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Dettaglio seduta n.251 del 01/10/02 - Legislatura n. VII - Sedute dal 16 aprile 2000 al 2 aprile 2005

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE RIBA



(Alle ore 9.30 il Vicepresidente Riba comunica che la seduta avrà inizio alle ore 10.00)



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE COTA



(La seduta ha inizio alle ore 10.19)



PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Botta, Burzi, Caramella, Ghigo Riggio, Rossi Giacomo e Rossi Oreste.


Argomento: Industria (anche piccola e media) - Problemi del lavoro e della occupazione

Comunicazione dell'Assessore Pichetto sulla situazione FIAT


PRESIDENTE

Passiamo all'esame del punto 2) all'o.d.g. che prevede la comunicazione da parte dell'Assessore Pichetto relativa a "Crisi del settore automotive e gli effetti sul sistema economico piemontese." La parola all'Assessore Pichetto.



PICHETTO Gilberto, Assessore all'industria e al lavoro

Della crisi del settore automotive e degli effetti sul sistema economico e produttivo piemontese, con particolare riguardo alle ricadute sull'indotto, ho riferito il 19 settembre scorso ai Colleghi della VII Commissione Permanente.
Richiamerò dunque gli aspetti più salienti già comunicati in quella sede, aggiornando la situazione sulla base degli elementi emersi negli ultimi giorni, con l'avvertenza che si tratta di una realtà chiaramente in evoluzione, per la quale appare, ad oggi, ancora difficile se non impossibile, porre un punto fermo e dare una giudizio definitivo.
La difficile congiuntura del mercato automobilistico e le ripercussioni che essa sta avendo sulla prima industria italiana e su tutto l'indotto ad essa legato, che è in particolarmente concentrato in provincia di Torino pone rilevanti interrogativi sull'impatto che tale situazione può avere sull'intera economia piemontese.
E' pur vero che l'incidenza del settore dei mezzi di trasporto ha assunto nel tempo, in seguito alla diversificazione dell'economia piemontese, una dimensione quantitativa assai meno significativa di quella storica, per quanto ancora rilevante: l'incidenza della filiera autoveicolistica sull'economia regionale, compresa anche la produzione di veicoli industriali, è ragionevolmente stimabile a circa il 4% del prodotto lordo piemontese, anche se negli scambi commerciali del Piemonte con l'estero rappresenta ancora una quota più consistente, superiore al 20%.
Ciò indubbiamente spiega come, sulla base delle proiezioni del Centro Studi Unioncamere, attualmente si preveda che il PIL 2002 scenda in Piemonte dello 0,5 %, a fronte di un quadro nazionale che vede tutte le altre regioni in crescita seppure limitata (la Lombardia fa segnare un più 0,2 %), con un dato nazionale che si stima attorno al più 0,7 %.
Se il settore automotive costituisce indubbiamente il punto di crisi più evidente, anche per l'attenzione che richiama dai media e dall'opinione pubblica, tuttavia non possiamo dimenticare che su tale prestazione negativa del PIL, la prima dopo numerosi anni di crescita, si ripercuote anche l'andamento preoccupante di altri settori, come ad esempio il tessile che fa registrare una caduta di ordinativi stimata tra il 30 % per le lavorazioni a monte (pettinatura) e del 10 % per quelle a valle (abbigliamento).
L'apertura internazionale del sistema economico piemontese è ormai un fatto accertato, dal momento che le nostre esportazioni si attestano sui 30 miliardi di euro all'anno, pari a circa un quarto del PIL. Ciò comporta però, una forte sensibilità del Piemonte alle fasi negative del ciclo internazionale. Il ritardo nel profilarsi della ripresa dei mercati mondiali, denunciato da tutti gli analisti, ha dunque conseguenze forti per il nostro sistema che, tuttavia, per la ormai acquisita diversificazione, e per i livello qualitativo dei prodotti di alta fascia su cui si colloca dovrebbe anche essere pronto a raccogliere in modo tempestivo i frutti dell'inversione di tendenza.
Rispetto all'andamento negativo del settore auto a livello mondiale, si deve purtroppo rimarcare come il mercato italiano sia stato colpito più di altri (meno 13,4% nel primo semestre 2002, contro il meno 4,5% nell'Unione Europea). Di conseguenza il Gruppo Fiat ha fatto registrare, sul mercato europeo, performance particolarmente pesanti rispetto ad altre grandi case (meno 29,5 % nel primo semestre, contro meno 6% di Volkswagen, meno 5% di Ford, meno 11,7% di Renault).
Questi risultati - che sembrano lievemente migliorati nei mesi di luglio/agosto, sulla base dei primi dati disponibili - uniti a quelli già critici della seconda parte del 2001, riflettendosi sull'equilibrio finanziario di Fiat Spa, hanno indotto a valutare l'opportunità e i costi di una strategia che, per salvaguardare le quote di mercato, poneva seri vincoli sul fronte della sostenibilità dell'indebitamento.
Con l'avvento della nuova dirigenza è stata invece avviato un programma di contenimento dei costi, anche per ottenere risorse da destinare agli investimenti - Fiat ha annunciato di voler far uscire 20 nuovi modelli entro il 2006. Tale programma, sul piano occupazionale, ha finora comportato un impatto sociale abbastanza "controllato", dal momento che gli esuberi nelle aziende del Gruppo sono stati attutiti dai meccanismi di mobilità/accompagnamento alla pensione.
Non è così certo, purtroppo, che la volontà di Fiat Auto di proseguire sulla strada del contenimento della capacità produttiva che, secondo l'AD Boschetti, è ancora eccedente di almeno il 20%, possa avvenire con modalità altrettanto garantite.
Per quanto riguarda il coinvolgimento della componentistica piemontese cui Fiat ha richiesto una riduzione dei costi del 3,5 %, una misura che appare fortemente penalizzante - possono sussistere effetti negativi dovuti sia ad una eventuale riduzione dei volumi produttivi di Fiat Auto, sia alle conseguenze dell'accordo GM-Fiat Auto, che oggi sembra andare verso un'accelerazione rispetto ai tempi previsti, a partire dalla disponibilità di GM a valutare un'anticipazione della scadenza del 2004 per l'esercizio della opzione di cessione.
Si deve osservare come la componentistica piemontese sia divenuta sempre più indipendente da Fiat in termini di forniture e abbia raggiunto livelli qualitativi nel prodotto e nell'organizzazione, grazie ai processi di selezione e di crescita guidata, tali da renderla competitiva, grazie anche ad un livello di costi relativamente favorevole, nel quadro internazionale del settore.
Questa capacità di diversificazione dei mercati, che si è tradotta in un crescente flusso di esportazioni, di cui oltre il 70% verso la Germania la Francia, il Regno Unito, la Spagna e altri paesi dove Fiat Auto non è presente con propri stabilimenti, grazie alla capacità di innovazione e ai crescenti standard di qualità, ha reso le imprese della componentistica assai meno dipendenti dal tradizionale cliente dominante e, quindi, meno esposte alle sue criticità.
E ancora, la flessibilità, elemento costitutivo fondamentale delle piccole imprese, già può aver loro consentito, alla percezione delle criticità dell'auto, la ricerca ed il conseguimento di nuovi mercati o di nuovi clienti.
Recenti analisi sulle trasformazioni della filiera indicano infatti come nel corso dei processi di selezione e rafforzamento delle imprese della componentistica, la riduzione del numero dei fornitori ed il passaggio dalla fornitura di singoli particolari a quella di moduli e sistemi, hanno necessariamente indotto, soprattutto le piccole e medie, che in precedenza non ne erano dotate, a una implementazione delle fasi di progettazione e di sviluppo.
Il consolidamento del tessuto imprenditoriale delle piccole e medie imprese è, del resto, l'azione su cui si sono concentrate maggiormente le politiche industriali della Regione nell'ultimo decennio, sia mediante l'utilizzo dei fondi strutturali, sia con risorse proprie.
In particolare, tali azioni hanno puntato ad: aumentare la qualità dei prodotti e dei processi produttivi aumentare il grado di innovazione e gli investimenti in ricerca e sviluppo sostenere la qualificazione e l'aggiornamento delle risorse umane rafforzare la propensione alla proiezione sui mercati esteri diversificare il tessuto produttivo, con particolare riguardo alle nuove tecnologie, all'informatica, all'aerospaziale, alle biotecnologie rafforzare la struttura finanziaria e patrimoniale delle imprese.
Oggi, numerosi riscontri danno testimonianza dei risultati ottenuti anche con l'azione della Regione, che ha certamente contribuito alla capacità reattiva del sistema produttivo, alla capacità di assorbire dinamicamente e in positivo i costi produttivi e sociali della trasformazioni in atto.
Non è detto che ciò che è stato possibile nella precedente fase economica lo sia nuovamente in quella in corso, specie se la ripresa economica tardasse a profilarsi, ma l'aver già sostenuto con buoni risultati le sfide della riconversione di sistema rappresenta comunque un indizio favorevole anche per il futuro.
L'analisi centrata sul comparto automobilistico non può che partire dai dati sugli esuberi previsti attualmente, sulla base dei dati raccolti dallo Sportello regionale che è stato appositamente attivato in materia presso gli uffici della Direzione Formazione Professionale - Lavoro.
Sulla base degli elementi attuali la previsione di esuberi nel comparto auto è, in Piemonte, di 3.385 addetti, di cui 2.255 derivanti da procedure di mobilità del Gruppo Fiat, e 1.130 dall'indotto.
A questi dati vanno però aggiunti quelli relativi alle procedure di CIG Straordinaria nella filiera di settore, che hanno coinvolto complessivamente 1.856 lavoratori tra gennaio 2001 e settembre 2002.
Si tratta di soggetti ad elevato rischio di disoccupazione, anche se risultano ancora formalmente in carico all'azienda, una parte dei quali sarà probabilmente messa in mobilità allo scadere del periodo di copertura della CIG.
Non va infine trascurato il fatto che nel corso del 2001 si sono perfezionate varie pratiche di mobilità, che riguardano la stessa FIAT Auto, ma anche importanti imprese dell'indotto, che hanno interessato non meno di 2.000 addetti.
D'altra parte è noto che processi "naturali" di ridimensionamento dell'occupazione industriale nell'area produttiva in esame sono in corso già da tempo. L'attuale crisi era già stata, in sostanza, ampiamente annunciata, e i suoi effetti già parzialmente preventivati ed assorbiti dal sistema delle imprese collegate al gruppo industriale torinese.
Le prospettive dell'industria automobilistica in Piemonte vanno comunque affrontate con la più puntigliosa attenzione alla ricerca di soluzioni positive, perché riguardano il lavoro di migliaia di persone, la vita di migliaia di famiglie e il futuro di un consistente patrimonio di competenze, perché rappresentano un nodo cruciale delle trasformazioni del sistema economico nazionale e regionale, perché costituiscono un banco di prova delle relazioni industriali e delle relazioni istituzionali.
Con riguardo alla più generale situazione occupazionale, i dati ISTAT riferiti al periodo gennaio-luglio segnalano in Piemonte un lieve aumento di 2.000 occupati, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente addirittura in miglioramento rispetto il primo quadrimestre gennaio-aprile che aveva fatto registrare una flessione di 8.000 occupati.
E' un dato che testimonia la sostanziale stabilità del mercato occupazionale, con un discreto incremento del terziario (più 7.000), una tenuta dell'industria, che perde 1.000 addetti, e un ulteriore arretramento dell'agricoltura, che ne perde 5.000.
Il decremento si concentra nel lavoro dipendente, che perde 15.000 addetti nel comparto industriale mentre ne guadagna 2.000 nel terziario. Il lavoro autonomo è dato in crescita sia nell'industria che nei servizi, e anzi, in misura notevole proprio nel secondario, dove un aumento di 15.000 autonomi bilancia perfettamente la perdita di lavoratori dipendenti - sui 15.000 autonomi si devono vedere i livelli di precarietà, naturalmente questo è un dato che ha una valenza matematica.
La disoccupazione si mantiene sostanzialmente invariata e il tasso relativo si attesta al 5% (3,6% per gli uomini e 7,4% per le donne).
I processi di riorganizzazione in atto nel settore industriale, in sostanza, alimentano in prevalenza un flusso verso l'inattività, con un'incidenza molto contenuta sui livelli di disoccupazione, e sembra operare con una buona efficacia, per il momento, il sistema di ammortizzatori sociali messo in campo. Il terziario risponde al frangente attuale ampliando i margini di flessibilità, con il ricorso a forme di impiego atipiche, secondo una tendenza già consolidata da più anni.
Non si tratta di drammatizzare la situazione attuale, che presenta caratteri pre-recessivi ma si colloca in un contesto ancora relativamente solido, dopo una fase di accentuata espansione occupazionale. Tuttavia, i rischi di imboccare una china discendente sono ben presenti e non vanno sottovalutati: si impone, in questo senso, una risposta forte e compatta delle istituzioni e delle parti sociali sia nei confronti del governo perché mobiliti risorse adeguate e fornisca degli strumenti idonei ad un'azione efficace, sia a favore dei lavoratori, per dare fluidità ai processi di ricollocazione necessari e garantire un sostegno economico alle fasce più deboli.
La Regione, con il concorso delle amministrazioni locali e delle parti sociali, ha elaborato fin dal maggio scorso un "Progetto Piemonte" contenente le linee di intervento sia per le politiche attive del lavoro sia per lo sviluppo industriale, atte a rispondere in modo complessivo alla crisi in atto.
Su questi elementi sono stati attivati due "tavoli di lavoro" che, nei mesi scorsi, hanno messo a punto una serie di interventi e delineato strategie d'intervento che sono già state, in parte, sottoposte all'attenzione del Governo.
In particolare il tavolo dedicato allo "sviluppo", ha esaminato la situazione di difficoltà derivante dalla scarsa liquidità delle PMI appartenenti al settore della componentistica auto.
Per ovviare a tale situazione critica, il dialogo con le parti sociali con il contributo dei consorzi garanzia fidi, ha permesso di individuare un rimedio nella costituzione di un fondo speciale di garanzia, per facilitare l'accesso al credito alle PMI operanti nella filiera dell'auto, quale strumento efficace e di non difficile attuazione.
La proposta scaturita è stata valutata con i rappresentati del sistema bancario, che hanno sostanzialmente espresso un giudizio positivo, e a tale scopo è stata inoltrata richiesta al Ministro delle Attività Produttive Marzano, al fine di garantire uno stanziamento finanziario di 50 milioni di euro necessari per la costituzione del fondo.
Ne potranno beneficiare le PMI che operano nella produzione di prodotti e/o nella fornitura di servizi destinati ad aziende del settore auto il cui fatturato, negli ultimi 12 mesi, sia stato almeno pari al 30% per tale settore.
Il tasso dell'operazione finanziaria proposto al sistema bancario è l'euribor a 6 mesi più uno spread compreso tra lo 0,25% e lo 0,75%.
Le garanzie saranno rilasciate dai confidi destinatari delle risorse nella misura massima del 60%.
Sempre nel quadro delle politiche industriali si colloca, in un orizzonte però di medio periodo, la volontà della Giunta regionale di elaborare un Testo Unico delle leggi regionali del settore Industria, con la riorganizzazione dell'intero meccanismo degli incentivi, il rafforzamento al sostegno di sistema, il riconoscimento delle filiere produttive - tra cui certamente l'automotive.
Questo nasce anche da una considerazione: il tempo di approvazione dei tre blocchi di norma (quello relativo alle aree, quello relativo all'incentivo e quello relativo ai distretti) è stato tale per cui, nel frattempo, è giunta la modifica costituzionale e quindi la possibilità di inserire ulteriori elementi. Su questo chiederei al Consiglio e alla Commissione di riprendere quanto esaminato - peraltro uno dei disegni di legge è già in aula - e ricomporlo con i dati e anche le innovazioni che nei due anni sono intervenute.
Il tavolo dedicato alle "politiche del lavoro" ha, in primo luogo quantificato il rapporto fra gli occupati nell'indotto auto direttamente collegati all'attività del produttore nazionale e gli occupati operanti nella FIAT Auto, per dimensionare le ricadute della crisi nella casa madre su tutta la filiera automobilistica.
Questo rapporto, che va ovviamente inteso come riferimento di larga massima, sarebbe pari a 1,14. Su questa base, calcolando per opportunamente un margine di oscillazione verso l'alto, si sono ipotizzati in 3.200 - 4.000 gli esuberi potenziali nell'indotto determinati dalle scelte del Gruppo Fiat, a cui andrebbero aggiunte 4/500 unità operanti nell'area dei servizi direttamente complementari all'attività produttiva (mense pulizie, etc.). Questo in un orizzonte temporale limitato a tutto il 2002 perché lo sviluppo della situazione è difficilmente prevedibile, date le incognite in gioco.
Nel complesso, dunque, il numero dei lavoratori messi oggi a rischio compreso il Gruppo Fiat, oscilla fra 6.000 e 7.500 circa, una buona parte dei quali, però, prossimi all'età pensionabile.
Tale quantificazione si è resa necessaria per elaborare un programma di azioni in materia di ricollocazione, rivolte sia agli occupati altamente a rischio di disoccupazione, in funzione preventiva, sia ai soggetti che hanno perso il posto di lavoro, in funzione "curativa", che il tavolo tecnico deve ancora esaminare nei dettagli.
Tale programma va messo a punto e coordinato dalla Regione Piemonte quale soggetto competente per la programmazione sul territorio, in stretto raccordo con le Province, d'intesa con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, viste le evidenti implicazioni sull'intero sistema economico nazionale, per il tramite dell'Agenzia Italia-Lavoro, organismo strumentale del Ministero.
Un progetto di ricollocazione si deve rivolgere a una pluralità di soggetti: le imprese con problemi di riorganizzazione e possibili eccedenze di manodopera la popolazione interessata, con riferimento: alle persone che hanno perso lo status di occupato alle persone che non hanno ancora interrotto il rapporto di lavoro con le aziende in crisi, ma risultano ad alto rischio di disoccupazione le imprese che possono essere interessate ad assorbire la forza lavoro proveniente dalle aziende in crisi perché funzionale ai loro progetti di sviluppo.
Tali iniziative si inquadrano pienamente tra le misure già in atto nell'ambito del Programma operativo regionale 2000-2006 per il Fondo Sociale Europeo. La prossima riprogrammazione di medio periodo del POR sarà un'ulteriore occasione di adeguamento all'evoluzione del mercato del lavoro in Piemonte.
La portata delle risorse necessarie impone tuttavia un intervento straordinario del Governo, con l'assegnazione di risorse aggiuntive che sono state calcolate in circa 16 milioni di euro.
Appaiono inoltre indispensabili azioni di natura istituzionale, che assumono però un'urgenza particolare alla luce della situazione attuale e su cui occorre far convergere il confronto delle parti politiche e sociali della Regione.
Si tratta di iniziative finalizzate a limitare i danni che la fase critica può arrecare al sistema delle imprese e al tessuto socio-economico territoriale, e si inquadrano quindi in una logica essenzialmente difensiva.
Esse attengono, per sommi capi, ai seguenti punti che intendo sottoporre alla valutazione del tavolo tecnico.
Estensione della copertura temporale dei provvedimenti di Cassa Integrazione Ordinaria.
Le modalità di applicazione dell'istituto della Cassa Integrazione Ordinaria, che può essere utilizzata dalle imprese per un massimo di 52 settimane nell'arco di un biennio, appaiono inadeguate a fronteggiare con efficacia la presente congiuntura: molte imprese dell'indotto, infatti sono prossime all'esaurimento di tale riserva, e possono vedersi costrette alla conclusione del periodo di copertura della CIGO, ad attivare le procedure di mobilità.
Per far fronte a questa emergenza, è necessario presentare al Governo una proposta forte, sostenuta adeguatamente dalle parti sociali, per l'emanazione di un provvedimento straordinario, di carattere temporaneo per una proroga di almeno altre 52 settimane del periodo di copertura della Cassa Integrazione Ordinaria, dando così un po' di respiro alle imprese in questa fase altamente critica.
In tal senso ho già indirizzato una specifica richiesta al Ministro del Welfare Maroni.
Vorrei sottolineare che questa non è un'azione di politica del lavoro passiva, ma è un'azione di politica attiva del lavoro, per due motivi: primo, perché si da più spazio di tempo per la riorganizzazione aziendale secondo, ma non per ordine, perché è più facile psicologicamente portare informazione e quindi riconvertire professionalmente un lavoratore occupato rispetto a un lavoratore disoccupato.
Tutela dei lavoratori dimessi dalle imprese con meno di 15 dipendenti.
La legislazione attuale offre un sostegno piuttosto ampio al reddito dei lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti licenziati per motivi economici, con l'iscrizione alle liste di mobilità e la corresponsione di un'indennità per un periodo variabile, in relazione all'età del soggetto da uno a tre anni. Per le imprese al di sotto di tale classe dimensionale invece, l'unico sostegno è l'indennità di disoccupazione, inferiore a quella di mobilità, per un periodo massimo di sei mesi. Per ovviare, almeno parzialmente, a questa differenza di trattamento, il "Patto per l'Italia" recentemente sottoscritto, ma non ancora operativo, prevede un innalzamento del sussidio di disoccupazione e una sua estensione temporale fino a 12 mesi.
Nella congiuntura attuale, è molto elevata la possibilità che un numero consistente di lavoratori operanti nelle piccole imprese dell'indotto perdano il posto di lavoro, con tempi di reinserimento nel tessuto produttivo potenzialmente lunghi, se le condizioni economiche non dovessero ristabilirsi nel breve periodo. Un intervento straordinario a loro favore potrebbe quindi rendersi necessario, per evitare forti lacerazioni sociali in caso di aggravamento della crisi.
Applicazione dell'istituto dei contratti di solidarietà.
Lo strumento dei contratti di solidarietà potrebbe, in alcuni casi costituire una modalità efficace di intervento per consentire un superamento relativamente indolore della fase critica più acuta.
Revisione della L.R. n. 55/1984 in materia di cantieri di lavoro.
Si rende necessaria una rivisitazione di tale norma, già in fase avanzata di stesura da parte dell'Assessorato, in modo da poter disporre di uno strumento modificato e aggiornato sulla scorta dell'esperienza sviluppata in questi anni, per intervenire sulle aree sociali a rischio di marginalità.
I colleghi ricorderanno che già in Commissione, nel momento della discussione della delibera sui cantieri, era già stata fatta una prima valutazione relativamente alla legge regionale n. 55/1984.
Queste considerazioni intendono sollecitare una serena e meditata valutazione dei possibili effetti a scala regionale, e per Torino, tale da evitare la diffusione di aspettative negative e allarmistiche, che potrebbero tradursi in una più profonda crisi di fiducia dei consumatori.
Concludendo, da parte della Regione non vi è stata, e non vi sarà certamente, alcuna sottovalutazione dell'entità del processo e delle conseguenze anche gravi, sul piano sociale, economico, ma anche e soprattutto umano, che queste vicende potranno avere.
Tuttavia, l'analisi razionale, la ricerca pervicace delle soluzioni possibili, l'individuazione delle strategie di azione e la capacità di enti locali e forze sociali di fare il sistema per affrontare la situazione, appaiono a me come l'unica via percorribile, per assicurare alla nostra Regione una nuova stagione di sviluppo, superando anche il sistema che ha retto questa città per tutto il XX secolo.



