Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.320 del 04/03/03 - Legislatura n. VII - Sedute dal 16 aprile 2000 al 2 aprile 2005

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE COTA



(Alle ore 14.16 il Presidente Cota comunica che la seduta avrà inizio alle ore 15.15)



(La seduta ha inizio alle ore 15.16)



PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Angeleri, Brigandì, D'Ambrosio Ghigo, Godio, Pedrale, Pichetto Fratin, Pozzo, Rossi Giacomo e Rossi Oreste.


Argomento: Norme finanziarie, tributarie e di contabilita

b) Modifiche di coordinamento ex articolo 83 del Regolamento interno del Consiglio regionale alla deliberazione legislativa (ex disegno di legge n. 465 "Legge finanziaria per l'anno 2003") approvata nella seduta consiliare del 27 febbraio 2003


PRESIDENTE

Comunico che l'Ufficio di Presidenza, nella seduta del 4 marzo, ha approvato, con riferimento a questo provvedimento ai sensi dell'articolo 83, comma IV, Regolamento interno del Consiglio regionali, le seguenti correzioni formali di coordinamento per le considerazioni di quella allegata nota predisposta dagli Uffici e di cui si da lettura.
L'approvazione di numerosi emendamenti e di 14 articoli aggiuntivi rispetto ai 16 del disegno di legge sottoposto all'esame dell'assemblea pone il problema del mero riordino normativo dell'intero articolato per garantire una corretta sistematicità ed omogeneità di materia, in aderenza peraltro, alle regole di tecnica legislativa formalmente adottate dal Consiglio regionale.
Inoltre l'articolo 11, Piano finanziario indicativo del Piano di sviluppo rurale 2000-2006 inserito con emendamento aggiuntivo, deve essere riformulato con la dichiarazione di modificazione esplicita e non implicita della tabella A approvata dalla legge regionale n. 55 del 2000.


Argomento: Questioni internazionali

Proseguimento dibattito su questione Iraq e esame ordini del giorno collegati


PRESIDENTE

Riprendiamo il dibattito generale sulla "questione Iraq" e esame ordini del giorno collegati al punto 3) dell'o.d.g.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Valvo; ne ha facoltà.



VALVO Cesare

Vorrei prendere spunto dai fatti che stanno accadendo nel nostro Paese in questi giorni per dire ad una certa sinistra che invece di bloccare i treni, farebbe bene a spiegare le terrificanti accuse contro il Presidente iracheno Saddam Hussein lanciate dall'Associazione Nessuno tocchi Caino.
"Conoscevo la donna, aveva i capelli biondi ma era stata rasata a zero.
Dopo l'esecuzione la sua testa è rimasta attaccata al suo corpo attraverso una sottile striscia di pelle. Quando l'hanno sollevata la testa si è staccata dal corpo: l'hanno presa e buttata nel bidone della spazzatura".
E' la testimonianza di Rasha Juma, una giovane irachena che ha assistito alla barbara uccisione di Umm Liq'a madre di tre figli e moglie di un attivista sciita in carcere. Questo è solo un esempio di quello che accade a Bagdhad, mentre i guru del pacifismo del nostro Paese si "stracciano" le vesti contro l'imperialismo anglo-americano e l'interventismo del Governo Berlusconi. Esecuzioni sommarie per i dissidenti, torture quotidiane per i detenuti, mutilazioni e stupri: tutto per l'onore di Saddam Hussein. E' l'agghiacciante quadro che emerge dal dossier: "La pena di morte, e non solo, sotto Saddam Hussein" presentato a febbraio 2003 dall'Associazione Nessuno tocchi Caino come anticipazione del rapporto annuale sulla pena di morte.
Sarebbero almeno 214 le esecuzioni registrate solo nel 2002 e 4000 le persone giustiziate dal 1998 al 2001. Il solo criticare Saddam Hussein costituisce reato. Dall'inizio della sua Presidenza sono almeno 200 mila i desaparecidos: persone arrestate di cui si è persa la traccia. Migliaia sono stati giustiziati e sepolti in luoghi segreti. Si ritiene che Saddam abbia fatto uccidere centinaia di capi militari dopo che le sue spie infiltrate nei loro ranghi avevano riferito di segni di infedeltà. Alle famiglie di 18 oppositori giustiziati a luglio è stato chiesto di pagare 75 mila dinari destinati a coloro che avevano effettuato le esecuzioni.
La pena di morte non è tutto, l'elenco degli orrori del raiss di Bagdhad è ancora lungo. Dai reparti della milizia ai Commandos, vengono eseguite quotidianamente operazioni chirurgiche di una crudeltà disumana: la marchiatura sulla fronte, l'amputazione di orecchie, mani e lingua prescritte dalla legge oppure effettuate arbitrariamente.
E' praticamente impossibile resistere ai tribunali speciali amministrati dai vari servizi di sicurezza: le loro decisioni sono inappellabili.
Una dittatura sanguinaria di cui distratti pacifisti della sinistra italiana, i solerti disobbedienti di Casarini e Agnoletto (ricordate, sono proprio quelli della devastazione di Genova) non si sono ancora accorti.
Neanche un timido sit-in di protesta, neanche un corteo di solidarietà per le donne e gli uomini rinchiusi nelle carceri di Bagdhad. I No Global bloccano i treni di mezza Italia, creando scontri con gli agenti, per la pace, naturalmente, e con la benedizione di giudici amici disposti a chiudere un occhio quando le intemperanze vengono dai bravi ragazzi di Rifondazione Comunista dei centri sociali, dando l'ennesima dimostrazione di un comportamento strumentale, ideologizzato e irresponsabile.
Il Governo italiano sta lavorando di concerto con paesi europei e di stretto concerto con gli alleati americani per trovare, all'interno della cornice dell'ONU, la soluzione ottimale alla crisi che sarebbe quella di ottenere il disarmo completo di Saddam Hussein. Proprio la grave situazione umanitaria irachena rafforza la mia, la nostra convinzione che guerra o non guerra l'obiettivo da raggiungere è il disarmo di Saddam Hussein.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Cattaneo; ne ha facoltà.



CATTANEO Valerio

L'Iraq da sempre dichiara di avere distrutto le armi dopo la Guerra del Golfo, ma ora il regime si dice pronto a consegnare una lista di materiali chimici. La saga è finita, Presidente: dalle verifiche sulle armi, alla distruzione di massa irachena, sembra essere diventata una questione di opinione.
Hans Blix, capo degli ispettori ONU, afferma che l'Iraq, finalmente collabora alle ispezioni dopo che Saddam ha cominciato a distruggere i missili e si è ricordato di segnalare la distruzione di numerose munizioni chimiche e biologiche che mancano da anni all'appello promettendo di consegnare, entro la settimana prossima, un nuovo rapporto sulle scorte di antrace e gas nervini che fino a poco più di 48 ore fa negava di possedere.
Non c'é alcun dubbio che Saddam abbia mentito su tutti i fronti riguardo i propri programmi di riarmo e continui a nascondere armi di distruzione di massa e missili in quantità elevata.
Quando gli ispettori ANSCOM vennero cacciati nel 1998 dall'Iraq denunciarono di non aver rinvenuto traccia di oltre 360 tonnellate di armi chimiche, inclusa almeno 1 tonnellata e mezzo di micidiale nervino Vx nessuna traccia di 3 mila tonnellate di percussori chimici - 300 dei quali idonei solo a produrre Vx sostanza che Saddam ha sempre negato di possedere. L'Iraq ha sempre dichiarato di avere distrutto i propri arsenali chimici a luglio 1991.
Un esempio di queste ultime ore: i dati raccolti provano che l'Iraq ha prodotto oltre 8500 litri di antrace che Saddam ha dichiarato, anche questa volta, di aver distrutto dopo la Guerra del Golfo.
Questo per ristabilire il quadro della situazione e riconoscere agli Stati Uniti d'America che se non ci fossero stati i preparativi di una guerra - che non vogliamo, ma che all'interno di una nuova risoluzione ONU non ci sentiamo di escludere quale ultima ratio - se non ci fosse stata questa pressione internazionale, dobbiamo riconoscere che né gli ispettori ONU sarebbero potuti rientrare in Iraq dopo la cacciata del 1998 e nemmeno saremmo arrivati ad una situazione che vede il dittatore iracheno Saddam fino all'altro ieri vittima, riconoscere il possesso di armi devastanti ed iniziare un percorso di distruzione degli armamenti che diceva di non aver mai posseduto. Certo che la comunità internazionale deve fare ogni sforzo possibile ed impossibile, per evitare il conflitto. Noi siamo per la pace anche se non ostentiamo bandiere o simboli di parte.
La pace è un patrimonio di tutti, di tutta l'umanità e non solo di chi sbagliando, nel nostro Paese ne vuole essere l'unico depositario. Ma attenzione, non bisogna mai, nel nome di un pacifismo ideologico escludere responsabilità internazionali e doveri che anche il nostro Paese deve rispettare. Ecco perché l'ordine del giorno da noi approvato all'unanimità nello scorso Consiglio regionale - approvato anche con il voto determinante delle opposizioni - non esclude un'azione militare quale ultima ratio: essa è inevitabile, qualora avvenisse all'interno di una nuova risoluzione ONU.
Sul piano diplomatico il premier francese ha ribadito il proprio no ad una risoluzione che autorizzi l'uso della forza. Il Presidente Chirac invita Baghdad a cooperare più attivamente con l'ONU, ed a ruota è seguito da Schroeder, Presidente della Germania.
I sei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno discusso la proposta di fare avallare alla Lega Araba l'ipotesi di esilio di Saddam.
L'Egitto si è chiamato fuori, ma gli Emirati Arabi sono intenzionati a portarla avanti. Questa potrebbe essere una soluzione che contribuirebbe ad evitare il conflitto. Tale soluzione - peraltro è già stata richiamata da molti colleghi stamattina - è contenuta in un appello "L'Iraq libero" che gli amici del Partito Radicale hanno proposto e che è stato sottoscritto da molti colleghi della Casa delle Libertà e da me personalmente.
Aderendo all'appello dei Sindaci, sulla cui base è stata convocata la manifestazione di venerdì 28 febbraio a Torino, mercoledì 26 febbraio all'unanimità il Consiglio regionale approvava un ordine del giorno di partecipazione alla fiaccolata della pace. La Regione ha partecipato a questa manifestazione con il proprio gonfalone ed è stata rappresentata dal Presidente della Giunta regionale. Davanti a poco meno di 10 mila persone, un noto esponente della sinistra torinese, la Presidente della Provincia di Torino, signora Mercedes Bresso, con il proprio intervento ha voluto, a nostro parere sbagliando e contraddicendo lo spirito della manifestazione, politicizzare e dare una colorazione politica alla manifestazione, creando una tensione e una condizione ideale per una contestazione da parte di facinorosi - certamente non pacifisti n tolleranti - che ha visto il Presidente della Giunta regionale, Enzo Ghigo fischiato e coperto d'insulti solamente per essere espressione della stessa parte politica del Presidente del Consiglio dei Ministri e della compagine governativa.
Questi atteggiamenti sono stati vergognosi, come vergognoso è stato il passaggio del discorso della signora Bresso, dove accostava e richiamava alcune analogie di comportamento in politica estera dell'attuale Governo nazionale a quello fascista. Sgarbo istituzionale e grave comportamento per chi appartiene ad una parte politica che, con presunzione e non senza intolleranza, vuole sempre dare lezioni di democrazia e si ritiene, in una Regione monopolistica, unica depositaria della pace, quasi che chi non appartenente a quella parte politica voglia la guerra.
Il Governo nazionale ha lavorato e lavora con impegno del Presidente Berlusconi in prima persona e di tutta la compagine governativa. Lavora per la pace con determinazione e con assoluta coerenza; vuole puntare al disarmo del regime iracheno in tempi stretti e con mezzi pacifici sostenere la dissuasione politico-militare che ha già riportato in Iraq gli ispettori dell'ONU; salvaguardare la credibilità dell'ONU dopo 12 anni di sfide da parte del dittatore iracheno alla legalità internazionale mantenere saldamente unita la coalizione mondiale contro il terrorismo che si è formata intorno agli USA dopo i fatti dell'11 settembre, mantenendo saldamente unita l'Europa, restituendo all'Unione Europea una sola voce e un peso effettivo sulla scena internazionale.
Il Governo Berlusconi sta lavorando seriamente per trovare ascolto intorno a queste cinque linee guida della sua politica estera; una politica estera ben diversa da quella del fascismo.
Il Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha apprezzato questo sforzo del Governo nazionale e riconosciuto la bontà dell'azione di questo Governo. Ecco perché noi sugli ordini del giorno prenderemo una posizione contraria, ad eccezione fatta di quello presentato dal Gruppo Radicale, che abbiamo ampiamente sottoscritto, e di quello presentato dalla maggioranza che richiama la politica del Governo nazionale e che si richiama al documento politico dell'Unione Europea dei 15 Paesi membri facenti parte dell'Unione stessa.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Presidente e colleghi, nel summit di Johannesburg tenutosi in settembre, Kofi Annan, in uno degli interventi che svolse nella sede del Nasrek - che era la sede dove si svolgevano le riunioni e le assemblee di organizzazioni non governative e di movimenti che si oppongono alla globalizzazione - mentre segnalava i ritardi enormi che erano intercorsi nei 10 anni a Rio de Janeiro nell'applicazione delle decisioni prese a Rio che erano decisioni che si proponevamo modelli di sviluppo diversi da quello fino ad allora seguiti, modelli di sviluppo che permettessero un rapporto più equilibrato tra l'ambiente e lo sviluppo economico e un rapporto più equilibrato tra le classi sociali e tra gli Stati di questo mondo - fece appello, dalla tribuna, a tutti quei giovani che si erano recati a lavorare in quel summit, chiedendo di fare sentire la loro voce.
Kofi Annan disse: "Siamo riusciti a combinare ben poco". Le sue parole erano determinate non solo dagli scarsi risultati raggiunti dal dopo Rio, ma anche dall'atteggiamento che gli USA tennero in occasione del summit di Johannesburg sui problemi e sugli obiettivi del summit stesso dichiarando quasi esplicitamente di volere fare fallire la possibilità di fare molti passi avanti rispetto a Rio, ed anzi di operare affinché al di là di Rio non si andasse - al massimo si rimanesse fermi là.
Comunque hanno operato per ridurre gli obiettivi del summit di Johannesburg a poche dichiarazioni di principio. Già allora era ripresa la vicenda che oggi sta conducendo gli USA ad una guerra di aggressione all'Iraq. Noi dobbiamo ricordare questo rapporto che Kofi Annan ha richiesto ai giovani, e di fronte a questa iniziativa che non so come altrimenti qualificare, se non imperialista, da quell'appello di Kofi Annan si è giunti in questo mondo a una giornata nella quale parecchie persone 110 milioni, quindi una bella fetta di mondo variegato, culturalmente diverso, rappresentativo di interessi materiali, anche molto diversi, si è schierato apertamente contro l'ipotesi che un intervento militare unilaterale di aggressione in quell'area geografica contro un Paese quale l'Iraq possa produrre qualcosa di buono in questo mondo.
Qualcosa di buono cosa vuol dire? Uno sviluppo economico che renda negli anni meno diseguali le condizioni di vita delle popolazioni? Uno sviluppo economico che tenga presente che questo ambiente si consuma e che è bene indurre degli sviluppi economici che lo consumino il meno possibile individuando leve di sviluppo riproducibili di risorse. Uno sviluppo che tagli una volta per tutte le basi a ogni possibile situazione di disperazione, sulle quali il terrorismo può alimentare e trarre le proprie forze. La situazione in cui in un'area così delicata, entro la quale noi viviamo, non può che peggiorare portando alle estreme conseguenze ogni conflitto e non può che derivarne un peggioramento.
Il libro di Fernand Braudel intitolato: "Civiltà e imperi del Mediterraneo all'epoca di Filippo II", che ritengo quasi doveroso aver letto visto il luogo in cui viviamo e che forse ci toccherà ancora citare prossimamente, descriveva questi nostri luoghi come i luoghi di un lago interno: "Il Mar Mediterraneo è un lago interno in cui tutto si è mescolato da sempre".
L'Iraq non si affaccia sul Mar Mediterraneo, ma diciamo che è nei dintorni di questo grande lago su sui si affacciano civiltà, culture ed economie molto differenti. Siamo tutti insieme e fare una guerra di aggressione all'Iraq significa fare una guerra in casa nostra, portata dagli Stati Uniti d'America.
Dire questo non significa essere antiamericani. Per chi ha potuto conoscere, anche parzialmente, gli Stati Uniti d'America sa che esistono gruppi sociali e ceti di primissimo ordine anche per persone che militano a sinistra. E' un Paese ricco di molte cose, però, oggi, è governato da un gruppo di interessi legati alle attività militari e da un gruppo di ideologi che intendono - lo ha anche detto il Presidente Bush - far vedere che ora l'uso della forza da parte degli Stati Uniti d'America è il metodo o può diventare il metodo di governo di questo mondo. Nessuno crede più che questa guerra preventiva sia ambasciatrice di democrazia. Ricordo la grande coerenza che la Chiesa Cattolica ha tenuto in questa circostanza facendo intervenire il Ministro degli esteri dello Stato del Vaticano in un senso assolutamente coerente e rispettoso del diritto internazionale. Il Ministro ha detto che non c'è dittatore che tenga, il diritto internazionale non consente ad alcuno di dichiarare guerra al altri Paesi unilaterali per rimuovere regimi o dittature che si ritengono colpevoli di cattive, pessime o tragiche gestioni delle loro popolazioni.
Saddam Hussein è senz'altro un dittatore, un dittatore sanguinario, ne sappiamo qualcosa noi comunisti, visto che le galere di Saddam Hussein sono piene per più della metà di dissidenti comunisti. Lo sappiamo bene noi perché, oltre ad aver sterminato con il gas le popolazioni curde, Saddam Hussein ha anche impiccato centinaia e centinaia di comunisti, una parte dei quali, riuniti in un partito all'esilio, non vivono neppure in quel Paese, ma che, ad esempio, in occasione di una guerra di aggressione di questo tipo, non esiterebbero a ritornare in quel Paese per dimostrare che Saddam Hussein va cacciato in base ad una resistenza e ad un voto democratico interno, e non va rimosso con le armi e con le bombe sulla popolazione da un Paese straniero.
Quindi, l'avversione al dittatore da parte dei comunisti non va neppure illustrata. Il fatto è che siamo di fronte a una potenza che torna ad affermare con la forza la volontà di dominare il mondo, di considerare il mondo un impero sul quale, se qualcosa non va o viene interpretato come atto contrario agli interessi, deve essere represso con la forza.
L'ONU sino a qui si è comportata molto bene, sia con gli ispettori sia con il Segretario generale; l'ONU ha difeso il proprio ruolo di indipendenza e di organizzazione che cerca di risolvere i conflitti per via pacifica. Spero che l'ONU resista e che prosegua tenendo questa posizione che è esemplare. Spero che non ceda alle pressioni che sino a qui abbiamo visto svilupparsi potenti e con forza essere respinte. Se l'ONU cedesse sarebbe un errore; sbaglierebbe l'ONU se cedesse a queste pressioni e spero che questo non accada. Penso che tutti i movimenti che si stanno sviluppando chiedano all'ONU di uscire da questa vicenda più forte di prima, più forte di come è diventata, perché, solo resistendo alle pressioni sulla guerra, questa organizzazione potrà avere in futuro un ruolo più forte nella regolazione dei conflitti internazionali.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Giordano.



