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Dettaglio seduta n.90 del 31/05/06 - Legislatura n. VIII - Sedute dal 3 aprile 2005 al 27 marzo 2010

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GARIGLIO



(La seduta ha inizio alle ore 11.12)



PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento: Celebrazioni Manifestazioni Anniversari Convegni

Ricorrenza del anniversario della Costituente e del voto alle donne (collegato ordine del giorno n. 350 "Ricorrenza del 60° anniversario della Costituente e del voto alle donne")


PRESIDENTE

La seduta odierna si svolge in sessione straordinaria, ai sensi dell'articolo 46 del Regolamento. Si tratta di un'assemblea aperta per il 60° anniversario della Repubblica, della Costituente e del voto alle donne.
Prego la Presidente della Regione, la Presidente della Consulta delle Elette, il rappresentante dell'ANCI di accomodarsi ai banchi della Presidenza.
Ringrazio le autorità civili e militari che ci hanno onorato della loro presenza.
Ricordo che la celebrazione di quest'anniversario è stata voluta dal Consiglio regionale, d'intesa con la Consulta delle Elette e con il Comitato per la difesa e l'affermazione dei valori della Resistenza e della Costituzione.
Cari colleghi, il 2 giugno 1946, dopo oltre vent'anni di dittatura, gli italiani furono chiamati alle urne, per votare il referendum istituzionale Monarchia o Repubblica - e per l'elezione dei membri dell'Assemblea Costituente. Quel 2 giugno andarono a votare l'89,1% degli aventi diritto una percentuale senza precedenti, e le donne arrivarono alle urne vivendo l'emozione della prima grande esperienza di partecipazione politica finalmente come elettrici e come candidate.
Furono eletti 556 deputati con il compito di redigere la nostra Costituzione repubblicana: 21 degli eletti erano donne. Cinque di loro Maria Federici, Angela Gotelli, Nilde Jotti, Tina Merlin e Teresa Noce furono chiamate a comporre la Commissione dei 75, incaricata di redigere il testo del documento fondante la nostra convivenza civile.
L'Assemblea regionale del Piemonte, insieme con il Comitato per l'affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione e alla Consulta delle Elette (qui rappresentati dai rispettivi Presidenti), ha scelto di celebrare il 60° anniversario dell'Assemblea Costituente, della Repubblica e della conquista del voto alle donne con questa seduta consiliare aperta.
Ha ritenuto che questo fosse il modo migliore per onorare la ricorrenza di un momento fondamentale per l'identità e la storia del nostro Paese.
Un momento fortemente voluto, con la convinzione che fosse necessario evitare il più possibile accenni puramente rievocativi.
Il problema che ha preoccupato ed impegnato il legislatore nazionale, e che si è ritenuto indispensabile affrontare nelle ultime legislature repubblicane, è stato quello di rivisitare la nostra Costituzione.
Infatti, si è continuato a parlare, anche se spesso in modo confuso, di revisione della forma dello Stato, intesa nella contrapposizione tra centralismo e regionalismo; di revisione della forma di Governo, del bicameralismo e delle forme di garanzie.
Il Parlamento, con le leggi costituzionali del 1999 e del 2001 e infine, con la legge costituzionale recentemente approvata ed in attesa del referendum confermativo, si è quindi prefissato un compito ambizioso: la costruzione di un sistema costituzionale rispondente alle nuove, e ormai improcrastinabili, esigenze innovatrici.
La nostra democrazia, infatti, deve dimostrare di essere "matura", di essere all'altezza delle sfide di questa fase storica: l'unico modo possibile è un rinnovamento delle regole su cui si fondano le nostre istituzioni.
Questo dibattito in atto a livello politico sui possibili cambiamenti da apportare nelle parti riguardanti la configurazione istituzionale e l'organizzazione dello Stato nel suo complesso costituisce uno stimolo di confronto sul valore stesso della nostra Carta fondamentale e sull'attualità dei principi espressi. E non è senza preoccupazione che possiamo assistere al fatto che ormai la dottrina tende a parlare di banalizzazione della Costituzione laddove ne intenda sottolineare la tendenza del legislatore e anche dell'opinione pubblica di considerare questa Carta ormai facilmente modificabile da parte delle maggioranze che di turno si insediano in seno al governo dello Stato.
Oggi non voglio fare un'orazione formale, ma piuttosto guardare al passato per pensare al futuro.
Allora uno dei punti di partenza sul quale riflettere è se questa concezione del contenuto e della funzione della Costituzione sia ancora attuale. La risposta a questo quesito, a mio giudizio, deve essere senz'altro positiva.
Se alle riforme istituzionali sono legate, probabilmente, le sorti dell'intero Paese, tutta l'opera riformatrice deve, prima di tutto, tenere presente l'aspetto dei limiti-principio: l'essenza della Costituzione, i principi supremi.
I costituenti francesi del 1789 affermarono che "una società nella quale non è assicurata la garanzia dei diritti, e non è stabilita la separazione dei poteri, non ha Costituzione".
Si può notare come con questa affermazione non solo si dia una nozione non meramente formale della Costituzione, bensì una Costituzione vista come insieme di regole fondamentali diretta a disciplinare la vita dello Stato e i suoi rapporti con i cittadini.
Questo sigillo volge ad una nozione di Costituzione in senso materiale che deve rappresentare il punto di partenza, di non ritorno, per fondare ogni mutamento ed evitare che qualsiasi intervento correttivo non sia già dalla sua partenza, un salto nel buio.
La prima parte della nostra Costituzione riguarda proprio i valori e i principi fondamentali su cui si fonda il nostro ordinamento. Rappresenta la carta di identità della Repubblica, l'elemento di continuità storica anche in presenza di trasformazioni profonde.
L'Assemblea Costituente ha determinato il sistema costituzionale scegliendo la forma repubblicana quale limite inviolabile; è vero che all'inizio è stato un deterrente nei confronti del precedente ordinamento monarchico, più che principio ispiratore del nuovo regime.
Ma gli anni, oggi si potrebbe dire la Storia, hanno accresciuto questa "forma" di valori e di principi che non possono e non potranno essere negati.
La "forma repubblicana" non può essere oggetto di revisione costituzionale: questo è infatti l'epilogo della Costituzione. Ma proprio questa "forma repubblicana" non rappresenta che un guscio vuoto, una mera "formuletta", se non è letta con l'ausilio delle altre disposizioni del nostro ordinamento giuridico.
Solo così può essere colorata e riempita di significato in concreto.
Non si possono sopprimere i principi e i valori supremi dell'ordinamento dello Stato senza violare con ciò il sistema dal di dentro.
Nel caso in cui la Costituzione materiale, quale "decisione totale costituente", venisse violata, sarebbe inevitabile una frattura.
Non vi è, infatti, difesa della Costituzione senza la sua riforma e non vi è riforma senza la difesa della Costituzioni.
Pertanto il valore o, meglio, i valori sui quali è fondato un ordinamento giuridico non sono rovesciabili o sostituibili con altri ad essi irriducibili soltanto perché si presumono indotti da nuovi fatti compiuti.
Quei principi fondamentali scolpiti dall'Assemblea Costituente sono ancora da tutti riconosciuti come vivi, attuali e capaci di dare significato e prospettiva al nostro essere cittadine e cittadini di questo Paese.
Scrivere una Costituzione vivente che possa aprirsi all'evoluzione della cultura attraverso formule in grado di vivere nel futuro è un obiettivo per tutti. I principi contengono "concetti" che vivono mutevoli nel tempo.
Proprio a memoria del valore della nostra Costituzione e a ricordo e ringraziamento per l'impegno e il lavoro svolto dai nostri padri costituenti, il Consiglio regionale del Piemonte ha deciso di partecipare con vivo entusiasmo e con sentito orgoglio nazionale, ad ospitare, nel prossimo autunno, la mostra promossa dalla Camera dei Deputati dal titolo "La rinascita del Parlamento, dalla Liberazione alla Costituzione" (ospitata nel Palazzo di Montecitorio, fortemente voluta dall'ex Presidente della Camera, Casini, e all'epoca dal Presidente della Fondazione Camera dei deputati, Onorevole Napolitano, ora Presidente della Repubblica).
Ospiteremo questa mostra insieme con altre tre Regioni italiane che hanno risposto all'appello della Camera dei Deputati.
Il progetto, attraverso documenti, voci e immagini, intende tracciare il percorso di crescita della nostra Repubblica.
Perché per comprendere i compiti di oggi è importante ricordare le ragioni della storia e sessant'anni fa, insieme alla nascita della Repubblica e della Costituente, si sanciva anche il diritto al voto alle donne, così segnando una svolta decisiva nel mondo femminile nell'affermazione della parità dei diritti, nella presa di coscienza di una parte di mondo fino allora ritenuta in qualche modo "minore".
Le donne entravano pienamente nella vita pubblica nazionale.
Il voto alle donne è stato concesso il 1° febbraio 1945. Ci sono dunque voluti settantaquattro anni per vedere riconosciuto il diritto di voto: la prima richiesta di estensione era, infatti, stata depositata nel Parlamento del Regno d'Italia nel 1871.
Possiamo dire che oggi celebriamo un passaggio storico. Può sembrare scontato, a una prima riflessione, ma in realtà questo risultato non era affatto scontato.
Quel 2 giugno si sceglieva tra Monarchia e Repubblica, si eleggevano i Costituenti e finalmente le donne uscivano da una condizione di cittadinanza negata.
Il problema del diritto di voto per le donne era strettamente legato alla posizione ricoperta nella famiglia, concetto che non riconosceva loro diritti al di fuori della sfera privata.
Basti ricordare il Codice Pisanelli, il codice dell'Unità d'Italia, che esplicitava, sia sul piano giuridico sia sul piano teorico, la subordinazione della moglie al marito, ed è proprio da questa condizione che era impossibile considerare le donne un soggetto politico autonomo. Ma da quel lontano giugno del 1946 inizia un lungo e ancora incompiuto cammino per i diritti, l'emancipazione sociale e la parità delle donne italiane Una rivoluzione, quella delle donne, pacifica e moderna, che ha cambiato il volto e gli stili di vita del nostro Paese e che ancora oggi non è stata conclusa.
Tengo a sottolineare che, di recente, è stato modificato l'articolo 51 della Costituzione e la legge del 2004 per l'elezione al Parlamento europeo. Entrambe le riforme sono state tese ad ottenere pari opportunità tra uomini e donne.
Tengo a precisare che con la legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha modificato l'articolo n. 117, comma 7, della Costituzione italiana, si è introdotto, come principio sotteso all'ordinamento giuridico, la piena parità di uomini e donne nella vita sociale, culturale ed economica. Ma la cosa più significativa per questa Assemblea è che l'articolo n. 117 della Costituzione attribuisce ai Consigli regionali il compito di garantire che questo principio venga rispettato nella legge regionale, ma anche in quella nazionale.
una parte del nostro ordinamento costituzionale che, forse, è rimasta poco conosciuta se non proprio agli addetti ai lavori, ma su cui dobbiamo riflettere perché assegna un compito a quest'Assemblea.
Consapevoli di questo ruolo, il Consiglio regionale che ci ha preceduto, scrivendo il nuovo Statuto, ha garantito da un lato le pari opportunità, dall'altro ha ribadito di assicurare uguali condizioni di accesso tra uomini e donne nelle cariche elettive.
La Consulta regionale delle Elette è stata anche investita di una funzione consultiva di proposta in relazione all'attività normativa del Consiglio e della Giunta regionale, nonché di esprimere pareri sulle politiche regionali per rimuovere ogni ostacolo che impedisca la piena parità di accesso alle donne e agli uomini nella vita sociale, culturale e politica.
Si può pertanto affermare che il diritto alla pari opportunità sia stato ormai chiaramente sancito dalla legge, ma è ancora lontano dall'essere introdotto in azioni concrete. Non richiamo statistiche e indagini dell'ISTAT e dell'EURISPES, però ricordo che il tasso di occupazione femminile è fermo al 42%.
previsto nell'obiettivo e nella strategia di Lisbona (tanto cara alla nostra Presidente della Giunta regionale) che per il 2010 il tasso di occupazione femminile deve essere portato al 60%.
A conclusione, voglio richiamare a tutti voi le parole pronunciate dalla Senatrice Rita Levi Montalcini e ricordate dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. La Senatrice Montalcini afferma: "Non ho dubbi. L'emancipazione femminile è sicuramente uno dei risultati più belli del '900. Proprio il maggior peso sociale conquistato dalle donne è stato uno dei più importanti fattori di progresso dell'ultimo secolo e anche una delle più grandi esperienze per un futuro di pace e di equità". Queste cose le ha dette un premio Nobel.
Prima di lasciare la parola alla Presidente della Giunta regionale mi sia consentito un ringraziamento al lavoro svolto in questi anni dal Comitato per l'affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione e dalla Consulta delle Elette. Ringrazio questi organismi tramite i rispettivi Presidenti che siedono accanto a me.
Ogni giorno, tramite il lavoro di queste istituzioni e grazie al lavoro di tanti funzionari che si impegnano in questa attività, noi facciamo sì che la nostra Regione si impegni quotidianamente per l'affermazione dei principi e dei valori che qui oggi ricordiamo.
Questo non è solo un momento celebrativo. Prendiamo atto che all'interno del Consiglio regionale operano degli organismi che hanno proprio il compito di lavorare e di impegnarsi affinché i principi e i valori che oggi richiamiamo e commemoriamo, siano tradotti in realtà nella vita della nostra Regione.
Per questo, ringrazio i Comitati e i rispettivi Presidenti. Grazie.
La parola alla Presidente Bresso.