PRESIDENTE

La ringrazio, Assessore Pichetto, per la sua relazione molto precisa e puntuale.
Ha chiesto la parola il Consigliere Caracciolo.



CARACCIOLO Giovanni

Forse io sono il meno esperto, tuttavia intervengo.
La relazione semestrale di Fiat S.p.A. indica, quale segno di una inversione di tendenza, la riduzione dell'indebitamento netto che, tra dicembre e giugno, sarebbe passato dalla cifra di 6.035 milioni di euro alla cifra di 5.788 milioni di euro. L'accordo quadro con le banche del maggio scorso (che è stato salutato in modo positivo dai mercati finanziari e dagli analisti, tanto è vero che sono state sospese le procedure di declassamento del rating del debito Fiat) prevede, come obiettivo finanziario del contratto, la riduzione dell'indebitamento netto al di sotto dei 3.000 milioni di euro entro l'approvazione del bilancio 2002 da parte del Consiglio di Amministrazione.
Quindi, allo stato attuale, ci troviamo davanti a questo quadro: da dicembre 2001 a giugno 2002 il debito Fiat si è ridotto di 247 milioni di euro, e ciò in seguito ad un aumento di capitale, alla cessione di una quota rivelante della Ferrari, alle dismissioni riguardanti l'indotto: Magneti Marelli, Teksid, eccetera.
Siamo ad ottobre e il debito, per rimanere nei termini del contratto siglato a maggio con le banche, si dovrebbe ridurre di almeno altri 2.788 milioni di euro entro la fine dell'anno.
Queste cifre ci indicano che la via è ancora tutta in salita e che il risanamento annunciato richiede molta ambizione e determinazione da parte del gruppo dirigente della Fiat.
Di fronte a questo quadro, l'annuncio fatto a Parigi da Boschetti della necessità di una riduzione del 20% o 30% della produzione, che si tradurrebbe in ulteriori tagli per migliaia di unità di posti di lavoro, e il contestuale annuncio della General Motors di essere pronta ad acquistare in anticipo sulla scadenza dell'opzione del 2004 la quota rimanente di Fiat Auto, e la conseguente oscillazione del titolo Fiat sui mercati lasciano poco spazio ad ulteriori interpretazioni. Siamo di fronte ad una corsa che ha, come obiettivo, quello della determinazione del prezzo al quale la Fiat Auto verrà ceduta forse già prima del termine stabilito a General Motors.
Appare evidente anche, di fronte all'enormità delle cifre, che l'impegno pubblico non risulta più sufficiente a raddrizzare la situazione che si è prodotta. Tanto meno in epoca di globalizzazione e di grande concentrazione industriale e finanziaria si può pensare ad un'azienda automobilistica che rimanga nei confini nazionali produttivi e di mercato.
In effetti, anche gli incentivi concessi dal Governo per la rottamazione hanno avuto, da un lato, l'effetto negativo di contrazione della domanda nel periodo del loro annuncio e sono risultati inefficaci di fronte alla reazione della concorrenza, mentre per ciò che riguarda altri tipi di intervento pubblico sembra evidente che oggi è impossibile per qualunque azienda prosperare sulla base delle Commissioni statali, a meno che non si tratti di produzione militare. I destini aziendali oggi vengono decisi dai mercati e anche Fiat Auto non può sottrarsi da questa realtà.
Altra causa è intervenire sul recupero delle risorse umane delle capacità ed esperienze acquisite attraverso la formazione e la riconversione della forza lavoro. Intervenire sul patrimonio tecnologico delle conoscenze, della progettazione per evitare che vada persa una tradizione produttiva caratteristica non solo per Torino e per il Piemonte ma per l'intero Paese.
Ed è in questa direzione che, a mio avviso, si deve concentrare lo sforzo dell'intervento pubblico e della Regione. Ciò riguarda la Fiat Auto ma riguarda soprattutto il comparto dell'indotto. Si tratta, quindi, di evitare che le piccole e medie imprese della componentistica per l'auto subiscano in modo diretto i contraccolpi negativi della crisi Fiat intervenendo con azioni di sostegno sulla formazione delle risorse umane e con supporti mirati alle imprese in difficoltà, compatibilmente con le risorse disponibili nelle regole di mercato.
Sarebbe anche opportuno, in questa fase, seguire con attenzione il processo di dismissione di Fiat Auto. A questo proposito, la vendita del Settore Alluminio della Teksid S.p.A. al fondo azionario privato americano (Questor Management Company) suscita qualche apprensione. È importante certamente attirare finanziamenti internazionali nella nostra area, ma è estremamente importante non perdere in modo assoluto le leve del controllo. Diventa fondamentale in questa prospettiva riuscire a mantenere sul territorio nazionale almeno il controllo delle attività strategiche e decisionali delle aziende dimesse, poiché se queste vengono trasformate in filiali periferiche di aziende estere saranno destinate a subire gli effetti più gravi di eventuali processi di ristrutturazione, questo oggi è purtroppo nella stessa logica della globalizzazione.
Torino è da decenni indicata come area forte dell'auto e della sua componentistica. Inoltre, è considerata in molti studi come area ideale per lo sviluppo della tecnologia avanzata. Queste prerogative non sono necessariamente legate alle sorti di Fiat Auto, anche se certamente è grazie ad esse che si sono potute sviluppare. Dobbiamo evitare che ancora una volta una tradizione industriale del Piemonte sia legata alle sorti di un nome di famiglia (vedi Olivetti). Bisogna sostenere e sviluppare le caratteristiche più peculiari dell'area torinese, incentivare la creazione di sinergie e connessioni tra strutture di ricerca, sviluppo, progettazione dell'automazione manifatturiera e dei servizi, fino ai servizi di logistica e quelli finanziari, con l'obiettivo di offrire solide garanzie agli investitori esteri e permettere alle piccole e medie imprese impegnate nella produzione dell'indotto dell'auto la partecipazione a strategie di immissione in circuiti internazionali di mercato e di multinazionalizzazione. Ben vengono, quindi, anche forme di consorzio e fondi speciali che vadano ad incentivare lo sviluppo della piccola e media impresa della filiera dell'auto. Ma ciò che deve essere chiara e determinata negli obiettivi, è una politica industriale che sappia promuovere lo sviluppo di quest'area nelle sue peculiarità più positive.
Altrimenti, anche questa forma di sostegno finirà per lasciare il tempo che trova, come già accaduto con gli incentivi alla rottamazione dell'auto.
Soltanto in questa prospettiva, in una Torino area europea avanzata dell'auto e polo di attrazione tecnologico, di ricerca e di sviluppo anche per altre case automobilistiche, la presenza di un colosso della competizione nei mercati globali, qual è la General Motors, pu trasformarsi per il Piemonte in una nuova opportunità di crescita e di sviluppo e non presentarsi come l'ennesima minaccia al posto di lavoro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Papandrea.



PAPANDREA Rocco

La relazione illustrata dall'Assessore contiene elementi di preoccupazione, percepiti - mi pare - anche dalla relazione stessa, quando dice che le prossime scadenze, i prossimi momenti di "dimagrimento" che la FIAT Auto deciderà potranno avere conseguenze peggiori di quelle avute finora.
Ritengo che questo, da un punto di vista quantitativo, ma anche per altre ragioni, sia vero.
Con le ultime riduzioni avvenute nel gruppo FIAT, le ultime messe in mobilità, si è intaccata quasi totalmente la riserva dei lavoratori che potevano accedere alla pensione, pertanto le ulteriori riduzioni di personale diventeranno licenziamenti secchi, anche se finora questo fenomeno è stato attenuato.
E' evidente che questa è la prospettiva; se interpretiamo i fatti e gli annunci della direzione della FIAT possiamo constatare che si va in questa direzione.
Nel corso del 2002 siamo andati verso un aggravamento costante della situazione e gli accordi di luglio su FIAT e Powertrain hanno portato come dice la relazione - un ulteriore ridimensionamento del gruppo, con l'espulsione di 3.500 lavoratori, ai quali ne seguiranno, a cascata, molti altri nell'indotto.
Boschetti ha annunciato un'eccedenza di capacità produttiva del 20% e questo è un ulteriore elemento concreto che dice che quanto è stato fatto finora è poco.
Infatti, il 20% della capacità produttiva rappresenta uno stabilimento come quello di Mirafiori; probabilmente, chiudere quello stabilimento è nelle intenzioni di chi decide le sorti della FIAT.
Si è parlato, poi, di "almeno il 20%", quindi probabilmente è in ballo il ridimensionamento di tutte le produzioni al Nord, anche quella che resta ad Arese. Tra l'altro, forse molti non sanno che ad Arese si produce la macchina ecologica, quella che dovrebbe salvare le produzioni. Invece, ad Arese stanno peggio che a Torino! La possibilità della chiusura dello stabilimento di Mirafiori trova ulteriore conferma nel fatto che in questi ultimi vent'anni gli annunci di questo genere - un'eccedenza di capacità produttive - si sono trasformati in chiusure di stabilimenti. Possibilità che continua a non essere presa in considerazione, ma che rappresenta l'elemento certo e più preoccupante.
La dimensione occupazionale di Mirafiori è ancora molto pesante e una parte significativa dei lavoratori che saranno coinvolti in questo processo difficilmente troverà ricollocazione. Tra l'altro, si tratta di lavoratori a reddito elevato, per quanto riguarda la ripercussione sull'economia regionale, ma che non troveranno una collocazione in una regione come il Piemonte, dove le direzioni delle grandi aziende, dalla Telecom all'Olivetti, si sono trasferite altrove.
Non vedendo, dunque, una possibilità di ricollocazione, considero questa situazione drammatica.
La realtà dice con chiarezza che chi sta prendendo le decisioni è la General Motor, perché non ha senso - lo sostengo da tre anni, ma lo ribadisco perché si tenta ancora di mascherare questa situazione - un annuncio come quello di Boschetti, se non all'interno di un'azienda collocata in un gruppo più ampio.
Un'azienda che decide di avere una propria dimensione autonoma sul mercato, sa benissimo che non può ridurre le capacità produttive, ma che deve, al contrario, aggredire il mercato, tentando di aumentarle. Pertanto se la FIAT Auto decide di fare un'operazione come quella annunciata, è perché sta dentro un gruppo molto più ampio (la General Motor), che razionalizza il suo impero e, per quanto riguarda la FIAT, decide.
La situazione è preoccupante perché le scelte del vertice della General Motor sono abbastanza chiare: si vuole fare in modo che, al momento dell'acquisto della FIAT, questi fatti, compresa la chiusura di Mirafiori siano irreversibili per non doverli gestire direttamente come gruppo.
E' preoccupante che a livello istituzionale si continui a non affrontare il tema di chi sta decidendo; non è secondario il fatto di parlare con chi decide, è criminale che in questi tre anni non sia stato fatto, ma diventa sempre più criminale continuare a non farlo.
Con la General Motor si può parlare! Il Governo svedese ha parlato con la FORD, non capisco perché noi non riusciamo a parlare! Non è impossibile e se non lo si fa è perché non lo si vuole fare e si accetta quanto sta avvenendo come un processo inevitabile.
Altra questione: intorno allo smantellamento della FIAT occorre tenere presenti due aspetti. Uno è stato affrontato: quello della componentistica.
Ritengo ci sia un eccessivo ottimismo riguardo alla riduzione delle capacità produttive al Nord, perché io penso che avrà effetti catastrofici sull'indotto.
Anche se alcune aziende riusciranno a sopravvivere nella competizione e nell'esportazione, molte non ce la potranno fare. Ci sono pezzi di componenti dell'auto che non possono viaggiare centinaia o migliaia di chilometri; pensate ai paraurti, ai sedili delle auto, che hanno senso se collocati intorno ai poli produttivi. Alcune aziende che producono determinati pezzi forse riusciranno a salvaguardarsi, ma, in ogni caso conosceranno una crisi spaventosa perché perderanno immediatamente il principale cliente, e questo non è poco per un'azienda.
Questo è un aspetto dell'indotto e del sub-indotto e ha dimensioni enormi.
L'altro aspetto è il resto del gruppo FIAT, perché intorno alla crisi che ha conosciuto l'auto sta avvenendo lo smantellamento del resto del gruppo FIAT; anche le produzioni di pezzi pregiati, strutturalmente in crisi, vengono abbandonate a se stesse e cedute.
Il Consigliere Caracciolo ha citato la Teksid; attenzione, perché della Teksid è stata ceduta la parte "buona"; la parte "non buona" non è stata ceduta! L'aver disaggregato il gruppo è evidentemente pericoloso, ma questo è avvenuto fortemente nella Magneti Marelli, ma può avvenire anche per l'Iveco. Possiamo accettare che l'Iveco, grande presenza industriale in Piemonte, segua le sorti decise dalla famiglia Agnelli, per propri problemi finanziari, e non ci preoccupiamo del futuro degli insediamenti produttivi e di tutto quello che c'è intorno? Non entriamo nel merito di capire cosa e con chi si debba agire. Non è possibile accettare una situazione del genere. Deve esserci un intervento diverso, qualitativamente diverso. Un aiuto pubblico a sostegno dello smantellamento della FIAT non serve a nulla, non è servito a nulla in tutti questi anni e continua a non servire; non può servire continuare ad assistere privati che hanno dimostrato di portare al fallimento la più grande esperienza industriale del nuovo Paese (perché di questo si tratta). Occorre riflettere per non permettergli più di continuare a fare quello che vogliono, per quanto riguarda le aziende costruite da tutti (che sono un bene comune), ma anche interrogarci se il futuro della FIAT sia ormai fuori discussione, sia deciso e noi, come Istituzioni, non possiamo più intervenire. Decidere o meno di avere un'industria autonoma nel settore automobilistico è fondamentale, è una delle caratteristiche di un Paese e della sua collocazione nell'arco della competizione mondiale, soprattutto perché in Italia è l'ultimo pezzo industriale significativo che resta.
Possiamo accettare di diventare, semplicemente, un Paese che ha come modello le aziende del nord-est? Credo di no.
Su questo, quindi, occorre intervenire con un'operazione diversa, molto più secca e più forte del pubblico, che non vada ad accompagnare, ma a limitare le possibilità di decisione e ad intervenire laddove sia possibile decidere.
Questo è, sicuramente, un tema su cui occorrerà discutere e riflettere nel prossimo periodo.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Tapparo; ne ha facoltà.



