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Dettaglio seduta n.252 del 22/05/23 - Legislatura n. XI - Sedute dal 26 maggio 2019

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ALLASIA



(I lavori iniziano alle ore 15.40)


Argomento: Calamità naturali

Solidarietà alla popolazione dell'Emilia Romagna


PRESIDENTE

Buongiorno, colleghi. Prima di iniziare questo Consiglio regionale aperto, ritengo sia doveroso esprimere la nostra solidarietà alla popolazione dell'Emilia-Romagna colpita dall'alluvione e alle famiglie delle vittime.
Una tragedia devastante che ha provocato morte e danni ingenti alle abitazioni con migliaia di sfollati; alle aziende con interi pezzi di territorio completamente distrutti.
La Regione Piemonte, come sempre, con il Presidente Alberto Cirio, si è già messa a disposizione del Governatore e delle amministrazioni locali dell'Emilia Romagna: si sta lavorando a stretto contatto con la Protezione civile per offrire qualsiasi forma di supporto e aiuto. in funzione delle richieste che arrivano dall'Emilia Romagna. Sono state inviati e lì stanno già operando i nostri uomini e mezzi.
Ci sentiamo vicini a tutte le persone colpite da questa tragedia perché il Piemonte sa cosa vuol dire, avendolo vissuto, purtroppo, sulla propria pelle già diverse volte.
Chiederei a tutti di esprimere il nostro cordoglio, come Consiglio, per tutte le vittime, con un minuto di silenzio. Grazie.



(L'Assemblea osserva un minuto di silenzio)



(La seduta inizia alle ore 15.42)


Argomento: Diritti umani - Condizione femminile

Riflessioni sui diritti umani e civili, con particolare riferimento alla condizione femminile in Iran e in Afghanistan


PRESIDENTE

Dichiaro aperta la seduta.
La seduta odierna è convocata in assemblea aperta, ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno, per la trattazione del tema "Riflessioni sui temi umani e civili, con particolare riferimento alla condizione femminile in Iran e in Afghanistan". Il Consiglio aperto prevede l'alternanza di interventi tra soggetti esterni individuati dall'Ufficio di Presidenza e Consiglieri regionali. Gli interventi sia dei Consiglieri che da soggetti esterni saranno svolti dal podio a lato della Presidenza. Sarà cura della Presidenza dare la parola ai soggetti esterni che ne hanno fatto richiesta, a cui seguiranno gli interventi dei Consiglieri e degli Assessori che intendono esprimersi.
Chiedo fin d'ora ai colleghi Consiglieri di far pervenire le loro richieste d'intervento.
Abbiamo inaugurato questo Salone del libro con l'intitolazione della piazza a Mahsa Amini, perché volevamo dare un segnale di grande attenzione mantenendo accesa una luce sui fatti che hanno visto e vedono ogni giorno oppressioni e violenze orrende ed inaccettabili nei confronti delle donne e di ogni individuo.
Oggi, con lo svolgimento del Consiglio regionale aperto, fuori sede, qui al Salone del Libro, vogliamo dare un segnale ulteriore di sensibilità e vicinanza alla morte di Mahsa Amini, la quale ha segnato un momento importante di svolta nella vita di ogni donna iraniana, risvegliando in ognuno di loro la consapevolezza che non possono più continuare a subire angherie e prevaricazioni e, soprattutto, ha dato loro il coraggio di ribellarsi per rivendicare la propria libertà, i propri diritti e la propria dignità di esseri umani.
Masha Amini rappresenta un simbolo di cambiamento radicale, non solo per le donne iraniane. Ha dato coraggio a migliaia di ragazze che si sono strappate il velo, senza vergogna e finalmente libere dalla loro pesante e continua oppressione.
Purtroppo, l'Iran sta violando numerose disposizioni dei trattati internazionali di cui fa parte. Ma - va detto - che negli ultimi anni stiamo assistendo a una recrudescenza delle violazioni dei diritti umani su larga scala, e non solo in Iran. Basti pensare ai crimini di guerra che la Russia ha commesso e che sta commettendo in Ucraina, i crimini di guerra in Siria, le violenze sulle minoranze in Afghanistan, in Myanmar e Cina, solo per ricordarne alcune.
Le violazioni dei diritti umani costituiscono violazione del diritto internazionale che non possono essere sottaciute.
Adesso do la parola all'Assessore Caucino; prego.



CAUCINO Chiara, Assessore regionale

Grazie, Presidente.
Care colleghe e cari colleghi, il tema che oggi affrontiamo è un tema che io ritengo di assoluta e massima importanza, anche se troppe volte questo tema viene sottovalutato, viene ignorato, non solo dai media, ma dall'intera comunità internazionale.
Si tratta della condizione della donna nei paesi in cui vige la sharia, la legge coranica, in particolare l'Iran e l'Afghanistan. Che cosa possiamo fare noi tutti per aiutare milioni di donne che ogni giorno si trovano ad affrontare gravissime privazioni dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali? La buona notizia è che qualcosa si sta muovendo in questi Paesi. Parecchie donne rischiando addirittura la loro vita, si stanno ribellando, ma da sole non ce la potranno mai fare; la loro protesta, se restasse vox clamantis in deserto non sarà mai sufficiente.
I fatti parlano di situazioni che noi riteniamo intollerabili, per chi appunto, ritiene che la parità dei diritti sia un caposaldo del vivere civile e della democrazia.
In Iran, il 16 settembre 2022, una ragazza curda di 22 anni, Mahsa Amini era in vacanza con la propria famiglia a Teheran ed è morta dopo diversi giorni di coma, perché picchiata selvaggiamente dalla polizia religiosa a causa del velo che, secondo i suoi aguzzini, sarebbe stato indossato in maniera non corretta. Il Governo ha negato l'aggressione e ha sostenuto la tesi che la morte fosse dovuta al fatto che Mahsa avesse avuto un arresto cardiaco. Ciò ha suscitato l'indignazione dell'opinione pubblica nel Paese ed ha comportato una serie di manifestazioni durante il suo funerale.
Durante la protesta, decine di donne hanno deciso di non indossare il velo.
Dopo le numerose manifestazioni che hanno portato a diversi arresti e morti, il 3 dicembre 2022, il Procuratore generale iraniano ha annunciato che "la polizia morale non ha niente a che fare con la magistratura ed è stata abolita da chi l'ha creata". Un'affermazione che, a detta di numerose testimonianze, non trova riscontro nella realtà.
Non solo: il 18 dicembre 2022, una ragazzina di soli 14 anni è morta dopo essere stata arrestata e violentata per non aver portato il velo a scuola.
Secondo il rapporto sul divario di genere del 2019, l'Iran occupa il 148 posto su 153 per quanto riguarda i diritti delle donne; solo il 17,9 quindi nemmeno il 18%, delle donne fa parte della forza lavorativa. Solo il 5,9% dei componenti del Parlamento è composto da donne, mentre il 6,5% dei ministri sono donne.
Care colleghe e cari colleghi, stiamo parlando di un Paese in cui esiste una polizia morale o religiosa che si voglia dire, una sotto-squadra della forza disciplinare della Repubblica iraniana. La sua funzionalità è quella di individuare e fermare i presunti autori di reati contro la morale del Corano, in particolare ciò che riguarda il codice di abbigliamento.
Sono però le donne il principale obiettivo di questi pattugliamenti. Tra i reati contestati vi sono: l'uso scorretto dell'hijab e l'impiego di rossetti, jeans strappati e troppo attillati, gonne troppo corte e abiti non sufficientemente larghi.
Una situazione che noi riteniamo inaccettabile, come quella che si vive in Afghanistan dopo il ritorno al potere dei talebani. L'8 settembre 2021 hanno annunciato che avrebbero vietato alle donne lo sport in pubblico, che avrebbero potuto studiare certamente, ma a patto che lo facessero in aule separate dagli uomini o divise addirittura da un sipario, che non avrebbero ricoperto cariche politiche significative, ma marginali e che sarebbero state obbligate ad uscire velate.
Tuttavia, 300 donne inspiegabilmente, velate integralmente, hanno marciato a sostegno dei talebani per le strade di Kabul, innalzando la loro bandiera. È evidente che la paura di ritorsioni in questo caso ha prevalso sulla pretesa dei sacrosanti diritti di queste persone, che si sentono sole, abbandonate al loro destino.
Un Paese, l'Afghanistan, dove sono rimosse le immagini delle donne dai manifesti pubblicitari di Kabul; dove alle donne è vietato percorrere tratti di strada superiore a 72 chilometri, senza essere accompagnate da un uomo; dove le donne sono nuovamente obbligate ad indossare il burka; in cui è vietato alle donne entrare nelle università con un hijab colorato, al massimo, di colore nero e viene imposto alle donne giornaliste (lo dico a tutte le giornaliste presenti) di coprire massimamente il loro volto.
Tutto questo è evidentemente inaccettabile! Per citare alcuni numeri, in Iran vivono circa 35 milioni di donne; in Afghanistan poco più di 14 milioni.
Una situazione, come detto, intollerabile non soltanto per il Piemonte, per l'Italia, per l'Occidente, ma anche per tutta l'umanità, che in migliaia di anni ha maturato a vari livelli, a diverse latitudini, una sensibilità sui diritti fondamentali della persona, compresa la donna ovviamente, che non può più essere considerata un oggetto, ma un soggetto attivo, protagonista della società, senza discriminazioni e restrizioni. Sono consapevole che non sarà questo ordine del giorno, che auspico oggi voteremo tutti insieme all'unanimità, a cambiare la situazione, ma sono certa che l'atto formale di questa prestigiosa Assemblea, insieme a tanti altri che dovranno seguire, sia innanzitutto un fatto dovuto, ma anche un'azione tesa a sensibilizzare tutte le istituzioni, a ogni livello, su un dramma che va fermato nel minor tempo possibile.
Sono certa, altresì, che se tutti faranno qualcosa come oggi stiamo facendo noi e se il nostro esempio verrà seguito in tutto il mondo libero le nostre voci, all'unisono non potranno che essere di conforto e di vicinanza alle tante donne che lottano per difendere i propri diritti e sarà di monito verso chi quei diritti li calpesta ogni giorno.
Come scriveva uno scrittore giapponese che amo molto, Satoru singolarmente siamo una goccia, ma tutti insieme diventiamo un oceano e nessuna polizia religiosa o morale al mondo potrà mai arginare un oceano di democrazia e di libertà.
Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo l'Assessore Caucino.
Do la parola al Coordinatore della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative, il Presidente Roberto Ciambetti, nonché Presidente del Consiglio regionale del Veneto.