BRESSO Mercedes, Presidente della Giunta regionale

Come il Presidente ha già ricordato, il 31 gennaio del 1945, con il Paese diviso ed il nord sottoposto all'occupazione tedesca, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi emanò un decreto che riconosceva il diritto di voto alle donne. Il 2 giugno del 1946 le donne votarono per il Referendum istituzionale e per le elezioni dell'Assemblea costituente ma già nelle elezioni amministrative precedenti avevano votato, risultando in numero discreto elette nei Consigli comunali.
Sui banchi dell'Assemblea costituente sedettero le prime parlamentari: nove della DC, nove del PCI (una parità esatta), due del PSIUP ed una dell'Uomo qualunque.
Per la prima volta nella storia dello Stato unitario, tutti gli italiani furono chiamati ad eleggere i loro rappresentanti (tutti gli italiani, anche le donne), con il compito di redigere la legge fondamentale del nuovo Stato: la Costituzione della Repubblica. Questa consultazione ebbe un'importanza strategica, non solo perché il diritto al voto fu esteso anche alle donne, dopo la lunga battaglia che il Presidente ha ricordato ma anche perché dopo oltre vent'anni nel nostro Paese si svolsero libere elezioni. Certamente questa coincidenza delle libere elezioni e del primo voto alle donne ci fa molto piacere.
Possiamo dire che uno degli effetti più importanti della Guerra di liberazione nazionale fu proprio il pieno riconoscimento dei diritti politici delle donne. Senza quella guerra non ci sarebbe stata la legge che allargava il diritto di voto alle donne. Soltanto da quel dopoguerra infatti le donne italiane acquistano il pieno diritto di eleggere e di essere elette. Anche per questo è corretto individuare nella Costituzione repubblicana la tappa fondamentale di un processo di riconoscimento e di valorizzazione delle libertà personali. Un processo nato con il Risorgimento e proseguito con la Resistenza, che si trova oggi davanti ai problemi posti dalla definizione di una nuova e più piena cittadinanza europea. Anche su questo avremo occasione prossimamente di discutere perché credo che il nostro compito sia quello di adeguare i nostri ordinamenti, nel caso naturalmente del Consiglio regionale, alla legislazione europea, proprio perché quella europea è la nostra nuova e più ampia cittadinanza.
Vorrei osservare che in quegli anni molto si discusse sul diritto di voto alle donne e su quali potessero esserne gli effetti politici. Eppure anche con le paure che le forze politiche potevano avere sull'ipotesi di impoliticità delle donne, si scelse di farle votare. Nonostante le preoccupazioni che aleggiavano e aleggiano sempre fra gli uomini rispetto ai diritti delle donne, si scelse di far valere la ragione dei diritti, con coraggio. Le donne non dovevano votare per far vincere uno schieramento o l'altro, ma erano chiamate a votare per esercitare un diritto.
giusto anche ricordare (prima il Presidente ne parlava) che il cammino delle donne e le loro battaglie per il diritto di voto nascono molto tempo prima: innanzitutto in America con donne come Margaret Brent come Olympe De Gouges in Francia, come Anna Maria Mozzoni, senza dimenticare Anna Kuliscioff, che in Italia si era già distinta con molte iniziative volte a migliorare le condizioni di lavoro delle donne nelle fabbriche e nelle risaie, finalizzate alla soppressione dello sfruttamento della manodopera femminile.
Credo che anche questo sia importante da ricordare: le donne ebbero il diritto di accesso al lavoro, seppure in condizioni di estremo sfruttamento, prima di avere il diritto di voto, quindi le battaglie per i diritti delle donne e della manodopera minorile nelle fabbriche fanno parte integrante delle battaglie per l'affermazione piena dei diritti delle donne.
Da quel lontano giugno del 1946 inizia il lungo e ancora incompiuto di questo oggi noi discutiamo - cammino delle donne italiane per i diritti l'emancipazione sociale e la parità.
Inizia quella che è stata definita come "la grande rivoluzione pacifica e moderna del nostro paese: la rivoluzione delle donne". Una rivoluzione che, cambiando la coscienza delle donne, ha cambiato il volto del nostro paese, gli stili di vita, le leggi. Una rivoluzione lunga che non è ancora conclusa.
Nonostante le donne di oggi siano ricche di talenti e di forza, la società e la politica italiana non sanno ancora avvalersene pienamente, gli ostacoli non sono ancora rimossi. Questo ritardo pesa non solo sulle donne ma sulla qualità delle classi dirigenti italiane. Come sapete, noi siamo uno dei paesi con il più basso tasso di attività femminile e questo rappresenta uno dei nostri problemi all'interno dell'Unione Europea.
Come per un popolo e per un paese, anche per le donne la memoria va coltivata e svelata, per mettere in grado le più giovani di riconoscerne gli errori e di evitarli, di leggerne i limiti e di provare a superarli, di imparare quanto c'è da imparare.
Quelle 21 donne che nel 1946 furono elette nell'Assemblea Costituente diedero finalmente voce e rappresentanza alle donne italiane che avevano sofferto con i loro compagni la guerra, la dittatura del fascismo l'occupazione tedesca, che avevano dato un contributo fondamentale alla guerra partigiana.
Alcuni di quei nomi ci sono familiari: Teresa Noce, Rita Montagnana Nadia Spano, la più giovane venticinquenne Teresa Mattei, Lina Merlin persone che hanno poi marcato la storia del nostro paese - Maria Federici Angela Gottelli, Maria Jervolino. E Nilde Jotti, la prima donna italiana che occuperà il posto di Presidente della Camera dei deputati.
Voglio ricordare anche una straordinaria donna milanese, Gisella Floreanini, che, prima di lei, fu il primo Ministro donna nel Governo della Repubblica della Val D'Ossola.
Abbiamo dovuto aspettare molti anni perché un'altra donna diventasse Ministro della Repubblica: parlo di Tina Anselmi, una "staffetta partigiana" che arrivò al Governo come Ministro del Lavoro.
Che cosa rappresentò, dunque, la conquista del voto alle donne? Voglio dirlo con le parole di una protagonista: "Le schede che ci arrivano in casa e ci invitano a compiere il nostro dovere - scrive Anna Garofano, una delle più sensibili giornaliste dell'epoca - hanno un'autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane".
Quello fu un momento magico per la politica e per la democrazia: l'impegno politico, l'esercizio del voto, la ricostruzione dell'Italia erano una missione condivisa da milioni di italiane, oltre che di italiani.
Coincideva con la rinascita e il riscatto della propria vita dalla sofferenza e dall'umiliazione. Coincideva anche con l'amore per la libertà e la giustizia. Poter votare per queste donne era come riprendere a vivere a riconoscersi, a ricostruire la propria esistenza.
I valori di questa nuova Italia li ritroviamo nella Costituzione.
Quella Costituzione che, grazie a quelle 21 donne che entrarono a Montecitorio, parla al futuro, nomina diritti fondamentali nella famiglia nel lavoro, nell'accesso ai pubblici uffici. Siamo certi che fu proprio anche grazie al contributo di quelle donne che queste questioni nuove estremamente innovative rispetto alle Costituzioni esistenti in quegli anni negli altri Paesi, furono inserite.
Diritti esigibili che ancora non dobbiamo smettere di pretendere completamente, perché non sono ancora completamente esigibili. Permane infatti, anche se si è molto accorciata nel tempo, una distanza tra la Costituzione formale e la Costituzione sostanziale, basti pensare che solo nel 1963, quindici anni dopo l'approvazione della Costituzione, le donne possono entrare in Magistratura e solo poco tempo fa hanno avuto il diritto di accesso, ad esempio, nell'Esercito.
Ma in questi sessant'anni i passi avanti sono grandi e costanti: la parità salariale, la tutela della maternità - tutte cose che ci sembrano evidenti, ma che non lo erano - l'istituzione del divorzio nel 1974, il nuovo Diritto di famiglia nel 1975 - questi me li ricordo perché sono battaglie che ho fatto anche personalmente. Nel 1975, la famiglia patriarcale fondata sul capo famiglia esce dal Codice Civile e, in quegli anni, esce anche il delitto d'onore, un'altra infamità del nostro diritto.
Quel nuovo Diritto di famiglia sarà firmato da deputate di partiti diversi: Adriana Seroni, Nilde Jotti, Tina Anselmi, Maria Eletta Martini e Giglia Tedesco.
Quasi tutte le grandi leggi civili dell'Italia si sono conquistate grazie alla capacità delle deputate e delle donne di rompere gli steccati ideologici e i recinti dei partiti, anche quando l'Italia era divisa e i partiti contrapposti - questo accade ancora oggi. E' un grande insegnamento a cui sarebbe bene continuare ad attingere. Quasi tutte le grandi leggi che hanno cambiato la condizione di vita femminile sono state oggetto di un'azione trasversale delle donne, quelle poche che erano state elette nelle istituzioni.
Il 1975 è un vero e proprio spartiacque: nasce il femminismo e la generazione dell'emancipazione e della battaglia per l'uguaglianza con gli uomini cede il passo alla generazione della differenza di genere. Inizia il cammino della cittadinanza attiva, delle pari opportunità, ma, soprattutto delle libertà femminili nella vita sessuale e di coppia, nella scelta libera e responsabile della maternità.
Grandi sono le conquiste simboliche e legislative. Non mi riferisco soltanto alla legge n. 194, quella che riconosce nell'aborto non un delitto, ma un diritto necessario a strappare alla clandestinità il dolore di migliaia di donne, ma anche alla legge sulla violenza sessuale che mobilitò per anni il movimento femminista e che vide la luce solo nel 1996.
Intanto, avanzava la legislazione di parità sul lavoro e si iniziava a discutere sul tema cruciale della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro fino a scrivere le nuove norme sui congedi parentali. Infine, solo nella passata legislatura, si riesce ad approvare la modifica dell'articolo 51 della Costituzione per rendere effettivo quell'accesso ai pubblici uffici sancito nella nostra Carta fondamentale, ma anche questa modifica deve trovare ancora piena attuazione, se è vero che lo stesso Parlamento che approva la modifica boccia le quota rosa, che ne sarebbero stata la logica conseguenza.
Le donne sono davvero cittadine europee, moderne e laiche, ma non sempre lo è il Parlamento, nel quale sono ancora oggi in minoranza.
Tullia Zevi, un'intellettuale che ha rivestito la carica di Presidente delle Comunità Ebraiche d'Italia, osservava che "i diritti e le libertà delle minorane rappresentano la spia della salute di una democrazia. Finch le minoranze saranno libere di essere se stesse, gli italiani potranno dire di vivere in democrazia".
Le donne non sono una minoranza, ma a lungo, come le minoranze, hanno sofferto per violenze e discriminazioni. Per questo si sono trovate spesso a fianco delle minoranze ingiustamente private di diritti fondamentali. Per questo stiamo lavorando come Giunta, e spero tra poco come Consiglio, ad una moderna legge contro tutte le discriminazioni.
Per questo, mi permetto di concludere parafrasando le parole di Tullia Zevi: "I diritti e le libertà delle donne e di tutte le minoranze etniche linguistiche o di genere rappresentano la spia della salute di una democrazia. Fino a che le donne e tutte le minoranze non saranno libere di essere se stesse non potremo dire di vivere in una vera democrazia e non potremo affermare di avere pienamente applicato la Costituzione voluta dall'Assemblea votata il 2 giugno di sessant'anni fa".



