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Dettaglio seduta n.510 del 03/11/09 - Legislatura n. VIII - Sedute dal 3 aprile 2005 al 27 marzo 2010

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GARIGLIO



(Alle ore 14.30 il Presidente Gariglio comunica che la seduta avrà nizio alle ore 15.00)



(La seduta ha inizio alle ore 15.03)



PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Bresso, Buquicchio, Cattaneo Cavallera, Ferraris, Guida, Pozzi, Ronzani e Rutallo.



PRESIDENTE

Consiglieri, a causa di un incontro tra i Presidenti dei Gruppi consiliari in materia di assestamento di bilancio, sospendo la seduta in attesa del termine della Conferenza dei Capigruppo.
La seduta riprenderà alle ore 15.30.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 15.05 riprende alle ore 15.59)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Alcuni Consiglieri hanno chiesto informazioni circa le nomine che attendono di essere votate. Il Consigliere Giovine, in particolare. Si tratta della nomina al Museo regionale di Scienze Naturali. È una nomina di competenza della minoranza (il comitato scientifico). Sono stati presentati solo due nominativi i Signori Costa e Pavia. Entrambi sono dotati dei requisiti richiesti dal bando, quindi chiedo di dare indicazioni perché se non oggi, ma la prossima settimana, dovremo metterli in votazione.


Argomento: Università

Esame ordine del giorno n. 1298 dei Consiglieri Bizjak, Ronzani, Rostagno Ferraris, Rutallo, Rabino, Muliere, Cattaneo e Comella, inerente a "Chiusura delle sedi decentrate del Politecnico di Torino" ordine del giorno n. 1299 dei Consiglieri Dutto, Novero e Filiberti inerente a "Chiusura delle sedi decentrate del Politecnico" ordine del giorno n. 1312 dei Consiglieri Pedrale, Caramella, Cotto e Monteggia, inerente a "Chiusura della Facoltà di Ingegneria di Vercelli" ordine del giorno n. 1314 dei Consiglieri Bizjak, Pedrale, Dutto, Auddino Botta, Cattaneo, Cavallaro, Comella, Dalmasso, Filiberti, Giovine, Muliere e Valloggia, inerente a "Chiusura delle sedi decentrate del Politecnico di Torino"


PRESIDENTE

Procediamo con l'esame dell'ordine del giorno n. 1298, "Chiusura delle sedi decentrate del Politecnico di Torino", presento dai Consiglieri Bizjak, Ronzani, Rostagno, Ferraris, Rutallo, Rabino, Muliere, Cattaneo e Comella; dell'ordine del giorno n. 1299, "Chiusura delle sedi decentrate dal Politecnico", presentato dai Consiglieri Dutto, Novero e Filiberti dell'ordine del giorno 1312, "Chiusura della Facoltà di Ingegneria di Vercelli", presentato dai Consiglieri Pedrale, Caramella, Cotto e Monteggia, di cui al punto 5) all'o.d.g.
La parola al Consigliere Bizjak per l'illustrazione dell'ordine del giorno n. 1298.



BIZJAK Alessandro

Grazie, Presidente.
L'ordine del giorno di cui sono primo firmatario, insieme ad altri Consiglieri della maggioranza, è stato redatto nell'immediatezza delle decisioni assunte dal Senato Accademico del Politecnico che, di fatto prefigurano la chiusura delle sedi decentrate del Politecnico stesso.
Il documento è stato redatto anche raccogliendo gli stimoli e gli spunti pervenuti dall'ordine del giorno approvato all'unanimità dal Consiglio comunale e dal Consiglio provinciale di Vercelli riuniti in apposita seduta. Ovviamente, sulla base delle cose che ci dirà l'Assessore Bairati e la Giunta regionale e sulla base dello svolgimento del dibattito siamo disponibili a modificare l'ordine del giorno e a valutare la compatibilità della nostra proposta, rispetto a quelle presentate da altri Consiglieri, di altri Gruppi consiliari.
Tuttavia, credo che sulla vicenda debbano essere fissati alcuni punti fermi. A partire dalle ragioni che hanno condotto il Senato Accademico ad assumere una decisione che sui territori è stata percepita come imprevista ed improvvisa. Solo qualche mese prima dell'assunzione di queste decisioni si parlava, per esempio, a Vercelli (parlerò specificatamente e di più della questione vercellese che è quella che conosco meglio, credo che gli altri Consiglieri interessati interverranno per il loro territorio) di possibilità di sviluppo della Facoltà di Ingegneria del Politecnico a Vercelli.
Credo che le ragioni di questa decisione siano duplici. La prima. Non possiamo sottacere il tema delle politiche del Governo, in particolare del Ministro della Pubblica Istruzione su queste questioni. La riduzione del fondo di finanziamento ordinario per l'università, la legge n. 133 del 2008, è un dato.
Non è casuale che il Senato Accademico, per motivare la sua scelta nelle prime tre righe del documento di motivazione della scelta del comunicato stampa, faccia esplicito riferimento alle Linee guida per la progettazione dell'offerta formativa per l'anno accademico 2010-2011 in accordo - così recita il Senato Accademico - con la disciplina dettata dal decreto ministeriale n. 270, che è quello che taglia, di fatto, e dimezza le ore della didattica.
Questa tesi credo sia ulteriormente confermata, per quello che ne possiamo sapere, anche dai contenuti del recente disegno di legge emanato dal Consiglio dei Ministri sull'Università che io credo, come è stato detto anche da alcuni autorevoli esponenti del Partito Democratico, contenga anche elementi positivi. Certamente, anche in quel disegno di legge, rimane l'incognita delle risorse a disposizione e l'incertezza su come quel disegno di legge arriverà in fondo e sulla possibilità che avrà di avere finanziamenti adeguati.
Emerge, da questo punto di vista, una responsabilità politica precisa del Governo nazionale che, peraltro è stata sottolineata un po' da tutti da coloro che sono intervenuti sulla vicenda. Voglio subito ringraziare sia la Presidente Bresso che l'Assessore Bairati per l'opera che hanno svolto essendo presenti sui territori, e per l'opera che stanno svolgendo per contrastare queste decisioni.
L'altra ragione credo risieda nella politica delle gemmazioni di sedi che il Politecnico ha fatto nella nostra regione in questi anni probabilmente eccessiva. Non parlo della Regione Piemonte, parlo, per esempio, della situazione di Verrès in Valle d'Aosta dove, effettivamente gli iscritti sono molto pochi.
Ricordo che Vercelli è sede di Facoltà rispetto ad altre realtà che sono sedi decentrate, c'è tutto il corso di laurea. Credo che sia difficilmente accettabile, dal nostro punto di vista, le parole che il Rettore ha usato per motivare tale decisione. Quando il Rettore rivendica la completa autonomia decisionale su questa scelta, scansando i "condizionamenti" della politica, si sa perfettamente che, se non fossero intervenuti gli Enti locali di qualsiasi colore politico che in questi anni hanno governato su quei territori finanziando le sedi decentrate del Politecnico, quelle sedi non sarebbero potute stare in piedi insieme ai finanziamenti regionali.
Mi pare che l'atteggiamento del Rettore non fosse il medesimo quando gli Enti locali procedevano a finanziare il mantenimento e il rafforzamento delle sedi del Politecnico sul territorio. È sintomatico, infine, che di questa situazione il Ministro e il Rettore si sostengano a vicenda (basta leggere le dichiarazioni del Ministro Gelmini in un recente convegno cui ha partecipato a Stresa).
Credo che i nostri territori, quello di Vercelli in particolare, non possano permettersi di perdere il Politecnico. Non è una questione di costi, ma è una questione di sviluppo e di presenza su un territorio, di un'istituzione fondamentale. Noi pensiamo che togliere la didattica, pur mantenendo la ricerca e i laboratori, sia un po' l'inizio del ridimensionamento e l'inizio della fine. Vogliamo anche capire bene cosa sono i corsi professionalizzanti sostitutivi. Noi pensiamo che su questo occorra fare chiarezza. Pensiamo che il mantenimento della didattica nelle sedi decentrate sia un elemento fondamentale, che non possa essere disgiunto né dal tema della ricerca, né dal mantenimento delle sedi di laboratorio.
La presenza del Politecnico nei nostri territori non significa solo avere la Facoltà di Ingegneria, significa avere un rapporto stretto con il territorio, significa la capacità di muovere anche un indotto. Nella realtà vercellese, ormai, siamo a quasi mille studenti presenti ed è un numero diciamo in espansione, non in riduzione. Altresì significa avere un rapporto stretto con le realtà produttive del territorio: basta prendersi le statistiche per conoscere il numero dei laureati e le possibilità di insediamento che trovano sul territorio dove hanno compiuto gli studi. In sostanza, significa procedere al depauperamento complessivo di un territorio.
Se il Politecnico, in questi anni, è diventato una università autorevole e prestigiosa, sempre in cima, o quasi, nelle primissime posizioni della classifica delle università italiane, penso che una particina sia anche dovuta al lavoro che è stato svolto dai professori, dal personale non docente e da tutti coloro che hanno lavorato nelle sedi decentrate.
Detto questo, però, occorre concentrarsi su che cosa fare oggi e penso che davanti a noi ci siano due strade. Per quanto riguarda la prima, ho ascoltato con grande attenzione l'intervento svolto dal Rettore del Politecnico nell'assemblea di Vercelli - era presente anche l'Assessore Bairati, che ha fatto un apprezzatissimo intervento, che condivido e ribadisco dalla prima all'ultima parola - che, ad un certo punto, ha detto insomma, mi illudo di avere capito bene, lo spero - che, se cambiassero le condizioni, alcune decisioni potrebbero essere riviste.
Allora cerchiamo di capire fino in fondo - questo nell'ordine del giorno lo chiediamo, attraverso un tavolo con gli Enti locali, il Politecnico e la Regione, che svolge il ruolo di coordinamento - quali sono queste condizioni che devono cambiare. Alcuni parlano - e noi siamo d'accordo - di utilizzare dei fondi - penso ai fondi di compensazione per il nucleare di cui ha parlato il collega Pedrale. È da circa un anno e mezzo che diciamo che su quel territorio quei fondi dovevano essere destinati dalla Provincia di Vercelli in modo diverso, quindi siamo d'accordo se definiamo insieme una destinazione utile per il territorio d'accordo, avendolo detto prima.
L'altra strada - che ritegno difficile, ma che deve essere percorsa per evitare di perdere le sedi decentrate del Politecnico - consiste nel valutare la possibilità di costruire in seno all'Università del Piemonte Orientale tripolare (Vercelli, Novara e Alessandria) la Facoltà di Ingegneria.
Queste sono le due strade percorribili e le possibilità che noi oggi abbiamo di fronte. In entrambi i casi chiediamo con forza alla Giunta di perseguirle, come ha fatto in questi giorni, perché la chiusura delle sedi decentrate del Politecnico non credo sia una questione che riguardi l'accorpamento su Torino e non sia una questione che riguardi solo il depauperamento dei territori dove oggi sono le sedi: credo sia una perdita complessiva per tutta la nostra regione.
Quindi, alla luce di questo, penso occorra lavorare il più possibile se c'è ancora uno spiraglio, per modificare le decisioni assunte o per percorrere strade nuove.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie, collega Bizjak.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Dutto per l'illustrazione dell'ordine del giorno n. 1299; ne ha facoltà.



DUTTO Claudio

Grazie, Presidente.
Il collega Burzi mi dice di passare a Cuneo, che, però, ha esattamente gli identici problemi e punti di forza di Vercelli, per cui facciamo un discorso generale valido per tutto il Piemonte.
Le sedi decentrate del Politecnico, contrariamente a quanto qualcuno potrebbe pensare, offrono corsi di qualità elevatissima, anzi, è notorio e pacifico che gli studenti che frequentano i corsi nelle sedi decentrate riescono ad avere una formazione migliore rispetto a chi frequenta il Politecnico nella sede centrale di Torino.
Questa è una osservazione che fanno moltissimi, che ritengo essere pacifica, ed è proprio dimostrata dai fatti.
Sicuramente, accanto a questo, che, a mio avviso, è l'elemento essenziale per conservare questi corsi, ci sono tutti quei fattori che alla fine, permettono a molti studenti di potersi laureare frequentando le sedi decentrate, mentre non riuscirebbero altrettanto a terminare gli studi se dovessero recarsi a Torino, a causa del tempo impiegato per i trasferimenti, ma soprattutto per i costi.
Facciamo un esempio molto semplice, ovviamente iniziando dal sistema cuneese: i nostri studenti che risiedono nelle vallate cuneesi, nella Langa o da altre parti, per recarsi a Torino, impiegherebbero per il viaggio circa due ore e mezza all'andata e al ritorno. Questi tempi di percorrenza rendono impossibile effettuare il viaggio in giornata, conseguentemente solo chi affitta un alloggio in Torino, o quei pochi che hanno la fortuna di riuscire ad ottenere i posti nei collegi torinesi, riesce a compiere gli studi nella sede di Torino. Quindi, la maggior parte sarebbe costretta a rinunciare agli studi, per motivi di tempo, di logistica e di costo.
Invece, il mantenimento dei corsi nelle sedi decentrate permette questa possibilità di studio, di cultura e di formazione professionale, che dovremmo riuscire ad offrire a tutti.
Dopodiché, occorre fare un'altra considerazione: per la realizzazione e la gestione delle sedi decentrate sono intervenuti gli Enti locali soprattutto le fondazioni bancarie locali, con interventi finanziari, fatti in passato, anche cospicui.
Quindi, sono stati fatti degli investimenti, che, come ho già detto stavano dando ottimi frutti, proprio perché i laureati sul posto c'erano e riuscivano ad inserirsi nel mondo del lavoro, consentendo tutto quel ritorno economico che ripagava ampiamente i costi, che, ripeto, erano già stati sostenuti da enti locali e fondazioni. Dalla chiusura di queste sedi decentrate, per lo meno dei corsi presso le sedi decentrate, deriverebbe lo spreco di tutti questi fondi, di tutto questo denaro pubblico, ma anche privato, per lo più pubblico o derivante dalle fondazioni, che lì è stato investito.
Conseguentemente, questi corsi decentrati del Politecnico non vanno assolutamente chiusi, sarebbe una gravissima ingiustizia verso il territorio, dal quale deriverebbe un gravissimo danno economico per l'intero Piemonte, costituendo una grave opportunità persa per il livello culturale dei nostri cittadini.
Dall'altra parte, il Politecnico di Torino deve sopportare dei tagli. A mio avviso, ci sono anche possibilità di risparmio dei costi proprio nella sede centrale di Torino.
Questa questione è un po' generalizzata: tutte le volte che si deve tagliare qualcosa (faccio l'esempio della sanità in Piemonte), si comincia sempre a tagliare dalle sedi decentrate, senza andare a vedere se queste sono utili o meno, se sono redditizie oppure no, se offrono un servizio buono oppure no, eccetera. Immancabilmente, se c'è da tagliare qualcosa si comincia a tagliare dalla periferia, dalle sedi decentrate. Questo non è assolutamente giusto.
Ripeto, se c'è da tagliare qualcosa occorre razionalizzare la sede centrale del Politecnico, ma occorre comunque mantenere queste sedi decentrate.
Infine, vorrei fare una richiesta alla Giunta: stiamo discutendo sull'assestamento di bilancio (forse, arriviamo in "zona Cesarini", ma sicuramente non a partita già conclusa). Ebbene, tutt'al più la Regione trovi delle risorse da offrire al Politecnico per riuscire a mantenere aperti i corsi decentrati presso le attuali sedi. Cioè, intervenga ancora la Regione finanziariamente.
Questa potrebbe rappresentare l'ultima chance, ma potrebbe essere indispensabile, magari per una piccola parte; però, nel complesso, chiedo alla Giunta e all'Assessore di intervenire pesantemente presso il Rettore affinché vengano tenute aperte le sedi decentrate e vengano mantenuti i corsi presso queste sedi.
Quindi, si tagli da altre parti e si trovino altre risorse, ma assolutamente non chiudiamo, non prendiamo provvedimenti come quello che è già stato preso, cioè non avalliamo questo provvedimento, ma interveniamo affinché le sedi vengano mantenute aperte.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Pedrale, per l'illustrazione dell'ordine del giorno n. 1312.