CIAMBETTI Roberto, Coordinatore della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative

Grazie, Presidente.
Ringrazio il Consiglio regionale del Piemonte, in particolare il collega e amico Allasia, per aver promosso questa iniziativa e ringrazio tutti quanti hanno lavorato affinché questa Assemblea aperta potesse svolgersi. Vi porto il saluto della Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali e delle Province autonome italiane e vi porto una breve riflessione molto personale, non è un intervento di prassi istituzionale che do per scontato, perché tutti noi, indipendentemente dalle nostre idee politiche, consideriamo imprescindibili i diritti umani, nonch condanniamo, senza esitazione alcuna, le aberranti violenze su donne e minori e sulle minoranze etniche e religiose.
Personalmente, mi chiedo qual è il significato e il valore del nostro incontro odierno. Non me lo chiedo tanto alla luce dei dati devastanti sulle violazioni dei diritti umani e civili, sull'incremento esponenziale delle esecuzioni delle pene di morte (ben 118 le persone impiccate fra il 29 aprile e il 10 maggio scorso solo in Iran), sulle aberranti condizioni di vita e sulla violenza sistematica alle donne e agli adolescenti, tra le repressioni efferate delle proteste iraniane o sull'altrettanta efferata violenza dei talebani sull'universo femminile, perché i dati li conosciamo tutti.
Tutti sappiamo come la repressione, l'incubo dello sterminio di massa e delle pulizie etniche colpiscano in maniera inquietante le minoranze etniche e religiose, per non parlare dello scenario sofferto dall'universo femminile, che quotidianamente sopporta soprusi, abusi, maltrattamenti fisici e morali, inaccettabili violenze che riportano indietro l'orologio della storia alle notti più buie della ragione. Quelle notti creano e alimentano mostri.
Ripeto, davanti a tutto ciò, cosa facciamo noi qui oggi, in un'importante Assemblea legislativa regionale? Non è una domanda retorica.
Quando un europeo, Vàclav Balek, Presidente dell'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, in una lettera datata 10 maggio 2023 ha comunicato di aver scelto Ali Bahreini, Ambasciatore della Repubblica islamica e rappresentante permanente presso le Nazioni Unite, a presiedere il Forum sociale 2023 del Consiglio dei Diritti Umani e delle Nazioni Unite, affermando che Bahreini è stato selezionato tra i candidati nominati dai gruppi regionali, rammento a tutti che quest'anno celebriamo il 75 anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il 30 anniversario della Dichiarazione di Vienna e il programma di azione che ha istituito l'Ufficio dell'Alto Commissariato per i diritti umani, attraverso la sua adozione nel 1993.
In quest'anno, in cui gli anniversari, ma ancora più i dati di fatto davanti a noi tutti, sono più che eloquenti e dovrebbero spingere tutti a un maggior impegno nella salvaguardia dei diritti umani e nella tutela delle minoranze etniche e religiose, nella difesa delle donne e dei minori come consideriamo la nomina dell'Ambasciatore Ali Bahreini, Ambasciatore della Repubblica islamica e rappresentante permanente presso le Nazioni Unite, a presiedere il Forum sociale del 2023 sui diritti umani dell'ONU il prossimo novembre? Chiediamoci perché questa notizia della nomina è passata quasi inosservata, non è stata ripresa o rilanciata dall'informazione televisiva di massa ed è stata diffusa da pochissime testate giornalistiche.
Chiediamoci perché le proteste delle donne e dei ragazzi delle minoranze etniche in Iran sono scomparse dalle pagine dei nostri giornali.
Siamo capaci di leggere pagine e pagine dei nostri giornali o guardare servizi televisivi sugli orsi del Trentino, sul prelievo di un animale o l'altro, ma non ci accorgiamo di pagine e pagine vuote, di schermi e schemi bui.
Su quanto sta accadendo attorno, e non molto lontano da noi, il silenzio è l'alleato più importante del buio, della ragione e della vastità dell'ignoranza. Il silenzio è l'alleato dei talebani o degli agenti della polizia religiosa e morale dell'Iran.
La giornalista tedesco-iraniana Gilda Sahebi ha spiegato in un post su Twitter (ripreso in Italia da "La Svolta" quotidiano, ideato e diretto da Cristina Sivieri Tagliabue) che, ai primi di aprile, Vàclav Balek Presidente dell'Alto Commissariato, aveva chiesto ai Gruppi regionali di avanzare delle candidature per la presidenza del Forum sociale del prossimo novembre e che l'unico Gruppo che ha risposto all'appello è stato il gruppo regionale Asia-Pacifico, che ha nominato il rappresentante iraniano. A questo punto, l'Alto Commissariato è stato obbligato a nominarlo, in base alle norme esistenti, anche se tale nomina suscita ribrezzo.
In realtà, tutti gli altri Stati hanno una responsabilità, perché non sono state avanzate candidature. Io stesso ho ricevuto più volte associazioni democratiche di iraniani, ma ho anche ricevuto parenti di detenuti in Afghanistan, in Iran. Il Consiglio regionale del Veneto ha approvato all'unanimità un ordine del giorno promosso dal collega Fabiano Barbisan per sostenere le ragioni dei popoli che non sopportano più da anni le continue violenze, vessazioni, torture, arresti e minacce, che nulla hanno a che fare con la fede religiosa o il credo politico, ma sono piuttosto frutto di un oscurantismo inaccettabile, e ciò vale per l'Iran come per l'Afghanistan. Abbiamo incontrato associazioni che hanno portato foto e video assolutamente impossibili da pubblicare, con situazioni che riportano indietro l'orologio della storia.
La realpolitik, invece, parla un'altra lingua; quando non vuol parlare sceglie la strategia del silenzio, non avanza candidature e permette la nomina di un diplomatico iraniano alla guida del Forum sociale per il 75 anniversario della Dichiarazione dei diritti umani. Ecco il senso del nostro incontro odierno; ecco il senso che avrà il vostro voto più tardi: l'indignazione, la denuncia, ma anche la riflessione sulle nostre contraddizioni.
Il Parlamento europeo lo scorso gennaio ha fatto una scelta chiara, di condanna per la violenza dello Stato iraniano, ma quella condanna a cos'è servita se poi nessuno degli Stati europei presenta candidature? In Afghanistan, sicuramente i talebani hanno colpe gravissime; hanno compiuto al pari dei loro colleghi iraniani, crimini contro l'umanità, ma hanno o no colpe anche quanti hanno lasciato nelle loro mani questi Paesi? Chiediamocelo. Non voglio sottrarvi ulteriore tempo e mi scuso per il tono forse fin troppo personale del mio intervento, ma credo che noi tutti si debba guardare in faccia la realtà, se vogliamo riconquistare la speranza e dare finalmente segnali importanti e concreti a chi soffre, a chi combatte per salvaguardare la propria dignità e la propria libertà.
Mi scuso se con voi non ho approfondito il tema della violenza subìta dalle donne o dai minori, capitolo angosciante del problema più vasto della violazione dei diritti umani in Iran e in Afghanistan. Ci sarebbe molto da dire perché, davanti alle decine e decine di donne e ragazze violentate brutalmente e assassinate, si rimane sgomenti e si prova un vuoto interiore, un dolore che non è facile placare, anche perché quelle violenze, sebbene su scala tragicamente alta, sono comunque fortemente imparentate con quella subcultura che nel nostro Paese alimenta femminicidi e soprusi di ogni genere.
Concludo il mio intervento invitandovi a rileggere i versi della poesia di Alda Merini "Farfalle libere", che si rivolgono alle donne di ogni dove lasciando intravedere a noi tutti una speranza, che sarà tale solo se manterremo sempre alta la nostra tensione, il nostro sdegno, la nostra denuncia, anche con il voto che andrete a dare dopo: "Mangerete polvere cercherete di impazzire e non ci riuscirete, avrete sempre il filo della ragione che vi taglierà in due. Ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere".
Grazie per l'attenzione.
(Applausi provenienti dalla sala)



PRESIDENTE

Grazie, Presidente Ciambetti.
La parola al Vicepresidente del Comitato regionale per i diritti umani e civili, dottor Giampiero Leo.



LEO Giampiero, Vicepresidente del Comitato regionale per i diritti umani e civili

Ci tengo a dire, per rendere ancora maggior merito al Consiglio regionale che non sono un Consigliere regionale, ma sono stato votato dall'Aula del Consiglio regionale, come ex Consigliere, ed eletto Vicepresidente del Comitato. Lo sottolineo, primo perché la Vicepresidente più importante è Sara Zambaia; secondo, perché, non essendo Consigliere, mi permetterete di ringraziare di cuore il Consiglio regionale per questa scelta di oggi, che è davvero un valore speciale e rappresenta un'occasione straordinaria.
Lavorando su questo tema dai tempi dei tempi (da giovane ho subìto addirittura un attentato da Patrizio Peci, perché mi battevo per i diritti umani dei Tibetani), avrei moltissime cose da dire, ma rassicuro il Presidente Allasia che ne dirò soltanto alcune, anche perché l'insieme degli interventi, la coralità e l'unità degli interventi rende il senso.
Prima c'è stato l'intervento dell'Assessore, che ha parlato così dettagliatamente della vicenda delle donne, successivamente l'intervento del rappresentante delle Regioni, che ha dato una dimensione internazionale importantissima. È evidente che, come tutti e giustamente, devo contingentare i tempi, quindi mi concentro su due osservazioni.
La prima è il grande significato - ripeto, il grande significato - di far svolgere un Consiglio regionale aperto su questi temi. Ha ragione l'Assessore Caucino: sovente queste cose, l'opinione pubblica e anche i giornali non vogliono sentirsele raccontare. L'altro giorno, al Salone del libro, mi sono lamentato con il Direttore della testata La Repubblica Molinari, che pubblica articoli meravigliosi, ma sulle cronache locali qualunque cosa il Consiglio regionale o altri movimenti facciano, non scrive una riga. Quindi vale il discorso che ho ascoltato prima e lo ringrazio.
Oggi si aggiunge un ulteriore significato. Il Salone del libro è questo questo è lo spirito del Salone del libro: dare la parola, confrontarsi ospitare e non impedire a qualcuno di intervenire. Quello è inaccettabile.
Questa mi sembra un'emblematica risposta anche agli incidenti e alle proteste - che non sono proteste - alle intemperanze e alle intolleranze che ci sono state. Questo è il Consiglio regionale che vogliamo, aperto a tutti.
Il Consiglio di oggi è sui diritti umani, con particolare attenzione ai diritti delle donne afgane e iraniane. Colgo l'occasione per dire che varrebbe la pena, come abbiamo fatto con la collega Sara Zambaia in molti convegni sostenuti dal Comitato dei diritti umani, avere come relatrici e testimoni donne o uomini, iraniani e afgani, perché sono i protagonisti.
L'abbiamo fatto in varie occasioni, ma dobbiamo rifarlo più fortemente perché noi possiamo supportare, ma non sostituirci ai protagonisti e alle vittime.
Voglio ringraziare il Consiglio regionale del Piemonte tutto: l'Ufficio di Presidenza, il suo Presidente, che è anche Presidente del Comitato dei diritti umani e si impegna molto, e ogni membro del comitato (qui ci sono membri della più diversa provenienza e collaborano tutti in maniera generosa e intelligente). Abbiamo posizioni diverse a 360 gradi eppure c'è una convergenza feconda quando lavoriamo su questo; quindi ognuno va ringraziato. Ringrazio anche la Giunta regionale, che ha stanziato dei fondi ad hoc. Vicepresidente della Giunta, per cortesia, porti i nostri ringraziamenti al Presidente Cirio e alla Giunta.
Vorrei inoltre ringraziare tutte le realtà, che, con le loro peculiarità, si muovono per costruire una cultura dei diritti e del dialogo, una cultura della pace e della libertà (giustamente, c'è chi parlerà della situazione drammatica in quei Paesi).
Come più opportunamente si è parlato del contesto mondiale, io sono qui per cercare di stimolare, oltre che per premiare, chi in Piemonte investe il proprio impegno in questo obiettivo. Vorrei quindi ricordare il Movimento "Donna, vita, libertà", il Coordinamento interconfessionale "Noi siamo con voi", l'associazione "Fede insieme", il Comitato interfedi di Torino. Solo ieri un'associazione religiosa importante ha tenuto con il dottor Cicogna un convegno specifico sui diritti umani.
Tutte queste realtà, Presidente Allasia, riconoscono in lei, nel Comitato dei diritti umani e nel Consiglio regionale, un riferimento autorevole. Il Piemonte è l'unica Regione che si muove così tanto.
Infine, ci riferiamo alle persone - donne, bambini e militanti democratici - che subiscono in tante parti del mondo vessazioni discriminazioni, repressioni, persecuzioni morali e materiali. Hanno ragione coloro che sono intervenuti a dire che una forma di discriminazione è proprio quella di non parlarne, di togliere il faro di attenzione su queste situazioni. Dobbiamo invece accendere continuamente i fari su queste realtà, affinché non siano mai dimenticate. A costoro vogliamo dire due cose: la prima, siamo con voi; la seconda, per colmare le nostre carenze cercateci! Costruiamo insieme sempre più iniziative, sempre più forti.
Noi dobbiamo essere con loro - con questa riflessione so di toccare un punto politico dedicato; peraltro, ringrazio il Presidente per come ha aperto la seduta - anche a costo di sacrifici economici e politici per il nostro Paese, anche a costo dell'impopolarità delle nostre opinioni pubbliche. Siamo sinceri: ci saranno sempre moltissime persone (sovente anche in maggioranza) che, a fronte del rischio di sacrifici personali o di categoria, ancorché privilegiati rispetto ad altre parti del mondo, a fronte di sacrifici necessari al bene di altre persone (lontane o magari provenienti da altri Paesi), ci chiederanno di soprassedere e di lasciar perdere. Non voglio toccare qui l'argomento, ma mentre l'allora Sindaco Chiamparino e il Presidente della Regione riconobbero la cittadinanza onoraria al Dalai Lama, altri Sindaci progressisti e democratici non lo fecero per non irritare la Cina.
Torino in questo si è distinta! Ricordiamoli, questi aspetti.
Concludo, con un'ultima riflessione: dobbiamo sconfiggere le obiezioni numerosissime - di coloro che dicono: "Non impegnatevi in queste cose perché ci sono altri problemi, ad esempio le strade e quant'altro". È tutto vero, ma se cedessimo su quello, cederemmo sulla nostra umanità.
Alle vittime della sofferenza prima citata non dobbiamo mai far mancare la nostra solidarietà: ne va della nostra democrazia! Questa è la differenza fra i Paesi democratici e le dittature, le autocrazie.
Infine, per chi crede e per chi non crede, ne va della nostra anima della nostra dignità, del nostro diritto a considerarci realmente "membri di una vera umanità".
Noi a questo aspiriamo, e per questo siamo grati a tutto il Consiglio e a tutti voi.
Grazie infinite!



