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Dettaglio seduta n.203 del 17/04/02 - Legislatura n. VII - Sedute dal 16 aprile 2000 al 2 aprile 2005

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TOSELLI



(Alle ore 15.36 il Vicepresidente Toselli comunica che la seduta avrà inizio alle ore 16.10)



(La seduta ha inizio alle ore 16.19)



PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Albano, Botta Franco, Cavallera Costa Enrico, Ghigo, Giordano, Leo, Mercurio, Pedrale, Pichetto, Pozzo Rossi Giacomo e Rossi Oreste.


Argomento: Questioni internazionali

Esame ordini del giorno n. 234, n. 438, n. 515, n. 521, n. 523, n. 524, n. 525 e n. 526 inerenti alla crisi israelo-palestinese


PRESIDENTE

Iniziamo i lavori con l'esame dei documenti relativi alla situazione in Medio Oriente.
Sono stati presentati i seguenti ordini del giorno: n. 234 presentato dai Consiglieri Tapparo, Mellano, Palma, Mercurio Suino, Di Benedetto e Caracciolo n. 438 presentato dai Consiglieri Contu e Papandrea n. 515 presentato dai Consiglieri Moriconi e Chiezzi n. 521 presentato dai Consiglieri Chiezzi, Toselli e Cota in data odierna ed è l'ordine del giorno che è stato approvato al Congresso delle Regioni n. 523 presentato dai Consiglieri Palma e Mellano n. 524 presentato dal Consigliere Tapparo n. 525 presentato dai Consiglieri Manica, Marcenaro, Suino, Ronzani Muliere, Placido e Riba.
Invito i primi firmatari degli ordini del giorno presentati ad illustrarli al fine di aprire complessivamente un dibattito generale per poi metterli al voto, seguendo attentamente l'eventuale ritiro di alcuni ordini del giorno se i colleghi Consiglieri lo riterranno opportuno.
La parola al Consigliere Tapparo che illustra l'ordine del giorno n.
234.



TAPPARO Giancarlo

Presidente e colleghi, oltre un anno fa avevo proposto un ordine del giorno che è stato sottoscritto da alcuni colleghi del Consiglio regionale e che è stato più volte sollecitato alla discussione di quest'aula ancora prima della drammatica situazione determinatasi in queste ultime settimane in Israele e nei territori controllati dall'autorità palestinese, nei territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.
Il senso di quell'ordine del giorno, che credo abbia ancora degli elementi attuali, era quello di chiedere in qualche modo un intervento autorevole dell'Unione Europea, soprattutto in una fase in cui si è avviato un processo di forte allargamento dell'Unione Europea, e che coinvolge anche Paesi che hanno solo parzialmente un radicamento nell'Europa.
Penso alla Turchia, che ha la stragrande parte del suo territorio in Asia; penso a Cipro, che è sostanzialmente un'isola storicamente legata alla Grecia, ma che fisicamente e morfologicamente è legata all'Asia.
Questo è uno dei nodi cruciali, cioè che Israele possa sentirsi in una condizione di sicurezza dei suoi confini e della legittimità di un riconoscimento come Stato d'Israele.
Si può anche trovare una pace ed un equilibrio, e quindi la costituzione di uno Stato palestinese, ma se ad attentare l'integrità di Israele e la legittimità dell'esistenza di questo Stato sono sempre alcuni Paesi arabi, anche se si arrivasse ad una definizione dell'esistenza di uno Stato d'Israele, sovrano e con capitale in Gerusalemme est, Israele rimarrebbe sempre in una condizione di insicurezza.
Nell'allargamento dell'Unione Europea si potrebbe considerare il passaggio da uno status di grande rapporto che l'Unione Europea ha con lo Stato d'Israele, a una forma di associazione, nella previsione che Israele potrebbe essere uno degli Stati da integrare nell'Unione Europea. Facendo parte di questa grande istituzione europea avviata negli anni '50, Israele avrebbe la garanzia che la sua esistenza sarebbe tutelata dall'Unione Europea stessa.
Questo era il senso dell'ordine del giorno, nato in un clima che certamente non risentiva della drammaticità della situazione di oggi, ma che potrebbe vederne confermati i termini salienti.
Semmai si potrebbe aggiungere qualcosa in più, cioè quanto ho cercato di aggiungere nell'ordine del giorno che ho presentato oggi, facendo un'unica illustrazione, perché la proposta che faccio oggi assorbe quella presentata oltre un anno fa ed aggiunge una risposta alle istanze del futuro Stato palestinese, che è quello di associarlo in forma speciale all'Unione Europea.
Ritengo che se saranno più forti i legami economici e culturali, se si sottrarrà l'autorità palestinese ai finanziamenti che arrivano dai Paesi arabi che non vogliono riconoscere la sovranità d'Israele (già oggi è forte l'impegno dell'Unione Europea, perché arriva al 40% del fabbisogno finanziario che il popolo palestinese ha in questo momento). Se si potesse aumentare questo intervento europeo, essa (cioè l'autorità Palestinese) si sottrarrebbe al condizionamento da quei Paesi arabi che non riconoscono l'esistenza e la sovranità dello Stato d'Israele.
Insisto, colleghi, il meccanismo è questo: per battere l'ala militarista e l'ala estremista di Israele e ridare ai movimenti progressisti e democratici di Israele maggiore forza, occorre garantire il principio che minacciare la sovranità di Israele equivarrebbe a minacciare la sovranità dell'Unione Europea. Si verrebbe a determinare una garanzia che va al di là della semplice applicazione della deliberazione dell'Assemblea dell'ONU o, in questo caso, di quella del Consiglio di Sicurezza che ha operato soprattutto per un problema di pace.
Sostengo anche che gli accordi del 1993 di Peres e Arafat siano una base importante per la costruzione dello Stato palestinese, perch risponderebbe a una serie di requisiti importanti.
Mi pare - e su questo chiedo attenzione - che la proposta delle Regioni sia in qualche modo debole in questo aspetto; è una risposta contingente al momento, ma non è una risposta strutturale.
Dobbiamo batterci affinché uno Stato democratico come quello di Israele, nel quale prevalgano delle forze non militariste, possa trovare dall'altro lato, uno Stato palestinese a forte contenuto democratico, anzi che si qualifichi rispetto agli altri Stati arabi, che invece hanno un deficit di democrazia notevole.
Possa, il modello palestinese, tra l'altro popolo portatore di una cultura, di sensibilità, di capacità, di maturazione, un popolo molto forte e spiccato - pensiamo a cosa esprime la cultura palestinese - ,essere anche capofila in un processo innovativo di presenze di uno Stato arabo spiccatamente democratico.
In questa fase, l'Europa deve farsi parte attiva ed è per questo che nella conclusione dell'ordine del giorno si chiede che il governo regionale si faccia interprete presso la Presidenza del Parlamento europeo, la Commissione europea e il Governo italiano, per favorire un processo che consideri Israele uno dei potenziali Stati dell'allargamento dell'Europa e il nuovo Stato palestinese, che dovrà andarsi a costituire, come un elemento di possibile associazione privilegiata con l'Europa.
Si tratta di un elemento che richiede certamente un sacrificio economico da parte dell'Europa nel sostenere tale processo, che non è solo sviluppo economico, non è solo sviluppo sociale, ma è anche sviluppo democratico della dimensione statuale che dovrà assumere il popolo palestinese.



PRESIDENTE

La ringrazio, Consigliere Tapparo.
Passiamo ora all'ordine del giorno n. 438 presentato dai Consiglieri Contu e Papandrea.
Ha chiesto la parola il Consigliere Cattaneo; ne ha facoltà.



CATTANEO Valerio

Presidente, anche se credo di intuire la risposta, ne voglio essere certo: siccome gli ordini del giorno sono sette e potrebbero anche aumentare, chiedo se li voteremo in ordine di presentazione o in ordine di illustrazione. Questo per facilitare una numerazione interna ai Gruppi perché i documenti sono numerosi e potrebbero anche aumentare, quindi potrebbe esserci un numero considerevole di ordini del giorno.



PRESIDENTE

I documenti saranno votati in ordine di presentazione e l'illustrazione inizia dal primo presentato, che è già stato illustrato, fino al settimo.
Siamo, dunque, al secondo ordine del giorno, il n. 438, a firma Contu e Papandrea.
La parola al Consigliere Papandrea per l'illustrazione.