PEDRALE Luca

Grazie, Presidente.
La vicenda che riguarda la chiusura delle sedi decentrate del Politecnico di Torino ha veramente del paradossale. Credo che raramente o quasi mai una scelta sia stata portata avanti in maniera così illogica antieconomica, antiformativa e anticulturale per tutta la regione Piemonte.
Il Politecnico di Torino, con una scelta improvvisa, vuole riportare il Piemonte universitario indietro di vent'anni, quando tutto era concentrato esclusivamente nel capoluogo di Regione, dimenticando o facendo finta di dimenticare quanti sacrifici e quante battaglie sono state fatte (anche politiche ed amministrative, tenute proprio in quest'Aula) per ottenere un decentramento universitario del Politecnico stesso nel resto del Piemonte.
Con grande fatica, circa quindici anni fa, si era riusciti a istituire la Facoltà di Ingegneria a Vercelli, che ha avuto un grande successo in termini di iscrizione (quasi 1.000 studenti); successivamente, sono state aperte altre sedi decentrate (Mondovì, Alessandria, Casale, Biella).
Riferisco alcuni dati ufficiali dichiarati dallo stesso Politecnico: il 75% degli studenti che si laureano presso la Facoltà di Ingegneria di Vercelli trova immediatamente lavoro. Probabilmente, perché è previsto uno stage aziendale prima della laurea e comunque gli studenti che si laureano presso la sede di Vercelli hanno un inserimento nel mondo del lavoro superiore a quelli che si laureano presso la facoltà di Torino. Questi sono dati ufficiali dello stesso Politecnico.
Tra l'altro, la Facoltà di Vercelli è stata realizzata con un sacrificio economico quasi esclusivamente sopportato dagli Enti locali e dalla Regione Piemonte. Il Politecnico ha speso ben poche risorse, sia per quanto riguarda i laboratori sia per la sede, che è stata data in comodato d'uso gratuito dalla Provincia di Vercelli, già parecchio tempo fa.
Inoltre, anche il successo dell'ultimo corso tecnologico in lingua inglese, con l'arrivo di numerosi studenti stranieri, lasciava intravvedere tutto, fuorché una chiusura della sede di Vercelli e di altre sedi decentrate.
Capire questa scelta credo davvero sia impossibile, soprattutto tentando di leggerla da un punto di vista formativo, universitario culturale o economico, sottolineo anche l'aspetto economico, e vengo al punto.
All'inizio, nelle prime ore, nei primi giorni dopo la comunicazione della decisione del Senato Accademico, si era cercato di giustificare la chiusura della sede di Vercelli, dicendo che era una scelta dovuta agli esuberi di ore e quindi all'applicazione della riforma Gelmini (tra l'altro, quando è stata decisa la chiusura di Vercelli, vi era ancora una circolare interpretativa su questa materia). Ma al di là di questo aspetto i dati ufficiali - questa è la cosa incredibile - forniti dal Senato Accademico, reperibili attraverso il sito internet del Politecnico (qualsiasi ricercatore o dipendente del Politecnico ha in mano questi dati) certificano che gli esuberi, cioè le ore in eccesso presso la facoltà di Vercelli sono solo del 3%, contro una media delle facoltà di ingegneria e di architettura di Torino che vanno dal 30 al 40%! Questa è una scelta vergognosa, perché se si doveva chiudere qualcosa si doveva chiudere a Torino, non a Vercelli o nelle altre sedi decentrate del Piemonte.
Ebbene, nonostante questi dati inoppugnabili, che sono dati ufficiali dello stesso Senato Accademico, il Rettore Profumo è venuto a Vercelli e nonostante l'accalorata assemblea cui ha partecipato anche l'Assessore Bairati e mi dispiace che abbia preso qualche "mitragliata" di fischi l'Assessore Bairati, che in fondo era fra i meno colpevoli della situazione...



(Commenti dell'Assessore Bairati)



PEDRALE Luca

Qualche fischio glielo hanno fatto. Io c'ero.



(Commenti dell'Assessore Bairati)



PEDRALE Luca

Le venivo incontro, nel senso...



PRESIDENTE

Colleghi, per cortesia.
Non impedite al collega di proseguire il suo intervento.



(Commenti dell'Assessore Bairati)



PEDRALE Luca

Anche lei, Assessore, ha dovuto condividere che è la Regione non poteva sottrarsi da un intervento nei riguardi del Politecnico, cosa che auspichiamo con questo ordine del giorno che abbiamo presentato, proprio perché non riusciamo a capire quale sia la motivazione, se non quella di una scelta di potere, puro potere universitario, quello di centralizzare tutto su Torino, che abbia potuto determinare una scelta di questo genere.
Alcuni aspetti sono già stati toccati da parte del collega Bizjak, che su questa partita condividiamo pressoché le stesse opinioni. Penso che non sussista neanche l'aspetto economico, perché grazie all'intervento dell'Assessore Bairati a Vercelli e grazie anche alla disponibilità di risorse che in questo momento la Provincia di Vercelli ha, si potrebbe anche pensare che le spese per la docenza possano essere - addirittura anche queste - pagate dagli Enti locali pur di tenere aperti i corsi di ingegneria a Vercelli.
Nonostante tutta questa disponibilità, che è stata data e che è stata comunicata, il Politecnico di Torino è irremovibile. Ne prendiamo atto.
Allora, bisogna però battere altre strade, perché intanto molti degli studenti della Facoltà di Vercelli non andrebbero comunque al Politecnico di Torino, ma andrebbero in altre direzioni, in particolare Milano.
Se non vogliamo che, non solo Vercelli, ma tutto il Piemonte, perda un presidio formativo d'istruzione e di eccellenza come quello che attualmente è a Vercelli e nelle altre sedi decentrate, occorrerà che la Regione insieme agli Enti locali e insieme ai parlamentari piemontesi, assuma un'iniziativa forte e cerchi altre strade.
Negli ultimi giorni, si sta cercando di contattare l'Università Avogadro, Università del Piemonte nord-orientale, per vedere se vi sono le condizioni per istituire una Facoltà di Ingegneria nell'ambito della Facoltà stessa. La strada non è facile, ma il Rettore Garbarino ha lasciato intravedere un'apertura, dicendo che, ovviamente, sul piano economico ci sarebbero dei problemi, ma le risorse probabilmente si riusciranno a trovare con il concerto tra Enti locali e Regione.
Se la scelta dell'Università nord-orientale dovesse rivelarsi sfortunata, per motivi di programmazione universitaria o di problemi organizzativi interni, non bisognerà mollare la presa, ma si potrà cercare di percorrere altre strade, come quella del Politecnico di Milano, perch magari quest'ultimo può essere interessato ad aprire una sede a Vercelli.
Qualcuno può dire che è il Politecnico di un'altra regione, ma se Torino è matrigna, pazienza! Abbiamo sempre parlato di Nord-Ovest, di integrazione tra macroregioni e, in questo caso, l'integrazione ci sarebbe.
Magari sarebbe un'integrazione - e io me lo auguro, qualora avvenisse virtuosa, ma probabilmente è l'unica maniera per riuscire a tenere sul nostro territorio una presenza universitaria così importante e qualificata.
Il nostro ordine del giorno ha un duplice obiettivo: sottolineare la scelta incredibile fatta dal Politecnico di Torino, che non riesce a trovare nessuna giustificazione di tipo formativo né culturale né economico e, nello stesso tempo, spronare tutti noi (Consiglio e Giunta regionale) affinché, insieme agli altri soggetti interessati (Enti locali e parlamentari), si percorrano altre strade, pur di mantenere questa presenza sul nostro territorio regionale.
Le altre strade possono essere l'Università nord-orientale del Piemonte o, addirittura, il Politecnico di Milano, il quale, diversamente dal Politecnico di Torino, ha sedi decentrate a Lecco e Pavia, e non ha alcuna intenzione di chiuderle. Anche il Politecnico di Genova ha delle sedi decentrate e questi Politecnici non hanno alcuna intenzione di chiuderle.
L'unico Politecnico del Nord Italia che si troverebbe con una sola sede sarebbe il Politecnico di Torino. In un'epoca in cui si parla di decentramento e di federalismo, mi sembra che il Piemonte vada veramente contro la storia.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PLACIDO



PRESIDENTE

Grazie, collega Pedrale.
La parola all'Assessore Bairati.