TAPPARO Giancarlo

La grave crisi FIAT cade in un contesto, economico e sociale, diverso dalla grave crisi del 1980. Oggi abbiamo una situazione di sostanziale recessione, con un'ipotesi di guerra che potrebbe aggravare lo scenario. A differenza di vent'anni fa, oggi c'é una diversa configurazione del mercato dell'auto, dovuta all'introduzione di produttori dall'estremo oriente, che pesa sul mercato europeo ed italiano.
Ci sono forti indicatori che segnano, per il Piemonte, una situazione di difficoltà: sono indicatori demografici e dell'andamento del PIL. Non basta, Assessore, dire che il PIL si è mantenuto costante, occorre vederne il contenuto. Essendo una valutazione convenzionale, lei sa benissimo che spostandoci da attività innovative, o industriali, o esportare un PIL per i servizi alla persona, rischiamo di trovarci in una diversa robustezza del sistema economico. Una volta spogliato il Piemonte del sistema della grande impresa, non è possibile sostituirlo con il fiorire di una pluralità di piccole e piccolissime imprese perché, in un sistema industriale avanzato la presenza della grande impresa è importante.
In un convegno sull'informativa a cui ieri ho partecipato, si è parlato del fatto che l'informatica, come l'energia elettrica, è indicatore dall'andamento dei consumi di una società. Da tutto questo discorso è emerso che i servizi informatici in Piemonte sono in calo o servono attività fuori dal Piemonte. Questo è un indicatore che segna, come è stato evidenziato nel convegno, come la direzione di una banca importante come la CRT con l'infausto accordo con la Cassa di Risparmio di Verona e il passaggio all'Unicredit, abbia tolto uno dei centri importanti di informatica. Lo stesso discorso vale per la Telecom e per la SAI. E' successo che si sposta il centro direzionale della SAI, nata a Torino nel 1921, e non c'é nessuno, probabilmente se c'è da salutare un nuovo tipo di salume o di qualche altra cosa si muove anche il Presidente Ghigo, ma dinnanzi a quei fatti non succede nulla. La Rai traballa, ed è ormai da tempo che sui servizi informatici qualcuno vuole metterci la mano.
Sono tutti indicatori preoccupanti ed in questo cade la crisi FIAT, con un Boschetti che dice: "Badate, bisogna ridurre del 30% la produzione".
Ci avevano sempre spiegato, quasi come una spiegazione accademico scolatica, che nel settore delle fasce medio-basse di produzione automobilistica, o c'era un'adeguata produzione o si non stava sul mercato.
Abbassandosi oltre una certa soglia, occorre essere assorbiti o fare accordi con altri.
Questi sono problemi colti in modo tardivo. Abbiamo un gruppo dirigente FIAT in cui prevale "il vecchio gruppo" che privilegia la logica finanziaria, (da holding a corporation americana, in cui viene a mancare il radicamento con la terra), che è più legata a giochi di opportunità (comprare e vendere), senza avere l'avvitamento sul territorio.
L'alleggerimento di personale della FIAT può essere propedeutico ad un preannuncio di trasformazione. Vorrei citare una frase utilizzata ieri da Carlo Maria Guerci: se non c'é un disegno strategico, è solo strutturale una cassa da morto più piccola. E ancora. Il Presidente della Renault, al salone dell'auto di Parigi, ha detto : "Attorno alla FIAT si aggirano tanti, ci siamo anche noi che vogliamo la nostra parte". Questi sono tutti segnali estremamente delicati. Correre solo dietro alle eccedenze Assessore, come lei ha fatto in gran parte del suo intervento, è un'azione di retroguardia e di fluidificazione di una ristrutturazione. Ormai il campanello d'allarme deve vedere in campo il Presidente Ghigo, il Governo la Moral Suasion del Governo e della Regione in queste materia. Sappiamo che con la riforma costituzionale spazi di intervento della Regione sono stati aggiunti al ruolo della Regione. Occorre lavorare ad una politica industriale della Regione che renda conveniente ed appetibile la localizzazione o la valorizzazione di un'ubicazione di attività produttive nella nostra Regione; mantenere e alimentare i livelli di competitività non solo fluidificando la cassa integrazione, non solo pensando al tavolo delle politiche del lavoro, all'orientamento e all'outplacement, cioè semplicemente orientare quelli che fuoriscono dal settore della filiera auto, da qualche altra parte. Credo che ci voglia qualcosa in più per riuscire a dare un significato a tutto questo.
Questa estate tutti gli Assessori ci hanno bombardato - i mass media hanno poche notizie, quindi vi hanno accolto a braccia aperte - con un sacco di informazioni: le meraviglie dell'Assessore Picchetto: cosa dava e cosa faceva. Intanto la situazione degradava, così come la filiera del settore abbigliamento, lo stabilimento GFT di Bosconero nessuno lo vuole: non succede nulla, tutti tranquilli, anzi, alla caccia dell'ultimo tipo di salume da esaltare sul mercato internazionale. Per non parlare del caso Olivetti, ormai arrivato agli ultimi elementi della parte industriale: ma tutto va bene.
Un'affermazione che l'Assessore dovrebbe fare, solenne e forte, è che nei prossimi due anni gli orientamenti dei fondi strutturali siano rivolti ad un intervento pesante attorno a queste crisi; un intervento mirato per dare massa critica a questi interventi in modo da distrettualizzare il settore dell'auto. Si orienta specificamente la formazione professionale e si recuperano le politiche territoriali dove la Regione è in ritardo sui patti territoriali e sui trasporti. Assessore Pichetto, ma come pu sopportare che, relativamente al settore del trasporto merci, la tratta Santhià-Biella non la voglia nessuno perché sgangherata e inadeguata? Quella è una tratta di ferrovia di competenza del patrimonio della Regione. E' vero, si può lavorare sui fondi speciali di garanzia, ma ormai con i tassi di interessi molto bassi, il tiraggio di questa funzione è meno forte. Sono più importanti le politiche delle infrastrutture immateriali.
Ad esempio sinergizzare la filiera università-centri di ricerca pubblico e privato da sostenere i distretti. In particolare il distretto dell'auto.
Sostenere, per esempio, l'alleanza tra imprese e le politiche consortile per le politiche del marketing industriale. Dare il senso che c'é uno sforzo enorme in termini di politica industriale.
Qual è, invece, la politica industriale che applicano Boschetti e la FIAT non essendoci il ruolo di una politica industriale del governo della Regione? Viene applicata una politica in modo darwiniano e si dice: "vi pagheremo con -3,5% rispetto a quello che vi pagavamo fino a ieri", intanto i tempi di pagamento si allungano. Questa è la politica industriale che si applica senza un'autorità pubblica che intervenga: viene lasciata che si muova spontaneamente la selezione delle imprese del settore auto. E' un sistema a vasi comunicanti, l'assenza di un potere, di un sistema, è occupato da un altro. Qui ci troviamo con un'assenza di una politica industriale forte, autorevole, che voglia essere autorevole, che non lasci che i giochi si facciano da un'altra parte, e noi raccogliamo solo i morti e i feriti da sistemare in qualche modo.
E' per questo che ritengo che occorra dare una valenza più forte agli interventi sia strutturali che dei servizi reali alle imprese. Ci dovrebbe essere un disegno, un indirizzo. La relazione dell'Assessore è una relazione da studio dell'IRES. Ci vogliono tre o quattro punti in cui si dica: "mi impegnerò in questo senso", "orienterò i fondi strutturali" "andrò da Boschetti e gli dirò che non può ammazzare il settore dell'indotto auto con quel tipo di politica". Tre o quattro punti sui quali la Regione si impegna. Punti che io non ho visto in questa relazione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Moriconi; ne ha facoltà.



MORICONI Enrico

Periodicamente ci ritroviamo in quest'aula, purtroppo, a parlare della crisi della FIAT. Alcune questioni che affrontiamo hanno una loro ripetitività e una loro ritualità. Sentiamo in fondo, delle dichiarazioni che abbiamo già sentito altre volte, seppur presentate in modo diverso.
Sul documento presentato dall'Assessore Pichetto, come già in altri documenti presentati riguardo alla crisi della FIAT, c'é una valutazione una analisi che a volte sembra contraddittoria. Si dice che il valore del PIL, per quanto riguarda la filiera dell'auto sull'economia regionale, è solo del 4% del prodotto lordo piemontese (anche se negli scambi commerciali arrivano a quote più consistenti, superiori al 20%). E' strano però che una parte che dovrebbe essere così ridotta possa contribuire, come si dice nella stessa relazione, a far sì che il valore del PIL di tutta la Regione Piemonte sia solo allo 0,5%. Dimostra, cioè, un calo rispetto ad altre Regioni che salgono e rispetto all'Italia di cui si stima una crescita dello 0,7%.
Si dice che il settore dovrebbe essere poco influente sull'economia piemontese, poi, di fatto, non si può non ammettere che la sua crisi incida sulla sua economia. Così non è chiara, non è certa sia corretta l'analisi che viene proposta quando si dice che la componentistica è ormai indipendente, in gran parte, dall'azienda principale di riferimento. Anche questa è un'affermazione che viene ripresa periodicamente, però le notizie i fatti che accadono nel settore della componentistica, non vanno sempre in questa direzione. Anzi, quello di cui si ha notizia è che la crisi della FIAT si riflette anche sulla componentistica e le fabbriche in questo settore conoscono gli stessi problemi occupazionali e produttivi che conosce la FIAT. Questa indipendenza della componentistica non è poi così verificabile nei fatti e nella realtà. Oggi viene affermato che l'attuale crisi era annunciata ed attesa, ma quando abbiamo affrontato discussioni analoghe sulla crisi della FIAT, non era questo l'atteggiamento che si assumeva in Consiglio. L'atteggiamento era quello di verifica di uno stato di crisi, rappresentato con la certezza che da questo stato di crisi se ne usciva, ma come? Questa ricetta che la FIAT applica da anni ha portato purtroppo ai risultati che oggi stiamo vivendo. Produrre meno e tagliare i costi solo tagliando la produzione e tagliando i posti di lavori, non ha portato ad un recupero di quote significative di mercato.
Le risposte che sono state date (la vendita dei pezzi migliori) in assenza di un vero piano industriale - e l'Assessore stesso non ha potuto non sottolineare il fatto che manca ancora un vero piano industriale da parte della FIAT - non hanno portato né a un recupero di competitività n ad un miglioramento della situazione della fabbrica.
La vendita dei pezzi migliori - oggi, parte della Teksid e domani temiamo, l'Alfa - non ha portato a nessun miglioramento concreto. Gli incentivi governativi non hanno portato a un miglioramento, perché la concorrenza chiaramente non sta a guardare, e il confrontarsi sul mercato richiede la necessità di essere al pari e al passo con i prodotti della concorrenza. Noi, da parte dell'opposizione, abbiamo sempre chiesto un impegno della Regione per avere un vero piano industriale della FIAT, per conoscere un piano industriale serio, e non un piano che parli solo di tagli. Passano gli anni e il piano industriale della FIAT non lo vediamo noi, non lo vede la Regione e non lo vede la Giunta.
Noi sosteniamo la necessità di un piano industriale serio, che non pu essere un piano solo di contenimento produttivo e di dismissioni, ma un piano d'investimento, che dia una prospettiva futura, se si vuole che la FIAT, la fabbrica e la città abbiano un futuro.
Per portare un esempio, la FIAT ha sviluppato da anni studi per il motore ad idrogeno. Sappiamo che il motore ad idrogeno è una delle opzioni ipotizzate, sulla quale si sta lavorando per costruire quella che viene definita "l'auto pulita". Ma questo sembra non interessare nessuno soprattutto questo tipo di studi non interessa al vero padrone della Fiat forse adesso che è la General Motors.
Credo che tutti sappiano che la BMW - che è l'altra fabbrica che sta lavorando sul motore ad idrogeno - sta costruendo una rete di distributori di idrogeno in Europa, proprio perché crede e punta su questo motore per il futuro. Di quello che stia facendo la FIAT sul lavoro di sviluppo per il motore ad idrogeno, nessuno sa nulla. La FIAT tace.
Quindi, è sempre più importante che la Regione e la Giunta possano colloquiare con la dirigenza non solo della FIAT, ma anche della General Motors per chiedere quello che s'intende fare veramente, per sapere se si vuole costruire un futuro che dia ancora una possibilità a questa fabbrica che comunque ha rivestito un ruolo importante nella storia della nostra Regione.
Credo che la Regione debba assumersi la responsabilità di non essere più, come finora in fondo è stata, solo un triste ragioniere del declino che conteggia i cali di produzione e gli espulsi dal mondo del lavoro.
Anche ricordando che è giusto ed è fondamentale dare un futuro a tutti quegli operai che andranno incontro a problemi di lavoro per colpa della chiusura di settori della FIAT e della conseguente riduzione dei posti di lavoro.
E' fondamentale pensare che, come Regione, abbiamo il problema fondamentale di tutelare il lavoro per tutti i cittadini. La tutela e la difesa del posto di lavoro come diritto fondamentale per tutti coloro che sono in età lavorativa è un impegno che la Regione deve prendersi, e quindi deve inserire la vicenda FIAT nel discorso generale riguardante il lavoro in Italia.
Quindi, nel suo intervento la Regione deve attivare un livello di colloquio e d'interlocuzione con la Direzione FIAT per capire quali sono le politiche industriali che vuole fare, ma anche le scelte della Regione nel campo delle politiche territoriali, nel campo degli investimenti per gli ecolavori, per migliorare e per dare più possibilità di lavoro in tanti altri settori, compresa la sanità. Investendo più soldi si possono prevedere anche più posti di lavoro.
La Regione deve assolvere a questi compiti e deve mettere la tutela del lavoro come diritto fondamentale al primo posto dei suoi interventi.
Mi sembra che, invece, in questi mesi più che altro si siano accettate supinamente le decisioni della FIAT, senza dimostrare una capacità di vera crescita per quanto riguarda l'impegno sul campo del lavoro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Contu.