PAPANDREA Rocco

In questa vicenda drammatica purtroppo i tempi in cui si discutono i problemi incidono notevolmente, per cui devo dire che il nostro ordine del giorno, datato tre mesi fa, in qualche modo è molto vecchio, perché negli ultimi mesi c'è stata una precipitazione della drammatica situazione che ben conosciamo e che si è sviluppata soprattutto nelle ultime settimane.
Quando questo ordine del giorno è stato presentato non era ancora avvenuta l'occupazione di molte città palestinesi, non c'era stato l'assedio nei confronti del Presidente Arafat e una serie di fatti che si sono verificati in queste settimane.
Questo dimostra che in alcune occasioni dovremmo riuscire a discutere determinati problemi un po' più tempestivamente; anche gli ordini del giorno possono avere una valenza che dovrebbe essere considerata nell'organizzazione dei lavori del Consiglio.
Probabilmente, nelle ultime settimane avremmo dovuto avere una maggiore presenza, come Consiglio regionale, per favorire perlomeno un ritorno ad una situazione che possa permettere di avviare nuovamente un tentativo di processo di pace.
Ritengo che si tratti di una situazione molto difficile. L'ordine del giorno, forse perché ci si rendeva conto di cosa si stava profilando chiedeva di sollecitare una presenza sul territorio più efficiente e pesante da parte dell'ONU, anche per favorire una certa interposizione.
Oggi questa richiesta è superata perché la gravità del conflitto ha assunto aspetti drammatici: l'esercito israeliano interviene in modo pesante nei confronti dei territori palestinesi, riportando la situazione ad oltre trent'anni fa, negando tutto il processo in corso. Questo tipo di intervento fornisce alibi a reazioni che sono sbagliate e negative perch mirate a colpire popolazioni inermi.
Occorre fare una precisazione. Nei giorni scorsi ho sentito alla radio un notiziario in cui si parlava di un attentato a Gaza nei confronti di militari israeliani: questo veniva definito un atto terroristico, mentre invece quanto è avvenuto a Jenin o in altre città da parte dell'esercito israeliano nei confronti di popolazioni inermi viene considerato un atto militare.
Qualsiasi atto compiuto dai palestinesi, anche se è strettamente militare nei suoi obiettivi, è comunque considerato un atto terroristico.
Dobbiamo saper distinguere quando si tratta di un conflitto o quando si tratta d'altro. All'interno di questo "altro", nell'intervento dell'esercito israeliano nei confronti del territorio palestinesi, c'è molto. E' facile soffermarsi su molti aspetti: vediamo il rispetto che viene rivolto ai luoghi di culto, ai luoghi sacri, che dovrebbe vedere lo Stato israeliano più sensibile di altri.
Il problema non è tanto quello di illustrare tanti ordini del giorno che mirano allo stesso scopo, ma individuare un documento comune e, magari adottare qualche altra iniziativa.
Sull'ordine del giorno illustrato dal Consigliere Tapparo. Mi pare sia condivisibile come spirito in sé. La risoluzione votata dal Parlamento europeo propone atti in direzione opposta, propone, cioè, di sanzionare lo Stato di Israele e non di andare in quella direzione. Nella congiuntura dei fatti delle ultime settimane, mi pare che l'ordine del giorno del Consigliere Tapparo esuli da questo tipo di situazione. Teniamo anche conto che oltre a quanto dicevo prima, lo Stato di Israele ha un atteggiamento estremamente arrogante nei confronti dell'Unione Europea, nei confronti dei suoi rappresentanti.
Uno dei temi sollevati nel nostro ordine del giorno, cioè un uso degli organismi internazionali nella vicenda e un tentativo di avere una loro presenza per cominciare a far sì che si avvii un processo di riduzione del conflitto, deve essere sollecitato e preso in considerazione.
Credo che sia stato positivo, quindi deve essere mantenuto e rafforzato, l'intervento nelle scorse settimane di movimenti pacifisti nei territori palestinesi. La situazione sarebbe stata ancora più drammatica se non ci fossero state quelle presenze. Certo, non hanno fermato i conflitti, ma è stata una presenza efficace, ragion per cui penso che dovremo cercare di essere noi stessi partecipi di iniziative di quel genere, ed offrire patrocinio e sostegno ad iniziative che vengono prese da associazioni; una sorta di diplomazia attiva da parte delle organizzazioni non governative, che possono adottare un tipo di intervento diverso da quello che siamo stati abituati a vedere negli ultimi anni in certe parti della terra, che possa avere come scopo vero quello di avviare un processo di pace.
Dobbiamo elaborare un ordine del giorno che si concluda con una richiesta di intervento diretto, anche di un nostro impegno diretto nel territorio, sostenere iniziative che vadano in questa direzione sollevate da settori della società civile.



PRESIDENTE

Passiamo ora all'esame dell'ordine del giorno n. 515.
La parola al Consigliere Moriconi per l'illustrazione.



MORICONI Enrico

Io e il Consigliere Chiezzi abbiamo presentato l'ordine del giorno in un momento in cui la crisi era già molto grave. Purtroppo, siamo stati facili profeti nel dire che la situazione era tragica e che si sarebbe aggravata di ora in ora. Abbiamo fatto una stima di 1.200 morti all'inizio della seconda Intifada, poi, nelle ultime settimane, il numero è drammaticamente aumentato. Così come sono drammaticamente peggiorate le condizioni generali sia per la popolazione civile, sia per gli enti religiosi coinvolti nella vicenda.
Nell'ordine del giorno che abbiamo presentato facciamo riferimento a prese di posizioni che arrivano dallo stesso territorio di Israele.
Affermiamo che l'unione del comitato di soccorso medico palestinese e i medici per i diritti umani di Israele hanno fatto un appello denunciando come, tra l'altro, l'esercito israeliano impedisca l'accesso alle cure mediche per malati e feriti, rifiuti il loro trasporto in ospedale e l'accesso del personale di pronto soccorso sul luogo dove si trovano i feriti. Gli ospedali di Ramallah sono stati presi di mira dal fuoco dell'esercito israeliano.
Queste non vogliono essere frasi di condanna, ma testimonianza dell'estrema gravità che si vive in quel Paese. Estrema gravità che nasce e discende direttamente da una situazione di contrapposizioni violente e di grosse crisi. Ricordavamo inoltre come l'ennesima Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la n. 1397, presentata dagli Stati Uniti d'America affermasse la necessità di una visione di una regione in cui due Stati Israele e Palestina - vivono fianco a fianco, all'interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti. Risoluzione votata da tutti gli Stati con la sola estensione della Siria che voleva una condanna più netta e più chiara di Israele. Il problema che solleviamo è che, comunque, nella complicata e drammatica situazione creatasi in Israele, non possiamo ignorare che ci sono state 268 Risoluzioni precedenti a quella citata quindi 269 in tutto, che finora sono rimaste senza riscontro.
Tutto questo serve, a nostro parere, per indicare implicitamente un silenzio colpevole dell'ONU su questo tema, perché non è mai successo nella vita di questo organismo internazionale, che un così grande numero di Risoluzioni siano rimaste inevase e senza risposta. In altre situazioni quando non si è dato corso alle Risoluzioni, l'ONU ha comunque posto in atto degli interventi per cercare di farle rispettare.
Nel caso tragico di Israele e della Palestina questo non si è mai verificato.
Crediamo che sia fondamentale, quindi, partire dal riconoscimento della necessità che esista lo Stato palestinese e che sia riportato nei confini che gli erano propri prima della guerra del 1967. A questo proposito facciamo anche menzione della necessità dello smantellamento delle colonie israeliane in Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme Est, con la necessaria garanzia della possibilità, per tutti i profughi palestinesi, di ritornare nei propri villaggi.
Credo che sia fondamentale questo richiamo perché, se non si dà una speranza di vita al popolo palestinese (come è giusto dare una speranza di vita al popolo israeliano), avremmo sempre una situazione di estrema crisi e di estremo contrasto nell'area.
Per ricordare uno dei problemi connessi alla gestione del territorio da parte delle autorità israeliane, è necessario ricordare che l'insediamento delle colonie nel territorio palestinese, da parte degli israeliani, configura una situazione di fatto, per cui i territori israeliani hanno la possibilità di gestire il 75% di tutta l'acqua presente nella Palestina. In un terreno arido e desertico, come quello a cui facciamo riferimento, comprendiamo bene che avere la possibilità dei tre/quarti di tutta l'acqua disponibile sul territorio significa, di fatto privare la controparte di una speranza di vita.
Il nostro ordine del giorno condanna, quindi, ogni tipo di azione violenta, sia quelle contro la popolazione civile di Israele, sia quelle contro la popolazione civile della nazione palestinese, ad opera dell'esercito israeliano.
Devo inoltre far notare come nel nostro ordine del giorno non compaia mai la parola "terrorismo", perché credo che tale parola vada utilizzata in senso proprio. Quindi, o si fanno delle distinzioni specificando cosa si intende per terrorismo, altrimenti è meglio non utilizzare questo termine per non correre il rischio, com'è stato dimostrato, di utilizzarlo anche in caso di azioni di guerra o di difesa. In questo caso, non mi sembra giustificato l'utilizzo della parola in questione.
Il nostro ordine del giorno esprime solidarietà a tutte le popolazioni interessate da questa tragica guerra, a partire dal popolo palestinese all'autorità palestinese internazionalmente riconosciuta (e questo richiamo è chiaro alla figura di Arafat), ai militari israeliani che si rifiutano di prestare il loro servizio nei territori occupati (sempre più militari israeliani incominciano ad avere dubbi sull'efficacia delle azioni che vengono compiute) e alle associazioni pacifiste israeliano-palestinesi.
La nostra richiesta fondamentale è quella dell'intervento di osservatori internazionali, come forza di interposizione per arrivare a stabilire una situazione di "cessate il fuoco" e per far cessare le morti da qualsiasi parte esse siano.
Per questo motivo, chiediamo che il Presidente del Consiglio regionale si faccia portavoce presso il Presidente del Consiglio e il Ministero degli Esteri per porre fine ai massacri di civili che ogni giorno avvengono in quella terra. Chiediamo che il Governo italiano assuma forti posizioni, in ambito internazionale, per il raggiungimento di una soluzione di pace con due popoli in due Stati liberi perché, proprio in questo senso, sembra che sia mancata un'azione di mediazione forte, sia del Governo italiano che della stessa Comunità europea.
Infine, proprio perché crediamo che sia necessario, non solo delegare gli altri, ma anche compiere delle azioni (quando si possono compiere) crediamo che sia importante costituire una delegazione ufficiale del Consiglio regionale del Piemonte da inviare nei territori in guerra, al fine di testimoniare attivamente la necessità della fine del massacro del popolo palestinese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi che illustra l'ordine del giorno n.
521.



CHIEZZI Giuseppe

Ho molto apprezzato gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto che hanno illustrato posizioni, in merito alla gravissima crisi nel territorio di Israele e della Palestina, con punti di vista coerenti con le letture che di questa difficile e tragica situazione possono dare partiti forze politiche, in base ai propri punti di vista, alle proprie priorità ai propri valori e alle priorità di valori. Io stesso, come ricordavano alcuni colleghi, ho firmato uno di questi punti di vista, insieme al Consigliere Moriconi, in cui esprimo opinioni che, dal mio modo di vedere meglio corrisponderebbero alla risposta da dare a questo stato di crisi.
Mi sono alzato per illustrare non un ordine del giorno che ha queste caratteristiche, ma un ordine del giorno che è stato il frutto di un compromesso raggiunto in una sede nella quale - e ringrazio i colleghi che hanno cooperato a ciò - sono stato inviato a nome della minoranza di centrosinistra e di Rifondazione, penso.



CHIEZZI Giuseppe

PALMA Carmelo (fuori microfono)



CHIEZZI Giuseppe

No, guarda che anche noi...



CHIEZZI Giuseppe

Anche dei Radicali: non sapevo che siete stati consultati anche voi.



PRESIDENTE

Poi, nell'ultima fase, in rappresentanza del Presidente Cota e mia abbiamo delegato il Presidente Chiezzi, che è rimasto fino alla fine dei lavori del Congresso.