GIORDANO Costantino

Signor Presidente, signori colleghi, nonostante i dubbi, le numerose contrarietà e perplessità espresse anche da importanti alleati, il Governo degli Stati Uniti minaccia di attaccare e invadere l'Iraq, anche in assenza di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, costringendo il mondo intero ad affrontare una nuova durissima crisi.
La determinazione dell'Amministrazione Bush a proseguire sulla via della guerra, nonostante il successo diplomatico delle Nazioni Unite che ha spinto Saddam Hussein ad accettare il ritorno incondizionato degli ispettori, sta seminando inquietudine e insicurezza in tutto il mondo.
La guerra - e ancor di più la guerra preventiva - è categoricamente vietata dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale.
La guerra all'Iraq sarebbe solo il primo test della nuova dottrina di "guerra preventiva" che prevede azioni militari unilaterali contro tutti coloro, paesi e singoli, che sono sospettati di minacciare gli Stati Uniti ed i loro interessi.
Il fatto che l'Amministrazione Bush abbia deciso di abbandonare la dottrina della legittima difesa - prevista dal diritto internazionale - per adottare una strategia così destabilizzante infligge un colpo mortale al diritto, alla pace e alla sicurezza nel mondo.
In questo modo, chiunque potrebbe sentirsi autorizzato ad attaccare "preventivamente" un proprio nemico gettando il mondo nell'anarchia e nel caos.
Nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU potrà legittimare una guerra preventiva.
Inoltre, vorrei fare presente che fino ad ora né l'ONU né il Governo del nostro Paese hanno preso posizioni nette contro la guerra in Iraq mentre pare che l'unico che abbia avuto il coraggio di prendere una stabile posizione contro questa guerra sia Papa Wojtila.
Dobbiamo impedire con tutti i mezzi a nostra disposizione la guerra contro l'Iraq perché essa provocherà molti più problemi di quanti ne vuole risolvere, allontanerà ancora di più la possibilità di mettere fine al drammatico conflitto arabo-israeliano e di costruire una pace giusta e duratura in Medio Oriente (che è la vera priorità dell'ONU e dell'Europa) indebolirà i cosiddetti regimi arabi moderati bloccandone ogni possibile evoluzione democratica, accrescerà il risentimento contro gli americani ed i loro alleati, allargando il fossato che separa l'occidente e il mondo islamico ed esporrà tutti noi (ancor più chi vive in Italia ed in Europa) al rischio di violenze e sconsiderate azioni terroristiche.
Gli attentati dell'11 settembre 2001 hanno colpito ogni coscienza democratica provocando la condanna ferma, netta e unanime di tutte le donne e gli uomini amanti della pace.
Quei drammatici eventi hanno reso ancora più evidente al mondo intero quanto sia diventato urgente mettere un freno al disordine internazionale rafforzare e non demolire l'Organizzazione delle Nazioni Unite, rafforzare la cooperazione internazionale e non l'unilateralismo dei potenti promuovere e non ostacolare la nascita della Corte Penale Internazionale.
Bisogna ridurre e non aumentare l'ingiustizia economica e sociale planetaria, affrontare e non ignorare tutte le minacce globali (ambientali sociali, alimentari, ecc) che incombono sull'umanità e costruire un nuovo ordine mondiale democratico fondato sul rispetto della vita e sul ripudio della violenza, della guerra e del terrorismo.
Anche per questo si può affermare che il terrorismo (minaccia per la pace, la libertà e la democrazia) si deve combattere e si può sconfiggere.
Anche per questo possiamo affermare che il terrorismo si vince promuovendo non la guerra infinita, ma la globalizzazione della giustizia della democrazia e dei diritti umani.
Anche per questo noi dobbiamo dire con forza "no" ad una nuova guerra contro l'Iraq.
Il regime di Saddam Hussein - come tutti i sistemi dittatoriali- va contrastato dalle Nazioni Unite e dall'intera comunità internazionale con i numerosi strumenti del diritto, della legalità e della giustizia penale internazionale.
Saddam ha sterminato centinaia di migliaia di suoi connazionali centinaia di migliaia di iraniani, ha invaso il Kuwait, ha usato i gas per massacrare l'opposizione dei curdi ed ha sostenuto e sostiene - se non quelle di Al Qaeda - azioni di terrorismo.
Questi fatti richiamano anche un dovere per le opinioni pubbliche dei paesi democratici. Sarebbe indecente non dichiarare Saddam Hussein un nemico dell'umanità e della pace.
Ma qui sorge una decisiva domanda.
È appropriata a questa minaccia la risposta di una guerra, di un'invasione dell'Iraq? La mia risposta è "no".
Il dovere delle Nazioni Unite è quello di disarmare e di rendere inoffensiva la dittatura irachena.
Alla comunità internazionale si impone il dovere di rendere efficaci le ispezioni e dare sostanza ad una politica di contenimento, piuttosto che di attacco militare.
Il contenimento può essere più efficace, oltre che molto meno doloroso per il tributo di vite umane, meno dannoso e meno costoso di una guerra, di un'occupazione militare e civile e della successiva ricostruzione dell'Iraq.
Il disarmo dell'Iraq, Presidente, sarebbe il trionfo della Nazioni Unite e sarebbe anche un grande successo dell'America, le cui truppe, assieme a quelle inglesi, avrebbero contribuito, attraverso una pressione energica e non una guerra, a questo storico risultato.
Basta con le crociate ideologiche. Siamo realisti! In Medio Oriente ci sono già troppe tensioni e conflitti che attendono da lungo tempo di essere sanati.
Guerra vuol dire altre vittime innocenti, stragi, terrore, sangue sofferenza, angoscia, disperazione, disordine, violenza infinita.
Il Governo dovrebbe anche lavorare affinché venga accettato dalla comunità internazionale il principio che l'Organizzazione delle Nazioni Unite sia l'unico soggetto legittimato a gestire le controversie internazionali, nel rispetto della propria carta costitutiva e che in questo contesto possa legittimamente indicare le modalità e gli strumenti idonei a ottenere la ripresa delle ispezioni in territorio iracheno e il disarmo totale di eventuali armamenti di distruzione di massa.
Questa guerra è un pericolo anche per noi e per i nostri interessi, pone serie minacce alla nostra vita e al nostro futuro immediato.
L'Europa è un progetto di pace e non uno strumento di guerra. Se sarà unita riuscirà a impedire questa nuova tragedia.
I tempi sono difficili, ma non lasciamoci vincere dalla paura dall'impotenza o dalla rassegnazione.
Ribadiamo con fermezza "il principio fondamentale della Costituzione che ripudia la guerra quale strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" e si richiede al Governo italiano di far uso di tutti gli strumenti diplomatici e politici a disposizione per sanare la grave situazione ed al contempo di esercitare tutte le possibili pressioni affinché l'autorevolezza e la credibilità dell'Organizzazione delle Nazioni Unite siano rafforzate dal grado di unità e determinazione dimostrato nelle proprie scelte.
L'interesse strategico dell'Italia consiste nel dare legittimità morale e forza effettiva, in quanto risiede in una grande Europa, alleata ed amica degli Stati Uniti e dotata finalmente, a partire dalle sei nazioni fondatrici, di strumenti di difesa e di politica estera credibili, in cui noi italiani rappresentiamo una forza di dialogo, di sviluppo, di pace, nel Mediterraneo, nei Balcani, nel mondo arabo.
Consolidiamo e rilanciamo queste posizioni.
Riportiamo la pace al centro della politica.
Difendiamo insieme i diritti umani e la legalità internazionale.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Marengo; ne ha facoltà.



MARENGO Pierluigi

Mai, come in questa occasione, si sta ragionando su un sinallagma senza senso: pace e guerra. Un sinallagma che vede, da una parte, coloro che dicono: "Pace, pace, pace".
Pace è un termine relativo: tutti noi abbiamo la cultura della guerra tutti noi siamo convinti che in certe occasioni anche la guerra sia uno strumento necessario; tutti noi - di qualunque schieramento - abbiamo apprezzato sforzi bellici del passato e del passato recente; tutti noi abbiamo approvato sforzi bellici perché abbiamo ritenuto che la guerra fosse necessaria. Pace e guerra, quindi, è un termine sbagliato, è un confronto sbagliato. Non si tratta di un confronto pace e guerra.
L'altro confronto sbagliato è: USA.- IRAQ.
L'Iraq è cattivo (primo ho ascoltato la lettura di un pezzo drammatico su ciò che succede in Iraq) nessuno lo nega: Iraq sono i cattivi (sì, pu darsi, probabilmente sì), Saddam è un cattivo - ma quanti cattivi il mondo ha nella sua storia, anche recente, e nel suo presente? Sicuramente più di uno, più di Saddam - e gli USA sono i bravi, i buoni. Gli USA sono i militari buoni di cui tutti noi dobbiamo fidarci; quei militari che hanno ucciso venti persone che avevano un'unica colpa: essere in una funivia sul territorio italiano; quei piloti americani che l'America non ci ha consentito di processare e che ha assolto, nonostante il reato sia stato commesso in Italia. Questi sono i buoni. Un'altra idea che non torna è il concetto di buono, che non è assoluto e il concetto di cattivo, che non è assoluto. Stiamo assistendo ad una guerra ben più drammatica della guerra USA-Iraq, stiamo assistendo alla guerra USA-ONU. Noi abbiamo una organizzazione mondiale condivisa, di cui facciamo parte, di cui abbiamo sentito la necessità, tant'è che l'abbiamo costituita, un'associazione di Stati che deve in qualche modo intervenire, valutare, far proprie delle problematiche che sorgono sul territorio del globo; bene, questo ente, anzi l'ente, perché è il più grande ente che il nostro pianeta annovera, viene contestato e messo in discussione. Coloro che in questo ente cercano di portare il dibattito vengono accusati sistematicamente. La Francia ha ipotizzato l'uso del veto e l'America l'ha criminalizzata, la stessa America che più volte ha usato il veto all'ONU.
Gli Stati Uniti, che si sono autodichiarati e autoproclamati sentinelle del mondo, depositari del verbo, depositari del bene e del giusto, oggi mi spaventano, non solo con riferimento alla guerra contro l'Iraq, annunciata e proclamata, ma anche in spregio alle determinazioni eventuali dell'ONU: "Se l'ONU non dovesse decidere, noi attacchiamo lo stesso". Quello che mi fa paura è che i Paesi occidentali tentennano, non riescono a prendere una posizione chiara non contro la guerra, ma una posizione chiara in merito all'atteggiamento americano nei confronti dell'ONU.
Io non sono in grado di giudicare e credo nessuno di noi è in grado di giudicare se veramente l'Iraq possiede tutte quelle armi, perché la comunicazione, come sappiamo tutti, è deficitaria, magari è condivisa e aiutata da una parte piuttosto che dall'altra. Non posso fidarmi su una cosa del genere dei media, pertanto mi devo fidare dell'ONU. Mi devo fidare di quell'unico ente che ha gli strumenti veri e non delle tesi di laurea di otto anni prima scaricate da internet e spacciate come la prova definitiva.
Peccato che quel "studentello" la prova definitiva l'aveva avuta prima.
Nello stesso modo mi pare una cosa assurda credere al fatto che nell'epoca satellitare, in cui si riesce a vedere che occhiali porta una persona, non si è riusciti ad avvistare tre fantomatiche navi cariche di armamenti che navigavano gli oceani del mondo. Probabilmente c'erano sempre le nuvole che impedivano la visione.
Noi dobbiamo fidarci dell'unico organismo condiviso che è l'ONU. Non mi schiero contro la guerra. Se l'ONU riterrà che è necessario un intervento armato, io sarò favorevole a quell'intervento; viceversa, se l'ONU non accerterà e rileverà che i problemi sono da intervento armato, io sar contrario e condannerò ogni azione di attacco americano all'Iraq, che sarebbe, a questo punto, configurante come una guerra di aggressione perché senza l'autorizzazione dell'ONU la guerra può solo ed esclusivamente essere qualificata come di aggressione. Cosa possiamo fare? Sicuramente niente. Sicuramente né Bush né Saddam aspettano il termine di questa nostra giornata per prendere le loro decisioni.
Possiamo, però, innalzare una piccola voce che magari giungendo a Roma diventa un po' più forte, in modo da sostenere il Presidente del Consiglio che peraltro ha già espresso una posizione abbastanza chiara: non si va oltre e al di là della decisione dell'ONU. Il nostro Governo ha assunto una posizione chiara, ma occorre confortare e consolidare il nostro Presidente in questa scelta; tra l'altro è una scelta che ci colloca sull'asse europeo, perché l'Europa è in questa direzione. L'unico Paese che boicotta l'Europea e l'Unione Europea, tant'è che non ne ebbe ad assumere la moneta è l'Inghilterra. Per quanto riguarda la Spagna, il suo il Presidente ha preso una posizione, ma i sondaggi ci dicono che il 90% degli spagnoli è su questa posizione. Questa politica di sentinella del mondo che si è autoconsegnata l'America è condivisa dalla Bulgaria. L'asse Europeo è sicuramente volto in questa direzione, in particolare mi sento totalmente vicino alla posizione della Francia, che è il Paese che sento più vicino non solo politicamente, di cui noi piemontesi abbiamo cultura, un Paese di centrodestra che ha saputo tenere una posizione precisa, una posizione di legittimità che non è di finto pacifismo o di servilismo, ma una posizione seria.
Concludo, per sdrammatizzare, con una battuta: "Il Presidente Bush non farà mai fuori Saddam, altrimenti non lascia nulla per i propri figli".