PRESIDENTE

Ringrazio il Vicepresidente del Comitato regionale per i Diritti Umani e Civili, Giampiero Leo, a cui ho concesso due minuti in più solo perché ha elogiato il sottoscritto e la Presidenza.
Lascio ora la parola all'altra Vicepresidente del Comitato regionale per i Diritti Umani e Civili, la Consigliera regionale Sara Zambaia; prego.



ZAMBAIA Sara, Vicepresidente Comitato regionale per i diritti umani e civili

Grazie, Presidente.
Innanzitutto, buongiorno a tutti. Buongiorno ai colleghi, agli ospiti e alle autorità presenti.
Voglio partire da qua per ringraziare il Presidente Allasia, che, ope legis, presiede anche il nostro Comitato regionale per i Diritti Umani e Civili.
Ringrazio tutti i componenti del Comitato dei Diritti Umani e Civili in particolare Tawfik Younis, che interverrà tra poco, ma anche Walter Nuzzo, Claudio Torrero e tutti i colleghi che adesso non vedo, perché in questi due anni abbiamo cercato di fare veramente un lavoro istituzionale pulito e alto. Un lavoro di cui, come dico sempre, dobbiamo andare profondamente orgogliosi, non solo come Consiglio regionale del Piemonte ma come Regione Piemonte, per un unico motivo: la Regione Piemonte è l'unica regione italiana ad essere dotata di un organismo istituzionale di questo tipo, che non è solo un Comitato regionale per i Diritti Umani, ma da questa legislatura è anche un Comitato regionale per i Diritti Umani e Civili. Perché, come stiamo dimostrando in questi mesi, oltre alle varie crisi internazionali di cui ci stiamo occupando, ci sono tante altre problematiche a cui stiamo cercando di dedicare la giusta attenzione istituzionale, ma anche politica.
Ringrazio moltissimo anche gli Uffici del Consiglio regionale, perch l'idea di svolgere un Consiglio regionale aperto all'interno di una vetrina internazionale così importante come quella del Salone del Libro deve avere un significato ancora più profondo rispetto ad una semplice adunanza consiliare - permettetemi la banalizzazione - svolto all'interno della nostra aula, dove tante volte il nostro lavoro non viene realmente percepito, così come non viene percepito quello che vogliamo trasmettere all'esterno.
Come dicevo, possiamo cogliere questo Consiglio regionale aperto come l'occasione per fare un bilancio di questi otto mesi di crisi iraniana e di ancora più tempo di crisi afghana. Quando si è insediato il Comitato regionale per i Diritti Umani ci siamo occupati, in prima battuta, della crisi ucraina e, subito dopo, della crisi afghana.
Ricordo che il 15 agosto era scoppiata la rivoluzione delle donne afghane; oggi, a partire dal 13 dicembre, con la tragedia di Mahsa Amini che è diventata letteralmente il simbolo di questa lotta e di questa protesta, dopo 44 anni di lotta (non solo della popolazione femminile, ma di una popolazione compatta, che sta coinvolgendo tutti gli strati sociali della comunità iraniana) si sta combattendo ora dopo ora, giorno dopo giorno, questo regime che l'Occidente, in qualche modo, probabilmente non riesce a gestire.
Perché dico questo? Perché bisogna anche cercare, tutti insieme, di mettere un accento politico su questa situazione. Istituzioni come il Comitato regionale per i Diritti Umani o come il Consiglio regionale stanno facendo il possibile. Anche il Governo nazionale, indubbiamente, sta facendo la sua parte, presentando numerosi atti di indirizzo che portiamo avanti non potendo effettivamente risolvere una crisi da qua; stiamo istituzionalmente facendo il possibile, però otto mesi sono sicuramente un tempo congruo affinché manifestazioni istituzionali come quella di oggi non rimangano solo delle parole al vento.
Quello che dobbiamo riuscire a fare come istituzioni - non solo del Piemonte, ma anche delle altre Regioni, del Governo nazionale e del Governo europeo, anche attraverso i parlamentari europei e attraverso l'ONU - è cercare di essere istituzionalmente il sedimento politico-istituzionale di quelle lotte che stanno portando avanti a poche migliaia di chilometri da dove siamo oggi. Un contesto fortemente democratico; penso che anche lo scenario del Salone del Libro ci abbia ampiamente dimostrato che siamo in un contesto democratico, forse troppo, a volte (permettetemi la battuta).
Questo deve farci non solo apprezzare il fatto che molto probabilmente siamo semplicemente nati nella parte giusta del mondo perché - ripeto - a pochi chilometri da qua lo scenario è completamente diverso. Lo vedete nelle cronache di tutti i giorni, ma anch'io ci tengo a ricordare che cosa sta succedendo lì in questi mesi e in questi giorni. Però momenti come quello di oggi ed attività come quelle che stiamo portando avanti non devono più rimanere una parola al vento, ma un atto istituzionale dovuto.
Bisogna tutti insieme cercare di trovare il modo politico per portare realmente a concretizzazione gli obiettivi per i quali persone giovani tantissime donne e persone meno giovani di tutti i ceti sociali stanno letteralmente combattendo e tante volte perdendo la vita per un ideale, che è un ideale di libertà. Non è banalmente solo portare il velo o non portarlo. Abbiamo visto che Mahsa Amini è stata, purtroppo, uccisa ed è morta per le tante percosse ricevute, proprio perché aveva un ciuffo di capelli che fuoriuscivano dal velo. Peraltro era una ragazza curda di 22 anni che era semplicemente in vacanza a Teheran mentre faceva shopping con il fratello e due cugine.
Quindi, questo deve far capire qual è il contesto anche per chi viene da fuori, che vive in zone di confine, ma non viveva effettivamente le leggi e non conosceva effettivamente le leggi così forti di quel territorio, di Teheran e dell'Iran. Purtroppo, l'Iran è la situazione che stiamo politicamente percependo di più oggi, oltre all'Afghanistan che è partita l'anno precedente.
Voglio però ricordare che ci sono tantissime donne che stanno combattendo e che stanno perdendo la vita in tanti altri Stati. Younis potrà testimoniarlo: Afghanistan e Iran, Egitto, Palestina, Yemen, Iraq, Algeria.
Sono veramente tante le donne che cercano di portare avanti uno straordinario esempio di coraggio e di che cosa significa perdere la vita e quella dei propri cari per la libertà, che per noi è una cosa scontata ma come abbiamo visto, purtroppo non lo è.
Credetemi, ragazzi, dall'altra parte del mondo stiamo assistendo veramente ad una cronaca, peraltro tante volte sfalsata rispetto alla realtà. Come ha giustamente detto l'Assessore Caucino, il regime - perlomeno per quel che comunica verso l'Occidente, anche verso le istituzioni e le cronache occidentali - sembra quasi voler dare dei cenni di mediazione e delle aperture, ma non è così. Non è così ed è testimoniato dalle tante famiglie che hanno i ragazzi e le ragazze che vanno a scuola, dove, purtroppo, si assistono quotidianamente, anche da parte dei dirigenti scolastici grandissimi episodi di violenza, non solo verbale, ma anche fisica. Sono luoghi in cui, purtroppo, c'è violenza sessuale, c'è l'avvelenamento e questo è sotto gli occhi di tutti.
Il peso del Consiglio regionale aperto di oggi, ma soprattutto il peso di noi persone che abbiamo scelto di essere delle istituzioni e di fare politica, deve essere quotidianamente quello di cercare di trovare il modo per portare questi regimi a essere isolati a livello internazionale, perch altri modi per poter mettere la parola fine a questi genocidi - perché, di fatto, sono quello - non ce ne sono.
Come Comitato regionale dei diritti umani - e ringrazio il mio collega Giampiero Leo, Vicepresidente insieme a me - siamo veramente contenti di poter in qualche modo riuscire a portare avanti questa battaglia, sperando un giorno di poterla vedere realizzata e concretizzata. Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliera Zambaia.
Adesso lascio lo spazio per intervenire al componente del Comitato regionale per i diritti umani e civili, Younis Tawfik.