BAIRATI Andrea, Assessore all'università

Grazie, Presidente.
Gli ordini del giorno fanno riferimento alla scelta del Senato Accademico del Politecnico. Forse, però, vale la pena fare alcune precisazioni sul quadro generale che regola questa materia e chiarire un po' lo stato dell'arte delle politiche universitarie, anche in relazione a quella materia complicata e delicata, che ha diversi punti di osservazione e che non è facile liquidare con giudizi sommari, che è quella delle sedi decentrate.
materia che - lo ricordo ai presenti - ha ormai più di vent'anni di applicazione, perché il processo di decentramento, che allora chiamammo decongestionamento, nacque intorno agli anni '90, per ragioni ben precise: gli Atenei centrali non erano più in grado di soddisfare, con le loro infrastrutture, la domanda di formazione che esprimeva in quel momento una popolazione di studenti universitari in fortissima espansione. Basti dire che, a livello nazionale, nel 1990 i Comuni sede di corso universitario erano 92, mentre nel 2007 sono diventati 250.
Quel processo di decongestionamento italiano - l'ho detto a Vercelli nella parte non fischiata del mio intervento - è un processo europeo ed internazionale. L'argomento relativo al rapporto tra sedi universitarie e popolazione studentesca non è un argomento convincente, perché se voi guardate analoghi rapporti tra presenza accademica territoriale e studenti in Paesi di abituale confronto europeo (Germania, Francia ed Inghilterra in primo luogo), sono, da questo punto di vista, persino più fitti in termini di presenza territoriale.
Il problema è un altro: quel processo di decongestionamento si è accompagnato ad un processo di riforma dell'offerta universitaria, che oggi convenzionalmente chiamiamo "tre più due", cioè di laurea di primo livello triennale, più un livello di laurea magistrale di due anni. Questo aveva un preciso obiettivo: soddisfare, con il primo livello di laurea (il triennio), la domanda generale e prevalente del mercato, in particolare il mercato privato italiano, che non richiede ingegneri quinquennali o giuristi formativi, ma richiede prevalentemente una formazione, pur sempre di alto livello, centrata su una fascia intermedia di competenze fortemente professionalizzate, lasciando alla laurea magistrale il compito di soddisfare esigenze di più alto livello, che erano quelle degli organismi complessi di grande dimensione, di soddisfazione della domanda di ricerca del sistema accademico e della domanda del sistema pubblico che richiedeva quelle caratteristiche.
A più di dieci anni dall'applicazione del disegno di riforma, è evidente che l'interpretazione che il sistema accademico italiano ha dato di quella riforma è un'interpretazione bonariamente abbastanza distorta.
Il risultato nella pratica è legato al fatto che, oggi, quasi otto decimi degli studenti che terminano il primo livello di laurea prosegue nel livello magistrale. Quindi, uno degli obiettivi primari della riforma, che era quello di agganciarsi al livello europeo di istruzione, cioè accorciare i tempi di laurea sul primo livello e selezionare fortemente l'offerta successiva, possiamo dire che è stato interpretato in maniera abbastanza distorta. Ne sia una testimonianza il numero di corsi attivati dagli Atenei italiani, che sono passati da circa 2.400 nel 2000, ad oltre 5.700 nel 2007.
Nel 2000, in Piemonte - che è sempre una buona rappresentazione paradigmatica della media nazionale - i corsi di laurea e di diploma erano 161; nel 2005 sono diventati 350 e oggi, dopo un'opera di ridimensionamento di questi anni, sono diminuiti di circa il 10%, scendendo a quasi 300, ma è pur sempre un numero cospicuo.
Questa è la ragione che ha portato, non il Ministro Gelmini - mi permetto di precisare - ma, prima il Ministro Moratti, e successivamente confermando l'analogo provvedimento, il Ministro Mussi, ad introdurre il cosiddetto "decreto dei requisiti minimi".
Ovviamente, le Università, nel rispetto della loro autonomia di offerta didattica, rimangono libere di attivare, previa autorizzazione, nuovi corsi; tuttavia, questi nuovi corsi devono comunque prevedere requisiti minimi numerici - ne avevamo anche discusso a Vercelli e i colleghi Bizjak e Pedrale erano presenti - che riguardano il numero minimo di allievi e il numero ordinario di docenti di prima e di seconda fascia, che hanno un rapporto fisso per ogni corso di laurea.
Questo, a mio modo di vedere (successivamente, entreremo nel merito delle considerazioni sul decongestionamento e sulla territorializzazione) per interrompere quel percorso che sinteticamente vi ricordavo poc'anzi di proliferazione dei corsi non sufficientemente appoggiati da infrastrutture e da conoscenze adeguate, aspetto sul quale (peraltro, ne abbiamo discusso più volte in sede di Commissione) siamo sempre stati tutti d'accordo.
Quel rapporto - non il Decreto Gelmini, sul quale farò ulteriori precisazioni - sempre sulla base dei requisiti minimi, implica che il Politecnico di Torino, in riferimento alle infrastrutture a sua disposizione, debba passare da 186.500 ore di formazione attualmente erogate su tutte le sedi a 98.500 ore, secondo l'applicazione di quel decreto. Questa è la prima questione.
Veniamo, dunque, alla seconda questione. Il collega Pedrale faceva riferimento alla Lombardia: perché nessun'altra Regione e nessun altro Magnifico ha applicato il decreto dei requisiti minimi? Perch l'applicazione dello stesso, che è ripresa dalle linee guida del Governo cioè del Ministro Gelmini, nel documento di gennaio (pubblicato, peraltro sul sito del Ministero), è tuttora in attesa dei decreti applicativi.
Dunque, nessun altro Ateneo italiano ha assunto questa posizione esecutiva, perché i Rettori del Paese sono in attesa della pubblicazione dei decreti applicativi del Ministero.
Aggiungerò un ulteriore un elemento: chi ha letto il disegno di legge del Ministro che è stato approvato nell'ultima seduta del Consiglio dei Ministri (non dico nel testo integrale, ma anche soltanto negli estratti pubblicati dagli organi di stampa) potrà facilmente evincere due aspetti: innanzitutto, il disegno di legge non contiene alcun elemento applicativo dei requisiti minimi.
Il disegno di legge è una legge quadro, diciamo così, di riorganizzazione del sistema universitario complessivo, in particolare attenta ai sistemi di governance: interviene, quindi, sulla composizione del Senato, sui suoi meccanismi di funzionamento, sulla composizione dei Consigli di Amministrazione e sulle sue responsabilità. Interviene su una norma che le Regioni esamineranno prossimamente nella Conferenza, perch interviene su una competenza regionale, che è quella del diritto allo studio, ma non contiene nessun elemento ulteriore di applicazione di quel principio.
Senza entrare, quindi, nella libera facoltà di decisione del Senato del Politecnico di Torino, che ha, nel rispetto dell'autonomia accademica facoltà di dire che chiude le sedi, vorrei precisare che, attualmente, a penna del Ministro Gelmini non è stato pubblicato nessun decreto attuativo che imponga quella scelta. Pertanto, le indicazioni ministeriali sono contenute in linee guida di indirizzo, ma non hanno giuridicamente nessun valore cogente rispetto alle scelte che possono prendere in autonomia gli atenei. Invece, hanno valore cogente ovviamente i provvedimenti finanziari cioè le variazioni del fondo di funzionamento ordinario: è il fondo nazionale che viene ripartito tra i diversi atenei per il funzionamento ordinario degli stessi (in larghissima parte è ormai destinato alla retribuzione dei dipendenti degli atenei) e ha una variazione percentuale annua cumulata - vi consegnerò le tabelle ricavate dalla legge n. 133 quindi da fonte ministeriale - che varia da una riduzione che poi è stata compensata da un decreto incrementativo del Ministro Tremonti (sostanzialmente, per il 2009 restaura la dotazione degli anni precedenti) che porta, al 2013, una riduzione del 13.1% del fondo di funzionamento ordinario.
Se traduciamo il dato sulla riduzione del fondo di funzionamento ordinario dei nostri tre atenei (quelli pubblici riconosciuti), vuole dire che per l'Avogadro sul 2010 parliamo di meno 4,5% milioni di euro, di circa meno 26 milioni di euro per l'Università di Torino, e di circa meno 11 milioni di euro per il Politecnico di Torino, sempre sul 2010.
Consentitemi di precisare che il disegno di legge presentato dal Ministro Gelmini contiene anche alcuni elementi di rilevante novità da non trascurare (contiene, altresì, alcuni aspetti che mi convincono meno).
Questo è il quadro generale.
Tutto ciò per chiarire che le decisioni assunte dal Senato del Politecnico di Torino non erano, in alcun modo, motivate da dispositivi cogenti del MIUR.
Ma veniamo agli effetti di queste politiche, visto che si è parlato di sedi (vi fornirò comunque i dati, dal momento che non li leggerò tutti). In Piemonte (sono dati relativi ai corsi del 2009-2010) rileviamo una popolazione complessiva di circa 100.000 studenti universitari, che, ad oggi, proprio per effetto delle politiche di decongestionamento e decentramento di cui sinteticamente vi riferivo, sono più o meno così distribuiti: circa 79.000 sull'area torinese, che quindi comprende UniTO PoliTO e ci sommo - non si offenda, collega Turigliatto, mi passi il termine! - anche Grugliasco, che lo considererei un decentramento blando.
La restante quota è divisa come segue: 4.200 studenti sul polo Novarese 3.500 studenti ad Alessandria, 2.255 (mal contati) a Vercelli, 1.580 a Cuneo, 900 a Mondovì e via discorrendo, fra Asti, Biella, Savigliano, Bra Alba, Casale, Ivrea, Tortona, Verbania, eccetera, con numeri decisamente più ridotti. Questa è la situazione attuale.
Rispetto agli ordini del giorno presentati, mi sentirei di fare le seguenti precisazioni, anche perché, così come ci impegnano alcuni ordini del giorno, alcune azioni le abbiamo già intraprese.
Io e la Presidente, infatti, abbiamo incontrato in diverse occasioni il Rettore. La Presidente ha chiesto un incontro urgente al Governo per dare esecutività alla richiesta di passaggio delle competenze in materia universitaria, che ho ricordato al professor Profumo che non sono un atto di follia del sottoscritto, ma, al limite, del Consiglio regionale, dal momento che si tratta di un atto transitato da qui.
Il professor Profumo ha ribadito la sua decisione, che non è quella di chiudere in senso draconiano le sedi periferiche, ma di trasformarle utilizzando (eravate tutti presenti agli incontri che abbiamo fatto) sostanzialmente due leve. La prima è quella della formazione a distanza che lascia perplessi molti di noi (me per primo), trasformando le sedi in centri di servizio locale, cessando comunque dall'anno accademico 2010-2011 le immatricolazioni sulle sedi che voi stessi avete citato.
Qual è stato il risultato di questi incontri? Peraltro, informer l'Aula di un approfondimento giuridico che è occorso in queste ore e che presenta qualche elemento di novità, di cui non ho avuto tempo neanche di informare la mia Giunta, ma è fondato su basi giuridiche solide.
Gli elementi di discussione sono inerenti al fatto che nel confronto con il professor Profumo c'è la disponibilità ad avviare un percorso che però, necessariamente deve vedere la partecipazione di un terzo soggetto che è il Governo, nel senso di non basare sulle sedi decentrate questa nuova sperimentazione, che il Governo ha avviato con un DPCM, denominata scusatemi gli acronimi - ITS (cioè una riedizione aggiornata ai tempi correnti dell'istruzione e Formazione Tecnica Superiore, gli FTS), ma di avviare un percorso che recuperi alcune delle valutazioni che facevo all'inizio del mio intervento, cioè il fatto che la domanda non solo piemontese, ma nazionale, di un'istruzione, fortemente professionalizzante e tecnica concentrata in tre anni, resta una domanda estremamente significativa, forte e che tutt'ora trova un livello di soddisfazione del tutto inadeguato da parte dell'offerta.
Questo vorrebbe dire che a livello istituzionale le Regioni si confrontano su questo argomento e propongono al Governo una variazione del disegno di legge attualmente approvato dal Consiglio dei Ministri (che andrà in discussione alle Camere), che introduce questo elemento che non interessa soltanto il Piemonte, ma anche l'intero territorio nazionale.
Inoltre, anche sulla base della disponibilità che nel colloquio con la Presidente e il sottoscritto abbiamo raccolto, si prova a ridare vita non ad un'offerta a distanza nei punti decentrati di cui parlavo poc'anzi, ma si rimette in moto un meccanismo di progettazione di quel triennio, che è esattamente il punto di caduta e di mancanza dell'offerta di altri studi dal nostro Paese.
Vengo alla precisazione finale, che ritengo importante, perché ci sono autonomie da rispettare, quindi dico al Consigliere Dutto che personalmente non sono d'accordo ad intervenire finanziariamente surrogando alcune funzioni che sono del Ministero competente.



(Commenti della Presidente Bresso)



BAIRATI Andrea, Assessore all'università

A meno che, come precisava la Presidente, quelle competenze non passino su base regionale, ma questo è altro discorso.
Però, come ho avuto modo di dire a Vercelli, sono rimasto colpito dal modo e anche non particolarmente favorevolmente impressionato dalla modalità istituzionale. Voi sapete che abbiamo un organismo di coordinamento che si chiama Comitato Regionale di Coordinamento degli Atenei, composto da tre Rettori, dal sottoscritto (per rappresentanza della Presidente) e dagli studenti eletti negli organi di rappresentanza, e oggi ho scritto al Presidente pro tempore (che il professor Pelizzetti) di avviare una convocazione urgente del Comitato. All'articolo n. 2 del regolamento sul funzionamento del Comitato stesso, sono descritte alcune responsabilità (cito dal testo, poi ve ne lascio una copia): l'articolo n.
2 ha per titolo "Programmazione del sistema universitario" che afferma: "Sono strumenti e modalità della programmazione l'istituzione, la soppressione o la trasformazione di corsi, facoltà o Atenei" e prosegue con "l'espressione di pareri motivati da parte del Comitato regionale di Coordinamento sulle proposte di cui alla lettera precedente". Pertanto fino ad oggi ci siamo sempre espressi sull'istituzione di nuovi corsi di laurea.
Credo che, nel rispetto della normativa (DPR del 27/01/1998, Oscar Luigi Scalfaro) sia opportuno che il Rettore del Politecnico di Torino presenti al Comitato di coordinamento l'istanza di soppressione dei corsi sulle sedi di cui abbiamo discusso questa mattina e si chieda al Comitato l'espressione di un parere sulla materia sia istitutiva di nuovi corsi che soppressiva di corsi vecchi.
In conclusione, rispondendo al Consigliere Pedrale, il Senato Accademico del Politecnico con quella deliberazione (che conosciamo tutti e che ha inteso anticipare i decreti applicativi del Ministero) ha tagliato circa 100.000 ore di formazione; poco più di 45.000 sono state tagliate sulle sedi decentrate e 54.000 sull'Ateneo della sede torinese.
Mi auguro naturalmente che, oltre alla "scure" quantitativa, secondo quanto previsto dal Decreto del 1998, che vi ho citato (di cui vi lascio copia), ci sarà modo di discuterne con il professor Profumo. Nonostante siamo in attesa dei decreti applicativi, ricordo che la materia del decentramento riguarderà anche UniTo e l'Istituto Avogadro (cioè, oggi parliamo di un atto preso dal Politecnico di Torino, ma questa materia riguarda tutti gli Atenei). In quell'occasione, avremo modalità di discutere anche sulla qualità complessiva offerta dall'Ateneo anche nella sua sede centrale.
Diciamo che non posso espungerlo dal verbale, però penso che sarebbe meglio chiudere la Facoltà di Ingegneria del Cinema a Torino e tenere aperti sedi che magari hanno forti collegamenti nella loro offerta in relazione soprattutto agli interessi del sistema economico locale, sia esso il tessile di Biella, il plasturgico di Alessandria (cito esemplificando) o il meccanico vercellese.
Infine, nella decisione del Senato non è contemplato un altro aspetto che imporrà comunque sia all'Amministrazione regionale una riprogrammazione forte di alcune politiche che sono già oggi di propria competenza e che sono le politiche di diritto allo studio. Perché comunque (mi riferisco soltanto alle sedi del Politecnico, perché di questo discutiamo) circa 600.000 euro sono destinati in aiuti allo studio (borse di studio) su Mondovì, Alessandria, Vercelli e Biella; come sapete, inoltre, circa altri 700.000 euro sono per la spesa relativa al mantenimento delle residenze e dei posti letto; circa 200.000 euro sono relativi a spese sostenute dall'Amministrazione regionale per l'erogazione dei pasti nelle residenze universitarie di quelle sedi.
Quindi vi sarà la necessità di affrontare all'interno del Comitato del Coordinamento, con il professor Profumo e non solo con il professor Profumo, tutta una serie di materie già oggi di competenza regionale e che richiederanno una rimodulazione che sarà anche dal punto di vista finanziario.
Esprimendo la mia perplessità nel metodo e nella sostanza con cui è stata decisa quella deliberazione, nell'assoluto rispetto dell'autonomia credo che sarà una delibera che non sortisce gli obiettivi che si pone nel suo spirito, ma contribuirà a ri-alimentare il processo che era stato invertito negli ultimi anni, che è quello - uso una terminologia sanitaria della mobilità passiva degli studenti verso altre sedi.
un ruolo che hanno gli atenei decentrati che - vogliamo dircelo con grande sincerità - va al di là dell'essere sedi di processi di ricerca o di trasferimento tecnologico, magari di punta, ma è un forte ruolo di interazione, di fertilizzazione nel rapporto con il sistema economico locale che rischia di essere fortemente depauperato dalla decisione che è stata presa al Senato e che mi auguro, nel rispetto del decreto, il professor Profumo voglia sottoporre al parere (che non è un parere vincolante, ma è un parere obbligatorio) del Comitato regionale di coordinamento.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Mozione n. 1313 dei Consiglieri Clement, Barassi, Bossuto, Cavallaro Comella, Dalmasso, Deambrogio e Robotti, inerente a "Problema produttivo e occupazionale di Agile (ex Eutelia)" (iscrizione all'o.d.g.)


PRESIDENTE

Colleghi, essendo presente in aula un numero sufficiente di Consiglieri e quindi i 42 voti necessari, possiamo dare per iscritta all'o.d.g. la mozione n. 1313.



(L'Assemblea, tacitamente acconsente all'iscrizione all'o.d.g.)


Argomento: Università

Esame ordine del giorno n. 1298 dei Consiglieri Bizjak, Ronzani, Rostagno Ferraris, Rutallo, Rabino, Muliere, Cattaneo e Comella, inerente a "Chiusura delle sedi decentrate del Politecnico di Torino"; ordine del giorno n. 1299 dei Consiglieri Dutto, Novero e Filiberti, inerente a "Chiusura delle sedi decentrate del Politecnico"; ordine del giorno n. 1312 dei Consiglieri Pedrale, Caramella, Cotto e Monteggia, inerente a "Chiusura della Facoltà di Ingegneria di Vercelli"; ordine del giorno n. 1314 dei Consiglieri Bizjak, Pedrale, Dutto, Auddino, Botta, Cattaneo, Cavallaro Comella, Dalmasso, Filiberti, Giovine, Muliere e Valloggia, inerente a "Chiusura delle sedi decentrate del Politecnico di Torino" (seguito)


PRESIDENTE

Proseguiamo il dibattito relativo agli ordini del giorno che riguardano la chiusura delle sedi decentrate del Politecnico di Torino.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Rostagno; ne ha facoltà.