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Palma.



PALMA Carmelo

Il mio intervento vale anche come illustrazione della mozione che abbiamo presentato, in parte rispondendo ad una serie di questioni e rilievi che sull'ipotesi prospettata dalla mozione, più in generale evidenziata nella nostra discussione hanno trovato spazio oggi in quest'Aula.
In primo luogo, andando al di fuori da toni e modalità classiche della polemica politica, penso che sia importante per noi situare questa crisi internazionale nello scenario che gli è proprio e che non è semplicemente più congeniale per noi per riuscire a classificarla, attaccarla o sostenerla a seconda dei nostri punti di vista.
Dobbiamo leggere coerentemente questa crisi internazionale come una conseguenza evidente e lampante dell'11 settembre e come una rivisitazione delle dottrine di sicurezza dello Stato americano ,in continuità con una serie di scelte che il governo americano, ancora prima dell'amministrazione Bush, seppe prendere alla fine degli anni '90 e che non trovarono un giudizio necessariamente conforme da parte delle cancellerie europee.
Non tutti voi ricorderete che, nel pieno del sex gate, del Monica gate Bill Clinton, con una mossa a sorpresa, provvide a bombardare con ingente quantitativo di bombe e di mezzi impiegati, una serie di centrali terroristiche situate in Afghanistan ed in Sudan. Nel 1998, dopo il rientro degli ispettori, di fatto licenziati dal regime di Bagdhad, le forze americane, con il supporto della Nato, intervennero con un ulteriore bombardamento sulle centrali militari in territorio Iracheno, in questo sostenute da tutte le cancellerie occidentali, anche da quella italiana allora sostenuta da un governo di centrosinistra.
La crisi internazionale si situa lungo il filo di continuità di una strategia di sicurezza americana che deve fare i conti con una mutata situazione internazionale e con il venir meno, i politologi ne hanno parlato, dell'equilibrio fondamentale dell'ordine mondiale fino all'inizio degli anni '90, costituito dalla logica dei blocchi e delle aree di influenza. In una certa misura, quindi, in una logica di governo delle tensioni internazionali che non solo non consentivano, ma, da un certo punto di vista, imponevano alle super potenze di non intervenire in scacchieri regionali.
La storia tremenda dei conflitti, prima degli anni '90, fatte salve alcune "grandi" guerre che noi continuiamo ad imputare agli americani, non hanno trovato nell'organizzazione delle Nazioni Unite, uno strumento di governo, semplicemente perché il governo assicurato alle Nazioni Unite, era quello della proliferazione dei conflitti regionali e del consolidamento della logica dei blocchi e delle aree di influenza.
Ora siamo in una situazione sostanzialmente diversa e siamo in una situazione, da un certo punto di vista, molto più promettente. Vi è una convergenza storica ed obiettiva fra le nuove strategie di sicurezza dell'occidente e l'esigenza di promuovere diritti umani. Stato di diritto e di democrazia in tutti i Paesi che fino a questo momento non l'hanno conosciuta e in tutti quei paesi in cui le dittature sono state storicamente sostenute nella logica di Yalta, per consolidale la logica di Yalta, e mantenere quel tipo di ordine internazionale che dopo Yalta si era costituito.
La scelta di mettere nel mirino Saddam Hussein non dipende ovviamente dalla contiguità ideologica del regime, che è un regime erede del nazionalismo arabo, sicuramente lontano dal fondamentalismo islamico, ma ha l'obiettivo di mettere nel mirino uno degli esempi di quello che i politologi chiamano statualizzazione delle centrali terroristiche che costituisce, per la prima volta, dopo la caduta della logica dei blocchi non un fattore di sicurezza e stabilità, ma un fattore di insicurezza e di instabilità per l'intero scenario internazionale.
Questa è la situazione che si è profondamente modificata, questa è la situazione che l'amministrazione americana prova a descrivere, ovviamente con parole americane, con una logica americana che a noi può apparire sostanzialmente sommaria, ma che risponde a fatti evidenti di natura storica e strategica.
Quando Condoleeza Rice dice: "vogliamo esportare la democrazia", non lo dice come se fosse Madre Teresa di Calcutta, ma come una persona che ha capito, e ha capito con qualche ritardo, in questa sicuramente ispirata anche da pezzi della vecchia amministrazione democratica, che non è più possibile, per gli Stati Uniti d'America, in particolare nell'area mediorentale, contare sull'equilibrio del terrore garantito dal terrore di questo o di quell'altro dittatore. Gli Stati Uniti devono necessariamente liberale e riconsegnare alla libertà e alla democrazia, i Paesi che vogliono essere alleati degli Stati Uniti che, in una qualche misura pretendono un ruolo internazionale in virtù di questa amicizia.
L'intervento in Iraq si spiega, anche nello scenario del mondo arabo, come uno sganciamento rispetto all'ipoteca saudita di un Paese che è stato il massimo alleato degli Stati Uniti. Dall'altra parte, la punta di lancia dell'attacco all'occidente e agli Stati Uniti, serve a riequilibrare una situazione in cui gli Stati Uniti si trovano obiettivamente stretti, avendo dovuto, come tutti sappiamo, nella guerra contro l'Afghanistan contare sull'alleanza strategica di un regime militare, quello di Musharraf in Pakistan, che aveva storicamente sostenuto le scuole teologiche talebane e aveva costituito, di fatto, l'ossatura politica e militare del regime afghano.
Questa è la situazione internazionale, questa è la convergenza obiettiva fra le ragioni della sicurezza e della democrazia.
Perché un intervento armato oggi è un intervento rischioso? Direi per nessuna delle ragioni che è stata esposta nell'aula nella discussione di questo nostro punto all'o.d.g. L'ONU, da questo punto di vista ed in questa logica, è la foglia di fico che la non politica, delle non politiche estere europee, continuano ad invocare dall'inizio degli anni '90. L'ONU è la non politica che ha costretto l'Europa, e le forze alleata, ad intervenire nella ex Jugoslavia proprio in virtù di un diritto di veto allora russo e cinese, che impediva un intervento militare sotto l'egida delle Nazioni Unite. L'ONU è l'organizzazione internazionale che ha consegnato, nei campi protetti di Tuzla, Biac, ecc, le popolazioni bosniache.
L'ONU è storicamente e politicamente questo; non è, di per sé - questo è l'elemento più significativo che voglio segnalare - garanzia di una politica estero internazionale di carattere multilaterale. L'ONU è stata da un certo punto di vista, la cabina di compensazione di tutti gli unilateralismi della politica internazionale del 900 e, rarissimamente, nel 1991, rispetto al conflitto in Kuwait, uno strumento di intervento nelle crisi internazionali.
L'ONU, di per sé, non è garanzia del multilateralismo, ed è talmente poco multilaterale che alcune forze politiche, alcuni governi, alcune correnti di opinioni che nel 1998 sostenevano - oggi contrarie alla guerra l'intervento nell'ex Jugoslavia, sostenevano che l'unione fra le forze alleate, l'unione europea nell'intervento prima in Bosnia e poi in Kosovo rappresentava il surrogato multilateralistico dell'unilateralismo garantito e sostanzialmente sanzionato dall'organizzazione delle Nazioni Unite.
Ciò non toglie che l'ONU, giuridicamente, continui ad avere compiti "istituzionali" nel governo delle crisi e delle controversie internazionali e che quindi l'ONU vada investita di una responsabilità perché la stessa esercitata e non perché non sia esercitata. L'ONU è tanto più importante quanto più l'ONU fa l'ONU. L'ONU è tanto meno importante, e diventa un alibi, per tutte le non politiche che si confrontano sullo scenario internazionale, se l'ONU è il luogo dello zero, zero costante delle decisioni del Consiglio di Sicurezza.
Perché proporre uno scenario convergente negli obiettivi, ma alternativo negli strumenti rispetto a quello, in questo momento prefigurato dalla strategia americana? Perché è un intervento avventato dagli esiti politici incerti, per una motivazione puramente politica, non ideale, non ideologica, non puramente identitaria e valoriale. L'intervento riassunto nei termini "Esilio per Saddam, transizione democratica dell'Iraq" non si situa al di fuori, ma all'interno del nuovo quadro delle politiche di sicurezza, e probabilmente consente di recuperare un quadro multirazziale più forte e più significativo all'intervento dei Paesi democratici, tenendo presente che, se l'alternativa non è tra pace e guerra, ma - anche per le politiche di sicurezza - fra democrazia e non democrazia, è necessario un interventismo democratico non obbligatoriamente armato, ma che abbia gli obiettivi della democrazia e non gli obiettivi dello status quo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Moriconi.



MORICONI Enrico

Grazie, Presidente. Noi oggi parliamo del problema della possibile guerra in Iraq. Devo dire che sempre chi vince le guerre, scrive poi la storia, e solo molto tempo dopo si conosce la verità. Noi oggi invece viviamo in una situazione strana, in quanto stiamo scrivendo la storia di una guerra già vinta, perché gli organi d'informazione ci raccontano di una realtà e di una visione che è maggiormente schierata dalla parte di coloro che credono di avere già vinto la guerra.
A me piace ricordare non solo le istituzioni, ma anche le persone. A Puerto Alegre, l'autrice indiana Aroundhati Roy ha scritto: "La globalizzazione liberista ha bisogno di una stampa che finga di essere libera, di tribunali che fingano di amministrare la giustizia. Nel frattempo i Paesi del nord sbarrano le loro frontiere e ammassano armi di distruzione di massa. Dopo tutto devono accertarsi che siano solo i soldi le merci, i brevetti e i servizi a essere globalizzati, non la libera circolazione degli individui, il rispetto dei diritti umani, i trattati internazionali sulle discriminazioni razziali, sulle armi chimiche e nucleari, sulle emissioni di gas serra, sui cambiamenti climatici o sulla giustizia. Questo e tutto questo è l'impero, questa oscena accumulazione di potere, questo divario enorme tra chi prende le decisioni e chi deve subirle. Nel movimento nessuno dubita che Saddam Hussein sia un dittatore spietato, un assassino, i cui peggiori eccessi furono approvati dai Governi degli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. Non c'è dubbio che gli iracheni starebbero molto meglio senza di lui, ma se è per questo, tutto il mondo starebbe meglio, molto meglio senza un certo Signor Bush. Allora dovremmo bombardare Bush per cacciarlo dalla Casa Bianca? E' più che evidente che Bush è deciso a muovere guerra all'Iraq, indipendentemente dai fatti e dall'opinione pubblica internazionale. Nella ricerca di alleati gli USA sono disposti anche ad inventarli, i fatti. La nuova guerra contro l'Iraq è già cominciata".
Personalmente condivido queste parole, perché in effetti viviamo un momento nel quale le fonti d'informazione hanno difficoltà a rappresentarci la realtà in maniera obiettiva. Le fonti di informazione ci raccontano di collegamenti tra il terrorismo e l'Iraq, ma non portano le prove. Si preoccupano per l'eventuale delegittimazione dell'ONU se non si fa la guerra, ma non si interrogano sulla delegittimazione di chi ammassa armi e soldati, prima ancora di qualsiasi decisione ufficiale.
Parlando dell'ONU, ricordo come sempre Kofi Annan, che a Johannesburg a una domanda specifica sulla democratizzazione dell'ONU, aveva ammesso come ci sia ancora parecchia strada da percorrere per riuscire a fare dell'ONU un organismo che sia meno subalterno al volere degli USA, che sono sicuramente la Nazione che più influisce ed incide sulle decisioni di quell'organismo.
Sempre parlando di istituzioni, credo che queste siano importanti e abbiano una loro legittimazione, ma credo che pure gli individui siano importanti, anche perché le istituzioni sono composte da individui e anche perché certe istituzioni, talvolta, possono scatenare delle guerre sanguinose. Di conseguenza, non è che dobbiamo accettare ogni decisione delle istituzioni come se fosse la verità rivelata.
Quindi, delegittima chi chiede la pace e non chi decide una guerra per il petrolio. Il Governo degli USA non esita a rinnegare se stesso e le proprie affermazioni. Adesso la guerra si fa non per disarmare, ma per cambiare il potere a Baghdad. Si invoca il rispetto delle risoluzioni dell'ONU sull'Iraq, ma si dimenticano tutte quelle su Israele, sempre ignorate e rispedite al mittente. Si presentano come terribili le armi obsolete dell'Iraq - peraltro vendute da noi occidentali - e si ignorano altri arsenali stracolmi di armi modernissime. Si cerca l'antrace in Iraq ma dimentichiamo la vicenda vissuta dell'antrace che circolava negli USA ed era prodotto lì e lì fatto circolare.
Chi prova a chiedere la pace è accusato di antiamericanismo, ma nei 3 milioni di persone che hanno manifestato per la pace non c'era nessun sentimento antiamericano - senza contare che molte migliaia erano statunitensi stessi. Quelle manifestazioni erano invece una critica aperta alle lobby guerrafondaie che governano quel Paese.
A livello della Regione Piemonte non possiamo certo intervenire nelle politiche internazionali, ma possiamo assumere delle decisioni significative. Ad esempio, possiamo portare aiuto e sostegno al popolo iracheno, che è provato da ben 12 anni di embargo; e dobbiamo ricordare che, fin dall'800, l'embargo è considerato un atto di guerra adottato unilateralmente dagli occidentali contro l'Iraq.
Possiamo anche adottare la decisione di mandare una delegazione di pace a Baghdad. Questo lo possiamo fare. Certo, il Consiglio regionale del Piemonte dovrebbe dimostrare una sua autonomia e non seguire gli indirizzi del Presidente del Consiglio nazionale che, da buon Pinocchio qual è, si è fatto cogliere in fragrante menzogna dai giornali europei, che hanno facilmente verificato come mentre dice di lavorare per la pace in Italia va in Europa a sponsorizzare la guerra di Bush. Forse cerca di imitare il premier Tony Blair, definito da qualche deputato laburista il "barboncino di Bush", cercando di formare una coppia irripetibile di servitore al guinzaglio.
Più che all'antiamericanismo bisognerebbe collegare le richieste di pace alle parole forti del Papa e del Ministro degli Esteri della Santa Sede, nelle quali si ricordava che "nessun diritto internazionale giustifica un intervento armato, anche per cambiare regimi non democratici". Dal punto di vista diplomatico possiamo ricordare che il pacifismo non è imbelle, in quanto, come hanno dimostrato alcuni Paesi (Francia e Germania in prima fila), una forte iniziativa diplomatica pu portare risultati utili e significativi.
Invece quanti preparano la guerra accampano ogni volta scuse nuove e quanti li sostengono senza pensare - anche nel nostro Consiglio e nel Parlamento italiano - devono ricordare che il Presidente Bush ha già indicato una lista dei prossimi obiettivi. Li posso ricordare: Siria, Iran Cuba, Corea del Nord e Cina. Quanti politici nostrani sono d'accordo su questa lista? Gli italiani sono contro la guerra, anche perché non dobbiamo dimenticare che tra gli altri problemi che questa guerra si porterà dietro ci sarà il problema della popolazione curda, che, in caso di un'eventuale guerra, sarà sottoposta ad una ecatombe schiacciata com'è tra la Turchia e l'Iraq.
Voglio ricordare a questo proposito che il Consiglio regionale aveva preso posizione votando un ordine del giorno per la libertà di Leila Zama detenuta nelle carceri turche solo perché aveva osato parlare in curdo nel Parlamento della sua nazione.
Bene, gli italiani sono contro la guerra, lo abbiamo dimostrato manifestando a centinaia di migliaia, ma il Governo nazionale, di solito così attento ai sondaggi di opinione, invece di ascoltarli, preferisce prendere ordini dal padrone Bush. Così svendiamo la sovranità del nostro territorio, sul quale vanno e vengono aerei da guerra degli Stati Uniti passano le armi e i mezzi diretti alle basi USA, in misura tale che, come ha detto una anonima cittadina in televisione, "ci sarebbe da vergognarsi".
Credo che, per non doverci vergognare, almeno in Piemonte, dovremmo assumere posizioni inequivocabili e decisioni in favore della pace.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Galasso.