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Cotto, Consigliera regionale, Presidente della Consulta delle Elette.



COTTO Mariangela

Grazie, Presidente.
2 giugno 1946. La data è di quelle che hanno cambiato davvero la storia del nostro Paese: gli italiani quel giorno hanno votato scegliendo la Repubblica al posto della Monarchia. Ma non solo: quel giorno hanno potuto accedere alle urne anche le donne, grazie ad un decreto che, come è stato ricordato, era stato varato l'anno precedente dal governo Bonomi.
In quell'occasione alle donne venne detto "Non pitturatevi la bocca" invitandole così a non mettersi il rossetto. Le schede, che allora venivano incollate, se portavano una traccia di rossetto correvano il rischio di essere annullate. E le donne, per quell'occasione, si tolsero il rossetto ben comprendendo quanto la posta in gioco fosse alta. Le donne per la prima volta potevano votare ed anche essere votate, venivano eletti i parlamentari e le parlamentari che avrebbero dovuto scrivere la Costituzione. Tutto questo rappresentava un passaggio storico. Il diritto al voto per le donne è stata una conquista davvero difficile: per ben venti volte, nella storia dell'Italia unita, la richiesta del voto alle donne era stata presentata e per ben venti volte era stata respinta.
Da quell'ormai lontano giugno 1946 inizia un lungo cammino per le donne italiane, un cammino ancora in parte incompiuto per il riconoscimento dei propri diritti, per l'emancipazione e per la parità. Inizia quello che in molti hanno definito una grande rivoluzione pacifica: la rivoluzione delle donne, una rivoluzione che ha cambiato la nostra coscienza e di conseguenza stili di vita e, piano piano, anche il volto del nostro Paese. Una rivoluzione che già si sapeva sarebbe stata lunga e che non è ancora conclusa, perché non tutti gli ostacoli sono stati rimossi e perch nonostante le donne siano - è questo è ormai universalmente riconosciuto ricche di talento e di forza, la politica è ancora saldamente tenuta nelle mani degli uomini. Certamente per le donne di allora, per le donne di quel lontano 1946, il diritto di voto rappresentò qualcosa di forte, di importante. Ancora oggi con una certa emozione leggiamo le testimonianze delle protagoniste di allora e di chi confessa, come ha già ricordato la Presidente Bresso e vale la pena ricordarlo, che le schede elettorali venivano più volte rigirate tra le mani, ritenute preziose alla stregua, e cito fedelmente, della tessera del pane, o di chi confessa l'emozione ed al tempo stesso, la paura di commettere errori. Un'immagine bellissima quella che ci trasmette chi racconta che "...il giorno delle elezioni uscii dalla cabina come liberata e giovane come quando ci si sente con i cappelli ben riavviati sulla fronte".
Poter votare fu allora come riprendere a vivere, come riconoscersi come desiderio di ricostruirsi, come voler sentire la politica come davvero deve essere, una cosa di tutti, perché la politica fa parte della vita.
Valori che grazie a quelle 21 donne che per la prima volta in quel lontano 1946 entrarono a Montecitorio ritroviamo ancora oggi nella nostra Costituzione, quella Costituzione che rappresenta sempre un grande insegnamento.
In questi 60 anni sono stati fatti grandi passi avanti: dalla parità di salario alla tutela della maternità, dal divorzio al nuovo diritto di famiglia, conquiste ottenute grazie alla capacità delle deputate e delle donne di lavorare insieme, dimostrando la capacità di collaborare al perseguimento di ideali comuni.
Tanto è stato fatto, ma altrettanto resta da fare.
Questo è importante che sia ben chiaro; che sia ben chiaro soprattutto ai nostri giovani: ragazze e ragazzi. Occorre preparare il futuro con lo stesso entusiasmo e la stessa determinazione che hanno spinto le donne, 60 anni fa, per andare oltre la soglia dove allora quelle donne si erano fermate e noi vogliamo andare avanti, vogliamo contribuire a diffondere una nuova cultura della politica. Non vogliamo, come donne, ritrovarci a parlare di questi argomenti non solo tra di noi, che già siamo convinti.
Oggi abbiamo voluto dedicare uno spazio qui in Consiglio regionale, con l'augurio che anche nei Consigli provinciali, nei Consigli comunali dei 1206 Comuni della nostra Regione e nelle circoscrizioni si affronti questo tema e non solo in occasione della celebrazione del 2 giugno.
Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Roberto Placido, Vicepresidente del Consiglio regionale, delegato al Comitato regionale Resistenza e Costituzione.



PLACIDO Roberto

Grazie, Presidente.
Innanzitutto, porgo un cordiale saluto ai nostri invitati. I nostri ospiti hanno risposto alla proposta che il sottoscritto, come Presidente del Comitato Regionale Piemontese per l'affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione Repubblica, insieme alla Consigliera Cotto e alla Consulta delle Elette del Piemonte, ha voluto presentare, per ricordare e commemorare questo importante appuntamento, un appuntamento che ha segnato una tappa fondamentale nella vita della nostra Repubblica.
Vorrei partire proprio da quel periodo, ricordando com'era l'Italia alla fine della guerra, dopo una lotta di liberazione che ha causato tragedie e divisioni nel nostro Paese; una lotta di liberazione che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone e che ha visto la partecipazione delle Forze dell'Ordine e di parte dell'Esercito. Voglio ricordare, una per tutte, la tragedia di Cefalonia e il massacro della Divisione Acqui, legata alla storia della nostra Regione.
Alla fine della guerra il Paese è diviso, con una parte non ancora sotto la sovranità e l'amministrazione del nascente Stato; la situazione di Bolzano, Trieste e del Friuli Venezia Giulia ancora in via di definizione.
un Paese ridotto in ginocchio. Alcune cifre: 2 milioni di case distrutte un milione e mezzo di disoccupati (per la popolazione di allora si tratta di una cifra importante); 13% di analfabeti (con punte, in alcune Regioni meridionali, del 25-30%); 4 milioni e mezzo di famiglie sotto la soglia della sussistenza, in un'epoca in cui mangiare carne una volta alla settimana diventa un miraggio; trasporti paralizzati, se non le due linee laterali; due automobili ogni cento abitanti; la produzione industriale ridotta ad un/terzo e la produzione agricola a due/terzi, rispetto a prima della guerra. Questa era la fotografia del nostro Paese, con un tasso di violenza e una percentuale di delitti così elevati come solo si verifica nel momento in cui termina una guerra. In questo quadro avviene l'elezione per la Costituente, tra l'altro, promessa da Mussolini e, ironia della sorte, realizzata proprio dopo la fine del regime fascista che portò la rovina del Paese e consegnò un Paese in ginocchio. Il naufragio di quel Regime portò l'Italia nelle condizioni che tutti noi sappiamo.
Gli italiani furono chiamati a votare, per la prima volta, l'Assemblea Costituente e a scegliere, con un referendum, fra monarchia e repubblica.
Fu proprio in una situazione così drammatica e difficile che si creò un grande attivismo, con un'altissima percentuale di votanti: quasi il 90 della popolazione partecipò a quella tornata elettorale.
Dopo un ventennio di violenze e di tragedie, questo atto rappresent l'apertura del Paese alla democrazia. Occorreva, quindi, "riempire" le istituzioni e la vita democratica svuotata dal regime fascista.
Il referendum - è stato ricordato prima - fu indetto dal decreto luogotenenziale del Governo Bonomi, che stabilì le consultazioni al termine della guerra: occorreva scegliere fra repubblica o monarchia, ed eleggere 556 Deputati (per la verità, la legge elettorale ne prevedeva 573, ma una parte del Paese non ricadeva ancora sotto la sovranità nazionale).
I risultati evidenziarono quella che fu la struttura portante della Prima Repubblica: i Partiti come la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista, l'Uomo Qualunque (non tutti lo ricorderanno) e il Partito d'Azione, furono in seguito "l'ossatura" di cinquant'anni dalla nostra vita repubblicana (oggi, infatti, parliamo di Seconda Repubblica).
Come hanno ricordato la collega Cotto e la stessa Presidente Bresso questo fu anche il momento del riconoscimento alle donne del diritto di voto (suffragio universale), dopo i vani tentativi fatti nel 1881 e nel 1907 da Maria Montessori, prima donna laureata in medicina in Italia. Oggi potremmo definirla "leader" del Movimento Femminile Italiano - in passato non si usavano questi termini - che dedicò decenni al raggiungimento del suffragio universale, che si concretizzò sì nel voto alla Costituente, ma anche nelle precedenti elezioni amministrative che si svolsero nella primavera del 1946.
I fatti che seguirono sono noti a tutti: si decretò la fine della monarchia e la conseguente abdicazione del Re Umberto II; fu convalidato il voto da parte della Corte di Cassazione e il 25 giugno 1946 si istituì l'Assemblea Costituente, presieduta - così come i Partiti hanno riempito cinquant'anni di democrazia italiana, alcuni personaggi hanno rappresentato una parte fondamentale della nostra storia repubblicana - da Giuseppe Saragat (divenuto, in seguito, Presidente della Repubblica), che elesse come primo atto, Enrico De Nicola alla Presidenza della Repubblica nominato temporaneamente Capo provvisorio della Repubblica.
L'Assemblea Costituente, inoltre, deliberò la nomina di una Commissione ristretta - Commissione per la Costituzione - composta da 75 membri e da tre sottocommissioni.
Nenni, Togliatti, Saragat, Calamandrei, Parri, Pertini, Moscatelli Mortati, De Gasperi, La Malfa sono solo alcuni dei nomi che hanno segnato la storia della Repubblica. Alcuni di loro divennero, in seguito, anche Presidenti della Repubblica.
Dopo quei passaggi formali, partiva, di fatto, la democrazia in Italia.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola Amalia Neirotti, Sindaco di Rivalta Torinese Presidente dell'ANCI Piemonte.