CONTU Mario

Grazie, Presidente. Credo che nei nostri ragionamenti su un tema così importante come quello della crisi del maggiore gruppo industriale del paese, non si possa non tenere conto di come, a seguito di questa crisi non è solo a rischio l'attività del settore dell'auto. Assessore, è assente nella sua relazione un tentativo di rilettura delle origini di questa crisi.
C'é qualcuno che s'illude che il settore dell'auto appartiene al vecchio industrialismo, e che ormai è tempo di aprire il campo alle produzioni immateriali. S'immagina il futuro di questa Regione come un pullulare di attività artigianali, si pensa che la vocazione turistica di questa grande città sia quella prevalente e s'invocano, come una sorta di panacea, le Olimpiadi del 2006 come il terreno sul quale ricalibrare un modello di sviluppo. Assessore, questa tentazione è forte non solo in determinati ambienti della politica di governo, ma è anche una tentazione che alberga fortemente negli enti locali, nelle Province, nella stessa Regione.
Bastino solo questi dati: il via libera dato alla FIAT Avio, e quindi al potenziale immobilizzo delle proprietà dell'azienda; le ipotesi relative alla FIAT Rivalta; tutto quello che si muove sul piano degli atti compiuti per le trasformazioni urbane, destinando i vecchi contenitori industriali all'edilizia residenziale.
C'è in tutto questo un atteggiamento di vassallaggio che paradossalmente, è complice della strategia FIAT. Quale strategia? Ecco questo manca un po' nella sua analisi, Assessore. La FIAT ha cercato di ripercorrere in Argentina, in Polonia, in Brasile e in altre parti del mondo il modello di sviluppo degli anni '60 in Italia (sostanzialmente il periodo del boom della 500 e della 600) operando su un terreno tutto di rapina, di alto profitto immediato, mentre a livello mondiale succedeva ben altro: un'innovazione tecnologica di prodotto dirompente accanto a un'incapacità del piano industriale della FIAT di dare risposta a quel tipo di concorrenza, con un risultato assolutamente catastrofico e clamoroso tanto che oggi la crisi dell'auto e la crisi della FIAT è una crisi di prodotto. Credo che bisogna partire da questo dato, per fotografare la situazione.
La mano pubblica come si ritrova ad operare e ad intervenire su una crisi di questa portata? Con due modalità: da un lato, con gli ammortizzatori sociali, prevedendo delle estensioni di alcuni benefici in questo campo anche alle aziende al di sotto dei 15 dipendenti, nel grande indotto dell'auto; dall'altro, sullo stesso solco di quanto fatto anche da precedenti Governi, con immani risorse anche a fronte di un piano industriale assolutamente devastante come quello che viene proposto, perch si parla di una riduzione della capacità produttiva dell'auto del 30%. La ricetta sostanzialmente è: finanziamo, finanziamo e finanziamo; d'altronde il motore a scoppio va al suo superamento e bisogna investire in questo campo. Vorrei ricordare che questo film lo abbiamo già visto.
Questo film lo abbiamo già visto. La FIAT ha avuto, da Governi anche di diverso segno, immani risorse finanziarie per operare quel salto nella strategia industriale che doveva operare e che non è stata in grado di operare. Nel processo industriale, la politica che ha caratterizzato la FIAT e i suoi piani industriali dall'80 in poi è stata: comprimere i diritti, estromettere il Sindacato dalle scelte importanti sulla materia dei volumi produttivi, ridurre le prerogative, azzerare le relazioni sindacali. Dall'altra parte però, Assessore, ha anche cercato di diversificare i propri investimenti, ma il dato è altrettanto inquietante se guardiamo con attenzione i settori dove il gruppo FIAT investe, perch quelli non sottoposti a crisi cicliche sono l'energia, le telecomunicazioni, il settore assicurativo.
Certo, arriviamo alla proposta, Assessore, ma se non si condivide l'analisi, non comprendo quale possa essere la ricetta, anche perché, per cambiare uno stato di cose esistenti, si deve invertire una tendenza.
Bisogna assumere un'analisi del contesto che sia la più possibile unitaria al di là dei colori politici. E allora, se è una crisi di prodotto, se è una tendenza da parte del gruppo FIAT a differenziare gli investimenti perché di questo si tratta - guardando il settore dei servizi alle imprese guardando il settore assicurativo, guardando il settore energetico e ad utilizzare ancora il settore dell'auto in modo residuale per far cassa dove è possibile far cassa, allora Assessore, le politiche regionali, e qui arriviamo al punto, non possono non tenere conto di questo quadro e stare molto attente al livello di intervento che va operato.
Assessore, pensa che io la stia mettendo sotto accusa? No, la sto sollecitando ad un tentativo di condividere un'analisi del problema, perch da questo derivano le ricette. E allora le ricette quali possono essere? Possono essere le solite? Possono essere quelle di destinare alla FIAT ingenti risorse senza capire chi è oramai il vero padrone della FIAT? Il collega Papandrea già prima ha posto una questione: come sia possibile oggi, a fronte degli impegni che questa Regione si deve assumere ma che il Governo nazionale si deve assumere, non provare ad interloquire con gli interlocutori naturali? La FIAT buona parte della sua proprietà la va dismettendo. Certo, è difficile; la General Motors annuncia di essere pronta all'acquisto, ma sappiamo anche - e questo è l'aspetto estremamente delicato - che l'acquisto eventuale da parte della General Motors si limiterà ad alcuni stabilimenti di assemblaggio, mentre la produzione dell'auto in quanto tale rischia di approdare ad altri lidi.
Bisogna avere questa consapevolezza, perché se si ha questa consapevolezza, allora si pone il problema del distretto dell'auto, allora si pone il problema dell'indotto, allora si pone il problema delle piccole aziende che ruotano anche per i servizi attorno alla grande produzione dell'auto.
Io non so quale possa essere la soluzione, ma certamente il problema che si pone è che, se non scegliamo la strada del terziario come modello di sviluppo rispetto a questa Regione, allora bisogna attirare investimenti anche di concorrenti che operano nel campo dell'auto. Non c'è altra strada se si vuole salvare il settore e il distretto dell'auto, perché già da sole le aziende dell'indotto stanno togliendosi quel laccio, quel cappio entro il quale la FIAT le aveva costrette con contratti capestro. Al riguardo ricordiamo che la FIAT ha chiesto di ricontrattare il costo delle forniture alla fonte in una misura del 3,5% in meno, che vuol dire altri problemi occupazionali per il settore dell'indotto.
Allora, Assessore, si attivi la politica, si attivi un tavolo con la Provincia e il Comune, si mettano in campo tutti gli strumenti disponibili perché oggi ci sono tutte le condizioni per poter realmente - ripeto condizionare il piano dell'azienda. Non ho chiesto il commissariamento dell'azienda, sono realista, non ci credo; credo che però sia stato un errore - e questa assemblea non è stata in grado di pronunciarsi - non aver chiesto la Commissione d'inchiesta parlamentare sulla fine che hanno fatto i soldi di cui ha beneficiato la FIAT in questi anni. Questo è un atto di coraggio che non è stato in grado di fare nessuno.
Noi abbiamo proposto un ordine del giorno, e ci dispiace dire che lo abbiamo votato solo in sette Consiglieri in quest'aula: è stato un punto di caduta; forse qualcuno aveva degli scheletri negli armadi o forse quella logica assistenzialista che negli anni si è adottata ha permesso oggi alla FIAT di operare in modo assolutamente piratesco, assolutamente indifferente al destino di centinaia di migliaia di lavoratori che su quel lavoro hanno impostato un progetto di vita, che oggi rischia di essere cancellato perch il mercato e - ahimè - non solo il mercato, ma anche il profitto, impone altre scelte.
Allora, con questa consapevolezza si muova la politica e ci dica come intende subordinare gli investimenti e le risorse che verranno messe a disposizione di questo grande gruppo industriale in modo da condizionare il piano industriale. Altrimenti, se così non è, si facciano scelte dolorose ma si operi cercando di attirare quegli investimenti in grado di salvare il distretto dell'auto, dove si allocano - come lei, uso il termine allocare in misura variabile tra il 70% e il 75% gli occupati del settore dell'auto.
E questa è la vera risorsa umana professionale di cui questo Paese dispone e che bisogna in qualche modo salvaguardare.
Quindi il mio è un appello in questa direzione, ma si faccia un'analisi seria perché la ricetta deriva solo da una lettura di quello che sta succedendo.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Chiezzi; ne ha facoltà.



CHIEZZI Giuseppe

Grazie, Presidente. La FIAT è in crisi. E' una crisi grave perché è caratterizzata dalla sofferenza di quasi tutti i punti essenziali che determinano la buona o la cattiva salute di un'azienda: crisi strategica di prodotto, crisi di costi, crisi economica, crisi strutturale.
La crisi della Fiat si inserisce e fa parte di una crisi di un'intera epoca, l'epoca che ha visto, nella nostra città, nel Piemonte, nell'Italia e nell'occidente ricco, tra le componenti forti dello sviluppo della creazione di ricchezza, della determinazione di stili e di modelli di vita lo sviluppo dell'auto e della motorizzazione di massa come uno dei filoni con i quali la società è cresciuta, si è organizzata e ha distribuito i redditi.
La crisi della Fiat e, quindi, della possibilità di una pluralità di soggetti industriali di inventare prodotti da immettere sul mercato con profitto, determinando nuove condizioni e modelli di vita, penso sia un'epoca prossima alla fine e che non possa essere riproposta, non perch di macchine non se ne possano costruire più, ma, di sicuro, perché questo nostro mondo è sempre più piccolo e sempre più diviso da profonde fratture da veri e propri baratri tra sviluppo e sottosviluppo.
Uno sviluppo basato sulla motorizzazione individuale di massa, così come abbiamo visto nell'occidente industrializzato nella seconda parte del secolo scorso, non è un modello perseguibile a livello planetario, quindi la crisi di un'epoca è la crisi di uno sviluppo incentrato sull'auto e sulla motorizzazione privata che è improponibile a livello mondiale e diventa anche un momento di riflessione e di crisi per la nostra realtà locale. Sappiamo che in India e in Cina non è proponibile un modello di sviluppo che prevedeva in cinquant'anni fatti industriali come abbiamo vissuto nella nostra realtà dalla metà del secolo scorso in avanti. Quindi la crisi della Fiat rappresenta la crisi di un'epoca e in questo quadro va introdotta.
Quando parliamo di sviluppo sostenibile dobbiamo registrare diversamente questi elementi di sviluppo che hanno trainato in modo decisivo, se non addirittura assorbente, la nostra area.
Crisi di un'epoca e crisi di un territorio. La Fiat si è insediata nel nostro territorio, ha richiamato forze produttive e forze di lavoro. Oggi il ritiro della produzione dal nostro territorio per essere ricollocata in altre parti del territorio italiano, del territorio europeo o del territorio mondiale ha determinato "luoghi-relitto". Mi riferisco ai relitti industriali del Lingotto, della Teksid, ecc. Il territorio è segnato da una crisi e queste aree abbandonate, questi relitti, sono da tempo oggetto di esame, di progetti, di tentativi di valorizzarle in vario modo.
Crisi di un'epoca, di un territorio, ma crisi di un assetto socio economico di cui Torino ha potuto, giustamente, fregiarsi ed essere orgogliosa. Un assetto socio-economico che, accanto alla crescita industriale avvenuta fin dai primi del '900, ha visto crescere la cultura del progetto, della manifattura, della competenza e della professionalità in tutti i suoi livelli: dal capolavoro che in officina i ragazzi di quindici/sedici anni cominciavano a costruire con gli strumenti di allora con la lima, al capolavoro che veniva portato a livelli più elevati di capacità tecniche, progettuali, di capacità organizzative e realizzative legate alla meccanica, al design e a tutti quegli aspetti legati all'industria dell'automobile. Tutti questi aspetti, questa specifica cultura e capacità, hanno connotato la società piemontese. E' in crisi anche questo. E' in crisi la stessa considerazione del valore del lavoro manuale che è legato molto a tutti questi aspetti. E' crisi seria, non è crisi da poco.
La Fiat si sta ritirando dopo aver avuto - entro nel rapporto tra un'industria privata, come è rimasta la Fiat, e i poteri pubblici, come si sono rapportati a questa industria privata - una crescita largamente protetta dalle politiche pubbliche in tutti i decenni del secolo scorso, in ogni modo, direttamente e indirettamente. E' stato un territorio generoso con la Fiat, territorio che ha fornito le migliaia e migliaia di braccia che da tutta Italia, sradicando le proprie abitudini e rompendo i propri legami affettivi, si sono insediate e hanno lavorato per questa industria trovando un ambiente ostile da parte di alcune fasce indigene di questo territorio. Territorio generoso e braccia generose, braccia contadine che si sono trasformate in braccia operaie. Non è facile trasformare braccia contadine in braccia operaie, perché è uno stile di vita, sono competenze sono luoghi diversi.
Tutto questo è stato fatto e la Fiat è cresciuta: territorio generoso immigrazione generosa, servizi generosi messi a disposizione, certo con moltissimo affanno, da parte di tutte le Amministrazioni di vario colore che si sono succedute. Sono state spremute le vite di migliaia di lavoratori, e adesso la Fiat lascia, abbandona e dice: "Ho ricevuto molto da questo territorio". Vorrei vedere che dicesse il contrario! La Fiat abbandona il Lingotto, ma un po' lo fa per sé, un po' lo fa per il territorio: lo fa per sé perché è riuscita a valorizzare economicamente questa proprietà dismessa; un po' l'ha fatto per il territorio, perché lì si è creato un centro fieristico, magari non bellissimo a causa della scelta del Lingotto, ma lo ha lasciato. Lascia anche le Olimpiadi, un po' per sé, così valorizza Sestriere, un po' per il territorio, così valorizza l'immagine di questo territorio.
La crisi è grave: Mirafiori chiuderà. E' da tempo che qualcuno, anche qualche Assessore della passata legislatura, ha ipotizzato la chiusura di Mirafiori. Lo stabilimento di Mirafiori rischia di chiudere, però è meglio non parlarne. Invece io credo sia bene parlarne. Ne parleremo comunque ai cancelli della Fiat.
Colleghi, parlarne in questa sede a cosa serve? Servirebbe se quello che chiediamo alla Fiat, un piano industriale serio, fosse anche un patrimonio di quest'aula, cioè un programma di governo serio.
Questo programma non c'è e questi dibattiti che avvengono nei confronti di una Giunta regionale che non ha quel programma serio che chiediamo alla Fiat, perché non abbiamo il Programma regionale di sviluppo, il Piano dei trasporti e programmazione vera, mi sembrano dibattiti che lasciano il tempo che trovano, caro Assessore, e lei è l'alfiere di questi dibattiti che servono a niente.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Deorsola.



DEORSOLA Sergio

Presidente e colleghi, l'opportunità di trattare in aula il problema Fiat dà l'occasione di svolgere alcune riflessioni sulla globalizzazione su come noi, come Piemonte, ma anche come sistema economico italiano andremo ad affrontare questa scelta, che è irreversibile. Allora, diciamo che nel mercato ampio occorre avere la capacità di qualità, la capacità di affrontare delle situazioni, come quella del mercato mondiale dell'auto che vedono il nostro comparto auto, la Fiat in particolare, ma non semplicemente la Fiat, anche la piccola e media industria, l'indotto che si è formato a fianco e a supporto, in sinergia con la grande industria.
I nostri padri e nonni erano abituati a vedere nel posto di lavoro perciò nella Fiat, emblematicamente, la sicurezza del loro futuro. Le generazioni che hanno lasciato la campagna o il loro luogo d'origine per andare a lavorare in Fiat erano attirati dalla sicurezza di quel posto di lavoro. Oggi, con la globalizzazione quei posti sicuri si sono trasformati in occasioni di lavoro. E' un po' quello che i giovani capiranno nei prossimi anni, ma già cominciano a capire in questi anni: la differenza tra posto di lavoro e occasione di lavoro, tra il posto che veniva garantito in Fiat e l'occasione di lavoro che viene offerta, ad esempio, dai giochi olimpici, che, non a caso, ritengo siano stati assegnati alla nostra Regione, alla nostra Torino e alle città della Provincia. Si tratta in qualche modo di far capire in termini, anche brutali, la differenza tra posto di lavoro e occasione di lavoro.
Oggi noi parliamo strettamente del discorso Fiat dal quale non pu essere disgiunto il problema dell'indotto. Il problema della Fiat non è sorto ieri e non sorge oggi come un fungo improvviso; ha radici profonde ha radici nel sostegno pubblico, che è sempre stato garantito alla più grande impresa privata italiana da condizioni di favore che ci sono state e che oggi non possono più esserci in quelle modalità, in quanto abbiamo impegni a livello europeo e abbiamo un quadro normativo diverso.
Però, dobbiamo prendere atto di questa realtà e della difficoltà del sistema Fiat da quando ha abbandonato o, meglio, ha privilegiato il discorso finanziario rispetto a quello industriale. Noi, come rappresentanti del territorio piemontese, per non rendere improduttiva la nostra discussione e per non fare delle parole al vento, abbiamo la necessità di individuare delle strategie per tutelare il lavoro e non disperdere il know-out. Passando ad una fase di proposta, quali interventi come Regione, possiamo affrontare e garantire oltre a quelle che sono le buone parole o gli ordini del giorno? Innanzitutto, e mi rivolgo al Presidente della Giunta che ora non è presente, ma avrà modo di sentire questa mia domanda e mi auguro anche di dare delle assicurazioni, chiedo che non ci sia l'aumento del bollo auto come si è detto nei giorni scorsi su un quotidiano cittadino.
Noi non possiamo pensare che la strada per aumentare le entrate passi attraverso l'utilizzo di uno strumento che se da una parte non potrebbe portare cifre significative, dall'altra parte, sarebbe un segnale in controtendenza rispetto a quello che deve essere l'attenzione della Regione per questo settore.
Passando alla parte propositiva, sostenere l'indotto, la piccola e la media industria attraverso un'azione di burocratizzazione, ancora ulteriore rispetto a quello che si è già fatto, è un provvedimento che praticamente non costa e porta dei grossi benefici all'indotto, alla piccola e media industria. E ancora gli incentivi di tipo ambientale che sono compatibili con la normativa dell'Unione Europea.
Ancora una domanda al Presidente Ghigo: perché non analizziamo a fondo il rapporto tra Fiat e sistema bancario? Perché abbiamo rinunciato, e rinunciamo tuttora, ad una nomina nel Consiglio d'Amministrazione del San Paolo che permetterebbe di avere una presenza ulteriore in quell'istituto di credito, che pure sta attraversando con i collegamenti che ha con la grande industria dei momenti difficili? Credo che la timidezza che abbiamo avuto nell'affrontare il problema questo non utilizzare gli strumenti che, pur modesti e non risolutivi esistono, sia una carenza che, mi appello di nuovo al Presidente, si deve colmare in tempi stretti. Non possiamo tollerare che il sistema bancario che pure può avere grandi possibilità di indirizzi del sistema Fiat, resti a noi in gran parte estraneo. Abbiamo degli strumenti, cerchiamo di utilizzarli.
Noi voteremo per l'ordine del giorno predisposto dalla maggioranza che individua, tra l'altro, interventi di salvataggio, anche di carattere nazionale, perché il problema Fiat non riguarda solo Torino e il Piemonte ma è un problema di dimensione nazionale. Non vorremmo però che, come dopo la crisi del 1929 ci fu l'introduzione del sistema IRI, noi arrivassimo di nuovo ad individuare un istituto per la ricostruzione.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TOSELLI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marcenaro.



