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Dettaglio seduta n.24 del 15/10/19 - Legislatura n. XI - Sedute dal 26 maggio 2019

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ALLASIA



(La seduta inizia alle ore 9.36)



PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento: Protezione della natura (fauna, flora, minerali, vigilanza, ecc.)

Assemblea aperta ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno. "Ambiente e clima, quali soluzioni per il futuro?"


PRESIDENTE

Ricordo che la seduta consiliare odierna è convocata in assemblea aperta ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno, per la trattazione del tema "Ambiente e clima, quali soluzioni per il futuro?".
È con grande piacere che mi accingo a dare inizio a questo Consiglio aperto salutando i rappresentanti delle istituzioni, del mondo accademico, del lavoro, della società civile, che hanno voluto essere presenti.
Il tema dell'ambiente e della sua tutela non è certo nuovo nel mondo occidentale, tanto che un autorevole dibattito tra gli esponenti del mondo scientifico è aperto da decenni. Negli ultimi anni, tuttavia, sulla scorta di una risonanza globale resa possibile dall'odierna comunicazione sulla rete, la questione si è presentata con un'enfasi e un vigore fino a poco prima sconosciuti, imponendosi come un problema di coscienza anche all'uomo comune.
A mio parere, in un mondo in cui ogni cambiamento sociale ed economico risulta accelerato rispetto a un tema per la massa sempre crescente di forze umane che si muovono in un contesto globalizzato, l'argomento va affrontato con la massima serietà, senza cedere a strumentalizzazioni superficiali o interessate.
Il fatto che vi siano criticità evidenti per l'equilibrio ambientale della Terra non giustifica visioni catastrofiche alla Savonarola, spesso dirette in primo luogo all'affermazione di sé e non accompagnate da proposte e interventi nell'affrontare il problema. D'altronde, poiché, come dice il poeta, nessun uomo è un'isola, noi tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo nella consapevolezza che esso potrà produrre i suoi frutti solamente se identiche ed efficaci misure di rispetto dell'ambiente saranno prese da tutti gli attori responsabili dell'odierna situazione.
E coloro i quali dovranno muoversi più energicamente sulla strada dello sviluppo sostenibile del pianeta non sono certamente i Paesi dell'Europa occidentale, che forse per primi, in tempi non sospetti, hanno affrontato la materia tenendone conto anche a livello di opinione pubblica.
Il discorso è, a maggior ragione, valido nel momento attuale, in cui gli eventi del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti e ci spronano a cercare soluzioni: dal comportamento individuale alla pianificazione strategica delle grandi organizzazioni produttive e alle direttive politiche, che siano non solo di rapida applicazione, ma anche efficaci nel produrre risultati.
Rimane, in ogni caso, doveroso, dato che il problema non è più avvertito come marginale, ma di rilevante importanza nel dibattito politico, non abbassare la guardia e coinvolgere cittadini e istituzioni nel processo di sensibilizzazione nei confronti di una materia su cui si giocano battaglie di fondamentale rilievo per definire lo sviluppo del pianeta e gli equilibri geopolitici del mondo intero. A essere in discussione non è infatti, solamente il modello di sviluppo delle generazioni attuali, ma soprattutto la crescita sostenibile di quelle a venire.
Ben venga, quindi, un dibattito franco, informato e costruttivo fra tutti i soggetti in grado, anche nella nostra regione, di dare il proprio prezioso, contributo.
Comunico ai colleghi che gli atti d'indirizzo già presentati ed eventualmente gli altri atti che si vorranno presentare verranno messi in discussione nell'odierna seduta pomeridiana.
Do, ora, la parola a Gian Piero Godio, rappresentante dell'Associazione Pro Natura. Le ricordo che ha dieci minuti a disposizione; cerchiamo di rimanere nei tempi, perché la lista degli interventi è lunga.