GALASSO Ennio Lucio

Signor Presidente, si può subito fare un'affermazione ovvia: tutti siamo contro la guerra o le guerre, ma il problema è se la pace la si pu sempre garantire con la sola pace. Qui ci avviamo su quella strada della ragionevolezza che nulla lascia di intentato e che vede il Governo italiano, pur in una posizione diversa rispetto a Francia e Germania distinguersi anche da Spagna e Gran Bretagna, per dare un contributo costruttivo, che è evidentemente di sostegno nei confronti degli Stati Uniti, ma è anche di invito alla riflessione e alla ragionevolezza, quindi all'uso estremo di tutti gli strumenti affinché si possa evitare la guerra.
Ciò detto, si deve evidenziare il ruolo sicuramente pernicioso che, non solo all'interno del proprio Stato, svolge il dittatore Saddam Hussein anche quale motivo di destabilizzazione della Regione, e non solo di quella Regione.
Il nostro ordine del giorno, sintetico ma incisivo anche alla luce di tutto il dibattito sinora svolto, costituisce un momento di richiamo al ruolo dell'Europa, che si pone lontano dalle utopie che vogliono vedere e auspicare un ruolo dell'ONU che non c'è.
Questo è il dato rilevante e concordo con chi mi ha preceduto, quale il Presidente Palma, che, in definitiva, ha colto tre momenti che ritengo significativi. Nel momento in cui si rivendica il ruolo dell'Europa, non si possono non tener presenti le debolezze dell'ONU, che sono antiche e che qui, ora, non richiamo perché questo punto è stato svolto lucidamente dal collega Palma. Non si può non tenere conto dell'eredità e degli effetti innovativi che ha comportato il superamento di tale logica. Di fronte a quanto si sta verificando, dobbiamo anche fare giustizia di quella che, con un'espressione efficace, dovremmo chiamare la legittimità dei bombardamenti della cosiddetta terza via.
Questo è il punto ed è questo il dato più preoccupante della polemica politica che si svolge in Italia: si riduce sempre tutto su un piano di polemica partitica e faziosa, senza tener conto del ruolo che svolge il Governo e, al di là del colore del Governo, del ruolo che l'Italia pu svolgere come soggetto europeo nell'Europea e con l'Europa.
Non è certamente un ruolo significativo quello che viene svolto da Francia e Germania, e non stiamo qui ad indagare, come ha fatto qualcuno per gli Stati Uniti, ma viene omesso di fare per quanto riguarda gli interessi che possono muovere certe scelte di politica internazionale.
Dobbiamo subito fare giustizia di un altro elemento e di un altro equivoco: non si può valutare né ora né mai la scelta, in tema di politica internazionale, muovendo sempre da presupposti ideologici e di partito. Vi è una smentita continua nel Novecento, ma anche ai giorni nostri. Questa smentita diventa ancora più radicale quando affrontiamo un tema vitale quale la pace.
Arrivando alla strada della ragionevolezza ci dobbiamo chiedere se è stata percorsa: si o no? Sicuramente, sì. Perché questo? Rileviamo che solo la tenacia di certe posizioni, imponendo a Saddam un chiarimento e consentendo agli ispettori gli accertamenti, ha permesso la distruzione di parte dell'armamentario, la cui presenza veniva negata fino ad un attimo prima.
Il pacifismo a buon mercato giova o non giova alle ragioni della pace? Riteniamo che il pacifismo a buon mercato non giovi alle ragioni della pace. Certe posizioni hanno finito per rendere più disinvolto Saddam, con le sue acrobazie diplomatiche, nel tenace occultamento delle armi agli ispettori.
Questo è il problema: non vi è una pregiudiziale di guerra pregiudiziale era accertare ed eliminare le condizioni che potevano agevolare la guerra o, comunque, che potevano favorire il terrorismo internazionale.
Se le iniziative cosiddette pacifiche hanno finito per dare forza e far guadagnare tempo a Saddam, mentre la tenacia e la minaccia della guerra hanno costretto Saddam ad offrire almeno alcuni chiarimenti e hanno portato anche alla distruzione di alcune armi, mi pare che il conto non possa che rivelarsi positivo per coloro che volevamo - e vogliono - perseguire la strada di pace, magari anche a rischio di una guerra se si rende necessaria, non come funzione meramente preventiva (dando una valenza negativa a questa definizione) ma come esigenza per scongiurare una conflittualità e una destabilizzazione che rischia di essere permanente o comunque duratura, da determinare maggiori lutti e maggiori conseguenze anche sulle condizioni di quei popoli disastrati. I loro problemi non si risolvono con la retorica del buonismo, perché proprio la situazione determinata dal terrorismo internazionale e dalle scelte di Saddam, rendono più difficoltoso, se non impossibile, aiutarli. Ancora una volta, ciò che emerge è una seria valutazione delle ragioni di opportunità strumentali che sono come garantire la pace.
Questa è la preoccupazione di tutti.
Ancora una volta, la scelta del Governo italiano conferisce un ruolo all'Europa e può offrire seri contributi sulla strada della pace.
Quanto alla speculazione, anche in ordine al mondo cattolico, non dimentichiamo che ci sono autorevoli rappresentanti di movimenti ecclesiastici che si definiscono contrari alla guerra, ma anche favorevoli agli USA, proprio nel momento in cui possono costituire una garanzia per la pace.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE RIBA



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Dutto; ne ha facoltà.



DUTTO Claudio

C'é un vecchio detto quanto mai oggi attuale: se vuoi la pace prepara la guerra.
Noi oggi vogliamo la pace. La Lega Nord è un movimento che è sempre stato per la pace, lo è oggi come lo è stato in passato, ma abbiamo uno scenario attorno a noi.
L'Iraq è un Paese dove non esiste la democrazia; è un Paese sottoposto alla dura dittatura di Saddam Hussein, un dittatore che elimina, non politicamente ma fisicamente, gli oppositori politici. Un dittatore che ha fatto strage del popolo sciita e curdo: popoli che chiedevano la loro autonomia. Un dittatore che non ha mai attuato le risoluzioni dell'ONU. Un dittatore che si è armato con missili a lui vietati, con armi chimiche e con armi biologiche vietate (e temo che quello scoperto dagli ispettori dell'ONU sia solo la punta di un iceberg). Un dittatore sicuramente collegato con il terrorismo internazionale. In poche parole, un grave pericolo per il mondo intero e per la democrazia internazionale.
Noi vogliamo la pace, ma non una pace incerta e precaria con un pericolo incombente di questo dittatore che, con le sue follie, potrebbe compiere atti insensati. Per arrivare ad una pace è indispensabile il disarmo dell'Iraq; un disarmo vero con la distruzione delle armi chimiche biologiche e dei missili, ma, in generale, con una riduzione delle armi a sua disposizioni. Poiché le armi si possono ricomprare e ricostruire, è indispensabile cambiare la guida dell'Iraq; è indispensabile l'esilio di Saddam Hussein; è indispensabile ristabilire la democrazia in Iraq.
Ho esordito il mio intervento con il detto: "Se vuoi la pace prepara la guerra" e, sotto questo punto di vista, le azioni finora compiute degli Stati Uniti hanno avuto questo scopo: le minacce della guerra, gli spostamenti, gli ammassamenti delle truppe, hanno fatto sì che in Iraq venisse accettata la visita e l'ispezione degli ispettori dell'ONU, dando il via allo smantellamento dei missili ritrovati (ed io mi auguravo che fossero distrutte anche armi chimiche e biologiche).
Sotto questo punto di vista ci sono stati effetti positivi. Ora occorre andare avanti, cercare di convincere Saddam ad andarsene o cercare di rovesciarlo (un tentativo di colpo di Stato pare già essere stato soffocato nel sangue). Occorre, comunque, fare qualsiasi azione pur di evitare la guerra.
La guerra deve essere e restare l'estrema ratio.
Ciò che non condivido sono certe manifestazioni pacifiste manifestazioni che dipingono il lupo da pecora e viceversa; manifestazioni che attaccano il nostro Governo ed arrivano da parti politiche che tacevano quando il Governo dell'Ulivo, guidato da D'Alema, accettava di bombardare con i nostri aerei Belgrado e partecipare ad un'altra azione - questa sì voluta dall'ONU - di guerra.
Proprio il nazismo e il fascismo, che portarono alla seconda guerra mondiale, presero via anche grazie al pacifismo che in quel momento imperava in altri Paesi, dunque alla mancanza di interventi.
Concludo ribadendo che vogliamo la pace, ma vogliamo anche la democrazia in Iraq. Ribadisco la nostra piena fiducia nell'operato del nostro Governo e dell'ONU.
Per quanto riguarda gli ordini del giorno, voteremo sicuramente a favore quelli presentati dalla maggioranza e dal Gruppo Radicale; mentre voteremo contro gli altri ordini del giorno.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Riggio: ne ha facoltà.



RIGGIO Angelino

Innanzitutto voglio ringraziare i tre milioni di manifestanti che il 15 febbraio a Roma, con una stupenda manifestazione pacifica, sono riusciti a bucare un silenzio omertoso da parte dei media di governo e ad imporre il tema della pace.
Ritengo che queste persone, comuni cittadini (che ho potuto vedere personalmente avendoci partecipato) abbiano dato un grande segnale di civiltà alla nostra Nazione. In quella circostanza mi è dispiaciuto vedere che tra i circa 400 gonfaloni di città e province italiane, ci fosse anche quello di alcune Regioni: la Toscana, le Marche e persino la Puglia, ma ahimè - il gonfalone della Regione Piemonte non c'era; tre milioni di persone hanno sfilato a Roma e 110 milioni hanno sfilato in tutto il mondo, anche se qualcuno li ha contati diversamente. Spero che questo qualcuno non conti mai i miei globuli rossi perché mi diagnosticherebbe una leucemia. Grazie a queste persone sono cambiate molte cose, sono cambiate delle cose che danno una grande fiducia alle singole persone.
Ricordo che da ragazzo quando mi impegnavo per aiutare i terremotati della Valle del Pellice, mio padre mi diceva: "Cosa vuoi fare? Una noce in un sacco non fa rumore". Io mi sono reso conto che invece se le noci diventano tante e diventano 3 milioni o 110 milioni fanno tanto di quel rumore che perfino i governi più insensibili sono costretti a cambiare idea, perfino le persone più insensibili, parlo di questa autorevole Giunta che così numerosa sta partecipando a questo dibattito e con grande passione si è impegnata sulla questione della pace ed è riuscita a essere coinvolta in una manifestazione per la pace.
Non sono d'accordo con chi ha fischiato l'On. Ghigo alla manifestazione di Torino, perché ogni persona in più che si unisce alla mobilitazione per la pace è un fatto positivo, così come sarebbe un fatto positivo se oggi noi decidessimo che fuori dal Palazzo Lascaris possa essere esposta la bandiera della pace.
Non ho voglia di ricordare il passato, non c'è nessun motivo di ricordare il capo dei leghisti che ha detto che con la bandiera italiana bisogna pulirsi il "posteriore"; non è il caso di ricordare gli uomini del centrodestra che hanno cercato di richiamare i Prefetti per arrestare i Sindaci che hanno fatto esporre la bandiera della pace, perché offendevano la bandiera nazionale che tanto era stata difesa dal Ministro Bossi. Non vogliamo ricordare queste vicende.
Certo, adesso siamo in tanti, un popolo intero vuole la pace, perfino Berlusconi ha detto che vuole la pace. A questo proposito, voglio ringraziare il Presidente della Repubblica che con il suo forte richiamo perché è stato un grande richiamo, ha costretto il nostro Presidente del Consiglio, che si era appiattito in una maniera eccessiva sulle posizioni del Presidente Bush, a ritornare in un alveo corretto, che è quello di riconoscere che ogni sforzo va fatto prima di tutto per la pace, che ogni sforzo va fatto all'interno dell'ambito delle Nazioni Unite e per sostenere e difendere l'Europa, questa vecchia Europa che è veramente indispensabile.
Ci troviamo in una fase abbastanza delicata, una fase in cui gli Stati Uniti, rimasta unica potenza mondiale, possono seguire due opzioni: farsi carico della responsabilità di essere la nazione più potente del mondo o usare il loro strapotere. Non è una cosa da nulla, si tratta di scegliere.
Quando i miei figli o i giovani, dato che comincio ad essere vecchio, mi domandano qual è la differenza fra la destra e la sinistra, porto questo come un esempio. Sono convinto che il nocciolo della guerra all'Iraq c'era già nei finanziatori della campagna elettorale di Bush, che combinazione sono le lobby delle armi e delle grandi industrie petrolifere.
Voglio ricordare che tra i manifestanti c'erano milioni di americani che non sono d'accordo che gli Stati Uniti utilizzino il loro strapotere perché questo meccanismo non porta stabilità, non porta sicurezza e l'11 settembre è la dimostrazione che questa logica è sbagliata. Bin Laden è il frutto di questo tipo di logica, è un figlio perverso degli Stati Uniti così come lo è stato Noriega e Saddam Hussein, che è stato finanziato sostenuto e armato dagli Stati Uniti d'America.
Gli Stati Uniti sono sicuri che l'Iraq ha le armi di distruzione di massa, per forza, gliele hanno date loro. Sono sicuri e hanno ragione e il gas nervino era entusiasmante quando serviva per gli avversari iraniani che avevano umiliato gli americani di Carter.
Continuare su questa logica di real politic, per cui ogni volta ti scegli l'amico, che non è amico perché democratico o corretto, ma perch sta dalla tua parte e difende i tuoi interessi, ci porterà a combattere domani Mussaraf, che sicuramente non è meno antidemocratico di Saddam Hussein che ha la bomba atomica e che ogni istante minaccia un conflitto atomico con lo Stato vicino dell'India. Penso che questa logica sia molto pericolosa. Fanno bene i circoli democratici americani e i pacifisti americani a cercare di creare uno stop e la grande mobilitazione dei pacifisti ha generato qualcosa di importante, ha generato un cambiamento di posizioni dell'ONU che, in ogni caso, ha rinviato una guerra che, secondo me, sarà inevitabile, perché non possiamo aspettarci un gesto di dignità da parte di un dittatore come Saddam Hussein che, come veniva definito prima da un collega di Alleanza Nazionale, è un dittatore schifoso, ed è vero che ha affamato il suo popolo portandolo per due volte alla guerra contro un Paese vicino. Praticamente si è comportato come Mussolini, è schifoso come Mussolini.
Hanno ragione i colleghi di Alleanza Nazionale affermando che Saddam Hussein è un personaggio schifoso che meriterebbe di finire sotto terra, ma non possiamo credere, come sperano i colleghi Radicali, che vada in esilio né pensiamo che Bush, dopo aver speso tutto quel gasolio per sei portaerei il rancio e i psicofarmaci per 200.000 soldati americani, perché servono un po' di psicofarmaci per tenere su dei soldati al confine con l'Iraq, torni tranquillamente a casa. Non illudiamoci, la guerra ci sarà, ma la cosa importante è che non porti il nostro nome; il nome di tante piccole noci che in un sacco rumoreggiano per far sentire forte la voce della pace.
Hanno sbagliato il Presidente della Giunta, gli Assessori e i Consiglieri regionali che non hanno partecipato a questo dibattito, perch anche in questa sede possiamo intervenire e modificare qualcosa e l'hanno dimostrato i milioni di manifestanti. Sono convinto che si possono cambiare le politiche del mondo e l'Europa può avere un ruolo importante se soltanto iniziasse una politica in modo unitario per intervenire e combattere le disuguaglianze e le ingiustizie del mondo, ingiustizie create da coloro che adesso dicono che in nome della pace stanno preparando la guerra.
Sono stufo di sentire dire: "Si vis pacem para bellum". Gli interventi che ho sentito sono vergognosi, perché significano tutti: "Facciamo la guerra". È una autentica vergogna. Noi non dobbiamo arrivare alla guerra dobbiamo dare forza e autorevolezza all'ONU perché sappia risolvere questa crisi e ancora prima perché sappia risolvere la crisi che esiste nel più vicino Medio Oriente, in Palestina e in Israele. Se non sapremo affrontare quella crisi e, al contrario si farà la guerra, non uno, ma avremmo 100 anni di terrorismo. Il terrorismo è ancora più "schifoso" della guerra.
Visto che ho cominciato con i ringraziamenti, vorrei ringraziare il poliziotto della Polfer che, con un gesto generoso, ha perduto la vita per combattere uno dei peggiori nemici della democrazia, che è il terrorismo.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE COTA



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la Consigliera Manica; ne ha facoltà.