TAWFIK Younis, Componente del Comitato regionale per i diritti umani e civili

Buonasera, Presidente. cari amici e amiche del Consiglio regionale. Sono qui non per parlare specificamente della situazione femminile in Iran e in Afghanistan, ma come musulmano, come scrittore e come membro del Comitato per i diritti umani porto una testimonianza. Per iniziare, vorrei intanto chiedervi di rendere omaggio alle nostre donne, donne dell'Islam, del mondo arabo, che oggi lottano per la loro libertà. Quando in Iran le donne hanno urlato "Donna, vita e libertà!" vuol dire che le donne danno vita e senza le donne la vita non esiste, non c'è e senza le donne non esiste la libertà.
Questi regimi temono le donne e quindi cercano di reprimerle in Afghanistan. Le promesse fatte agli americani - e bisogna essere tanto ingenui per accettare promesse come queste - sono: "Cambiamo politiche".
Questo hanno detto gli afgani ei talebani agli americani; gli americani hanno lasciato lo spazio ai talebani e se ne sono andati. Ma oggi cosa succede in Afghanistan? Le donne non possono andare a scuola, soprattutto le bambine, non possono lavorare, devono stare a casa. Questo significa che il regime vuole reprimere le donne, perché teme le donne. In Iran succede la stessa cosa: il regime ha cercato di reprimere le donne iraniane, con il velo, con la cultura e vietando loro di frequentare le scuole. Questo succede anche in altri Paesi e tutto questo nel nome dell'Islam, laddove l'Islam non c'entra assolutamente.
Vi faccio un esempio: basta vedere la situazione in Marocco, in Tunisia, in Algeria, in Egitto e in Siria, laddove le donne vanno per le strade con o senza il velo, ma nessuno le obbliga a mettere il velo, perché il versetto coranico cita: "Lâ ikrâh fî al-dîn". Vuol dire: non c'è nessuna costrizione nella religione, per cui non si possono costringere le donne a mettere il velo. È vero, è raccomandato per chi è più praticante, per chi vuole eseguire i comandamenti di Dio, cioè la preghiera, il digiuno del Ramadan il pellegrinaggio alla Mecca, però non ci sono costrizioni, le donne non devono mettere il velo per forza.
I regimi usano il velo per coprire la dignità delle donne, la loro libertà la forza delle donne. Coprire le donne vuol dire reprimere la società intera, e questo - mi permettete - accade tutti i giorni sotto gli occhi dell'Occidente.
Dalla caduta del regime di Saddam Hussein, quando uomini di Al Qaeda entrarono in Iraq, la prima cosa che fecero fu quella di assassinare uomini della cultura e le donne. Mio fratello era avvocato e nel 2008 venne ucciso, assassinato davanti casa sua, perché per loro era troppo liberale.
Così è successo nel 2017 a mia madre, che è morta sotto le bombe durante la liberazione di Mosul dall'Isis.
Noi stiamo pagando l'alto prezzo di questa barbarie che viene eseguita nel nome dell'Islam, anche se - ripeto - l'Islam non c'entra.
Per concludere, rendo omaggio agli amici iraniani qui presenti, ma anche allo scrittore Hamid Ziarati, che dovrebbe essere qui al mio posto, perch più degno di parlare della situazione iraniana, così come Samir e tutti gli amici iraniani qui presenti e gli afgani che non ci sono. Bisogna aiutarli portando la loro voce qui per parlare a voi direttamente, a portare la loro testimonianza, perché io posso parlare in generale, per esperienza, per aver letto, per aver conosciuto e per aver saputo, ma non direttamente come ho raccontato della mia famiglia, perché l'ho vissuta sulla mia pelle.
Anche loro vivono tutti i giorni sulla loro pelle quanto sta accadendo nei loro Paesi; anche loro scendono per le strade e nelle piazze a protestare e a parlare. Una volta, lo facevamo contro il regime, ma oggi dobbiamo farlo ancora più direttamente.
Per concludere, faccio un altro esempio per confermare che la religione non c'entra. In Arabia Saudita, fino a ieri, le donne non potevano guidare le auto, non potevano avere la patente, non potevano andare allo stadio e neanche in bicicletta. Oggi una donna saudita va nello spazio; le donne in Arabia Saudita, la culla dell'Islam, guidano le auto: questo significa che sono i regimi che decidono e quando i regimi cambiano politica, quando finiscono di strumentalizzare l'Islam e renderlo politicizzato, si adeguano alla società internazionale e si dà spazio alle donne.
Grazie ancora per avermi dato la parola; spero che nel prossimo Consiglio vengano invitati i nostri amici iraniani e afgani in un incontro più globale, per sentire le loro parole.
Grazie e buona serata.



PRESIDENTE

Grazie.
Adesso lascio la parola al delegato dell'Università del Piemonte Orientale all'interno della Rete Università per la Pace, il dottor Stefano Saluzzo.



SALUZZO Stefano, Delegato dell'Università del Piemonte Orientale

all'interno della Rete Università per la Pace Grazie, Presidente.
Buon pomeriggio a tutte e a tutti.
Porto i saluti al Consiglio regionale del nostro Rettore, il professor Giancarlo Avanzi, che ringrazio insieme al suo Presidente Allasia, per questo invito.
Sono un po' coinvolto anche per ragioni professionali, perché sono un docente di Diritto internazionale dei diritti umani nel mio Ateneo, quindi questo è un tema che mi sta particolarmente a cuore e che costituisce anche l'oggetto di un impegno costante dell'Università del Piemonte Orientale insieme alle altre Università della Regione Piemonte, l'Università di Torino e il Politecnico. Tutte fanno parte della Rete delle Università per la pace, che è stata fondata l'anno scorso e che, proprio a partire dall'anno scorso, anche su questi temi, ha avviato una serie di lavori e di programmi che vanno da una più ampia diffusione della consapevolezza su questi temi, fino a programmi di sostegno allo studio per chi fugge da questi territori, nella consapevolezza, naturalmente, che il diritto allo studio e a un'istruzione, compresa quella universitaria, siano una delle chiavi essenziali nel rispondere a queste vicende e alla drammaticità direi anche alla violenza della censura, nel senso che si è molto parlato già negli interventi precedenti della scarsa conoscenza che di solito si riesce a trasmettere di questi episodi.
Sarò veramente molto breve, anche se agli accademici che fanno questa premessa, di solito, non si crede; in questo caso, garantisco di esserlo.
C'è una necessità di creare, come Università e come istituzioni, in un dialogo il più possibile continuativo ed efficace, consapevolezza, che non è conoscenza. Conoscenza significa avere contezza che questi episodi esistono, leggerne i recenti sviluppi sui giornali attraverso i media, per noi sappiamo bene cosa significa quel tipo di conoscenza: è una conoscenza superficiale che genera abitudine, in qualche caso assuefazione.
L'idea anche dell'università e della collaborazione tra Università e le istituzioni regionali e locali è quella di generare invece una consapevolezza che sia critica, cioè una consapevolezza che consenta alle persone di comprendere il significato profondo di questi fenomeni.
Questo significato per me e per noi sta essenzialmente in un elemento fondamentale, cioè riuscire a descrivere il ruolo che le istituzioni, ma soprattutto la società civile hanno nella risposta a questi fenomeni, nella risposta al dolore e alla violenza di cui indirettamente siamo testimoni e a cui assistiamo quotidianamente, soprattutto nei confronti delle condizioni delle donne in Iran e in Afghanistan, che però - come veniva ricordato - non sono gli unici contesti.
Secondo me, il ruolo della società civile è enormemente cresciuto negli ultimi anni. Mi occupo di una materia, l'ordinamento internazionale e la comunità internazionale, che in passato è sempre stata percepita come una cosa molto distante, che non riguarda la vita quotidiana delle persone. Ci sono poche istituzioni internazionali, che funzionano in maniera misteriosa e insondabile, e oggi questo è molto cambiato: se siamo in grado di criticare decisioni prese da organi internazionali, di vedere perché quelle decisioni sono maturate in un certo modo e perché la politica internazionale e di alcuni Stati ha mancato su alcuni fronti, è proprio per questa consapevolezza più forte. Sono fermamente convinto che questo passi da un ruolo della società civile molto più rilevante che in passato, perch questi fenomeni e queste violenze prosperano nell'indifferenza generale.
Oggi, la società civile ha una capacità di fare pressione sugli attori istituzionali, di imporre aspettative sul comportamento che ci si aspetta dal proprio Stato, dalle proprie istituzioni e dai propri Enti di governo che credo stia diventando veramente fondamentale.
Quindi grazie per questa iniziativa. Ovviamente, un sostegno incondizionato, da parte dell'Università, per costruire reti sinergie efficaci e ricche di contenuti. Mi auguro, ma so che sarà così, che sia soltanto l'inizio di un percorso che porta anche la Regione Piemonte e le sue diverse istituzioni, inclusa quella universitaria, a essere direttamente coinvolte nella generale, come dicevo all'inizio consapevolezza critica e nell'offrire strumenti concreti su cui adesso non mi soffermo. Per noi, questo riguarda principalmente il diritto allo studio e l'accesso all'educazione nei territori dove queste vicende si verificano ma anche per le persone che fuggono per cercare protezione nel nostro Paese, componente altrettanto essenziale.
Ancora grazie, Presidente; grazie al Consiglio regionale e buon lavoro.



PRESIDENTE

Grazie, professor Stefano Saluzzo.
Lascio adesso la parola al componente della Segreteria regionale CGIL la dottoressa Anna Maria Poggio.



POGGIO Anna Maria, Componente della Segreteria regionale CGIL

Buonasera a tutte e a tutti.
Preciso, intanto, che parlo a nome di CGIL, CISL UIL e intendo, proprio a nome di CGIL, CISL e UIL regionale, ringraziare per la convocazione di questo Consiglio regionale e per aver aderito a una nostra richiesta che abbiamo avanzato a marzo di quest'anno.
Avevamo chiesto che si parlasse, in particolare, della condizione delle donne proprio in Iran e in Afghanistan, due Paesi con storie molto diverse però con una terribile analogia: in entrambi, vigono regimi teocratici camuffati da Repubbliche presidenziali, dove, in realtà, l'ideologia fondamentalista islamica è l'unica legale.
I metodi di governo sono caratterizzati da violente repressioni verso il popolo e questo si manifesta soprattutto sulle donne e sulla loro libertà. In Afghanistan, alle donne è vietato andare a scuola, lavorare possedere terre, avere denaro, non possono esprimere alcuna opinione e devono andare in giro coprendo il proprio corpo. In Iran, invece, la storia di emancipazione delle donne aveva dato loro diritto di studiare (c'è un altissimo numero di laureate nel Paese dell'Iran), di lavorare, addirittura di divorziare; purtroppo, con la Repubblica islamica, oggi guidata da Khamenei, sono presenti da anni proteste e le donne hanno fatto enormi passi indietro. Il clamore avuto con la morte di Mahsa Amini nel 2022 ha fatto emergere come i diritti conquistati fossero messi in discussione. Il divieto di cantare, di ballare in pubblico e, in particolare, l'obbligo di indossare l'hijab, è diventato motivo di violenza e di repressione nei confronti delle donne, dei giovani, degli studenti e dei lavoratori scesi in piazza per protestare contro il regime.
L'utilizzo della polizia morale ha seminato terrore tra le persone e represso con la violenza ogni diritto di libertà, di associazione e di riunione. A distanza di meno di un anno dalla morte Mahsa è calato il silenzio, come se non stesse più succedendo nulla. La verità è che gli arresti, la violenza e i numerosi giovani giustiziati hanno seminato paura tra chi esprimeva il proprio dissenso.
Una delle pratiche più aberranti, utilizzata ancora oggi, è sparare in un occhio ai giovani, alle donne e agli uomini durante le manifestazioni in modo che quando si rivolgono agli ospedali per le cure, vengono arrestati e resi invalidi per tutta la vita. Chi ha attività commerciali e vende a donne senza il velo, viene chiuso; giovani donne sono state avvelenate nelle scuole, motivo per cui oggi molti genitori sostano fuori dagli istituti per vegliare i propri figli e le proprie figlie. Eppure la notte, i giovani uomini e donne urlano dalla finestra il proprio dissenso e nel Paese si stanno ancora svolgendo scioperi contro il regime; però i sindacalisti sono perseguitati e incarcerati.
In Iran non esistono organizzazioni generali sindacali indipendenti come quelle che oggi qui noi rappresentiamo, che attraverso manifestazioni pacifiche (come quelle svolte in questo mese, ad esempio, contro i provvedimenti del Governo) esprimono la condizione di lavoratori lavoratrici, pensionati e studenti, costituendo un presidio fondamentale per la democrazia.
Il dissenso si deve poter esprimere in un Paese democratico. È per questo che, oltre a condannare tutte le guerre del mondo che colpiscono sempre di più donne e bambini, siamo impegnati da anni in progetti internazionali, promuovendo in particolare i diritti delle donne, perché è proprio la condizione delle donne il segnale del grado di democrazia e di libertà di un Paese. È sempre sul corpo delle donne che si consumano violazioni, ingiustizie ed è ciò che fa arretrare l'intera società.
A tale proposito, intendiamo ricordare che anche nel nostro Paese, dove si sono raggiunte leggi importanti a favore della parità di genere, nulla può essere dato per acquisito per sempre. Il fenomeno del femminicidio deve mettere tutti in guardia su una cultura ancora maschilista e patriarcale presente.
Lavoro, istruzione e sanità sono principi fondamentali e universali per qualunque Paese; affermare i princìpi contenuti nella Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne deve essere, per tutti noi, una priorità. Cosa si può fare di concreto oggi per il popolo iraniano? Intanto, insistere su quanto già votato al Parlamento Europeo, sul riconoscimento dei pasdaran come organizzazione terroristica. Aiutare con raccolte, fondi e staffette i giovani feriti a curarsi negli ospedali italiani, anche del Piemonte; Ad esempio la Regione, visto che la sanità è una competenza regionale, potrebbe fare degli atti concreti in tal senso.
Per questo occorre anche che venga riconosciuto loro lo stato di rifugiati proseguire sul patrocinio politico dei condannati a morte e, a livello regionale, chiediamo venga convocato il Comitato regionale di solidarietà istituito dalla legge n. 4 dell'82 e dotato di risorse.
Infine, occorre tenere alta l'attenzione, anche attraverso i mezzi di comunicazione, su quanto sta succedendo in quel Paese, esercitando una pressione internazionale che faccia emergere la profonda disperazione delle famiglie iraniane ed, in particolare, la forza di quelle giovani donne che al grido di "Donne, vita, libertà", rappresentano per tutti noi un monito di speranza per un futuro in cui donne e uomini possano completare una profonda trasformazione culturale e politica, che porti ad un'effettiva parità, anche nelle nostre rappresentanze istituzionali.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie, dottoressa Anna Maria Poggio.
Con l'intervento della dottoressa Poggio abbiamo concluso gli interventi dei relatori esterni.
Adesso darei la parola ai Consiglieri che si sono iscritti. Il primo iscritto a parlare è il Consigliere Cane. Prego, Consigliere; ha facoltà di intervenire.



