finire che le altre Regioni hanno più sedi universitarie o ne istituiscono di nuove e la Regione Piemonte si trova in una condizione diversa. Questa situazione è comparabile con il problema che abbiamo di fronte? Sui dubbi che il compagno Montefalchesi manifestava, sia sui fondi per istituire la nuova Università, sia sui motivi generali, il tempo intercorso dal 1973 ad oggi dovrebbe fare giustizia, se c'erano delle intenzioni elettorali avrebbero dovuto rivelarsi contrarie visto che dal 1973 non abbiamo ottenuto nulla. Ci pare che l'istituzione della seconda Università risponda ad un'esigenza reale, quando parliamo di riequilibrio territoriale del Piemonte, quando parliamo di riequilibrio tra il capoluogo e la periferia non in termini di reddito, ma di qualificazione della vita.
La possibilità che una comunità abbia uno sviluppo diffuso sotto il profilo culturale o della qualità della sua vita è largamente legata alla diffusione delle strutture.
Non si tratta di sgretolare, di dividere meccanicisticamente una monolitica Università, ma si tratta di proiezioni nuove, di specializzazioni nella formazione post scuola superiore o post Università.
In realtà, oggi, siamo posti di fronte ad un provvedimento legislativo che da una parte sana molte situazioni, sulla cui legittimità ho parecchi dubbi, dall'altra parte parla di istituzione di nuove Università e sul piano nazionale questo ragionamento non è stato fatto e non vedo perché si debba fare nel momento in cui si parla del Piemonte. L'art. 1, che si riferisce al piano quadriennale e le parole del Ministro Bodrato erano chiare: "non si istituisce una nuova Università, ma si parla di articolazioni".
Su questo punto dobbiamo essere molto espliciti perché noi preferiamo il metodo della democrazia, della chiarezza e dell'assunzione, da parte delle assemblee elettive, delle decisioni quando si vogliono produrre certi risultati.
Le articolazioni interne agli Atenei già definiti, spesso sono frutto di decisioni dell'esecutivo e di faticosi e travagliati patteggiamenti con i centri di potere locale.
Non accetterei l'osservazione che non ci sono risorse per sistemare l'Università a Torino, quindi, tanto meno ci sarebbero per la seconda Università. Non comparerei i due problemi, ma darei ad ognuno il suo peso dividendo le relative responsabilità.
I ritardi dell'edilizia universitaria a Torino sono il frutto dei ritardi del livello nazionale. Questo problema non può essere patteggiato o messo sullo stesso piano dell'istituzione del secondo Ateneo. E' un problema che va risolto con urgenza, anzi, sono per porre una richiesta che questo argomento venga affrontato e risolto con i fondi necessari.
Quando vi sono esigenze egualmente giuste ma di ordine diverso, non si possono elidere e metterle in contrapposizione, ma occorre rispondere ad entrambi; anche se questo comporta uno sforzo finanziario.
Sul dibattito di oggi ha pesato la difficoltà di mettere a fuoco completamente il problema. Forse può essere di incentivo per raccogliere la proposta di sviluppare questo lavoro in Commissione. Vorrei ricordare che le argomentazioni polemiche, in particolare dalla parte democristiana devono riferirsi allo stato dei fatti e cioé al fatto che ci siamo mossi in un primo tempo unitariamente, abbiamo cercato di lavorare in base alle esigenze esistenti. Oggi ci troviamo di fronte ad un disegno di legge che non risponde alle esigenze. In questo momento riprendere il dibattito non vuole dire necessariamente fare polemica con chi, come il nostro partito ha lavorato con coerenza di fronte a questo obiettivo e ha cercato di essere coerente anche oggi.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Ferrero per la replica.