MARCENARO Pietro

Signor Presidente e colleghi, credo che ci dovrebbe essere una proporzione tra la gravità della situazione che noi stiamo discutendo e la sobrietà delle parole che usiamo, anche tenendo conto delle possibilità e dei poteri che questa istituzione è in grado di esercitare, che sono limitati, ma, a mio parere, non inutili, qualora ci fosse una effettiva convergenza e una convinzione di una situazione che richiede che si facciano tutti gli sforzi necessari per affrontarla nel modo migliore.
Penso che ci troviamo in una situazione nella quale le stesse parole che noi normalmente utilizziamo richiederebbero di essere precisate. Sento da parte di molti colleghi l'utilizzazione dell'espressione Fiat come se noi discutessimo della stessa impresa della quale parlavamo alcuni anni fa.
Penso, molto semplicemente, che la Fiat di cui alcuni parlano non esista più da un po' di tempo. Siamo invece di fronte, come sapete, ad una situazione che rischia effettivamente di precipitare.
Questa è un'azienda nella quale, come tutti sanno, per ragioni obiettive, gran parte delle decisioni oggi sono in mano al sistema creditizio, data la quantità di debiti che la Fiat ha accumulato e l'urgenza di risanamento finanziario. Se vogliamo dire che le cose come sono, siamo di fronte ad un'azienda che, dopo avere ceduto le partecipazioni di Italenergia e Fidis, cioè i due gioielli dell'azienda rischia oggi di vivere una situazione nella quale l'Auto produce debiti a ritmi tali da vanificare qualsiasi sforzo di risanamento finanziario aprendo una situazione e una prospettiva che - anche qua andrebbe detta con una certa chiarezza - rende incerta la possibilità che Fiat in queste condizioni sia in grado di arrivare al 2004, anno previsto per l'esercizio della opzione di cessione nei confronti di General Motors. Questo è il punto che oggi si pone per quanto riguarda Fiat e, in particolare, per Fiat Auto.
Naturalmente, io discuto partendo dalle ipotesi concretamente esistenti, non pensando di poterne inventare di particolari. Cerco, cioè di trovare una proporzione fra ciò che si può fare e ciò che ci si sforza di immaginare. Penso che l'unica soluzione possibile - questa è la nostra convinzione - oggi vada sperimentata, se non ne emergeranno altre nel quadro delle possibilità esistenti. L'unica possibilità esistente oggi è il rapporto aperto con General Motors. L'unica possibilità è quella di verificare se esistono, all'interno di questo rapporto, le condizioni per una politica industriale sull'auto che abbia naturalmente la possibilità di confermare una presenza industriale in questo settore.
Lo dico sapendo che l'ipotesi di un accordo tra Fiat e General Motors in particolare in Europa fra Fiat e Opel, é un'ipotesi carica di incognite. Nessuno di noi è in grado di dire cosa questo significhi per Torino e per la presenza nella storia dell'industria dell'auto torinese.
C'é qualcuno che ha ipotesi migliori? Naturalmente, ciascuno di noi pu ipotizzare o sognare - perché no? - un accordo con Mercedes o BMW.
Ovviamente, fa parte delle parole in libertà. Io mi lego all'unica cosa esistente, che è un rapporto fra due grandi case automobilistiche che si è avviato, sul quale occorre verificare oggi se esistono o no le condizioni per un'operazione che vada in questa direzione.
La formulazione del piano industriale ha tante condizioni, ma ne ha una che viene prima di tutte le altre, ovvero che ci sia un azionista, cioè qualcuno che investa, affinché questo piano industriale abbia le condizioni per poterle formulare. Francamente, non mi pare un risultato positivo chiedere che siano le banche a costruire un piano industriale.
Quello che possono fare le banche, oltre che a gestire un'operazione di risanamento finanziario (senza il quale l'alternativa è semplicemente quella di portare i libri in Tribunale), è contribuire a trovare un azionista, a costruire un'operazione che ridia un assetto di controllo della società, che è quello sul quale si può costruire.
Scusi, Assessore Pichetto, ma il ruolo della Regione su questo punto qual è? È un ruolo molto limitato. Ma non è vero - su questo contesto la vostra interpretazione - che non possa essere esercitata un'azione politica importante. Apro una parentesi: il Governo è completamente disimpegnato.
Voi avete aperto un Tavolo fasullo, in cui l'unica rappresentanza governativa a questo Tavolo, che dovrebbe affrontare i problemi di Torino e del Piemonte in relazione alla crisi del più grande gruppo industriale, è un ignoto funzionario del Ministero del Lavoro (non dico che si debba sedere il Ministro del Lavoro, ma almeno un Sottosegretario) . Mi pare che si chiami Dott. Forlani, se ricordo bene, il funzionario del Ministero del Lavoro che siede a quel Tavolo. Questo è il grado di impegno politico che ha avuto il Governo. Ma lasciamo perdere.
Però, se decidiamo che questo è un punto importante, la Regione pu intervenire, e lo può fare insieme a tutte le forze, al fine di dare un segnale di urgenza, affinché questa vicenda sia politicamente accompagnata con gli strumenti necessari, anche riprendendo, qui, un ruolo di garanzia che Torino e il Piemonte possono esercitare.
Questo, lo ripeto, è il senso anche delle affermazioni che il Sindaco di Torino ha fatto nelle settimane scorse. Nessuno, ovviamente, pensa ad una partecipazione azionaria degli enti pubblici, ma c'é un ruolo nell'industria torinese, oggi, nelle prospettive di Fiat Auto nell'industria che è ancora in così larga parte legata a queste cose? C' qualcosa che può fare questa Regione affinché, in un rapporto che avverrà e nell'ingresso di nuovi partner internazionali, ci sia una presenza dell'industria e delle realtà industriale regionale che condizioni, che determini una volontà e che dia un segno? Mi pare che oggi questo non ci sia stato, come non ci sono state in passato altre scelte.
Non faccio un discorso sul passato, perché potrei fare l'elenco delle proposte che avevamo fatto e delle cose che non sono state fatte, ma guardo al futuro. E in questo, Assessore Pichetto, c'é un elemento che ha trascurato, uno dei segni della gravità della situazione della Fiat: se si prova a parlare con le persone che alla Fiat lavorano, si evince che se non si interviene rapidamente, oggi c'é una specie di "rompete le righe".
Un'azienda è anche una squadra, nella quale ciascuno sa che ha le proprie responsabilità e i propri compiti. Oggi, se uno guarda la situazione della Fiat, la cosa che preoccupa è quest'impressione di venir meno di questo senso di responsabilità, questa idea di una situazione così provvisoria da rompere quei legami senza i quali si minano le capacità reattive. Questo per quanto riguarda Fiat Auto.
Per quanto riguarda, invece, tutte le questioni collegate, non sto a ripetermi e rimando alle cose che abbiamo detto in Commissione, alle proposte che abbiamo avanzato per quanto riguarda la cassa integrazione e agli strumenti per gestire una situazione che ha le caratteristiche occupazionali che venivano ricordate.
A mio giudizio, le affermazioni dell'Assessore Pichetto sono utili ma non sufficienti. Ci sono altre cose che vanno fatte, e richiamo a ciò che è stato detto in Commissione.
Sull'industria dell'auto, è vero solo in parte ciò che afferma l'Assessore Pichetto, cioè che diminuisce una dipendenza dell'industria automobilistica, cioè della componentistica del settore dell'auto, nella grande impresa. È vero solo in parte, perché quando una grande impresa dice: "Voglio il 3.5% in meno", o straparla o sa di poterlo chiedere. Se sa di poterlo chiedere, vuol dire che ha delle condizioni nelle quali lei ancora determina i prezzi e quindi fa il mercato, in una situazione che è ancora, il larga misura, come si diceva una volta, di monopsonio (questo era il termine tecnico che da bambini ci insegnavano) .
Detto questo, quindi, non è del tutto vero che ci sia tale indipendenza, perché se ci fosse una situazione di indipendenza ditemi chi si permetterebbe di dire "3,5% in meno per tutti"? Discuterebbe con questo o con quello, insomma non avrebbe questo segno dell'ordine del padrone, che dice a tutti "Abbassate i prezzi, decido io".
La dipendenza che diminuisce dalla Fiat, ammesso che questo sia vero, è però, caro Assessore Pichetto, una dipendenza che cresce, da parte di queste imprese, rispetto al sistema.
Le risorse tecnologiche, sono dipendenti da un sistema produttivo sistema produttivo nel quale non è la singola impresa che garantisce le infrastrutture, che può pensare alla ricerca, alla formazione o alle politiche di commercializzazione e di export. Tutte queste cose richiedono un sistema produttivo, ma qua c'è un ruolo della politica e delle istituzioni pubbliche enorme, perché il sistema dal quale le aziende "dipendono", dal quale dipende la loro competitività, non esiste senza l'intervento delle istituzioni pubbliche e senza le politiche pubbliche.
Certo, politiche molto diverse rispetto al passato, dove i ruoli, i soggetti e il loro protagonismo devono essere accompagnati e guidati, non con un'idea dirigistica, ma con un intervento senza il quale questo non esisterebbe.
Su questo punto, come sapete, abbiamo perso le elezioni, perché è stato un argomento di polemica elettorale; su questo punto c'è, secondo me, un forte elemento di arretratezza delle nostre scelte e delle vostre scelte: delle scelte della Regione.
A nostro parere, su questo punto non sono state fatte scelte adeguate scelte che ricadano sulla questione della costruzione, della strutturazione di un sistema competitivo.
Questo è un grande punto di sfida e la situazione esistente non vede una lira stanziata in questa direzione; non c'è una politica di investimento, non c'è una scelta straordinaria.
Una scelta del genere merita sì di accendere mutui, di indebitarsi, di costruire una linea per una prospettiva di investimento. Voi, invece, fate altro.
La scelta dell'ordinaria amministrazione, secondo me, è la scelta prevalente che appanna anche quelle grandi scelte che potrebbero caratterizzare in modo diverso e offrire un ruolo limitato, ma un ruolo alle politiche pubbliche e alle politiche regionali.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE COTA



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mellano.



MELLANO Bruno

Grazie, Presidente e colleghi. Stamattina in treno sfogliavo il giornale e ho visto un trafiletto che parlava di un importante articolo di un importante giornale tedesco, che sottolineava, in polemica con quanto veniva fatto in Germania, la capacità che il sistema Italia aveva avuto nel costruire un'immagine forte su alcuni settori, una presenza forte, un "marchio Italia".
Il giornale pubblicava a grande titolo una frase che riassumeva questa caratterizzazione e diceva: "L'Italia ha fatto la spaghettizzazione", è riuscita, cioè, a creare, su alcuni settori, quell'immagine forte per cui alcuni prodotti, anche non italiani, vengono battezzati con nomi italiani perché questo aiuta l'utente, il consumatore, a individuare un marchio di qualità.
Questo rientra nel dibattito odierno; un dibattito interessante ed importante anche per i toni e la capacità, che mi sembra di riscontrare oggi più che in altre occasioni, di ascolto e di interlocuzione vera, non di polemica o di segnalazione di posizioni diverse.
Tranne alcuni interventi, mi è sembrato ci sia davvero una voglia di interloquire e ragionare seriamente su politiche come quelle riguardanti il mercato industriale e la crisi della FIAT Auto.
E' quindi importante riconoscere - come hanno fatto molti colleghi l'onestà nella relazione dell'Assessore Pichetto, un'onestà della fotografia di una situazione, ma è anche importante sottolineare alcune mancanze, alcune deficienze della relazione stessa e dell'intervento dell'Assessore.
E' proprio nella parte in cui l'Assessore ritaglia un ruolo, una possibilità di incidere da parte della Regione, che viene a mancare; viene a mancare nella proposta e nella definizione di un quadro.
L'Assessore Pichetto è Assessore alla New Economy, però ha dimenticato di dirci - gliel'ho già fatta una volta questa battuta, me la conceda - in che cosa si configuri questa "new economy", in un settore come questo, dove il sistema Italia non è riuscito a costruire un marchio, dove non siamo riusciti a definire le nostre capacità e competenze, che il Piemonte e l'Italia hanno saputo esprimere, invece, con moltissime ditte artigianali o piccoli industriali, creando capacità e competenze importanti. Non siamo riusciti ad offrire, a queste capacità e risorse, un mercato. Allora la new economy è anche questo; come diceva il collega Marcenaro, non dobbiamo lasciare alle piccole e medie imprese l'avventura di avventurarsi da sole in un mercato mondiale e globale, che è una risorsa - Assessore Pichetto lei l'ha detto più volte.
La globalizzazione deve essere vista come una risorsa, dobbiamo essere in grado di capire che è una scommessa e, come tutte le scommesse, si pu vincere o si può perdere, ma si può vincere e noi, anche nel settore dell'industria, possiamo sperare di vincere alcune sfide.
Non possiamo lasciare avventurare da sole le fabbriche dell'indotto sul mercato internazionale e globale soltanto al traino della FIAT; esse devono riuscire a costruirsi, ad avere quelle reti e quelle capacità di andare all'esterno, di trovare nuovi mercati.
Come abbiamo sostenuto nella nostra campagna elettorale con Emma Bonino, occorre che la Regione si faccia promotore di consorzi di impresa per andare a cercare, con degli Internet Shop o con una rete di vetrina delle nostre capacità, i mercati esistenti, che occorre ovviamente saper sfruttare.
Pertanto, nessun rimpianto, da parte nostra, per quell'interventismo pubblico che ha coperto la crisi strisciante esistente da anni in questo settore; nessun rimpianto, però, non vuol dire nessuna politica o nessun intervento, non vuol dire rinunciare ad un ruolo che c'è, che ci si pu ritagliare, che deve servire a costruire quel sistema, quella filiera.
Il collega Tapparo sovente ci richiama alla filiera auto; ecco, se c'è se abbiamo delle competenze - e ci sono - da valorizzare, un ruolo dell'ente pubblico, della Regione è quello di ricostruire e costruire attorno a queste competenze, una struttura che ci permetta di valorizzare il lavoro svolto.
Caro Assessore Pichetto, nella parte finale della relazione non c'è una parte che a noi sta molto a cuore - e lei lo sa - e questa mancanza la sottolineo con dispiacere, ma anche con realismo: non c'è tutta la parte di considerazione rispetto al collocamento pubblico.
Si può dire che rispondiamo alla crisi dell'auto cercando di ristrutturare e riorganizzare i nostri strumenti operativi, le nostre leggi (la legge 55 del 1984, il tentativo di organizzare l'orientamento), per caro Assessore Pichetto, per la stima che abbiamo nei suoi confronti questo deve partire da un'analisi: i centri regionali per l'impiego in Piemonte ricollocano il 4% delle persone che trovano lavoro sul mercato dell'occupazione in Piemonte.
Di fronte ad una crisi del genere si deve partire da questa analisi. Se il ruolo della politica è determinato e definito, dobbiamo saper riconoscere le nostre capacità, come Regione, di intervento. Sono d'accordo con l'Assessore sulla necessità di costruire strumenti per alleviare la caduta e non disperdere le capacità personali dei lavoratori, ma i centri per l'impiego in Piemonte, anche quelli che lavorano meglio, anche quelli che hanno saputo approfittare della riforma per riorganizzarsi, arrivano ad intervenire soltanto sul 4% delle persone che trovano lavoro. Pertanto tale risposta, se non viene vista in un quadro di completa e radicale riforma dei servizi per l'impiego, risulterebbe solo una presa in giro e una risposta "che non risponde".
Quindi, Assessore Pichetto, ci auguriamo che nell'internazionalizzazione, su cui la Regione interviene con accordi di cooperazione e con tentativi di ricerca di nuovi mercati, si vada a valorizzare grandi mercati, come l'India - da cui sono appena tornato - che sono democrazie che hanno un grandissimo mercato e una grandissima fase di ristrutturazione. Da due anni ad oggi ci sono stati cambiamenti, in città come Bombay e Nuova Delhi, nel parco pubblico dei taxi e delle auto pubbliche.
Questo ci interessa o non ci interessa? Oppure è altra cosa? Stiamo parlando di FIAT e di internazionalizzazione dei rapporti. Su questo occorre intervenire. Molte fabbriche, anche piemontesi, hanno capito l'opportunità di investire in quelle zone. Occorre, però, come struttura pubblica, individuare le nuove linee di politica per poter intervenire ed aiutare. In questo caso, la nuova linea di intervento non è l'interventismo a pioggia dei soldi elargiti con quel quadro fornito dall'Assessore Pichetto (rispondendo ad una nostra interrogazione sulla cassa integrazione), ma è proprio individuare nuove linee di politica.
Nella relazione odierna dell'Assessore, però, questa new economy e queste nuove linee sono più carenti.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Dutto; ne ha facoltà.



DUTTO Claudio

Dobbiamo riconoscere alla FIAT di essere stata, in passato, il pilastro dell'economia piemontese e dello sviluppo del Piemonte. Proprio il fatto di esserne stato il pilastro finì col condizionare l'intera Regione e l'intero suo sistema produttivo, che incominciò a ruotare, non dico totalmente ma con una forte percentuale, intorno ad essa.
pur vero che l'indotto, con le sue migliaia di piccole e medie aziende, era la parte più attiva e più elastica con la migliore produttività, ma ora la FIAT sta pagando il prezzo della globalizzazione.
Da un una parte, con la globalizzazione la FIAT ha la possibilità di trovare nuovi mercati in cui collocare la sua produzione, ma dall'altra parte, soffre per l'agguerrita concorrenza di altre case automobilistiche.
In fine, proprio nella globalizzazione riesce a trovare sistemi prodottivi che aumentano la propria produttività, soprattutto per i costi inferiori dovuti al prezzo della manodopera che in altri Paesi (i paesi dell'est e del terzo mondo) è nettamente inferiore rispetto a quello dei Paesi industrializzati. Il risultato, però, è che significative quote della produzione sono state spostate dal Piemonte e dall'Italia verso questi Paesi esteri.
La crisi mondiale dell'auto (e non solo dell'auto perché oggi l'economia del mondo intero è caratterizzata da una contrazione di consumi che investe tutti i settori) va ad acuire il panorama già negativo per la nostra Regione. A pagarne il prezzo sono soprattutto le piccole e medie aziende dell'indotto. È vero che sono le aziende più elastiche e più produttive, ma è altresì vero che la FIAT, in un periodo come questo riesce, dall'alto del suo monopolio (perlomeno di fatto), a sfruttare al massimo queste aziende, imponendo riduzioni di prezzi, con il risultato di ribaltare la crisi che interessa il colosso industriale. Tutto questo rende difficile la sopravvivenza di migliaia di piccole aziende che si trovano da una parte, a sostenere i costi tipici della nostra Regione e dello Stato e, dall'altra, a vendere i prodotti a prezzi imposti, sempre più in riduzione.
La contrazione delle vendite mette ancora più in crisi queste nostre piccole aziende, ma l'elasticità e le capacità di aggiustarsi - tipiche dei piemontesi - hanno fatto sì che una parte di queste aziende riuscisse a trovare nuovi sbocchi di mercato: o servendo altre case automobilistiche o cambiando settori (riversandosi in settori meno interessati dalla crisi) riuscendo a diversificare la produzione.
E' inutile nasconderci che nel panorama complessivo queste sono le aziende che stanno soffrendo di più. Mi auguro, pertanto, che la politica regionale tenga conto di questo e che, nei tavoli predisposti, non si parli solo di trattative o di aiuti esclusivamente alla FIAT, ma si preveda un sistema che consenta a tutte le aziende piemontesi di uscire da questa crisi complessiva. L'economia piemontese non è solo FIAT, è composta da migliaia di piccole aziende, altrettanto indispensabili per l'economia complessiva del Piemonte. Queste aziende sono quelle che devono essere aiutate per superare il periodo di crisi che stanno attraversando; dove è possibile riconvertire le produzioni, occorre indirizzare le aziende in modo da riuscire a recuperare un'economia che in futuro non potrà essere solo incentrata sul settore dell'auto, ma che, per forza di cose, dovrà essere diversificata in molti settori anche nuovi. Anche se sembra di inserire dati che apparentemente non hanno nulla a che vedere con il discorso FIAT, vedo nel settore del turismo e dell'accoglienza di stranieri soprattutto, delle grosse possibilità per il Piemonte.
Il Piemonte è una terra che ha delle grosse risorse, che ha delle bellezze ambientali invidiabili, che ha tutta una serie di edifici storici di altissimo valore. Dobbiamo valorizzare queste possibilità in modo da diversificare la nostra economia, puntando anche in questo settore. A tal proposito si è già interessato il Ministro Maroni, che ha assicurato che ci saranno degli interventi per cercare di alleviare l'attuale crisi, di superare questa fase per arrivare ad un rilancio successivo di tutta l'economia piemontese.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Cantore; ne ha facoltà.