MANICA Giuliana

Stiamo affrontando un dibattito in un momento e in ore che meriterebbero, lo hanno già detto altri Consiglieri, una diversa attenzione da parte del Consiglio regionale e un'assunzione diversa, più solenne del dibattito che stiamo facendo. Non penso che in un momento come questo e in ore cruciali come queste, si debba dare per scontato che ogni tentativo di scongiurare la guerra sia ormai inutile e che non ci sia più alcuna possibilità di farlo.
Penso che il Consiglio regionale di oggi, come tante assemblee istituzionali in questo momento nel nostro Paese, la mobilitazione straordinaria, l'appello straordinario lanciato dal Pontefici per domani che darà vita a tante fiaccolate, anche nelle città del Piemonte, momenti ed iniziative per la pace, siano ancora degli elementi di grande rilievo che possono determinare uno scenario diverso.
E' da questa prima consapevolezza, a mio avviso, che dobbiamo partire e dobbiamo affrontare il dibattito che stiamo svolgendo nella nostra assemblea istituzionale. L'alba di questo 21° secolo, che si apre con uno scenario inquietante come quello di una guerra preventiva, è un momento di grave e assoluta preoccupazione. Di grave e assoluta preoccupazioni per tante ragioni. La guerra è sempre uno strumento che bisogna cercare di scongiurare: il ricorso alla violenza è l'ultima delle strade possibili. La strada del dialogo e del confronto, è sempre quella più importante da privilegiare: questo lo abbiamo detto in tante sedi e lo voglio ribadire oltre che come rappresentante politico, anche come donna. Abbiamo sempre avuto dei grossi disagi e delle grosse difficoltà in questa direzione.
Tuttavia voglio anche dire che, pur rispettando posizioni assolutamente pacifiste, ci sono stati casi nei quali, anche noi, anche con grandi contrasti interiori, non abbiamo detto no al ricorso alla guerra o al ricorso alla violenza quando si trattava di fermare terribili genocidi o di scongiurare eventi di quella dimensione. Le nostre democrazie europee derivano da una fase successiva alle grandi guerre, come la Seconda Guerra Mondiale dove, per ristabilire le condizioni della libertà e della democrazia, anche in Italia abbiamo pensato che si dovesse ricorrere a momenti come questi.
Penso che questa sia una guerra sbagliata, per una ragione generale per via dell'insensatezza e della gravità di ogni guerra, che può essere solo l'ultimo strumento (soprattutto se questa viene usata come uno strumento una guerra preventiva). Nello stesso tempo è una guerra tanto più insensata e tanto più sbagliata, perché rischia di provocare molti più problemi di quanto l'unilateralismo militare pretenda di risolvere. Rischia di allontanare ancora di più la costruzione della possibilità di una pace in Medio Oriente, di causare nuove vittime innocenti, di alimentare ulteriori sofferenze e disperazioni, di alimentare ulteriormente una spirale terroristica facendo diventare prevalenti le parti più oltranziste anche all'interno del mondo islamico, ed impedendo, sempre di più, e con maggior forza, il dialogo con le forze di colloquio e di pace in quell'area importante del mondo.
In sostanza, una guerra sbagliata per gli strumenti con i quali viene messa in campo e, nello stesso tempo, inefficace, oltre che ingiusta perché alimenterebbe una spirale ulteriore di disagio, di terrorismo, di sofferenza e di disperazione. La speranza in un futuro per noi sta nella grande capacità di disinnescare fondamentalismi agendo sulle ragioni prime che li alimentano, quelle più immediate e quelle di maggior prospettiva riequilibrando anche differenze economiche e cooperando nello sviluppo con i Paesi più poveri. Non mi voglio sottrarre ad un giudizio che non pu essere che di inequivocabile condanna per il regime di Saddam Hussein.
Nessuno di noi può pensare a nulla che non sia la più ferma condanna, a nulla che non sia la più ferma azione per determinare un elemento di democratizzazione di quel Paese. Nessun, più di quel popolo oggi e in questo momento, ha bisogno di quella ferma condanna e di quella possibilità di ristabilire condizioni democratiche all'interno dell'Iraq. Su questo, il nostro giudizio deve essere chiaro e inappellabile. Dobbiamo solo chiederci come e con quali strumenti.
Leggevo oggi su La Repubblica un articolo di Sandro Viola di grande interesse intitolato: "La sindrome di Gulliver". Davanti alla realtà oggi che gli Stati Uniti rappresentano, ma soprattutto che il Presidente degli Stati Uniti in questo momento rappresenta, il giornalista faceva una considerazione importante ed interessante. Dopo la fine della visione del mondo diviso in blocchi, dopo la caduta del Muro di Berlino, dopo la fine del confronto tra le due grandi superpotenze, ci siamo trovati davanti ad una sorta di unilateralismo americano, come se rimanesse un'unica grande super potenza e non ci fossero le ragioni profonde della costruzione di un nuovo ordine mondiale molto più multipolare e di maggior e più ampio confronto, come se quella fine del mondo diviso in blocchi non ci chiedesse questo.
Oggi quella che sembrava una grande potenza unilaterale, si trova nella condizione, dice Sandro Viola, del gigante Gulliver circondato da tanti lillipuziani che lo incatenano al terreno e cerca disperatamente di reagire e di rispondere con atti unilaterali. La rivoluzione americana, insieme a quella francese, ha segnato la storia delle democrazie moderne; un Paese gli Stati Uniti, che ha una tradizione grande ed importante che ha dato anche a noi, un grande contributo nella possibilità di sconfiggere la stessa dittatura e lo stesso pericolo grave per l'Europa e per il mondo che il nazifascismo aveva rappresentato. Una democrazia che è stata profondamente colpita l'11 settembre dell'anno scorso, con il grave attentato terroristico alle Torri Gemelle.
Oggi, anche per aiutare l'America, quella America, è importante che il ruolo dell'Europa continui ad essere, con più forza, quello che è contenuto nel documento approvato dal Consiglio europeo del 17 febbraio 2003; il ruolo che tanti importanti Stati europei, e non solo Europei, come la Francia, la Germania, la Russia e come anche ha delineato la propria posizione la Cina, diano un grande contributo a determinare un ordine multipolare e diverso, e affermare una guerra preventiva.
Penso che quelle posizioni vadano sostenute con forza. Come devono essere sostenute con forza le posizioni del Capo dello Stato Italiano, il Presidente Ciampi, come deve essere dato un riconoscimento ampio all'iniziativa diretta che ha voluto assumere in questa fase della vita del mondo, non solo dell'Europa, la Santa Sede. In questo momento, sono tanti gli Stati che si muovono, ci sono migliaia di persone in Europa, ma non solo in Europa, anche negli Stati uniti e negli altri paesi del mondo, che chiedono nuove e diverse ragioni della pace. Proprio guardando a questo ampio e importante schieramento di pace, possiamo ancora pensare di avere una decisione del Consiglio delle Nazioni Unite che possa scongiurare la guerra. Da questo punto di vista, ci sono possibilità concrete nel Consiglio di Sicurezza, ricorrendo anche direttamente all'assemblea.
Ricordo che più le ore si restringono e i momenti si accorciano, più forte deve essere la nostra iniziativa.
Questa è una risposta utile, forte e concreta a quelle tante milioni di persone che, dagli orientamenti e con le culture più diverse, sono scese in piazza chiedendo di ristabilire le condizioni del dialogo e della pace.
Sarebbe anche importante, in momento come questo, che il Consiglio regionale riuscisse a realizzare oggi, quello che è riuscito a realizzare l'altro giorno assumendo, insieme ed in modo unitario, il testo dell'appello dei sindaci europei contro la guerra in Iraq e l'adesione alla manifestazione del 28 febbraio che si è tenuta a Torino. Se oggi riuscissimo a fare un ulteriore atto analogo che rafforzi un certo tipo di decisione dell'ONU e la possibilità di scongiurare una guerra, tanto più una guerra preventiva quale quella che si sta delineando, daremmo un contributo ulteriore, anche in vista della giornata di domani.
Noi siamo pronti ad un atto come questo: lo dichiariamo esplicitamente all'interno di questo dibattito, augurandoci che questa possa essere la conclusione. Qualora così non fosse, noi voteremo per i documenti che abbiamo presentato e che riterremo più convincenti.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola al Consigliere Di Benedetto. Il Consigliere Di Benedetto non è presente, quindi diamo atto che rinuncia all'intervento.
La parola al Consigliere Burzi.



BURZI Angelo

Immagino che il Presidente, qualora il Consigliere Di Benedetto rientrasse, gli consentirà di contribuire. Mi sono domandato a lungo questa mattina e anche nel pomeriggio se fosse il caso o meno di intervenire.
Francamente, anche ora che sto iniziando a parlare, non so darmi delle ragioni, se non una. Poi potrebbe essere utile che rileggessimo, a distanza di tempo, le cose che sono state dette. Infatti, le poche cose che ho imparato sullo Statuto - davvero poche - le ho imparate leggendo gli atti che portarono la Regione, nel lontano 1971, alla formulazione dello Statuto. Non escludo affatto - certamente per me, ma magari anche per altri - che rileggendo, a distanza di tempo (talvolta la distanza consente di vedere meglio), le cose che sono state dette, ci possa essere un elemento di utilità.
Non ho, né intendo avere, la capacità di fare un quadro complessivo.
Non ne ho la capacità né l'interesse. Volendo proprio scegliere un quadro complessivo come riferimento, non ho difficoltà a dire che, se fosse un ordine del giorno, sottoscriverei l'intervento del Consigliere Palma.
Quindi, a futura memoria, rimando a quello.
Mi interessa invece fare dei flash su quelli che a me sembrano dei fatti; lo faccio non tanto per convincere qualcuno, perché sappiamo che in quest'aula non ci sono posizioni facilmente mutevoli e, in questo momento non sono presenti neanche molti organi di stampa. Quindi, sostanzialmente questo dibattito serve a noi.
Il punto sul quale dissento di più è il tema della pace. Noi non siamo in una fase di pace! Il problema è che siamo già in guerra, ed è una guerra molto violenta. Non è una guerra non dichiarata: è una guerra che ha scatenato - come, del resto, tutte le guerre - grandissimi interessi economici e che ha già avuto un numero di vittime tutt'altro che esiguo.
Qui non si tratta del problema della pace, ma di come eventualmente fare finire una guerra. Come appartenente volenteroso e cosciente alla democrazia occidentale a cui appartiene il nostro Paese, io mi considero da tempo - certamente dall'11 settembre in poi - in guerra. E' una guerra dichiarata da altri, dal terrorismo che ha suscitato riprovazione unanime da parte di tutti i gruppi, di tutte le democrazie occidentali, da parte di tutti i paesi: persino l'ONU l'ha sancita come riprovevole.
Quindi, non è un problema di pace, e tanto meno di guerra preventiva perché la guerra c'è già. Se si è in guerra, la pace è un bene da conquistare; e le democrazie occidentali sono in guerra dall'11 settembre.
Chi ha applaudito, ha votato e ha sostenuto "Endurance Freedom" o non c'era o non ha capito che quella era una dichiarazione di guerra. E' stato detto con estrema chiarezza in tutte le lingue, ripetuto ed approvato in tutte le assemblee, compresa la nostra. "Endurance Freedom" significa mantenimento di una libertà, che una grande democrazia occidentale (gli USA) - anche se criticabile - ha ritenuto lesa.
Qualcuno ha dei dubbi che questa libertà sia stata lesa il giorno 11 settembre? Lo dica. Così non è, quindi, c'è stato un atto di guerra.
Chi è l'altra parte? L'altra parte sono i terroristi. Anche su questo mi pare non ci sia alcun dissenso. Che cosa dice Bush, forse in un modo fin troppo elementare? Che bisogna eliminare l'altra parte che ha dichiarato guerra.
Sia ben chiaro: è assolutamente evidente che sussistono grandissimi interessi economici, ma ci sono sempre stati, e ci sono tuttora. A tale proposito, ricordo il contratto Total France-Iraq. La Francia, che oggi qualcuno - anche della mia parte politica - ha riconosciuto come un "cugino simpatico" è la stessa Francia di Mururoa, è la stessa Francia di Green Peace. Trovo sempre difficile dedurre la bontà delle tesi in funzione non dei contenuti che vengono espressi, ma di chi li esprime. La Francia è un "cugino" e, come tutti i cugini: alcune volte fa delle cose giuste e altre volte no.
Escludo - credo in maniera oggettiva - che in questo momento né la Francia (Total) né la Russia (Lukoil) abbiano interessi unicamente estetici in questo ambito. Hanno, come tutti, interessi anche economici. Questo è il secondo punto.
Si è rotto un equilibrio - questo è oggettivo nell'ambito dei paesi del Medio Oriente - che prima era garantito da due potenze; una delle due - per motivi che è inutile ripetere - non c'è più. Questo equilibrio era mantenuto faticosamente negli atteggiamenti che sono assolutamente di real politic e non certo rispondenti a idealità, a cui, soltanto formalmente alcuni di noi si appellano.
Questo equilibrio si rompe, si passa da un'intifada di pietre ad un'intifada di shaid. Si arriva all'11 settembre, e gli USA questo equilibrio vogliono ricostituirlo, perché è loro legittimo interesse, e lo hanno dichiarato. Tocca a noi decidere se il loro legittimo interesse sia anche il nostro, come mi pare sia. Se è anche il nostro, il problema è come raggiungere l'obiettivo.
Arriviamo all'obiettivo: sul disarmo di Saddam Hussein e sulle negatività di Saddam pare che nessuno abbia dei dubbi. Quindi, il problema è la tattica da definire, onde ottenere l'obiettivo.
Io sono ben lungi da avere dei suggerimenti da dare a chiunque (tra l'altro, credo che nessuno dissentirebbe). Nelle sere di meditazione mi viene da dire che ho l'impressione che alcune peraltro tardive disponibilità di Saddam nei riguardi degli ispettori e dei Paesi che stanno premendo, probabilmente, sono state rese più efficaci dai 100 mila o 200 mila soldati oggi presenti alle frontiere del Kuwait rispetto alle posizioni di Chirac, di Putin e - perché no - alla marcia dei 3 o 110 milioni di persone.
Non si è mai visto che, per ottenere una posizione, la parte che intende contrapporsi all'altra (le democrazie occidentali nei riguardi di Saddam) si mostrino divise. Non si è mai visto neanche nel Manuale delle Giovani Marmotte e nella strategia che una parte che si contrapponga all'altra dia all'interlocutore (Saddam) la possibilità di giocare sulle divisioni che la parte che gli si oppone esprime.
Allora, siamo così sicuri che chi fa il pacifista stia lavorando per la pace? Io ho dei dubbi. Non esprimo nessuna considerazione di natura strumentale su altri obiettivi che eventualmente alcune frange o alcune componenti del movimento pacifista esprimono.
Certo, e sono assolutamente certo, che la forza espressa dalla lettera che Aznar ideò e che alcuni Paesi della Comunità Europea (8 se non ricordo male) sottoscrissero, dall'estremo decisione della comunità statunitense dalla prima risoluzione dell'ONU, certamente hanno posto Saddam in una condizione di difficoltà. Questa condizione di difficoltà non è stata certamente rafforzata da altre aree, da altri interessi o comportamenti che hanno reso diviso il fronte che gli si opponeva. La posizione dell'esilio, utopica o non utopica che sia, è talmente poco utopista che soltanto due giorni fa a Sharm-El-Sheikh, gli Emirati Arabi l'hanno sostenuta. Nella discussione tenutasi a Sharm-El-Sheikh dalla Lega Araba tre giorni fa, si sono usate frasi sulle quali, anche qui, non esprimo alcuna valutazione.
L'accusa di imperialismo classica e storica, oserei dire didattica, di scuola, che il Consigliere Papandrea rivolgeva alla politica degli Stati Uniti, è stata esattamente la stessa accusa che la delegazione saudita ha rivolto a Gheddafi. Il quale ha risposto accusando gli Stati Uniti - credo concretamente - di avere una doppia faccia nei riguardi, da un lato, degli interessi statunitensi e, dall'altra, in un supporto, non soltanto estetico, ad alcune posizioni fondamentaliste, in cui Osama Bin Laden non è assente.
La Lega Araba, che è uno degli elementi di equilibrio di un assetto socio-economico, non è più equilibrata per nulla, non perché lo dico io, è sufficiente leggere i giornali. La ricerca di un equilibrio è il primo dovere di una forza di governo. In questo caso è una forza di governo occidentale in cui io mi riconosco e che, a mio avviso - questo è soggettivo - difende esattamente gli interessi che mi piacerebbe difendesse il mio Paese.
L'amico Marengo ha detto: "Sentinella del mondo"; può darsi che mi ricordi male, perché da quando faccio questo lavoro leggo ancora meno.
Celentano mi sembra dicesse: "Capisco poco e leggo ancora meno", io leggo poco e capisco ancora meno, però, mi pare di ricordare che all'epoca della Jugoslavia questa sentinella del mondo la Comunità Europea l'abbia per tre anni invocata come necessità di azione. A loro non interessava e non agirono, ma l'intervento degli Stati Uniti in Jugoslavia non è stato spontaneo, è stato fortemente richiesto dalla Comunità Europea di cui noi facciamo parte. Non solo, poi, nei commenti ex-post si è detto che, dopo averli richiesti, abbiamo anche discusso la modalità. Quindi, quanto meno è una sentinella del mondo riottosa, almeno in quella fase.
Non è una mia opinione, io la mutuo perché, nell'averla sentita, mi è sembrata convincente e, in parte, è stato detto anche qui. A Srebreniza, a Tusla, e a Sarajevo, l'ONU, in cui noi crediamo, a cui io non affiderei neanche gli emolumenti di oggi, per quanto mi riguarda, in questo momento per essere ben chiari, è morta. Dell'ONU fanno parte, per conclamata finalità, alcuni Paesi che con la democrazia non ci azzeccano - direbbe un mio non autorevole predecessore - assolutamente niente.
Allora, è ben strana cosa che a difesa di una democrazia, oggi compromessa o in fase di rischio, noi chiamiamo colui, per manifesta e trasversale volontà, al quale non viene riconosciuto il diritto di appartenere. Chi vuole lavorare per ciò, e anche qui mutuo uno slogan che credo verrà usato quanto prima, per una democrazia senza se e senza ma, lo slogan è di provenienza radicale e mi pare molto buono, probabilmente, deve lavorare per la rifondazione di un'ONU che, nuovamente, rappresenti la volontà dei Paesi che all'epoca concorsero a legiferare. Certamente l'ONU non è ciò per cui noi e i nostri padri lavorarono e, certamente, non è in grado di garantire, mi pare che l'esempio jugoslavo lo evidenzi assolutamente, la sicurezza di nessuno e tanto meno la pace, dal momento che siamo in guerra.
Visto che tutti hanno ringraziato, vorrei anch'io ringraziare le stenotipiste, in tal modo rimane un passaggio. Credo facciano molta fatica a relazionare gli interventi odierni di noi tutti, pertanto mi impegno a correggere il mio. Come ho detto prima, tra un anno o due vorrei rileggerlo per capire se e dove, sicuramente è capitato anche oggi, avrò sbagliato.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Leo, che interviene in qualità di Consigliere.