FERRERO Giovanni, Assessore all'istruzione

Il tema affrontato oggi suggerisce molti spunti per le attività regionali nel campo delle strutture culturali e dei rapporti tra Regione gli Enti locali e il Governo.
Il punto centrale del dibattito è, a mio avviso, questo: il Consiglio regionale può, con l'unanimità dei consensi, sostenere che esiste l'esigenza dell'istituzione di un nuovo Ateneo che abbia caratteristiche di autonomia e di originalità nell'impianto e nella progettazione culturale? Vorrei aggiungere qualche argomento a sostegno dell'unica tesi che istituzionalmente la Regione può sostenere, che è quella della votazione di un documento il più unitario possibile che sostenga l'iniziativa dei parlamentari nella Commissione e approdi all'istituzione di un nuovo Ateneo nella nostra Regione.
Vi è un'oscillazione continua tra il ritenere l'interesse locale esclusivamente dedicato a questioni così piccole da non avere interesse al di là della comunità in cui si manifestano e la richiesta nei confronti della Regione (temi dell'occupazione o della formazione professionale o dell'Università) perché si faccia supplente e garante in toto di decisioni che permangono pur sempre alla potestà dell'Amministrazione centrale dello Stato e del Parlamento.
Questa oscillazione è preoccupante perché rischia di indebolire la possibilità della Regione di sostenere le iniziative. Esistono interessi della comunità piemontese che non sono circoscrivibili ad interessi localistici; la grande impresa torinese non ha un interesse solo locale così come non l'hanno molte iniziative che, pur realizzandosi sul territorio piemontese, hanno una collocazione organica in un quadro nazionale ed europeo.
Nello stesso tempo, quando raccogliamo indicazioni ed aspirazioni della società piemontese, non possiamo limitarci alle competenze amministrative perché la Regione è un soggetto politico, quindi, nel rappresentare le aspirazioni, deve saper stimolare le sedi opportune, al di là di quello che la legge o la deliberazione regionale possono determinare.
Quando si sono discusse, in rapporto con l'Università e con l'IRES alcune decisioni inerenti il decentramento universitario, la legge dello Stato prevedeva il parere delle Regioni ed implicitamente presupponeva la possibilità concreta di definire gli Atenei. Non si trattava di esprimere pareri su generiche localizzazioni di alta cultura, corsi di lauree facoltà, centri di ricerca, ma si trattava di Atenei.
La risposta poteva essere: "non ci devono essere Università in Piemonte" oppure "le soluzioni presentate non sono soddisfacenti", oppure "quella graduatoria non risolve il problema".
Speravo che di fronte alle posizioni di più partiti, si sarebbe trovata una composizione armonica all'interno di un disegno nazionale perché questo tema non riguarda solo l'esecutivo.
Nell'attuale situazione, la proposta di un nuovo Ateneo non si misura rispetto ad una controproposta di non proliferazione delle sedi universitarie e non si misura nemmeno rispetto ad una proposta in sede governativa che escluda altre forme di decentramento. Secondo le dichiarazioni del Ministro e dei parlamentari le opzioni sulle quali la Regione può pronunciarsi non sono "decentramento sì" o "decentramento no" ma sono sul modo con cui questo decentramento deve intervenire, se si deve intervenire nell'iter parlamentare attraverso un emendamento che sostiene un nuovo Ateneo o con altre forme che permettano il decentramento senza l'istituzione di un Ateneo perché è ritenuta operazione più agevole e più facile attraverso il distacco di facoltà, di corsi di laurea o di attività universitarie in luoghi non definiti e non precisati (mentre nell'emendamento lo sono) e affidati ad una discussione che escluderebbe completamente la Regione.
E' evidente che l'istituzione di un nuovo Ateneo comporta un dibattito con gli Atenei esistenti e con la comunità regionale che permetta di chiarire i contenuti culturali concreti, i tempi per l'apertura delle operazioni distaccate dell'Ateneo nuovo e dell'Ateneo tradizionale di Torino.
Se si sceglie l'altra ipotesi che viene rappresentata dalla legge senza emendamenti, che rinvia a decisioni successive, o ad un successivo adempimento parlamentare, non definito nei tempi e nei contenuti, non si otterrà il risultato di discutere in un'assise che abbia la qualificazione programmatica e culturale necessaria, ma si otterrà il risultato di procedere con una proliferazione sulla spinta localistica e sulla base di criteri sui quali sicuramente la Regione Piemonte non può intervenire perché nascono dall'occasionalità delle diverse Facoltà; un decentramento che comunque costa e che comunque si realizza.
La posizione assunta dai parlamentari piemontesi mi sembra la più coerente con l'elaborazione degli ultimi anni della Regione Piemonte e più coerente con l'esigenza di graduare nei tempi e nella qualità culturale l'intervento da fare.
Sulla questione del completamento dell'Università di Torino e della definizione di sedi adeguate, concordo con la proposta di Bontempi di non considerare le cose in contrapposizione.
La Regione Piemonte ha particolare interesse a far procedere la riorganizzazione e la ristrutturazione dell'Università perché negli accordi assunti nella passata legislatura tra Regione, Provincia, Comune e Governo il completamento dell'edilizia universitaria costituiva un elemento importante e strutturante del tessuto urbano torinese e costituiva anche una delle condizioni per la realizzazione di importanti ed impegnativi progetti culturali che gli stessi enti locali, in accordo con l'Università hanno definito e portato avanti.
Non è accettabile che si mantenga parzialmente inutilizzato l'edificio dei "Poveri Vecchi" in una situazione di scarsità di risorse, ma i patti e gli accordi sui tempi e sui luoghi non sono stati rispettati e non è né la Regione né la Provincia né il Comune che non li hanno rispettati.
C'è poi la questione di Palazzo Carignano, che va salvato, perch altrimenti crolla, ma salvarlo con gli inquilini dentro non è agevole n per gli inquilini né per l'impresa che deve gestire i lavori. E la questione di Palazzo Carignano è stata affrontata con l'ipotesi precisa che proceda il discorso della Caserma Podgora o, se non va bene quella, ci si dica qualcos'altro.
I costi delle operazioni di ristrutturazione delle Università italiane sono incommensurabilmente più alti, come ordine di grandezza, rispetto alla questione dell'Università di Torino.
La continuazione dei lavori nell'Università di Torino, anche alla luce di una discussione di eventuali decentramenti e l'apertura di una progettazione data dalla legge, sul secondo Ateneo in Piemonte, non possono, dal punto di vista finanziario, essere considerate operazioni tra di loro antagoniste.
La posizione che fu assunta nel 1974,.nel periodo in cui si è approvato il documento dell'IRES, è che, al di là del ragionamento sulla localizzazione territoriale, che non è modificato in maniera così drastica da allora ad oggi da richiedere un ulteriore studio analitico di pendolarità e di poli di gravitazione, è sempre stata quella di considerare il problema dell'Università come un'operazione culturale di dialettica positiva nei confronti degli Atenei torinesi e, nello stesso tempo, di decentramento all'interno della Regione di un organico tessuto di iniziative capaci di andare nella direzione che i Consiglieri Marchini e Viglione richiamavano. E' di quegli anni la contestuale progettazione e realizzazione di altre iniziative, proprie della Regione o congiunte tra la Regione e le imprese o tra la Regione e l'Università, che nel loro complesso prevedevano il completamento dell'Università.
Queste operazioni rischiano, se vanno oltre un certo limite, di diventare una cosa diversa da quello che devono essere o qualche cosa di assai fragile.
L'operazione della città studio, del centro di formazione professionale e dell'impianto pilota di Biella sono di grande interesse internazionale e collegheranno le iniziative del C.N.R.
Il Ministro della Pubblica Istruzione ha dichiarato in un'assemblea pubblica che su queste iniziative dovrebbe proficuamente innestarsi una scuola universitaria a fini speciali nel campo tessile.
Personalmente ho qualche preoccupazione a non vedere andare avanti il secondo Ateneo e l'operazione di decentramento organico su più sedi e scoprire che il complesso costruito dagli industriali e dalla Regione ha una grande rilevanza dal punto di vista edilizio e dal punto di vista culturale e che in quel luogo meccanicamente venga sovrapposta un'emanazione dell'Università di Torino. Io non ho nulla contro questa ipotesi. Non so però se una scuola di tipo universitario a fini speciali nel campo tessile debba essere fatta a Torino o a Biella.
Per esempio, per quanto si riferisce all'Accademia delle Scienze, non mi verranno a dire che ci vuole una legge straordinaria. La questione delle caldaie e dell'impianto elettrico senza il contributo regionale non si risolveva nemmeno per un ente nazionale come l'Accademia delle Scienze di Torino, che il prossimo anno celebrerà 200 anni (e credo che al freddo in 200 anni non sia stato mai).
Centro di Calcolo. Non a caso è stato realizzato un consorzio con l'Università e con il Politecnico, non è un caso che sia stato progettato ed impostato negli stessi anni in cui si parlava del secondo Ateneo. Giova ricordare che i contributi per il C.S.I, sono indecorosi. Non si tiene conto che Torino ha una Facoltà di ingegneria, una di informatica e il rapporto con altre città è cinque a uno. Allora è sensato che queste strutture e il decentramento debbano essere visti in antagonismo? No, secondo me.
Ho citato il Museo di Scienze Naturali che ha una convenzione con l'Università, potrei citare il Centro per gli Studi del Medio e dell'Estremo Oriente ed altri che seguiranno, che sono in rapporto con l'Università.
Esiste una politica generale che ha anche una sua valenza territoriale che, di fronte al non avanzamento dell'ipotesi del secondo Ateneo, non per questo ha desistito dal realizzare condizioni di incontro tra cultura produzione ed Enti locali che fossero propulsive rispetto ad un'idea e ad un'impostazione di sviluppo, che magari alcuni anni fa sembrava tecnocratica, ma che oggi, di fronte alle crisi gravi del settore industriale, si sta manifestando in tutta la sua positività e in tutta la sua lungimiranza.
La questione dell'Ateneo è particolarmente rilevante perché non si pu concepire una politica della ricerca slegata dalla didattica.
Nel campo della ricerca, più di un anno fa, sono state avanzate delle proposte in sede nazionale e noi continuiamo a sostenerle.
Qualcuno mi deve spiegare perché altre Regioni o altre sedi hanno diritti e hanno possibilità di ottenere il rilancio della loro attività di ricerca attraverso una giusta fase promozionale della Regione ed una successiva ed altrettanto giusta fase di sostegno del C.N.R., del Ministero della Ricerca Scientifica, dell'ENEA, dell'EURATOM, e solo nel caso della Regione Piemonte questa considerazione venga ritenuta inaccettabile.
Il ragionamento della Regione Piemonte teneva conto di un'eventuale discussione con l'area cuneese per un decentramento fatto sulla base di un programma culturale dell'Università di Torino, che prevedeva che nella zona orientale del Piemonte si potesse costituire un polo universitario opportunamente disaggregato, con una sua capacità di reggere e di sorreggere anche queste operazioni. Ci sembra un modo corretto e non localistico di rappresentare lo sviluppo di una Regione come parte integrante dello sviluppo nazionale. Per esempio, non è accettabile che si facciano convegni sul restauro in cui si continua a piangere sullo stato vituperevole dei monumenti nazionali, non solo perché si arriva all'autolesionismo (se si va a vedere come si restaurano i palazzi all'estero qualche piccola obiezione la si potrebbe fare), ma perché non si dice in concreto che cosa si può fare per evitare che i cornicioni cadano e non si ha il coraggio di sostenere scelte di priorità, quindi localizzazioni precise degli interventi. Non credo che l'Università di Torino sia classificabile in serie "A" o in serie "B", non credo che tutti i corsi e tutte le attività dell'Università di Torino siano allo stesso livello.
Ma questo deriva dall'ordinamento universitario italiano che permette la coesistenza di attività (e questo è anche positivo perché evita la distinzione degli abitanti in termini di reddito e di luogo di nascita) che non essendo legate alla contrattazione di mercato e quindi non essendo i docenti rinnovabili di anno in anno e assumibili secondo il prestigio dell'Università e il salario che gli si fornisce, offrono delle caratteristiche culturali assai differenziate.
E' evidente che ad Harvard sarà tutto di serie "A", dal corso di cucito a quello di economia e di matematica. L'Università italiana non è concepita secondo la logica di mercato, è quindi evidente che ci saranno dei livelli di riferimento altissimi e ci saranno delle difficoltà a costruire una scuola, a definire un indirizzo, a stabilire dei rapporti. Questo è un male o un bene dell'ordinamento universitario italiano.
Quali sono le possibilità di sviluppo per far sì che i punti più alti dell'Università di Torino abbiano un credito ed una rilevanza piemontese nazionale ed internazionale e quali sono le possibilità per far sì che laddove esistano momentanee difficoltà si possa rilanciare e riprendere un prestigio? Le condizioni sono molte, il discorso culturale è difficilissimo, bisogna probabilmente evitare ragionamenti meccanici di non ingerenza e bisogna anche avere il coraggio di "ingerirsi", ciascuno per la propria competenza. I politici devono porre dei problemi che siano reali e siano sentiti dalle popolazioni e gli accademici devono trovare soluzioni che in termini di proposta culturale siano adeguate.
Un secondo Ateneo in Piemonte è un meccanismo che rimette in discussione, anche al livello dell'Università di Torino e in rapporto dialettico con questo Ateneo, moltissime cose e che non è un meccanismo di intromissione della politica all'interno dell'Università perché sarà la stessa dialettica interna dell'Università, del Politecnico e degli Atenei vicini a determinare le aree di interesse e di disinteresse, a polarizzare le convinzioni o i dissensi. Questo è il compito della politica: creare delle condizioni istituzionali che, modificandosi in modo corretto permettano alle forze della cultura di modificare i termini della loro discussione per contribuire non a questa o a quella scelta politica, ma ad un'ipotesi di sviluppo. Altrimenti non si capisce perché tanta parte delle attività culturali della nostra cultura, della nostra civiltà siano legate alla dialettica tra poli e tra istituzioni.
Lasciando ai parlamentari i giusti margini di manovra che soggetti di quell'autorevolezza devono avere nella sede della Commissione, mi pare che si possa giungere nella misura più unitaria possibile ad un ordine del giorno che veda il consenso delle forze politiche qui presenti e che sia capace di rappresentare il significato, non localistico, in base al quale si propone un'operazione di secondo Ateneo in Piemonte. I tempi e i modi per ottenere la graduazione e i contenuti possono essere discussi in futuro.
Vorrei cogliere questo raro momento di attenzione per fare un esempio.
Quando si parla di medicina, si può intendere posti letto convenzionati nelle cliniche, specialità o alcune caratteristiche carenti rispetto al mercato del lavoro in una certa Regione, ma si può anche dire, per esempio rilancio degli studi biologici. La composizione di questi tre fattori risponde ad una politica culturale diversa.
Sono del parere che siano necessarie all'interno dell'Università di Torino, magari utilizzando il secondo Ateneo, biblioteche di grandi dimensioni, attività museali connesse alla didattica e alla ricerca nel campo della medicina.
Sarebbe anche giusto cominciare a porre i problemi della medicina moderna come problemi di biologia molecolare, di genetica e di scienza fondamentale.
Non possiamo dimenticare che dall'Università di Torino sono uscite delle scoperte nel campo della genetica di grande rilevanza internazionale e non possiamo non rilevare l'assoluto squilibrio tra questo tipo di studi e di investimenti ed altri studi e altri investimenti, altrettanto leciti e giusti.
E' di grande interesse per la Regione il sapere, per esempio, quanti anestesisti o quanti chirurghi occorrono per una specialità di cui magari abbiamo carenza, il sapere in che misura occorre immettere una sempre più forte attività di ricerca nell'ambito della ricerca internazionale e il sapere quanto possa incidere un'operazione di strutture, di laboratori, di biblioteche. Sono d'accordo sull'ipotesi del secondo Ateneo, in questa prospettiva, mentre l'ipotesi del decentramento di corsi di laurea o di facoltà non sarà mai in grado di ottenere altro risultato che l'avvicinamento del servizio agli allievi. L'operazione di un nuovo Ateneo rimette in discussione questioni culturali e non solo territoriali. Per queste ragioni vi è una sostanziale convergenza e una continuità di comportamento della Regione negli interventi e nelle posizioni espresse oggi.