NEIROTTI Amalia, Presidente ANCI Piemonte

Presidente del Consiglio, Presidente della Giunta regionale Consigliere e Consiglieri, è un onore essere qui con voi oggi.
Risulta difficile, intervenendo per quarta, non ripetere gli importanti concetti autorevolmente espressi da chi mi ha preceduto.
Approfitterei di questa speciale opportunità per approfondire e ripercorrere i passi che sono stati fatti in questi sessant'anni, con una considerazione finale sulle responsabilità che intendo rivolgere a questa Assemblea regionale.
In primo luogo, vorrei formulare un augurio ai nuovi Sindaci e ai nuovi Consiglieri neo-eletti nella nostra Regione, affinché la loro attività sia davvero orientata alle garanzie di pari opportunità testé richiamate.
Come premesso, vorrei ripercorrere in questa sede, in maniera più sistematica, i passi che sono stati fatti in questi sessant'anni, partendo proprio dal 1948, anno in cui entra in vigore la Costituzione.
Solo nel 1956 ci fu la prima importante innovazione riguardante le donne, con la possibilità di accedere alle giurie popolari, con il limite massimo di tre su sei, e solo nei casi in cui la loro competenza sia particolarmente significativa, trattandosi di casi riguardanti i minori.
Nel 1958 la Legge Merlin chiuse definitivamente le case di tolleranza.
Nel 1959 viene istituito il Corpo di Polizia femminile.
Nel 1963 il matrimonio non è più ammesso come causa di licenziamento (sembra assurdo richiamare queste norme, ma fino ad allora ciò era stato possibile).
Sempre nel 1963, per la prima volta, una Vicepresidente donna è eletta alla Camera dei Deputati: parliamo di Marisa Cinciari Rodano.
Ancora nel 1963, le donne possono accedere a tutti i pubblici uffici senza distinzione di carriere né limitazioni di grado.
Nel 1968 l'adulterio femminile non è più considerato reato. Per il marito non esisteva nulla del genere: la disparità di trattamento non rispettava le norme fondamentali della Costituzione.
Nel 1970 viene approvata la legge sul divorzio (non richiamerò gli importanti contenuti ed effetti che produsse, già ampiamente sottolineati).
Nel 1971 la Corte Costituzionale cancella l'articolo del Codice Civile che punisce la propaganda degli anticoncezionali.
Viene inoltre approvata la legge sulle lavoratrici madri e, per la prima volta, si istituiscono gli asili nido comunali. Ci tendo a sottolineare quest'ultima novità, perché queste strutture hanno rappresentato dei concreti passi in avanti rispetto alle opportunità per le donne di inserirsi efficacemente nel mondo del lavoro.
Nel 1975 viene riformato il diritto di famiglia: con questo nuovo strumento, la legge riconosce parità giuridica tra i coniugi che hanno uguali diritti e responsabilità e attribuisce ad entrambi la patria potestà.
Nel 1976, per la prima volta, una donna, Tina Anselmi, viene nominata Ministro (lavoro e previdenza sociale).
Nel 1978 venne approvata la legge sull'aborto.
Nel 1979, Nilde Jotti è la prima donna nominata Presidente della Camera dei Deputati.
Nel 1981 il "motivo d'onore" non è più considerato attenuante nell'omicidio del coniuge infedele.
Nel 1983 la Corte Costituzionale stabilisce la parità tra padri e madri circa i congedi lavorativi per accudire i figli.
Nel 1984, per la prima volta, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è costituita la Commissione nazionale per la realizzazione delle pari opportunità, presieduta da Elena Marinucci.
Nel 1989 le donne sono ammesse alla Magistratura militare e nel 1991 l'approvazione della legge n. 125 finalmente pone al centro dell'attenzione del Parlamento il tema delle discriminazioni e della valorizzazione della presenza e del lavoro delle donne nella società (una legge ancora oggi poco applicata).
Nel 1992, viene approvata la legge n. 215, quella che ha per oggetto "Azioni positive per l'imprenditorialità femminile". Nel 1993, per la prima volta, vengono introdotte le quote rose, con le vicende che sono già state ricordate.
Sorvolo su altri aspetti che sono meno rilevanti, per arrivare al 1996 con l'approvazione della legge che ha per oggetto "Norme contro la violenza sessuale", che punisce lo stupro come delitto contro la persona e non contro la morale, com'era in precedenza. In quell'anno il Governo nomina un Ministro donna alle Pari Opportunità (Angela Finocchiaro).
Il percorso delle leggi successivi è già stato ricordato e prosegue con la legge 8 marzo 2000, n. 53, che ha per oggetto: "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità". Nel 2003, come già ricordato dalla Presidente Bresso, ha luogo la modifica dell'articolo 51 della Costituzione attinente alle Pari Opportunità con la vicenda delle quote rosa.
Ritengo estremamente significativi gli eventi che ho ricordato, in quanto passi estremamente importanti, ma la strada da percorrere è ancora lunga.
Ed è su questo punto che intendo rivolgere ad un'Assemblea così autorevole un appello alla responsabilità. Rivolgo lo stesso appello, anche a nome dei Comuni piemontesi, al Governo nazionale e nelle sedi autorevoli (proprio questa mattina il Presidente dell'ANCI nazionale lo rivolgerà al nuovo Presidente). Un appello a far sì che vi siano realmente le condizioni affinché la garanzia delle Pari Opportunità possa davvero esercitarsi.
Queste condizioni riguardano, ad esempio, una dotazione adeguata di risorse economiche ai Comuni, quindi leggi e finanziarie che consentano agli Enti locali di mettere mano ai progetti di sviluppo locale e all'organizzazione di servizi sociali e che, davvero, consentano di recuperare quei dati devastanti ricordati prima dal Presidente Gariglio, che si riferiscono alla bassissima percentuale di occupazione riferita alle donne.
Sviluppo locale, servizi adeguati, tutela dei diritti dei lavoratori: questi sono gli strumenti necessari dopo un percorso così importante perché si possano davvero garantire diritti che, ad oggi, non sono così esigibili.
reale la preoccupazione, che già richiamava il Presidente Gariglio di una involuzione rispetto al passato, proprio di questi anni. Il tema della precarizzazione del lavoro e, soprattutto, i problemi delle lavoratrici atipiche fanno sì che le garanzie, così faticosamente conquistate rispetto all'astensione da lavoro, ad esempio, per maternità non siano così facilmente esigibili per persone che, ad oggi, si trovano inseriti nel lavoro in modo precario. Questa è una vergogna, perché tante famiglie vivono oggi condizioni subumane. È necessario che, a queste persone, vengano garantite delle tutele; diversamente, poco servirà aver fatto un percorso così importante in questi anni.
Un appello alla responsabilità, quindi un appello al Consiglio regionale affinché, come già sta facendo, proceda nell'approvazione di leggi che consentano alle Province e ai Comuni piemontesi di muoversi al fianco delle donne, degli uomini e delle famiglie piemontesi in modo responsabile e autorevole, garantendo gli strumenti che consentano fin da subito, e non in un futuro che ha necessità di essere anticipato, garanzie urgenti ed immediate.
Vi ringrazio per l'attenzione che mi avete rivolto. Vi chiedo scusa dell'ardire nel rivolgervi questo appello, ma abbiamo davvero bisogno di voi e di leggi che ci consentano fino in fondo di assumerci le responsabilità che ci vengono attribuite.



PRESIDENTE

Ringrazio la Presidente Neirotti: sicuramente il suo appello non cadrà nel vuoto. Ricordo che l'Assemblea che ci ha preceduto ha inserito nello Statuto il richiamo alla sussidiarietà, la valorizzazione delle Autonomie Locale: principi che devono ispirare le attività del Consiglio e dell'Amministrazione regionale in tutti i suoi aspetti.
Procediamo con gli interventi dei Consiglieri, rammento che si è convenuto di limitare in cinque minuti la durata di ciascun intervento per dare modo a tutti i Consiglieri che lo desiderano di intervenire sul tema.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Rossi; ne ha facoltà.



ROSSI Oreste

Grazie Presidente a lei e ai promotori dell'iniziativa.
Le ricorrenze, non diversamente dagli anniversari e dai genetliaci rappresentano, da sempre, un'occasione di riflessione su ciò che è stato e uno spunto per discutere di ciò che sarà. Passato e futuro si saldano in una formidabile connessione nella quale il presente viene proposto come una cartina di tornasole, per verificare la validità delle prospettive di analisi.
Se questo è vero in termini generali, non sarà difficile riconoscere che è ancora più vero in riferimento ad un tema, quale è quello che coinvolge la Costituzione, nel quale politica e diritto si condizionano reciprocamente, al punto che la dottrina costituzionalistica, in questo come in altri Stati, non può non risentire delle modalità d'approccio politico alla questione.
Certo, da noi, diversamente da quanto accade altrove, l'esasperazione ideologica degli interpreti è tale da avere gravemente inquinato ogni occasione di dibattito sull'assetto costituzionale dello Stato, giungendo non soltanto ad incidere sui profili più strettamente ermetici del testo costituzionale, ma addirittura a modificare, talvolta snaturando, lo stesso testo delle normative scritte, alle quali, non raramente, si è fatto dire molto più di quanto non sia scritto.
Non basta per legittimare, in primis storicamente, la manipolazione della Costituzione, si è voluto, in un certo senso, riscrivere e reinterpretare il lavoro della Costituente, rinvenendo (meglio:dicendo di rinvenire) in quei lavori, spunti per interpretazioni evolutive o radicalmente innovative sul testo dalla Costituzione.
Chi si occupa, a qualunque titolo, di interpretazione di norme giuridiche non può non riconoscere la significativa incidenza dei lavori preparatori.
Ma, com'è noto, le apparenze, spesso, ingannano: ciò tanto più quando come nel caso di specie, la premessa ideologica è lo strumento che consente di giungere a conclusione già definite.
Gli angusti limiti di questo intervento non consentono di ripercorrere le fasi di quel lavoro e le discussioni che lo animarono.
Possiamo quantomeno liberare il campo da un luogo comune, che, oggi dobbiamo scrollarci di dosso. Che la nostra Costituzione sia il risultato di un compromesso tra le tre componenti dell'Assemblea Costituente, è una posizione così riduttiva da non rendere affatto giustizia ai grandi personaggi che, di quella Assemblea, fecero parte. La Costituzione, anzi: la parte concernente i diritti fondamentali, è il punto d'incontro di spinte concentriche che dovettero - questo è ciò che definiamo compromesso reciprocamente legittimarsi lasciando il campo alcune delle loro aspirazioni più marcate.
A 60 anni di distanza, fatte alcune precisazioni, la prima parte della Costituzione conserva, intatta, la sua freschezza, la sua attualità, la sua adeguatezza alle necessità dei tempi. Ciò dipende da un'osmosi tra diritto e politica, tra legge scritta e vita vissuta che costituisce la irripetibile esperienza di questo Paese.
D'altra parte - su questo non v'è discussione - la Costituzione è un testo vivente, che stimola la comunità che regola e che risente delle spinte evolutive della società. Basti pensare, al riguardo, alle varie pronunce della Corte Costituzionale nel corso degli anni di attività e tracciare una linea che si scoprirà essere assolutamente sovrapponibile a quella del progresso della nostra Italia.
Certo, alcuni correttivi devono essere apportati anche alla parte che definisce i diritti fondamentali, nei quali, a nostro avviso, dovrebbero essere inclusi l'ambiente, la salute, il diritto all'istruzione, la libertà della scelta e la proprietà. Se ne potrà discutere, ma una cosa deve essere chiara: i diritti possono essere integrati, non ridotti.
Diverso, invece, è il discorso relativo alla struttura dello Stato. I padri costituenti pensavano ad una società diversa rispetto a quella in cui noi viviamo, non sapevano che il bicameralismo perfetto avrebbe, in molti casi, paralizzato l'attività dello Stato; non immaginavano neppure che l'era della globalizzazione avrebbe scoperto il nervo delle autonomie locali.
Non crediamo che denunciare inadeguatezze di alcune parti della Costituzione sia un sacrilegio, anche perché il diritto costituzionale non è una teologia fondata su dogmi. La nostra convinzione era ed è tale che per primi abbiamo sollecitato a portare a compimento ciò che gli altri mai avrebbero osato incominciare. Non ci siamo limitati a denunciare l'esistenza del problema: abbiamo cercato di risolverlo in una prospettiva di modernizzazione di uno Stato che oggi non è più al passo con i tempi.
Abbiamo semplificato la struttura del Parlamento, abbiamo introdotto elementi di caratterizzazione federale nel rispetto dei principi generali che non abbiamo neppure sfiorato, primo fra tutti il principio di solidarietà nazionale.
Abbiamo ripartito le attribuzioni, scongiurando il rischio di sovrapposizioni e duplicazioni di competenze, e potrei continuare. Abbiamo insomma, fatto, mentre altri, a volte, parlavano.
Il lavoro della costituente è, per molti versi, attuale, moderno e deve essere conservato. Per sbloccare la situazione da qualche punto si doveva pur partire. La nostra stella polare non è stata la frantumazione del Paese, ma la sua modernizzazione in un quadro di progresso e civiltà che pone l'uomo al centro del mondo e non il collettivo.
Conservare il passato, progettare il futuro: noi crediamo che sia possibile.
Un passo lo voglio anche fare, nonostante il tempo sia trascorso, su quell'analoga importante ricorrenza rappresentata dal riconoscimento del diritto di voto alle donne. Finalmente anche l'altra metà del cielo entr in quella data, a pieno titolo, a far parte della vita pubblica nazionale.
Forse c'è ancora molto da fare, forse rivendicazioni delle donne hanno seri fondamenti e devono essere tenute in massima considerazione. Io credo che sia possibile farlo, dal momento che sono principi su cui tutti concordiamo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PLACIDO



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Ricca; ne ha facoltà.