CANE Andrea

Mi rivolgo all'Assemblea in cui abbiamo l'onore di essere presenti, assieme anche al pubblico del Salone internazionale del libro. Penso che questo sia un luogo simbolo della cultura e della comunicazione, quindi le parole che ho sentito prima di me hanno ancora più valore.
Oggi parleremo della condizione delle donne in Afghanistan, che richiede un'azione concreta. Siamo parlando non solo della condizione delle donne in Afghanistan, ma nel parlare della loro condizione, che è al livello più basso al mondo, parliamo in realtà della condizione di tutte le donne e anche di noi uomini, in un discorso globale.
Penso che l'analisi non valga solo per l'Afghanistan, ma, come amministratori che oggi sono rappresentati anche nelle forze di Governo dobbiamo assolutamente affrontare, dall'esecutivo fino agli Enti locali e agli amministratori dei Comuni più piccoli, questa sfida con determinazione e adottare misure che promuovano i diritti delle donne e la loro emancipazione.
Solo poco fa ho sentito raccontare da chi mi ha preceduto una vicenda terribile: pensate che nel mondo succede ancora che delle donne che manifestano vengano prese di mira agli occhi. Non ci sono tante parole dopo aver sentito questo. È innegabile che le donne afghane abbiano vissuto per decenni in un contesto di grave oppressione e discriminazione, come già detto in precedenza. Sotto il regime dei talebani, le donne sono state private dei loro diritti umani fondamentali e hanno subìto violenze e restrizioni inimmaginabili. Questo sistema, che oserei definire arretrato ha impedito alle donne di accedere all'istruzione, alla partecipazione politica, all'occupazione e alla sanità (pensate, alla sanità!), privandole così delle opportunità necessarie per realizzarsi pienamente non come donne, ma come individui.
Quando parliamo di donne, parliamo di individui. Penso che dobbiamo riconoscere il valore intrinseco della dignità umana e il principio di uguaglianza tra i sessi. Certo: tutti gli esseri umani, uomini e donne meritano gli stessi diritti, le stesse opportunità e il medesimo rispetto.
È nostro compito di politici, ma soprattutto come cittadini, agire per garantire che le donne afghane possano vivere in libertà e in sicurezza godendo di pari opportunità e di accesso alle risorse fondamentali. È nostro compito ma, aggiungerei, guardando un po' più in alto, compito soprattutto dell'Europa. Molto spesso leggiamo titoloni sui giornali su temi che non sto a citare, spesso ridicoli, che ci arrivano dall'Europa, ma forse l'Europa dovrebbe pensare un po' di più a certi temi fondamentali.
La recente presa del potere da parte dei talebani in Afghanistan ci spinge a concentrarci maggiormente su questa problematica, perché le donne afghane attualmente hanno perso ciò per cui hanno lottato negli ultimi anni e noi non dobbiamo permettere che questo accada. Come politici, dobbiamo impegnarci a sostenere le donne afghane in questa lotta per la libertà dobbiamo fare tutto il possibile affinché la loro voce sia ascoltata. Ci richiede - ripeto ancora - un'azione a livello internazionale, quindi l'appello è anche all'Europa, di modo che collabori con le Nazioni.
Sveglia, Europa! Basta far ridere i cittadini con delle notizie - ripeto ridicole. Svegliamoci! Questi, forse, sono i problemi del nostro futuro della nostra società e anche della nostra nazione, della nazione Europa molto spesso parliamo di nazione Europa, ma smettiamola - ripeto ancora una volta - con temi ridicoli e pensiamo a temi come quello di cui stiamo parlando ora.
Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo, ovviamente, esercitare pressioni diplomatiche sui talebani affinché rispettino i diritti umani. Dobbiamo far chiaramente capire che la comunità internazionale non tollererà violazioni dei diritti delle donne e che vi saranno conseguenze se i talebani non rispetteranno gli standard internazionali in materia di diritti umani. Non possiamo abbandonare le donne afghane in questo momento, ma dobbiamo promuovere iniziative come quella di oggi, che danno forza alle donne, consentendo loro di essere autonome.
Dobbiamo proseguire nel far sentire questa voce con strumenti come quello di oggi, come questo Consiglio aperto.
Ringrazio tutti coloro che hanno avuto l'idea di promuovere questa iniziativa, per la partecipazione di questo pomeriggio e per le future comunicazioni che ne deriveranno.
Io ritengo convintamente che il progresso di una nazione non possa prescindere dal progresso e dalla libertà delle sue donne. Ancora una volta, rivolgo un appello al coraggio delle donne afghane, che, con grande determinazione, nel corso degli anni hanno fatto valere i loro diritti. Ora più che mai abbiamo il dovere, soprattutto noi uomini, di sostenerle e di difendere i loro diritti. Perché non basta la voce delle donne, ci vuole la voce di tutti.
Sono convinto che unendo le nostre forze potremo contribuire ad un futuro sicuramente migliore delle donne dell'Afghanistan e dell'intero Paese. Stiamo lottando non solo per il futuro delle sue donne, ma per l'intero Paese che si chiama Afghanistan (e non solo per quello).
Lo dico ancora una volta: Europa, sveglia! Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
Lascio la parola alla Consigliera Canalis; prego.