PRESIDENTE

La discussione su tale argomento è terminata.
Invito i presentatori degli ordini del giorno a formulare un testo unitario.


Argomento: Questioni internazionali

Esame ordini del giorno sulla situazione del Libano


PRESIDENTE

Il punto quinto all'ordine del giorno reca: Esame ordini del giorno sulla situazione del Libano.
Poiché sono stati presentati due ordini del giorno, propongo che i firmatari si riuniscano per concordare un ordine del giorno unitario.
La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, credo che la questione del Libano non possa essere risolta con la votazione di un ordine del giorno, magari a fine seduta.
L'importanza e la gravità dei fatti che stanno succedendo in Libano impongono un dibattito.



PRESIDENTE

Il dibattito si può fare, propongo però di andare avanti con gli altri punti all'ordine del giorno. In seguito i Capigruppo decideranno in merito.



MONTEFALCHESI Corrado

Vorrei sapere se e quando si svolgerà il dibattito sulla situazione nel Libano.



PRESIDENTE

C'è la richiesta di sospenderlo e di rinviarlo a giovedì 22 luglio prossimo.



MONTEFALCHESI Corrado

Chiedo che venga messo a verbale il mio dissenso su questa decisione perché ormai da troppo tempo questo argomento è rinviato.
Si prenda l'impegno di aprire i lavori del Consiglio regionale di domani mattina con la discussione sul problema del Libano, contrariamente qualcuno si assuma la responsabilità di chiedere l'inversione dell'ordine del giorno. In questo caso il mio voto sarà contrario.



BONTEMPI Rinaldo

Propongo di rispettare l'ordine del giorno.



PRESIDENTE

La parola ancora al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, i fatti che stanno avvenendo in Libano meritano un'attenzione particolare non solo perché decine di migliaia di persone vengono uccise da quando è iniziata la guerra e l'invasione israeliana, ma perché si tenta di ripetere lo sterminio di un popolo.
Organi di stampa e televisione ci trasmettono immagini di distruzione e di morte e ciò che più di tutto ci sconvolge è il ripercorrere degli orrori della Germania nazista, con il tentativo del Governo israeliano di Begin di arrivare ad una tragica ed orrenda soluzione finale della questione palestinese massacrando quel popolo.
Non si tratta solo di uno scontro militare fra parti contrapposte o un'operazione contro un'organizzazione di terroristi, come il Governo Begin ama ripetere, ma del tentativo di annientare quel popolo, di eliminare il popolo palestinese come entità sociale e politica, di trucidare i suoi rappresentanti politici.
Il Governo israeliano non ha mai fatto mistero delle sue intenzioni e questo tentativo viene perseguito senza che da nessuna parte con la forza adeguata e con gli strumenti adatti, venga un'iniziativa in grado di bloccare l'aggressione nei confronti del territorio libanese. Va analizzato quello che può essere stato lo spunto dell'invasione del Libano da parte dell'esercito israeliano. Non sono certo state le azioni di guerra dell'esercito palestinese nella Galilea: finite dal momento della stipulazione del cessate il fuoco più di un anno fa.
Sembra realistico presumere che l'invasione sia stata dettata dalla preoccupazione dei governanti di Israele circa la capacità dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina di far rispettare l'accordo per il "cessate il fuoco". Infatti, nella misura in cui l'OLP riusciva a far rispettare quell'accordo si rafforzava la sua credibilità e l'autorità nel suo massimo dirigente Arafat, a livello internazionale e nei confronti delle organizzazioni estremistiche che con le loro azioni hanno dato l'esca a pesanti contromisure israeliane.
Un'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, capace di disciplinarsi, capace di controllare il suo popolo, capace di tenere fede agli accordi poteva diventare un candidato serio ai negoziati di pace a livello internazionale.
Questo avrebbe significato la legittimazione e il riconoscimento dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e dei diritti del popolo palestinese.
Io credo che un rischio vada evitato, cioè che in queste situazioni si rischia di fare di tutte le erbe un fascio, di identificare un Governo con il proprio popolo, di non cogliere all'interno del Paese di Israele quello che di importante sta maturando per arrivare ad una soluzione pacifica contrattata della situazione palestinese. In queste settimane sta crescendo l'opposizione del popolo israeliano alla guerra e all'invasione nel Libano questo è un dato importante in quanto sono convinto che la pace matura nella coscienza dei popoli prima che in quella dei governanti.
Le scelte del Governo Begin derivano da accordi di carattere internazionale, derivano dall'appoggio che il Governo Begin ha avuto dagli Stati Uniti che hanno gravi responsabilità.
Questo appoggio ha impedito ai Paesi occidentali, ai Paesi europei, di andare al di là di qualche balbettio, di fronte alla drammaticità e alla tragicità della situazione libanese.
Dove sono finiti i principi del Diritto Internazionale che avevano portato molti Paesi europei ad applaudire all'intervento inglese nelle Isole Falkland? Dove sono finite le sanzioni internazionali nei confronti dell'Argentina? Perché i Paesi europei, di fronte ad un fatto tragico e per entità più grave di quello delle Malvinas non hanno tentato di far pagare politicamente con l'isolamento internazionale ed economicamente con delle sanzioni questo tentativo di sterminare il popolo palestinese da parte del Governo Begin? Il nostro Gruppo chiede che il Governo italiano assuma una posizione estremamente chiara per la fine del conflitto e per la soluzione pacifica del problema medio-orientale, assuma immediatamente una posizione nella quale si riaffermi il diritto del popolo palestinese ad avere una patria.
Il Governo italiano sostanzi questa posizione con il riconoscimento dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, quale legittimo rappresentante del popolo palestinese. 351 Deputati del Parlamento italiano (la maggioranza) sono per il riconoscimento dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina da parte del nostro Governo.
La Regione Piemonte, mentre è necessario proseguire l'invio degli aiuti al popolo palestinese, deve far partire questo ulteriore segnale verso il Governo italiano. Riteniamo che queste posizioni debbano essere espresse in un ordine del giorno e inviate al Governo italiano ed al Parlamento.



PRESIDENTE

La parola alla collega Marchiaro.



MARCHIARO Maria Laura

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, dobbiamo intanto sottolineare che mentre discutiamo della situazione del Libano recenti iniziative diplomatiche potrebbero cambiare le cose nel giro di poche ore.
Al momento attuale, tuttavia, un negoziato è ancora estremamente difficile e lontano. Continua la pressione militare, non cessano né le morti, né le stragi, né la distruzione di Beirut da parte dell'esercito israeliano e c'è il fatto nuovo e dirompente del conflitto Iran-Iraq che complica ulteriormente la questione degli equilibri di forza nell'area medio-orientale.
Le recentissime prese di posizione degli Stati Uniti possono forse essere una novità, anche in contraddizione profonda non dico con la politica che ha sempre sostenuto l'annessionismo israeliano in questi decenni, ma anche con l'ultimo veto all'ONU sulla questione della richiesta del ritiro incondizionato delle truppe.
Indubbiamente, dobbiamo registrare un quadro politico estremamente complesso e difficile. Sono d'accordo con il Consigliere Montefalchesi nel ritenere che, probabilmente, nel crescere di questa possibile soluzione negoziale giocano un ruolo importante l'OLP (e i Governi europei dovrebbero rammaricarsi di non aver mai ascoltato in questi anni gli inviti negoziali dell'OLP) e le prese di posizione del popolo israeliano che non è assolutamente tutto schierato con il Governo Begin.
Vorrei porre l'accento sulle questioni che caratterizzano la situazione nel Libano. Innanzitutto, c'é un problema sostanziale. Per il popolo palestinese è in questione il territorio in cui potrà vivere. C'è una richiesta del Governo di Beirut di evacuazione, c'è un sostanziale disimpegno dei Governi arabi e si deve decidere la sorte di quattro milioni e mezzo di persone.
Il rapporto di forza tra l'OLP e il Governo di Israele è enormemente sbilanciato, la sorte dei palestinesi è letteralmente ancorata alla questione del territorio in cui vivere. L'OLP, che a tutti gli effetti è la rappresentanza effettiva del popolo palestinese, ha sempre avuto al centro del suo impegno la questione nazionale. In questo momento l'OLP chiede come prima istanza, un'autorità nazionale sui territori che Israele si era annessa nel '77 e che comunque deve restituire, porta avanti un discorso di prospettiva storica sulla sorte della nazione palestinese e parla di uno Stato democratico in cui convivano cristiani, ebrei, musulmani in una situazione di democrazia e di uguaglianza.
Come comunista, voglio ribadire il rammarico che in tutti questi anni non si sia voluto tener presente, sia da parte del Governo degli Stati Uniti, ma anche dei Governi occidentali, di questo ruolo che l'OLP ha giocato in Medio Oriente.
Teniamo presente che la soluzione finale che il Governo Begin cerca è una soluzione che viene dopo undici mesi di effettiva tregua, che è forse il momento di affermazione più alta della politica dell'OLP.
Ecco perché ci sembra ancora più proditorio l'attacco dell'esercito di Israele. E' fondamentale per il futuro del popolo palestinese e per la pace in Medio Oriente, il ruolo che possono giocare i Governi europei. Ci sono innanzitutto, degli obiettivi immediati: impedire il massacro e la distruzione a Beirut adoperare tutti gli strumenti e tutte le nostre possibilità diplomatiche perché si arrivi ad un negoziato.
Fondamentale mi pare la presa di posizione della maggioranza dei parlamentari italiani alla Camera per il riconoscimento dell'OLP come legittimo rappresentante del popolo palestinese.
Questo è il punto di partenza per arrivare ad un effettivo negoziato che dia stabilità all'area medio-orientale. L'obiettivo delle forze politiche del Consiglio regionale dovrà allora essere quello di sottoscrivere un ordine del giorno unitario che sia coerente con le prese di posizione dei Deputati che hanno chiesto il riconoscimento dell'OLP, ma anche con l'ordine del giorno votato l'8 luglio alla Camera nel quale si chiedeva al Governo italiano di impegnarsi con determinazione e fermezza perché i Governi europei svolgano un ruolo sostanziale per una soluzione negoziata.
Vorrei fare un'ultima osservazione più generale. Viviamo un periodo in cui le guerre convenzionali e i conflitti locali stanno diventando lo strumento di fondo per una politica di potenza nel mondo.
C'é uno scontro sostanziale tra il Nord e il Sud del mondo e la corsa agli armamenti nucleari, questa ideologia del secondo colpo, della possibilità di una risposta nucleare ad uno scontro nucleare, invece di giocare come strumento di dissuasione alle guerre, gioca come elemento che spinge alle guerre convenzionali e locali.
Non possiamo tollerare che un popolo come il palestinese ora e altri popoli in altri luoghi e in altri momenti subisca, per ragioni di equilibri tra le grandi potenze, un ultimo e definitivo attacco.
Sono per un ordine del giorno molto fermo che, sulla linea delle prese di posizione del Parlamento, esprima la nostra volontà di operare perch non si affrontino i problemi dell'autodeterminazione e della libertà dei popoli con atti di forza, ma con il negoziato ed una politica di cooperazione e di sviluppo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