ROSTAGNO Elio

Il dibattito riguarda tutte le sedi decentrate del Politecnico, ma far particolare riferimento a Mondovì perché è la realtà che conosco meglio.
Anzitutto voglio ringraziare l'Assessore Bairati che, poco più di quindici giorni fa, venne a Mondovì ad incontrare i rappresentanti degli Enti locali, i rappresentanti dei docenti, degli studenti, delle istituzioni; i rappresentanti della Fondazione Cassa Risparmio di Cuneo uno degli enti finanziatori del decentramento. L'Assessore, in quell'occasione, ha portato alcuni elementi di chiarezza.
Voglio ringraziare anche la Presidente Bresso che lo scorso venerdì ha incontrato a Cuneo un gruppo di docenti e studenti del Politecnico di Mondovì. La Presidente ha avviato dei ragionamenti su eventuali accordi con altre Università: per il nord Piemonte con l'Amedeo Avogadro e, per Mondovì, una ricerca di rafforzamento dell'ipotesi di mantenimento su Torino oppure, estrema ratio, l'apertura di un discorso con l'Università di Genova.
Portando queste aperture, ha mantenuto aperta e viva la speranza e il dibattito da parte degli studenti e docenti di Mondovì che si sono sentiti in questa fase, molto penalizzati dalle decisioni assunte dal Senato Accademico, che comportano una riconversione totale anche rispetto a quanto il Rettore Magnifico aveva detto in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico di quest'ultimo corso. L'Assessore Bairati, oggi, ha fatto un'esposizione vasta che ci ha fatto meglio comprendere cos'è cambiato quale ribaltamento totale è avvenuto rispetto alle posizioni del Politecnico a riguardo di quello allora definito decongestionamento degli anni '90.
Riscontriamo che le posizioni assunte dal professor Profumo e dal Senato Accademico siano, da parte nostra, contestabili sia per quanto attiene alla sostanza, al merito, sia per quanto attiene al modo in cui sono state assunte. Abbiamo avuto l'impressione che, troppo spesso, si sia parlato di problematiche da affrontarsi, magari anche con maggiori risorse facendo riferimento indiretto, da parte di qualche collega, alle risorse locali della Regione. In particolare anch'io non condivido la proposta del Consigliere Dutto perché nel dire che, forse, sarebbe sufficiente un impegno maggiore da parte della Regione, si spulcia la vera sostanza dei fatti. Si tratta non solo della questione dei requisiti minimi, ripresa dal Ministro Gelmini, ma piuttosto del fatto che sui decreti applicativi non sono ancora stati pubblicati; piuttosto a dei provvedimenti finanziari che porteranno, nell'arco di alcuni anni, ad un ridimensionamento significativo del 13,1% del fondo finanziamento ordinario.
Che questo provvedimento finanziario, peraltro non preso in considerazione in termini così assoluti dagli altri Rettori Magnifici dell'Università della Lombardia e del Piemonte, possa comportare, visto che si ragiona di 11 milioni di euro, riduzioni significative nel corpo docente, non significa che questo prezzo debba essere pagato dalle sedi decentrate. Ognuno ha ricordato quello che è stato fatto di buono negli anni scorsi sul territorio, anche su stimolo del Senato Accademico e del Rettore Magnifico, per caratterizzare le sedi decentrate, con corsi finalizzati e legati al territorio, quindi con la possibilità di produrre dei laureati con estrema facilità di inserimento nel mondo lavorativo.
Ricordo che il Cuneese, che è una delle terre maggiormente interessate dal problema agro-alimentare, ha visto a Mondovì un corso di meccanica legato espressamente a questo settore che per noi è un settore trainante non solo per il Cuneese, ma per la regione Piemonte. Il tema delle acque della regimentazione dei corsi d'acqua, tema legato alle nostre vallate e alle problematiche che negli anni si sono sistematicamente presentate per il controllo del territorio, è stato oggetto di corso specifico da parte del Politecnico.
Per quanto riguarda il corso di Architettura, è stato un fiorire di tesi di laurea legate al corso che, in particolare, hanno valorizzato le tematiche del territorio e del paesaggio, hanno creato una crescita culturale e un'assunzione di informazione notevolissima da parte di molti Comuni e Enti locali.
I nostri studenti hanno avuto facilità di impiego e molti hanno potuto completare il loro corso di studi, con la laurea - si parla di un 13-14 che non avrebbero potuto completare se avessero dovuto raggiungere il Politecnico a Torino. Si tratta di una realtà che ha portato, per il territorio, una ricaduta culturale e occupazionale importante. Sotto il punto di vista economico è stato, sia dal punto di vista dell'investimento circa 20 milioni di euro in questi lustri - sia dal punto di vista della ricaduta sull'economia della Città di Mondovì, estremamente significativo.
Gli Enti territoriali - Provincia e Comune - e la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo hanno dimostrato la loro disponibilità sottoscrivendo con l'Università degli Studi di Torino, una convenzione che ha facilitato il mantenimento in essere degli altri corsi dell'Università e non ovviamente, quelli del Politecnico (il Politecnico non ha preso sufficientemente in considerazione questa alternativa di opportunità offerta dalla disponibilità, o maggiore impegno, da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e degli Enti locali).
Il non aver considerato questa opportunità è stato un elemento di conferma della questione. Non si è trattato probabilmente di una questione legata solamente ai provvedimenti finanziari, ma anche ad una visione del futuro del Politecnico che ci è stato spiegata, in tempi molto antecedenti a quelli attuali, dal Rettore Magnifico Profumo in Commissione in Consiglio regionale che non vede, come produttivo, l'intervento sul territorio, ma vede come elemento di confronto soltanto il livello nazionale o, meglio ancora, europeo e internazionale.
Noi riteniamo che sia giusto che il Politecnico di Torino si confronti con le principali Università e i principali Politecnici d'Europa, ma che sia altrettanto opportuno che quello che di buono è stato fatto sul territorio non sia sacrificato. È evidente che il sacrificio più grosso, in proporzione, è stato chiesto al territorio; che l'offerta di lezioni con formazione a distanza, ai Centri di servizio, è totalmente insufficiente e inaccettabile. È opportuno che questa ipotesi di rafforzamento di Torino, a scapito del resto del Piemonte, sia rivista.
vergognoso che il Comitato regionale di coordinamento che doveva esprimere un parere, a tuttora non sia stato consultato. I corsi professionalizzanti o il triennio possono essere elemento di discussione ma, secondo noi, ad oggi, è ancora indispensabile difendere il mantenimento dei corsi, così come sono stati impostati presso le sedi decentrate.
In particolare, per quanto riguarda Mondovì, ritengo che l'impegno che negli anni è stato prestato a tutti i livelli non possa essere penalizzato in questo modo perché sia dal punto di vista finanziario, sia dal punto di vista della disponibilità per le collaborazioni a tutto tondo che il territorio ha dato, queste scelte potrebbero essere vissute in termini veramente negativi, come una penalizzazione della periferia a favore di un rafforzamento del capoluogo regionale e, conseguentemente, un ritorno a concetti del passato e non ad un'apertura verso forme di partecipazione agli studi o a qualsiasi altra attività paritetica per tutti gli abitanti della regione Piemonte.
Ritengo che la lotta che i docenti e gli studenti stanno facendo nelle varie sedi staccate sia da sostenere. Ritengo che le proposte avanzate dalla Presidente Bresso e dall'Assessore Bairati, alle quali è bene che l'Università e il Ministero prestino la massima attenzione, siano serie.



PRESIDENTE

Grazie, collega Rostagno.
Ha chiesto la parola il Consigliere Turigliatto; ne ha facoltà.



TURIGLIATTO Mariano

Ci troviamo a discutere di un tema sulla scorta di una presa di posizione un po' improvvida, inopportuna ed anche criticabile, dal punto di vista dello stile, che viene dal Politecnico di Torino e che mette in gioco un po' di anni - sicuramente dieci, forse anche di più - di politica universitaria nella nostra regione.
Ne stiamo discutendo noi Consiglieri, che non facciamo parte dell'Università né dobbiamo occuparci di gestire materialmente e concretamente delle scelte nel dettaglio, perché è doveroso svolgere qualche ragionamento che accompagni l'operato della Giunta in questo ambito, che condivido essere stato fin qui ottimo.
La prima considerazione: mi piacerebbe capire qual è il modello di Università che noi abbiamo in testa; non che ha in testa ciascuno di noi ma che noi complessivamente, come Consiglio regionale del Piemonte, come Giunta regionale del Piemonte, e poi come istituzione universitaria del Piemonte, abbiamo in testa.
Abbiamo in testa un modello reticolare (che è quello verso il quale sembrava che ci si stesse avviando), diffuso, spalmato su tutto il territorio, qualche volta con eccellenza, qualche volta meno, comunque con questa idea? Bene, allora implementiamolo e potenziamolo. Non è un Senato Accademico che può cambiare all'improvviso questo modello, che, semmai, va messo alla prova dei fatti e, se è il caso, va corretto.
Abbiamo in mente, invece, un modello per poli, quello di Grugliasco Grugliasco-Torino, perché comprende anche Torino - che aveva come ispirazione di fondo l'idea di costruire un campus che concentrasse tanti studenti, tanti docenti, tanti laboratori, tanto di Università, in un'area sostanzialmente ridotta, ma dentro la città (quindi non il campus all'americana, come luogo un po' appartato nel quale si studia, si ricerca e si fa poco d'altro, perché non c'è un tessuto produttivo e di relazioni dentro il quale collocare queste attività)? Ritengo che il quesito "quale modello di università?" sia il tema numero uno da affrontare, altrimenti uno difende Cuneo, l'altro difende Biella, rischiando di non cogliere l'aspetto positivo - come ricordava l'Assessore - di questo evento: incominciare a ragionare tutti insieme di politica universitaria, quindi provare a decidere tutti insieme consultandoci e rispettandoci, ciascuno con le proprie prerogative, intorno al quesito "qual è il modello da adottare?".
Oltre ad aspirare ad avere l'Università a Grugliasco, a Cuneo o a Mondovì, dovremmo aspirare a vedere almeno un'Università piemontese posizionata nelle prime 100 migliori Università del mondo.
BURZI Angelo (fuori microfono) Così ambizioso?



TURIGLIATTO Mariano

Ho detto 100, non dieci! Ci sarebbe, poi, il problema della qualità del sistema dell'offerta dal punto di vista della ricerca, delle competenze, dei brevetti, della didattica, ecc., delle nostre Università. Non è un tema di cui si parla dopo, quando abbiamo razionalizzato e tagliato.
Un quadro di questo genere parte da una criticità (soldi, risorse Gelmini sì-Gelmini no), ma anche dalla constatazione che probabilmente quell'eccellenza che noi ricerchiamo e di cui parliamo - io qualche volta probabilmente a sproposito - in qualche modo dovrebbe trovare una sua manifestazione, non voglio dire nel mondo, ma almeno in Europa, tra le aree e tra i poli più importanti d'Europa, dove per altri aspetti la nostra regione è certamente presente, ma relativamente all'Università lo è leggermente meno, al di là dell'eccellenza di alcune Facoltà che brillano più per eventi contingenti che per un discorso di sistema.
Perché ho voluto dire questo, che apparentemente c'entra poco con le decisioni del Senato accademico? Il Senato accademico del Politecnico si è comportato come si comportano generalmente le istituzioni, qualche volta pubbliche e sempre private della nostra regione e del nostro Paese: convinto di essere padrone assoluto in casa propria, decide, indipendentemente dal contesto e dalla rete nella quale l'istituzione è inserita. È inserita, perché riceve dei soldi, ne ha ricevuti tanti e ne riceverà, ed è giusto che ne riceva di più se l'offerta, il prodotto e il riscontro sono importanti, ma questo avviene come se non ci fosse il resto del mondo.
Noi non dobbiamo commettere lo stesso errore. Non dobbiamo comportarci come coloro che, qualche volta, governano all'insaputa degli altri, quasi contro gli altri, e qualche altra volta difendono, piantando le bandierine ciò che altri, arrogandosi un potere che è loro riconosciuto, ma che è inopportuno che venga esercitato in questo modo, decidono.
In sintesi, ritengo che occorra esprimere - come si sta facendo appoggio all'operato della Giunta, ma si debba dire con chiarezza, anche noi, come organo politico di massima espressione della politica della nostra Regione, che vogliamo l'istituzione di una sede vera (non parlo delle Commissioni, perché ci sono già), intorno alla quale ragionare una volta per tutte sul sistema dell'Università, inclusi i Politecnici, della nostra regione.
Occorre discutere sui modelli, sui sistemi, sui contenuti, sulle particolarità, per cercare di capire, in un piano di riorganizzazione, qual è il compito che ciascuna delle eventuali sedi decentrate dovrebbe avere.
Non dobbiamo permettere, come mi pare giustamente si stia facendo, che le improvvisazioni o le fughe in avanti, dell'uno o dell'altro, determinino condizioni di disagio e di impoverimento complessivo della qualità del sistema universitario nel nostro paese.
Non dobbiamo neanche fare l'errore di sostenere che, difendendo quello che c'è, facciamo un buon servizio per il Piemonte, perché, se fosse così qualcuna delle nostre Università sarebbe tra le prime 100 (ho detto 100, ma se volete posso anche dire 200) migliori Università. Magari avremmo altre difficoltà, ma non certamente quella di doverci porre il problema di quale sia il concorso di un'istituzione così importante nello sviluppo e nel progresso complessivo della nostra regione.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Turigliatto.
Colleghi, ci sono alcuni interventi dei Consiglieri dell'opposizione li alternerei con quelli della maggioranza, senza rispettare l'ordine di prenotazione, come solitamente si fa.
Ha chiesto la parola il Consigliere Segretari Botta in qualità di Consigliere; ne ha facoltà.