CHIEZZI Giuseppe

Mi scuso con i colleghi del Gruppo Radicale per non aver chiesto loro per tempo se avevano fatto parte di questa...



(Intervento fuori microfono del Consigliere Palma)



CHIEZZI Giuseppe

Però mi scuso, perché era mia intenzione chiedervi se anche voi avevate partecipato. Infatti, citando e facendo i ringraziamenti, ho lasciato la cosa in "forse".
Anche a nome dei Radicali, sono stato nominato dall'Ufficio di Presidenza come rappresentante delle minoranze al Congresso delle Regioni istituto che ho appreso solo in quei giorni un po' meglio in cosa consistesse.
Si tratta di una sede nella quale tre rappresentanti (maggioranza e opposizione, più il Presidente del Consiglio) si riuniscono per svolgere un'attività che magari un'altra volta potremo illustrare meglio.
In quella sede, si è raggiunto un compromesso con un ordine del giorno che ha caratteristiche diverse dalle precedenti. È un ordine del giorno che si sforza di dire all'unanimità - è stato approvato da tutti - una parola di pace, non banale, e di proporre un'azione di pace.
Per carità, bisogna avere il senso della misura, ma insieme bisogna accompagnare al senso della misura anche la necessità di un impegno. E se ciascuna istituzione, piccola o grande che sia, riesce, in modo unanime, a posare, secondo il rito ebraico, la propria piccola pietra sul tavolo della pace, penso sia un atto importante. Anche noi, quindi, cerchiamo di farlo.
A mio modo di vedere, l'ordine del giorno che è stato approvato ha alcuni elementi apprezzabili e pregevoli. È un ordine del giorno in cui si esprime, con fermezza, un principio: il ripudio della guerra come strumento per risolvere quel problema.
Ricordo ai colleghi, anche se non ce n'è bisogno, che il ripudio della guerra fa parte dell'atto costitutivo della nostra Repubblica. E questo ordine del giorno richiama questo principio come un principio alla base della risoluzione anche dei tragici problemi che affliggono quel territorio.
Questo principio è poi ribadito nella richiesta di un'immediata cessazione di due fatti che oggi vedono, invece, la loro presenza sul territorio: la cessazione del fuoco e di ogni atto di guerra e la cessazione di ogni atto di violenza. L'ordine del giorno, quindi, ha questi elementi di fermezza di principi importanti.
Inoltre, nell'ordine del giorno, con realismo - e quando dico "realismo" segnalo uno degli elementi su cui l'accordo di compromesso è riuscito ad avere un risultato positivo - si chiede, in questa situazione di inerzia e di impotenza, l'invio di forze di interposizione e di osservatori. Propone, dunque, che sul terreno vadano ad interporsi forze e osservatori, quindi elementi di forza ed elementi politici. In questo quadro, segnala la necessità di assicurare l'incolumità di Arafat, che è, e resta, un interlocutore per qualsiasi accordo di pace.
Ci sono, dunque, questi elementi di realismo e concretezza non banali che indicano una proposta di strada da seguire.
Si chiede, inoltre, un intervento dell'Unione Europea che possa condurre al ritiro delle truppe israeliane e alla cessazione di ogni atto di terrorismo contro la popolazione israeliana come passo indispensabile per l'obiettivo costituito da due aspetti: quello politico, cioè il riconoscimento, da parte degli Stati arabi, della legittimità dello Stato di Israele, e del completamento del processo di nascita dello Stato palestinese, che corrisponde alla volontà espressa anche in risoluzioni internazionali di due popoli e due Stati su quel territorio.
Queste sono le parole di pace, quelle piccole pietre di pace, che, con un testo di compromesso, sono state scritte in questo ordine del giorno.
L'ultimo è un atto di pace, un'azione di pace, che non considero piccola: il Comitato delle Regioni ha deciso l'invio di una delegazione che incontri sia le autorità israeliane che quelle palestinesi, per partecipare, anche in questo modo, al processo di ricostruzione e di pacificazione delle aree di guerra.
Compiere un atto concreto, al di là delle parole, che può essere anche intrapreso, come ha segnalato il collega Moriconi, dal nostro Consiglio, è un altro degli elementi importanti che, sia pure con il senso della misura possiamo compiere.
Ho parlato di "compromesso" e non di "punti di vista" che corrispondono a letture omogenee e di parte delle questioni in campo.
Ho parlato di compromesso perché penso che dopo l'11 settembre purtroppo, la volontà di risolvere i conflitti, ripudiando la guerra e non praticando le difficili, faticose e laboriose strade della ricerca di compromessi, sia una deriva che ha preso piede e che debba essere, in ogni modo, contrastata.
Dopo l'11 settembre, sulle varie questioni di conflitti purtroppo esistenti in gran numero in questo nostro mondo, bisogna spendere voci e fatti nella direzione cocciuta di continuare ad operare affinché l'uso della forza e della violenza e lo strumento della guerra siano cancellati dal terreno di lavoro delle comunità e anche all'interno dei rapporti internazionali. Quindi, penso che sia sempre molto importante, e non banale, cercare, in situazioni di questo genere, il compromesso.
Anche dal punto di vista di presentatore di un altro ordine del giorno che ha un taglio molto diverso, lo ritengo un punto importante ed è per questo che l'ho sottoscritto e illustrato ai colleghi.



PRESIDENTE

Passiamo ad esaminare l'ordine del giorno n. 523.
La parola al Consigliere Palma per l'illustrazione.