L'ordine del giorno presentato dalla Democrazia Cristiana risale all'8 giugno u.s, e in questi giorni molte cose sono cambiate.
In quel momento il nostro Gruppo aveva colto la sensazione negativa che aveva suscitato il pesante intervento di Israele nel Libano anche perch quell'intervento si connetteva con il proliferare di conflitti locali.
Dei quattro conflitti che allora si svolgevano, quello del Libano quello nelle Isole Falkland, quello in Afghanistan e l'iraniano, soltanto il conflitto tra Argentina ed Inghilterra si è concluso e sappiamo con quanti sacrifici di vite umane.
Non abbiamo alcuna difficoltà, né in sede locale né a livello nazionale, ad esprimere un giudizio negativo sull'iniziativa israeliana soprattutto circa il modo in cui è stata condotta.
Israele è un popolo che ha ben presente ed ha vissuto il dramma di essere una patria, senza un proprio territorio e proprio per questo la sua iniziativa eccessiva e sorprendente, anche se in parte motivata. Non credo che possiamo ignorare quello che è stato il peso del terrorismo internazionale che ha trovato spazio nell'area palestinese. E' un terrorismo che è stato condotto per fare emergere una problematica importante certamente, ma attraverso una via che non abbiamo mai condiviso.
Quando abbiamo incontrato in questa sede Monsignor Capucci fu sollevato il tema dell'uso della violenza. Ci fu detto che si doveva confrontare quella fase alla guerra di Liberazione: il confronto comunque non ci pare convincente perché il metodo terroristico porta allo scontro al di fuori del confronto per la conquista della libertà.
E' stata portata avanti progressivamente una politica di terrorismo che ha avuto un peso estremamente negativo, anche perché era un terrorismo indistinto che, uscendo dal territorio, colpiva gli innocenti.
I diritti del popolo palestinese noi li abbiamo segnalati da sempre ancor prima che nascesse l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Ricordo le iniziative della Democrazia Cristiana, le iniziative di Gronchi, gli avvertimenti di Maffei, gli interventi dell'on. Fanfani e di La Pira sulla necessità di vita del popolo palestinese.
Ma allora si diceva ai democristiani che queste iniziative nascevano da un'avversione all'ebraismo. Oggi, la storia ci dà ragione.
L'errore dello Stato di Israele è quello di voler uccidere un'idea.
L'idea della libertà palestinese è invece giusta e consentita. La volontà di bloccare le centrali terroristiche può essere giustificata sul piano pragmatico, può essere una linea inevitabile per un popolo che è sempre sotto la minaccia di essere buttato a mare.
Si chiede il riconoscimento dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ma da parte di questa il riconoscimento di Israele non è ancora avvenuto.
Il discorso deve essere visto nella sua completezza. Il problema del popolo palestinese deve essere risolto attribuendogli un territorio ed uno spazio vitale nel quale possa riconoscersi. La strategia non può che essere quella della trattativa, non può essere quella della violenza, delle posizioni frontali e degli scontri.
In questo senso, gli Stati Uniti stanno giocando un ruolo importante.
Non lo vedrei come un ripensamento della linea politica internazionale, lo vedrei invece come attenzione da parte di un popolo che ha il culto della libertà, che ha il senso e lo spirito della democrazia. E' un'attenzione ai problemi reali: Israele conduce la battaglia fino agli estremi, con la sottesa intenzione di distruggere la possibilità di sviluppo dello Stato palestinese, ma quando passa il segno come in questa occasione, gli Stati Uniti si schierano per una soluzione pacifica. Questa operazione la vedrei in coerenza con il discorso di ricerca di pace e non contraddittoria rispetto alla linea del passato. La realtà è mutevole e di fronte ai diversi atteggiamenti si assumono posizioni diverse. Questo vale anche per il Governo italiano che, pur avendo avuto con lo Stato di Israele buoni rapporti, non ha mancato di esprimere un giudizio pesante e negativo sull'azione svolta dagli israeliani e di richiedere il ritiro delle truppe.
Il problema del Medio Oriente va complicandosi. La guerra Iran-Iraq è un insidioso pericolo per la stabilità di quell'area. Gli iraniani vedono l'invasione dell'Iraq con l'obiettivo dichiarato di arrivare a Gerusalemme.
Sotto questo scontro c'é poi l'antiebraismo, il non riconoscimento dello Stato di Israele e il tentativo di buttarlo a mare. Tutto questo complica il quadro e lo rende complesso e difficile. Le iniziative di pace devono cercare un equilibrio fra i popoli del Medio Oriente. Questo equilibrio difficile, secondo il nostro parere, è conseguibile soltanto con la trattativa. Solo su questa strada si potrà arrivare ad una soluzione pacifica.
Il nostro ordine del giorno respinge il metodo della violenza e richiama il metodo della trattativa.
Dire quali possono essere le vie per una trattativa di pace in Medio Oriente sarebbe presunzione da parte nostra. Affermiamo soltanto che tutti i popoli devono avere la certezza di poter operare sul loro territorio. La deve avere lo Stato di Israele e il popolo palestinese deve avere un suo spazio.
Dobbiamo impegnarci tutti affinché una trattativa di pace porti a questo risultato.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Il Gruppo liberale concorrerà nella misura in cui gli sarà consentito all'elaborazione di un documento comune che esprima soprattutto sul piano della coscienza e dei sentimenti, le preoccupazioni di questa assemblea e quindi, della gente che rappresentiamo.
Devo dire subito che è da respingere il linguaggio che è stato usato in questa sede, ma non soltanto qui, il parallelismo fra lo Stato di Israele e il nazismo.
Perché non usiamo il termine nazista, per esempio, per i Kmher rossi per quanto avviene in Cambogia e in Vietnam. Lì, al massimo, sono crudeli sono disumani, ma non sono nazisti. Inviterei i Consiglieri a riflettere su questo. Su questo riflette anche un grossissimo personaggio della sinistra che non cito.
Evidentemente questo la dice lunga su qualche buco nero che abbiamo nella nostra coscienza, nella nostra storia, nella nostra cultura. Dobbiamo guardarci da questi buchi neri che ci impediscono di vedere la realtà.
Detto questo, tutte le guerre, questa in particolare, sono tragiche e drammatiche soprattutto quando, per scelta delle parti, vengono combattute in un contesto curioso. A Beirut muore la gente. Dimentichiamo però che qualcuno aveva asserragliato a Beirut 500 carri armati. L'Organizzazione per la Liberazione della Palestina è la rappresentanza di un Paese che ha 500 carri armati a Beirut.
Sarei curioso di sapere se l'esercito italiano è in grado di mettere in campo 500 carri armati.
La nostra preoccupazione di uomini nei confronti di altri uomini che muoiono e soffrono e di vittime innocenti deve essere totale ed assoluta.
Però, se questo non vuole essere un rito, ci vuole una meditazione, anche per non ripetere luoghi comuni e dare l'impressione di una classe politica che riporti in questa sede il semplice "deja vu".
Sono convinto che stiamo assistendo ad una pagina tragica della storia ma è una pagina importante della storia del Medio Oriente, una pagina che è già stata scritta. Allora, sarei perplesso nel voler fare dei documenti che ignorano che questa pagina della storia è stata scritta, che avvenimenti precisi sono avvenuti, che pietre militari nella storia del Medio Oriente sono state messe in questa operazione. Quali sono i punti fermi di questa vicenda? In primo luogo la fine politica dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina ed anche la fine come struttura militare. Il massacro del popolo palestinese da chi è stato voluto? Da chi l'ha voluto e da chi l'ha permesso, perché, probabilmente, non sarebbe avvenuto se qualcuno non l'avesse voluto e non l'avesse permesso.
Perché non si parla degli arabi in genere? Questo è il dato storico nuovo. Questa è la prima guerra che vede Israele alleato agli arabi: questo non è un conflitto arabo-israeliano, ma è un'operazione di Israele nei confronti dell'OLP.
Prima di chiederci se l'OLP è finito come movimento politico oltre che come movimento militare, cerchiamo di riflettere su questa situazione non occasionale. Nessuno dei fatti che hanno accompagnato le campagne di Israele si sono ripetuti: non c'é stato l'embargo petrolifero, non c'è stata la messa in discussione della pace di Camp David da parte del popolo egiziano, non c'è stata alcuna entrata sostegno dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina da parte di nessun Paese, se non da parte della Siria (per fare un'operazione, secondo me, politicamente da discutere).
L'operazione, con la quale i Paesi arabi moderati hanno voluto la fine militare e politica dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e l'hanno consentita ad Israele, sarà portata fino alle estreme conseguenze.
I Paesi arabi accetteranno gli esuli di Beirut, a condizione che l'OLP sia distrutta sul piano politico oltreché sul piano militare. Questo significa, evidentemente, la responsabilizzazione di fronte alla storia dell'errore che ha fatto l'OLP di scegliere l'opzione strettamente militare.
L'OLP ha ritenuto che l'opzione militare e rivoluzionaria fosse vincente in Medio Oriente, invece l'opzione rivoluzionaria non è vincente in Medio Oriente, non è stato sufficiente uccidere Sadat. Queste cose bisognerebbe ricordarle quando si parla di violenze e di nazismo.
Il Presidente dell'Egitto è stato ucciso dal fronte del rifiuto, il quale non voleva la politica di Camp David. E' morto Sadat e non è successo niente. Si è chiusa la vicenda del Sinai il 25 aprile e non è successo niente. Sono state occupate le alture del Golan e non è successo niente. E' stata bombardata la centrale nucleare, ciò nonostante non è successo niente. Questo vuol dire che i Paesi arabi moderati hanno fatto una scelta precisa: la liquidazione dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina come fatto militare e come fatto politico.
Ecco allora che il problema è molto più complesso di quello che in questa sede ci stiamo ponendo, più che un problema politico è un problema di garantire sul piano umanistico la continuità di un paese e di una nazione.
Il quadro al quale ci dobbiamo riferire è profondamente cambiato. E' cambiato in maniera irreversibile.
Da parte di osservatori politici non di secondo piano si dice che non è stato Breznev a far modificare l'atteggiamento degli Stati Uniti nel Medio Oriente. Non è stato Breznev che si è visto buttare a terra 94 aerei contro uno israeliano, non è certamente Breznev che ha visto i suoi sistemi missilistici distrutti, non è stato Breznev che ha visto in Iraq messa in discussione la strategia militare, gli istruttori militari e le tecnologie militari. Non è certamente l'Unione Sovietica, che in questo momento è sconfitta sul piano politico e militare, ad aver dettato le condizioni agli Stati Uniti perché intervenissero.
Probabilmente, il più moderato dei Paesi moderati dell'Arabia ha chiesto di intervenire proprio per poter governare questa vicenda. Secondo alcuni osservatori politici sono i petrodollari dell'Arabia Saudita ad aver messo in difficoltà gli Stati Uniti rispetto all'appoggio continuo allo Stato di Israele in un'opzione troppo radicale.
Perché sarebbe molto imbarazzante per i Paesi arabi permettere che la soluzione finale alla quale ci stiamo, purtroppo, avvicinando avvenisse.
Sarebbe sicuramente un grosso imbarazzo sia per lo Stato di Israele sia per i Paesi arabi avere Arafat prigioniero da qualche parte o, peggio ancora soggetto ad un tribunale militare.
Questa vicenda è, in qualche modo, congelata nelle sue conseguenze. I fatti che i suoi protagonisti volevano si sono ormai consumati. Lo scontro è stato, da una parte, tra i Paesi del fronte del rifiuto della pace di Camp David e, dall'altra parte, fra i Paesi che invece ritenevano che la stessa dovesse procedere.
Hanno vinto i Paesi moderati. Lo Stato di Israele ha approfittato della situazione e probabilmente è andato al di là di quello che qualcuno riteneva si dovesse andare.
Non dimentichiamo che l'occasione per chiudere questa procedura politico - diplomatica è stata l'uccisione del Console francese in Francia.
Ma - badate bene - questa ennesima uccisione non è stata effettuata dall'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ma da una branca separata del popolo palestinese, la quale con questa operazione voleva portare avanti l'unica guerra che si può fare contro Israele, la cosiddetta guerra di attrito. Israele ha scelto la battaglia campale.
Probabilmente, questa serie di errori compiuti dal fronte del rifiuto ha fatto sì che i Paesi del fronte della moderazione vincessero la partita nei confronti dell'OLP. Allora, sembra curioso pensare che si debba premere affinché si apra un negoziato che abbia come protagonista l'OLP, che è un soggetto in questo momento sconfitto politicamente ed inesistente.
Dobbiamo augurarci che l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina riesca a prendere dalla storia una lezione, quindi a trasformarsi e a riciclarsi in termini molto brevi.
Il dramma del popolo palestinese è che la sua leadership non riesce a riciclarsi in termini molto brevi. Allora chi rappresenterà il popolo palestinese ? Nessuno. Confidiamo che il negoziato vada avanti non tanto e non solo per evitare che l'assedio a Beirut arrivi alle estreme conseguenze, ma perché alla testa del popolo palestinese rimanga una leadership che sappia raccogliere la lezione dalla storia e sappia trasformarsi da leadership di tipo rivoluzionario a leadership di tipo politico che quindi sappia realisticamente considerare i limiti e le condizioni dello scenario in cui dovrà muoversi in futuro.
Al Consigliere Brizio vorrei dire che l'avanzata di Khomheini, come fatto destabilizzante dello schieramento dei Paesi moderati, farà sì che tutte le iniziative saranno determinate contro tutti gli elementi destabilizzanti del sistema medio-orientale.
E' una vicenda che stabilizza ulteriormente uno status quo.
Il nostro Gruppo politico esprime voto di consenso all'ordine del giorno che verrà posto in votazione, nella convinzione che alla base dello stesso c'è il rifiuto della guerra come soluzione dei problemi e il senso di ripulsa che avvertiamo ogni volta che l'uomo si fa nei confronti dell'uomo, non più uomo, bensì lupo.
Noi siamo convinti che dopo l'entrata di Israele a Beirut, dopo la chiusura di questa vicenda, molto è cambiato nel rapporto Europa - Medio Oriente, molte questioni sono cambiate. Forse si possono anche prevedere i termini di una diversa proiezione delle nostre prospezioni energetiche.
E' significativo che l'arma del petrolio non sia più stata usata, non tanto per mancanza di solidarietà nei confronti dell'OLP ma perché ormai con il sistema dei petrodollari i Paesi arabi moderati produttori di petrolio sono talmente coinvolti nell'economia capitalistica dell'Occidente da esserne legati in senso positivo e in senso negativo.
Mi aspetto che i proponenti dei due ordini del giorno trovino la possibilità e la lucidità per stilare un documento comune.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Non credo si possa liquidare il dibattito sulla situazione del Libano con la semplice votazione dei due ordini del giorno, tra l'altro datati un mese e mezzo fa.
Vorrei sapere come si conclude il dibattito visto che ci sono condizioni che prevedono una gestione non breve per trovare l'unitarietà.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Intendevo intervenire anch'io nel dibattito per portare la testimonianza di quanto ho visto in Libano. Se i tempi sono brevi rinuncio ad intervenire.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Sarebbe auspicabile arrivare ad un ordine del giorno unitario.
Poiché gli ordini del giorno hanno una data non recente si potrebbe per intanto stilare un testo che tenga conto delle osservazioni emerse dal dibattito.