CANTORE Daniele

Mi pare che di fronte a questa importante crisi della FIAT si stia assumendo, non vorrei fare della psicologia, un atteggiamento diverso dal passato. Di fronte a queste situazioni spesso, in passato, c'era una paura singola e una reazione collettiva. Oggi, invece, ci troviamo di fronte ad una paura collettiva e ad una reazione singola. Mi spiego meglio.
Il dibattito di oggi in aula è stato molto interessante, rituale perché lo stiamo ripetendo da mesi, ma probabilmente non poteva che essere così. Si percepisce che le istituzioni, la politica, non hanno ancora digerito e intrapreso una strada di reazione, che forse sta ancora nei singoli, ma non è ancora nella politica e nelle istituzioni. Si ondeggia tra "l'indifferenza" nei confronti del problema (ho usato questo termine tra virgolette dando per scontata questa crisi e il finale di questa crisi) e nei confronti di una certa preoccupazione.
La relazione dell'Assessore Pichetto è stata onesta e ha fotografato come ha detto il Consigliere Mellano, la realtà dei fatti; ha proposto degli interventi affinché si possa tamponare questa importante crisi della Fiat e, in generale, di tutto quello che sta attorno alla famiglia Agnelli ma non dobbiamo riprendere un maggior ruolo della politica. Questo è stato ribadito in diversi interventi. Un maggior ruolo della politica che intanto, deve ragionare ed essere consapevole che è finita la dinastia degli Agnelli in questa città, e quindi deve finire la sudditanza politica e psicologica.
Avevo già ribadito in un precedente intervento che un nostro collega della politica diceva che a Torino c'erano due atteggiamenti: chi stava davanti alla direzione di C.so Marconi con il "cappello in mano" e chi era, in modo pregiudiziale, contro la FIAT. Due atteggiamenti negativi e manichei.
Un atteggiamento che doveva e deve essere intelligente, è quello del rapporto con questa importante azienda nel territorio nazionale, piemontese e torinese. Non è più la principale azienda sulla quale ruota l'economia della nostra città e della nostra regione. Dobbiamo superare la visione di una centralità della FIAT, la FIAT è un' aziende importantissima, ma non è più al centro del sistema economico del Piemonte e della Città di Torino.
Oltre al ragionamento sulla dinastia, vorrei aggiungere che noi dovremo anche dare, Assessore Pichetto, ( mi rivolgo a lei come rappresentante del governo di questa regione), dei giudizi. Ritengo che non si debba stare con la testa rivolta all'indietro, ma vorrei ricordarle, lo ricordo anche ai Consiglieri che fanno politica in questa regione e in questa città da anni, che noi siamo sempre stati considerati, da coloro che stavano nel palazzo prima di C.so Marconi e poi di via Nizza, degli incapaci e degli inefficienti. Là c'era la capacità, l'efficienza, l'industria che produceva, la capacità economica di essere interlocutori a livello internazionale e di fronte, invece,una politica inadeguata. Una politica che in questi anni, non solo nel comparto dell'auto, ma in tutti i comparti, ha sovvenzionato la famiglia Agnelli, la Fiat e tutto quello che stava attorno, avendo di risposta un giudizio negativo sulla classe politica e sempre la completa insoddisfazione.
In questi anni abbiamo assistito questo Gruppo con grandi sforzi economici, non dico che dovesse arrivare un "grazie", ma neanche l'opinione, dall'altra parte, che tanto era il minimo che potessimo fare.
Non è così Consiglieri. Questa è stata un'azienda assistita e ha avuto una classe dirigente incapace: dobbiamo dirlo ad alta voce. A fronte di anni dove c'era questa prepotenza di C.so Marconi nei confronti della classe politica e delle Istituzione, oggi dobbiamo dire: scopriamo le carte.
Saremmo stati inefficienti noi, ma siete stati inefficienti anche voi perché avete portato questa azienda a questo livello.
I Consiglieri hanno ragione, il tutto si inserisce in una crisi di prodotto, in un cambiamento d'epoca, in una crisi più complessiva, ma allora come mai altre aziende, che non cito, sul scenario europeo non subiscono la crisi che sta subendo FIAT all'interno del comparto dell'auto? Probabilmente una spiegazione a questa domanda c'è, quindi in relazione alla crisi epocale, alla crisi del prodotto, alla crisi del sistema, c' anche una responsabilità di guida dell'azienda e l'incapacità di rimanere sul mercato di un'azienda che ha sempre pensato solo alla produzione e non ha mai guardato bene i conti economici.
Le ultime politiche sulle auto aziendali a chilometro zero, non sono state certamente politiche casuali; c'è stata la volontà di compensare di compensare le difficoltà interne, con lo sfornare auto e metterle sul mercato. Politica che non è stata pagante.
In questa fase ritengo che, oltre alla relazione e alla proposta dell'Assessore e a quanto è emerso in aula (condivido molte delle cose dette), dicevo, ritengo si debba essere coraggiosi a livello politico. Si debba essere coraggiosi per evitare che avvengano di nuovo operazioni che ci passano sulla testa. Voglio citarne due di segno opposto: una quella che si sente dire che FIAT potrebbe cedere a General Motors il marchio FIAT e Lancia e tenersi, invece, i "gioielli" di famiglia cioè Ferrari, Maserati e Alfa Romeo. Molte riviste del settore danno già questa come probabilità nel senso che in questo modo si unirebbe il gioiello alla sportività di questi marchi. Il secondo è nel campo ambientale; non vorrei che la sudditanza nei confronti di questa azienda ci portasse all'insediamento dell'inceneritore a Mirafiori. Perché questa è anche un'altra delle ipotesi su un altro settore che sta avanzando, sapendo che Mirafiori, in questi anni, ridurrà ulteriormente i suoi addetti.
Quindi, penso, Assessore Pichetto, e tramite lei, Presidente Ghigo, che sia necessario un tavolo delle istituzioni. Non comprendo perché questo tavolo, che era stato proposto dal sindacato, non sia stato fatto alcuni mesi or sono.
Oggi è necessario che Regione, Comune e Provincia, ognuna di queste istituzioni con le proprie competenze e con le proprie politiche si mettano insieme, (e qui uso un termine che non abbiamo usato sul nostro documento perché abbiamo usato il termine "monitorare") per vigilare cosa farà la FIAT in questi mesi e in questi anni.
Potremmo quasi considerarla un'azienda pubblica per quanto l'abbiamo sovvenzionata, e se non l'abbiamo fatto oggi, per il futuro e per tutelare la stessa FIAT - la squadra FIAT come è stata definita - i lavoratori e anche tutto l'indotto, questa istituzione, insieme alle altre, deve vigilare sugli atti che l'azienda andrà a compiere in questi mesi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Saitta.



SAITTA Antonio

Presidente e colleghi, mi collego all'intervento del collega che mi ha preceduto, perché ne condivido gran parte del contenuto.
Condivido anche la sua analisi soprattutto in ordine al rapporto tra la politica e questa grande azienda. Ha perfettamente ragione nella valutazione che è stata fatta, ad esempio, per quanto riguarda il passato: l'atteggiamento della politica in ordine al tema della grande azienda, di chi era con il "cappello in mano" e chi, invece, era contrario alla grande azienda.
Certamente la situazione si è modificata, e oggi le posizioni non sono così divaricate, ma sicuramente sono meno forti rispetto al passato, e il richiamo alla necessità di un ruolo della politica obiettivamente si pone.
E' vero che, in passato, le posizioni erano divaricate, ma erano posizioni forti e probabilmente ideologiche; erano comunque delle posizioni utili anche al dibattito politico intorno al futuro del nostro Piemonte.
Oggi, invece, le posizioni sono meno divaricate, ma sicuramente la politica conta molto meno rispetto al passato. Credo che il riferimento fatto in passato, che oggi è stato ripreso, di un tavolo degli enti locali e delle istituzioni, che si ponga come elemento di controllo, di verifica e di monitoraggio alternativo a quello che sta succedendo, diventa un fatto fondamentale ed essenziale.
Sono arrivato in ritardo e non ho sentito la relazione dell'Assessore però ho seguito le cose che ha detto in Commissione. Devo dire che sicuramente la relazione contiene una descrizione puntuale dei cambiamenti che sono intervenuti nel settore industriale, e certamente presenta una descrizione precisa del peso ridotto del settore auto rispetto al passato.
Questa è una descrizione, sulla quale non si può che essere d'accordo.
Invece le questioni politiche nascono laddove l'Assessore incomincia a disegnare quali possono essere le misure per intervenire. Le posizioni contenute nel documento sono posizioni abbastanza generiche, nel senso che esprimono, ancora una volta, una volontà e una necessità.
Siamo proprio convinti che il ruolo della Regione e degli enti locali possa ridursi soltanto a gestire le difficoltà? E' quello che emerge dal documento, quando si parla di cassa integrazione e di prepensionamenti.
Questa è una gestione delle difficoltà. Vuol dire che la Regione, per quanto riguarda le nostre competenze, pensa di gestire le difficoltà con i 2800 prepensionamenti e con il massiccio ricorso alla cassa integrazione cioè risolvere i problemi con una riduzione della produzione. E' tutto, e abbiamo fatto il nostro dovere. Non è così.
Aggiungo una riflessione ancora riferita al passato. Se, in questi anni, c'é stato un limite della politica, è quello di avere pensato soltanto alla gestione della difficoltà, cioè di essersi ritagliato un ruolo di grande ammortizzatore sociale in questa Regione. Questo è il limite.
E mi pare che la Regione Piemonte e l'Assessore Pichetto continuano in questa logica, cioè di pensare soltanto agli ammortizzatori sociali e non alle politiche attive. Le politiche che vengono qui immaginate, cioè le politiche di gestione delle difficoltà, alla fine, rischiano, come spesso è successo, di essere politiche assistenziali.
Anche perché l'Assessore sa perfettamente - e lo scrive anche - che le risorse sono scarse. Quindi, non possiamo attivare chissà che cosa neanche per la gestione delle difficoltà. Sicuramente il problema è più complesso e non concordo con questa posizione, che mi sembra quasi d'impotenza da parte della Regione Piemonte. Mi pare questo il discorso dell'Assessore: "Gestiamo le difficoltà e vediamo che cosa succede". Non è così.
Il collega Tapparo lo ha ricordato: il ruolo della Regione è cambiato com'é cambiato anche il ruolo degli enti locali. Il ruolo della Regione è cambiato non soltanto per le modifiche alla Costituzione in termini di politica industriale.
Non mi pare di dire cose straordinarie, ma è necessaria un'analisi seria, anche realista e dura - e ci sono elementi chiari per capire cosa sta succedendo nella FIAT. Un'analisi è quella in qualche maniera anticipata da qualche giornale. Innanzitutto occorre una verifica e quindi bisogna avere l'autorevolezza per ottenere dalla FIAT le informazioni precise. E sulla base di quelle decisioni e di quelle valutazioni, si deve costruire una politica industriale. Questo è il problema vero, perché la Regione può stabilire una politica industriale.
Non è vero che non si può fare assolutamente nulla. Il settore dell'auto è in difficoltà, lo sappiamo, e la FIAT ha commesso grandi errori. L'Amministratore delegato ha detto: "Ho trovato un'azienda che non ha margini di guadagno e non ha una rete di vendita". Questa è chiaramente una condanna su tutto quello che è avvenuto nel passato. Questa è la situazione. La vendita dei gioielli della FIAT serve assolutamente a nulla per quanto riguarda le sue esposizioni bancarie? Quindi, è necessaria un'analisi della situazione per capire - e questo è il vero problema - dove possiamo concentrare le risorse, se ci sono, e come recuperarle, se non ci sono, in termini industriali.
Quali sono i settori su cui puntare è il grande tema. Continuare a gestire la situazione così come si è fatto finora, significa ritrovarsi come sta avvenendo - tra pochi anni un settore che sostanzialmente si è squagliato. Certo, c'é l'indotto, ma l'elemento motore che, sul piano economico, fa di una Regione una leadership non c'é più. E diventiamo come altre Regioni.
La riflessione sui settori su cui puntare, anche legati al settore dell'auto, sarà bene che, in qualche maniera, venga fatta. Questo vuol dire fare un programma di sviluppo, fare qualche ragionamento complessivo perché poi non è soltanto un problema di distribuzione di risorse o di contributi o finanziamenti dell'Unione Europea.
Il problema è ancora diverso, perché rispetto al passato mi pare di notare che la politica industriale non vuol dire soltanto distribuzione di risorse e di incentivi. Non è soltanto un problema di sostegno alla domanda, ma è anche un problema di aiuto e di sostegno alle politiche locali.
Questo è un fatto nuovo rispetto al passato. D'altronde, credo che guardando il panorama complessivo dell'economia non soltanto italiana incomincia a verificarsi una situazione di questo tipo: è vero che molte decisioni, soprattutto per le multinazionali, sfuggono al controllo delle politiche nazionali e delle politiche regionali, ma molto spesso le politiche locali riescono pesantemente a incidere sulle localizzazioni industriali; quindi non incidono più le politiche nazionali, bensì le politiche locali, il tipo di assetto strutturale, il tipo di infrastrutture, il tipo di vita che viene garantito. E se queste politiche incidono, allora la riflessione è: mettere in campo politiche serie coerenti con i cambiamenti che sono avvenuti.
Per questo motivo, la posizione dell'Assessore è stata definita una posizione onesta nella descrizione e sicuramente lo è, ma è una posizione debole per quanto riguarda le proposte. In ogni caso, anche noi concordiamo sul fatto che la Regione debba attivarsi per realizzare e costituire questo tavolo istituzionale che diventa un fatto fondamentale per essere più autorevole di quanto sia adesso nei confronti della FIAT.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Valvo; ne ha facoltà.



VALVO Cesare

Questa è la seconda occasione che ci vede dibattere in aula sulla questione cosiddetta della crisi FIAT. Nella precedente occasione del 24 maggio di quest'anno ebbi modo di far rilevare che il dibattito in aula soffriva di una sorta di rassegnazione e di fatalismo. Devo oggi rilevare che il dibattito di questa mattina è comunque ancora una volta caratterizzato da scarsa vivacità, anche se peraltro ho avuto modo di apprezzare e ritengo di poter condividere quasi tutti gli interventi dei colleghi Consiglieri (sono perfino d'accordo con il collega Papandrea, e questo mi comincia anche a preoccupare, per la verità).
Devo dire che, a distanza di quattro mesi, la situazione non è comunque cambiata. Il collega Cantore parlava di un allarmismo di massa, ma questo allarmismo di massa, caro collega Cantore, non ha sortito neanche un minimo di girotondo; oggi si fa il girotondo per qualsiasi cosa, ma evidentemente la questione FIAT non è degna neanche di un girotondo. Allora mi domando: perché? E' rassegnazione, è fatalismo, è scarso interesse sulla questione della FIAT? Secondo il mio modesto parere, il nodo della questione sta tutto nell'interrogativo che si è posto il collega Contu.
Se non ricordo male, il collega Contu nel suo intervento si era posto questa domanda: ma siamo effettivamente di fronte a una crisi di prodotto? Allora, se così fosse, se fossimo di fronte a una crisi di prodotto dovremmo assistere a un atteggiamento della FIAT del tutto diverso, che è l'atteggiamento che hanno tutte le imprese che si trovano ad affrontare una crisi di prodotto; crisi di prodotto che peraltro negli ultimi vent'anni è stata abbastanza altalenante, perché abbiamo tutti assistito alla crisi degli anni '80, a una crisi molto pesante, che aveva portato la FIAT a dilazionare i pagamenti nei confronti delle aziende subfornitrici a 160 180, 240 giorni e allora veramente le aziende della subfornitura erano FIAT dipendenti al 100%. Ma l'azienda si era rimboccata le maniche, c'erano stati degli investimenti nella ricerca, nella ricerca di nuovi prodotti e di nuove tecnologie, e noi sappiamo che la FIAT è in grado di innovare a livello tecnologico, sappiamo che la FIAT quando vuole è in grado ed è stata in grado di primeggiare sul mercato mondiale. Oggi assistiamo allo strapotere della Ferrari - Ferrari in cui la FIAT è azionista di maggioranza - ma in passato abbiamo assistito alle grandi vittorie nel mondo dei rally su tutte le più grosse marche automobilistiche mondiali quindi quando la FIAT voleva intervenire dal punto di vista dell'innovazione e voleva primeggiare sul mercato mondiale è stata in grado di farlo.
Se fossimo di fronte a una crisi di prodotto e se la FIAT affrontasse questa crisi come una crisi di prodotto, cari colleghi, allora avrebbero un senso gli interventi che alcuni di noi hanno proposto il 27 maggio e hanno proposto ancora in aula stamattina. Il collega Tapparo parlava di finalizzare i fondi strutturali, quindi invitava l'Assessore Pichetto a finalizzare meglio i fondi strutturali, a orientare meglio la formazione professionale, a sostenere con incentivi la ricerca.
Io ritengo, colleghi, che qui non siamo di fronte a una crisi di prodotto, ma siamo purtroppo di fronte - ne sono sempre più convinto e ritengo che ciascuno in cuor suo ne sia convinto - a una precisa scelta dell'azienda FIAT.
La scelta dell'azienda FIAT è quella di dismettere il reparto di produzione dell'auto. Un vecchio proverbio di campagna dice: aiutati, che Dio t'aiuta. Di conseguenza, tutte quelle sollecitazioni che sono state fatte all'Assessore Pichetto, tutte quelle sollecitazioni che vengono fatte al Governo avrebbero un senso se fossimo di fronte a una crisi di prodotto e quindi a un'azienda che deve essere, come diceva qualche collega, aiutata a uscire da questa situazione di crisi. Ma evidentemente così non è, ed è proprio per questo che ritengo che gli sforzi che potrebbe fare l'Assessore Pichetto o che al suo posto potrebbe fare il collega Tapparo, se fosse Assessore della Regione Piemonte, sarebbero vani. Per inciso, vorrei ricordare che negli anni '80 il collega Tapparo sollecitava una sorta di authority o di organismo o di autorità pubblica per intervenire sulle decisioni della FIAT relativamente allo sconto richiesto (imposto) alle aziende subfornitrici; bene, negli anni '80 governavano altre forze politiche, però questa autorità non c'è stata e neanche, a mio avviso potrebbe esserci.
Vorrei concludere questo breve intervento con una semplice considerazione. Il collega Cantore parlava di un ruolo forte della politica. Io credo, caro Cantore, che siamo in ritardo per un ruolo forte della politica. Molti imprenditori - ricordo - in passato mi hanno più volte fatto due battute, due battute ricorrenti: la prima è che ogni cittadino italiano dovrebbe avere uno sconto quando acquista un'auto FIAT perché ogni cittadino italiano è azionista della FIAT; la seconda è che tutti gli imprenditori in Italia hanno il rischio d'impresa, tranne la FIAT, perché il Governo è sempre intervenuto nelle situazioni di crisi della FIAT con centinaia, forse migliaia di miliardi, da quando esiste la FIAT. Allora il ruolo forte del Governo e il ruolo forte della politica doveva comunque esserci; doveva comunque esserci perché andavano presentate all'incasso le cambiali. Il ruolo della politica era quello di richiamare la FIAT a quelli che sono i suoi doveri e di presentare all'incasso le cambiali.
Oggi non ci resta che svolgere, a mio modesto parere, soltanto quel ruolo che ci compete: cercare di governare al meglio questa situazione di crisi che ci compete come Regione e di porre in essere tutte quelle iniziative che ci consentano di qualificare meglio la filiera dell'indotto FIAT, che è una filiera legata - grazie al cielo - non più esclusivamente alla FIAT, ma è una filiera del settore metalmeccanico, che ha un'altissima specializzazione.
Vorrei concludere invitando l'Assessore Pichetto a procedere quanto prima alla revisione della legge sui distretti industriali per poter meglio intervenire sui vari distretti del Piemonte e soprattutto su quello che risente oggi della maggior situazione di crisi, cioè l'indotto della meccanica legato alla subfornitura alla FIAT.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Di Benedetto.