PALMA Carmelo

Signor Presidente, penso che in questa fase della nostra discussione in cui si vanno affastellando numerosi documenti, dovremmo - lo dico per primo - fare lo sforzo di giungere ad una mediazione non pur che sia, ma che rispetti alcune condizioni: non portare il Consiglio a votare su di un insieme di punti di vista o sulla media di un insieme di punti di vista, ma votare rispetto a posizioni, opzioni e proposte politiche che abbiano una qualche leggibilità e che in qualche modo possano impegnare l'Amministrazione regionale in una direzione anche semplicemente di sollecitazioni politiche ad organi superiori; non votare i punti di vista che questo o quell'altro Consigliere, in modo ovviamente legittimo, ma altrettanto discutibile, intende proporre alla nostra discussione.
Anticipo, in sede di illustrazione dell'ordine del giorno che ho presentato, che intendo, dopo la fase del dibattito generale, non so se in sede di discussione sull'ordine di votazione dei documenti, proporre un'ulteriore mediazione in modo che sia chiara e leggibile la votazione del Consiglio regionale a fronte di opzioni chiare e leggibili.
Partendo dai punti di vista, ho l'impressione che la nostra riflessione non possa fare l'economia di una serie di dati, mi verrebbe da dire fattuali, che non ho sentito riprendere, ad eccezione del Consigliere Tapparo, nell'illustrazione dei diversi documenti che sono stati presentati.
Per quanto riguarda il primo punto di vista fattuale - non è un giudizio - l'operazione militare israeliana nei territori occupati, in alcuni territori occupati sottoposti anche dagli accordi di Oslo all'amministrazione militare israeliana, interviene non con l'inizio della seconda Intifada, ma nel pieno della violenza degli attacchi terroristici palestinesi. L'intervento militare israeliano non inizia alla fine dell'anno 2000, ma comincia all'inizio dell'anno 2002, dopo oltre dodici mesi di attacchi terroristici.
Per quanto riguarda la seconda considerazione, la seconda Intifada, con la sua propaggine e conseguenza terroristica, inizia a partire dal rifiuto da parte dell'amministrazione nazionale palestinese, degli accordi di Camp David proposti dal Presidente statunitense Clinton e accettati dall'allora premier israeliano Barak. La seconda Intifada inizia - anche questo non è un giudizio, è un fatto storico - quando Barak accetta il 95% della Cisgiordania dall'autorità nazionale palestinese, capitale palestinese a Gerusalemme Est. A questo Arafat contrappone il ritorno dei profughi in Israele, 5 milioni di profughi e di loro discendenti: su questo c'è la rottura.
Per quanto riguarda la terza considerazione fattuale collegata a questa: oggi, le leadership politiche israeliane e palestinesi sono quelle che più si erano opposte al processo di pace da Oslo in poi. Sharon era stato, prima dell'inizio della seconda Intifada, il protagonista di un atto che si può considerare sicuramente non terroristico, ma di sfregio simbolico con la passeggiata sulla spianata delle moschee. Arafat e l'establishment palestinese, diciamo da Camp David in poi, e la classe politica palestinese scelgono la logica del "tanto peggio, tanto meglio" rifiutando la proposta di Clinton, cioè, già alla fine dell'anno 2000 perché questa era la proposta di Clinton: la creazione di uno Stato palestinese sul 95% della Cisgiordana e su Gaza, con capitale a Gerusalemme est, utilizzando la questione dei profughi come alibi o giustificazione politica del proprio rifiuto.
In merito ad un'altra considerazione fattuale, invocare il ritorno ai confini del 1967 è - mi sia consentito dirlo in termini storici un'autentica baggianata perché i confini storici del 1967 dovrebbero prevedere la restituzione alla Giordania della Cisgiordania e di Gaza all'Egitto. Non c'è alcuna posizione politica ragionevole che possa proporre il ritorno alla situazione antecedente al 1967 per la semplice ragione che gli accordi di Oslo sono intervenuti successivamente. Il 1967 è di venticinque anni anteriore all'accettazione da parte della leadership palestinese dell'esistenza dello Stato di Israele e quindi della logica di due popoli e due stati in Medio Oriente.
Oslo, da questo punto di vista, è il momento di passaggio decisivo.
Solo nel 1993, e non nel 1967, l'autorità palestinese riconosce lo Stato israeliano e accetta, sulla base di questo riconoscimento, di intraprendere un processo di pace.
In merito ad un'ultima considerazione fattuale, poco prima di questa fase, già dopo l'inizio della seconda Intifada, si è tenuta a Durban, in Sudafrica, un'importante Conferenza ONU sulla discriminazione. Qualunque osservatore attento ha potuto notare che i grandi imputati della Conferenza dell'ONU contro le discriminazioni non erano i Paesi che praticano discriminazioni, non erano i Paesi che hanno ancora all'interno del proprio ordinamento giuridico forme di apartheid contro gruppi etnici o contro minoranze religiose, ma erano, da una parte, gli Stati Uniti d'America comprensibilmente, e, dall'altra parte, Israele, l'unico Paese che riconosce il diritto di voto ai cittadini palestinesi. Un milione e mezzo di palestinesi residenti e cittadini israeliani sono i soli palestinesi al mondo che hanno il diritto di voto e che possono votare i propri rappresentanti. Non lo hanno o lo avranno solo fra poco i cittadini palestinesi della Giordania, non lo hanno tutti quei cittadini palestinesi ospitati per anni nei campi profughi soprattutto libanesi, ma anche egiziani, a cui quegli Stati arabi non hanno mai neppure riconosciuto la cittadinanza.
Da questo punto di vista, leggere le vicende mediorientali di questi giorni senza metterle in relazione con quanto successo a Durban pochi mesi prima e senza leggerli nel quadro dell'evoluzione della politica mediorientale, è evidentemente un errore molto grave.
In ultimo, non è un auspicio né un giudizio, è un fatto: l'evoluzione del processo di pace rispetto al conflitto israelo-palestinese rispetto all'intero Medio Oriente procede di pari passo con l'evoluzione degli ordinamenti democratici negli Stati arabi. Non è una questione di classi dirigenti. Non è una questione di destra o di sinistra. La prima grande pace siglata da Israele con un Paese arabo è stata con l'Egitto nel 1978.
E' stata siglata, proposta e sottoscritta da un Primo Ministro del Likud e non da un Primo Ministro laburista. La chiave dell'emancipazione del Medio Oriente, della situazione di guerra e del riconoscimento dei diritti anche dei cittadini arabi è sempre passata, dal 1967 in poi, attraverso l'evoluzione degli ordinamenti giuridici in senso democratico dei Paesi arabi.
Anche oggi è sotto gli occhi di tutti che la Giordania è un interlocutore sempre più credibile nel processo di pace, perch nell'insieme delle dittature dinastiche di Medio Oriente, il figlio di re Hussein di Giordania, abbastanza sollecitato da una parte della famiglia ha scelto rischiosamente di scommettere su un'evoluzione democratica dell'ordinamento giuridico giordano. La stessa cosa non si è sicuramente verificata in Siria. La stessa cosa non succede in tutti quegli Stati arabi che sono ogni volta disponibili a giudicare Israele, ma mai ad essere giudicati, rispetto ai comportamenti che tengono nei confronti della popolazione palestinese.
Dobbiamo discutere di questo e soprattutto dobbiamo votare? Secondo me no. Secondo me, a questo punto, emergono due proposte politiche molto nette, due sole, nell'insieme di tutti i documenti che mi sono preoccupato di leggere.
La prima proposta è quella dell'ordine del giorno presentato dal Consigliere Papandrea ed altri, forse anche quella del Consigliere Moriconi e quella del Gruppo DS, che propone una forza di interposizione sostanzialmente militare nei territori occupati e nell'area mediorientale per ripristinare non saprei dire bene che cosa, ma, comunque, condizioni di pace e di sicurezza sia per la popolazione israeliana che per la popolazione palestinese.
Questa è una scelta che la comunità internazionale ha già fatto e forze di interposizione hanno funzionato là dove erano supportate da ipotesi politiche chiare, quasi sempre ulteriormente suffragate da vittorie militari - e ci intendiamo - "alleate". Ha funzionato in Bosnia, ha funzionato in Afghanistan, non ha funzionato là dove le forze di interposizione militare intervenivano su uno scenario di guerra che non aveva soluzioni politiche di uscita definita e che ha finito per impantanare anche coloro che si intrapponevano nella logica della guerra.
Nell'area stessa c'è l'esempio molto chiaro del Libano. Quanti oggi propongono la forza di interposizione sono quelli che allora proponevano il ritiro della forza di interposizione, anche italiana, dal territorio libanese. Un altro esempio, di tipo diverso, è quello della Somalia; per là dove ci sono forze di interposizione non supportate da chiari ipotesi politiche, esse fanno la guerra insieme a tutti gli altri che fanno la guerra in quel territorio.
La seconda ipotesi, che emerge da una serie di documenti, non solo nel mio, ma anche in quello presentato dal collega Tapparo e sottoscritto da numerosi Consiglieri dell'opposizione, propone l'ingresso di Israele nell'Unione Europea come strumento per assicurare non solo la sicurezza ma, da un certo punto di vista, anche la sovranità dello Stato di Israele nell'oceano mediorientale e, per giunta, per favorire l'evoluzione democratica del sistema politico palestinese in un quadro di relazioni stabili con il continente europeo.
Secondo me, faremmo un grave errore se, anziché decidere e discutere di questa alternativa secca, che è quella che ci stiamo proponendo (da una parte, la forza di interposizione, dall'altra, l'ipotesi politica dell'integrazione di Israele nell'Unione Europea), decidessimo di votare un'insieme di punti di vista, di giudizi storici o la media di questi stessi punti di vista e giudizi storici.



PRESIDENTE

La ringrazio, collega Palma.
Passiamo ad esaminare l'ordine del giorno n. 524 presentato dal Consigliere Tapparo.
Ha chiesto la parola il Consigliere Marcenaro; ne ha facoltà.



MARCENARO Pietro

Presidente, mi dica se le sembra serio per noi e per la questione in esame che la discussione avvenga in queste condizioni.



PRESIDENTE

Invito i colleghi Consiglieri a prendere posto in aula.
Credo che sia una questione di rispetto nei confronti di chi interviene nell'illustrazione degli ordini del giorno.
Invito i Consiglieri a rientrare, perché poi si procederà alla votazione. Ho attivato il richiamo esterno, perché so che i Consiglieri sono presenti, ma sono all'esterno dell'aula.
La parola al Consigliere Tapparo per l'illustrazione dell'ordine del giorno n. 524.



TAPPARO Giancarlo

Volevo fare una breve aggiunta a quanto ho detto illustrando l'ordine del giorno che avevo presentato oltre un anno fa.
Vorrei ricordare un aspetto che mi pare non sia stato sottolineato. Il lavoro che stiamo facendo, per quello che può valere l'incisività della nostra azione, è anche legato a lanciare un messaggio che cerchi, da un lato, di bloccare quelle spinte antisraeliane che si sono manifestate in Europa e, dall'altro, di bloccare quegli atteggiamenti di un giudizio sommario rispetto al popolo palestinese, che viene spesso visto come un popolo che convive endemicamente con il terrorismo e che quasi lo genera.
Credo che questi siano due messaggi sbagliati e pericolosi, che con il nostro lavoro dovremo cercare di recuperare.
Voglio solo - per quello che si può fare dato lo scarso numero di Consiglieri rimasti in aula - accennando al mio ordine del giorno, che presento oggi aggiornato alla situazione, citare i due punti del dispositivo.
Un primo punto motiva perché Israele debba essere in futuro uno degli Stati membri dell'Unione Europea, perché ne ha i titoli come la Turchia e Cipro per questo processo (per storia e per caratteristica) e come il nuovo Stato palestinese che si andrà a costituire possa avere una forma di associazione privilegiata con l'Unione Europea.
Vorrei, inoltre, insieme a questa parte, garantire che sia data un'immediata attuazione alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che prevede un immediato ritiro dell'esercito israeliano dai territori.
Ahimè, le notizie di queste ore dicono che l'incontro avvenuto oggi pomeriggio tra il rappresentante del Governo americano e Arafat non ha dato esiti positivi. L'autorità palestinese ha parlato di esiti disastrosi.
Spero che siano manifestazioni del primo momento e che abbiano un contenuto tattico, quello di prevedere un immediato ritiro dell'esercito israeliano dalle città autonome della Cisgiordania.
Anch'io voglio ricordare che la Cisgiordania sino al 1967 apparteneva alla Giordania. Attraverso un importante processo di individuazione, quelle che oggi vengono chiamate aree dell'autonomia o città dell'autonomia costituiscono un tessuto territoriale per il futuro Stato palestinese.
Ovviamente, ci dovrà essere l'impegno dell'autorità nazionale palestinese e anche una fortissima azione contro gli attentati suicidi che si sono manifestati.
Questo è il dispositivo del mio ordine del giorno, che traccia le motivazioni più attuali lette alla luce della situazione odierna che, per non smentisce il significato del documento che avevo presentato, oltre un anno fa , confortato dalla firma di vari colleghi.



PRESIDENTE

Passiamo ad esaminare l'ordine del giorno n. 525.
La parola al Consigliere Marcenaro per l'illustrazione.