LEO Giampiero

In aiuto alle stenotipiste, leggerò l'intervento. Il collega Riggio ha detto che è un argomento che non appassiona nessuno, ma non è così nel mio caso. E' un argomento che mi appassiona e mi tocca molto, come le vicende sul Tibet che ricorderemo lunedì, e mi lascerei prendere la mano; perci preferisco leggere, anche per stare nei tempi rigorosamente a mia disposizione.
Cari colleghi, le parti che si confrontano nella prospettiva della guerra sono cariche di ragioni e di accuse. Ora, le ragioni fanno più colpo delle accuse e sono negli aspetti più rilevanti quelle che fanno dire: "Qualunque sbaglio facciano gli Stati Uniti, non possono essere distrutti con le bombe e il terrorismo", oppure: "Con i disastri che fanno le bombe non si può permettere ad un tiranno come Saddam di usarle come vuole".
E' nel giusto che auspica che tutte le nazioni siano sottomesse al giudizio dell'ONU, ma, siccome sembra impossibile giungere ad una decisione che dia completamente ragione agli uni e agli altri, allora l'Iraq può dire: "Se l'ONU è al servizio degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, noi non la rispettiamo".
D'altra parte USA e Gran Bretagna affermano: "Rispettiamo l'ONU se appoggia quello che diciamo noi". Così gli uni e gli altri hanno le loro ragioni per dire: "Facciamo pure la guerra".
Per uscire da questo equivoco atroce occorre riconoscere che il vero problema non è quello di discutere o trattare, come vorrebbero certi amanti della pace - ed è questo l'argomento che trattava il collega Marengo - che in alcuni casi sono i più accaniti guerrafondai, perché ognuno dei belligeranti parte dalla persuasione che l'altro vuole la guerra per difendere o distruggere un primato di potere. Chi va contro l'Iraq difenderebbe un potere che ha e chi si oppone agli Stati Uniti vorrebbe prendere in mano un potere che non ha ancora; perciò, la questione appare irrisolvibile, eccetto che con l'uso della forza. Rimarrebbe solida la ragione di chi vuole trionfare con la forza e chi sa di avere la forza pu far tacere l'altro. Questa è una logica perversa.
Tra l'altro, questo dovrebbe far riflettere anche certe parti dei movimenti pacifisti o certe guide, se non sia solamente odio quello che viene in alcuni casi scaraventato in piazza.
Ho apprezzato che, ad esempio, il collega Riggio abbia detto che non condivide i fischi al Presidente Ghigo, ma vorrei dire di più in questo senso: è gravissimo che ci siano fischi di odio in quelle situazioni. Non posso assolutamente pensare che chi scatena odio, chi porta cartelli contro questo o quel Capo del Governo, senza avere una parola di critica verso Saddam Hussein, sia amante della pace. Ci vuole poco a comprendere questo per cui esecro duramente quegli atteggiamenti nelle manifestazioni, perch non muovono da un desiderio di pace, altrimenti, come ha detto il collega Riggio, sarebbero contenti che uno in più manifesti per la pace, ma hanno odio verso certe posizioni e con l'odio non si costruisce la pace.
La soluzione non è neppure quella di schierarsi da una parte o dall'altra quando la società giunge a certi passaggi decisivi. Il vero problema è che il giudizio di lotta o di condanna dovrebbe mettere in conto innanzitutto la necessità dell'educazione dei giovani e degli adulti, cioè di tutti gli uomini, perché sono gli uomini normali che hanno la necessità di attivare le proprie capacità di giustizia e di bontà.
Se l'umanità non è educata ad una vera stima dell'uomo e dei diritti dell'uomo, quindi ad una giustizia reale, non può sentirsi libera dal proprio male operato.
Il fatto di applicare in modo giusto riflette lo stesso errore, quello della guerra.
Il vero dramma dell'umanità attuale non è solo che gli Stati Uniti vogliono distruggere l'Iraq per trarre vantaggi dalla loro azione o che Saddam rappresenti una minaccia per l'Occidente, ma il fatto che sia gli uni che gli altri non hanno educazione pari alla grandezza e alla profondità della lotta tra gli uomini. E' un problema educativo ed è significativo che l'unico che ne parli sia il Santo Padre, perché il Tribunale che si richiede per giudicare l'altro - al quale ha fatto riferimento di recente anche il Presidente Ciampi - esige un'educazione in nome di un'unità e di una giustizia vera; in una situazione nella quale sembra che nessuno voglia la pace, i modi per ottenerla appaiono evidentemente fasulli. Fare la guerra è abominevole, è votarsi al massacro perciò, dico no alla guerra ad ogni costo, ma diciamo anche sì all'America perché in essa c'è la possibilità di un'educazione che salda realmente il desiderio della pace e della giustizia. Quando si parla degli americani che manifestano, si deve anche ricordare che chi manifesta in Iraq è stato gasato e in massa.
Il Papa ha detto che la guerra è un delitto, quindi, rispetto all'appello del digiuno di domani, prendete il rosario in mano e pregate come chiede insistentemente di fare Giovanni Paolo II, pregare non in nome di un'utopia, ma perché i delitti accadano in questo mondo il meno possibile.
Per queste ragioni voterò l'ordine del giorno presentato della maggioranza, che condivido totalmente.
Rivolgo un particolare apprezzamento all'ordine del giorno sottoscritto da tanti Consiglieri e preparato dal Partito Radicale, che mi riempie di giudizio e di contenuti, e a tutti gli ordini del giorno nelle cui parti parlano di solidarietà e di ruolo attivo della Regione in azioni di solidarietà.



PRESIDENTE

Dichiaro chiuso il dibattito sulla questione Iraq e convoco la Conferenza di Capigruppo per programmare il prosieguo della seduta.



(La seduta, sospesa alle ore 17.22 riprende alle ore 17.39)



PRESIDENTE

La seduta riprende.


Argomento: Commemorazioni

Commemorazione per la morte del Poliziotto Emanuele Petri


PRESIDENTE

In apertura di seduta, chiedo all'Assemblea di osservare un minuto di silenzio per la barbara uccisione del Poliziotto Emanuele Petri.
(I Consiglieri, in piedi, osservano un minuto di silenzio)


Argomento: Questioni internazionali

Proseguimento dibattito su questione Iraq e esame ordini del giorno collegati (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo i lavori.
In sede di Conferenza dei Capigruppo si è stabilito che, dato il protrarsi della discussione sull'Iraq, termineremo i lavori della seduta odierna con il punto "Iraq" e continueremo l'esame degli altri punti all'ordine del giorno nella seduta di martedì, con inizio alle ore 10.
Passiamo all'esame degli ordini del giorno.
Comunico che sono stati ritirati i seguenti ordini del giorno: n. 710 "Manifestazione nazionale per la pace del 15/02/2003", presentato dai Consiglieri Chiezzi, Papandrea, Tapparo, Moriconi, Contu e Suino n. 711 "Adesione alla manifestazione del 15 febbraio a favore di una politica di pace", presentato dai Consiglieri Manica, Saitta, Di Benedetto Placido, Riggio, Ronzani, Marcenaro, Suino e Muliere.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Marcenaro; ne ha facoltà.



MARCENARO Pietro

Annuncio il ritiro dell'ordine del giorno n. 706 "Iniziative di pace e sostegno a favore del popolo iracheno"



PRESIDENTE

E' dunque ritirato l'ordine del giorno n. 706 "Iniziative di pace e sostegno a favore del popolo iracheno" presentato dai Consiglieri Marcenaro, Manica, Muliere, Riba, Di Benedetto, Placido, Ronzani, Riggio Giordano, Tapparo, Caracciolo, Saitta.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Chiezzi;ne ha facoltà.



CHIEZZI Giuseppe

Consultandomi con gli altri firmatari dell'ordine del giorno n. 705 dato che il tema proposto non è attuabile, viste le concrete situazioni viene ritirato.
Come Gruppo voterò a favore dell'esposizione della bandiera della pace.
Relativamente all'ordine del giorno n. 712 esprimo voto contrario perché ritengo che la richiesta, a casa d'altri, di proporre l'esilio di capi di Governo sia questione irricevibile. Voto contro l'ordine del giorno n. 729 presentato dalla maggioranza; voto a favore dell'ordine del giorno n. 731 presentato dai Consiglieri Papandrea e Contu perché è vero che ci sono accenti diversi rispetto all'ordine del giorno che ho sottoscritto (firmato ed approvato anche in sede nazionale) però ritengo che sia meritevole di attenzione, lungo una strada di confronto e di colloquio a sinistra. Si elabora divisi e in piena autonomia, però poi si può operare insieme sui contenuti.
Ovviamente voterò a favore dell'ordine del giorno n. 732 che ho sottoscritto insieme ai colleghi dell'Ulivo.



PRESIDENTE

L'ordine del giorno n. 705 "Iniziativa di pace in Iraq" presentato dai Consiglieri Chiezzi, Contu, Moriconi, Papandrea, Suino, Giordano viene ritirato.
L'ordine del giorno n. 710 "Manifestazione nazionale per la pace del 15 febbraio 2003", presentato dai Consiglieri Chiezzi, Papandrea, Tapparo Moriconi, Contu, Suino è invece superato.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Contu; ne ha facoltà.



CONTU Mario

Sull'ordine del giorno n. 709 voteremo a favore perché riteniamo che sia doveroso che la Regione Piemonte segua l'esempio di molti di Sindaci che hanno issato il proprio vessillo di fronte al Palazzo Comunale, ma soprattutto credo che sia un riconoscimento doveroso verso i cittadini che dal proprio balcone hanno esposto il simbolo della pace.
Voteremo contro l'ordine del giorno n. 712 che vede come primo firmatario il Consigliere Palma; voteremo contro l'ordine del giorno n.
729; voteremo a favore, ritenendolo in grado di interpretare al meglio il sentore comune, cioè: "No ad una guerra senza se e senza ma", dell'ordine del giorno n. 731.
Troppe sono le contraddizioni scese in campo, anche nel rapporto fra le potenze mondiali e riteniamo che oggi niente possa giustificare un intervento armato in Iraq. Non parteciperemo al voto sull'ordine del giorno che ha come primo firmatario il Consigliere Marcenaro.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire, per dichiarazione di voto, il Consigliere Moriconi; ne ha facoltà.



MORICONI Enrico

Voterò a favore dell'ordine del giorno n.709, che peraltro vede anche la mia firma. Voterò contro l'ordine del giorno n. 712 perché anch'io condivido l'opinione di chi sostiene che non è credibile che si possa chiedere l'esilio di Capi di Stato di un altro Paese. Voterò contro l'ordine del giorno n. 729; voterò a favore degli ordini del giorno n. 731 e n.732.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire, per dichiarazione di voto, il Consigliere Mercurio; ne ha facoltà.



MERCURIO Domenico

Naturalmente voterò a favore dell'ordine del giorno presentato dalla maggioranza che ha, come primo firmatario, il Consigliere Cattaneo e voter a favore dell'ordine del giorno n. 712 firmato dal Consigliere Palma.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire, per dichiarazione di voto, il Consigliere Tomatis; ne ha facoltà.



TOMATIS Vincenzo

Voterò a favore dei seguenti ordini del giorno: n. 712, n.729, e n.732.



PRESIDENTE

Chiedo scusa, relativamente all'ordine del giorno n. 709 che porta la firma di alcuni Consiglieri, ricordo che, l'aula può decidere quello che vuole, è vietata l'esposizione della bandiera della pace ai sensi di alcune disposizione di legge.
La parola al Consigliere Marcenaro.



MARCENARO Pietro

Su questo punto voglio precisare che è vietata l'esposizione della bandiera della pace in allineamento con le altre bandiere, ma non è vietata l'esposizione dai balconi del Palazzo regionale. Questo per disposizione e chiarimento effettuato dal Prefetto di Torino ai Comuni e agli Enti che ne hanno fatto richiesta.



PRESIDENTE

Grazie della precisione opportuna, ne terrò conto nel caso in cui l'aula dovesse approvare il documento.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Tapparo; ne ha facoltà.