GODIO Gian Piero, Associazione Pro Natura

Buongiorno, sono Gian Piero Godio per Pro Natura Piemonte.
Grazie, Presidente e grazie al Consiglio regionale, che ha voluto sentire le associazioni di tutela ambientale.
Per chi, come me, fa parte di un'associazione di tutela ambientale (ma credo per tutti), è una grande fortuna che, nell'80% dei casi, la tutela del clima e la tutela dell'ambiente vadano di pari passo. Pertanto, per questo 80% di casi, è inutile interrogarsi, come a volte si fa, se il cambiamento climatico sia o no provocato dalle attività umane, perché, in ogni caso, per tutelare il clima servono gli stessi comportamenti che dovrebbero essere assunti per tutelare l'ambiente e la salute dall'inquinamento. Anzi, in questi casi l'emergenza climatica pu contribuire addirittura a dare slancio alle iniziative di tutela ambientale e viceversa.
Come affermava bene il Presidente nell'introduzione, in questi casi l'emergenza è veramente emergenza e quindi bisogna passare - ed è questo il momento - dalla propaganda e dalle iniziative dimostrative di sensibilizzazione alle azioni concrete, in pochi anni, cambiando di passo.
Ciascuno deve fare la propria parte (anche questo veniva già detto): da un lato, i cittadini, ma la loro azione personale non basta e non può bastare dall'altro lato, le Istituzioni (la Regione, le Province, i Comuni, anche le imprese), ma neppure queste da sole possono bastare. Si devono attivare entrambi, si potrebbe dire dal basso e dall'alto.
Gli esempi di questa consonanza fra tutela dell'ambiente e tutela del clima sono molti. Io ne faccio qualcuno: dobbiamo, ad esempio, triplicare, perch occorre portare avanti delle azioni vere ed efficaci, gli impianti fotovoltaici attraverso, ad esempio, l'istituzione di un fondo rotativo per gli impianti che vengono realizzati sulle coperture. Avremo meno emissioni climalteranti, avremo anche meno emissioni inquinanti per la produzione di energia.
Dobbiamo azzerare il consumo di suolo, dobbiamo rigenerare i suoli degradati, piantare e allevare milioni di alberi anche dentro le città attuando immediatamente quanto prescritto anche dalle leggi già esistenti.
Dobbiamo triplicare l'agricoltura biologica (dico dei numeri un po' forzati, ma per capire che il passo deve essere veramente grande), la vera agricoltura biologica, quella che non consuma energia con i pesticidi e che rispetta la salute e l'ambiente.
Dobbiamo dimezzare il consumo di prodotti animali (questo è più un compito dei cittadini); così facendo evitiamo le emissioni climalteranti degli allevamenti e il consumo di suolo agricolo per i foraggi e miglioriamo la salute.
Dobbiamo annullare le colture agricole che hanno finalità esclusivamente energetica, destinando alla produzione di energia solamente quegli scarti delle produzioni per uso alimentare che già sono disponibili.
Dobbiamo provvedere all'isolamento termico degli edifici, sostenendolo anche in questo caso, forse attraverso un fondo rotativo per i cittadini a più basso reddito.
Bisogna ridurre i rifiuti e recuperare i materiali di cui sono costituiti: basta con le discariche, specie se in zone alluvionabili, o in zone ad alta qualità agronomica, o in zone che non dispongono di barriere geologiche naturali che proteggano la falda acquifera sottostante. Semmai, sarà opportuno trattare le vecchie discariche, invece che realizzarne di nuove! Oggi però - faccio un breve inciso - le cose non vanno così: penso, ad esempio, alla proposta di una nuova discarica di rifiuti speciali a Frugarolo (una delle più recenti), in provincia di Alessandria, in un'area che di questi prerequisiti non ne ha neppure uno. Speriamo che la Regione che è parte in causa, esprima un parere negativo. Insomma, c'è ancora molto da fare.
È necessario implementare prioritariamente i trasporti pubblici locali con investimenti massicci, dappertutto, prima - diciamo noi - di altre iniziative trasportistiche, quali i treni ad alta velocità come la Torino Lione o il Terzo Valico.
Occorre agevolare la mobilità dolce, privilegiare i veicoli elettrici o ibridi, e arrivare a un Piemonte libero dai diesel entro il 2025, come ci siamo riproposti.