PRESIDENTE

DI BENEDETTO Alessandro



PRESIDENTE

Grazie, Presidente.
Cari colleghi, ho cercato di seguire questa vicenda non solo come Consigliere regionale, ma come cittadino di questa città e della Regione Piemonte.
A fine luglio la Fiat e i sindacati, con l'eccezione della Fiom-Cgil hanno siglato l'accoro per la messa in mobilità di 2442 esuberi, dei quali come sappiamo, 1655 a Torino e 1060 nello stabilimento di Mirafiori. Un accordo doloroso, che i lavoratori hanno accettato nella speranza che questo sacrificio risultasse utile all'azienda per superare il difficile momento di crisi.
Una crisi dovuta al tempestoso contesto internazionale, alla recessione del mercato dell'auto, a sbagli sicuramente commessi dallo stesso management di corso Marconi.
Finite le vacanze, cari colleghi, c'è in molti osservatori l'impressione che quel sacrificio non sia sufficiente.
Il rientro in fabbrica dei lavoratori non è stato certo all'insegna delle serenità e l'immediato futuro si annuncia denso di preoccupazioni.
Nuova cassa integrazione di Teksid e di parte della Ferrari (la cui rinuncia non è certo un buon segnale), l'annuncio dell'amministratore delegato Boschetti di un ridimensionamento della capacità produttiva del 20 30%, le voci di nuovi tagli occupazionali e infine l'annuncio di GM di essere pronta ad acquistare Fiat Auto, un annuncio che sembrerebbe affettare il definitivo passaggio di proprietà in Consigliere Manolino agli americani, che non avrebbe dovuto comunque avvenire prima del 2004.
Infatti, il periodo che va dalla fine del 2002 al 2004 doveva configurarsi come un momento di transizione durante il quale la Fiat avrebbe dovuto chiarire la propria strategia industriale e finanziaria risolvere il problema dell'indebitamento, riconquistare competitività sule mercato internazionale, pensare a nuovi modelli e darsi da fare sul versante della ricerca (in particolare le auto a basso impatto ambientale).
Invece, la dichiarazioni di GM fanno avanzare il sospetto che si stia progettando qualcos'altro ed è interesse non solo dei lavoratori della Fiat, ma di tutti i piemontesi, capire quello che potrebbe succedere.
Cari colleghi, Assessore Pichetto, per ora ragioni per essere ottimisti non ce ne sono.
Lo dicono i dati.
Torino alla fine degli anni Settanta era un'autentica città-fabbrica. I 2/3 degli abitanti ruotava intorno all'industria metalmeccanica e 130.000 persone erano occupate nei grandi stabilimenti di Mirafiori e Rivalta.
Verso la fine degli anni novanta gli occupati nel settore auto non superavano i 35.000 dipendenti. Nel 1997 in Italia un'autovettura su tre veniva realizzata a Torino. Il comprensorio torinese produceva circa 568.000 autovetture, impiegando più di 33.000 addetti.
A gennaio del 2002 solo un'auto su cinque si realizza ancora sotto la Mole, la produzione è calata a 305.000 unità e il numero dei lavoratori è sceso a 25.000.
Ciò significa che nell'arco di cinque anni sono stati cancellati più di ottomila posti di lavoro, cioè il 23,8%.
Vorrei ricordare, cari colleghi, che quella di Torino è la Provincia piemontese con un tasso di disoccupazione più elevato, ovvero il 6,2%.
Nonostante Paolo Fresco abbia avuto il coraggio di dichiarare che la crisi non esiste, dobbiamo con forza denunciare la "strategia dell'abbandono" perseguita dai vertici di corso Marconi. Invece, in tutti questi ultimi mesi di cronicizzazione della crisi, le istituzioni sono state latitanti, o comunque poco incisive. E' stato latitante anche il Comune di Torino e ancora più latitante la Piemonte che non ha mai dimostrato un reale interesse verso le sorti della Fiat.
C'è un atteggiamento di sottovalutazione della crisi, come dimostrano le affermazioni fatte dall'Assessore Pichetto in occasione della presentazione dell'ultimo rapporto dell'IRES: dal momento che l'auto inciderebbe solo per il 5% sull'occupazione totale piemontese e che le imprese della componentistica vendono a numerosi clienti sparsi nel mondo allora le istituzioni pubbliche non devono intervenire, ma lasciar fare al mercato.
Il governo di Silvio Berlusconi e la Regione Piemonte non sono interessate più di tanto a difendere l'auto. Invece è compito dell'istituzione pubbliche ricordare ai vertici aziendali che un'impresa ha anche una responsabilità verso tutti i suoi "portatori d'interesse", che non sono esclusivamente i grandi azionisti, ma i dipendenti, i piccoli risparmiatori, la comunità.
Bisogna costringere Fiat a dire con chiarezza cosa vuole fare in futuro, costringerla ad assumersi le proprie responsabilità verso Torino e le famiglie torinesi, che non si sentono certo ricompensate dall'apertura di una Pinacoteca, per quanto prestigiosa, se le fabbriche continueranno a "dimagrire" ed espellere esuberi! Ha ragione in questo l'Avvocato Agnelli quando confessa di sentirsi in colpa verso la città di Torino, ma la sua collezione di quadri non basta a sollevarlo da quella colpa.
Urge che Torino e il Piemonte Torino trovino presto nuove vocazioni che sappiano diversificare la produzione, ma anche qui ci vuole chiarezza e serietà.
Torino può davvero configurarsi un futuro non meramente automobilistico e industriale? Perché se Fiat auto sta male, cosa si dovrebbe dire di fronte alle agonie di Olivetti e Gft? E perfino Alenia Avio e Alenia Spazio manifestano imprevisti scricchiolii...Ma allora quali sono i "poli di eccellenza" che potrebbero dare nuovo appeal alla città e attirare nuovi insediamenti e nuovi investimenti? Il settore delle comunicazioni e dell'informatica è davvero una carta possibile, vista la recente dipartita di Telecom e gli altri articoli apparsi sui giornali di oggi che parlano proprio della crisi del settore informatico? Quello che è certo è che la diversificazione economica e produttiva non si realizza puntando solo sul turismo congressuale e culturale o sulla moltiplicazione delle sagre dei salami e dei formaggi...
Il rischio è che la tanto invocata diversificazione avvenga pigiando l'acceleratore della flessibilità, con la conseguenza di generare nuove precarietà, nuove insicurezze e penalizzando i lavoratori più deboli.
Eppure si ha l'impressione che i timori dei lavoratori e di tante famiglie non trovino orecchie attente nelle sedi che contano. E certe dichiarazioni più che dirette a scongiurare eccessivi allarmismi, sembrano dettate dall'ottimismo dell'irresponsabilità: "La cessione a General Motors non sarebbe una catastrofe, purché restino in Italia i sistemi produttivi"; "La nuova Torino sarà una città sempre a base industriale, ma con un'economia più differenziata"; "Gli esuberi possiamo impiegarli nei cantieri olimpici".
Sorprendono queste valutazioni tanto distanti dalla realtà che a volte per molte famiglie rischia di essere drammatica.
La Regione Piemonte, insieme alle altre istituzioni pubbliche, deve farsi carico di un intervento forte sull'auto, perché questo tessuto industriale è un patrimonio e non può essere lasciato senza indirizzo politico, perché in questo caso finirebbe preda delle multinazionali che portano la ricerca e lo sviluppo fuori dall'Italia.
Ha ragione chi invita a non abbandonarsi alla rassegnazione, ma occorre dare un segnale concreto, occorre che le istituzioni sappiano contribuire a governare il processo di ristrutturazione della Fiat.
La Regione Piemonte deve attivarsi per mettere in piedi un che operi come "cabina di regia" per valorizzare il sistema dell'Auto in Piemonte e realizzare un vero distretto dell'auto che è l'unico modo per poter competere a livello internazionale. Se avete creato una cabina di regia per le Olimpiadi, non credete che anche la Fiat meriti un'iniziativa del genere? Con il 2006 le Olimpiadi saranno finite, vorremmo che con il 2006 la Fiat finita non lo sia ancora. Occorre un vero e proprio tavolo politico che coinvolga tutti, ma proprio tutti i soggetti interessati (enti locali sindacati, impresa, Politecnico, enti di ricerca, Camera di Commercio, ITP banche, terzo settore). Un tavolo politico che possa fare pressione su FIAT, costringere Fiat a presentare un serio piano, perché non si pu immaginare che l'unica strada sia quella di intervenire con soluzioni di emergenza calibrate sui tagli del personale.
Un tavolo per costringere Fiat a credere ancora nell'auto.
E se Fiat dimostrerà di non credere più nell'auto e in Torino, solo un tavolo politico di alto livello potrà far sì che l'internazionalizzazione di Fiat Auto con l'entrata di GM avvenga con il coinvolgimento del territorio e non a spese del territorio.
La Regione Piemonte deve, poi, fare pressioni sul Governo Berlusconi affinché consideri la Fiat una "risorsa nazionale" e attivi un tavolo politico nazionale, dove discutere non solo di esuberi, ma di politica industriale. Non ci basta che il Presidente Berlusconi dichiari la sua simpatia per la Fiat, solo perché i primi baci li ha scambiati su una 500.
Da un Presidente del Consiglio ci aspettiamo qualcosa di più.
Il Governo e i Ministeri delle attività produttive, del lavoro e dell'ambiente devono monitorare lo stato di avanzamento del piano di risanamento varato da Fiat.
Occorre sostenere la ricerca sui nuovi motori, in particolare quelli a basso impatto ambientale.
Se venisse adottato un provvedimento in ordine alla riduzione delle emissioni inquinanti, questo farebbe partire un volano sul versante della ricerca e della produzione, finendo per far del bene anche a Fiat.
Il mercato richiede sempre più investimenti coraggiosi.
Ed è proprio la politica degli investimenti quella in cui la Fiat è apparsa incapace di tenere il passo delle altre grandi industrie automobilistiche.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Galasso.



GALASSO Ennio Lucio

Signor Presidente e colleghi, il dibattito pacato, sobrio, ricco di argomenti mi consente agevolmente di toccare qualche ulteriore aspetto.
Voglio subito dire che di responsabili per atti omissivi e commissivi come si direbbe in un linguaggio giuridico-tecnico, soprattutto in tempi non prossimi, se ne possono individuare agevolmente tanti.
Oggi, però, giudicare sarebbe una operazione di mera esercitazione anche se doverosa e puntuale.
La crisi FIAT ci trova e si colloca di fronte al nanismo delle piccole imprese, alla fuga delle grandi imprese e alla difficoltà di ricollocazione dei cervelli, oltre, ovviamente, al gravissimo e più urgente problema sociale che riguarda - utilizzo un termine convenzionale - gli esuberi, ma che trovo un po' riprovevole parlando di persone, di famiglie, di uomini e di donne.
Nella sua relazione l'Assessore ha svolto sostanzialmente un consuntivo, con qualche accenno, devo dire efficace, sul mancato ruolo proprio della Fiat in questa delicata fase. Le denunce che l'Assessore fa di un'azienda che non presenta un piano industriale ci pare grave e ci deve far riflettere.
Sul punto non ho ben colto l'intervento, per certi aspetti efficace completo e arioso, del collega Marcenaro. Non ho colto se il problema che pone, cioè che un piano industriale può essere posto in quanto c'è un'azionista, sia una domanda retorica o un modo elegante di difendere la Fiat.
Il Consigliere Tapparo si duole che la Giunta vada a caccia di salumi ma direi magari, perché il problema è che dobbiamo uscire, secondo me, da questa logica e da questa cultura mono-tematica. Ben vengano le fughe in settori che stanno lanciando l'immagine del Piemonte nel mondo. Non solo non ci si deve fermare su questa strada, ma questa strada va incrementata va razionalizzata, va dato a questo percorso un respiro ancora più ampio.
Colgo l'occasione per dire che anche la cabina di regia, fortemente voluta, giustamente, dalla Regione per le Olimpiadi, costituisce un banco di prova, un laboratorio, un'occasione per poter elaborare nuovi schemi e per poter percorrere nuove vie. Bisogna saper cogliere le opportunità che le risorse che pur ci sono ci possono dare.
Il sistema socio-economico è ormai in un momento rivoluzionario costantemente rivoluzionario, quindi, non possiamo stare qui soltanto ad affliggerci con cahier des doléances per quanto riguarda ciò che doveva essere fatto e non è stato fatto, perché i responsabili su questo non li troviamo di fronte a noi dall'altra parte e non certamente da questa parte.
Colgo nella relazione dell'Assessore le indicazioni che ci da e che ci offre, diventa un momento di riflessione, un momento di elaborazione in positivo.
Ha sottolineato come la componentistica sia andata sempre più assumendo indipendenza dalla Fiat. Allora, dobbiamo vedere come, attraverso gli strumenti che incoraggiano la componentistica, si possa dar luogo ad un disegno molto più ampio, che passa per l'Università dell'automobile e che finisce per dare anche all'indotto un salto e un respiro diverso, magari attraverso un potenziamento e una valorizzazione del Museo dell'automobile visto non come "museo", ma come occasione di educazione e di lancio dell'immagine e della cultura di una città, svincolandola comunque dalla mono-cultura. Bisogna immaginare un polo tecnologico, scientifico, anche sanitario, che costituisca motivo di investimento e di rilancio. Ormai le grandi città sono schemi che cambiano, da Boston a Chicago, da Detroit a Boston. Non ci sono più soltanto gli stabilimenti, non ci sono più soltanto i collettivismi che venivano alimentati e che comunque hanno trovato anche una loro ragione storica; c'è un respiro diverso delle eccellenze, dei cervelli.
Noi abbiamo pagato, questo è il punto, ma lo dobbiamo dire, ripeto non per andare a censurare, o per additare qualcosa, ma solo perché diventi il lievito per farci cambiare strada, o per farci migliorare la strada che si percorre.
Abbiamo sostenuto un costo per un legame che non si è verificato vitale tra le grandi imprese piemontesi e le forze politiche e sociali.
Allora, andiamo a cogliere e a verificare se sia vero o meno che i cervelli, che pur qui hanno transitato, poi vanno ad alimentare le multinazionali per la capacità di progettare che hanno acquisito. Andiamo a verificare se non sia vero che la qualità della vita in Torino e in Piemonte offre opportunità diverse da quelle che si possono avere in quel di Milano. Andiamo a verificare se il sistema dei collegamenti, e quindi il collegamento con Malpensa, possa costituire un elemento di sviluppo, di slancio e di rilancio della città di Torino.
Preoccupiamoci, quindi, della trasformazione del ruolo che devono assumere l'innovazione e la ricerca. In questo si pone il problema anche della formazione e, dunque, della ricollocazione dei dirigenti: superare gli schemi della tradizionale formazione - perché abbiamo gli strumenti per farlo - per procedere più speditamente.
Concludo con quello che è stato già sottolineato dai colleghi Cantore e Valvo, sulla reazione che non può appartenere ai singoli (come giustamente denunciava il Consigliere Cantore), ma che deve appartenere all'Amministrazione, alla Cosa Pubblica e alla politica.
Tutto questo, però, va fatto in un quadro più ampio, perch paradossalmente sarà proprio dando un respiro più ampio che si potranno dare risposte settoriali adeguate, e non viceversa.
Ritengo che le istituzioni debbano riprendere prepotentemente in mano la situazione. Quando leggo su L'Unità le dichiarazioni del Sindaco Chiamparito che afferma: "Le voci le sento anch'io. In ogni caso, non ho nessuna informazione, né ufficiale né ufficiosa" - non intendo sollevare una polemica col Sindaco Chiamparino, ma vorrei fare una considerazione di carattere istituzionale - trovo questo assolutamente grave, perché non è assolutamente possibile che le istituzioni, per il ruolo che hanno avuto e soprattutto per quello che dovranno avere, non svolgono...



(Commenti fuori microfono del Consigliere Ronzani)



GALASSO Ennio Lucio

Ho detto "tutti". Dovete ascoltare!



(Commenti fuori microfono del Consigliere Ronzani)



PRESIDENTE

Colleghi, vi invito a non interrompere.



GALASSO Ennio Lucio

Ho detto che faccio un discorso di carattere istituzionale, solo che quella è la dichiarazione che ho virgolettato e che utilizzo, come ripeto non per sollevare una polemica nei confronti del Sindaco Chiamparino, ma per ribadire che il ruolo delle istituzioni deve essere un ruolo forte, che deve essere reclamato ed esercitato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marengo.