TAPPARO Giancarlo

Sono d'accordo, e firmatario, sull'ordine del giorno che prevede di esporre la bandiera della Pace anche nella sede di Palazzo Lascaris. Mi pare che il Consigliere Marcenaro abbia precisato come si possa fare e compiere questo atto importante. La bandiera della Pace ha assunto un aspetto che va al di là di una questione di parte, si può trovare il modo e la forma di esporla o in modo molto limitato all'interno della nostra sede come è stato fatto, per esempio, per la bandiera del Tibet, oppure, in un'altra forma di esternazione, superando quelle limitazioni a cui faceva riferimento il Consigliere Marcenaro.
Sono anche d'accordo, seppure la cosa assuma un carattere simbolico sull'ordine del giorno n. 712. Infatti sulla questione dell'esilio di Saddam Hussein, è vero che c'é un forte orientamento che sta crescendo anche tra i Paesi arabi e una forte azione della diplomazia degli stati del Medio Oriente, dunque va premiata questa aspirazione. Sarebbe molto grave che, da parte degli Stati Uniti, dopo una eventuale guerra, ci possa essere un'amministrazione militare americana che cerca un "quisling" di turno, un governante fantoccio della diaspora irachena per poter dirigere controllato dagli Stati Uniti. Questo caso, se avvenisse, avrebbe una carattere spiccatamente imperialista. Credo che un'amministrazione fiduciaria dell'ONU possa avere un carattere migliore per preparare ad un sbocco democratico l'Iraq. Sarebbe il primo Paese che potrebbe sperimentare una nascente democrazia, evento molto importate in Medio Oriente.
Voto contro, non solo per il gioco delle parti, l'ordine del giorno presentato dai Consiglieri di maggioranza, anche perché attorno al documento del Consiglio d'Europa c'é stato un modo di nascondersi dietro ad un dito rispetto ad un'espressione più autentica e più specifica del posizionamento attorno a questa crisi.
Voto anche a favore dell'ordine del giorno presentato dai Consiglieri di Rifondazione Comunista perché, attorno al meccanismo "senza se e senza ma", sembrerebbe che si sia costruito una linea di demarcazione tra i duri e puri all'opporsi alla guerra e altri su posizione più riformiste, come si usa dire oggi.
In effetti, tenere una posizione dura e rigida che trova un consenso anche in molti settori - non voglio citare la Chiesa, il Papa, ecc. io, laico non voglio far leva su queste cose - rappresenta una caratterizzazione forte, quindi al Consigliere Contu e al Consigliere Papandrea do il mio consenso, per quanto può contare un semplice Consigliere del Gruppo misto.
Ovviamente voto anche perché lo trovo un ordine del giorno ben articolato e ben costruito, e vi ho apposto la mia firma cioè l'ordine del giorno - se si può definire dell'Ulivo o del centrosinistra - che pone una serie di problemi molto importanti. Uno che non viene sufficientemente sottolineato a mio parere, anche nel dibattito, è quello che qualsiasi coinvolgimento dell'Italia in direzione della guerra, nelle forme e nei modi più vari deve comunque trovare un'assunzione di decisione che deve vedere il ruolo pieno, alto e significativo del Parlamento. Quindi, voto in modo perfettamente convinto anche su questo ordine del giorno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Palma.



PALMA Carmelo

Il nostro Gruppo voterà a favore dell'ordine del giorno che ha presentato con la firma di numerosi altri colleghi. Voterà contro tutti gli altri ordini del giorno, ad eccezione dell'ordine del giorno di maggioranza e dell'ultimo ordine del giorno presentato dall'intera coalizione del centrosinistra, indicando la non partecipazione al voto su questi due documenti come segnale di attenzione e di considerazione rispetto ad uno sforzo - che mi pare da entrambe le coalizioni sia venuto circa l'individuazione del quadro istituzionale di riferimento e l'ancoraggio al documento conclusivo del Consiglio Europeo dello scorso 13 febbraio.
Da una parte, vi è la valorizzazione della logica bilaterale legata al ruolo delle Nazioni Unite; dall'altra, vi è il superamento - lo dico in maniera schematica e semplicistica - della logica del "senza se, senza ma".
Noi continuiamo ad essere convinti che, al di là di un quadro istituzionale e giuridico, il documento conclusivo del Consiglio Europeo individua correttamente il problema, e che il problema sia non tanto quello d'individuare il quadro, ma quello di individuare il contenuto di una proposta alternativa all'intervento militare, convergente negli obiettivi rispetto allo scopo di disinnescare la bomba Saddam e immaginare un futuro dell'Iraq che non sia semplicemente un futuro senza Saddam, ma innanzitutto un futuro senza uno dei tanti Saddam che, progressivamente, nel corso degli ultimi anni hanno ricoperto ruoli, incarichi e responsabilità di governo in numerosi paesi del Medio Oriente, arabi in particolare.
Solo a giustificare la fondatezza giuridica della nostra proposta l'ipotesi dell'esilio concordato - un esilio che assicuri l'incolumità, ma non necessariamente l'impunità al dittatore iracheno, e dall'altra parte quella dell'amministrazione fiduciaria e controllata sotto l'egida delle Nazioni Unite - tengo solo a segnalare a quest'aula che non si tratta di niente di rivoluzionario. Si tratta di una prassi, non costantemente, ma già utilizzata nell'ambito delle relazioni internazionali.
Faccio due esempi molto chiari: la "dittatura" - termine fin troppo eufemistico - talebana che succedette al regime di Najibullah e poi al governo legittimo - anche questo termine eufemistico - di Rabbani venne disconosciuta dalla comunità internazionale e dalle stesse Nazioni Unite, e il governo talebano per tutto il periodo della propria storia ebbe paradossalmente un ambasciatore alle Nazioni Unite che rappresentava il governo deposto dalle armate talebane. Quindi, l'intera comunità internazionale aveva giuridicamente deposto il governo talebano, pur riconoscendo che praticamente controllava ampia parte del territorio afghano ed era interlocutore commerciale e, da certi punti di vista, anche diplomatico della comunità internazionale. Era un regime non riconosciuto dall'ONU, sostanzialmente deposto ai fini del diritto internazionale, con cui peraltro verso l'ONU, con alcune sue direzioni - penso a quella sulle radicazioni della cultura dell'oppio - in qualche misura collaborava secondo un principio puramente di fatto.
Per quanto riguarda l'amministrazione fiduciaria e controllata delle Nazioni Unite, c'è un esempio recentissimo illuminante, e da un certo punto di vista anche luminoso, che è quello dell'amministrazione controllata del Kosovo. Episodio molto singolare: amministrazione controllata imposta dall'ONU dopo l'intervento armato dichiarato dalla NATO e dall'Unione Europea contro l'ONU (ricordo che il primo Alto Commissario del Kosovo era Bernard Kushner, ex Ministro socialista della sanità francese). Quindi un quadro politico internazionale particolarmente complesso.
Amministrazione controllata che ha funzionato molto bene e che sta funzionando molto bene, che assicura a quella regione, nell'ambito dei confini della vecchia Repubblica serba, condizioni di legalità e di sviluppo assolutamente pertinenti, e che da un certo punto di vista ha favorito l'evoluzione democratica dello stesso regime serbo, grazie non solo a quell'intervento militare, ma anche all'amministrazione controllata delle Nazioni Unite. Oggi nel palazzo del Presidente della Federazione Jugoslava - non sede, Milosevic - che ha sede dinnanzi al Tribunale Penale Internazionale dell'Aja sulla ex-Jugoslavia, siede una trentatreenne democristiana serba, che si chiama Natasha., che è uno dei risultati indiretti di quell'intervento e di quell'amministrazione fiduciaria.
Per tutte queste ragioni e giustificando anche giuridicamente questo tipo di configurazione della proposta, annuncio il voto favorevole sul nostro ordine del giorno, la non partecipazione sui documenti conclusivi della maggioranza e dell'Ulivo e il voto contrario sugli altri provvedimenti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Dutto.



DUTTO Claudio

Avevo già fatto la dichiarazione di voto al termine del mio intervento.
La ribadisco: voteremo a favore dell'ordine del giorno della maggioranza e dell'ordine del giorno presentato dal Gruppo Radicale. Voteremo contro tutti gli altri ordini del giorno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Galasso.



GALASSO Ennio Lucio

Il Gruppo di AN vota a favore dell'ordine del giorno cosiddetto di maggioranza e vota anche a favore dell'ordine del giorno a firma del Consigliere Palma ed altri. Mi corre però l'obbligo di qualche brevissima considerazione, in quanto ho avuto modo di constatare che in un dibattito pure sostanzialmente sereno e con contributi seri, anche da posizioni contrapposte, ogni tanto fa capolino un linguaggio afflitto da livori.
Linguaggio che denuncia inconsapevoli grumi di odio che confliggono con l'idea di pace.
Mi pare che soprattutto in questo momento dobbiamo stare attenti a queste espressioni, perché il vero discrimine a volte è proprio il linguaggio. Si può non essere d'accordo, anche in modo più radicale e più motivato di quanto il livoroso non faccia e, tuttavia, non disertare il terreno del dialogo. Mi preoccupa, a volte, intravedere chi è strutturalmente inibito ad ogni ipotesi di confronto sereno.
Si apprezzano, come noi apprezziamo, tutti gli sforzi, soprattutto quelli che provengono dalle posizioni più lontane, però, ci teniamo a richiamare l'attenzione e la riflessione su questi aspetti che stiamo segnalando.
Mi dispiace dire che il dibattito non consente di intravedere posizioni comuni. Noi riteniamo che per rispondere comunque efficacemente e per porre fine agli inganni si debbano coniugare le ragioni della fermezza con quelle della pace. Quando si affievoliscono le ragioni della fermezza, si fa scendere la nebbia sugli orrori e si affrontano questi tragici problemi di politica internazionale con gli inadeguati strumenti ideologici.
Per quanto riguarda l'ordine del giorno del Consigliere Palma, come ho già detto, voteremo a favore, anche se vi era qualche perplessità sul punto qualificante di porre l'Iraq sotto il regime di amministrazione fiduciaria internazionale, perché comunque diventa una lesione della sovranità dello Stato e, quindi, di un popolo. Però, lo spirito dell'ordine del giorno e le finalità che comunque si propone, che vanno al di la dell'accorgimento tecnico, ci convincono di far prevalere le ragioni del primo aspetto rispetto al secondo.



PRESIDENTE

Comunico che è stato presentato un ordine del giorno, sull'"Episodio terroristico verificatosi il giorno 2 marzo sul treno interregionale Roma Firenze", dai Consiglieri Cattaneo, Costa Rosanna, D'Onofrio, Dutto Galasso, Mercurio, Palma, Valvo. Non ho difficoltà a farlo votare in chiusura, previa distribuzione e consultazione, in maniera tale che sia un ordine del giorno unanime, senza dibattito. Lo faccio distribuire, è su carta intestata del Consiglio e non su quella dei Gruppi che ne potrebbe permettere una identificazione politica.
Chiedo di distribuirlo e di verificare, nel frattempo, la possibilità di una approvazione senza discussione.
La parola al Consigliere Marcenaro.



MARCENARO Pietro

Innanzitutto, vorrei fare una precisazione sulla manifestazione che si è tenuta a Torino la sera del 28 febbraio, alla quale ha partecipato il Presidente Ghigo, sulla base di un documento approvato unitariamente da questo Consiglio regionale. Un piccolo gruppo ha fatto una contestazione esasperata perché, sì, c'è stato un inizio di protesta, ma subito è stato fermato.
Per quanto mi riguarda, ero lì e non ho visto altri colleghi del Consiglio regionale, sono stato tra quelli che hanno applaudito il Presidente Ghigo mentre interveniva, perché sono tra coloro abituati a difendere una mediazione politica quando la si raggiunge e che considera l'unità quando si raggiunge su questi punti, tanto più quando è un'unità tra forze diverse. L'unità tra quelli che la pensano nello stesso modo è fin troppo facile da raggiungere. Naturalmente, è importante e utile per chi si pone il problema di fare qualcosa che serva non solo a noi stessi e alla nostra, pur così importante, coscienza, ma anche per una causa più generale.
Per quanto riguarda il dibattito odierno, se posso fare, per quanto mi riguarda, alcune considerazioni preliminari alla dichiarazione di voto negli ultimi giorni, ho individuato maggiore prudenza nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del Ministro degli esteri rispetto a molti esponenti della maggioranza che qui hanno preso la parola. Negli ultimi giorni, ho sentito nelle parole del Presidente del Consiglio e del Ministro degli esteri, anche nelle dichiarazioni odierne, una preoccupazione crescente che tiene conto non solo degli orientamenti della stragrande maggioranza dell'opinione pubblica mondiale, ma anche di crescenti problemi che nascono tra gli Stati.
Il Consigliere Palma, nel suo intervento, che ho ascoltato come sempre con molta attenzione, che c'è un linguaggio americano particolare. No Consigliere Palma, non c'è solo un linguaggio americano, in questo caso c'è un'analisi, a mio parere, della situazione che penso non sia condivisibile. Intendiamoci, è probabilmente vero che il disegno degli Stati Uniti non può essere banalizzato. Non credo che il disegno degli Stati Uniti risponda esclusivamente a interessi economici, credo che questa sia un'interpretazione riduttiva, è un'ipotesi di riassetto complessivo di quell'area e, attraverso quell'area, di ridefinizione degli equilibri mondiali. E' probabile che in quell'ipotesi ci sia anche un riassetto, nel quale l'affermazione della democrazia e di un modello politico di tipo occidentale costituiscono uno dei punti prevalenti. Mi pare che su questo punto abbia risposto qualche domenica fa Barbara Spinelli su La Stampa, per quanto mi riguarda in modo molto convincente, sostenendo che la pretesa di affermare la democrazia, attraverso un atto che all'inizio si configura come una esplicita violazione di qualsiasi legalità, come la rottura di qualsiasi quadro di regole, vuol dire introdurre un elemento infettivo nel processo, che si avvia con delle conseguenze che possono essere molto gravi.
Dico questo perché sono convinto che non possiamo semplicemente rovesciare il discorso e l'analisi che oggi l'Amministrazione degli Stati Uniti propone. Francamente, non credo che possiamo immaginare che oggi il problema della guerra sia un problema di scontro tra il male e il bene.
Questa è la semplicistica analisi che oggi ci viene proposta. No, le cose non stanno così. Una politica che voglia combattere la guerra e affermare la pace deve fare i conti con il fatto che le guerre ci sono in un mondo sempre più carico di conflitti, nel quale non è vero che, dopo l'equilibrio bipolare, c'è un mondo più pacifico, le guerre ci sono in Cecenia, in Ruanda, in Medio Oriente.
E' indubbiamente vero, a mio parere, che una politica di prevenzione della guerra, alternativa ad un'idea di guerra preventiva, costituisce una linea di interventismo democratico. E' una linea che porta a rimettere in discussione il tradizionale concetto di sovranità nazionale, sul quale si è fondata la costituzione degli Stati moderni dall'Ottocento in poi, ma proprio perché siamo di fronte a temi di questa dimensione, se si vuole ricostruire e rifondare un ordine democratico e affermare come principio universale la democrazia e la libertà. Questo non può essere realizzato attraverso una politica arbitraria, attraverso un'interpretazione unilaterale, attraverso un uso della questione della democrazia che vale quando fa comodo e non vale quando non fa comodo, in cui la tirannide viene combattuta in Iraq, ma sopportata in Arabia Saudita, in Kuwait e in altri posti. No, questo discorso richiede un discorso in cui, mentre si afferma la democrazia, si nega, ad esempio, il riconoscimento e la validazione di quella Corte Penale internazionale, che può essere uno degli strumenti per l'inizio di nuove istituzioni internazionali.
Chi è convinto per una politica di interventismo democratico, cioè di interventismo politico-democratico, insisto sul fatto che si tratta di prevenzione della guerra e non di guerra preventiva, e la mette al primo posto, secondo me, non può su questo punto essere ambivalente e ambiguo.
Questo è il punto essenziale e per queste ragioni noi ci siamo mossi e ci muoviamo su una linea politica che, da un lato, cerca di rispondere alla domanda: cosa fai? Cosa vuoi fare?



(Commenti in aula)



MARCENARO Pietro

No, scusatemi, il Presidente ha detto che, visto che unificavamo le dichiarazioni, c'era la possibilità di parlare qualche minuto in più.



PRESIDENTE

Sì, sì, dieci minuti.



MARCENARO Pietro

No, siccome sono stato interrotto dalla parola "tempo, tempo", spiegavo solo che era stato concordato e definito.
Tornando al discorso centrale, noi vogliamo rispondere alla domanda: cosa si può fare. Vedete, cari Consiglieri Papandrea e Contu, a questa domanda non si può rispondere: "Io sono contro". Sì, sei contro, ma cosa si può fare? Cosa può fare l'Italia? Cosa può fare l'Europa? Cosa può fare l'ONU? Non si può sfuggire dal terreno della responsabilità ed è per questo che il comportamento di alcuni Paesi europei è, secondo me, importante e merita il nostro sostegno.
Per queste ragioni, esprimo voto favorevole al documento presentato e sottoscritto; un voto reciproco di non partecipazione al documento presentato dal Gruppo di Rifondazione Comunista; un voto contrario al documento presentato dalla maggioranza; un voto favorevole al documento presentato dai Consiglieri del Gruppo Radicale, richiamando la responsabilità individuale dei componenti del nostro Gruppo, non solo perché l'abbiamo votato insieme in Parlamento, ma perché, per quando la questione si presenti oggi come una proposta utopica, essa rappresenta l'idea di un intervento politico, per quanto forte, non violento e pacifico.
Oggi questo è un modo attraverso il quale simbolicamente evochiamo anche attraverso questa via, un'altra possibilità.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE RIBA



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Cattaneo; ne ha facoltà.