PRESIDENTE

Chiedo al Consigliere Montefalchesi se, dopo aver sentito i vari interventi, ritiene di sottoscrivere un ordine del giorno unitario, che potrebbe essere approvato giovedì prossimo.



MONTEFALCHESI Corrado

Data la situazione, ritengo sia urgente esprimersi oggi.
Il voto del Consiglio regionale non può non tener conto di quanto è già stato espresso da istanze superiori, cioè dalla maggioranza dei Deputati del Parlamento italiano, circa la richiesta esplicita da parte del Governo italiano del riconoscimento dell'OLP.
Credo sia giusto chiedere anche contemporaneamente che l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina riconosca Israele.



BRIZIO Gian Paolo

Israele esiste da 30 anni.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Borando.



BORANDO Carlo

Ritengo che sia lesa la mia personalità e il mio tempo. Viviamo in un Paese dove c'è un Governo con un Presidente del Consiglio, con un Ministero degli Esteri, con un Parlamento, i quali queste situazioni le dovrebbero conoscere ed approfondire più di quanto non possano conoscerle ed approfondirle Montefalchesi, Brizio, Cerchio e il sottoscritto. I giornali su questi fatti, dicono tutti cose diverse.
L'ordine del giorno dovrebbe chiedere che la guerra in Libano finisca presto, dopodiché andiamo avanti nelle cose che ci interessano.



PRESIDENTE

Invito i Capigruppo a riunirsi per concordare un testo unitario.