BOTTA Marco

Grazie, Presidente.
Assessore, il problema è innanzitutto quello di non cadere nel dubbio della battaglia torinocentrica o localista, perché una delle prime riflessioni che si possono fare, rispetto a questa situazione, è che si tratti di un altro esempio del "torinocentrismo" delle istituzioni torinesi.
Tra l'altro, il Rettore Profumo le definisce "scelte con cui si dà un grande segnale al Paese"; bisognerebbe chiedere al Rettore Profumo cosa intende per "grande segnale al Paese".
Il problema è di non giocare, come potrebbe apparire dal dibattito, ai politici locali che difendono le proprie zone, i propri territori, di fronte ai politici più centralisti o le istituzioni più centraliste che invece, si muovono in maniera - a mio avviso - spregiudicata.
Se limitassimo il dibattito a questo sentimento, forse non sarebbe un dibattito serio, un dibattito che possa dare delle prospettive ad un'istituzione importante come il Politecnico, sia nella sua sede centrale sia nelle sedi decentrate.
innegabile che alla costruzione delle sedi decentrate del Politecnico hanno contribuito tutte le istituzioni locali. Noi tutti disponiamo dei dati degli investimenti fatti dai Comuni capoluogo: Alessandria più di un milione di euro, 800 mila euro all'anno al consorzio per il Politecnico 500 mila euro per la facoltà delle plastiche per il proplast; la Provincia di Alessandria, quattro milioni di euro in questi anni, la Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria alcuni milioni di euro nel sostenere i progetti universitari. Ma a fronte di questo poi c'è da chiedersi anche perché c'è questa dicotomia di attenzione: da una parte il Politecnico dice "chiuderemo la didattica", dall'altra parte "manterremo la ricerca".
C'è da chiedersi quindi se la ricerca rende e rende alle istituzioni e al Politecnico in termini proprio di denari, mentre la didattica probabilmente che è cosa più complessa, più difficile e più faticosa, non rende e quindi è giusto sostanzialmente liberarsene.
Qui, a mio avviso, sta il vero senso del problema. Sono d'accordo con molte cose dette dal collega Turigliatto. Noi abbiamo assunto un impegno alcuni anni fa di creare un Piemonte con un sistema universitario a rete rompendo anche una volontà di mantenere un certo centralismo torinese già con l'Università del Piemonte orientale. Se ricordate, gli sforzi che furono fatti allora per dare l'autonomia universitaria a Novara, Vercelli e Alessandria, che sono stati sforzi importanti, non sono stati accompagnati da una volontà da parte di Torino di facilitare questa strada.
Ricordo i politici di allora accusati anche di essere difensori del localismo, che hanno dovuto andare a Roma a parlare con l'allora Ministro Berlinguer ed ottenere questi risultati. Perché di risultati si tratta.
Il Consigliere Turigliatto diceva che non abbiamo università italiane nelle prime 100 al mondo. Devo dire che l'Università del Piemonte orientale è data, da chi fa le ricerche con i criteri del piazzamento delle università, come una delle migliori università italiane: quindicesima a livello delle 60 università italiane, mentre l'Università di Torino è venticinquesima.
Quindi, evidentemente quell'esperimento di università nuova che è stata creato anche con l'aiuto e con la volontà delle istituzioni locali, è stato un esperimento positivo, non fosse altro perché ha dato la possibilità a molti ragazzi di laurearsi, se è vero come è vero che all'Università del Piemonte orientale l'80% dei ragazzi laureati provengono da famiglie in cui nessuno dei due genitori è laureato. E non è un fatto da poco, perché la domanda che dobbiamo farci è: ma cosa serve l'università in realtà? A che cosa serve la didattica universitaria? Perché non vale la pena organizzare convegni e dibattiti, dicendo che il nostro Paese, che ha bisogno di essere modernizzato, deve puntare sulla crescita anche della conoscenza soprattutto della conoscenza tecnica, che abbiamo bisogno di una disseminazione di conoscenza molto vasta, se poi assumiamo delle decisioni contrarie a queste premesse.
Devo dire che questa decisione del professor Profumo e del Senato Accademico mi vede contrario, perché rompe un'ipotesi di lavoro che, almeno da 10-15 anni, a livello territoriale era stato portato avanti un po' da tutti, da qualcuno con una maggiore efficienza, da qualcun altro con una minore efficienza. Ad esempio, nelle sedi distaccate del Politecnico di Alessandria, in termini di crediti formativi universitari, le spese per i crediti universitari sono del 25% più bassi di quelli torinesi e del 35 più basse di tutte le altre sedi distaccate. Quindi, si può ancora fare efficienza e quindi ottenere dei risparmi di spesa, ma il vero punto che è quello della disseminazione della conoscenza, che è un segnale forte anche per la crescita e la modernizzazione del nostro Paese e per la crescita democratica del nostro Paese, ma con operazioni come quelle fatte dal Rettore del Politecnico, evidentemente va a farsi benedire.
Se da una parte vogliamo mantenere la ricerca che costa ed incassa vogliamo chiudere la didattica che costa, ma non incassa molto, nel senso che può incassare nel lungo periodo perché fa crescere un popolo, un territorio, le capacità di affrontare il futuro, dobbiamo anche a livello regionale fare un ragionamento. La Regione non è un ente ininfluente rispetto alle dinamiche e alle scelte del Politecnico.
Se noi credessimo che il Politecnico potesse muoversi, nel rispetto della sua autonomia, indipendentemente da qualsiasi altro attore che con lui agisce sul territorio, diremmo che in questi anni non abbiamo costruito niente.
La Regione è un grosso contributore del Politecnico in termini di risorse, un grandissimo contributore. Quindi, la Regione faccia sentire al Politecnico la sua voce in maniera forte, cercando di preservare quel progetto portato avanti in questi dieci anni e che ha dato anche risultati.
Esistono delle possibilità alternative; ho citato l'esempio dell'Università tripolare, perché quello potrebbe essere un nuovo progetto.
Certo, ma un progetto faticoso e difficile, perché costruire un nuovo Politecnico che non sia quello di Torino, ma agganciato ad altri Politecnici e con una sua realtà autonoma o parzialmente autonoma, diventa un progetto difficile..
I numeri illustrati dall'Assessore Bairati rispetto agli allievi delle sedi distaccate dei Politecnici, fanno capire come questa disseminazione di conoscenza abbia ormai raggiunto dei livelli e dei numeri così consistenti che non possiamo permettere di spostare queste conoscenze su Milano e su Genova, perché solo parzialmente verrebbero accentrate su Torino.
Se noi abbiamo anche un sentimento sociale, cioè se noi vogliamo cercare di poter avvicinare questi studi tecnici superiori e specialistici alla gente, lo strumento delle sedi distaccate è quello che ha dato i migliori risultati.
Quindi, la preghiera e la volontà sono quelle di far sì che la Giunta compia tutta le azioni, perché su questa decisione si possa ancora tornare ma che il Consiglio dica una parola chiara, anche sulla contrarietà a questa decisione, ponendo in grande rilievo il ruolo di rapporto e di collaborazione e anche di contribuzione di risorse che la Regione dà al Politecnico; Regione che quindi chiede di essere ascoltata come un attore privilegiato anche nelle scelte di questa istituzione.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Dalmasso; ne ha facoltà.



DALMASSO Sergio

ovviamente preoccupante la chiusura delle quattro sedi decentrate del Politecnico: Vercelli, Alessandria, Mondovì e Biella. Vi è un depauperamento di questi territori; vengono vanificati investimenti degli Enti locali (e non solo), cancellate o, comunque, messe in forse speranze e prospettive di molti studenti e studentesse. È un problema complessivo ogni sede ha la propria specificità: ingegneria dell'acqua per Mondovì, i materiali e la plastica per Alessandria, il tessile per Biella; il Consigliere Bizjak può ricordare che a Vercelli esiste il corso intero e così via.
Il quadro complessivo, però, è quello di un taglio profondo alle spese per l'università: quest'anno siamo al 9%. I dati forniti dall'Assessore, in termini di milioni di euro, per le singole sedi sono profondamente preoccupanti, e vi è una circolare ministeriale non ancora applicata concretamente (mancano ancora i decreti attuativi) che però fissa, di fatto, un numero massimo di ore e crea, quindi, un rapporto difficile tra la facoltà madre - Torino - e le facoltà "periferiche".
Si lega - mi sembra - anche a quando succede in campi similari: al momento è assente il collega Leo, ma gli ricorderei volentieri quanto detto da un Ministro importante di questo Governo sui teatri lirici e sul cinema: in ambedue i casi, invitava Sandro - familiarmente il Ministero Bondi - a tagliare i fondi. In uno dei due casi ha usato un termine che dovrebbe almeno far accapponare la pelle: mi riferisco al termine "culturame", che ricorda periodi non propriamente positivi.
Oltre a questo, nei giorni in cui il Ministro Tremonti si ergeva come unico difensore di precari e precarie, come unico difensore del posto fisso, lodandolo come certezza di vita e quant'altro, i provvedimenti presi sulla scuola - continuo a credere che sia un problema unico, dall'asilo o dalla scuola materna fino alle scuole medie superiori - prevedevano un taglio di 50.000 posti di lavoro ogni anno per i prossimi tre anni: altro che posto fisso! Si parla di 150.000 precari in più, le cui condizioni di vita e di lavoro diventeranno difficili, se non impossibili.
Tutto questo anche all'interno di un progetto ambizioso di riforma dell'università che ha, però, nell'ultimissimo paragrafo, il suo punto centrale. Recita testualmente: "Dall'attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica". Accanto a questo - cioè riformiamo, ma stiamo attenti a non spendere, anzi tagliamo - sul piano di sistema di governo degli atenei si riproduce un modello gerarchico e centralistico: sono ridimensionati gli organismi elettivi; il potere è concentrato su poche figure.
Quello che a noi spaventa particolarmente è che il Consiglio di Amministrazione degli atenei, come quelli delle scuole di ogni ordine e grado, saranno sempre più coperti da figure del mondo imprenditoriale esattamente il 40% per l'università - a dimostrazione di una vocazione aziendalistica della scuola e della cultura che preoccupa e che cancella o depaupera quella che dovrebbe essere la funzione dell'istruzione complessivamente intesa.
Gli indirizzi scientifici e le linee di sviluppo dell'università diventano sempre più legate agli interessi privati, a parere nostro senza un disegno strategico. La situazione degli ultimi anni non era magnifica (anzi!), ma stiamo vivendo un peggioramento o un depauperamento progressivi.
A proposito di precari, si crea una nuova categoria di precari: il ruolo di ricercatore viene messo ad esaurimento. I concorsi sono stati bloccati per anni e lo sono tuttora. Aleggia tristemente e spaventosamente l'ipotesi, accarezzata da lungo tempo dalle destre, della abolizione del valore legale del titolo di studio, che sarebbe una nuova concessione puramente ad un mercato, le cui mirabilie vediamo ogni giorno e la cancellazione di alcune sicurezze elementari.
Questa legge, quindi, è la conseguenza di una logica di tagli. Ricordo che nel 1995 le risorse universitarie erano private per 17%; dieci anni dopo, nel 2005, lo erano per il 30%. Oggi sono maggiori.
Qualcuno lo vedrà come un fatto positivo, come legame fra scuola e mondo produttivo. A noi, evidentemente, tutto questo preoccupa profondamente.
Tornando al tema specifico, credo che il decentramento - l'Assessore ha usato il termine "decongestionamento" - sia (o sia stato) un fatto utile.
Sono interessanti le osservazioni che il Consigliere Turigliatto faceva sulla discussione circa il modello: rete o polo? Ci si è districati tra un modello anglosassone dei college, con piccole aree all'interno delle quali studenti ed insegnanti vivono e lavorano, e una valutazione a rete, in cui le università erano semplici aule dove gli studenti ascoltavano le lezioni e uscivano senza avere strutture e servizi di altro tipo.
Continuo a credere - l'ho sempre sostenuto anche in passato, nei piccoli ruoli amministrativi ricoperti - che sia stato molto spesso eccessivo, cioè che la somma di alcune spinte politiche locali abbia, in alcuni casi, prevalso o superato un disegno organico e programmatorio. Come alcuni sanno, sono demodé e uso ancora questo termine, che, evidentemente è purtroppo fuori moda. Credo che ne stiamo vedendo tutti i risultati.
Sugli ordini del giorno pongo due questioni elementari: la prima riguarda l'intervento del Consigliere Bizjak, che ho apprezzato, nel quale riscontro un passaggio: "Per la Provincia di Vercelli" - dice il Consigliere - "le compensazioni per il nucleare, che in Vercelli ha un primato nazionale, se non internazionale) dovrebbero servire o essere investite su questa facoltà".
Ricordiamo, come Gruppo, che le compensazioni sono finalizzate su temi ambientali, sulla salute o sulla epidemiologia. Se si sgarra anche per una questione così importante e fondamentale sulla finalizzazione, si corre il pericolo che in futuro queste cose possano essere utilizzate a pioggia per questo o per quell'altro progetto, ancora una volta senza un disegno preciso.
La seconda questione riguarda il passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni - sarà uno dei temi del prossimo Consiglio regionale - a partire dal maggio prossimo.
Stiamo attenti che questo tocca, in primo luogo, l'insufficienza dei fondi; in secondo luogo, ancora una volta, un discorso di omogeneità della scuola, dell'istruzione, della formazione, della cultura e del sapere, che in questo caso potrebbe essere assolutamente cancellato o comunque essere messo in "forse".
Terza e ultima questione: sarebbe utile che gli ordini del giorno, pur venendo da parti differenti ed esprimendo, in alcuni casi, anche esigenze differenti, possano essere riuniti in un ordine del giorno unico. Mi sembra che essi abbiano principi e finalità che, smussando alcuni angoli (due ho cercato di esplicitarli ora), potrebbero assolutamente divenire un ordine del giorno unico, votato da questo Consiglio.



PRESIDENTE

Grazie, collega Dalmasso.
Ha chiesto la parola il Consigliere Burzi; ne ha facoltà.



BURZI Angelo

Grazie, Presidente.
Devo dire che la voglia di rinunciare all'intervento è forte, ma forse perché sono anche e soprattutto un ingegnere, mi sembrerebbe di rinunciare ad un tema che invece credo che non lo permetta.
Talora capita, quando non si è particolarmente preparati su un tema che basti ascoltare gli interventi degli altri per dedurre quale sia la posizione più semplice o più politicamente corretta. Credo che si possa fare anche oggi, se però si sta attenti e se si ricorda che buona parte dei colleghi, nessuno spero me ne vorrà, a partire da me, siamo tutti dei "consiglieri provinciali" che poi per un errore di legge, cui evidentemente non intendiamo ovviare, ciascuno di noi parla in rappresentanza - sia a proposito, che talora a sproposito - delle collettività che esprimono.
Noi abbiamo anche inventato (non soltanto noi del PdL, perché mi pare che queste sottospecie si stiano sviluppando anche nell'ambito del centrosinistra) anche le "sottoprovince". Per esempio, è evidente che se qualcuno cita Alessandria, so benissimo che da parte nostra ci si senta debitamente investiti ad intervenire e in genere lo si fa, ma un tempo bastava citare Cuneo, ma adesso Cuneo non è più sufficiente, perché per esempio, se non si cita Alba un paio di colleghi non si sentono, a nessun titolo, coinvolti nell'argomento.
Ma questo attiene alla legge elettorale e però, poi, non si deve dimenticare il fatto che la legge elettorale che ci esprime - parlo di quelli eletti dal proporzionale, per essere chiari - non dovrebbe impedire anche se mi pare più che normale che questo avvenga - di ricordarci che siamo in un'Aula legislativa (si fa per dire) regionale (si fa molto per dire) in un Consiglio regionale che, fortunatamente, per questa regione è scadente, nel senso che sta per scadere.