Ancora, si devono evitare nuove trivellazioni per estrarre combustibili fossili di qualsiasi tipo. Shell ha ritirato in questi giorni il suo progetto, che riguardava il Novarese e parte del Vercellese. Se la Regione crede veramente nella riduzione delle emissioni climalteranti e, al tempo stesso, inquinanti, in questo caso deve esprimere parere negativo su tutte le procedure analoghe su tutto il territorio regionale.
Certo, vi è un 10% di casi in cui la tutela del clima contrasta, in qualche modo, con la tutela dell'ambiente. Vorrei soffermarmi anche su questi. In questi casi, occorrerà, ovviamente, comparare oggettivamente e scientificamente gli effetti delle possibili scelte, perché non si muore di sola CO2, neanche in Europa! Porto alcuni esempi: per la combustione delle biomasse vegetali occorrerà valutare davvero in modo trasparente e onesto qual è l'energia ricavata e qual è l'inquinamento che si produce dalla combustione della legna, e confrontarli con quello che i boschi possono dare come "fornitori" di servizi ecosistemici, come serbatoi di CO2 e come risorsa naturale.
Veniamo agli impianti mini e micro idroelettrici sui piccoli corsi d'acqua naturali che forniscono una bassa quantità di energia: devono essere evitati, a nostro avviso, quando riducono la naturalità del corso d'acqua specie dei corsi che sono tutelati e che sono di elevata qualità. E non ci devono essere deroghe per nessun tipo di strategicità.
Anche qui, però, le cose oggi non vanno così: penso, ad esempio all'impianto proposto a Rassa, in Valsesia, in provincia di Vercelli, sul torrente Sorba, nel bacino dell'alto Sesia, che è uno dei due soli bacini fluviali classificati come "a elevata tutela"; si tratta di un impianto che, a far bene i conti, quasi non genera nemmeno utili, ma al quale la Regione sta per confermare il riconoscimento della cosiddetta "valenza strategica". Spero che questo non avvenga.
Veniamo, poi, alla combustione dei rifiuti, altro argomento controverso: a fronte della poca energia recuperata dalla combustione, l'uso dell'inceneritore deprime la raccolta differenziata e il conseguente recupero dei materiali che costituiscono i rifiuti.
Da ultimo, parliamo degli impianti di teleriscaldamento, anche qui a volte controversi: devono avere un saldo di emissioni climalteranti e inquinanti sempre positivo, anche a livello locale, e per tutti gli inquinanti.
Altrimenti, perché realizzarli? Vi è, poi, un altro 10% di casi - mi avvio alla conclusione - dove la tutela dell'ambiente non ha sostanziali effetti né positivi né negativi sulla tutela del clima (sempre parlandone sbrigativamente). Ci tengo a precisarli, perché avevo capito che si parlasse anche di ambiente, e non solo di ambiente in relazione al clima, per cui sono comunque aspetti determinanti che vorrei citare. Ad esempio, in merito alla tutela delle falde acquifere profonde, la Regione le ha individuate nel proprio PTA con grande precisione: ora le protegga davvero dalle attività a rischio, dalle discariche, eccetera eccetera. Ancora, per quanto concerne la tutela della biodiversità e della naturalità, la Regione protegga davvero le proprie aree protette - scusate il gioco di parole - anche con limitazioni dell'attività venatoria e dei relativi ripopolamenti, e con rigorose valutazioni d'incidenza.
Per le grandi opere, si scelga di investire in quelle appropriate, ad esempio nell'isolamento delle falde acquifere, che in tutta la pianura sono comunicanti per effetto delle precedenti trivellazioni. Ancora, s'investa nella prevenzione dal dissesto idrogeologico, nella realizzazione delle casse di laminazione naturale per evitare le alluvioni, eccetera.
Si sostenga, poi, l'applicazione di nuove tecnologie solo se non aumentano l'esposizione ad agenti potenzialmente dannosi, oppure solo se preventivamente ne è stata dimostrata l'innocuità per la salute e per l'ambiente. Anche in questo caso, mi pare che le cose non stiano andando però così: penso, ad esempio, all'introduzione del 5G, una tecnologia promettente sotto certi punti di vista, ma che fino ad ora non ha avuto le garanzie sul non aumento dell'esposizione dei cittadini ai campi elettromagnetici ad alta frequenza, e senza una preventiva dimostrazione sperimentale della sua innocuità. La Regione, in proposito, potrebbe aggiornare la propria normativa, incentivando i Comuni a proporre adesso prima dell'introduzione del 5G, dei piani di localizzazione che abbiano l'obiettivo di rendere l'esposizione quanto più bassa possibile.