MARENGO Pierluigi

Grazie, Presidente.
Non voglio ripetere quanto già affermai il 24 maggio. Dissi che la FIAT non ha più il socio; dissi che ormai la chiusura con GM era una questione di giorni, di mesi, non certo di anni; dissi ancora che la FIAT era un capitolo chiuso. Lo dissi il 24 maggio, e qualcuno arrivò a dire che ero incosciente e che deliravo.
Quello che avevo detto allora, è esattamente ciò che oggi è stato ripetuto da coloro che, all'epoca, dissero che deliravo quando affermavo che non c'era più il socio e che era inutile andare a parlare con l'Ing.
Cantarella, perché a breve lo stesso sarebbe stato fatto fuori. Se non erro, un Consigliere dell'opposizione si alzò, a quel punto, e disse: "Vergognati a parlare così di un grande manager!".
Mi sembra che quel grande manager successivamente sia stato giudicato non proprio grande, se non grande negli errori commessi.
Non voglio entrare nella polemica che già ebbi a fare e che, guarda caso, il tempo ha dimostrato essere giusta. Voglio andare, però, a riallacciarmi a quanto detto dal collega Cantore.
Torino, la sua Provincia e la Regione sono psicologicamente deboli perché è entrata nella nostra cultura la "cultura FIAT".
Da noi la classe politica ha sempre avuto timore ad affrontare il problema FIAT e il problema Agnelli, il problema di quanto la dinastia Agnelli ha portato di negativo sul territorio. Eh già, perché forse parlandone male, si perdevano gli inviti in villa a Villar Perosa, alla famosa "Giornata delle rose", quando l'Avvocato mostra le proprie rose ai pochi eletti. Quella stessa dinastia ha tolto l'informazione a Torino portando al mono-organo di informazione, quel mono-organo di informazione che ha creato quella mono-cultura di quel radical-chic di sinistra, che ha esaltato figure alla Vattimo, prima ancora alla Firpo, alla Bobbio, alla Galante Garrone, tutti questi grandi pensatori, pensatori divenuti "grandi" grazie al sistema del mecenatismo di FIAT e della famiglia Agnelli, che li ha cullati e gli ha dato gli spazi in una città in cui la cui vera informazione era drogata, perché si è tolta ogni forma di informazione andando al mono-giornale, mono-giornale rigorosamente della famiglia.
Ebbene, in questa città, il limite della politica in questi anni è stato che la politica, anche quella di centrodestra, è stata sempre succube del monarca, un monarca che ha sicuramente fatto da mecenate verso una parte politica.
Dov'era il Sindacato? Dov'era la CGIL dei grandi cortei conto l'art.
18 mentre la FIAT ci prendeva in giro con piani industriali che facevano ridere solo a leggerli, tant'è che nel giro di qualche mese sono crollati e divenuti carta da macero o carta per accendere i caminetti in Viale Tovez? Dov'era la CGIL, che era tanto brava ad organizzare grandi manifestazioni sull'art. 18? Perché i girotondo non si sono fatti attorno al Lingotto? Perché non si sono fatti lì? Perché la sinistra è parte integrale ed integrante di quel sistema che la famiglia Agnelli ha dato a questa città, a questa Regione e a questa Provincia. E purtroppo questo sistema è entrato nella mente anche di molti politici del centrodestra, che hanno paura ad affrontare il problema. Hanno timore a dire che la famiglia Agnelli, attraverso le proprie aziende, ha distrutto un territorio che era ricco e che adesso è povero, perché la mono-cultura politica - fatta coi Bobbio, eccetera eccetera - è andata di pari passo alla mono-cultura del profitto, e non alla mono-cultura industriale. Perché la famiglia Agnelli non ha mai cercato il profitto industriale o aziendale; ha sempre mirato al profitto personale, portando le perdite sul pubblico e portando gli utili sul privato.
Abbiamo finanziato la FIAT come nessuna azienda pubblica è mai stata finanziata; la FIAT ha preso più soldi di qualsiasi azienda pubblica e il signor D'Alema, seduto a Roma, cosa ha fatto? E' venuto alla corte di "Re Giovanni", il mercoledì prima del ballottaggio (elezioni di Torino del '97), a dire: "Re Giovanni, non ti preoccupare, ti prolunghiamo la rottamazione!".
Re Giovanni, il giorno dopo ha detto: "Votate Castellani!". Questo era il sistema e questo abbiamo vissuto.
Adesso sento parlare di esuberi, ma gli esuberi sono persone! Forse per la CGIL gli esuberi sono numeri, tant'è che la CGIL non ha sicuramente lavorato su questo problema, non ha sicuramente protestato, com'è suo dovere di Sindacato fare.
Per la CGIL gli esuberi sono numeri, invece sono dei "Giovanni Pautasso","Giovanni Pautasso" coniugati con figli! Sono persone e occorre che queste persone abbiano una tutela! Assessore Pichetto, condivido la relazione, è un'analisi ragionieristica, un'analisi interessante, un'analisi del presente con qualche radice nel passato, che per la prima volta dice: "La FIAT è una delle tante aziende".
Questo è già un passo avanti perché fino a ieri la FIAT era "l'Azienda", poi c'erano le altre.
Lo chiamavano "l'indotto", non erano imprenditori, erano l'indotto.
Erano, come la famiglia Agnelli ci ha portato a credere, i piccoli vassalli che lavoravano nel feudo Agnelli! C'erano i piccoli vassalli, cioè l'indotto. Qualche centinaio di anni fa si diceva "la plebe", oggi diciamo "l'indotto".
Ebbene, nella relazione dell'Assessore emerge finalmente che le imprese piemontesi hanno pari dignità rispetto alla FIAT.
Ma ciò non mi basta, Assessore, non possiamo dare pari dignità ad aziende che hanno tirato la carretta, senza soldi pubblici, rispetto a un'azienda che ha creato i disastri, prendendo i soldi pubblici! Non sono uguali; la FIAT è peggio! Io mi vergogno a dire che le aziende sane, quelle che hanno lavorato e rischiato, sono uguali alla FIAT! No, quelle sono sane, quella è la componente sana del nostro territorio; la FIAT è la componente marcia del nostro territorio! E allora, l'ottimismo sta nel fatto che non c'è più la FIAT, perché il venire meno della FIAT è ottimismo per il nostro territorio. Consentirà quella crescita industriale che tutte le regioni italiane hanno conosciuto in particolare guardiamo al Veneto, dove non c'era la FIAT.
Dove c'è la FIAT non si cresce. In Piemonte, le province che sono cresciute sono quelle dove, guarda caso, non c'è la FIAT. E' cresciuta la provincia di Cuneo, che non ha la FIAT.
Allora, ottimismo sì, ottimismo nel venir meno di un sistema feudale che ha distrutto, sotto il profilo economico, politico e culturale, questo territorio e questa città. Una città dove i Sindaci sono sempre stati eletti su indicazione del "Signor Agnelli"; Castellani, prima, Chiamparino dopo, Novelli a suo tempo.
Sappiamo bene: i Sindaci - e guarda caso di sinistra - furono sempre indicati da "Sua Eccellenza", "Sua Santità" Giovanni Agnelli. E adesso questo sistema forse finirà.
Dimenticavo Valerio Zanone, che, d'altra parte, è poi passato al centrosinistra (non è un caso)! Questo sistema, dicevo, finirà: un sistema che forse, nell'immediato ci porterà a fare un buco in più nella cintura, ma che sicuramente ci consentirà di guardare al futuro con maggiore interesse ed entusiasmo perché viviamo un territorio che non ha più l'entusiasmo.
Che entusiasmo ci può essere nel leggere il grande evento per cui il signor Agnelli ha preso i quadri da casa sua (la villa), li ha messi a casa sua (il Lingotto, dove ha i suoi cinema e i suoi negozi), e ha caricato l'assicurazione sul pubblico, per cui adesso l'assicurazione per quei quadri la paghiamo noi e non più lui? I giornali hanno scritto: "Grande gesto dell'Avvocato, che si ricorda di Torino!".
Va beh, l'unica cosa positiva è che, di solito, ci si ricorda di una città quando la si lascia (non sto parlando di morire!).
E, allora, forse questo è l'elemento positivo perché l'Avvocato Agnelli ha deciso di uscire dalla scena di questa città, dopo averla distrutta per anni e anni.
La crisi FIAT, se non fosse targata FIAT, sarebbe agli esami delle Procure, perché i bilanci fatti con le immatricolazioni, con le finte immatricolazioni, sono bilanci da Procura; non sono bilanci da Consiglio regionale, da discussioni politiche! Eppure, anche le Procure sono ferme, a Torino. Chissà perché? Diversi sono gli atteggiamenti delle Procure nei confronti degli industriali lombardi o nei confronti degli industriali o pseudoindustriali torinesi.



PRESIDENTE

Grazie,Consigliere Marengo.
La parola al Consigliere Angeleri.



ANGELERI Antonello

Signor Presidente, dopo l'intervento e la foga oratoria dell'Avvocato Marengo, ho qualche difficoltà ad intervenire.
Certo, mi consenta una battuta: se le parole riferite all'elezione dei Sindaci di Torino le avesse sentite un amico, Giovanni Porcellana sicuramente sarebbe arrivato immediatamente in quest'aula e avrebbe urlato molto più forte del Consigliere Marengo! Questo, però, è un po' il segno dei tempi che cambiano, di quei tempi di cui parlava anche il collega Marcenaro; cambiano i tempi nell'industria nel settore dell'auto, cambiano i tempi anche all'interno del mondo politico.
Ricordo quando negli anni '80 ci fu la marcia dei 40.000, quando in Consiglio comunale a Torino, io, giovane Consigliere allora in maggioranza vedevo il Partito Comunista che organizzava, rispetto a possibili situazioni di crisi, le masse sotto il Palazzo comunale.
Oggi non è più così; questo dibattito lo abbiamo voluto noi, come maggioranza di centrodestra, preoccupati dalla situazione esistente.
proprio la sensazione, che si coglie ad occhio nudo, di un cambiamento radicale ed epocale nel modo di fare politica, una politica che è fuori dal circuito dell'economia.
Il dibattito di oggi è interessante, con interventi anche di grande livello, ma a me è parso un dibattito che si trascinava, quasi obbligato rispetto ad una situazione che esiste e che verifichiamo, per la quale tutti siamo preoccupati.
La domanda che pongo è questa: fino a che punto possiamo incidere per poter cambiare questa rotta, che ormai è iniziata e sembra continuare nello stesso percorso, sulla stessa strada? Verificare che la politica è fuori da questo circuito, non so se per incapacità, per superficialità nella valutazione dei cambiamenti epocali anche della nostra economia piemontese, o peggio ancora, per inadempienza.
A questo non so dare una risposta, ma mi sembra che il risultato, alla fine, cambi poco rispetto alla situazione illustrata dall'Assessore Pichetto. L'Assessore ha fatto un quadro chiaro e corretto della situazione che, in fondo, non è poi così drammatico. Sono preoccupato di questa non gestione della parte politica nell'aspetto economico della nostra Regione.
In tutto questo non consideriamo mai a sufficienza le aziende minori realtà che alla fine subiscono, più di tutti, le difficoltà di questa situazione.
Condivido l'intervento del collega Cantore; vorrei solo richiamare, con una battuta, un particolare espresso. Negli anni '80 si parlava - e lei Consigliere Cantore, l'ha citato con una battuta esemplificativa - del modo di porsi della politica nei confronti della FIAT: da una parte c'era chi si presentava "con il cappello in mano" davanti alla direzione di corso Marconi e, dall'altra, chi era pregiudizialmente contro. Non era un modo corretto di porsi.
Provocatoriamente dico: "evviva quel modo", perché almeno costringeva a dibattere e a discutere seriamente il futuro dell'economia della nostra città e della nostra Regione. Oggi questo appiattimento, che cogliamo tutti sulla nostra pelle, fa passare come acqua fresca una situazione che invece in prospettiva, ci dovrebbe preoccupare molto.
Ecco perché, come maggioranza, abbiamo presentato un ordine del giorno in cui si chiede alla Regione di monitorare preventivamente, con estrema attenzione, le decisioni dell'azienda principale di questa nostra Regione.
Vorremmo che questo, da parte dell'Assessore Pichetto, venisse fatto e che anche il Presidente Ghigo si facesse carico, dall'alto della sua carica di Presidente dei Presidente delle Regioni, di una situazione che giudico torno a ripetere - preoccupante.
Solamente con una presa di cognizione della situazione da parte del nostro Presidente (oltre che da parte dell'Assessore a cui va la nostra stima) potremmo, probabilmente, essere più fiduciosi sul futuro della nostra economia, ossia, se la politica tornerà a gestire anche i grandi cambiamenti di quest'ultima



PRESIDENTE

Dichiaro chiuso il dibattito generale.
Comunico che sono pervenuti alla Presidenza tre ordini del giorno: il primo a firma del Consigliere Cattaneo ed altri; il secondo a firma del Consigliere Tapparo ed altri; il terzo a firma dei Consiglieri Marcenaro Manica ed altri. Questi tre ordini del giorno verranno votati alla ripresa dei lavori, alle ore 15, con l'intesa che sugli stessi non ci sarà dibattito ed interventi, ma solo la votazione.
La parola all'Assessore Pichetto per una breve replica.



PICHETTO Gilberto, Assessore all'Industria

Intervengo per alcune considerazioni sugli interventi svolti questa mattina che ci hanno fatto percorrere, in parte, il trascorso storico.
Vi sono state alcune affermazioni che personalmente condivido, come quella del collega Contu quando spiega che la FIAT ha "già avuto" e del collega Marcenaro quando dice che per attuare un disegno strategico ci vuole l'interlocutore e l'azionista.
Altri colleghi, invece, hanno analizzato il contenuto della relazione scritta; sottolineo che essa non poteva trattare tutti temi.
Non sono d'accordo con il collega Tapparo quando afferma che si tratta di una relazione di retroguardia.
Al collega Mellano, invece, che sostiene la mancanza di un collocamento, rispondo che è vero, manca il collocamento. A quest'ultimo dovrebbe corrispondere una grande azione che sia in grado di creare una condizione favorevole di economia di mercato che in passato ha trovato ostacoli, relativamente alla situazione discussa stamattina; ostacoli subiti indipendentemente dal fatto di essere il soggetto impresa di produzione, in quanto contenitore dei meccanismi di controllo delle società, sia nella città di Torino sia nella sua cintura. E non solo.
In parte condivido l'opinione di alcuni colleghi, quale Marengo.
Concludo la mia relazione affermando che il secolo scorso ha avuto una sua caratterizzazione e dei percorsi importanti, oggi, però, dobbiamo guardare avanti e sostenere la trasformazione del tessuto economico partendo proprio dalle tradizioni industriali di cui FIAT è uno dei riferimenti più importanti. Tale cambiamento, indicato nella relazione, è già avvenuto, perché se oggi il settore automotive, collega Tapparo, ha 40 mila dipendenti e FIAT Auto ne ha 15 mila, con l'indotto diretto, in complessivo possiamo dire che siamo a 50/60 mila e non più 300 mila. Gli altri 250 mila che mancano sono rimasti in un sistema industriale produttivo. È stata citata la ICT certo, nella ICT abbiamo 40/50 mila occupati, ma si tratta di un settore completamente nuovo, nato da una tradizione industriale di piccole e medie imprese che mi auguro diventino grandi, perché non sempre il piccolo è bello: per affrontare i mercati internazionali occorre avere un po' di forza che il piccolo non è in grado di avere. Si dice che manca la politica generale. A mio parere, però, la politica industriale deve creare le condizioni affinché le imprese, in un libero mercato, possano cambiare.
Questo è sufficiente ed è superiore ad ogni meccanismo di incentivo che possiamo dare. Apprezzo come in questi anni la Regione ha portato i meccanismi degli incentivi a condizioni di prestito e non di regalo. Anche il Governo nazionale l'ha scoperto la settimana scorsa nella Finanziaria per cambiare il meccanismo degli incentivi.
Politica industriale significa, prima di tutto, permettere che si faccia industria e invitare le aziende a presentare un piano industriale.
Si è chiesto il programma e la strategia della FIAT. Beh, la Regione è una cosa e la FIAT è un'altra. La FIAT è una delle aziende più grandi e più importanti del Piemonte, ma, ripeto, dobbiamo invitarli a presentare il piano industriale. Devono farlo loro e deve farlo l'imprenditore. Non possiamo fare noi il piano industriale, né possiamo commissariare la FIAT.
Il tema dei commissariamenti è un argomento che in quest'aula è di moda.
Abbiamo anche commissari e direttori liberi, quindi potremmo mandarne qualcuno, però non mi pare la scelta più corretta in questo momento e giuridicamente non possibile.
Le azioni. Se voi leggete attentamente la relazione vi sono due tipi di azioni. Una è puntuale. Un dovere pubblico, un dovere nostro, è intervenire su una questione di disagio che riguarda i lavoratori di questa impresa. Lasciamo perdere le ragioni che hanno portata la crisi su cui possiamo discutere anche otto giorni, ma sono previste azioni che fanno da ammortizzatore, azioni di politica passiva, usiamo pure questo termine.
L'altra, sempre puntuale, è che queste azioni di politica passiva diventino di politica attiva laddove si da tempo al sistema dell'indotto di cambiare, di strutturarsi, di adeguare la propria capacità produttiva.
Si da tempo e si creano le condizioni affinché queste persone, stiamo parlando di persone e non di numeri, possano avere una riconversione professionale. La fascia particolare è 40-50 anni, cioè coloro che non sono ancora nelle condizioni di andare in pensione e non sono più così giovani da avere voglia e grande propensione a scoprire nuovi mestieri.
La politica generale che questa Giunta porta avanti, non è quella del contributo alla FIAT, non lo sarà mai, penso che la maggioranza condivida questa opinione. Il periodo dei contributi alla FIAT è finito, non c'è nessuna intenzione di intervenire su questo. Invece, c'è l'intenzione di creare, proprio con le azioni regionali, una serie di condizioni per lo sviluppo di impresa. Non si può dire che il Documento Unico di Programmazione per quella che è l'area Obiettivo 2, per la provincia di Torino, non abbia un percorso che crea le condizioni. Non si può dire che i piani di investimento, da quello dei trasporti che prevede di creare le infrastrutture per il vero sviluppo di questa regione, agli interventi di assetto idrogeologico, non siano investimenti che creano le condizioni per creare davvero l'impresa di questo secolo che abbiamo cominciato. Sono le azioni generali quelle che, almeno nella posizione anche ideologica in cui si trova il sottoscritto, sono le posizioni giuste che creano le condizioni di sviluppo. E' una unione di due azioni: una generale e una puntuale che entrambe perseguiremo.
Mi unisco al coro di coloro che sostengono che il Governo dovrebbe darci almeno 100 milioni di Euro, così ci aiuterebbe. I soldi hanno sempre aiutato. Abbiamo chiesto un intervento del Ministero dell'Industria per il fondo rotativo per le imprese, abbiamo chiesto un intervento al Ministero del Lavoro per le azioni che riguardano la politica attiva del lavoro.
Questi non sono altro che singoli fatti di un disegno più grande. La Regione Piemonte il disegno più grande lo porta avanti. Leggevo ieri una statistica, non so se l'Assessore Laratore l'abbia letta, relativa alla legge n. 21 dell'artigianato. Per ogni 500 milioni di vecchie lire, che attiva 1 miliardo di investimenti, si sono creati sette posti lavoro (è uno studio fatto da stagisti che hanno esaminato i dati della legge n. 21 in cinque anni).Vuol dire 70 milioni a persona. Su tale legge abbiamo stanziato 200 miliardi, quindi sono 400 i 500 milioni di lire. Pertanto sono state 3500 le attivazioni di persone che sono andate ad imparare un mestiere, quindi potenziali ed immediati mae stri per altri.
Ripeto, le condizioni per un cambiamento le possiamo trovare, naturalmente analizzando il passato come ognuno crede.



PRESIDENTE

La seduta riprende alle ore 15,00 con la votazione degli ordini del giorno e con la legge sui rifiuti.


Argomento:

Annunzio interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno


PRESIDENTE

I testi delle interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenute all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale verranno allegati al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termina alle ore 13.57)



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