(Commenti in aula)



BURZI Angelo

In scadenza. Scusi, in scadenza o scadente che sia, credo che in italiano"scadente" significhi che sta per scadere e non me ne vorrà nessuno dei colleghi, a partire dal sottoscritto, che farà estremamente fatica a ritornare e non è detto che ce la faccia (anche se farò di tutto perch questo avvenga). L'auspicio è che il prossimo Consiglio regionale sia, ove possibile, non peggiore di quello in cui stiamo vivendo questi ultimi mesi.
Questa è la premessa.
Questo spiega perché è difficile comprendere gli interventi che si sono succeduti, tranne uno che ho trovato particolarmente divertente, quello del Consigliere Rostagno.
Quando frequentavo il Politecnico, era pieno di gente non nata e non residente a Torino, che credo facesse una fatica non piccola in termini di famiglia, di persone: le residenze universitarie allora erano decisamente meno accoglienti di quanto siano oggi; la città di allora era decisamente meno aperta, ammettendo che oggi lo sia, di quanto lo sia oggi. Torino non è mai stata una città particolarmente aperta come sanno i nostri amici romeni o albanesi, ma dobbiamo chiederci perché coloro che arrivavano dal Sud venivano qua. Venivano qua perché il Politecnico di Torino di allora era una garanzia e lo era davvero. Facendo molta fatica, perché all'epoca il percorso era fortemente selettivo: le Università non erano orientate alla "produzione", perché non erano misurate su questo, giusto o sbagliato che fosse. Il titolo di studio che si otteneva al Politecnico di Torino era, nell'ambito dell'ingegneria, certamente il più importante nell'ambito di questo territorio. Non so quali fossero le classifiche di allora, ma certamente il Politecnico di allora, con il Rettore Buzzano, era meglio posizionato nelle classifiche europee più di quanto sia oggi, ancorché non mi ricordi le classifiche di allora: facevo già molta fatica ad uscire vivo dai corsi di allora, che non avevo tempo di occuparmi di altro.
Allora, se stessimo parlando di Atenei saprei che cosa dire, molto più di quanto non sia in grado di fare nell'ambito del Politecnico, perché non sarei contrario al fatto che i Rettori dovessero occuparsi anche dei bilanci degli Atenei che dirigono. Perché il Rettorato non è una funzione qualunque, ma è una funzione complessiva di grande rilevanza culturale e strategica, perché nell'ambito dell'Università un tempo si faceva la ricerca (dico un tempo, perché oggi, tranne in rare e non comuni occasioni non si fa più), ma tra l'altro ha anche il compito di far quadrare i conti.
O dovrebbe averlo: chiunque si occupi di Università - non parlo dei Politecnici - sa benissimo o se non lo sa, basta che legga le statistiche che su internet sono abbondanti, che alcuni Atenei italiani sono tecnicamente già falliti, proprio nel senso etimologico del termine, tanto è vero che alcuni sono commissariati e altri sono sul limite inferiore del commissariamento, perché il loro sistema di entrate e di uscite è (non è questa la sede per fare delle analisi, anche perché stiamo parlando di Politecnico) ampiamente deficitario.
Non so dire come stia il Senato Accademico. So però alcune cose, so che c'è stato un tempo in cui il Politecnico di Torino era iper-richiesto nell'ambito di coloro che lo volevano frequentare. Non credo che si tratti di tornare tanto in là nel tempo, per ricordarci tutte le tematiche del raddoppio del Politecnico di Torino e tutte le polemiche che attorno al raddoppio ci furono e ci sono state.
Il decentramento delle Università di per sé stesso non significa assolutamente niente, né in senso positivo né in senso negativo.
Mi fa sorridere quanto ha detto il Consigliere Dalmasso che si entusiasma (d'altronde, dato il partito a cui appartiene, posso ben capire che non abbia particolari motivi di buon umore), ma il Ministro Tremonti ha detto una cosa di un'ovvietà assoluta, anche se ogni tanto ne dice di più intelligenti: ha detto che un posto fisso è meglio di uno precario e questo ha suscitato un'enormità di valanghe e di commenti, ma se l'avesse detto durante una trasmissione di Arbore, tutti avrebbero sorriso, perch all'epoca in quelle trasmissioni si facevano delle battute decisamente più impegnative, come pure credo che chiunque potrebbe facilmente convenire che un posto precario è meglio di niente, da cui il noto proverbio piemontese: "Piutost che nient, mej piutost". Questo non vorrei doverlo tradurre a tutti, tranne agli amici della Lega, che con molta preoccupazione vedevo conferire con la Presidente Bresso e questi dialoghi non so mai che razza di esiti possano avere.
Allora, la questione non è decentramento sì o decentramento no. Ci sono dei decentramenti che funzionano benissimo e ci sono dei decentramenti che sono stati, o immagino possano essere, critici o criticati.
Credo che si tratti di definire le posizioni. Perché vedete: o voi attaccate il professor Profumo semplicemente perché siete arrivati finalmente a conoscenza che è iscritto al PdL e che sarà il nostro prossimo candidato al Sindaco, e allora la mettiamo in politica e non c'è problema.
Perché se dobbiamo schierarci in funzione delle squadre, è noto che io sono un fazioso; mi dispiace per i colleghi di Alessandria e di Vercelli, anche se comprendo che siano intervenuti, ma quando c'è una parte politica, io mi schiero sempre dalla parte mia.
Ma se non la mettiamo in politica, e l'ultima volta che c'è stato un Rettore al Politecnico non particolarmente disponibile nei riguardi del centrosinistra facevo ancora le scuole medie, perché noi del centrodestra di università, che sia ben chiaro, non ci occupiamo mai, perché si sa che noi e la cultura siamo per loro natura intrinseca e eterogenea, non vorrete mica darmi da pensare che per la prima volta in questa legislatura abbia ragione l'Assessore Bairati? Ritengo che sia praticamente impossibile! Siccome, però, sono per i fatti concludenti, farei la cosa più semplice, al di là di coloro che difendono Alessandria, perché vivono lì Vercelli, perché vivono là, Cuneo... Mi rammarica il problema che mancano le barche per traghettare gli studenti da Cuneo a Torino: questo è un dramma di cui poi vorrei che la Provincia di Cuneo seriamente si occupasse perché trovo inaccettabile il fatto che a Cuneo non ci siano ingegneri perché non riescono ad arrivare a Torino. Ci sono dei drammi che capisco possano suscitare delle crisi psicologiche non semplici da superare in giovane età.
Credo che per quanto mi riguardi, vorrei sentire il Rettore Profumo.
Perché io non l'ho sentito, quindi si voglia chiedere, per cortesia (se devo scrivere lo scrivo), ma senza convocarlo in VI Commissione, a me va bene domani ai Capigruppo, anzi, quando il Rettore - che immagino abbia un'agenda molto impegnativa come mi auguro abbiano tutti i Rettori di tutti i Politecnici d'Italia - avesse voglia di venirci a raccontare in sede di Commissione - non nelle fatiscenti Commissioni di cui fa parte l'Assessore che, francamente, non mi interessano perché anche queste sono scadenti, nel senso che stanno per scadere...



PRESIDENTE

Consigliere, non c'è una Commissione fatiscente.



BURZI Angelo

Sono tutte scadenti, si fidi.



PRESIDENTE

Se si tratta di scadenza temporale, sì.



BURZI Angelo

Se vuole, Presidente, le motivo anche quelle che sono scadenti nel merito, ma io intendevo scadenti nel senso temporale. Mentre altre sono anche fatiscenti.
Si inviti, per cortesia, il Rettore Profumo, e coloro che vogliono accompagnarlo nell'ambito della sua gestione amministrativa - non è detto che il Rettore sia preparato su tutti i temi - in sede di Conferenza dei Capigruppo, in sede di VI Commissione, in I Commissione, o in sede di Consiglio regionale aperto, perché il tema dell'Università è un tema strategico ed escludo che si debba affrontare per confronto fra parti politiche di luogo. È solo nel 1536 o 1537 - non ricordo, ma so che il Consigliere Dalmasso controllerà - in cui Mondovì e Torino fecero una guerra per l'Università, ma all'epoca l'Università era un centro di potere vero e venivano da tutte le parti del mondo per frequentare l'Università del Piemonte. In questa città venivano Erasmo da Rotterdam e Nietszsche: non succede più da un sacco di tempo. Come ha detto il Consigliere Turigliatto, non siamo più neanche nelle classifiche.
Veniamo, quindi, a parlare dei temi che hanno indotto il Rettore Profumo a prendere le decisioni che ha preso, credo che sia necessario sentirlo e poi ci mettiamo di nuovo nelle curve come allo stadio per gridare "Forza Toro o "Viva Juve".



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Comella; ne ha facoltà.



COMELLA Piergiorgio

Con un po' di disappunto da parte del Consigliere Burzi che prima ha fissato gli intendimenti e le motivazioni dei vercellesi, così come dei cuneesi, credo che non gli darò ragione per considerarmi un'eccezione.
Vorrei unire anche la mia voce a quello di altri soggetti, ma facendo una premessa.
Tra tutti gli interventi che ho sentito, quello del Consigliere Turigliatto è senz'altro quello più stimolante. Non a caso era al centro di tutta una serie di discussioni che, nella prima metà degli anni '90, aveva coinvolto tutti gli organismi. Cioè quale struttura dare alla situazione accademica piemontese? Cioè la centralizzazione, ovvero il sistema reticolare, a gangli di rete e tutta una serie di altre cose. Entrando nel merito di eventuali esigenze, da una lato, della popolazione che mandava i figli a scuola e, dall'altro, dell'esigenza che poteva avere l'apparato economico complessivo e quello culturale del Piemonte da una situazione di Università organizzata in un modo oppure nell'altro.
Ritornando alla vicenda di attualità, è chiaro che alcuni elementi emergono con una certa forza e sono anche non facili da comprendere. Per quale ragione il Senato Accademico ha preso questa decisione e con questa determinazione nonostante l'assenza di decreti attuativi, comunque, di un decreto del Ministro Gelmini? Seconda questione. Tale decisione è stata presa con un criterio di uniformità che non ha neanche tentato di analizzare tutti i centri che finivano per essere chiusi o, comunque, sconvolti o stravolti da altre indicazioni esistenti che facevano, comunque, capo al Politecnico di Torino (il Consigliere Bizjak aveva citato la Valle d'Aosta, ad esempio). Porre sullo stesso livello un corso con otto allievi rispetto ad una Facoltà perché Vercelli è una Facoltà, così come altre, con quasi un migliaio di allievi, a mio giudizio, rappresenta una scorciatoia che, francamente lascia perplessi su quella che mi pare si possa giudicare una sveltezza eccessiva nel prendere le decisioni da parte del Senato Accademico.
Terza questione, la procedura. Dirò in seguito quello che sono riuscito a capire dall'intervento del Rettore Profumo all'assemblea di Vercelli.
necessario tagliare per un fatto anche di carattere finanziario e gestionale, cioè un'operazione di riassetto di impresa che starebbe alla base dell'intera operazione. Qui il criterio di procedura è stato quello di entrare nel merito esclusivamente delle aree periferiche, ponendo, con questo, effettivamente, degli elementi di crisi per la frequenza al Politecnico di soggetti che abitano in zone distanti da Torino. Invece, con la situazione attuale, il numero di persone che frequentava il Politecnico era aumentata. Consentire l'accesso a tutti, a me pare dovrebbe essere un elemento di cui il Politecnico si dovrebbe preoccupare, ma in questo caso pare proprio che questo non sia avvenuto.
Quarta questione. La situazione reale dei vari territori, quindi come e dove la presenza di un Politecnico con determinate Facoltà può diventare un elemento utile e interessante per spingere e consentire fasi di sviluppo delle economie locali.
Credo che la situazione di Vercelli, in questo caso, sia una di quelle che richiede, più che altre zone, la presenza di risorse che, per forza di cose, devono far parte di una decisione a livello complessivo regionale.
Dai dati in nostro possesso, la situazione vercellese consente di poter dire che quasi tutti coloro che hanno frequentato il Politecnico e hanno conseguito la laurea in ingegneria, sono riusciti a trovare un'occupazione.
Inoltre, la presenza del Politecnico diventa un fatto essenziale soprattutto rispetto alle ultime decisioni che la Regione ha preso circa la nascita dei poli tecnologici di ricerca, dei poli che riguardano la ricerca su fronti energetici ed altro.
Per quanto riguarda le questioni declamate nell'assemblea vercellese da parte del Rettore Profumo, quelle che mi paiono di maggior rilievo sono dicevo precedentemente, quelle di carattere finanziario. Sono stati due gli elementi più rimarcati. Il primo è la sottrazione di finanze da parte dello Stato all'Istituto Accademico pari al 9% all'anno. Partito dall'anno scorso, continua quest'anno e sarà riprodotto l'anno prossimo. Una pesante sottrazione finanziaria.
Il secondo elemento rimarcato è un aumento contrattuale degli emolumenti dati al personale docente che il Rettore Profumo ha sintetizzato nella misura del 10% di aumento del costo del lavoro. Senz'altro degli argomenti che hanno un peso e che, in qualche modo, ha fatto bene il Rettore a mettere in chiaro di fronte all'assemblea.
Tuttavia, se noi restringiamo il problema intorno a questo dato, non mi pare che ci siano condizioni tali che possano portare a tale conclusione.
Proviamo ad esaminare qual è la situazione, anche a livello locale, e quali sono le disponibilità verificabili a livello locale. Dico questo non perch bisogna assumere adesso delle misure di assoluta straordinarietà, ma perch è un dato normale.
Se esiste il Politecnico a Vercelli, è perché c'è stata una confluenza di iniziative - pubbliche e private - che hanno convogliato risorse finanziarie per mantenere in piedi il Politecnico. Se questo non ci fosse stato, molto probabilmente la sede centrale del Politecnico di Torino si sarebbe trovata di fronte a delle difficoltà insormontabili.
Questa è la situazione per prassi ordinaria, fino a questo momento.
Affrontare in questa fase il ragionamento dell'utilizzo possibile dei fondi provenienti dalla ex legge 368, fondi stanziati per compensazione sull'esistenza dei depositi nucleari, a me non pare affatto un meccanismo che si contraddica rispetto alla prassi utilizzata finora. Non mi pare neanche che questo si contraddica rispetto agli indirizzi di destinazione dei soldi previsti per compensare il nucleare.
Sarebbe una contraddizione se si consentisse, a Provincia e Comuni interessati, di costruire le circonvallazioni cittadine con questi soldi, o di realizzare altre opere di carattere urbanistico interno, che hanno il solo scopo di infiorare elettoralmente gli attuali amministratori.
Un indirizzo che consenta di mantenere in piedi il Politecnico, per quanto riguarda la sezione di Ingegneria, magari ripristinando anche l'indirizzo energetico che fino a sei anni fa la Facoltà di Ingegneria aveva, in un territorio che è in grado di produrre tredici volte tanto la corrente elettrica che consuma e che è stato individuato come un polo di ricerca, anche in campo energetico, sulle energie alternative e rinnovabili: credo che questo sarebbe un ottimo modo per spendere il denaro che viene dal nucleare, senz'altro migliore di molti altri che hanno in mente gli amministratori.
Mi pare - in questo mi associo al collega Bizjak - che si possa anche provare, in ultima analisi - riconoscibilissima come difficile e complessa e che si trascinerebbe molti elementi di ricaduta al seguito, ma tuttavia valida - a ragionare con il Rettore dell'Università per cui, al limite, se la Facoltà di Ingegneria non è più reggibile, perché abbiamo esplorato tutti i percorsi possibili per l'altro fronte, da parte del Politecnico verificare se l'Università può reggere ugualmente una Facoltà che giudico per Vercelli essere talmente preziosa da considerare irrinunciabile.
Grazie.



CHIEPPA VINCENZO



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Comella.
Ha chiesto la parola il Consigliere Giovine; ne ha facoltà.