Infine, sul nucleare, le Associazioni Pro Natura e Legambiente vengono da quell'esperienza: si escluda il suo utilizzo - lo do quasi per scontato come fonte energetica utile, a causa della sua pericolosità e della durata delle scorie radioattive, nonché delle emissioni anche di gas climalteranti dovute a tutti i cicli a monte e a valle delle centrali.Non ci si dimentichi neppure che, purtroppo, i materiali radioattivi della vecchia stagione nucleare, che si è conclusa nel 1987, sono all'80% in Piemonte e sono in siti a rischio (come quello di Saluggia) che vanno liberati al più presto da ogni tipologia di materiale radioattivo.
In tutti i casi - e concludo veramente - la situazione richiamata dal Presidente e l'urgenza di risolvere concretamente queste problematiche impongono anche provvedimenti di più ampio respiro e di metodologia globale.
Occorre riorientare la ricerca, stante l'ovvia limitatezza delle risorse esclusivamente verso la sostenibilità, per aumentare l'efficienza in ogni processo, per aumentare il rendimento delle fonti rinnovabili, in particolare di quelle a più basso impatto ambientale; magari anche per il nucleare da fusione (ma solo per quel "nucleare da fusione" che è senza radiazione neutronica, che altrimenti renderebbe radioattivi i materiali) o anche su nuove tecnologie per le telecomunicazioni, ma, come ho già detto, solo se sono in grado di evitare un aumento dell'esposizione della popolazione.
Infine, come metodo - se mi consentite l'espressione - occorre smetterla con i giochetti, oppure, in altre parole, smetterla di farci fessi da soli: si faccia sempre un'analisi oggettiva e scientifica sugli effetti diretti e indiretti delle varie scelte (effetti nello spazio e nel tempo), con un approccio LCT-LCA (Life cycle thinking-Life cycle assessment), che un tempo era considerato un passatempo per ambientalisti troppo idealisti, ma che per fortuna, oggi è diventata materia d'insegnamento abituale nei nostri corsi universitari. Questo dovrebbe essere l'approccio che noi raccomandiamo.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
La parola alla signora Adriana Elena My, Presidente dell'Associazione Italia Nostra.
MY Adriana Elena, Associazione Italia Nostra Buongiorno a tutti.
Rappresento Italia Nostra, com'è già stato detto.
In un momento di emergenza climatica e ambientale, come quello che stiamo vivendo, e di cui tutti o quasi tutti siamo consapevoli, gli studenti che scendono in piazza ci chiedono di fare presto. E allora diventa centrale il tema della transizione, che ormai ha il fiato corto da uno stile di vita a un altro, da un modello di sviluppo, ormai insostenibile, che ha per oggetto la crescita infinita, a un altro. È necessario riprogettare una società sostenibile.
Il ruolo dell'informazione è cruciale, ma non sempre sufficiente: è necessario diffondere maggiormente questa consapevolezza e il ruolo delle Istituzioni è fondamentale.
Che cosa significa vivere secondo criteri di sostenibilità? È già stato detto molto e, comunque, sentiamo ogni giorno le stesse cose. Significa ridurre i consumi, consumare solo ciò che è realmente necessario, ignorando le mode effimere; promuovere un'economia circolare che massimizzi il riuso degli oggetti e il riciclo dei materiali e minimizzi la produzione dei rifiuti.
È necessario riparare gli oggetti, gli elettrodomestici, anziché comprarli nuovi, ed evitare gli acquisti superflui; anche al supermercato prediligere prodotti sfusi alle confezioni di plastica; soprattutto, e possibilmente scegliere quei negozi che vendono i prodotti già sfusi e anche i Gruppi d'Acquisto sono un modo per evitare le confezioni di plastica.
Occorre ridurre sensibilmente il consumo di carne, la cui produzione richiede più acqua, energia, fertilizzanti e, quindi, più emissioni serra pratiche agricole e di allevamento meno invasive, riduzione di fitofarmaci e concimi; mantenimento della biodiversità; ridurre gli sprechi di energia.
Più efficienza energetica negli edifici a partire da quelli pubblici cappotti per la riduzione delle dispersioni, uso d'infissi appropriati e così via, in tutti i processi industriali.