RICCA Luigi Sergio

Gli autorevoli interventi che mi hanno preceduto hanno già tratteggiato il travagliato percorso che ha portato, il 2 giugno 1946, al referendum istituzionale e all'elezione dell'Assemblea Costituente con la partecipazione al voto delle donne. Voglio ricordare come solo il 10 marzo 1946, si riconobbe, oltre che il diritto del voto alle donne, anche l'eleggibilità delle stesse. A quella decisione si era giunti sospinti da un quadro internazionale che si muoveva in quel senso. Nell'estate del 1944 lo aveva decretato per la Francia liberata il Governo De Gaulle, ma non senza molte reticenze e residue diffidenze percepibili tanto sulla destra che sulla sinistra dello schieramento antifascista.
Ricordo questi aspetti perché credo che il percorso sia stato travagliato proprio all'interno dello schieramento politico. Ricordo l'episodio del 1910 nel quale la socialista Anna Kuliscioff polemizzava con il suo compagno Filippo Turati, ostile alla concessione del voto alle donne finché durava "la pigra coscienza politica e di classe delle masse proletarie femminili".
Se nel campo liberale e democristiano pesavano ancora le antiche riserve ideologiche e di costume sull'idoneità "naturale" della donna alle incombenze politiche, a sinistra si continuava a considerare prioritario il conseguimento di quei diritti sociali che soli avrebbero potuto conglobare quelli civili anche per le donne.
Fu la straordinaria partecipazione delle donne alla Resistenza e alla lotta di Liberazione a dare loro la forza e la convinzione per reclamare con un'incisività e veemenza fino allora sconosciute, quell'elementare diritto di eguaglianza e di cittadinanza.
Devo dire che fu quella la molla morale e politica che spinse le donne politicamente più impegnate nelle formazioni partigiane e nei partiti a battersi instancabilmente per ottenere quella basilare conquista e conseguirla in un clima mai più ripetuto di solidarietà di genere trasversale alle pur contrastanti appartenenze di schieramento.
Certamente amareggia constatare come oggi, a sessant'anni da quel voto l'Italia, com'è già stato ricordato, sia fra gli ultimi Paesi in Europa per la scarsa presenza femminile nelle Assemblee politiche elettive, nei gruppi dirigenti dei partiti, nei ruoli direttivi di impieghi e professioni, dove pure ormai è folta la loro presenza nei ranghi intermedi e riconosciuta la qualità della loro preparazione e la professionalità del loro esercizio.
Resta il fatto che nel panorama politico nazionale la nostra realtà contrasti con un'altra realtà internazionale e un'Europa dove una donna è Cancelliere in Germania, una donna potrebbe essere, fra un anno, Presidente in Francia, una donna Ministro degli esteri in Inghilterra, un'altra è Vicepresidente in Spagna di un Governo per metà costituito da donne. Per tacere l'esempio di altri Paesi, come l'Austria, la Finlandia e il Cile che contrastano con la realtà italiana. Al confronto, l'Italia fa una figura mediocre.
Credo che la questione della presenza femminile debba essere affrontata anche andando oltre un dibattito che, a volte, è rimasto per troppo tempo schiacciato su questioni come quella delle quote che fanno tanto richiamo e titoli accattivanti sui giornali e in televisione.
"Riprendiamoci la politica" dovrebbe essere uno slogan importante cui fare riferimento per affrontare questa questione e per non ridurre il problema a presenza, quasi a tutela, più che di stimolo, e a mettere invece in discussione comportamenti e tendenze che, negli ultimi anni, hanno contrassegnato il mondo della politica, così come quello delle imprese in termini, a volte, contraddittori, spesso facendoci assistere a quello che l'adagio popolare chiama un passo avanti e due indietro.
Il sistema maggioritario non ha certo aiutato la presenza delle donne.
L'abbiamo superato con una legge in cui è cancellato il voto di preferenza e valgono le teste di lista predesignate, che hanno portato qualche donna in più in Parlamento, ma questa scelta non risolve da sola la questione.
Vorrei richiamare come la stessa evoluzione sociale del Welfare tendente a scaricare maggiormente sulla disponibilità della famiglia il sostegno dei soggetti più vulnerabili, chiede alla donna un ruolo dove l'equilibrio tra responsabilità familiari, lavoro e politica diventa sempre più difficile.
Occorre, quindi, un gran salto qualitativo per affrontare la questione della rappresentanza delle donne, non come fatto meramente quantitativo o di semplice presenza e visibilità, ma come elemento che può fare la differenza in termini qualitativi di differente progettualità politica.
Oggi la questione non è più quella dei diritti che devono essere attribuiti (anche se, a volte, alcune delle conquiste che sono state richiamate prima vengono ancora messe in discussione) bensì la possibilità di una fruizione effettiva e vera di questi diritti per realizzare una partecipazione paritaria in percorsi decisionali della politica e delle imprese.
Oggi c'è ancora uno scarto troppo grande tra il patrimonio di conoscenze, di sapere, di progettualità e disponibilità della donna a partecipare e la capacità della politica di accoglierlo e valorizzarlo.
Quindi, occorre rimediare a questo deficit, perché la sete delle donne nelle Istituzioni è un deficit che toglie credibilità alla democrazia stessa.
Valori e contenuti specifici, di cui le donne sono portatrici, sono importanti per portare avanti una nuova politica. L'anno scorso c'è stata un'indagine del CENSIS che voleva misurare la percezione sociale nei riguardi delle donne sindaco e con altre cariche pubbliche. Nonostante la ricerca abbia evidenziato le difficoltà di accesso agli incarichi, ha registrato come le amministrazioni guidate da leader femminili siano più orientate al cambiamento, più inclini a sviluppare logica di rete, più inclini all'ascolto e al pragmatismo. Non ne scaturisce un modello di Governo delle donne, ma certamente un quadro in cui la presenza femminile migliora anche il ruolo della politica.
Voglio concludere dicendo come il CENSIS, dal mio punto di vista, con la sua ricerca avvalora una frase che mi piace molto: "L'assenza di donne in certi luoghi non squalifica le donne ma quei luoghi". Io credo che la sollecitazione che può venire dal confronto di oggi possa essere quella di un impegno del Consiglio regionale a mettere in moto un'iniziativa politica con nuove leggi, perché anche la nostra Regione dia un contributo al nostro Paese e che quei luoghi squalificati siano sempre di meno, anzi, vengano annullati.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Cavallera; ne ha facoltà.



CAVALLERA Ugo

Anche noi prendiamo la parola in questo importante dibattito per ricordare i sessant'anni dall'elezione dell'Assemblea costituente, dalla scelta repubblicana ,naturalmente con riguardo alla ricorrenza in s quindi ad una grande festa di unità nazionale, che rappresenta un momento importante per stringerci il 2 giugno intorno alle Forze Armate, perch rappresentano il presidio della libertà della Patria.
Oggi le Forze Armate, in una concezione più ampia della loro azione a livello internazionale, sono anche presenti nello scacchiere mondiale a supporto delle decisioni degli organismi internazionali.
Ritornando al 2 giugno come momento di partecipazione, sia come elettorato attivo che come elettorato passivo, delle donne alla vita politica italiana, non possiamo non rinvenire gli elementi di novità che ci furono in quella scelta coraggiosa, pragmatica e complicata, ma necessaria se si voleva davvero allargare la partecipazione di tutto il popolo alla costruzione della nuova Italia.
Quindi, dobbiamo dare atto di come questa scelta contribuì in modo determinante alla decisione dell'Italia di intraprendere la strada e la via della Repubblica, che tanto ha contribuito non solo alla ricostruzione, ma anche all'emancipazione e al progresso del nostro Paese.
A questo punto dobbiamo richiamare, non solo il nome del Presidente del Consiglio che allora firmò il decreto, ma l'impegno di tutti i grandi leader politici che si adoperarono in quella direzione. Ovviamente non posso non ricordare l'impegno del Presidente De Gasperi, successore di Bonomi, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che diede un grosso impulso, soprattutto per quanto riguarda l'elettorato passivo.
La pattuglia di costituenti (in tutto 21) che furono eletti, ma è già stato ricordato, determinante e lo si evince anche dai lavori dell'Assemblea costituente, soprattutto per redigere adeguatamente quelle parti della Costituzione che maggiormente erano improntate all'uguaglianza e alla tutela dei diritti di cittadinanza di tutti i cittadini senza discriminazione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche costruendo quello che poi fu il profilo e la sostanza dell'Italia moderna nella quale noi siamo cresciuti e stiamo operando a livello politico e personale.
Quindi il voto del '46 fu senz'altro, come è già stato ricordato e noi lo condividiamo, un momento cruciale nella storia dell'emancipazione femminile e il coronamento di tutto quell'impegno che vi era già stato in precedenza.
Naturalmente tutti quei momenti, quelle decisioni e quelle svolte che hanno costituito la vera essenza della partecipazione attiva dei cittadini in modo particolare delle donne, sono già state ricordate.
Credo che dobbiamo pensare e rivivere quei momenti decisivi che ci sono stati nella vita del nostro Paese, nei quali si sono compiute le scelte di schieramento e di collocazione. Ricordiamo, ad esempio, le elezioni successive del 1948, i grandi dibattiti parlamentari nei quali si compivano le scelte per l'orientamento occidentale dell'Italia per la costruzione dell'Unione Europea. Ovviamente spiccavano grandi indirizzi di grandi personaggi, anche di area cattolica. Comunque le decisioni furono assunte sia con la spinta del voto popolare, sia con le decisioni e i dibattiti parlamentari addirittura passati alla storia, che costituiscono una pietra miliare nella costruzione dell'Italia moderna nella quale noi operiamo.
Credo che si debba porre, oggi, in modo nuovo, fattivo e concreto, la questione di un equilibrio della rappresentanza politica delle donne nelle istituzioni.
Questo è un tema che deve essere svolto. Non tutti i traguardi sono già stati raggiunti. Voglio citare, ad esempio, quello del tasso di attività femminile, che in Italia ha superato il 50% e a livello regionale piemontese siamo al 58% ma siamo ancora al di sotto degli obiettivi europei che sono stati delineati, non soltanto in Piemonte, ma complessivamente in tutt'Italia.
Voglio altresì ricordare un altro indice molto importante, che significa la crescita di questa parte importante della nostra popolazione.
L'istruzione universitaria, oggi è più appannaggio delle donne che non degli uomini, in quanto vi sono più laureate di sesso femminile.
Credo che occorra a questo punto lavorare per superare quei gap che ci sono e che impediscono un'adeguata rappresentanza nelle istituzioni da parte delle donne. Tanto è stato fatto, tanto resta ancora da fare, come ci hanno ricordato coloro che sono intervenuti (richiamo l'intervento della collega Cotto, della Presidente dell'ANCI, della Presidente della Giunta regionale). Quindi noi ci impegniamo senz'altro a fare di più anche all'interno di quest'Assemblea legislativa, per quelle che sono le nostre competenze.
Credo che ci si debba impegnare in una giornata come questa proprio in questa direzione e l'ordine del giorno che è stato definito, proposto e da noi sottoscritto, sostanzialmente ha questo significato.
Ben venga la memoria, il ricordo della ricorrenza del 2 giugno del '46 che ha tanti significati ed è unificante per tutto il popolo italiano e per tutte le parti politiche, ma da questa ricorrenza scaturisca anche la condivisione di impegni significativi. Ci sono ovviamente divergenze di opinioni che dividono su certi problemi i Gruppi all'interno di questo Consiglio, così come, ad esempio, noi siamo dalla parte di coloro che ritengono che la Costituzione riformata debba essere confermata nel referendum che ci sarà verso la fine di giugno, ma al di là di questo ci sono nella Regione Piemonte competenze, iniziative e leggi che possono essere al nostro livello e orientate nella direzione che qui è stata richiesta dagli autorevoli interventi dei rappresentanti che ci hanno preceduto.
In questo senso ci impegniamo, in questo senso opereremo.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola la Consigliera Motta; ne ha facoltà.