GIOVINE Michele

Grazie, Presidente.
Vedo con piacere che il tema è assolutamente dibattuto e interessa l'Aula. Peraltro ho testé scoperto che il collega Placido interverrà dopo di me; mi onorifica particolarmente poter precedere il suo dotto e sicuramente ben documentato intervento.
Ci sono alcuni aspetti di questa vicenda che sicuramente lasciano un po' sconcertati. Voglio partire da alcune critiche, di natura comportamentale e politica, all'atteggiamento adottato finora dal Rettore Profumo, senza per questo voler entrare immediatamente nel merito.
Ho letto alcune interviste sui giornali (una particolarmente importante, su La Stampa), in cui il Rettore Profumo ci criticava, e fondamentalmente criticava la politica - in questo caso l'azione compiuta dalla Presidente Bresso e dall'Assessore Bairati - di critica verso la scelta adottata dal Senato Accademico. Il Rettore ha usato toni che secondo me vanno al di là del lecito e dell'ammissibile, perché - colleghi - se noi in questa sede, come Consiglio regionale, ma in qualunque altra sede facciamo politica e ci occupiamo dell'università, ma non ce ne possiamo occupare liberamente, non possiamo esprimere liberamente quello che pensiamo e crediamo sia utile allo sviluppo del nostro territorio, ma allora perché stiamo in Consiglio regionale, perché facciamo politica? Questa è una delle critiche che il Rettore Profumo ha lanciato contro la politica, dicendo che c'è stata un'eccessiva ingerenza. Ma come c'è stata un'eccessiva ingerenza? L'Università, il Politecnico, vive di soldi pubblici, di contributi pubblici; non mi risulta - poi può darsi che mi sbagli - che il Politecnico sia una S.p.A., sia un'Università privata, come le famose e prestigiose Università degli Stati Uniti, dove sicuramente l'autonomia finanziaria che queste hanno, permette una maggiore libertà e una maggiore decisione politica e organizzativa.
Quando le Università come quelle italiane, come sicuramente il Politecnico di Torino, vivono esclusivamente, o meglio, quasi esclusivamente di soldi pubblici, ebbene - signori - è evidente che la politica deve pronunciare una parola importante, che deve essere ascoltata da chi gestisce l'Università ed ha un ruolo di comando in quel momento perché l'utente finale è il cittadino piemontese, che deve ricevere un servizio, oltre che nel campo della sanità o dei servizi sociali, anche in quello dell'istruzione. L'Università è lo strumento per dare quel servizio al cittadino.
Nel merito, non posso trovare completamente irragionevoli le problematiche sollevate del Rettore Profumo, perché è indubbio che, se ci sono esigenze di bilancio che non sono più supportate dall'attuale conto economico e dalle previsioni di sviluppo dell'Università nei prossimi anni un governo dell'Università responsabile deve prendere dei provvedimenti.
L'Università di Torino, il Politecnico - chiedo venia ai colleghi, ma quando dico Università intendo riferirmi al Politecnico - costa alla città di Torino circa 38 milioni di euro; la somma delle sedi decentrate costa sui 16 milioni di euro. Il rapporto cittadini-utenti torinesi rispetto ai cittadini-utenti delle sedi decentrate è completamente impari. Noi ne siamo perfettamente consapevoli; sappiamo perfettamente che l'istruzione di un iscritto, non solo di una matricola, ma di una persona che compie il proprio percorso di studi fuori Torino, per quanto riguarda il Politecnico è superiore ai 6.000 euro, mentre per uno studente e cittadino torinese si aggira intorno ai 2.000-2.500 euro (potrei essere in errore nelle cifre, ma grosso modo il rapporto spesa-corso di studi è uno a tre).
Evidentemente, se questa fosse un'azienda si chiuderebbero i "rami" in perdita, cioè i "rami" che hanno costi eccessivi rispetto alla casa madre ma l'Università di Torino, il Politecnico di Torino, non è un'azienda; deve offrire dei servizi che mi pare, non il secolo scorso, ma qualche anno fa si era deciso di distribuire in modo capillare sul territorio piemontese.
Vorrei capire, visto che stiamo parlando di scienziati, di dottori che dovrebbero fare previsioni - e lo dovrebbero fare con una certa precisione dove fossero quando è stato deciso di aprire la sede a Verrès e le altre sedi di Mondovì, Alessandria, Vercelli e Biella, perché era evidente che prima o poi, si sarebbe arrivati ad una situazione economica di questa natura.
Trovo sinceramente deboli le obiezioni mosse dai colleghi che giustamente, difendono il proprio territorio, secondo i quali lo studente di Castelmagno non può venire a studiare a Torino, per cui, poverino, dovrà rimanere "margaro" tutta la vita perché non potrà diventare ingegnere nucleare! Secondo la mia esperienza universitaria, per quanto talvolta sia surreale, la maggior parte degli studenti del Politecnico di Torino che conosco provenivano dal Sud. Se uno studente può arrivare da Tarano e laurearsi, magari, anche nei cinque anni previsti per ingegneria, non capisco perché da Castelmagno, da Fobello, piuttosto che da Gurro (Verbania), non riescano comunque a raggiungere Torino, Pavia, Milano o Genova. Perché succede anche questo, colleghi: molti studenti piemontesi infatti, si recano in altre università per studiare, perché mi pare che il modello che era stato scelto fosse un modello di offerta libera e concorrenziale fra le varie facoltà.
Ciò che trovo veramente inaccettabile, relativamente a quanto è stato compiuto dagli organi universitari stessi - è espresso in modo molto chiaro in tutti e tre gli ordini del giorno - è l'accettare i contributi degli enti pubblici (che sarebbero stati destinati ad altro) e delle fondazioni bancarie (anche in questo caso, pur arrivando da società o da enti privati sono comunque indirettamente soldi pubblici), ben sapendo che la sede a Verrès avrebbe avuto una durata circoscritta e non poteva essere illimitata.
Mi esprimerò successivamente anche in fase di dichiarazione di voto, a seconda di quello che sarà il prosieguo del dibattito, perché francamente non ho ancora capito chi vota che cosa, e chi non vota che cosa. Pertanto mi riserverò di intervenire in fase di dichiarazione di voto per esprimere una posizione nel merito.
Trovo legittimo che l'università decida come ha fatto. Non ne sono contento, ovviamente; ne critico le modalità e la comunicazione, ma soprattutto ne critico le decisioni del passato, perché sono assolutamente contraddittorie con ciò che è avvenuto adesso.
Sono felice che la Giunta e la Presidente Bresso si stiano battendo invece, per il mantenimento delle sedi aperte, perché credo che alla fine al di là del costo pro capite degli studenti delle varie sedi distaccate ciò che diamo è un servizio. Bene o male, l'apertura delle sedi a Mondovì non serve solo per far studiare lo studente di Castelmagno, ma anche per creare ulteriormente quella ricchezza e concorrenza formativa nell'istruzione che mi pare fosse alla base di tutte le forme dell'istruzione universitaria degli ultimi vent'anni.
Grazie, colleghi, e grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Vicepresidente Placido, che interviene in qualità di Consigliere; ne ha facoltà.



PLACIDO Roberto

Grazie, Presidente.
Ho ascoltato con molta attenzione gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto e quello dell'Assessore Bairati.
Il punto non è tanto quello di entrare nel merito dell'autonomia del Politecnico rispetto alle scelte operate, quanto ciò che è previsto dall'accordo, citato dall'Assessore Bairati, di consultazione - mi si perdoni la terminologia non corretta - fra le istituzioni prima di decidere su talune materie.
Rilevo, con molta cordialità e grande sorpresa, che negli interventi dei colleghi trova spazio la difesa territoriale delle sedi: ero convinto che i colleghi dovessero parlare di sedi universitarie, e non della "continuazione dell'istituto tecnico o del liceo classico o di quello scientifico".
Ritengo che non sia solo una questione economica, come precisava anche il Consigliere Giovine. Tuttavia non possiamo dimenticare che le risorse per la didattica di 2.500 studenti di tutte le sedi distaccate o decentrate ammontano a 16 milioni di euro - con un costo annuo di 6.400 euro pro capite - mentre per i 25.000 studenti di Torino ammontano a 38.400.000 euro, circa 1.536 all'anno, oltre quattro volte in meno! Quindi, al di là dell'aspetto finanziario, dovremmo valutare serenamente se vogliamo la "continuazione del liceo classico, di quello scientifico o dell'istituto tecnico" o un'università di qualità e prestigio.
Parliamo di Erasmus; parliamo di internazionalizzazione, di studenti che si devono misurare con le università di altri Paesi e poi sosteniamo che fanno fatica o che risulta complicato raggiungere la sede di Torino dalla Provincia di Cuneo, dalla Provincia di Novara, dalla Provincia di Vercelli o da altre Province.
Il ragionamento non mi convince e non lo condivido.
Proprio perchè il nostro Politecnico non è il MIT di Boston; non è neanche l'Imperial College di Londra e nemmeno il Politecnico di Losanna la prima Università italiana è al 174° posto tra le prime 200 università al mondo; ne abbiamo oltre 70 in Europa davanti alle nostre: 27 inglesi, 7 tedesche, 9 olandesi e così via, con una lista molto lunga che è facile consultare personalmente, bisogna capire quale visione abbiamo per i nostri atenei.
Il problema è quindi la comodità di un certo numero di studenti, 2.500 per la precisione? Fra l'altro, voglio sfatare alcune affermazioni: la facoltà di ingegneria tessile di Biella, che avrebbe dovuto rispondere ad esigenze di sviluppo del territorio, ha determinato l'assunzione di un solo ingegnere nell'industria tessile di quella zona.
Se il problema riguarda la qualità delle università italiane e di quelle piemontesi, allora la questione è anche economica. Perché funziona come per gli ospedali: piccolo non è bello. Chi contestava la chiusura dei piccoli ospedali, rivendicando la possibilità di recarsi in essi con le proprie gambe, molto spesso, poi, ne preferiva un altro un po' più distante ma qualitativamente superiore.
La domanda che pongo ai colleghi è, quindi, la seguente: dobbiamo difendere il campanile e le 70 matricole di Biella, le 100 di Vercelli, le 40 di Verres-Ivrea, le 370 matricole nelle altre sedi così che gli studenti possano anche portarsi la colazione da casa, come facevo alle scuole superiori? Dobbiamo difendere i docenti che non abitano lì, ma che partono da Torino per fare un'ora nella sede di Verres e poi tornano indietro? Non sarebbe più opportuno vedere i giovani inseriti in un contesto più internazionale o, comunque, maggiormente partecipato, a confronto con altri ragazzi e docenti, potendo così usufruire non solo dell'ora di insegnamento? Queste sono le considerazioni sulle quali ritengo che ci si debba soffermare se vogliamo svolgere fino in fondo il nostro ruolo di Assemblea Legislativa, non la difesa della piccola sede decentrata. Per citare un esempio che ritengo sia stato un errore, mi lascia perplesso, lo dico senza problemi, l'apertura della facoltà di scienze politiche a Savigliano.
Le università non si misurano solo per i servizi che offrono, come può confermare un giovane presente qui in "barcaccia" che ha da poco lasciato l'Università, anche se con le strutture olimpiche passate all'Università, noi siamo fra gli Atenei migliori in Italia in termini ricettivi di collegi e residenze.



(Commenti del Consigliere Leo)



PLACIDO Roberto

Grazie, caro collega. Ma si misurano principalmente con la qualità della didattica. I docenti di livello ambiscono a insegnare nella sede di Verrès o in un importante Politecnico? E questa è la sfida del Politecnico di Torino, che, ripeto, non è neanche tra le prime 200 Università al mondo l'unica è Bologna, storica, con la sua grande tradizione, al 174° posto.
Faccio notare che non c'é un solo Politecnico in Europa che abbia più sedi: non le ha il Politecnico di Losanna, non le ha il Politecnico di Eindhoven, non le ha il Politecnico di Göteborg, non le ha il Politecnico francese; solo Zurigo ha una sede a Basilea, completamente coperta da Novartis, una sede piccolissima, e la distanza Basilea-Zurigo - stiamo parlando di una nazione - è un po' più ampia di quella Torino-Biella.
Questo è il problema, se vogliamo entrare nel merito. È un problema economico senz'altro, sicuramente, perché siamo di fronte a una spesa sproporzionata rispetto alle ore di insegnamento, ma vi è anche un problema di qualità del nostro Politecnico, di cui noi oggi stiamo parlando incidentalmente. Ma lo stesso discorso potrebbe essere fatto per l'Università. Come detto, nella graduatoria delle Università mondiali, ne abbiamo una sola tra le prime 200, al 174° posto. Ma neppure brilliamo in quella nazionale, perché il Politecnico è al 6° posto, l'Università del Piemonte orientale è al 15° e l'Università di Torino al 24°.
Ritengo che un'assemblea legislativa, una Regione che investe anche risorse, al di là delle competenze, non dovendo surrogare responsabilità del Governo, dovrebbe porsi comunque delle domande, insieme ai docenti del Politecnico e al Rettore.
Qui non c'è il collega Burzi che ha esplicitato una proposta condivisibile: anch'io ritengo interessante un'audizione del Rettore, per capire se l'obiettivo è quello di difendere le 40 matricole di Verrès-Ivrea o l'Ingegneria a Biella che ha prodotto l'assunzione di un solo ingegnere.
Ricordo inoltre che, come sempre avviene in Italia, si parla di una riduzione "soft": non verranno più iscritte le nuove matricole e i corsi andranno progressivamente a esaurimento, mentre le due realtà di trasferimento tecnologico, la ricerca applicata di Alessandria e Biella permarranno per mantenere i rapporti con la realtà industriale di quei territori.
Ci dobbiamo quindi chiedere se sia più opportuno lavorare per elevare la qualità della nostra Università, che dovrebbe impegnarsi a scalare le classifiche e possibilmente entrare nelle prime 200 al mondo, o se invece l'intenzione è quella di dare un certo tipo di servizio, più "locale" non parlando di eccellenza, di qualità, di talenti. Allora occorrerebbero non dieci sedi, ma venti sedi distaccate, perché il problema sarebbe un altro.
Al contrario, se abbiamo a cuore il futuro delle classi dirigenti di questa regione, occorre un'Università di altissimo livello e in questo momento i nostri Atenei non lo sono a sufficienza, a livello nazionale e men che mai a livello mondiale.
La strada non è quella di garantire sedi distaccate, che non hanno senso, né sotto l'aspetto economico né sotto l'aspetto della qualità dell'insegnamento, ma quella di ragionare seriamente sugli interventi da fare affinché le Università piemontesi si posizionino ai vertici delle graduatorie nel nostro Paese e provino a misurarsi per essere competitive con le migliori Università del mondo.
Grazie Presidente.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Leo.