Massiccio ricorso alle fonti rinnovabili; scegliere fornitori di energia al 100% rinnovabile ed etica; razionalizzare l'uso dei trasporti che dovranno essere sempre di più elettrici o ibridi; dismettere veicoli a benzina e diesel. Già Gran Bretagna, Olanda, Francia e Norvegia hanno annunciato di voler dismettere gradualmente benzina e diesel in un periodo previsto dal 2025 al 2040. La mobilità sostenibile si realizza riducendo drasticamente l'uso dell'auto privata, per lasciare spazio alla mobilità dolce (pedonale e ciclabile) e rafforzando il trasporto pubblico locale con mezzi ecologici. In questo modo, ci si riapproprierebbe di spazi urbani che ora quasi non vediamo: piazze e strade riconquistate alla socialità.
Consumo di suolo e cementificazione. In Italia continuiamo a distruggere il suolo: otto metri quadri al secondo! Non è ancora stata approvata una legge che ne regoli e ne riduca il consumo. Il terreno dovrebbe servire per la produzione alimentare, per la depurazione delle acque, per la protezione dalle alluvioni, per la sottrazione del carbonio dall'atmosfera per il mantenimento di un paesaggio gradevole al turismo e a noi stessi. È necessario mettere uno stop al consumo di suolo per incentivare ristrutturazioni, riconversioni e bonifiche di aree dismesse.
Le grandi opere trasportistiche (autostrade, superstrade, ferrovie) devono essere stoppate, non servono, non servono più. Il professor Marco Ponti del Politecnico di Milano ritiene che in Italia d'infrastrutture ce ne siano già abbastanza e che è improbabile che i nuovi megaprogetti propagandati come indispensabili siano decisivi per lo sviluppo del Paese.
Piantare alberi in città, lungo i fiumi, nei parchi nelle rotonde, nelle campagne ai margini dei campi coltivati. Purtroppo, con la scusa della sicurezza automobilistica non si fanno più alberate lungo le nostre strade ma al nostro paesaggio viene a mancare qualcosa: ripiantiamo viali alberati e andiamo più piano rispettando il codice stradale. Come tutti sappiamo, le piante riducono il cambiamento climatico, assorbendo anidride carbonica e producendo ossigeno, ospitano uccelli e insetti utili, riducono le isole di calore durante le ondate di calore estivo, rinfrescando l'atmosfera, fanno più bello il paesaggio e, quindi, la nostra vita, perché esiste interconnessione fra le creature, come insegna il Cantico francescano: un tipo di coscienza che dobbiamo recuperare, perché quello di uomini e alberi è un destino inscindibile. Piantare alberi ovunque sia possibile è un atto di fiducia nel futuro.
Riforestare le città avendone poi cura. Purtroppo, in questi ultimi tempi assistiamo invece a frequenti abbattimenti di alberature nelle nostre città e non è sempre per situazioni di sicurezza. Piantare alberi, che sono un filtro per l'aria e per l'acqua, che contribuiscono alla termoregolazione del pianeta, ci aiuterà a rallentare il corso del cambiamento climatico.
Scrive Claude Lévi-Strauss: "Un tempo la natura aveva un significato che ognuno, nel suo intimo, percepiva. Avendolo perso, l'uomo oggi la distrugge e si condanna". Sì, perché la natura può vivere e continuare a generare e rigenerare anche in assenza dell'uomo; al contrario, noi senza la natura non esisteremmo.
Secondo l'autore di un saggio pubblicato in Francia, Antonin Pottier ricercatore al Centre d'Économie Industrielle dell'École des Mines de ParisTech, "l'attuale modello economico dominante deforma la realtà e ci impedisce di prendere i giusti provvedimenti". Di fronte ai segni premonitori di una crisi epocale che investirà noi e le generazioni future non possiamo permetterci di affidarci a un'economia astratta e isolata dalla biofisica planetaria, da cui dipendiamo. C'è il pianeta di Greta che pulsa di vita e c'è il pianeta di Goldman Sachs che produce dividendi e che vorrebbe continuare a estrarre, bruciare e cementificare. Noi vogliamo vivere in quello di Greta. La sezione di Bra di Italia Nostra ha organizzato un convegno sull'importanza del verde e degli alberi in città.
Il convegno avrà luogo sabato 19 ottobre e lascio un po' di programmi e inviti.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
Volevo comunicare che nella giornata di sabato il collega Grimaldi è diventato papà di una bella bambina di nome Lea. A nome mio e del Consiglio regionale, desidero esprimere le felicitazioni al collega e alla mamma di Lea. Felicitazioni vere.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola Giorgio Prino, rappresentante dell'Associazione Legambiente.