MARCENARO Pietro

Ho chiesto prima di valutare assieme se ci sono le condizioni affinch questa discussione possa concludersi in un modo rispettoso di noi stessi ma, soprattutto, della serietà della questione della quale dobbiamo discutere.
Prima di entrare nel merito, vorrei affrontare una questione che riguarda il modo in cui organizziamo il nostro lavoro. Come sapete, si è lavorato per promuovere un documento, riprendendo quello del Congresso delle Regioni, che possa costituire un elemento di sintesi per il nostro lavoro.
Voglio dire, però, che fra di noi converrà affrontare questa questione trovando una posizione comune. Se poi ciascuno articola le proprie posizioni in un altro modo, ovviamente diventa inutile e diventa un atto formale. Come tutti i compromessi, sono tali, hanno un senso e si fanno, se si reputano utili; diversamente, nessuno è obbligato a farli. Se da quest'aula dovesse uscire un messaggio per cui si dice una cosa e se ne fanno insieme altre tre o quattro, è evidente che, a questo punto, il ruolo di questa istituzione, nel misurarsi già con problemi così sproporzionati rispetto ai nostri effettivi poteri, rischia di essere effettivamente compromesso.
Per venire invece al merito, molte cose sono state dette. Si tratta di una questione importante, delicata e carica al tempo stesso di urgenze politiche, ma anche di problemi di una riflessione profonda e di una ricerca di un confronto e di una comprensione tra punti di vista diversi ed è molto complicata. E' una discussione che poi precipita semplicemente nei "sì" e nei "no". Lo dico perché questa comprensione di punti di vista diversi è, in realtà, non solamente una questione metodologica, ma è la chiave - anche in questo documento succinto che abbiamo proposto - per mettere tale questione al centro di una discussione sulla situazione in Medio Oriente e per cercare una via diversa e nuova che faccia uscire da questa drammatica spirale di terrore e di violenza, che non solo insanguina quella zona, ma che - come tutti sanno - costituisce poi, per tante ragioni, una minaccia politica alla sicurezza internazionale e alla pace di tutti.
Il punto dal quale partiamo non è un punto scontato e facile; in questo io sento un forte elemento di differenziazione sul piano dell'analisi e del punto di vista dal quale si sceglie di parlare, con la posizione poco fa illustrata dal collega Palma, che sceglie su questo punto con nettezza nell'identificazione delle ragioni delle parti in causa, una soluzione. Il Consigliere Palma ha detto che da una parte c'è una ragione e questa ragione è storicamente quella di Israele, della sua formazione, del suo diritto alla sicurezza, e in questa chiave si interpretano l'insieme dei fenomeni. Sotto questa chiave dominante non voglio fare l'errore contrario quello di dire "no". Penso che il problema sia esattamente questo e per noi non è una cosa facile, perché nella storia e nella formazione della sinistra non è un punto scontato quello di pensare che in quella soluzione non c'è una ragione e un torto, non c'è un oppressore e un oppresso.
Ci sono due diritti che si presentano in modo contraddittorio, la cui convivenza costituisce un problema di assoluta complicazione, ma che, fino a quando non si arriverà a riconoscere che esistono due ragioni, due diritti che si confrontano, che hanno entrambi uguale peso, legittimità storica e morale, fino a quando non si farà questo passo, non si troveranno le chiavi interpretative e le chiavi politiche che consentano di affrontare la situazione mediorientale su basi nuove e diverse da quelle sulle quali è stata affrontata.
Non concordo con la ricostruzione che è stata fatta, e prendo il Consigliere Palma come interlocutore, perché, insieme ad altri, ha fatto un intervento che ha portato un'idea. C'è un punto nella sua ricostruzione della storia e delle dinamiche politiche della responsabilità in questi anni, la cui rimozione è più chiara e dice più di tante altre cose. Nella sua ricostruzione non c'è spazio neanche per nominare l'assassinio di Rabin, che così profondamente cambia lo scenario dopo gli accordi di Oslo.
Ho ascoltato il suo intervento e non c'è spazio per questo, ma lì c'è una chiave di fondo, c'è un punto che ha segnato una svolta.
Noi oggi siamo in una situazione nella quale la ricostruzione di un elemento di rapporto comporta questo tipo di realtà. Mi sembra oggi che siamo di fronte ad una linea che ha spinto l'esperienza palestinese e la sua leadership, quella di Arafat, in una situazione di assoluta difficoltà di una difficoltà enorme di fronte a una radicalizzazione segnata da fenomeni che attraversavano l'insieme del mondo islamico e al quale le politiche aggressive del Governo israeliano hanno fortemente contribuito.
E', quindi, un'autorità politica palestinese - quella di Arafat fortemente indebolita sul piano di una capacità di governo, di un processo complesso come quello della pace. Quindi, da un lato, un indubbio indebolimento in questo quadro, dall'altro, di una politica del Governo israeliano.
Su questo la differenziazione non è mai in Israele una differenziazione che passa puramente attraverso i partiti, non è semplicemente una distinzione tra i laburisti e gli altri, che però attraversa Israele, che pensa non di favorire un interlocutore democratico, perché in fondo Arafat e l'autorità palestinese sono stati storicamente l'interpretazione della faccia laica, antintegralista e democratica dell'esperienza araba. Invece è quella di riproporre un rapporto che mette al centro proprio quegli Stati autoritari che della tradizione del nazionalismo arabo degli anni '50 sono gli eredi principali. Perché quando Israele non riconosce più Arafat come interlocutore, non è che esclude un negoziato, ma pensa ad un negoziato che abbia come protagonisti la Siria e la Giordania: la situazione più in movimento, ma che, non a caso, ha come protagonista e come punto di riferimento quello che, di tutti i Paesi arabi, è la sede stessa dell'integralismo e cioè l'Arabia Saudita, nella quale starebbero molte delle radici degli stessi processi che portano poi in generale ai fenomeni di terrorismo internazionale. E questo punto è, a mio parere, molto importante.
Per questo noi crediamo che oggi dietro all'idea "due popoli, due Stati", interpretata in questo modo, ci sia in realtà una posizione che si ricollega culturalmente con le parti più avanzate e più importanti del mondo arabo, di cui i palestinesi sono stati e continuano ad essere espressione politica e culturale, e che riapra un processo di confronto dentro la politica israeliana, dentro quel popolo, anche quella parte di esso così spostata, nei suoi comportamenti e nelle sue reazioni, da una situazione di crescita di un terrorismo.
Su questo voglio dire una cosa chiara: non condivido le posizioni di coloro che spiegano e che ci hanno detto che i kamikaze non possono essere considerati terroristi. No, dal punto di vista morale, ciascun individuo valuterà come vuole, ma non è questo il nostro compito. Dal punto di vista politico, si tratta di terroristi, sono kamikaze (uomini o donne) quelli che si fanno esplodere nei bazar e o negli alberghi, così come hanno sacrificato la loro vita anche quelli che sono morti sugli aerei dell'11 settembre. Non è che cercavano un vantaggio personale. Se uno guarda le cose da questo punto di vista, anche chi è saltato in aria nell'aereo dell'11 settembre, indubbiamente l'ha fatto per qualche convinzione e per qualche ideale, ma questo non autorizza nessuno di noi a non considerare questo, a tutti gli effetti, come un terrorismo politico che va combattuto.
Bisogna assolutamente distinguere tra questi piani e, per questo, abbiamo bisogno di un'iniziativa politica che ricostruisca le condizioni in cui l'insieme delle istituzioni internazionali agisca in questa direzione.
In conclusione, starei molto attento - lo dico anche al collega Tapparo, raccogliendo la sollecitazione che viene dal suo documento - ad affermare oggi in questo contesto la questione dell'adesione di Israele all'Unione Europea, ma non ne faccio una questione di principio.
Intanto, dobbiamo avere il senso delle proporzioni; questo è un punto che bisognerà discutere sul serio il giorno in cui Israele lo richiedesse non possiamo essere noi a pretendere di dettare delle scelte.
Scusate se cito il Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, quasi come il protagonista di un nuovo piano Marshall nel Medio Oriente, ma un conto è se il Governo italiano assumesse un rapporto con Israele e con i palestinesi, con i due Stati e con i due popoli, e facendosene garante, assumesse un elemento di promozione di questa situazione; altro senso ha, in questo contesto e momento, quella proposta.
Diventa, non la proposta di chi vuole contribuire a una mediazione, ma una proposta che finisce per indebolire tutti.
Personalmente, ho anche dei dubbi - ma è un mio punto di vista - sulla risoluzione del Parlamento europeo, che minaccia sanzioni.
Si possono anche minacciare delle sanzioni, al di là della loro utilità, ma è difficile minacciare sanzioni e al tempo stesso proporsi come mediatori, come persone che vogliono svolgere un ruolo in una situazione e controversia così difficile.
Voteremo il documento approvato dal Congresso delle Regioni, ma saremmo più lieti di poterlo ritirare, per confluire in una votazione e un pronunciamento unitario del Consiglio regionale.
Il documento che abbiamo presentato cerca di rispondere ai criteri che ho provato rapidamente ad illustrare.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE COTA



PRESIDENTE

Dichiaro chiusa l'illustrazione dei documenti.
E' aperta la discussione generale E' iscritto a parlare il Consigliere Bussola; ne ha facoltà.



BUSSOLA Cristiano

Grazie, Presidente. Devo dire che, dopo aver ascoltato nell'illustrazione degli ordini del giorno, gli appassionati interventi di chi mi ha preceduto, considero doveroso sottolineare come gli appelli alla pace in Medio Oriente che sono stati lanciati in questa settimana da decine e decine di istituzioni appartenenti al mondo libero, compresa oggi la nostra assemblea regionale, dovrebbero davvero offrire all'Europa, intesa come istituzione, in primo luogo alla Commissione e al Parlamento europeo l'opportunità di uscire da un'inerzia che dura ormai da troppo tempo.
L'Europa dovrebbe farsi garante; l'Europa deve farsi garante con gli Stati Uniti di un percorso di pace che sarà senza dubbio lunghissimo e difficile, ma in grado di dare i propri frutti concreti e positivi se sarà mirato a superare sia le posizioni di Arafat, sia le posizioni di Sharon operando, da un lato, con la diplomazia internazionale per rafforzare quella che è una posizione presente, una posizione palestinese moderata che si contrapponga con chiarezza alle barbarie del terrorismo; dall'altro lato, non criminalizzando Israele con delle soluzioni che ritengo essere inadeguate (mi riferisco, ad esempio, all'embargo).
Non dimentichiamo che gli israeliani rappresentano quella che pu essere definita l'unica "democrazia occidentale" del Medio Oriente.
Non dimentichiamo che gli israeliani si sono schierati a fianco degli Stati Uniti e dell'Europa in operazioni di giustizia internazionale (mi riferisco alle più significative: Afghanistan e Kosovo).
Occorre che il Governo israeliano comprenda che la politica della rappresaglia non conduce da alcuna parte; bisogna anche comprendere la gravità di una situazione che ha portato i cittadini israeliani a vivere nel terrore quotidiano.
I morti e i feriti causati dall'islamismo suicida - definiamolo in questo modo - se proiettati statisticamente nella realtà del nostro Paese corrisponderebbero addirittura a mille vittime e a diecimila feriti nell'arco di un solo mese.
Voglio fare, allora, un riferimento al pacifismo a senso unico, che purtroppo spesso colpisce il nostro Paese e l'Europa democratica nel suo complesso.
Vale la pena ricordare che, mentre i palestinesi che sono contrari all'idea di uno Stato israeliano, sono praticamente la stragrande maggioranza, se non tutti, gli israeliani che non accettano l'esistenza di uno Stato palestinese sono decisamente la minima parte.
Voglio ancora ricordare che, se è vero che per fare la pace è necessario che ci sia buona volontà da ambo le parti, è necessario trattare, spesso i palestinesi non hanno voluto trattare dopo gli attacchi più sanguinosi, come quello alla discoteca di Tel Aviv; ricordiamo tutti le terribili immagini trasmesse dai telegiornali, quando morirono venticinque giovani israeliani, o quando, dopo l'ondata di attacchi a Gerusalemme, il Governo israeliano propose un accordo ad Arafat, un accordo ufficiale istituzionale all'autorità palestinese per risparmiare i civili, ma rimase un appello inascoltato.
Occorre dunque fare attenzione a non avallare il terrorismo ideologico il cui motto ci fa ancora rabbrividire: "Amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita".
Un terrorismo ideologico della stessa matrice di quello che ha colpito gli Stati Uniti l'11 settembre, rischiando di mettere in discussione, se dovessimo aderire ad un simile atteggiamento, l'esistenza stessa dello Stato d'Israele.
Non voglio usare i toni duri, forse anche eccessivi, del recente "J'accuse" di Oriana Fallaci, pubblicato da un settimanale nazionale, ma ritengo che all'ondata del nuovo antisemitismo - perché solo in questo modo si può definire - presente in questi giorni - lo leggiamo sui giornali - si debba rispondere, da parte delle istituzioni come la nostra, da parte dell'Unione Europea, visto che facciamo riferimento all'Europa in primo luogo, in modo molto chiaro, netto ed inequivocabile.
E' stato detto da altri colleghi che mi hanno preceduto: "Due popoli due Stati". Su questo non c'è dubbio; l'obiettivo deve certamente essere questo, con un appello alla responsabilità, come quello che è stato rivolto recentemente da Solana, il rappresentante della politica estera dell'Unione Europea, sia ai palestinesi, sia agli israeliani: "Fate la storia, non fate la guerra", per far sì che non accada più, come è apparso su un'amara vignetta pubblicata da un quotidiano italiano nei giorni scorsi, che l'unica cosa che gli israeliani e i palestinesi riescono a fare insieme sia morire.
Ecco allora il significato della presa di posizione che deve emergere da questo Consiglio regionale e io concordo pienamente con quanto è stato detto dal collega Marcenaro, una posizione che mi auguro sia univoca consensuale fra tutte le forze politiche appartenenti all'assemblea piemontese.
Una presa di posizione che sono certo riuscirà, unendosi a tutte le altre, a contribuire con forza e determinazione, a rinvigorire un attivismo diplomatico dell'Europa che finora credo sia stato davvero troppo appannato, troppo privo di vero significato.
Naturalmente, tutto questo a favore di una pace duratura in Medio Oriente.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Galasso.