LEO Giampiero

Grazie, Presidente, sarò molto breve.
Solo alcune considerazioni, anche perché condivido molti degli interventi che sono stati fatti e non pretendo di dire, in questo caso niente di originale.
La prima: qualche collega (per esempio il collega Botta) mi diceva scherzosamente: "Tu sei di Torino, per forza che a te va bene l'Università a Torino!". Voglio far presente, solo per dato storico, che provengo da Catanzaro e, pur di frequentare l'Università di Torino, ho fatto il pendolare dalla Calabria al Piemonte, perché c'erano le Università locali ma mia madre voleva che frequentassi un'Università di valore.
Pertanto, non mi si può dire: "Tu sei nato lì, te la sei trovata" perché ho fatto una scelta, che è la stessa che hanno fatto molte persone in varie parti del mondo, che considero intelligente: cercare di avere una formazione più aperta possibile.
Ritengo, e mi riferisco a tutti i colleghi del Consiglio, che occorra avere come mentalità, come logica, quella di offrire il meglio, quindi la possibilità di offrire il meglio a chiunque abbia le capacità e la voglia di imparare.
Conosco principalmente la situazione del Sud, delle Università non prestigiose, non competitive, e questo, in un momento di forte confronto internazionale, è devastante. Parlo della mia regione con grande dolore: l'Università di Catanzaro, che è nata in seguito a spinte vocaliste clientelari, ecc., non è presa sul serio neanche a Timbuktu. I miei coetanei, che hanno ormai i figli laureati all'Università di Catanzaro, mi telefonano e mi dicono che non li assume nessuno, quando vedono dove si sono laureati! drammaticamente vero! Non dico assolutamente che questa sia la situazione del Piemonte, ma una classe politica progressista e illuminata deve far sì che i giovani capaci e meritevoli abbiano il meglio. Piuttosto attuare una politica di borse di studio, di collegi universitari, ma devo dare atto all'Assessore Bairati - ed è un darci atto, mi permetto di dire reciproco, perché la Regione Piemonte adottava questa politica già quando ero Assessore io (prima non era così) ed ha proseguito con l'Assessore Bairati - che la Regione Piemonte è l'unica Regione che dà tutte le borse di studio. Questa mi sembra una politica democratica, progressista sociale.
Sono stati aumentati in maniera enorme i collegi universitari; il collega Placido ed io ci occupammo della questione in Commissione, in occasione delle Olimpiadi, e facemmo passare un ordine del giorno in Consiglio regionale che, con la forza del Consiglio, portai nel Comitato apposito, in cui si chiedeva che gli appartamenti fossero studiati in funzione - ricorda Presidente? - della loro destinazione come collegi universitari.
Pertanto, questa Regione, in maniera assolutamente bipartisan, è stata molto attenta riguardo all'Università. Infatti, come Regione Piemonte portiamo avanti il Coordinamento nazionale per il Diritto allo Studio. Per la verità, ci sono tanti coordinamenti: sulla cultura, sui giovani, ecc. Mi pare che questa sia una politica acconcia.
Seconda questione: questo, ovviamente, richiede dei fondi. Quando i Governi, qualunque essi siano, tagliano le risorse su università, cultura ed istruzione, c'è da preoccuparsi. Questo è un dato non secondario e parlando di sviluppo, non si può fare finta di nulla.
Terza considerazione: cosa possiamo fare? Secondo me, l'attenzione che noi poniamo verso l'università è sufficiente, anzi è molto elevata, ma è giusto che cresca una chiave strategica.
A suo tempo, i localismi hanno sovente portato, in tutti i settori, in tutto il mondo, non parlo del Piemonte, a fare scelte miopi. Questo accadeva quando il mondo era piccolo, o meglio quando il mondo era grande e le distanze erano enormi, ma adesso che il mondo è così comunicante, il sistema va posto in modo diverso.
Come dicevo al collega Cavallera, magari si può pensare che gli investimenti in favore delle Province (per esempio, per strutture di ricerca) vengano mutati e mutuati in strutture di eccellenza, che poi magari rimangono poli di ricerca. Però, accettare l'esistente tout court a me non sembra una scelta illuminata.
Il dramma è che chi può (e chi può sovente ancora in questa società lo fa per ragioni di censo e non di merito) manda i figli nelle migliori università internazionali Recentemente, ho parlato con alcuni esponenti di fondazioni bancarie (non cito i nomi) che dicevano: "Mica vorranno un domani andare a Torino! Li devo mandare ad Harvard". Allora, c'è sempre una razza padrona che può permettersi qualsiasi cosa! Guardate cosa succede negli USA: le università statali ci sono, per per avere posti nel sistema ad alto livello bisogna andare solo a quel determinato tipo di università privata.
Noi non vogliamo questo! Vogliamo che nessuna di queste università, che esistono, sia una truffa, ma che siano tutte ad alto livello. Il Piemonte dovrebbe preoccuparsi, quindi, di scalare posizioni. Sono d'accordo e noi appoggiamo in ogni mondo.
Per brevità, non ripeto quanto abbiamo già ascoltato prima dal collega Burzi sul ragionamento complessivo e adesso, segnatamente dal collega Placido e ne ho parlato anche con il collega Vignale: condivido in toto l'intervento del collega Placido e questa volta mi trovate d'accordo (capitano anche queste cose, colleghi).
Quindi credo che l'atteggiamento sulla cultura, l'istruzione, e la formazione debba essere illuminato: quando ad un giovane forniamo un'opportunità - dico una banalità - deve avvenire come la si fornisca al figlio di Giovanni Agnelli, deve avere il meglio, non deve pagare per avere un'università particolare, un'università in qualche parte del mondo per avere maggiori opportunità. Devono essere le nostre Università! Per questo io mi batto, mi sono battuto e devo dire che ci siamo dati atto reciprocamente che le politiche della Regione sull'università sono sempre state considerate nella competenza della Regione le migliori.
Ricordo la legge per i 600 anni dell'Università, ricordo la legge dei 105 miliardi per l'edilizia.
Devo dire che non dovrebbero rimproverarci e vorrei anche dire che una parola di gratitudine da parte dei Rettori potremo anche aspettarcela perché abbiamo fatto parecchio, più di quanto ci toccava. Di fronte alla Divina Provvidenza, mai abbastanza! Ma abbiamo fatto più di quanto ci toccava fare.
Pertanto, credo che la Regione Piemonte possa essere orgogliosa di quello che ha fatto, come credo che si debba ragionare insieme (quindi sono d'accordo sull'audizione con il Rettore, mi sembra molto importante) costituire dei tavoli, dove ci si confronta veramente, dove si ragiona strategicamente (Picchioni amava dire la governance), dove si prendono le soluzioni migliori per la collettività. Non per parti particolari, per pezzi, per settori, perché quello spinge al corporativismo e al localismo ma noi dobbiamo puntare, ripeto, alla migliore opportunità.
La crescita culturale non può essere disgiunta dalla giustizia sociale.
Lo ha dimostrato anche la crisi recente, l'ha ribadito il Santo Padre nell'Enciclica Caritas in Veritate, e su questo mi fermo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PLACIDO



PRESIDENTE

Anche perché, dopo il Santo padre, come dire...
La parola al Consigliere Cattaneo.



CATTANEO Paolo

Grazie, Presidente.
Ringrazio la Presidente Bresso e l'Assessore Bairati per il loro impegno su questo tema molto importante per noi, che riguarda la chiusura delle sedi decentrate del Politecnico di Torino.
A Vercelli, il Rettore del Politecnico ha rivendicato la completa autonomia decisionale, ma mi sembra che nessuno metta in discussione questa autonomia; semmai c'è da domandarsi se il sistema universitario piemontese e, in modo particolare, se le decisioni erano state comunicate al Comitato regionale di coordinamento. Sappiamo che il Comitato regionale di coordinamento, l'abbiamo sentito dalle parole dell'Assessore, ne era all'oscuro.
Mi risulta che il Comitato regionale di coordinamento sia stato convocato per il 29 gennaio 2010. Quindi, direi, una data un po' troppo in là.
Le Linee guida del Ministro, come ha detto bene l'Assessore Bairati non sono ancora norme cogenti. Le decisioni ministeriali, tutt'al più sono un consiglio, quindi non è detto che i decreti applicativi abbiano poi lo stesso contenuto.
Ci meraviglia questa fretta, questo tempismo eccezionale, questa efficienza straordinaria, questo Rettore molto, forse troppo, zelante.
Quello che si stigmatizza è la scelta del Senato Accademico ed il metodo che è stato usato per il merito e per l'autonomia, anche se a mio parere un confronto non sarebbe andato male.
Tuttavia, mi chiedo quale sia il ruolo della Regione e degli Enti locali. Diversi interventi di alcuni colleghi, da ultimo anche del collega Leo, hanno sottolineato il sostegno che la Regione ha dato in questi anni all'Università. E io dico la Regione ha fatto molto bene a investire. Molto bene! Non è una politica del do ut des perché non si chiede nulla in cambio all'Università, ma si chiede soltanto una maggiore sensibilità in taluni passaggi.
La convocazione del Comitato regionale di coordinamento non era qualche cosa di formale, perché a questo comitato fa parte anche l'Assessore Bairati, che rappresenta la Regione, quindi qualche cosa di sostanziale.
L'Assessore ci ha fornito dei dati ed io devo dire che sono perfettamente in sintonia con lei, Assessore, come ho detto più volte in Commissione e anche nei vari incontri che abbiamo avuto con i rettori nella VI Commissione.
Un no ai campanilismi. Lo diciamo oggi, qui: parliamo di università, ma in genere no ai campanilismi. No alla frammentazione, però un sì chiaro e convinto al decentramento.
Non è vero, Presidente, che quando ci sono delle Università decentrate ci sia meno qualità, come ha dimostrato l'Università del Piemonte orientale. I dati ci sono: la Facoltà di Economia a Novara più di una volta è arrivata insieme alla Sapienza di Roma ai vertici di queste classifiche.
L'ha ricordato anche il collega Botta: la Facoltà di Medicina a Novara è all'ottavo posto a livello nazionale della graduatoria, e così sono piazzate molto bene anche Chimica e Farmaceutica.
Allora, sono d'accordo di entrare nel merito, di non generalizzare e di intervenire laddove ci sono corsi o facoltà che non reggono.
C'è anche una responsabilità degli Enti locali, lo dobbiamo dire.
Ognuno ha voluto finanziare quasi una propria università, un proprio corso.
E c'è stata questa frammentazione spaventosa. Però quello che lascia perplessi è questa mancanza di confronto. Ci saranno dei tagli anche a Torino, senza dubbio, al Politecnico. Fino a oggi non ci sono stati neanche annunciati. Sono stati solo nelle aree decentrate.
Ci fosse stato un dialogo per vedere di queste cinque realtà quale poteva essere salvata e se si, dove si potevano concentrare. Ma questo non è avvenuto.
Noi siamo in Europa, la Presidente Bresso con il suo ruolo, più volte ha sottolineato questo fatto: noi siamo europei. Allora bisogna che anche Torino e il Piemonte sotto questo aspetto si sveglino. Il fatto di tagliare tutte le sedi decentrate potrebbe sembrare un ritorno al torinocentrismo.
Ricordo - l'ho detto altre volte - che non sono molte le regioni italiane che hanno un solo quotidiano, non sono molte le regioni italiane che hanno una sola Corte d'Appello. Ultimamente, proprio per quanto riguarda le specializzazioni in medicina, Torino ha fatto il pieno.
Dobbiamo dirlo. Milano, per esempio, ha lasciato capofila, per talune scelte, l'Università dell'Insubria, per altre quelle di Brescia. Anche questa situazione è da valutare.
Da ultimo, voglio brevemente sottolineare un tema che è stato toccato che non c'entra, è un altro tema - cioè il trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni. Su questa scelta raccomanderei prudenza approfondimenti, dobbiamo stare attenti quali sono le garanzie perché il livello universitario generale non si abbassi. Non è solo un trasferimento di competenze dallo Stato al Piemonte, è un trasferimento a tutte le Università italiane, a tutte le Regioni italiane.
Anche su richiesta di altri colleghi, l'altro giorno ho chiesto alla Presidente della VI Commissione, Consigliera Pozzi, di valutare l'opportunità di un'audizione del Rettore del Politecnico di Torino.



PRESIDENTE

Non ci sono più richieste di interventi.
A questo punto, mi sembra che ci sia l'intesa per arrivare ad un ordine del giorno condiviso. Affinché questo possa avvenire, è evidente che i colleghi devono ritirare gli ordini del giorno che hanno presentato e dichiararlo.
Possiamo ritenere ritirati i tre ordini del giorno? I tre ordini del giorno presentati precedentemente, rispettivamente il 1298, il n. 1299 e il n. 1312, sono ritirati.
In attesa di votare l'ordine del giorno condiviso, ne approfitto per dare alcune informazioni. Considerata l'ora, i lavori del Consiglio termineranno con la votazione dell'ordine del giorno. Gli altri appuntamenti, ad iniziare dalla Conferenza dei Capigruppo, sono già calendarizzati per domani alle 14.30 in Sala Morando. La Conferenza dei Capigruppo di domani organizzerà anche i lavori del Consiglio per le prossime sedute. I temi all'o.d.g. li conoscete tutti, non c'è bisogno di ricordarli. Chi è interessato a firmare l'ordine del giorno congiunto, pu presentarsi presso l'Ufficio di Presidenza e firmarlo.
L'ordine del giorno unitario, il n. 1314, "Chiusura delle sedi decentrate del Politecnico di Torino", è presentato dai Consiglieri Bizjak Pedrale, Dutto, Auddino, Botta, Cattaneo, Cavallaro, Comella, Dalmasso Filiberti, Giovine, Muliere e Valloggia.
Ricordo che il numero legale è 29.
Indìco la votazione palese sull'ordine del giorno n. 1314, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte, venuto a conoscenza della decisione del Rettore del Politecnico di Torino di chiudere le cinque sedi decentrate di Piemonte e Valle d'Aosta (Mondovì, Alessandria, Vercelli, Biella e Verrès), al fine di adeguare il proprio piano dell'offerta formativa alla recente riduzione delle risorse disponibili ed al rapporto docenti-ore di insegnamento considerato che ciò obbligherà gli studenti a recarsi a Torino con costi e fatiche per gli spostamenti che non tutti riusciranno sopportare con conseguente abbandono degli studi per molti di loro; enti pubblici locali fondazioni e privati avevano finanziato la realizzazione delle sedi decentrate, e se queste venissero chiuse questi investimenti verrebbero sprecati; la necessità di razionalizzare i costi dell'università non necessariamente si ottiene solo chiudendo realtà che proprio sul territorio costituiscono un'importante componente del tessuto socio economico ma anche realizzando economie nelle sedi di Torino e cercando altre fonti di finanziamento.
Ritenendo tale decisione una dispersione di risorse finanziarie e di energie intellettuali, dal momento che le sedi distaccate del Politecnico di Torino costituiscono una importantissima componente del tessuto culturale e socio-economico del territorio piemontese, realtà dove hanno luogo non semplici replicazioni dei corsi torinesi, bensì eccellenti attività didattiche e di ricerca orientate all'apertura internazionale ritenendo altresì la chiusura delle sedi decentrate un inaccettabile impoverimento dei nostri territori chiede al Rettore ed al Senato Accademico del Politecnico di Torino di rivedere la decisione assunta di concentrare sul capoluogo piemontese tutta la propria attività didattica; sollecita i Parlamentari piemontesi a farsi interpreti presso il Governo delle ragioni sopra enunciate, affinch vengano rimossi gli ostacoli di natura economica alla prosecuzione e all'ulteriore sviluppo delle attuali esperienze universitarie decentrate invita la Giunta regionale ad attivarsi con la massima determinazione nei confronti del Politecnico di Torino affinché la propria decisione a promuovere un incontro urgente con il Governo per un confronto sulle linee di riforma del sistema universitario e le sue ricadute sul sistema piemontese a riconfermare, in sede di Comitato regionale di coordinamento universitario, la validità delle scelte a suo tempo assunte riguardo lo sviluppo del sistema universitario piemontese e, di conseguenza, a sostenere con forza l'iniziativa delle istituzioni locali".
Il Consiglio approva.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18.44)



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