PRINO Giorgio, Associazione Legambiente

Grazie a tutti.
Nel ringraziare il Consiglio regionale per l'attenzione, rinnovo l'augurio fatto a giugno al Presidente della Regione Piemonte e alla nuova Giunta da parte della nostra Associazione. Con esso Legambiente si augura che le grandi questioni ambientali siano al centro delle riflessioni e dell'impegno della Regione, consapevoli del fatto che la sfida ai cambiamenti climatici e la riduzione delle emissioni dei gas climalteranti primo fra tutti la CO2, sono le grandi questioni che vanno affrontate a livello globale, partendo però da azioni territoriali, qui e ora.
La cosiddetta "generazione Greta", che sarà ben rappresentata da Legambiente dopo di me, quelli nati in questo millennio, ha capito di essere la protagonista di una sfida vittoriosa oppure la prima vittima di una battaglia persa. Vorrebbe vivere da adulta tra vent'anni e poterlo raccontare qui, a emissioni zero, in smart city con meno auto e senza rifiuti da smaltire, in case ecologiche, usando sono prodotti riciclati ed energie rinnovabili, mangiando cibo biologico e sostenibile, in comunità aperte e multiculturali, senza discriminazioni tra chi può e chi no. Ma non abbiamo tanto tempo e quindi dobbiamo considerarci tutti "generazione Greta", tutti quanti, cittadini di una società in transizione, perché la conversione ecologica interpella ciascuno di noi. Non si può pensare infatti, che il cambiamento passi soltanto dalle decisioni di chi governa pure esse fondamentali e che dobbiamo pretendere e chiedere a gran voce. Le nostre scelte di cittadini e amministrazioni sono gli ingredienti decisivi in questa rivoluzione, perché di rivoluzione si parla, ogni giorno, con semplicità e coerenza ma con decisione.
La nuova campagna "ChangeClimateChange" di Legambiente lancia l'allarme e detta con chiarezza la sfida. Ci restano 12 anni, forse, per provare a mantenere l'aumento delle temperature sotto il grado e mezzo rispetto ai livelli preindustriali. Tutto questo è però possibile, dobbiamo crederci dobbiamo lottare per questo, ma solo dimezzando l'attuale livello di emissioni entro il 2030 e azzerandolo entro il 2050. Per riuscirci serve un cambiamento repentino e radicale, facendo leva sull'innovazione tecnologica e sulla conoscenza individuale di ciascuno di noi, cittadini, imprese istituzioni, insieme. Non è solo un problema globale, ma è un problema locale ed è anche localmente che dobbiamo agire.
Per farlo, gli obiettivi devono essere concreti: un nuovo modello energetico, rinnovabile, con l'uscita rapida dalla schiavitù delle fonti fossili, una strategia di adattamento, resilienza e rigenerazione che parte dalle città, le città come le nostre, e coinvolge aree interne e tutela delle foreste e del suolo, come già raccontato dai miei colleghi. Inoltre una forte attenzione al rischio idrogeologico, di cui il Piemonte è vittima, lotta all'emergenza siccità, una nuova agricoltura con forti incentivi al biologico, ma biologico che vuol dire qualità e anche gusto. E una mobilità sostenibile a zero emissioni, senza dimenticare una concreta riconversione industriale - perché è anche delle aziende che dobbiamo parlare - ed economica, a favore del paradigma circolare.