GALASSO Ennio Lucio

Ho seguito il dibattito interessante e le varie posizioni. Mi pare che, senza dubbio, anche in questa occasione, vada sottolineato il sentimento di condivisione di fronte a certe tragedie che ci accomunano.
Pur, ovviamente, con quelle differenziazioni che appartengono al patrimonio di ognuno.
Ritengo che questa sia la strada giusta su cui possiamo continuare a confrontarci per dare un contributo serio quando ci troviamo di fronte ad immani tragedie.
Condivido la precisazione che non possiamo riconoscere ai kamikaze alcuni addirittura discutono se sia appropriato questo termine - una dignità che vada oltre il loro sacrificio. E' un equivoco in cui non possiamo incorrere. Seminano terrore e morte e lo seminano in modo indiscriminato. Sono azioni non apprezzabili da parte di ognuno, perch possono mietere vittime anche nei confronti di chi può pensarla, se non in modo simile, comunque avere delle contiguità per certi aspetti.
Al di là di questa precisazione, che rischia di diventare soltanto concettuale e terminologica, dobbiamo evitare questa confusione, altrimenti non diamo alcun contributo di chiarezza sul piano della civiltà e del confronto, anche quando ci si batte e ci si combatte per ragioni che hanno un loro fondamento e una loro idealità.
Ci preme sottolineare - mi pare l'aspetto più rilevante che vogliamo denunciare - l'impotenza della comunità internazionale di fronte a questa situazione e a queste tragedie, così come il mancato ruolo dell'Europa in una regione mediterranea che con l'Europa ha, ovviamente, molti agganci e molti addentellati. Su questo noi possiamo dare un contributo. Intanto, non rinunciare al ruolo che l'Europa può avere, quindi al ruolo che noi, come italiani, come piemontesi e come europei, possiamo avere.
Ovviamente, non è il caso di sottolineare che non bisogna delegare tutto agli Stati Uniti d'America anche perché essi non possono risolvere la questione. Dobbiamo dire noi che possiamo e dobbiamo pretendere di dare un contributo in questa regione e in questi luoghi, rispettando storia e geografia.
Ovviamente, la nostra posizione è nota ed è stata lucidamente espressa dal Vicepresidente del Consiglio Fini a Bologna.
Noi riteniamo che ci debbano essere due popoli e quindi due Stati.
Riteniamo che le armi siano non solo inadeguate, ma anche da rimuovere.
Bisogna trovare una soluzione e magari - perché no? - anche con un Piano Marshall che miri a ridurre i divari, sotto il profilo economico finanziario e sociale, che ci sono e che distinguono questi due diversi popoli.
Mi pare che questa sia la linea su cui ci possiamo porre e per la quale condividiamo l'ordine del giorno approvato dal Congresso delle Regioni. Ho letto anche l'ipotesi di emendamento che poi non è stato proposto (o probabilmente è stato proposto). Ritengo di condividere anche la proposta dei Consiglieri Mellano e Palma.
Su questa linea riteniamo che si possa sconfiggere l'odio e il terrorismo. Riteniamo, ancora una volta, che non ci possano essere esasperazioni, ma che possiamo dare un contributo positivo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TOSELLI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Contu.



CONTU Mario

Personalmente, rinuncerei anche al mio intervento. Mi pare che il dibattito abbia evidenziato la possibilità di convergere su un ordine del giorno unitario. Se i Consiglieri sono d'accordo, potremmo pensare di mettere in votazione palese il documento.



PRESIDENTE

Mi fanno segno di no, quindi non possiamo addivenire a questa soluzione.
Se durante il dibattito generale emergesse la posizione che lei ed altri colleghi sostengono, ben venga, al fine, in modo univoco, di dirigersi verso una posizione che sia il più possibile comune.
La parola al Consigliere Ronzani.



RONZANI Wilmer

Presidente e colleghi, anch'io credo che il groviglio di questioni che devono essere dipanate quando si affronta la situazione del Medio Oriente sia tale da richiedere, da parte della politica, uno sforzo, per avvicinarsi al problema, non manicheo. Per troppo tempo - ha ragione il Consigliere Marcenaro che mi ha preceduto - ci siamo divisi in filoisraeliani e in filopalestinesi, finendo con il difendere, a ragione per un verso, soltanto uno degli interessi legittimi che questa vicenda pone in campo.
Credo - cerco di rispondere al Consigliere Palma - che la situazione sia giunta, o stia per giungere, ad un punto di non ritorno. La situazione è tale da richiedere, questa è la mia opinione, non già il perseguimento di obiettivi che appaiono in questa situazione come una fuga in avanti rispetto all'esigenza che abbiamo di determinare una situazione che non diventi di non ritorno. Quello che temo è che si stia determinando una situazione rispetto alla quale il clima di odio, di diffidenza, di ostilità di una parte e dell'altra, non consenta quel compromesso che tutti consideriamo - come dice il Consigliere Chiezzi - una condizione per assicurare alla crisi mediorientale una soluzione politica.
Credo che il contributo che noi dobbiamo dare, che il Consiglio regionale - ha ragione il Consigliere Marcenaro - facendo le debite proporzioni, può e deve dare, sia un contributo a che oggi venga individuata nelle condizioni date quell'iniziativa che può consentirci di impedire che la situazione conosca e superi quella soglia di non ritorno.
Se questo è l'obiettivo, se cioè non pensiamo che da quella situazione sia possibile uscire soltanto se si riannodano i fili del dialogo e della trattativa tra due campi di forze che si stanno guardando con grande ostilità, con grande diffidenza e con grande odio, è evidente, quindi, che la nostra iniziativa politica deve essere ritagliata avendo in mente l'obiettivo, come già affermato dal Consigliere Marcenaro, "Due popoli, due Stati", cioè il diritto di Israele di vivere dentro uno Stato sicuro e riconosciuto e, per altro verso, il diritto dei palestinesi di vivere in uno Stato indipendente e sovrano.
Il mio intervento sarà molto breve perché non voglio affrontare questioni che pure sarebbe il caso di affrontare e sulle quali si sono soffermati il Consigliere Palma ed altri colleghi, in quanto credo che - e non ho difficoltà a riconoscerlo - Arafat abbia commesso un errore a non sottoscrivere l'accordo di Camp David quando Clinton, ad un certo punto aveva prospettato, insieme al Primo Ministro israeliano Barak, un'ipotesi di soluzione della crisi arabo-israeliana. Anch'io credo che quella fase poteva avere uno sviluppo e un'evoluzione positiva, senza ignorare tuttavia, che vi è stata una svolta rappresentata dall'assassinio di Rabin.
Tra la seconda Intifada ed oggi non possiamo ignorare che vi è stato di mezzo il cambio della politica israeliana, perché gli interlocutori palestinesi sono rimasti i medesimi: l'Arafat che noi critichiamo è lo stesso che ha trattato l'accordo di pace con Israele e con il Governo Barak.
Certo, Barak ha commesso un errore a non convenire su quell'ipotesi di compromesso, ma la novità di quella situazione, che ha determinato un aggravamento delle condizioni del Medio Oriente, è il fatto che nel frattempo, a seguito anche di quel mancato accordo, è intervenuto un cambiamento di fase nella politica dello Stato di Israele. Infatti probabilmente in questa fase, l'obiettivo di Israele è tentare la cancellazione, la sconfitta e l'annientamento del popolo palestinese; in una fase nella quale, invece, si dovrebbe lavorare affinché i due soggetti si pongano il problema del riconoscimento reciproco.
Mi pare che sia questo il compito più difficile da realizzare, in una situazione nella quale pesano le storie, le ostilità, le diffidenze e il clima di odio che sta caratterizzando quella situazione.
Se questo è il quadro, davvero noi pensiamo - qui rispondo al Consigliere Palma - che le opzioni credibili siano due? Quelle di chi sostiene, come noi, che occorre imporre una tregua, che occorre realizzare contestualmente una sconfitta del terrorismo, ma anche il ritiro delle truppe? Ma davvero possiamo pensare che sia possibile combattere il terrorismo efficacemente tenendo in assedio Arafat? Davvero qualcuno di noi pensa che sia più facile condurre questa battaglia se il capo dell'OLP è tenuto da venti giorni a Ramallah in uno stato di assedio? Francamente, non lo credo, anzi, credo che debba terminare il più presto possibile questa situazione, perché è evidente che questo contribuisce a delegittimare la possibilità di riannodare i fili del dialogo e della trattativa. Allora, non è vero che l'unica soluzione, o che la soluzione credibile in campo, sia quella di associare Israele all'Europa.
Vi invito ad un bagno di realismo, colleghi: davvero pensate che in questo momento sia realistico proporre una soluzione di questo genere, in un momento nel quale Israele dichiara che non considera l'Europa un interlocutore? Infatti, proprio in questi giorni il Primo Ministro israeliano ha dichiarato di non considerare l'Europa un interlocutore della Conferenza di pace.
Se questo è il dato della situazione, se abbiamo cioè un interlocutore Israele, che ha, tra le sue valutazioni, quella di non considerare l'Europa come un soggetto che può, insieme all'ONU, agli Stati Uniti e alle aree moderate, contribuire a far sviluppare un concetto di pace, non ritenete che sia, oggettivamente, irrealistica, intempestiva e una fuga in avanti la proposta di chi ritiene che la crisi mediorientale possa essere risolta immaginando un qualcosa che nessuno ci chiede e che non viene considerato dai nostri interlocutori, come una condizione per favorire un processo di pace? Non solo non esiste una tale proposta, anzi, il nostro interlocutore cioè Israele, non ci considera interlocutori, giacché ritiene che il Ministro degli Esteri dell'Europa non sia, in questa fase, titolato a rappresentare l'Unione Europea nel processo di pace.
La politica non è fatta di fughe in avanti: la politica è fatta di realismo. Mai come in questo momento una situazione richiede atti di politica estera realistici e politica pura.
Per questo motivo, considero non proponibile il dilemma del collega Palma che dice: "Qui abbiamo due opzioni: la prima è l'associazione di Israele nel processo di pace; la seconda, meno realistica, è quella di proporre la tregua e la forza di interposizione". In questo momento, la prima opzione non è in campo e, quando anche fosse in campo, ha un valore puramente retorico, perché voi mi insegnate che nella politica estera le crisi come questa richiedono proposte praticabili e realizzabili, che possono essere realizzate nella misura in cui il contendente le sostiene.
In questo caso, però, siamo in presenza di un contendente che, non soltanto non le sostiene, ma le respinge, giacché considera l'Europa un soggetto non titolato a discutere.
Allora, c'è solo una soluzione in campo, colleghi, una soluzione politica di chi ritiene che in questo momento vada imposta una tregua, vada sconfitto il terrorismo e vadano ritirate le truppe. La forza di interposizione ha, in questo momento, un ruolo preciso: favorire una ripresa della trattativa e il rispetto degli accordi che possono scaturire da una ripresa della trattativa.
Questa fase può anche servire a determinare eventuali accordi di pace su cui lavoriamo affinché vengano raggiunti e vengano rispettati, giacch il clima in quella regione è tale per cui anche il migliore degli accordi potrebbe non essere rispettato.
Non possiamo raccontarci delle storie: nella misura in cui si avvicina la soluzione politica della crisi mediorientale (e la vicenda Rabin lo dimostra), avremmo altre spinte e altri momenti di tensione, perché alcune frange estremistiche, dell'una e dell'altra parte, lavoreranno per impedire una soluzione politica.
In questo quadro, quindi, ha un ruolo la forza di interposizione; non si tratta di una fuga in avanti, ma è, nelle condizioni date, lo strumento con il quale si realizza e si garantisce l'avvio e il rispetto di una politica.
In questo momento (per la parte che ci compete, senza montarci la testa), qual è la cosa più utile ai palestinesi e agli israeliani? Credo che sia che il Consiglio regionale si riconosca nella presa di posizione delle Regioni, che rappresenta un punto di equilibrio positivo.