Argomento: Albo professionale agricolo

Esame progetto di legge n. 201: "Modificazioni ed integrazioni alle leggi regionali 12/5/1975, n. 27 e 16/5/1980, n. 44, relative a 'Istituzione dell'Albo professionale degli imprenditori agricoli'"


PRESIDENTE

Passiamo al punto sesto all'ordine del giorno che reca: Esame progetto di legge n. 201: "Modificazioni ed integrazioni alle leggi regionali 12/5/1975, n. 27 e 16/5/1980, n . 44, relative a 'Istituzione dell'Albo professionale degli imprenditori Agricoli'".
La parola al relatore, Consigliere Ferro.



FERRO Primo, relatore

La legge sull'Albo professionale degli imprenditori agricoli risale al 12/5/1975.
Si tratta di una legge che pur avendo subito alcune parziali modifiche nella passata legislatura, presenta una contraddizione di fondo all'art. 1 dove la figura dell'imprenditore agricolo viene definita in termini diversi rispetto alla definizione che viene data dalla legge 153 del 1975 e alla legge regionale n. 15 del 1977.
Questa difformità sull'individuazione della figura dell'imprenditore agricolo, a titolo principale, è stata rilevata dal T.A.R. che ha considerato di annullare le indicazioni contenute nella deliberazione della Giunta regionale n. 29/12804, che assumeva come riferimento l'iscrizione all'Albo ai fini delle concessioni edilizie, previste nell'art. 9, lettera a), della legge n. 10.
Nello stesso tempo, il Commissario di Governo, valutando il Regolamento attuativo dell'Albo, approvato dal Consiglio regionale nell'aprile dell'anno scorso, ha espresso alcune perplessità ed ha richiesto alcuni chiarimenti che, per essere dati, implicavano comunque la modifica della legge. Di qui, la presentazione di alcune proposte di modifica avanzate da alcuni Consiglieri regionali con la proposta di legge n. 201, che in Commissione è stata ampiamente valutata e sulla quale si è sviluppato un serrato confronto, il cui punto di approdo è rappresentato dal testo su cui oggi è chiamato a pronunciarsi il Consiglio regionale.
Nel nuovo testo vengono introdotti i riferimenti alle leggi che hanno definito la figura dell'imprenditore agricolo a titolo principale (legge 9/5/1975, n. 153 e legge 10/5/1976, n. 352, applicate in Piemonte con la legge regionale 22/2/1977, n. 15) che non risultavano contenuti nella legge regionale n. 27/75 sull'Albo essendo quest'ultima precedente alle sopracitate leggi.
Vengono, nel nuovo testo, meglio puntualizzati i requisiti personali per l'iscrizione all'Albo per gli imprenditori agricoli, demandando al Regolamento di attuazione della legge, nel rispetto della normativa statale vigente, l'introduzione di parametri tecnici e criteri oggettivi di individuazione della consistenza minima dell'azienda agricola dell'attività agricola e degli altri requisiti aziendali.
Vengono riviste le Commissioni provinciali per la tenuta dell'Albo al fine di renderle meno prolisse e più equilibrate nel rapporto tra i rappresentanti assegnati alle varie organizzazioni professionali agricole.
Vengono introdotti, in seno alle Commissioni provinciali, anche i componenti eletti dai Consigli provinciali al fine di un coinvolgimento fin da adesso, degli Enti locali, che nella prospettiva della Giunta regionale saranno destinatari di deleghe.
Le Commissioni provinciali sono integrate dai componenti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori agricoli dipendenti.
Comunque, nelle Commissioni provinciali viene riaffermata tuttavia la prevalenza della categoria interessata.
La Commissione regionale per l'esame dei ricorsi sull'Albo viene integrata da un funzionario dell'Amministrazione regionale, assegnando così un maggiore peso all'Ente pubblico.
Merita particolare attenzione la soppressione, prevista nel nuovo testo, dell'art. 8 della legge regionale n. 27/75, poiché tale articolo è ritenuto estraneo alla legge relativa alla compilazione e tenuta di un Albo professionale.
Infatti sarà oggetto delle leggi e dei provvedimenti che prevedono agevolazioni e benefici pubblici stabilire, nel rispetto della normativa comunitaria e statale, nonché della programmazione regionale, i destinatari delle agevolazioni e dei benefici pubblici stessi e le forme di accertamento della qualifica di tali destinatari.
Si supera un'impostazione esclusivistica, una forzatura presente nel corpo della legge. Qualora fosse rimasto vigente l'art. 8 avrebbe presentato non poche difficoltà di applicazione, contenendo elementi di rigidità non rispecchianti la complessa ed articolata realtà sociale che va sotto il nome di mondo agricolo.
Le modifiche richieste sono di un certo rilievo nel senso che da un lato uniformano l'Albo alle altre leggi, per quanto riguarda la definizione della figura dell'imprenditore agricolo e, dall'altro, delimitano la funzione stessa dell'Albo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Non possiamo fare a meno di lamentare il ritardo con il quale stiamo approvando questa legge.
Speriamo che con questa approvazione il ritardo si riduca e si addivenga al più presto all'approvazione del Regolamento che è rimasto bloccato proprio in attesa della modifica della legge dell'Albo professionale degli imprenditori agricoli.
Confermiamo la validità e l'attualità dell'Albo, a fronte dei persistenti dubbi, di contestazioni, di ironie che vengono da varie parti.
E' comunque necessario avere uno strumento che unifichi e faccia coincidere le troppe definizioni usate per stabilire la figura dell'imprenditore agricolo.
I diritti e i doveri degli agricoltori sono molti e le leggi statali e regionali tendono ancora ad aumentarli.
I diritti e i doveri riguardano non solo il credito, riguardano il diritto di costruire nelle zone agricole, i contratti agrari, problemi fiscali, la previdenza, l'assistenza.
Molti sono i temi che coinvolgono questa categoria.
Occorre adeguare questa legge alle direttive comunitarie che hanno stabilito requisiti nuovi per la qualifica degli imprenditori agricoli.
La maggioranza è però andata ben al di là di queste esigenze e ha parlato delle modifiche sostanziali alla legge che non possiamo accettare.
Intanto ha modificato la composizione delle Commissioni provinciali favorendo altre categorie come le rappresentanze sindacali.
In secondo luogo, ha eliminato la norma che stabilisce che siano gli iscritti all'Albo professionale a rappresentare le organizzazioni agricole e consente l'ingresso nelle Commissioni di persone e figure giuridiche aventi interessi contrastanti con quelli della categoria degli imprenditori agricoli: politici, funzionari di partiti e di organizzazioni varie.
Vista l'insistenza con la quale la maggioranza ha portato avanti questa modifica, ci siamo chiesti quali possono esserne i motivi e riteniamo che ci siano delle organizzazioni che non hanno sufficiente rappresentanza.
E questo è la conferma di quanto diciamo quando si tratta di ripartire i contributi, di stabilire le rappresentanze in Commissioni varie.
Noi insistiamo perché i membri delle organizzazioni agricole siano iscritti all'Albo degli imprenditori agricoli.
Abbiamo presentato alcuni emendamenti di carattere tecnico e di carattere sostanziale che ho or ora motivato.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Il progetto di legge n. 201 è stato presentato dai Gruppi di maggioranza.
Esso è pienamente condiviso dalla Giunta.
La questione dell'Albo degli imprenditori agricoli non è più quella che negli anni '60-'70 aveva diviso il mondo agricolo e le forze politiche.
L'imprenditore a titolo principale è definito da una direttiva comunitaria, alla quale fanno riferimento le leggi nazionali e le leggi regionali.
Peraltro, il Parlamento sforna, a getto continuo, leggi e leggine che intervengono nel settore agricolo che, per ragioni oggettive, dimenticano l'imprenditore agricolo principale proprio perché si tende ad emanare provvedimenti a favore della generalità delle aziende.
Potrei fare una lunga casistica di leggi che richiedono, per ragioni fiscali o per ragioni di finanziamento, il riferimento diretto all'imprenditore a titolo principale e di leggi che prevedono un'utilizzazione diversa.
Tuttavia riconosco che questo è uno strumento che individua la figura dell'imprenditore agricolo e del coltivatore diretto.
La legge presentata dai Gruppi della maggioranza con la collaborazione della Giunta e del Gruppo democristiano in sede di III Commissione mantiene in piedi ciò che è valido dell'Albo degli imprenditori agricoli.
Intanto dà la situazione precisa della categoria, ne controlla l'evoluzione.
Le modifiche che vengono proposte consentono di ottenere uno strumento utile ed agile.
La maggioranza ed il rappresentante del Gruppo repubblicano hanno accolto molte istanze che i Consiglieri della D.C., in sede di III Commissione, avevano sostenuto, quindi il testo attuale è tale da soddisfare le opposte esigenze e da evitare le opposte paure o preoccupazioni che questo diventasse uno strumento corporativo e condizionante il finanziamento pubblico.
Il Commissario di Governo d'altra parte ce lo ha fatto rilevare.



PRESIDENTE

Non essendovi altre richieste di parola, passiamo alla votazione dell'articolato.
Art. 1 "L'art. 1 della legge regionale 12/5/1975, n. 27, è soppresso e così sostituito: 'Art. 1 - Finalità E' stato istituito presso ogni Servizio regionale decentrato per l'agricoltura di ogni provincia della regione, l'Albo professionale degli imprenditori agricoli a titolo principale.
Nell'Albo possono essere iscritti gli imprenditori agricoli a titolo principale di cui alle leggi 9/5/1975, n. 153 e 10/5/1976, n. 352 e alla legge regionale di applicazione 22/2/1977, n. 15 e successive modificazioni ed integrazioni. Alla compilazione ed alla tenuta dell'Albo provvedono le Commissioni provinciali di cui all'art. 3' ".
Il Consigliere Gastaldi ha presentato il seguente emendamento: alla prima frase del secondo comma sostituire: "Gli imprenditori agricoli a titolo principale di cui alle leggi 9/5/1975, n. 153 e 10/5/1976, n. 352 e alla legge regionale di applicazione 22/2/1977, n. 15 e successive modificazioni ed integrazioni si possono iscrivere nell'Albo".
La parola al Consigliere Gastaldi.