Per questo consideriamo inaccettabile il depotenziamento del provvedimento antismog, definendolo un provvedimento miope, che mette a rischio la salute e le tasche dei cittadini. Chiediamo che la Regione s'impegni a garantire alternative efficaci all'uso dell'auto. Da anni ormai la nostra regione è sotto procedura d'infrazione europea per smog e questo incide sulla salute dei cittadini, nonché potenzialmente sulle loro tasche. La strada che per primi devono adottare i Sindaci è quella della mobilità nuova, anche attraverso strumenti che, se correttamente utilizzati, si rivelano vincenti, come il Piano urbano della mobilità sostenibile. Per Legambiente occorre prendere come riferimento il Piano aria regionale approvato a marzo di quest'anno, che concentra la maggior parte delle risorse sul settore dei trasporti, in particolare ancora sulla mobilità urbana. Dobbiamo certamente auspicare l'eccellenza e non accontentarci di piccoli miglioramenti.
Troviamo poi piacevolmente riscontro alla domanda già posta ai candidati regionali prima delle elezioni. Sugli eventi sostenibili, in tale occasione chiedevamo che il patrocinio oneroso fosse concesso solo a chi s'impegnasse alla sostenibilità complessiva dell'evento, usando prodotti del territorio "acqua del Sindaco", facendo attività di educazione ambientale, usando energie rinnovabili, pianificando al contempo una mobilità sostenibile e una corretta gestione dei rifiuti, in particolare auspicando una politica plastic free. Proprio su quest'ultimo punto, iniziando dagli eventi sportivi, la Giunta e, in particolare, gli Assessori allo sport e all'ambiente, hanno annunciato delle linee guida di lotta a "bottigliette gadget". Nell'apprezzare molto questa iniziativa, che va nella giusta direzione anche dal punto di vista educativo e comunicativo, chiediamo che anche gli altri punti della nostra proposta siano presi in esame, partendo magari proprio dalla pianificazione della mobilità in sede di eventi e manifestazioni.
Ci spiace poi leggere - forse solo dal punto di vista giornalistico - una contrapposizione che appare forzata con Greta Thunberg e il movimento Friday for Future, una contrapposizione che nulla aggiunge alle politiche da perseguire. Insomma, oggi praticamente tutti si rendono conto del cambiamento climatico in atto e solo alcune riducibili minoranze dubitano della causa antropica come principale fattore.
Molti sono, invece, rassegnati al peggio e ritengono inutile e costoso il cambiamento, anche marginale, del proprio stile di vita (è il nostro stile di vita che dobbiamo mettere in gioco). Noi pensiamo, invece, che si possano fare delle scelte come singoli, associazioni e amministrazioni.
Siamo qui con lo spirito di chi si propone di fare insieme quelle scelte con onestà intellettuale e di criticare le azioni che non ci trovano d'accordo, ma con la volontà di appoggiare, sostenere e veicolare quelle positive che davvero possono cambiare in meglio il nostro ambiente, la nostra qualità di vita e il nostro Piemonte.
Molti pensano che il problema sarà accantonato come altre volte. Che è già successo, che passerà di moda, che la spinta del movimento Fridays for Future si esaurirà presto, che sarà sufficiente dare un contentino, come vietare le cannucce di plastica o qualche forma di green hosting, attuare qualche rivoluzione generica o avviare programmi che ragionino solo sul 2050. Noi siamo sicuri, invece, che stiamo assistendo a un cambiamento epocale che, in breve tempo, coinvolgerà tutti, proprio tutti e che costringerà a fare scelte immediate, molto più pesanti, che ci piaccia o no. Sta a noi, auspicabilmente insieme, prepararci, guidare il cambiamento o essere travolti dai cambiamenti climatici. Insomma, discutiamo di come fare le cose, anche animatamente se serve, ma affrontiamo i problemi possibilmente insieme, per il nostro pianeta ma, prima di tutto, anche per noi stessi.
Grazie a tutti.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Ha facoltà di intervenire Lanfranco Nicolò del movimento Fridays for Future.