PRESIDENTE

Prima di dare la parola al Consigliere Caracciolo, comunico all'assemblea che è pervenuto l'ordine del giorno n. 526, a firma dei Consiglieri Palma, Mellano, Galasso, Costa Rosa Anna, Godio, Bussola Tapparo, Caracciolo, Angeleri e Botta Marco.
La parola al Consigliere Palma.



PALMA Carmelo

Visto che è un ordine del giorno con più proponenti, alcuni dei quali hanno sottoscritto anche altri ordini del giorno, per quanto mi riguarda posso affermare che questo sicuramente sostituisce l'ordine del giorno a firma del Consigliere Mellano e del sottoscritto, che era stato presentato precedentemente.



PRESIDENTE

L'ordine del giorno n. 523 è ritirato?



PALMA Carmelo

Sì, e va nella direzione di quella mediazione che avevo proposto, cioè non una mediazione sui contenuti, ma rispetto all'ordine dei nostri lavori: discutiamo su proposte singole. Ovviamente, ci sono firmatari presentatori di altri ordini del giorno che...



PRESIDENTE

Questi ultimi esporranno la loro opinione successivamente.
La parola al Consigliere Caracciolo.



CARACCIOLO Giovanni

Signor Presidente e colleghi, la tragica urgenza determinata dalla sequenza di eventi che scandiscono il conflitto israelo-palestinese, sulla nota sanguinosa di attentati terroristici e rappresaglie militari, che finiscono per colpire e martoriare soprattutto, se non esclusivamente, la popolazione civile dei due campi, interpella drammaticamente la coscienza del mondo.
Troppi sono i legami storici, culturali, sentimentali e politici che ci legano ai protagonisti del conflitto, perché non si senta come uno scacco moralmente angoscioso, come un'impotenza vergognosa, la nostra condizione di cittadini d'Europa che si affacciano su quello scenario solo come spettatori privi di iniziativa, non solo politica, ma persino anche umanitaria.
Al di là delle molte, forse troppe, parole, al di là delle strumentalizzazioni subdole o esibite, al di là della spettacolarizzazione della tragedia altrui, che rischia di essere la condizione costante della nostra esistenza di consumatori mass-mediatici, resta l'esigenza assoluta primaria ed elementare di restaurare alcuni elementi di ragionevolezza e di umanità che i contendenti sembrano avere smarrito.
Non è tempo ora di giudizi storici ed ideologici, non è tempo di astuzie tattiche. Quando in gioco è la stessa sopravvivenza della dignità dell'esistenza, è tempo soltanto per interventi che puntino a ridurre i danni più gravi, a terapie di contenimento di una metastasi politica e morale altrimenti inarrestabile.
Tutta la comunità internazionale, a partire dal Presidente americano Bush, ha richiesto che si fermi subito, non domani né dopodomani, la catena infernale del terrorismo suicida contro la popolazione israeliana da una parte, e della brutale occupazione militare dei territori della Cisgiordania dall'altra.
Il terrorismo getta Israele in un'emergenza intollerabile per qualunque Paese al mondo e genera paura, disperazione e pulsioni vendicative.
L'occupazione militare affama, uccide, umilia la popolazione palestinese non meno della sua Autorità Nazionale (quali che siano le responsabilità politiche eventuali di quest'ultima), e getta la gente nella paura, nella disperazione, nel desiderio di vendetta.
Occorre che le comunità internazionali, a partire dall'ONU e giungendo sino all'Unione Europea, attivino tutte le possibili iniziative per indurre le parti al rispetto delle Risoluzioni approvate unanimemente dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Occorre che sia rapidamente individuata e spedita sul posto una forza di interposizione internazionale, accettata da entrambe le parti, che riesca ad impedire ulteriori scontri.
Occorre che siano inviati osservatori internazionali rappresentativi di organizzazioni umanitarie (Croce Rossa, Amnesty, Caritas, ecc.) nonch dell'Unione Europea, che garantiscano il rispetto dei diritti umani e il ripristino di condizioni minime di convivenza.
Occorre che l'Europa si faccia carico di una task-force umanitaria che provveda all'invio urgente di viveri, medicinali, generi di conforto e che offra risorse e competenze tecniche per il ripristino delle infrastrutture abitative e civili là dove sono state più devastate.
Occorre che siano prese iniziative di prevenzione, repressione e insieme di informazione e di divulgazione contro i pericoli gravissimi di una ripresa dell'antisemitismo in Europa e nel mondo comunque mascherato come antisionismo.
Occorre un forte impegno da parte di tutti i Paesi nella lotta al terrorismo e alle sue ramificazioni internazionali, attraverso un coordinamento solidale delle iniziative riconosciute necessarie.
Occorre, una volta soddisfatte queste condizioni preliminari promuovere la ripresa di un serio negoziato di pace, assistito dall'impegno assiduo e concreto della comunità internazionale a tutti i livelli di rappresentatività istituzionale. Pace nella giustizia e nella libertà.
Occorre, finalmente, che si giunga ad un accordo che riconosca e garantisca simultaneamente il diritto all'esistenza di Israele entro confini riconosciuti e quello di uno Stato palestinese, messo in condizione di sopravvivere economicamente e politicamente.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Saitta.