MOTTA Angela

Volevo far notare a quest'Aula che questa importante ricorrenza del sessantesimo anniversario della Costituente e del voto alle donne si sta svolgendo un po' come un vecchio rito stanco e consumato, vista la quasi totale assenza della Giunta, e soprattutto, delle componenti femminili della Giunta. Questo ci deve far riflettere su quanto stiamo facendo e se queste ricorrenze, alla fine, hanno un senso o se sono veramente solo un atto dovuto. Io penso di no, anche perché alle tante date riferite nei discorsi precedenti ne volevo aggiungere una, quella della difficile battaglia del diritto di voto alle donne, che arriva a 154 anni dalla Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, che, nel 1793 costò la ghigliottina a Olympe de Gouges. Quindi, come forma di rispetto a tutte le donne che hanno sacrificato la loro vita anche in questo senso per regalarci questa battaglia di civiltà, penso dovremmo loro un po' più di rispetto.
già stato ricordato in precedenza che il voto alle donne segnò un passaggio fondamentale per la vita democratica del nostro Paese, un momento decisivo nel processo di emancipazione femminile, che, nei decenni che seguirono, ha portato le donne a essere protagoniste in tutti i settori della società, politica compresa.
Sentiamo spesso parlare di quote rosa. È un dibattito che personalmente, non trovo entusiasmante, anche se sono convinta che la parità sia una conquista che ancora oggi non abbiamo raggiunto, ma non debba essere una riserva, perché non è solo una rimozione di ostacoli banalmente normativi, che, forse, con maggiori accordi e condivisione potremmo riuscire ad eliminare. Gli ostacoli che maggiormente incidono nella scarsa partecipazione alla vita politica delle donne sono di natura sociale e culturale, che difficilmente riusciremo a battere se non con politiche proprio fatte apposta per le donne.
Con questa premessa, però, si deve prendere atto che l'Italia è all'ottantanovesimo posto della classifica dei Parlamenti per la presenza femminile, quindi, forse, non è retorico interrogarsi sulle ragioni per le quali è ancora così bassa la partecipazione delle donne alla vita politica.
stato toccato dal collega Rossi un passaggio delicato, quello in cui ricordava la Carta costituzionale. Noi dobbiamo sottolineare che le donne italiane hanno potuto esercitare per la prima volta il diritto di voto scegliendo la Repubblica e coloro che da lì a poco avrebbero redatto la Carta costituzionale.
Noi non possiamo dimenticare che tra poco più di un mese saremo chiamati a un referendum e dovremo votare "sì" o "no" a una riforma voluta dalla Casa delle Libertà, che riscrive 43 articoli della Costituzione; di fatto, è una nuova Costituzione. È una riforma che non possiamo accettare perché non pone le basi per uno Stato federale, ma rischia di far dividere il Paese, mettendo a rischio i diritti delle libertà che ci sono stati regalati e lasciati in eredità dai nostri padri costituenti. È una Costituzione che, ancora oggi, riteniamo di grande attualità, che tra i suoi principi annovera quello del lavoro, della famiglia, della responsabilità sociale dell'impresa, fino al ripudio della guerra. Quindi sono veramente tante le buone ragioni per difenderla.
Questa è una premessa che lascio come sottolineatura, avremo sicuramente altre occasioni per discutere sulla nostra Carta costituzionale e sul voto al referendum.
Voglio ritornare a questa celebrazione perché non ha senso celebrare il voto alle donne senza ricordare le tante donne che, soprattutto nei Paesi del sud del mondo, non possono essere protagoniste della democrazia e della società, a causa della miseria, della sopraffazione maschile, dello sfruttamento oppure di una malintesa concezione del credo religioso.
Ricordiamoci che solo un anno fa il Parlamento del Kuwait ha varato il suffragio universale ed è proprio di questi giorni la notizia che il Governo militare birmano ha prolungato gli arresti al Premio Nobel Aung San Suu Kyi, a causa della sua lotta in favore della democrazia e dei diritti umani.
Come donne di quest'Aula abbiamo presentato un ordine del giorno, che speriamo venga posto in votazione nella sessione ordinaria pomeridiana, per chiedere un impegno affinché si ottenga la liberazione del Premio Nobel e di tutti gli altri prigionieri politici, per l'avvio di un dialogo tra tutte le forze politiche ed etniche, al fine di arrivare ad una vera riconciliazione nazionale in questo paese asiatico.
Concludo dicendo che celebrare il diritto di voto delle donne sarebbe oggi un vuoto esercizio retorico se il ricordo delle nostre conquiste del 1945 non si trasformasse anche in un appello urgente a favore di tutte le donne la cui libertà e dignità viene quotidianamente negata e calpestata.



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Pozzi.



POZZI Paola

Grazie, Presidente, grazie, colleghi e colleghe, per la pazienza con cui ascolterete questo mio breve intervento, che, naturalmente, non potrà aggiungere nulla di nuovo rispetto alle tante cose che sono state dette e alle autorevoli voci che già si sono espresse.
Per questo voglio parlare con la voce di una giovane donna che sessant'anni fa, si apprestava per la prima volta ad andare a votare e parlava ad altre donne. A queste sue amiche, anche compagne di battaglia nella resistenza, rivolgeva le seguenti accorate parole: "Siamo per la vera democrazia e vogliamo la rinascita del nostro Paese. La democrazia italiana ha bisogno della donna per profondi motivi e sulle rovine del fascismo noi vogliamo costruire un'Italia nuova. Noi voteremo contro il fascismo e per chi difende la pace. Vogliamo una società che non sia costruita sulla menzogna, ma sulla lealtà. Vogliamo giustizia sociale. Le nostre rivendicazioni immediate sono unificazione dell'assistenza, diritto della donna al lavoro, protezione del lavoro femminile, scuole di avviamento professionale, istruzione gratuita per tutti. Soprattutto, non vogliamo più guerre, guerra alle guerre, poiché chi più sofferse durante la guerra fummo noi, madri, spose e sorelle di tante vittime innocenti". Poi continuava e diceva: "Donne italiane di qualsiasi tendenza politica, di qualsiasi religione, uniamoci nella lotta per l'elevazione femminile, cerchiamo di superare nel più breve tempo possibile la distanza che ci separa dalle donne americane, russe, inglesi".
Dal voto di quelle donne è nata la nostra Repubblica, insieme naturalmente, al voto degli uomini, che, però, già da prima, avevano potuto esercitare questo diritto. È nata la nostra Repubblica ed è nata la sua legge fondamentale, cioè la Costituzione. Quella Costituzione che Calamandrei ha detto essere nata sulle montagne, ma ha anche detto essere stato un grande e immenso compromesso, che ha dato vita alla legge fondamentale del nostro Paese. Un Paese che usciva lacerato nel profondo delle coscienze, e non soltanto negli aspetti suoi materiali, da un guerra usciva lacerato da anni di dittatura e, nonostante questo, ha saputo raggiungere il più alto compromesso possibile, cioè la Costituzione, i cui principi fondamentali sono da tutti riconosciuti non solo nel nostro Paese ma nel mondo, quali esempi di migliore Costituzione, per quanto riguarda i suoi aspetti fondamentali.
Allora, la Costituzione non si può toccare e non si può modificare se non attraverso un ampio concorso e un ampio consenso.
Le modifiche alla Costituzione, effettuate solo perché si ha qualche numero in più in Parlamento, non sono rispettose dell'alto compromesso che i Padri Costituenti raggiunsero in allora, e non sono rispettose dei bisogni del nostro Paese.
L'auspicio che quella donna rivolgeva alla sue compagne prima del voto non si è verificato per altri motivi. La distanza che ci separa dalle donne di altri Paesi non è stata colmata e sono passati sessant'anni. Non è stata colmata perché nel Parlamento italiano la presenza femminile è la più bassa d'Europa. Nelle ultime elezione siamo arrivati ad avere il 17,4% di donne presenti alla Camera e il 13,6% al Senato. Vi ricordo che eravamo partiti nel 1948, da 7,7% di donne presenti alla Camera e dall'1,2% al Senato.
Bene, in sessant'anni siamo passati dal 7 al 17% e siamo l'ultimo Paese in Europa. Ma non siamo solo l'ultimo Paese in Europa, siamo uno fra gli ultimi Paesi nel mondo. In alcune delle Nazioni che noi consideriamo del Terzo o del Quarto Mondo, vi è una presenza femminile nell'Istituzione ben superiore a quella del nostro Paese.
L'auspicio di quella donna non si è realizzato. La fatica di quelle donne non ha avuto la risposta che si meritava, perché nelle Istituzioni le donne sono poche. È già stato ribadito e ricordato che la legge sulle quote rosa nel nostro Parlamento è stata bocciata, ma ci sono altri motivi di preoccupazione: il tasso di occupazione femminile nel nostro Paese è tra i più bassi d'Europa. Siamo lontani dagli obiettivi fissati a Lisbona, per quanto riguarda l'Unione europea, relativamente al tasso di occupazione femminile. Troppe donne nel nostre Paese, nella nostra Provincia e nella nostra Regione lasciano il lavoro dopo la nascita del primo figlio; nella maggior parte dei casi non riescono a rientrare nel sistema produttivo dopo l'allontanamento, a causa dell'impossibilità di conciliare i tempi di lavoro con i tempi di cura e con la maternità. Troppe donne concludono gli studi ma non riescono ad avere un'occupazione adeguata e coerente con gli studi compiuti. Abbiamo più donne che uomini iscritte e laureate in medicina, ma abbiamo pochissime donne ai vertici aziendali delle ASL, degli ospedali e tra i primari. Eppure sappiamo che spesso le donne ottengono la laurea con una votazione più alta rispetto ai loro colleghi uomini.
Nonostante questo, nel comparto della sanità piemontese la maggior parte delle donne è occupata nelle posizioni più basse e non certo ai vertici delle carriere mediche ospedaliere.
Ho citato questo esempio perché la sanità è una delle materie su cui la Regione può intervenire.
Mi rifaccio anch'io all'appello alla responsabilità rivolto dal Presidente dell'ANCI, Amalia Neirotti, Sindaco di Rivalta. Dobbiamo raccogliere quest'appello e dobbiamo assumerci la responsabilità di comprendere in quali modi sia possibile introdurre elementi di sostegno al lavoro femminile, che consentano alle donne della nostra Regione non solo di essere occupate, ma di superare il cosiddetto "tetto di cristallo", che tante volte tiene le donne confinate a livelli più bassi delle carriere.
stata ricordata la legge sul nuovo diritto di famiglia. Giustamente sono stati ricordati tutti gli interventi che hanno modificato, dal punto di vista legislativo e formale, il ruolo della donna e il rapporto della stessa rispetto alla realtà.
Abbiamo esempi di sentenze della Corte di Cassazione che ritengono meno grave la violenza domestica della violenza subita per strada, o che ritengono meno grave la violenza fisica domestica. Ma cosa dire della violenza psicologica che spesso confina le donne in posizione subalterna all'interno della famiglia? Molto lavoro è ancora da fare.
Concludo, perché non voglio abusare della pazienza e del tempo che mi è stato concesso, ribadendo che c'è ancora molto lavoro da fare: il lavoro per le pari opportunità; il lavoro per i diritti effettivi e non solo formali; il lavoro per la conquista del giusto ruolo e della giusta collocazione nelle Istituzioni. Tutto questo lavoro è necessario, affinch la speranza di quelle donne che sono andate a votare considerando l'importanza di quel momento - come ricordavano la Consigliera Cotto e la Presidente Bresso - e considerando la scheda elettorale più importante di quella del pane (non si sono messe il rossetto sulle labbra per non correre il rischio di segnare la scheda) siano esaudite.
Quelle donne, che hanno atteso con ansia quel momento - ricordiamo che il primo tentativo di concedere il voto alle donne ebbe luogo con una proposta di legge del 1904, alla quale si oppose fieramente il liberale Giolitti - attribuivano a quel voto una speranza. Questa speranza non deve essere delusa e credo che noi, come Assemblea legislativa, dobbiamo assumerci la responsabilità, per quanto possiamo, di non deludere ulteriormente la loro speranza.
Grazie.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la Consigliera Barassi; ne ha facoltà.