CATTANEO Valerio

Oggi, giornata intensa con un dibattito articolato su un tema richiesto da molti, si sta delineando - ed inizio la dichiarazione di voto dell'ordine del giorno n. 712 del Gruppo Radicale - una grande convergenza sull'ordine del giorno presentato dal Gruppo Radicale all'interno di quest'aula (e fuori dall'aula) che personalmente ho sottoscritto, come altri Consiglieri aderenti al Gruppo che ho l'onore di presiedere. E' un documento importante che per primo ha delineato due punti su cui oggi vi è un'ampia convergenza, sia all'interno del Consiglio sia fuori, sia nella nostra comunità nazionale sia nella comunità internazionale.
Primo punto: perseguire una soluzione politica per la questione irachena; secondo, ipotizzare un esilio di Saddam, il dittatore iracheno che potrebbe evitare e far venire meno uno dei motivi dell'ipotesi di guerra che gli Stati Uniti e l'Inghilterra, nella fattispecie, stanno portando avanti.
Lascerò al Gruppo consiliare di Forza Italia la libertà di voto su questo ordine del giorno; personalmente lo voterò, avendolo sottoscritto, e sono certo che molti Consiglieri regionali, condividendolo e sottoscrivendolo, voteranno a favore.
Passo all'ordine del giorno n. 709.
Non vogliamo trincerarci dietro uno specchio, ma la norma emanata dal Governo Prodi, con una circolare interpretativa della stessa, precisava che le uniche bandiere da esporre negli edifici pubblici sono quelle della Comunità europea, dell'Unione europea, la bandiera nazionale e la bandiera della Regione (in alcuni edifici sempre e in altri in alcune occasioni anche perché il Consigliere Marcenaro ricordava che forse la norma prevede il divieto solo se in allineamento).
Non è questo il punto; si tratta di un motivo politico.
L'ho già detto nel precedente intervento: siamo per la pace anche se non ostentiamo bandiere o simboli di parte. La pace è un patrimonio di tutta l'umanità e non solo di chi, sbagliando, nel nostro Paese vuole esserne l'unico depositario. Sembra quasi che chi non espone la bandiera o chi non la mette intorno al collo - come hanno fatto i Consiglieri Chiezzi ed altri colleghi dell'Opposizione la scorsa seduta del Consiglio regionale sia contro la pace. No. Noi siamo per la pace; non condividiamo il fatto di ostentare questa nostra inclinazione, ma riteniamo di impegnarci fattivamente per questo. Questa bandiera ha preso e prende sempre più grazie ai comportamenti di pochi, un significato di parte. Noi siamo semplicemente contro l'esposizione di questa bandiera per rispettare la legge di un Governo di centrosinistra presieduto dall'On. Romano Prodi e soprattutto, perché riteniamo che la pace sia un patrimonio di tutti, al di là di mettere una spilla sulla giacca o una bandiera intorno al collo o di disporla dal balcone piuttosto che dal davanzale.
Voteremo, quindi, in modo contrario all'ordine del giorno.
L'ordine del giorno n. 729, presentato come maggioranza, come Casa delle libertà, mi vede come primo firmatario. In esso chiediamo un impegno al Presidente della Giunta regionale di chiedere al Governo nazionale di perseguire l'attività sin qui svolta, in piena sintonia con il menzionato documento del Consiglio europeo, cioè il documento di Bruxelles del 17 febbraio 2003, dove vi è stata un'ampia convergenza dei 15 Paesi membri dell'Unione. Il Governo nazionale sta già operando in questo senso (lo ricordavo questa mattina nel mio intervento) ha lavorato e lavora con l'impegno, in prima persona, del Presidente del Consiglio dei Ministri di tutto il Governo, delineando nella propria politica estera alcuni punti: puntare al disarmo del regime iracheno in tempi stretti e con mezzi pacifici; sostenere la dissuasione politico-militare che ha già riportato in Iraq gli ispettori dell'ONU (altrimenti era difficile immaginare che dopo la cacciata nel 1999 gli ispettori dell'ONU sarebbero potuti rientrare sul territorio iracheno); salvaguardare la credibilità dell'ONU (questa è una nostra priorità, dopo 12 anni di sfide da parte di Saddam sia all'ONU sia alla legalità internazionale); mantenere saldamente unita la coalizione mondiale contro il terrorismo. Al di là della presentazione dell'ordine del giorno, in questi giorni abbiamo visto altre forme di terrorismo: ormai è un problema che riguarda l'intera comunità mondiale, quindi questo fronte deve essere saldo, forte, autorevole ed impegnato, da parte dei Governi nazionali e del Governo italiano, contro il terrorismo che si è formato relativamente agli eventi dell'11 settembre, successivamente all'attentato delle Torri gemelle. Mantenendo saldamente unita l'Europa, restituendo all'Unione Europea una sola voce e un peso effettivo sulla scena internazionale.
Questi sono gli obiettivi previsti anche dal quel documento che condividiamo, a cui il Governo nazionale si riferisce, con una politica estera condivisa dal Capo dello Stato il quale, con un proprio intervento, ha espresso apprezzamento verso lo sforzo del Governo nazionale e riconosciuto, al Presidente Berlusconi, la bontà dell'azione del proprio Governo.
Vi è un altro ordine del giorno a firma dei Consiglieri Papandrea e Contu che noi voteremo sfavorevolmente. Abbiamo idee diverse, che sono state ben delineate dal dibattito di questa mattina, ed è già imbarazzante per noi, Consigliere Contu, alcuni aspetti che sono contenuti già nella premessa.
Il dispositivo, sotto l'aspetto politico, sia chiaro, non essendo da noi condiviso, è fortemente inaccettabile.
Riguardo all'ordine del giorno che vede la Consigliera Manica prima firmataria, voteremo sfavorevolmente.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire, a titolo personale, la Consigliera Suino; ne ha facoltà.



SUINO Marisa

Non intervengo in dissenso, ma ad adiuvandum.
Nella dichiarazione precedente il Consigliere Marcenaro non ha precisato quanto abbiamo concordato tutti insieme, quindi lo faccio a nome suo. Ovviamente voteremo favorevolmente l'ordine del giorno relativo all'esposizione della bandiera della pace. Anche perché è stata data la motivazione tecnica che consente una soluzione.
A titolo personale, voterò l'ordine del giorno n. 731, sul quale credo il mio Gruppo non parteciperà alla votazione, in quanto ha aderito alla campagna nazionale non in nome mio, quindi, per coerenza, mi esprimerò in tal senso.



PRESIDENTE

Procediamo alla votazione degli ordini del giorno.
Ordine del giorno n. 709 presentato dai Consiglieri Contu, Chiezzi Tapparo, Moriconi, Papandrea e Suino.
Indìco votazione palese su tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale considerato che la tragica prospettiva di una guerra in Iraq da parte degli Stati Uniti d'America si sta di ora in ora drammaticamente concretizzando che la scelta della pace tra i popoli e nel mondo deve essere un punto di riferimento fermo nella attività istituzionale della Regione Piemonte che molte istituzioni nazionali del paese di vario livello hanno deciso di manifestare la loro scelta di pace esponendo la bandiera arcobaleno recante la scritta "PACE" decide di esporre la bandiera della Pace anche nella sede della Regione Piemonte a Palazzo Lascaris." Il Consiglio non approva.
Passiamo ora all'ordine del giorno n. 712 presentato dai Consiglieri Palma Mellano, Leo, Cattaneo, Caracciolo, Muliere, Di Benedetto, Brigandì Vaglio, Burzi, Cantore e Cavallera di cui al punto 3) all'o.d.g.
Non essendovi altre richieste di parola, indìco votazione palese su tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale consapevole che incombe su ciascuna donna e su ciascun uomo - e a maggior ragione sulle istituzioni politiche che ad ogni livello sono investite del dovere di operare per il benessere dei cittadini - la responsabilità di fare tutto ciò che è in proprio potere non solo per scongiurare la guerra, ma per assicurare ovunque libertà, diritto e democrazia come stabili condizioni di pace che occorre intensificare le iniziative per rendere efficaci le buone volontà di coloro che sono convinti della necessità e del dovere di ingerenza ovunque nel mondo siano in atto violazioni dei fondamentali diritti umani civili e politici dei cittadini, prima di tutto rafforzando e creando strumenti e modalità di intervento solidamente ancorati a principi di diritto positivo transnazionale che occorre oggi concentrare urgentemente questo sforzo di intervento politico e giuridico per disinnescare presupposti di guerra e innescare processi di democrazia nell'area del Medio Oriente, a partire da assunzioni dirette di responsabilità politica internazionale nella crisi irachena rivolge un solenne appello alla comunità internazionale e alle Nazioni Unite in primo luogo, perch l'esilio del dittatore Saddam Hussein cancellerebbe, come affermano gli Stati Uniti stessi, la necessità della guerra, costituendo il punto di partenza per una soluzione politica della questione irachena chiede al Consiglio di Sicurezza che decida da subito - partendo dal presupposto dell'uscita di scena di Saddam e sulla base dei poteri conferitigli dalla Carta dell'ONU - di porre l'Iraq sotto un regime di Amministrazione fiduciaria internazionale (un governo democratico), affidando ad un uomo di stato di altissimo livello il compito di predisporre, entro un termine di due anni, le condizioni di un pieno esercizio dei diritti e delle libertà per l'insieme degli iracheni, donne ed uomini, come esige la Carta dei Diritti fondamentali delle Nazioni Unite il Consiglio regionale lancia un appello alle donne e agli uomini di buona volontà perché si organizzino e si mobilitino d'urgenza, in tutto il mondo, perché questa semplice verità vecchia come la democrazia e la libertà, trionfi! Perché la libertà, il diritto, la democrazia e la pace vincano sulla dittatura e sulla guerra si impegna di conseguenza ad inviare immediatamente il presente ordine del giorno al Segretario Generale delle Nazioni Unite e al Consiglio di Sicurezza dell'ONU ad informare dell'iniziativa il Governo italiano.
il Consiglio regionale al fine di favorire l'allargamento dell'iniziativa politica nei confronti dell'ONU alle Assemblee elettive regionali e locali e al maggior numero di cittadini si impegna, altresì ad inviare d'urgenza il testo del presente ordine del giorno: a tutte le Regioni, anche attraverso l'Assemblea delle Regioni d'Europa (ARE) e il Comitato delle Regioni (C.d.R.) a tutti i Consigli Provinciali e Comunali del Piemonte con l'invito, se le richieste sono condivise, a votare proprie mozioni da inviare direttamente alle Nazioni Unite e ad assumere ogni altra iniziativa utile per facilitare la sottoscrizione e l'invio dell'appello da parte dei cittadini." Il Consiglio approva Esaminiamo l'ordine del giorno n. 729 dei Consiglieri Cattaneo Galasso, Angeleri, Deorsola, Mercurio, Rossi Oreste, Gallarini, Bolla Caramella, Godio, Rossi Giacomo, Botta Marco, Valvo, Toselli e Vaglio di cui al punto 3) all'o.d.g.
Non essendovi altre richieste di parola, indìco votazione palese su tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale viste le conclusioni del Consiglio Europeo nella riunione del 17 febbraio 2003 a Bruxelles, approvate all'unanimità con il forte e convinto contributo del Governo italiano che qui integralmente si richiamano impegna il Presidente e la Giunta regionale a chiedere al Governo italiano di proseguire nell'attività sin qui svolta in piena sintonia con il menzionato documento del Consiglio Europeo" Il Consiglio approva Esaminiamo l'ordine del giorno n. 731 presentato dai Consiglieri Papandrea e Contu.
Non essendovi richieste di parola, indìco votazione palese su tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale valutato che i rischi di guerra in Iraq si fanno via via più drammatici nonostante le opposizioni sempre più ampie dei popoli e di molti e di molti governi a livello europeo e mondiale che le ragioni che spingono gli USA e i governi più vicini alle posizioni dell'amministrazione americana sono cambiate, poiché ormai non si tratta più della necessità di disarmare l'Iraq ma di destituire Saddam Hussein che in Iraq, come in molti altri Paesi del mondo, esiste un governo dittatoriale, ma che compito delle Nazioni Unite non è imporre con la forza cambi di governo, e a maggior ragione ciò è inaccettabile se diventa l'obiettivo di un singolo o più Paesi, come ha dichiarato con nettezza il Ministro degli Esteri della Santa Sede, Monsignor Thuran esprime la sua incondizionata condanna dell'aggressione all'Iraq in qualsiasi modo essa venga giustificata, cioè sia come azione unilaterale del Governo Bush e dei suoi alleati, sia che avvenga sotto l'egida ONU il suo appoggio al più vasto movimento contro la guerra, che si è espresso da molti decenni a questa parte, e alla sua proposta di NO alla guerra senza SE e senza MA".
Il Consiglio non approva.
Passiamo ora all'ordine del giorno n. 732 presentato dai Consiglieri Marcenaro, Raggio, Manica, Giordano, Riba, Placido, Di Benedetto, Ronzani Suino, Muliebre, Tapparo, Caracciolo e Moriconi.
Non essendovi altre richieste di parola, indìco votazione palese su tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio Regionale nella presente situazione in cui appare possibile pervenire alla definitiva eliminazione delle armi di distruzione di massa eventualmente detenute dall'Iraq, senza ricorso alla guerra apprezzando la decisione del Consiglio di sicurezza dell'ONU di proseguire le ispezioni valutando positivamente il documento approvato dal Consiglio europeo il 17 febbraio 2003 sottolineando il valore straordinario della partecipazione popolare alle manifestazioni per la pace svoltesi in tutto il mondo, che interpretano un larghissimo orientamento delle opinioni pubbliche di tutti i paesi condividendo il richiamo del Capo dello Stato ai consolidati capisaldi della politica estera, della Repubblica ed alla Costituzione riconoscendo il grande valore morale delle dichiarazioni e iniziative della Santa Sede confermando la contrarietà alle dottrine e ipotesi di «guerre preventive disapprovando la conduzione politico-diplomatica della crisi nelle scorse settimane da parte del Governo impegna il Governo regionale ed il suo Presidente a farsi interprete presso il Governo nazionale della necessità di sostenere il rafforzamento delle ispezioni delle Nazioni Unite volte all'effettivo smantellamento degli armamenti proibiti eventualmente identificati dalle ispezioni stesse a non dare per scontato uno scenario di guerra che non c'è e che va scongiurato a non fornire alcun supporto politico, diplomatico, operativo e logistico a qualunque azione che configuri un coinvolgimento dell'Italia in direzione della guerra a operare per rendere piena ed efficace l'unità politica e strategica dell'Unione europea anche alla luce delle indicazioni contenute nel documento conclusivo del Consiglio europeo del 17 febbraio 2003 e per rendere piena la responsabilità delle Nazioni Unite nella risoluzione della crisi irachena ad assumere nuove e concrete iniziative per riprendere il processo di pace in Medio Oriente e risolvere il conflitto israelo-palestinese a non assumere in ogni caso alcuna determinazione circa gli sviluppi futuri della crisi irachena senza la preventiva autorizzazione del Parlamento.
Il Consiglio non approva Prima di aggiornare la seduta chiedo all'Assemblea di prendere atto dell'intesa raggiunta in sede di Conferenza dei Capigruppo.
L'intesa prevede che i provvedimenti, che sono stati richiamati in aula senza l'esame in Commissione, ritornino in Commissione per giungere poi, in tempi brevis simi, alla stesura di un testo da sottoporre all'aula.
Se l'aula acconsente rimanderei in Commissione le seguenti provvedimenti: proposta di legge n. 297 "Sviluppo in Piemonte del sistema di trasporto pubblico filoviario per ridurre l'inquinamento atmosferico ed acustico per migliorare la mobilità urbana ed extraurbana" del Consigliera Tapparo il disegno di legge n. 383 "Modifiche alla legge regionale 24 gennaio 2000 n. 3 (Interventi finanziari per il miglioramento dei servizi complementari al trasporto pubblico locale) della Giunta regionale" e la proposta di legge n. 225 "Interventi per il miglioramento dei servizi complementari al trasporto pubblico" del Consigliere Giordano.
Fisserei, di intesa con il Presidente della Commissione, il Consigliere Costa, l'esame di questi punti all'o.d.g. nella seduta della II Commissione convocata per giovedì alle ore 15.
L'aula acconsente La seduta è tolta



(La seduta ha termine alle ore 18.32)



< torna indietro