SAITTA Antonio

Presidente, confesso un certo imbarazzo ad intervenire in questo dibattito, in cui si espongono delle posizioni, e non mi pare che esista una grande partecipazione, soprattutto da chi ha responsabilità di governo della Regione. Obiettivamente, mi sembra una cosa non molto degna per la nostra istituzione.
Tuttavia, siamo stati chiamati ad esprimerci sugli ordini del giorno che sono stati formulati. Obiettivamente, però, quando si interviene, lo si fa non per compiere un rito solitario, ma affinché vi sia una riflessione sulle questioni che si sollevano. Per cui, il rito lo compiamo, ma se non esistono interlocutori - molti non ci sono, altri telefonano, altri ancora... - mi sembra, obiettivamente, che il significato di un'assemblea elettiva, che discute e conclude sulla base di una discussione, venga a mancare.
E lo reputo ancora più grave proprio perché discutiamo di una questione che tutti riteniamo importane e mi chiedo come un Consiglio regionale, che ormai è come una classe politica alla quale appartengo anch'io, in cui tutti rivendicano un ruolo forte dal punto di vista politico, non soltanto nazionale, ma anche internazionale e di politica estera, poi, al momento del dunque... Abbiamo la sede a Bruxelles! Vi è la presenza di funzionari in un luogo, come dire, importante.
Ha senso che sia questa la modalità con cui affrontiamo le questioni? Lo dico perché occorre chiedersi il significato delle cose che compiamo.
Il collega Ronzani, nella parte conclusiva del suo intervento, dopo alcune considerazioni di merito, ha affermato: "Non dobbiamo montarci la testa, ma alla fine dobbiamo capire qual è il significato delle azioni che compiamo".
Allora, credo che si ponga la domanda: cosa dobbiamo fare? Cosa possiamo fare come Consiglio regionale? Ritengo che vi sia uno spazio per sollecitare, per aiutare, una modalità di intervento sul conflitto palestinese da parte della comunità internazionale, in modo particolare dal Governo italiano attraverso le sue rappresentanze. È questo lo spazio. Perché se il nostro è un dibattito per fare un bilancio sui torti o sulle ragioni delle parti in conflitto, come siamo tentati un po' tutti di fare, posto che ognuno di noi ha conoscenze ha convinzioni, ciascuno è in grado forse di poter giudicare - io non mi trovo tra questi - sono, in ogni caso, convinto che non si riesca a concludere nulla.
Allora, resta soltanto lo spazio per una forte sollecitazione di un intervento delle diverse diplomazie e di un intervento, come viene chiesto nel documento del Congresso delle Regioni, dell'Unione Europea sul conflitto internazionale. Questo è lo spazio possibile, che parte dalla constatazione - non piratesca - che ormai è un dato di fatto, che forse anzi, non soltanto forse, le classi dirigenti israeliane e palestinesi non hanno più in mano il gioco. La classe politica interessata a quel conflitto non ha la percezione delle questioni enormi che sta trattando. Non è soltanto, come è stato rilevato, un conflitto locale.
Credo che anche Sharon non abbia la percezione di quello che accadde intorno a lui, anche se alcune reazioni trovano, evidentemente, una giustificazione.
Certamente, occorre qualcosa di decisivo - lo abbiamo detto, non si pu che ripetere - dalla parte palestinese, perché questa continua richiesta di solidarietà internazionale da parte di Arafat non può continuare a scatola chiusa, ormai c'è un limite, c'è un limite da parte di tutti.
Non si tratta soltanto di dichiarare a qualche giornale o a qualche televisione che il terrorismo è inammissibile. Il problema è della prassi e dei comportamenti. Probabilmente, si deve verificare se Arafat è disposto a rischiare davanti al suo popolo di pronunciare una sconfessione pubblica e di tenere comportamenti coerenti con essa.
Questo sicuramente è importante, così come credo che la stessa giusta campagna di difesa del popolo israelita dagli atteggiamenti antiebraici finisca per muoversi nel vuoto, perché, se non si riesce a distinguere la politica israeliana dall'ebraismo - il problema è questo - cade un'area importante del consenso a favore degli ebrei in generale.
Si rischia che il comportamento di Arafat non riesca a produrre quel consenso che ha avuto finora. Se non si separa l'ebraismo dalla politica israeliana si corre il pericolo che cada un'area di consenso intorno all'ebraismo.
Questo per dire che la questione è complessa. Per cui condivido l'ordine del giorno presentato dai colleghi che hanno partecipato al Congresso delle Regioni, perché si collocano all'interno di questo quadro e, soprattutto, perché si pone l'obiettivo di una forte sollecitazione da parte del Consiglio regionale per un intervento dell'Unione Europea che aiuti a prendere in mano una partita che oggi la classe dirigente del conflitto palestinese pare che non abbia più.
Non c'è molto tempo, per cui una sollecitazione veloce è importante per fare in modo che anche l'Unione Europea, oltre evidentemente agli Stati Uniti, alla Russia e all'ONU, assuma un intervento.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Palma.



PALMA Carmelo

Mi pare abbastanza evidente che né dal punto di vista numerico né dal punto di vista politico si possa procedere alla votazione dei documenti.
La mia proposta consiste nell'esaurire nella giornata di oggi la discussione generale, intendendo con ciò informalmente anche la fase delle dichiarazioni di voto, e di riservare ad una seduta successiva, in cui intanto ci sia il numero legale e tutti i Gruppi del Consiglio siano rappresentati, la votazione dei diversi documenti.



PRESIDENTE

Quindi, lei, Consigliere Palma, sostiene di verificare eventuali ritiri degli ordini del giorno, se ve ne sono, quindi fare pulizia in generale chiedo scusa se uso un termine antipatico, ma è solo per capirci - poi di procedere alle dichiarazioni di voto e di rinviare il voto alla prossima seduta?



PALMA Carmelo

Sì.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marcenaro.



MARCENARO Pietro

Per il nostro Gruppo ci sono almeno due possibilità.
Il Consigliere Angeleri mi ha comunicato adesso che trattandosi di ordini del giorno non esiste alcun problema di numero legale.
Siccome abbiamo svolto la discussione in queste brutte condizioni direi di concluderla. L'unica cosa che posso dire è che se la vogliamo sospendere, la sospendiamo, ma la sospendiamo, non vorrei che si svolgessero le dichiarazioni. Si sospende al punto dell'illustrazione dei documenti e quando si riprende, parlo per il mio Gruppo, se ci sono persone che vogliono intervenire, a quel punto lo potranno fare e si conclude la discussione. O una cosa o l'altra.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Palma.



PALMA Carmelo

Dal punto di vista tecnico, posso convenire con la posizione del Consigliere Marcenaro. Non ha senso continuare la discussione e l'approfondimento su questi testi.
Al di là del problema tecnico-regolamentare dell'esistenza o meno del numero legale, dal punto di vista politico non ha alcun senso votare un ordine del giorno di questa portata in presenza di diciotto Consiglieri.
Comunque sia, non è possibile. Non è possibile votare in questa situazione. Non è politicamente possibile, a fronte di tutti i documenti che sono stati presentati, votare in questi termini.
Esiste anche un elemento di prassi. E' vero che magari dal punto di vista regolamentare non esiste il problema del numero legale, ma per la discussione di qualunque argomento, comprese le interrogazioni, abbiamo sempre richiamato la presenza del numero legale.
Chiedo di sospendere la seduta a questo punto e di concluderla in una fase successiva.



PRESIDENTE

Colleghi, dalla votazione del primo ordine del giorno, alla quale non siamo ancora arrivati, si potrà verificare il numero legale, e, qualora non ci fosse, automaticamente si arriverebbe alla sospensione della seduta.
Un'altra soluzione consisterebbe nella sospensione - come sostengono alcuni colleghi - del dibattito, però tenete presente che non vi è la garanzia di riprendere la discussione in tempi rapidi e rischiamo nuovamente che gli ordini del giorno diventino vecchi.
Avrei preferito terminare oggi gli interventi ed eventualmente riservare la votazione per la prossima seduta. Se nella prossima seduta non discutiamo questa questione per "n" ragioni, gli ordini del giorno potrebbero risultare vecchi. Se risultano vecchi, allora, poi, cosa facciamo? La parola al Consigliere Bussola.



BUSSOLA Cristiano

Signor Presidente, comprendo le sue ragioni, ma mi sento di condividere pienamente quanto affermato poco fa dal collega Palma.
Credo che ci debbano essere delle condizioni oggettive di agibilità dell'aula per poter portare avanti un dibattito su un tema così importante.
Chiedo che i lavori vengano sospesi. Mi associo a quanto il Consigliere Palma ed altri hanno sottolineato.



PRESIDENTE

A priori siamo così sicuri che non abbiamo i voti? La parola al Consigliere Marcenaro.



MARCENARO Pietro

Scusi, Presidente, o tutti noi chiudiamo gli occhi come li abbiamo tenuti chiusi fino ad ora, oppure, se non li vogliamo chiudere adesso finita la fase di illustrazione, li apriamo e vediamo che non ci sono le condizioni politiche per concludere la discussione, sospenderla e rinviarla.



PRESIDENTE

A seguito della richiesta dei Consiglieri Palma, Marcenaro e Bussola possiamo dichiarare chiusa la seduta.
La parola al Consigliere Marcenaro.



MARCENARO Pietro

Compatibilmente al fatto che questa mattina abbiamo assunto un impegno con il Presidente Ghigo e nella mattinata di venerdì è fissata una discussione su un determinato punto, dopo, per quanto mi riguarda, dovrà essere calendarizzata questa discussione.



PRESIDENTE

Colleghi, chiedo scusa, ma sempre nella mattinata di venerdì potremmo procedere con le dichiarazioni di voto sugli ordini del giorno, visto che il dibattito generale si è svolto, per poi votarli, ma entro la mattinata stessa. Non cambia nulla. Non è una questione di inizio o fine l'importante è chiudere l'argomento entro la seduta antimeridiana.
In questo modo, mi sembrava di concludere ragionevolmente l'argomento anche perché se lo rimandiamo ancora può darsi che gli ordini del giorno non siano più rappresentativi della situazione reale.
Quindi, affronteremo la questione venerdì mattino, come ci si è accordati.
Rispetto al resto, aggiungiamo ancora la fase conclusiva del dibattito in merito agli ordini del giorno sulla questione mediorientale.
La parola alla Consigliera Manica.



MANICA Giuliana

Così come avevamo calendarizzato il dibattito nella giornata di oggi con una precisa scadenza temporale - presente, anche se non presiede, il Presidente del Consiglio Cota - chiederei che lo stesso ordine dei lavori venisse ribadito anche per la giornata di venerdì.
Nella giornata di venerdì, in apertura, discuteremo dei ticket, come abbiamo stabilito nella mattinata di oggi alla Presenza del Presidente Ghigo, e, alla fine di tale discussione, proseguiremo con la conclusione del dibattito sul Medio Oriente. Volevo precisare questo punto perché lo reputo importante.



PRESIDENTE

L'ho già ribadito io, Consigliera Manica.
Al termine della discussione sui ticket, prima della chiusura concludiamo l'argomento.


Argomento:

Annunzio interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno


PRESIDENTE

I testi delle interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenute all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale verranno allegati al processo verba le dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18.20)



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