BARASSI Paola

Grazie, Presidente. Grazie, colleghe e colleghi.
A questo punto della discussione non è semplice intervenire, essendo già state dette tante cose, ma è comunque doveroso ricordare la giornata del 2 giugno 1946.
Il 2 giugno 1946, giorno in cui oltre 14 milioni di donne italiane, che rappresentavano il 53% dell'elettorato, entrarono per la prima volta in una cabina elettorale, con tutta l'emozione e con tutte le aspettative - non mettendosi il rossetto, come ha ricordato la Consigliera Cotto - per andare ad esprimere il proprio voto, la propria partecipazione, la propria empatia, quale risultato di una loro battaglia, per scegliere, sul referendum istituzionale, tra Monarchia e Repubblica.
Su questo dobbiamo dire che da parte degli uomini, anche espressione di partiti e di forze che si esprimevamo per la Repubblica, c'era grande apprensione e paura per quello che sarebbe risultato dal voto delle donne.
Le donne, invece, che rappresentavano la percentuale più alta dell'elettorato, diedero un segnale importante: votarono a stragrande maggioranza, contribuendo alla svolta repubblicana del nostro Paese.
Una scelta importante e fondamentale.
Le donne votarono, altresì, per l'elezione dell'Assemblea costituente non solo esprimendo il diritto di elettorato attivo, ma anche potendo essere elette all'interno di quest'Assemblea. È già stato ricordato che ventuno furono le donne elette nell'Assemblea costituente; donne che insieme con tutti gli altri Costituenti, contribuirono a scrivere la nostra Costituzione; una Costituzione che, a sessant'anni di distanza, è ancora una delle più avanzate ed è quella che esprime, come ha ricordato la Consigliera Pozzi, un livello più avanzato di compromesso tra tutte le culture che contribuirono alla lotta di liberazione e alla nascita del nostro Stato repubblicano.
Quel 2 giugno disegna, comunque, un passaggio fondamentale nella rinascita della democrazia in Italia. Lo rappresenta anche proprio in virt della rottura politica e simbolica che il suffragio femminile rappresenta e ha rappresentato, e in virtù delle sfide che questo suffragio ha posto - e continua a porre - a tutto il mondo politico e alla questione della democrazia sostanziale nell'evoluzione dell'Italia repubblicana.
Sono passati sessant'anni da quel 2 giugno, e le donne, com'è stato ricordato anche negli interventi precedenti, hanno indiscutibilmente ottenuto il riconoscimento di molti diritti. Le lotte che hanno portato avanti per la conquista dei diritti e delle libertà sembrano oramai un ricordo. Resta, però, un vago senso di disagio: ma abbiamo davvero raggiunto quella pari dignità testé ricordata nella testimonianza letta dalla Consigliera Pozzi, quella pari dignità riaffermata anche negli articoli 2 e 3 della Costituzione, in cui si ribadisce l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, quella pari dignità che anche le donne hanno contribuito, direttamente e indirettamente, a sancire e a far vivere nella società? Se ci soffermassimo a riflettere sul quesito, basandoci anche sul vissuto personale e collettivo - ovviamente non possiamo dare soltanto delle risposte generali e politiche, ma dobbiamo partire dal vissuto e dalle esperienze personali - ci accorgeremmo che la risposta probabilmente, non sarebbe così positiva.
Le discriminazioni nei confronti delle donne, in maniera più o meno velata, continuano ad esistere. Nel mondo del lavoro, per esempio, sono frequenti gli episodi di mobbing, soprattutto dal punto di vista sessuale (la percentuale è incredibile!). In ambito lavorativo, inoltre, le donne tendenzialmente, ricoprono i ruoli più precari.
Solo pochi giorni fa esaminavo i dati dell'Osservatorio sul mercato del lavoro: se è vero che sono stati registrati, per le donne, degli inserimenti lavorativi nel VCO (parlo, in questo caso, per la mia Provincia), è altrettanto vero che tali inserimenti riguardano tutti lavori precari o contratti a tempo parziale o determinato, o interinali.
Il discorso della precarizzazione, dunque, è molto forte nei confronti delle donne.
Questi sono solo alcuni degli esempi di discriminazione femminile, con una conseguente recrudescenza anche alle conquiste di libertà e di democrazia che le donne, con le loro lotte, hanno ottenuto: pensate, ad esempio, ai continui attacchi a cui abbiamo assistito negli ultimi anni rispetto alla legge n. 194 e al principio di autodeterminazione; o, ancora alla legge n. 40, che, comunque, sul corpo delle donne, vede ancora svolgersi una battaglia politica, le cui conseguenze negative ricadono sostanzialmente, sempre sulle donne; pensate ancora alla tendenza di continuare a relegare le donne a ruoli marginali di aiuto e di cura tendenzialmente sempre e comunque a sostegno dell'uomo, del suo ruolo della sua personalità e professionalità. E anche quando si pensa di riconoscere loro ruoli specifici - penso soprattutto alla sfera politico istituzionale - spesso si gratificano con incarichi più o meno evanescenti inventati su misura per loro, che tendono a ricalcare gli stereotipi e i dettami di una cultura di chiara impronta maschile, relegando le donne a esprimere competenze su argomenti tipicamente femminili.
Questa è la realtà con cui dobbiamo fare i conti. Non entro nel merito del rapporto fra le donne e la politica, posto che già molte parole sono state spese rispetto alla scarsissima rappresentatività delle donne all'interno delle istituzioni o all'interno dei partiti, o del ruolo che i partiti svolgono nei confronti delle donne: la politica ha, comunque un'impostazione al maschile, che non tiene conto dei tempi, dei modi, delle sensibilità e delle esigenze delle donne; tende, sostanzialmente, ad escluderle.
Questi sono gli elementi che intendevo portare in discussione.
Come donna, e soprattutto come donna all'interno di un'istituzione come il Consiglio regionale, ritengo che alcuni progressi, anche importanti, si possano fare.
La Presidente Bresso ha testé citato una proposta di legge contro tutte le discriminazioni: credo che sia un provvedimento importante, non solo nei confronti di tutte le fasce deboli, ma anche - e soprattutto rispetto al ruolo delle donne e alla riaffermazione dei diritti delle stesse e delle loro libertà.
Spero che questo momento di ricordo del 2 giugno 1946 e del voto alle donne non rappresenti soltanto, in questo Consiglio regionale, un'occasione istituzionale fine a se stessa, ma costituisca un trampolino per azioni dirette, da parte del Consiglio e della Giunta regionale, volte a dare risposte concrete ai problemi tuttora aperti rispetto alla questione delle donne.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Moriconi; ne ha facoltà.



MORICONI Enrico

Grazie, Presidente.
Intervengo a nome del Gruppo dei Verdi, che ricordo essere rappresentato al 50% da una collega Consigliera: da questo punto di vista direi che nel nostro Gruppo le "quote rosa" sono più che rappresentate! In questa ricorrenza, credo che il ricordo di ciò che si celebra e il momento politico attuale siano due realtà inscindibili: tra pochi giorni infatti, i cittadini saranno nuovamente chiamati al voto col referendum confermativo sulle modifiche della Costituzione.
Nell'evocare quanto è avvenuto sessant'anni fa, con l'importante riconoscimento del diritto al voto alle donne, non possiamo dimenticare che le Costituzioni e gli Statuti ribadiscono le regole del vivere comune, e con essi dobbiamo difendere i valori che riteniamo fondamentali per la vita civile.
necessario riflettere, quindi, sul voto che andremo ad esprimere tra pochi giorni. Se è vero che le Carte fondanti devono essere attente alle nuove problematiche e alle nuove culture, è altrettanto vero che si devono tenere ben saldi i principi fondamentali.
A tal riguardo, vorrei esprimere tutta la mia preoccupazione, perché le modifiche apportate alla nostra Costituzione, che dovranno essere confermate con il voto referendario, produrranno, a mio giudizio, uno stravolgimento nell'impianto costituzionale, andando in una direzione che non mi sembra portare un miglioramento all'intera società italiana.
E, proprio perché sono favorevole ad ascoltare le nuove tematiche e le richieste che giungono dalla società, ritengo che adeguare le nostre Carte dei principi alla sensibilità e alla cultura attuale richieda un momento di riflessione, anche in merito ai diritti degli animali.
Come sapete, questo tema è stato inserito nel nuovo Statuto della Regione Piemonte, anche se non si è riusciti a farlo riconoscere nella Carta Costituzionale Europea. Viste però le vicissitudini di questo documento, spero che ci sia il tempo per ripensare a questo argomento.
Per quanto riguarda il tema di oggi, la ricorrenza del voto alle donne non vi è dubbio che la strada del riconoscimento, del ruolo importante della figura femminile, iniziata sessant'anni fa, sia ancora lunga. Vorrei in particolare sottolineare un argomento già affrontato: la maternità. Da un lato non vorrei che, come molto spesso accade, la difesa e la valorizzazione dell'importantissimo ruolo di madre, di donna, diventasse solo un'affermazione pro-forma che poi non si concretizza in scelte coerenti. Discutiamo molto di maternità, di calo demografico, di difesa o di sostegno alla famiglia ma è con azioni concrete, e non con discorsi di principio che si può davvero difendere la maternità. Su questo punto secondo me, vi è ancora molto da fare sia a livello legislativo, sia a livello di crescita culturale.
Se è vero che non vi sono più discriminazioni evidenti come in passato non mi sembra tuttavia che la nostra società sia strutturata in modo da offrire davvero sostegno di fronte alle difficoltà che si vivono quotidianamente, nell'affrontare i problemi che la società pone alle madri.
Come è stato ricordato, conciliare l'esigenza del lavoro con il ruolo materno è ancora estremamente difficile, pieno di ostacoli e di enorme fatica per le donne.
Tuttavia vorrei sottolineare un altro problema collegato alla maternità. Sempre più spesso e da diverse parti, si sentono interventi in favore della natalità. Se è sicuramente importante tutelare e difendere il ruolo materno, non possiamo tuttavia dimenticare i rischi per tutto il pianeta collegati ad una crescita della popolazione che è diventata esponenziale. Recentemente, proprio a questo proposito, sono arrivati appelli per quella che è stata definita la decrescita dolce, ovvero la pianificazione di una riduzione globale degli abitanti del pianeta. È vero che in Italia siamo a bassi livelli di natalità, tuttavia in questa considerazione di tipo generale di un'Italia inserita in un sistema globale qual è il nostro pianeta, più che puntare ad una crescita della natalità sarebbe meglio adoperarsi per una maternità felice garantendo serenità e sicurezza sociale e lavorativa alle donne che diventano madri e ai nuclei familiari in genere.
In conclusione, mi auguro che in questa ricorrenza, da parte di tutti si ribadisca e confermi la necessità di continuare sulla strada del consolidamento dei diritti delle donne e di tutti i diritti civili e sociali.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la Consigliera Valloggia; ne ha facoltà.