CANALIS Monica

Grazie, Presidente.
Oggi dedichiamo questo Consiglio regionale aperto al tema dei diritti umani.
A quando risalgono i diritti umani? Risalgono al 10 dicembre 1948 quando l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Dichiarazione universale dei diritti umani, di cui quest'anno ricorreranno a dicembre i 75 anni di vita. Questa Dichiarazione fu frutto di un'elaborazione secolare, dai principi del diritto romano al Bill of Rights inglese del 1689 alla Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America nel 1776 e poi, naturalmente, alla Dichiarazione francese dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789.
Questa Dichiarazione sancisce molti principi fondamentali, tra cui la dignità e l'uguaglianza delle persone. Anche l'uguaglianza tra uomo e donna. Fu votata dall'Assemblea generale formata in quel momento da 58 Paesi: 48 di essi votarono a favore, e tra questi c'erano anche l'Afghanistan e l'Iran. Ma c'erano anche la Birmania, la Cina, Cuba l'Egitto, El Salvador, l'Etiopia, Haiti, il Nicaragua, il Pakistan, la Siria, la Turchia, il Venezuela, Paesi in cui oggi, in varie forme, i diritti umani e civili vengono ripetutamente violati.
Questo documento, nato nel 1948, doveva essere applicato in tutti gli Stati membri dell'ONU, che oggi sono 193. Ma così non è stato, a partire dai Paesi che ho citato. Sebbene la Dichiarazione dei diritti umani sia considerata una sorta di "costituzione internazionale", che ha spinto molti giuristi a considerarla quasi vincolante, come parte del diritto internazionale consuetudinario, purtroppo è stata regolarmente disattesa e ha quindi indebolito - questa non applicazione - la reputazione e l'autorevolezza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Pensate che recentemente, l'Iran è stato nominato alla guida e alla presidenza del Forum sociale per i diritti umani, che è un organismo delle Nazioni Unite.
Questo a riprova del fatto che dobbiamo fare una riflessione sulla credibilità delle organizzazioni internazionali, affinché possano davvero svolgere il loro compito e affinché la produzione normativa che da loro discende non sia lettera morta o meramente simbolica.
Oggi il Consiglio regionale del Piemonte dedica in modo significativo una seduta alla riflessione sui diritti umani e civili e credo che la nostra Regione possa essere particolarmente idonea a questo compito. Si consideri che il nostro territorio, per primo in Italia, riconobbe nel 1848 i diritti di cittadinanza alle minoranze religiose dei valdesi e degli ebrei, riconoscendo in quell'anno ai cittadini sabaudi di religione valdese ed ebraica, tramite le regie patenti, i diritti civili (non ancora quelli religiosi), i diritti politici e i diritti a frequentare gli istituti scolastici. Questa decisione, che fu assolutamente antesignana, aprì la strada al riconoscimento nel tempo delle libertà civili per le minoranze religiose, assegnando formalmente la cittadinanza a queste persone che fino ad allora, risiedevano sul territorio torinese e piemontese ma non erano "cittadini".
La regressione dei diritti di cittadinanza durante il ventennio fascista induce oggi a mantenere alta l'attenzione su queste tematiche e a promuovere iniziative di sensibilizzazione, come quella che stiamo svolgendo, e di cura della memoria storica, per accrescere, come piemontesi, l'orgoglio per quello che hanno fatto i nostri predecessori, e per accrescere la consapevolezza rispetto alle conquiste giuridiche pionieristiche ottenute nel 1848 proprio in Piemonte ed in seguito estese al resto del territorio nazionale.
Il rispetto dei diritti umani non è materia meramente giuridica per persone dotte e per esperti. In una società che cambia, e che è sempre più plurale, i diritti umani e il loro rispetto costituiscono la garanzia per il pieno sviluppo e il rispetto reciproco tra i cittadini, la garanzia per un reale rafforzamento della democrazia, il tasso di rispetto dei diritti umani e il termometro del rispetto della democrazia. Quindi una terra come la nostra, che introdusse per prima lo stato di diritto sul territorio italiano, può avere una particolare autorevolezza nel denunciare ogni fenomeno di violazione dei diritti umani in Italia e nel mondo.
Oggi abbiamo deciso di riservare una particolare enfasi alle donne dell'Iran e dell'Afghanistan, ma credo che un pensiero, prima di soffermarsi su questi due Paesi, vada rivolto anche ad altre violazioni che vengono perpetrate in questo tempo: le torture subite dai migranti in Libia; le persecuzioni delle minoranze religiose, anche dei cristiani, ad esempio in Pakistan, in Nigeria, in India, in Indonesia, in Afghanistan, in Iran; l'aumento delle esecuzioni capitali in Cina, in Arabia Saudita, in Iran; la tratta degli esseri umani; l'equiparazione dell'omosessualità a un reato in alcuni Paesi del mondo accade ancora nel 2023; le molteplici forme di sfruttamento e svilimento delle donne; lo stupro etnico; le spose bambine, la GPA, la violenza di genere, la disparità salariale; le dimissioni in bianco per ragioni legate alla gravidanza; l'esclusione dagli organismi di rappresentanza istituzionali.
La Dichiarazione Universale dei diritti umani afferma testualmente - l'ho detto prima - nel proprio preambolo che deve esistere un'uguaglianza naturale dei diritti tra l'uomo e la donna. Così non è, così non è ancora per certi versi, neanche in Italia, perché alcuni degli esempi che ho fatto accadono nel nostro Paese, non solo in Iran e in Afghanistan. E sono un tema per il nostro lavoro quotidiano di politici.
Vorrei dare qualche numero rispetto alle violazioni dei diritti delle donne in Afghanistan. Tra le 560 persone che manifestavano contro il regime nel 2022, che sono state uccise, una cinquantina erano proprio donne; sono state centinaia le scuole femminili oggetto di attacchi con gas chimico in Iran; dall'inizio dell'anno sono già state 16 le donne giustiziate e sempre di più sono le donne che vengono perseguitate per motivi risibili, come quello dell'abbigliamento o della modalità di indossare il velo.
In Afghanistan le donne sono scomparse totalmente dalla scena pubblica nonostante le parziali conquiste che erano state ottenute tra il 2001 ed il 2021. La loro condizione è terrificante: non solo non hanno più accesso all'istruzione - non ce l'hanno neanche le donne che avevano già iniziato il percorso - ma continuano ad essere molto frequenti i casi di matrimoni precoci, prima dei 15 anni. E anche i casi di commercio di donne.
Noi non possiamo tacere di fronte a tutto questo. Come Consiglio regionale del Piemonte - terra da cui, come dicevo, è partita una rivoluzione di civiltà all'inizio dell'800, quindi ben prima di altri territori - dobbiamo non solo manifestare una vicinanza culturale, ma anche una solidarietà politica e materiale; dobbiamo dimostrarci, ancora una volta, terra accogliente, terra che sa aprirsi agli altri popoli.
La competenza principale della Regione è quella della sanità. Allora io dico, Presidente: diamo un seguito a questo Consiglio regionale aperto valorizziamo le iniziative e le missioni umanitarie, anche in collaborazione con gli enti del terzo settore piemontese. Alcuni sono qui rappresentati, ci sono anche associazioni di persone di origine iraniana di persone di origine afgana. Valorizziamo le iniziative umanitarie e sanitarie per soccorrere i rifugiati e i profughi che arrivano da questi Paesi e che hanno bisogno di cure. Questa è la nostra competenza. Non rimaniamo al livello delle parole o al livello della riflessione culturale.
Come già è stato detto, offriamo patrocinio politico ai condannati a morte ingiustamente in Iran. Manifestiamo, quindi, anche in maniera concreta, la nostra vicinanza rispetto ai turpi fatti che si perpetrano in questi Paesi.
Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliera Canalis.
Do ora la parola al Consigliere Giaccone; ne ha facoltà.



GIACCONE Mario

Grazie, Presidente.
"Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti". Si apre così la Dichiarazione Universale dei diritti umani, adottata a larghissima maggioranza dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948 ancora sulle macerie vive della II guerra mondiale. Con questo atto solenne, il consesso mondiale formalizzava la sua presa di distanza dalle tenebre del suo recente passate e si apriva con speranza verso il futuro.
Quel mondo devastato dalla brutalità della sopraffazione e dal tentativo di affermare la supremazia genetica di uomini su altri uomini e di annientare chi veniva segnato con il marchio della differenza sembrava essere stato lasciato per sempre nella memoria del tempo.
Quei principi, che ritroviamo espressi anche nel testo della nostra Carta costituzionale entrata in vigore all'inizio di quello stesso anno, sono stati l'architrave su cui si è potuta sviluppare, in larga parte del mondo un'epoca di pace, di crescita e di affermazione dei diritti che non ha precedenti nella storia dell'umanità.
Questa lunga parentesi, forse, ha illuso tutti noi che il processo fosse ormai irreversibile e che fossimo destinati a non ripetere gli errori tragici del passato, ma, ancora una volta, con l'inevitabile cadenza della ciclicità, abbiamo dovuto assistere ad improvvise amnesie della storia, che ci riconducono indietro nel tempo e mettono in discussione le conquiste che credevamo acquisite. Tornano le guerre anche nel cuore della nostra Europa tornano le pulsioni violente e irrazionali e si regredisce sul fronte dei diritti civili e delle libertà, limitando e, addirittura, cancellando quanto si era raggiunto.
Viviamo un tempo incerto, dove la macchina del progresso umano sembra incepparsi ancora una volta e la minaccia del prevalere di oscurantismi ideologici e religiosi si fa concreta ed incide in maniera determinante sulla vita di esseri umani. E sapete che questo capita nei Paesi più lontani da noi, ma anche nei Paesi vicini e, per certi versi, anche nel nostro stesso.
C'è la guerra con il suo bagaglio di morte e di devastazione e il rischio di una escalation incontrollabile, ma allo stesso tempo ci sono nel mondo emergenze umanitarie e aree di vulnerabilità che da questa guerra oggi rischiano di essere oscurate o di incancrenirsi nelle ombre dell'attenzione.
Penso, ad esempio, all'Afghanistan, che sostanzialmente è abbandonato al suo destino e, com'è stato già detto, vive oggi sotto un regime talebano che ha imposto grandi limitazioni ai diritti delle donne, con una serie di misure sempre più restrittive che riducono la loro partecipazione a tutti gli aspetti della vita sociale, economica e politica del Paese. Le leggi le politiche e le prassi dei talebani puntano ad eliminare i progressi nel campo dei diritti umani per i quali la popolazione dell'Afghanistan ha lottato per decenni.
Ma penso anche all'Etiopia, dove la violenza di genere è stata una caratteristica costante dei conflitti armati che sono proseguiti e si sono allargati nei tempi recenti. Amnesty International ha denunciato più volte violenze sessuali di massa.
Penso all'Iran, il cui regime sembra essere riuscito a sopire il movimento di protesta delle donne, limitando l'accesso a internet e alle piattaforme social e attuando una campagna di repressione violenta, con arresti condanne a morte o lunghe pene detentive comminate a seguito di processi farsa.
Penso anche alla Cina, che ha conosciuto in questi decenni una crescita economica dirompente, alla quale non è corrisposta un'evoluzione altrettanto significativa sul fronte dei diritti e delle libertà della persona; su questo fronte marca ancora grandi differenze rispetto agli standard minimi internazionali.
Penso anche all'India, in cui leggi e politiche approvate senza un'adeguata consultazione pubblica e legislativa hanno eroso i diritti dei difensori dei diritti umani e delle minoranze religiose. Il Governo ha represso le minoranze religiose in modo selettivo e feroce.
Più in generale, negli ultimi anni, sono stati arrecati importanti danni al sistema legale internazionale vigente per contrastare la violenza di genere. Entro nel merito di un dettaglio anche di quanto è stato già detto nel corso delle prolusioni precedenti.
Il 1° luglio 2021, la Turchia si è ritirata dalla Convenzione di Istanbul architrave europeo per combattere la violenza di genere e assicurare i diritti delle sopravvissute; qui stiamo parlando di Europa, né di India, n di Cina, né di Afghanistan e nemmeno di Iran: seguitemi anche solo un attimo in questo passaggio. La decisione ha comportato un enorme passo indietro per i diritti delle donne e delle ragazze in Turchia e ha galvanizzato coloro che, in altri Stati del continente, portavano avanti agende contrarie ai diritti umani.
Ricordo a questo proposito che il Parlamento europeo, non più tardi del maggio 2023, ha votato il suo sì all'adesione dell'Unione Europea alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne, la cosiddetta Convenzione di Istanbul.
Ricordo, inoltre, ad alcuni colleghi che hanno parlato prima di me sul fatto che l'Europa debba svegliarsi, che alcuni politici italiani non solo non hanno votato a favore, ma si sono astenuti e 2 hanno votato contrariamente. Non voglio fare nessuna polemica, ma dico solo che forse anche qui in Italia dobbiamo ancora un po' svegliarci su certi temi fondamentali.
Il quadro generale richiede un rapido innalzamento dei livelli di guardia e le conquiste raggiunte con fatica e con un lungo cammino possono essere smantellate in breve tempo. Organismi come Amnesty International svolgono in questo senso un ruolo imprescindibile nel documentare, segnalare e diffondere le tante violazioni dei diritti umani nel mondo, ma occorre con urgenza che siano rafforzati gli organismi internazionali, capaci di incidere con azioni concrete e che possono essere una diga efficace che garantisca l'attuazione reale delle enunciazioni di principio della Dichiarazione universale dei diritti umani e le difenda da ogni loro minaccia.
La morte di Mahsa Amini, la ventiduenne curdo-iraniana, nel settembre del 2022, nel momento in cui era detenuta dalla polizia morale (quando leggo il termine polizia morale, non cito Orwell, ma parlo della realtà) è solo la punta dell'iceberg di un fenomeno regressivo cui, insieme alle donne iraniane coraggiosamente in lotta, dobbiamo opporci con ogni mezzo possibile.



PRESIDENTE

Grazie.
La parola al Consigliere Riva Vercellotti e, poi, alla Consigliera Accossato.