GASTALDI Enrico

Lo spirito degli artt. 7 e 8 della legge n. 15 del '77, successiva alla legge n. 27 del '75, è che l'Albo non deve essere un documento vincolante per la Regione per la concessione dei benefici permessi dalle sue leggi. Se però nella legge regionale dell'Albo vi fosse un accenno esplicito o anche soltanto interpretativo dell'obbligatorietà dell'iscrizione, ne discenderebbe l'obbligo per la Regione di servirsi dell'iscrizione all'Albo come di un documento sufficiente e necessario per la concessione dei suoi benefici.
La frase della legge, per la quale si propone l'emendamento, non esclude in modo chiaro l'obbligatorietà dell'iscrizione; l'emendamento invece afferma in modo chiaro la facoltatività dell'iscrizione, per cui la Regione resta libera di servirsi dell'iscrizione all'Albo o di altro documento come crederà volta per volta opportuno per la concessione dei suoi benefici.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Questo emendamento capovolge e mette in discussione tutta la legge.
Le argomentazioni addotte poi sono assolutamente limitative. Il Consigliere Gastaldi si riferisce ai finanziamenti. Siccome, contro il nostro parere, è stato tolto l'art. 8 che stabiliva che i finanziamenti erano riservati agli iscritti all'Albo, non vi è alcun obbligo per la Regione di riferirsi all'Albo. La Regione è libera di dare i finanziamenti a chi vuole. Saranno le leggi specifiche che stabiliranno i destinatari.
Inoltre, poiché l'Albo da oggi in poi non varrà più per i finanziamenti, ma per motivi ben più importanti e più vincolanti, come l'edilizia e il fisco mi domando come potrà valere uno strumento facoltativo, per esempio nei confronti della legge 10 che fa riferimento all'imprenditore agricolo a titolo principale.
L'emendamento è assolutamente da respingere e se dovesse passare chiederò al mio Gruppo di abbandonare l'aula perché è inutile stare qui a perdere del tempo.



PRESIDENTE

La parola al all'Assessore Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Non mi pare che l'accettazione o meno di un emendamento possa indurre un Gruppo ad abbandonare l'aula.
Questo emendamento rientra nella filosofica che vuole questo strumento volontario. Chi vuole iscriversi si iscrive.



PRESIDENTE

Prima di passare alla votazione dell'emendamento chiede di parlare il Consigliere Lombardi per dichiarazione di voto.



LOMBARDI Emilio

Effettivamente l'emendamento proposto sconvolge gli accordi presi in Commissione. Sarebbe stato più opportuno evidenziare questi aspetti in quella sede in modo che ogni forza politica presente avesse avuto la possibilità di valutarli.
Qui si tratta di una modifica sostanziale alla legge di cui veniamo a conoscenza in questo momento.
Invito la maggioranza a riflettere su tale impostazione. Chiedo che su questa proposta che modifica la sostanza della legge ci sia un maggiore approfondimento.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Non intervengo sul merito non avendo seguito l'esame della legge e non essendo in grado di valutare la rilevanza dell'emendamento.
Devo però far rilevare con molta modestia che se i colleghi della D.C.
abbandonano l'aula assumono un atteggiamento di indubbia gravità.
Questo potrebbe costituire un precedente per cui chiunque si trovi di fronte ad un emendamento di una certa rilevanza possa usare quest'arma pericolosissima per il funzionamento delle istituzioni.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Non vogliamo abusare della nostra forza numerica e uscire dall'aula.
Certo questo fatto singolare ci fa riflettere. E' stato presentato all'ultimo momento un emendamento importante che stravolge il senso della legge e che immediatamente ottiene il consenso della Giunta.
Questo modo di agire esclude il nostro Gruppo dal partecipare su argomenti importanti, che ci interessano a fondo anche per la reale parte di rappresentanza che abbiamo nel mondo agricolo. Ne traiamo delle indicazioni politiche.
Possiamo superare l'aspetto formale, ma non quello sostanziale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferro.



FERRO Primo

Devo precisare che la proposta di emendamento del Consigliere Gastaldi venne avanzata in sede di Commissione e che i rappresentanti della D.C.
espressero riserve e perplessità. Non ebbero, quindi, un atteggiamento come quello che oggi riscontriamo in aula. Tra l'altro, nel momento in cui riconosciamo che l'Albo non può avere valore assoluto, nel senso che è necessario abrogare l'art. 8, nel momento in cui riconosciamo che saranno le leggi agrarie specifiche che dovranno definire l'attribuzione dei contributi agli iscritti all'Albo o ad altri aventi titolo, è chiaro che l'Albo deve lasciare la facoltà di scelta all'imprenditore. La proposta avanzata dal Consigliere Gastaldi rende più esplicito quanto già la legge contempla.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Il Gruppo socialista non ha mai avuto troppa simpatia per l'Albo degli "addetti ai lavori" dell'agricoltura, perché di passo in passo arriveremmo alle corporazioni medioevali, dove ciascun addetto ad una professione si ritrova in un Albo; gli Albi dialogano tra di loro, le corporazioni esauriscono le loro contraddizioni o i loro incontri attraverso gli Albi e così via.
Se è dato un riconoscimento a chi prevalentemente lavora la terra, non si può escludere chi ha un interesse in agricoltura, anche non lavorando a tempo pieno, investendo i cosiddetti part-time o i cosiddetti imprenditori agricoli.
So che lo scontro non è di poco conto, ma dobbiamo uscire da questa strettoia. Le nostre posizioni divergono ed è difficile metterle insieme.
L'occupazione in agricoltura, in questi anni, è diminuita, mentre gli Albi sono aumentati considerevolmente: le domande dei coltivatori nei piccoli Comuni, per ottenere agevolazioni in campo urbanistico e dell'edilizia, sono aumentate in gran misura.
Probabilmente l'emendamento tende a ridurre i margini di insicurezza.
Possiamo rinviare la decisione con l'impegno di affrontare definitivamente l'argomento il 22 prossimo.



PRESIDENTE

La parola ancora al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Vedo che molti argomenti non sono coerenti con la legge in discussione.
Credo che la categoria degli imprenditori agricoli sia l'unica che non abbia un Albo. Non si tratta di tornare indietro ma di allinearsi con altre categorie.
Non escludiamo che altre figure possano essere prese in considerazione.
Ci saranno imprenditori di figura diversa a tempo diverso, i part-time ecc, che non vengono esclusi perché abbiamo eliminato l'art. 8 che stabiliva che soltanto gli iscritti all'Albo avevano diritto ai finanziamenti.
Quando venne toccato questo argomento in Commissione, Gastaldi aveva detto: "eliminiamo l'art. 8 e lasciamo che le Commissioni siano gestite dagli imprenditori agricoli veri e propri, oppure rendiamo l'Albo facoltativo e le Commissioni saranno composte totalmente da imprenditori agricoli". Per nessuna di queste condizioni è stata rispettata. Non risultano le conseguenze del discorso che Gastaldi aveva fatto.
La proposta del Consigliere Viglione potrà essere accettata se servirà ad approfondire questo punto



BONTEMPI Rinaldo

Non abbiamo difficoltà ad accedere all'ipotesi del rinvio, purché siano chiarite le motivazioni. Intanto devo dire che questo emendamento è giusto e condivisibile e la settimana di riflessione può dar modo a tutti di rimeditare su un problema abbastanza rilevante.



BRIZIO Gian Paolo

Ci auguriamo che il rinvio di una settimana consenta a tutti una riflessione, non soltanto al nostro Gruppo ma anche ai Gruppi proponenti che devono valutarne gli effetti.



GASTALDI Enrico

L'emendamento è nello spirito della legge n. 15 e di questa proposta di legge. Implicazioni politiche non ne esistono in modo assoluto. La proposta non è nuova perché era già stata sollevata da me in Commissione. Pertanto nella prossima riunione non ritirerò l'emendamento, ma lo ripresenterò tale e quale.