VALLOGGIA Graziella

Si tratta di un breve intervento, sono solo delle considerazioni.
"Eravamo ancora in guerra e l'Italia era ancora divisa in due, quando il 30 gennaio del 1945 le donne italiane videro riconosciuto, finalmente il diritto di voto", così scrive Miriam Mafai. Il decreto del Consiglio dei Ministri che porta la data del 1° febbraio, non prevedeva però che le donne potessero anche essere elette.
Forse non fu solo una dimenticanza o un errore.
Ma ci volle più di un anno perché l'errore o la dimenticanza venisse corretta, con un decreto del 10 marzo del 1946, che affermava essere eleggibili all'assemblea costituente, anche le cittadine.
Sfogliando i giornali dell'epoca, non si può non restare stupiti per lo scarso peso dato a quella decisione, quasi ci fosse da parte delle forze politiche, anche se non esplicita, una riserva, un timore o un sospetto per le conseguenze che una simile scelta avrebbe potuto comportare nella vita italiana.
Ma quali che fossero questi timori o riserve, la decisione fu inevitabile, poiché imprescindibile dal ruolo che le donne italiane si erano conquistate durante la resistenza.
Si può ben dire che esse ne sono state l'anima e il cuore, perché senza la loro ampia partecipazione, senza il loro coraggio, il movimento partigiano non avrebbe potuto avere l'ampiezza, lo slancio e la solidità che ebbe.
La decisione alla fine arrivò e sarebbe stata ricca di conseguenze per la vita politica italiana, obbligando tutti i partiti a organizzare, con metodi e parole d'ordine nuove, milioni di donne fino ad allora escluse dalla vita e dal dibattito politico.
Fin dalla prima tornata elettorale, quella del 1946, le donne votarono in massa.
Il voto venne vissuto subito, non solo come un dovere, ma anche e soprattutto come l'esercizio di un diritto, un'affermazione di sé, una speranza e una scommessa sull'avvenire.
Il voto delle donne e la loro presenza sulla scena politica, è stato in Italia un fattore decisivo di cambiamento.
Nella primavera del 1946 furono elette per la prima volta, oltre duemila donne nei Consigli Comunali e il 2 giugno ne vennero elette ventuno alla costituente. Poche, ma riuscirono a fare iscrivere nella nostra carta costituzionale, in tema di parità e di diritti tra uomini e donne, alcuni principi che, nel corso degli anni successivi, avrebbero costituito il solido aggancio per importanti conquiste legislative sul piano sociale e civile, e per la liquidazione di quelle norme del codice Rocco, che ne sancivano l'inferiorità, anche nella famiglia.
Sono convinta che il nostro paese sarebbe diverso, se, in quel lontano giorno di sessant'anni fa, le donne non avessero conquistato il diritto di voto e non lo avessero esercitato nel corso di tutti questi anni, con tanta passione e puntualità.
Pur tuttavia, rimane un percorso incompiuto, poiché è ancora scarsa la presenza delle donne nell'attività politica in generale e nei ruoli decisionali in particolare.
Nei Consigli regionali, per esempio, le elette nella primavera del 2005 sono state circa il 12%, una percentuale modesta, anche se superiore all'8,5% raggiunta nella consultazione precedente.
Solo due Presidenti di Giunta Regionali sono donne, una di queste è la nostra Presidente Mercedes Bresso.
Non si tratta solamente di un difetto di funzionamento superabile attraverso una serie di aggiustamenti tecnico-giuridici, come le tanto discusse, quanto necessarie, quote rosa da inserire nelle liste elettorali ma piuttosto di difficoltà legate all'atteggiamento e all'organizzazione interna dei partiti: difficilmente gli uomini rinunciano alle loro posizioni consolidate di potere. In questa logica trovano poco spazio le competenze, le capacità, l'attitudine alla collaborazione e condivisione dei compiti, il bisogno di conciliazione tra i vari ambiti della vita, che esprimono le donne.
Nonostante si siano da tempo costituite commissioni per le Pari Opportunità, i risultati ottenuti sono insufficienti, la vita delle donne il rapporto con la società resta disseminato di luoghi comuni.
Le discriminazioni che le donne subiscono, sono ancora oggi rilevanti: ma sono forti e chiare le loro voci.
Marina, avvocato e titolare di uno studio affermato: una vita dedicata alla sua professione, senza svaghi, senza sosta e senza nessun altro pensiero: si è resa disponibile a lavorare gratuitamente allo sportello donna.
Anna, sposata giovanissima, tre figli, un marito violento, subìto in silenzio negli anni, poi la decisione di rivolgersi al servizio sociale, in disaccordo con la famiglia e contro il comune sentire che la vorrebbe comunque sottomessa: sporge denuncia.
Florence, senegalese solare e piena di vitalità, da tredici anni residente in Italia, mi ha insegnato le differenze che arricchiscono abbiamo, con stupore, scoperto le tante cose che ci uniscono: aspetta la cittadinanza.
Denise, pochi esami alla laurea di architettura, vuole fare politica una sua vera passione, cerca uno spazio di aggregazione.
Maddalena, operaia in una fabbrica tessile e delegata sindacale; delle duecento donne che lavoravano, ne sono rimaste ottanta, nessuna più pensa a lottare per i diritti, hanno paura di perdere il posto di lavoro. Lei non vuole arrendersi per orgoglio, per dignità.
Il coraggio di queste donne e di tutte quelle che hanno saputo scommettere sul futuro, immaginandosi un mondo dove libertà, giustizia pace dovessero essere vissuti ogni giorno, non sia colto come un problema ma come una grande occasione per portare a compimento la democrazia nel nostro Paese e per trasformare la società italiana. Grazie per l'attenzione.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Guida; ne ha facoltà.



GUIDA Franco

Grazie, Presidente. Vorrei collegare la data del 2 giugno con quella dell'8 marzo, che tradizionalmente è la festa della donna. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite, quando invitò gli Stati membri a individuare nel calendario una data per la celebrazione dei diritti della donna, unì a questa richiesta anche quella di una giornata internazionale per la pace per ricordare il fatto che la garanzia della pace e il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali hanno bisogno della partecipazione attiva, dell'eguaglianza, della crescita del ruolo delle donne. Pace e donne.
Il tema della partecipazione attiva della donna alla vita politica è questione che investe i Paesi occidentali dal 1835, come hanno già detto alcuni colleghi prima, da quando cioè le suffragette del Regno Unito iniziarono a battersi per l'estensione del diritto del voto alle donne. Se insieme alla giornata per i diritti della donna si festeggia anche quella della pace internazionale, i partiti non devono però assillare i cittadini con una caccia al voto.
All'epoca della guerra fredda si parlava di caccia alle streghe; oggi viene un pensiero più spontaneo: quale valore aggiunto può avere la politica senza la presenza delle donne? Ricordiamo il 60° anniversario del suffragio femminile ottenuto per le elezioni politiche del 2 giugno 1946, in occasione del referendum istituzionale e dell'elezione dei rappresentanti all'Assemblea costituente senza dimenticare il decreto emanato alcuni mesi prima dal Governo provvisorio su proposta di De Gasperi e Togliatti, che costituisce un atto fondamentale di modernità per il nostro Paese.
La ricorrenza di questo anniversario e i numerosi dibattiti sulle famose quote rosa degli ultimi mesi mostrano, però, un'insufficienza di regole del potere politico. Questa è un'espressione di Renzo Foa rafforzata anche dal più recente sondaggio del CENSIS. Diamo spazio ai numeri: il 76% degli italiani ritiene la presenza delle donne in politica fondamentale per il buon governo delle amministrazioni, e ovviamente anche noi siamo tra questi. Ma di tale opinione sono in misura maggiore le donne (83%) rispetto agli uomini (67%). La motivazione è che la presenza femminile è innanzitutto una questione di democrazia.
Tuttavia, il problema non è tanto nelle quote, che conferiscono più o meno spirito democratico al Paese, quanto nei valori che la differenza di questo genere, del genere femminile, può esaltare all'interno della politica. Certo è che ancora oggi, leggendo La Stampa e scorrendo le cronache di queste ore, viene fuori che un noto giornalista scrive e dichiara, in seguito alla vittoria di Letizia Moratti al Comune di Milano: "Un tempo le signore si dedicavano al ricamo. La signora Letizia ha scelto la politica".
Ebbene, questo è un errore, è un atteggiamento sbagliato e probabilmente si confonde la partigianeria politica con il fatto che comunque una donna ha vinto le elezioni al Comune di Milano.
possibile, dunque, anche alla luce di questi errori, di queste dichiarazioni - certamente non condivisibili, anzi assolutamente criticabili - recuperare delle giuste regole che permettano alle donne non soltanto di rigovernare il Paese, ma di governarlo? Il pensiero cristiano, a cui noi ci appelliamo ogni volta che parliamo di diritti civili, aiuta a ritrovare il giusto bilanciamento del rapporto fra uomo e donna. Non è una questione di costole, ma di incontro: l'atteggiamento di un cammino, talvolta attraversato dalla sofferenza, di chi si trova di fronte oppure contro una persona diversa.
Il ruolo della donna, peculiare per il rapporto che ha con la vita permette di dare un nuovo senso anche al potere politico, che non diventa fine a se stesso, ma strumentale per il buon governo della cosa pubblica.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Robotti; ne ha facoltà.



ROBOTTI Luca

Grazie, Presidente. Sarò velocissimo.
Festeggiamo oggi il 60° anniversario dell'Assemblea Costituente, che ha permesso a questo Paese di diventare una grande democrazia occidentale libera, plurale e soprattutto attenta a quelli che sono i diritti delle persone.
Quell'Assemblea Costituente ci ha consegnato una Carta costituzionale che è un documento aperto, che non guarda al passato, ma che guarda al futuro, alla possibilità che ci siano maggiori diritti, maggiori opportunità, maggiori incisività per le persone che hanno meno in un modello sociale che guarda agli interessi generali e non agli interessi particolari.
Questo processo innovativo, che ha rimesso al centro la grande questione dell'inclusione sociale contro le discriminazioni ha visto, nella formulazione della sua natura giuridica, il ruolo fondamentale delle deputate e delle donne nel nostro Paese, donne che hanno contribuito alla liberazione del nostro Paese anche con un sacrificio umano terribile quello della morte.
Tante donne hanno combattuto e si sono fatte immolare per la liberazione del nostro Paese. Queste donne hanno contribuito a scrivere la nostra Carta costituzionale come un documento aperto, che guarda al progresso civile e democratico della nostra Repubblica. Una Repubblica che mette al centro il tema delle garanzie; garanzie che devono essere a volte sospinte, perché questa democrazia, purtroppo, è ancora troppo controllata e troppo guidata dagli uomini.
Gli uomini devono cedere il passo, e lo devono fare sapendo che c'è un'unica grande consapevolezza: questa democrazia si può arricchire e pu avanzare solo se il ruolo delle donne sarà sempre più importante e più ricco nella definizione del processo e dell'avanzamento politico e costituzionale del nostro Paese.
A dimostrazione di ciò che ho detto, vi è la specificità del contributo che le donne hanno sempre dato ai grandi processi che hanno permesso l'evoluzione della nostra democrazia. Ogni provvedimento che è stato fatto in favore delle donne ha garantito diritti e libertà per tutti. Spesso le grandi riforme che hanno interessato il genere femminile sono state grandi riforme che hanno fatto avanzare civilmente e democraticamente il nostro Paese.
Bene, allora festeggiamo in modo non retorico questo anniversario e festeggiamolo soprattutto nella consapevolezza che tanta strada abbiamo ancora da fare. Per farla, il nostro genere, quello maschile, deve essere consapevole che è necessario fare qualche passo indietro.



PRESIDENTE

Questo era l'ultimo intervento del Consiglio regionale riunito in assemblea aperta.
Do ora lettura dell'ordine del giorno n. 350 collegato, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale premesso che: l'elezione dell'Assemblea Costituente il 2 giugno 1946 ha segnato per l'Italia l'apertura di un nuovo vero orizzonte; dopo gli anni tragici e dolorosi della guerra, un'Assemblea direttamente eletta dai cittadini rappresentava per la prima volta garanzia di trasparenza e di responsabilità in cui dare pienamente voce ai valori del pluralismo il 2 giugno 1946 rappresenta anche un'altra ricorrenza importante: per la prima volta venne riconosciuto il diritto di voto alle donne, che entravano così a pieno titolo a far parte della vita pubblica nazionale a quella conquista non ha tuttavia fatto seguito una piena partecipazione delle donne alla rappresentanza politica, e questo neppure dopo la modifica apportata all'articolo 51 della stessa Costituzione con cui si garantisce a tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso l'accesso alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza a distanza di 60 anni da quella data, per le donne tuttavia il diritto ad essere protagoniste è una questione ancora aperta che deve essere anche letta in chiave di critica riflessione nel tentativo di superare quello che costituisce oggi uno dei più evidenti deficit della nostra democrazia in occasione del 60° anniversario della Costituente e della rinascita del Parlamento italiano, sarà ospitata in Piemonte, presso la sede dell'Assemblea regionale, la mostra realizzata dalla Fondazione della Camera dei Deputati sul tema 'La rinascita del Parlamento. Dalla Liberazione alla Costituente' promuove attraverso il Comitato per i valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana e la Consulta delle Elette del Piemonte iniziative che, con il diretto coinvolgimento delle istituzioni scolastiche, mirino sempre più a sensibilizzare i giovani della regione alle politiche di parità e di pari opportunità ed alla diffusione dei valori della Resistenza e della Costituzione repubblicana, certi che questi rappresentino imprescindibili ed indispensabili conoscenze per la formazione civica di tutti i cittadini".
Tale documento è stato firmato da molti colleghi e naturalmente c'è tutta la disponibilità ad aggiungere le firme che i Consiglieri vorranno apporre.
Nel ringraziare tutti i colleghi, la Presidente Bresso, il Presidente Gariglio, la collega Cotto e quanti sono intervenuti questa mattina in questo Consiglio regionale riunito in assemblea aperta, nonché i nostri invitati e quanti hanno ritenuto importante essere presenti questa mattina per dare il loro contributo, chiudo questa, riconvocando il Consiglio alle ore 15.00 per mettere subito in votazione quanto letto e quanto firmato dai Consiglieri e da quanti vorranno aggiungere la loro firma.
Grazie a tutti.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13.23)



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