RIVA VERCELLOTTI Carlo

Grazie, Presidente. Grazie, colleghi e tutte le persone presenti a questo Consiglio regionale aperto.
Il Gruppo di Fratelli d'Italia vuole innanzitutto esprimere la propria vicinanza e solidarietà a tutte le donne iraniane, afgane e di ogni parte del mondo che lottano ogni giorno per difendere i propri diritti e la propria libertà. Noi siamo al fianco di queste donne, a cui stanno rubando la speranza, perché non c'è avvenire senza libertà e pari dignità.
Come ha già fatto il nostro Governo, come ha già fatto la Regione, anche il Gruppo di Fratelli d'Italia, qui in questa sede, con forza e fermezza vuole condannare le violente repressioni in atto dalla teocrazia oscurantista iraniana e dal regime dell'Afghanistan talebano; una teocrazia che uccide che violenta, che imprigiona le proprie figlie e i propri figli, persone che protestano per il velo, protestano per avere spazi maggiori nella società e nel lavoro.
La cosa che fa male è pensare che l'Iraq, l'Afghanistan, questa parte straordinaria del mondo avrebbe enormi possibilità: quanta storia, quanta cultura, quante risorse straordinarie! Però, le troppe violazioni, le troppe esecuzioni arbitrarie, le torture, le discriminazioni nei confronti delle donne e nei confronti delle minoranze, le restrizioni alle libertà vanno a limitare enormemente queste potenzialità, perché sono un freno alla crescita, allo sviluppo della cultura, della società, della economia di quei luoghi.
In Iran sono già più di quarant'anni che le donne sfidano le autorità l'apparato, la polizia morale, di cui si parlava prima; mi fa piacere ricordare in questa sede che più di 40 anni fa fu proprio un'italiana per prima a sfidare il regime di Khomeini: era Oriana Fallaci, in una famosa intervista del 26 settembre 1979. Dopo così tanti anni di repressione, le ragazze iraniane ancora oggi ereditano questa forte indole alla rivoluzione dai propri genitori, dalle proprie madri, dai propri nonni e dalle proprie nonne che prima di loro hanno combattuto per la libertà.
Ecco, le donne iraniane sono una fonte inesauribile di coraggio e di resilienza ed hanno ispirato in tanti anni ancora oggi tantissime persone lungo il loro cammino. Mi fa particolarmente piacere evidenziare che vicino a queste donne oggi in Iran ci sono dei ragazzi, dei giovani che sono al loro fianco; invece, mi fa male al cuore pensare che solo venerdì ero qui al Salone del Libro, quando mi hanno comunicato che tre ragazzi venivano uccisi dal regime iraniano.
E poi l'Afghanistan. È stato detto già molto da chi mi ha preceduto: lì, la situazione delle donne probabilmente è ancora peggiore rispetto all'Iran. Le donne in Afghanistan non sono donne, non sono considerate donne, non so nemmeno se vengono considerate come degli animali; peggio degli oggetti da possedere. Le donne in Afghanistan non hanno dignità, non hanno libertà, non hanno spazio: a loro è vietato tutto. È vietato essere donna; è vietato essere una persona libera.
Queste sono cose che a noi occidentali possono sembrare indegne e inaccettabili ed è per questo che è importante che la comunità internazionale prenda una posizione forte contro l'incubo che ancora oggi vivono queste persone per mano del regime talebano. Il regime talebano è un'offesa all'umanità ed è per questo motivo che il nostro Gruppo avverte forte il dovere di sostenere le donne afgane e iraniane, perché salvare loro è importante per il mondo intero. Anche il Piemonte, nel suo piccolo deve farsi carico di questo.
Vengo alla conclusione, appellandomi a tutte quelle donne, a tutti quei giovani resistenti e a tutti quei giovani patrioti dicendo loro: forza coraggio, noi siamo con voi! La storia ci insegna che la libertà vince sempre. Il nostro auspicio oggi, è che questa nuova ondata di rivendicazioni popolari sfoci quanto prima nella conquista di diritti universalmente riconosciuti e garantiti ma senza pensare che è fondamentale un cambio nel regime verso un modello democratico, un obiettivo che l'Europa in primis deve portare avanti. Bene quanto già fatto, ma molto si può ancora fare, a partire da una rivalutazione degli accordi sugli scambi commerciali tra Unione europea e il Medio Oriente.
Concludo dicendo che, nella contrapposizione sempre più globale tra democrazie e autocrazie, considero le donne iraniane fiori del deserto capaci di resistere alle asperità del terreno e del clima, capaci di portare speranza e bellezza, perché sono uno straordinario esempio di resilienza, uno straordinario esempio di speranza per tutti gli altri movimenti che lottano per la libertà e per l'affermazione dello Stato di diritto.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere, Riva Vercellotti.
Ha chiesto di intervenire la Consigliera Accossato; ne ha facoltà.



ACCOSSATO Silvana

Grazie, Presidente.
Inizio anch'io con un ringraziamento a chi ha sollecitato questo momento pubblico in Consiglio regionale: da un lato, la Commissione diritti umani, dall'altra, le organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL, che già alcuni mesi fa ci hanno richiamati all'esigenza di un momento di approfondimento e di confronto su questi temi.
Ringrazio loro per questa occasione, ringrazio chi di loro è presente e voglio salutare anche le rappresentanze degli esuli iraniani presenti nel nostro territorio. Qualcuno di loro so essere oggi presente, con i quali in tutti questi anni, abbiamo mantenuto rapporti e abbiamo cercato di sostenere la loro causa, che ha trovato un momento di risonanza internazionale dopo il drammatico omicidio di Mahsa Amini e la rivolta delle donne che, come si diceva, è presente da quarant'anni e cerca di mantenere viva l'opposizione al regime teocratico.
Con questa sensazione di ringraziamento per chi si impegna quotidianamente e per chi vive in prima persona, come gli esuli e chi soffre le dittature e l'oppressione, ho percepito il dovere di intervenire oggi in questo Consiglio regionale aperto, non nascondendo un grande senso di inadeguatezza e una grande difficoltà.
Mi rendo conto di come sia facile per noi parlare qui, in un consesso democratico e in un Paese libero, al di là dei sentimenti e delle emozioni provate in questi mesi o in questi anni nelle diverse battaglie e lotte che ciascuno di noi, nella propria storia politica, ha portato avanti; tuttavia in questo momento sento forte il peso di un'inadeguatezza e di una distanza da quelle battaglie.
Mi sto chiedendo cosa effettivamente stiamo facendo. Mi soffermo soprattutto sul tema della situazione in Iraq e in Afghanistan, con la consapevolezza, come è stato richiamato da tanti, che la mancanza di diritti umani, in particolar modo l'oppressione delle donne, riguarda molte parti del nostro pianeta (situazioni a cui non è indifferente l'Occidente ma poi ci tornerò).
Tuttavia, in questo momento mi sto chiedendo, al di là delle nostre dichiarazioni, quante aziende italiane stanno continuando i loro commerci e le loro attività con l'Iran o con i Paesi che consideriamo non democratici.
Quante relazioni diplomatiche sono volte, non a mettere in difficoltà e a pungolare, perché la diplomazia si fa con tutti, ne sono consapevole, ma quante siano asservite alle decisioni e quante tentino di non mettere in difficoltà quegli Stati per paura di mettere in discussione pesanti situazioni economiche e, magari, per paura di ripercussioni sulla bilancia dei pagamenti? Questo fa parte delle nostre contraddizioni.
Vedete, colleghi Consiglieri, ho sottoscritto - l'ho dico anche al Presidente - convintamente l'ordine del giorno presentato e credo sia importante uscire da questo Consiglio regionale con un documento votato da tutti, per cui non mi sono soffermata sui particolari. Personalmente colgo tutta l'incompletezza e l'esigenza di andare oltre gli elementi e gli impegni presi in quell'ordine del giorno. Colgo l'esigenza, che invece mi è sembrato di cogliere oggi nel dibattito, di evitare un'autoassoluzione per l'Occidente e di evitare una contrapposizione Occidente-il resto del mondo che, sicuramente, non ci può far bene.
Sicuramente noi siamo orgogliosi dei diritti che abbiamo conquistato la Consigliera Canalis prima ce l'ha ricordato - a partire dalla Rivoluzione francese in avanti; siamo ovviamente orgogliosi delle battaglie che le donne hanno portato avanti e dei diritti che hanno conquistato, ma noi sappiamo anche che, troppo spesso, ciò che succede in giro per il mondo è anche responsabilità di questo Occidente, che ha pensato di poter esportare la democrazia e che non si è chiesto perché, dopo vent'anni di occupazione in Afghanistan, la situazione sia quella che oggi abbiamo denunciato.
Cosa abbiamo fatto? Cosa abbiamo lasciato in quel Paese? Cosa abbiamo capito di quel Paese come occidentali dopo vent'anni di occupazione asserragliati nelle principali città con i talebani che continuavano a governare sostanzialmente tutto il territorio, con l'approvazione - ahinoi diciamolo - di buona parte di quella popolazione? Quando non si ha da mangiare, quando si è in situazioni di difficoltà, la prima soluzione è quella di mettersi anche nelle braccia dei propri carnefici.
Credo che non possiamo esimerci da una valutazione dei nostri comportamenti, dal ruolo che noi, mondo occidentale, abbiamo rispetto al pianeta nel suo complesso. Dobbiamo prendere atto di un sempre progressivo indebolimento degli organismi internazionali e dell'ONU che qui è stato richiamato, ma di nuovo ci sarà una colpa anche di quei paesi occidentali che hanno cercato di affamare l'ONU in questi anni. Ricordiamoci che gli Stati Uniti preferiscono non finanziare l'ONU - ancorché abbia sede a New York, a casa loro - perché lo considerano nemico, e se un rappresentante iraniano è stato nominato Presidente del Forum per i diritti umani, una responsabilità è sicuramente anche del nostro mondo, che ha preferito far finta di niente o girarsi dall'altra parte.
Credo che di questo dovremmo continuare a discutere, così come sul tema della violenza alle donne. Guardate che il patriarcato continua a imperversare anche in Occidente, continua a cercare di avere i suoi spazi e ahimè - le guerre si fanno sul corpo delle donne: sempre, fa parte della storia e, purtroppo, non torniamo indietro o non facciamo passi avanti rispetto a questa situazione.
Anche a me, qui, tocca fare un richiamo. Se c'era un'occasione importante per la quale tutte le forze politiche che anche in questo Consiglio regionale oggi si esprimeranno a favore dei diritti umani e al fianco delle donne afghane e iraniane era quella di votare la Convenzione di Istanbul al Parlamento europeo, di dare corso a quel documento, a quello strumento contro la violenza alle donne, contro l'oppressione femminile, per la piena autodeterminazione e libertà delle donne. Non voglio entrare nel merito di politiche più strettamente locali nelle quali l'autodeterminazione delle donne, anche in Piemonte, viene spesso messa in discussione. Oggi mi interessa uscire da qui con un documento condiviso, quindi farò la mia parte votando, ma credo che non ci possiamo né autoassolvere né pensare che abbiamo finito il nostro compito con questo intervento. Dobbiamo stare al fianco del Comitato dei diritti umani ma, soprattutto, dobbiamo pungolare il nostro Governo, dobbiamo lavorare perché ci siano effettivamente politiche internazionali, politiche economiche che vadano nella direzione dei giusti rapporti nord-sud del mondo.
Concludo, perché credo di aver esaurito il mio tempo, ma ribadisco un pensiero che hanno già richiamato altri colleghi. Non possiamo pensare di essere, da un lato, accanto a quelle donne e a quegli uomini che subiscono torture e vengono massacrati e, dall'altro, girarci dall'altra parte, far finta di niente quando arrivano con i barconi, con i gommoni e annegano nel nostro Mediterraneo. Le due cose stanno insieme, non stanno da due parti diverse.
Bene una unità - fa piacere sentire dire dai colleghi uomini "prima di tutto le donne", non può che farmi piacere dopo 40 o forse anche 50 anni di battaglie femministe, non posso che essere contenta - ma quella per me è un punto di partenza. Vi aspetto in altri momenti, all'approvazione di altri passaggi per capire se, davvero, saremo dalla stessa parte.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliera Accossato.
Ha chiesto di intervenire la Consigliera Disabato; ne ha facoltà.