PRESIDENTE

Prendiamo atto della dichiarazione.
L'esame del progetto di legge n. 201 proseguirà il 22 prossimo.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Ordine del giorno presentato dai Consiglieri Alasia, Montefalchesi Carletto, Salvetti, Ferrari e Vetrino sulle procedure di licenziamento avviate dalla Società Eurest e dalla Società Palmar


PRESIDENTE

E' stato presentato un ordine del giorno firmato dai Consiglieri Alasia, Montefalchesi, Carletto, Salvetti, Ferrari e Vetrino sulle procedure di licenziamento avviate dalla Società Eurest e dalla Società Palmar. Ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale considerate le procedure di licenziamento avviate dalla Società Eurest per 90 lavoratori e dalla Società Palmar per 13 lavoratori mentre denuncia la gravità del fatto che deteriora ulteriormente il già pesante quadro occupazionale rileva che in questo caso si verrebbe a determinare anche una grave disparità negli stessi trattamenti di carattere assistenziale fra i lavoratori di queste imprese e i lavoratori Fiat attualmente sospesi dal processo produttivo ma che fruiscono della cassa integrazione e delle possibilità di mobilità.
Il consiglio regionale rilevando l'urgenza dettata dalle procedure ormai in fase di esaurimento, impegna la Giunta a: 1) promuovere l'incontro con le aziende e le organizzazioni sindacali per richiedere il ritiro dei provvedimenti onde rendere possibile a questi lavoratori di beneficiare delle stesse condizioni dei lavoratori Fiat 2) considerate le prospettive aperte nel settore della ristorazione con il rapporto diretto che questo ha con il settore dell'agricoltura, a promuovere con le associazioni delle imprese e gli Enti locali un esame delle potenzialità del settore per altro già sollecitato dalle stesse piattaforme sindacali 3) negli incontri con le associazioni imprenditoriali a verificare lo stato di attuazione degli impegni per quel che concerne: l'anticipazione della cassa integrazione; l'andamento produttivo ed occupazionale del settore; l'attuazione della mobilità nel settore; lo sviluppo produttivo del settore".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 43 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Università

Ordine del giorno presentato dai Consiglieri Bontempi, Villa, Vetrino Viglione e Cerutti sull'istituzione di nuove sedi universitarie in Piemonte


PRESIDENTE

Vi è ancora un altro ordine del giorno firmato dai Consiglieri Bontempi, Villa, Vetrino, Viglione e Cerutti sull'istituzione di nuove sedi universitarie in Piemonte.
La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Mi astengo su questo ordine del giorno perché pur condividendone varie parti quale quella che riguarda il decentramento di alcune Facoltà dell'Università di Torino, non condivido l'istituzione di una seconda Università per i motivi già illustrati nel dibattito.



MARCHINI Sergio

Il Gruppo PLI esprime voto di astensione richiamando le argomentazioni già svolte nel dibattito generale.



PRESIDENTE

Non essendovi altre richieste di parola, pongo in votazione l'ordine del giorno. Ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale del Piemonte considerato che il Senato della Repubblica ha recentemente approvato all'unanimità in prima lettura un progetto di legge che istituisce otto nuove Università statali e statizza quindici Facoltà universitarie convenzionate e che tale provvedimento per la sua entità, lungi dall'apparire quale provvedimento di sanatoria di statizzazione di quanto si è sviluppato a partire dagli anni '60, è di fatto destinato a sostituire sia il piano biennale '81/'82 che il piano quadriennale '82/'86 previsti dall'art. 2, ultimo comma, del D.P.R.
11/7/1980, n. 382 considerato che tale progetto di legge non ha tenuto conto delle esigenze e delle speranze del Piemonte, unica tra le grandi Regioni con un solo Ateneo, e non apre quindi la possibilità, da tutti auspicata, di realizzare nella società piemontese gli strumenti qualificati che sono necessari per sorreggere lo sviluppo di nuove realtà tecniche, scientifiche, culturali in genere, vive nel poliedrico tessuto territoriale della Regione richiamati gli atti del Consiglio regionale, e in specie il parere espresso con l'ordine del giorno approvato nella seduta del 19/7/1974 e ripreso in data 16/6/1977 riconsiderate le indicazioni programmatorie in campo universitario previste nella proposta della Giunta per il piano regionale '76/'80, premessa di indilazionabili scelte per il piano di sviluppo '82/'85 la Commissione Pubblica Istruzione della Camera dei Deputati, in occasione dell'esame del testo approvato dal Senato, ad inserire l'istituzione di un'Università policentrica nel Piemonte orientale, nonch un decentramento nel Piemonte meridionale dell'Ateneo di Torino, affinch in tale strutturazione possano venire riconosciute, evidenziate ed incentivate le virtualità culturali e tecnologiche delle varie zone sollecita gli Enti locali, l'Università ed il Politecnico di Torino, le forze politiche, produttive e sindacali a considerare la questione universitaria essenziale per il futuro del Piemonte, fornendo conseguentemente agli organi centrali proposizioni e stimoli affinché il dibattito alla Camera abbia uno sbocco comprensivo delle esigenze di sviluppo della comunità piemontese, la quale richiede comunque una pluralità di centri universitari sollecita altresì il Governo ad intervenire tempestivamente per la sistemazione delle sedi edilizie dell'Ateneo torinese, secondo i programmi da tempo predisposti".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato con 40 voti favorevoli e 3 astensioni.


Argomento: Questioni internazionali

Ordine del giorno sulla situazione del Libano


PRESIDENTE

In merito all'ordine del giorno sulla situazione del Libano chiede di parlare il Consigliere Brizio. Ne ha facoltà.



BRIZIO Gian Paolo

Poiché non ci è stato possibile seguire con la dovuta attenzione la predisposizione dell'ordine del giorno unitario sul Libano ci troviamo nell'impossibilità di votarlo.
Chiediamo di poterlo esaminare con attenzione e di votarlo nella prossima seduta.



VETRINO Bianca

Propongo che l'ordine del giorno sul Libano, che è stato aggiornato rispetto a quello dell'8 giugno, venga posto in votazione all'inizio dei lavori della prossima riunione consiliare.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

La votazione di questo documento è significativa proprio se fatta oggi.
Di qui a otto giorni non so che senso abbia; possono succedere altri fatti che potrebbero cambiarne il senso.



MONTEFALCHESI Corrado

Come firmatario dell'ordine del giorno mi riconosco nelle affermazioni del Presidente della Giunta e chiedo che venga messo in votazione.



CERCHIO Giuseppe

Il nostro Gruppo è contrario ad ogni azione di aggressione e quindi condanna Israele per questa vicenda, però con una serie di motivazioni in ordine all'OLP che è sì un'organizzazione politica, ma è anche un'efficiente forza militare, un braccio militare forte che svolge azioni di terrorismo e ha interessi anche antitetici agli obiettivi del popolo palestinese. Abbiamo rilevato che al termine della seduta del Consiglio regionale non si potesse trovare quell'auspicata unitarietà di giudizio a meno che l'ordine del giorno non esca in modo generico e ininfluente.
Il dibattito si è svolto, non si sono realizzate le condizioni per trovare l'unitarietà, per l'impossibilità di confrontare le tesi.
Ci pare che la proposta della collega Vetrino di rinviare al prossimo Consiglio la votazione salvi il dibattito.
Se, invece, si vuole procedere ora, noi dichiariamo che non ci riconosciamo in tutti i punti dell'ordine del giorno.



BORANDO Carlo

Poiché 91 Deputati democristiani chiedono il riconoscimento dell'OLP e più di 150 non hanno sottoscritto questa richiesta, ho il diritto di sapere perché i 91 hanno aderito e gli altri 150 non hanno aderito per capire se devo essere schierato con i 91 o con gli altri.
Personalmente non sono per il riconoscimento dell'OLP, quindi non voto quell'ordine del giorno.



BRIZIO Gian Paolo

Sono stati presentati due ordini del giorno. Il nostro Gruppo chiede la votazione di tutti e due.
Per quel che riguarda l'ordine del giorno presentato per ultimo, siamo disponibili a votarlo se viene depennato il passo finale che si riferisce al riconoscimento della "rappresentatività legittima". Accettiamo la rappresentatività politica, ma non la rappresentatività legittima che significa riconoscere uno Stato che non ha un territorio. Se l'ultimo ordine del giorno presentato verrà votato per punti ritireremo il nostro.



CERCHIO Giuseppe

Ribadisco l'astensione del Gruppo D.C., sulla seguente parte dell'ordine del giorno: "riconoscendo la rappresentatività legittima dell'OLP, quale momento indispensabile per giungere ad un effettivo negoziato che consenta di far cessare l'asprezza dello scontro fra palestinesi e israeliani e porti la pace in quest'area tormentata del mondo", rilevando come nella Carta dell'OLP è chiaramente detto che non esiste un'ipotesi di "Stato d'Israele". C'é una contraddizione che si dovrebbe risolvere.
Per queste motivazioni, ci asteniamo.



PRESIDENTE

I due ordini del giorno presentati in precedenza dal Consigliere Brizio e dai Consiglieri Montefalchesi e Revelli si intendono ritirati dai proponenti. Pongo quindi in votazione l'ordine del giorno nel testo unitario concordato. Ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale del Piemonte di fronte all'invasione da parte delle truppe israeliane del Libano e al protrarsi del conflitto che rischia di portare allo sterminio e alla dispersione del popolo palestinese esprime profonda preoccupazione per l'acuirsi della tensione nell'area medio orientale e per la ripresa della guerra fra Iran e Iraq rifiuta il ricorso alla guerra di fronte a vertenze internazionali per la cui soluzione unica via accettabile, in una comunità internazionale rispettosa dei diritti umani, non può che essere quella del negoziato richiede che il Governo italiano si impegni con fermezza e tempestività per un'iniziativa europea di pace rivolta ad impedire che il dramma libanese abbia una tragica conclusione ed affinché venga garantito il diritto inalienabile del popolo palestinese ad avere uno Stato sovrano nella sicurezza e nell'integrità territoriale di tutti gli Stati della Regione richiede che si concretizzi da parte dei Governi mondiali e di quello italiano un atto di solidarietà nei confronti di un popolo che rischia lo sterminio riconoscendo la rappresentatività legittima dell'OLP, quale momento indispensabile per giungere ad un effettivo negoziato che consenta di far cessare l'asprezza dello scontro fra palestinesi e israeliani e porti la pace in quest'area tormentata del mondo".
Chi è favorevole ai primi due paragrafi è pregato di alzare la mano.
E' approvato all'unanimità dei 43 Consiglieri presenti in aula.
Chi è favorevole all'ultimo paragrafo è pregato di alzare la mano.
E' approvato con 26 voti favorevoli e 18 astensioni.
Comunico, infine, ai presenti che il Consiglio è convocato per i giorni 22 luglio alle ore 9,30 e 15 e 23 luglio alle ore 9,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,20)



< torna indietro