DISABATO Sarah

Grazie, Presidente.
Saluto tutti i presenti che sono intervenuti in questa occasione di Consiglio regionale aperto sui fatti che stanno avvenendo in Iran e in Afghanistan. Ringrazio il Presidente anche per l'intitolazione della piazzetta dell'Arena Piemonte a Mahsa Amini, che è una donna che con il suo sacrificio sta dando coraggio a tante altre donne per rivendicare i propri diritti e per lottare per la propria libertà. Ci troviamo in questa autorevole sede a discutere nuovamente di un tema che ci sta fortemente a cuore.
In Iran e in Afghanistan sono in atto, su un palcoscenico davvero triste tante violenze, violazioni e crimini e non sono gli unici Paesi, purtroppo a perpetrare questo tipo di fatti. Questo rappresenta una sconfitta per l'umanità, rappresenta una sconfitta per tutti noi, ma rappresenta soprattutto una doppia sconfitta se consideriamo l'alone di silenzio che circonda questi gravi fatti, anche a livello mediatico. Purtroppo, come spesso accade nei fatti di cronaca, se ne parla soltanto all'inizio, poi tutto viene messo a tacere da altri fatti, forse anche meno gravi, ma che oscurano tutte quelle che sono le violazioni dei diritti umani che stanno avvenendo in altre parti del mondo.
Purtroppo, le date del 15 agosto 2021 e 16 settembre 2022 rappresentano dei momenti cruciali che hanno determinato uno stravolgimento del panorama internazionale globale. Hanno segnato e continuano a segnare tuttora la storia di due Paesi, l'Afghanistan e l'Iran, che con la loro vita, le loro sorti di intere generazioni di donne e ragazze e bambini subiscono innumerevoli violenze e tipi di violazioni.
Il ritiro delle truppe americane da Kabul e il conseguente ritorno al potere dei talebani ha significato per donne e bambine afghane la perdita di ogni diritto conquistato negli ultimi vent'anni. Il regime segregazionista talebano ha imposto una serie di divieti che, di fatto annullano qualsiasi possibilità di vita fuori dalle mura domestiche per donne e bambini.
Tanti divieti sono stati già citati negli interventi che mi hanno preceduta. Tengo però a ripeterli perché è importante, per noi, capire ci che viene messo in atto su popolazioni che presumibilmente potrebbero sembrare tanto lontane da noi e che forse non riusciamo nemmeno a comprendere. Leggendo l'elenco di questi divieti, mi sono resa conto di quanto sia fortunata a vivere in un Paese civile, lontano da questo tipo di violenze.
È stato imposto il divieto assoluto di lavorare e di svolgere professioni, quindi solo alcune donne medico e infermiere hanno ancora il permesso di lavorare negli ospedali di Kabul.
C'è il divieto assoluto di uscire di casa, se non accompagnate da un Mahram (un parente stretto, un padre o un fratello, che, appunto accompagna le donne nei loro percorsi e nei loro momenti di vita).
Divieto di trattare con negozianti di sesso maschile.
Divieto di studiare in scuole, università e in altre istituzioni educative.
Obbligo di indossare il lungo velo, che copre ovviamente da capo a piedi il volto e il corpo delle donne.
Frustate, percosse e invettive verbali sono le punizioni che le donne devono subire se non vestono secondo le regole imposte dai talebani o se non sono accompagnate da un Mahram.
Frustate in pubblico per tutte le donne che hanno le caviglie non coperte.
Lapidazioni pubbliche per le donne accusate di avere relazioni sessuali al di fuori del matrimonio, anche se queste avvengono sotto regime di violenza.
Divieto di uso di cosmetici.
Divieto di parlare o di dare la mano a uomini diversi da un Mahram.
Divieto di ridere ad alta voce.
Divieto di andare in taxi senza un Mahram.
Divieto di apparire in radio, in televisione o comunque indossare vestiti di colore acceso, perché potrebbero provocare reazioni negli uomini che incrociano il volto o il corpo delle donne.
Questi sono soltanto alcuni dei divieti che sono stati messi in piedi in Afghanistan, ma anche in Iran succedono dei fatti gravissimi. Dopo la morte di Mahsa Amini, la ventiduenne curdo-iraniana avvenuta il 16 settembre scorso a seguito della detenzione in un centro di polizia morale in cui era stata rinchiusa per non aver indossato correttamente il velo, si susseguono manifestazioni e proteste, si registrano 19.000 persone arrestate, esecuzioni e impiccagioni in tutto il Paese. Sono numerosi i giovani che hanno perso la vita per difendere la loro libertà e i loro diritti in un Paese che doveva rappresentare la loro casa, un luogo in cui vivere una vita serena, lontano da percosse e violenze.
Sono restrizioni e violazioni che sembrano lunghe da leggere, quasi inimmaginabili per chi invece vive in un Paese civile come il nostro.
Sarò breve, Presidente, perché molto è già stato detto negli interventi di chi mi ha preceduta, però è importante essere qui, oggi, per schierarsi dalla parte delle donne che subiscono sulla loro pelle e sulla loro vita l'arretramento dei diritti e gli attacchi alla loro autodeterminazione e alla loro libertà.
Credo che sia importante, in questa sede, comprendere tutte le mobilitazioni che si verificano in difesa dei diritti e delle libertà delle donne, perché non sono soltanto Paesi culturalmente arretrati a rendersi palcoscenico di questo tipo di violenza; anche in Paesi civili e in Paesi occidentali si mette in atto una sorta di violenza che potremmo definire "violenza istituzionale", tramite leggi e provvedimenti che vengono messi in atto e mirano ad offendere e a limitare quelli che sono i diritti delle donne.
A volte basta una semplice dichiarazione da parte di un politico e questi diritti vengono messi a forte repentaglio o vengono percepiti dalle donne come un possibile momento di arretramento. Lo dico, Presidente perché anche la collega Accossato ha avuto il coraggio di dirlo; pure in Piemonte abbiamo visto degli atti che hanno minato fortemente l'autodeterminazione delle donne e la tranquillità morale e culturale di poter conservare quelli che sono dei diritti affermati: si chiama "violenza istituzionale" (non si può definire in nessun altro modo).
Concludo, perché i tempi stringono. La mia solidarietà è rivolta a tutte le donne che in Paesi sotto conflitto o sotto dittatura lottano per vedere mantenuti i loro diritti. La mia solidarietà è rivolta a tutte le donne che in tutti i Paesi, anche in quelli occidentali, si schierano dalla parte dei diritti e vogliono vederli garantiti senza alcun passo indietro.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliera Disabato.
Do ora la parola alla Consigliera Biletta.



BILETTA Alessandra Hilda Francesca

Grazie, Presidente.
Rivolgo, a nome di tutto il Gruppo di Forza Italia, un saluto a tutte e a tutti i presenti.
Consentitemi, inoltre, un ringraziamento sincero al Presidente del Consiglio regionale e a tutto l'Ufficio di Presidenza per essere tornati su un tema tanto importante all'interno della cornice del Salone del Libro di Torino.
L'Assemblea regionale ha più volte affrontato le questioni legate ai diritti della donna, pronunciandosi in maniera corale per la ferma condanna delle violazioni dei diritti umani. Oggi ci concentriamo su due realtà emblematiche: l'Iran e l'Afghanistan, appunto.
Il Consiglio regionale ha ospitato la piazza dedicata ai diritti umani e civili intitolata a Mahsa Amini, uccisa dalla polizia morale iraniana lo scorso 16 settembre perché non rispettava il severo codice di abbigliamento della Repubblica islamica.
Da questa tragica esecuzione sappiamo come si sono moltiplicate nel Paese le manifestazioni di protesta che hanno portato in piazza milioni di uomini e donne. Ancora una volta, quindi, confermiamo la nostra vicinanza e solidarietà alle donne di questi Paesi e a tutti coloro che in questi anni lottano e hanno lottato contro i regimi che hanno negato loro i diritti, e condanniamo quindi ogni tipo di violenza perpetrata sui manifestanti e contro ogni violazione delle convenzioni internazionali a tutela dei diritti umani.
Non voglio però dimenticare che la donna vede negati i suoi diritti fondamentali, purtroppo, anche in tanti altri Paesi del mondo. Come sappiamo, le realtà che le donne vivono nelle diverse parti del mondo costituiscono un quadro molto variegato. Certamente, in occidente molto è stato fatto e molto resta ancora da fare; in altre regioni del pianeta però, in modo particolare in Africa e nei Paesi di cultura araba, la situazione è ben diversa.
Alcuni dati possono aiutare. A livello mondiale, in media, le donne possono contare su un 75% dei diritti in meno rispetto a quelli di cui godono gli uomini. Sappiamo che oggi esistono 40 milioni di persone vittime di forme di schiavitù moderna, quali il lavoro, il matrimonio forzato, il traffico di esseri umani: più di sette su dieci sono donne. Più di 200 milioni di ragazze e donne devono poi convivere con le conseguenze delle mutilazioni genitali, altri 4 milioni rischiano di subire la pratica ogni anno. Vi è poi la questione del matrimonio precoce, che attualmente riguarda 650 milioni di donne, forzate a sposarsi prima dei 18 anni: ogni anno sono almeno 12 milioni di ragazze.
Lo studio ONU avverte che, in assenza di interventi efficaci, altri 120 milioni di giovanissime rischiano di subire la stessa sorte. Anche il mancato pagamento della dote può degenerare in fatti violenti, fino alla morte della ragazza o della donna la cui famiglia non è riuscita a onorare l'impegno economico. Nella sola India sono stati calcolati 8000 morti e ogni anno vengono commessi circa 5000 delitti d'onore, soprattutto in Medio Oriente e Asia meridionale, Pakistan in testa. Sono 43 i paesi che non hanno una legge per punire lo stupro perpetrato dal partner e più di 30 quelli che limitano il diritto delle donne a muoversi liberamente fuori dalle proprie case. Per quanto riguarda la piaga della violenza domestica nel mondo colpisce 137 donne ogni giorno, uccise al 58% dal partner o da un membro della propria famiglia. Poi, essere donne con disabilità aumenta del 30%, le probabilità di subire violenze sessuali e complica ulteriormente le sfide per disporre del proprio corpo.
Dovremmo infine occuparci seriamente dell'Italia, prima di cercare di esportare all'estero la nostra democrazia. In Italia, i dati ISTAT mostrano che ancora un 31,5% delle donne ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner. Il 7,4% degli italiani dai 18 anni in su afferma di essere stato vittima di stalking, ossia vittime di persone che le hanno perseguitate: il 74-75% di queste sono donne. Otto donne su 10 dichiarano di aver subìto conseguenze negative sulla vita lavorativa dopo la nascita del figlio, motivate soprattutto dalla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. Il 60% delle donne teme ripercussioni sul lavoro e rimanda così la decisione di diventare mamma. Il 42,6% delle madri tra i 25 e 54 anni rinuncia a lavorare a causa degli impegni familiari, con un divario di più di 30 punti percentuali rispetto ai loro compagni.
Le istituzioni hanno colmato solo in parte il gap tra generi e non basta, anche se è già un passo avanti la norma del Codice Rosso per superare questioni culturali che si combattono solo dalla scuola e dalle famiglie.
C'è tanto da fare in tutto il mondo sul tema dei diritti delle donne.
Credo che sia più facile partire da casa propria; anche da una politica estera dell'Unione europea che non chiuda gli occhi per interessi momentanei: i diritti delle donne, in particolare di quelle minorenni, non possono aspettare.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliera Biletta.
Con questo ultimo intervento abbiamo concluso il Consiglio regionale aperto, ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno, sul tema "Riflessione sui diritti umani e civili, con particolare riferimento alla condizione femminile in Iran e in Afghanistan".
La seduta è tolta.



(La seduta termina alle ore 17.39)



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