LANFRANCO Niccolò, Fridays for Future

Buongiorno a tutte e a tutti.
Mi chiamo Nicolò Lanfranco e sono un membro del Fridays for Future. Il nostro è un movimento internazionale, universale, che coinvolge tutti.
Siamo nati per chiedere azioni da parte dei Governi ma, al tempo stesso vista la nostra capillarità, agiamo anche nel locale per quello che possiamo fare.
Oggi siamo qui per chiedervi di prendervi le vostre responsabilità in qualità di politici, di rappresentanti, di adulti, di genitori e di umani.
Avete delle responsabilità verso la salute dei cittadini che rappresentate avete delle responsabilità nei confronti della scienza, avete delle responsabilità verso la nostra generazione ma, soprattutto, verso le generazioni che verranno.
Il 10 settembre siamo venuti in audizione consiliare a portarvi un messaggio. Il 27 settembre abbiamo dimostrato che quel messaggio è l'urlo di 140 mila piemontesi, un milione d'italiani e otto milioni di esseri umani. Oggi ci aspettiamo una risposta. Ci aspettiamo che comprendiate la situazione e che prendiate atto dell'emergenza in cui ci troviamo.
Pretendiamo che da domani questa dichiarazione venga trasformata in fatti.
Un ragazzo che nasce e cresce in Piemonte vive in media due mesi in meno rispetto a un suo coetaneo di un'altra regione italiana. Da anni la Pianura Padana è costantemente oltre la soglia di sicurezza dell'OMS per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico. Questo è solo uno dei problemi. I cambiamenti climatici nei prossimi anni diventeranno la minaccia per eccellenza nella nostra regione, se voi continuerete a ignorarla e a non agire. Vi basti pensare che la temperatura massima media piemontese è aumentata di due gradi in soli sessant'anni. Questo significa che i nostri figli e i nostri nipoti non conosceranno più questa regione come l'abbiamo vista noi, non sapranno cosa è un ghiacciaio, non sapranno cos'è la neve. I nostri ghiacciai alpini, che sono ormai diventati degli indicatori terrestri del cambiamento climatico, ci mostrano la loro sofferenza.
Dall'inizio del Novecento abbiamo perso il 50% della massa glaciale e il 70% di questa solo dagli anni Settanta. Si parla di milioni e milioni di metri cubi di ghiaccio persi ogni anno. Questo deve allarmarci.
Nella nostra regione l'estate 2019 è stata la terza più calda di sempre. La società meteorologica italiana ha registrato drammatiche perdite di ghiaccio quest'estate, con una serie di bilanci negativi che vanno ad assommarsi a quelli degli scorsi anni. Ad esempio, sul ghiacciaio del Ciardonay del Gran Paradiso, quest'estate abbiamo perso un metro e 65 centimetri di spessore e ben otto metri di fronte glaciale.
Non stiamo parlando di qualcosa che sta accadendo in un luogo lontano l'emergenza climatica è qui, nella nostra regione. Quando i nostri nipoti chiederanno perché nessun politico ha avuto a cuore il nostro futuro, cosa risponderete loro? Che non lo sapevate? Che non ci credevate? O che era più facile girarsi dall'altra parte? Dobbiamo essere tutti uniti in questa battaglia. Noi stiamo facendo tutto ciò che possiamo e ora tocca anche a voi fare il vostro. Il futuro della nostra specie si decide qui e ora, con ogni singolo provvedimento legislativo che approverete e potrete difenderlo o affossarlo: è una grande responsabilità, ma anche un grande onore. A voi la scelta!



(Applausi in aula)



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SALIZZONI



PRESIDENTE

La parola a Massimo Berutti, Senatore della Repubblica italiana e componente della Commissione Territorio e Ambiente.



BERUTTI Massimo

Grazie e buongiorno a tutti.
Ringrazio il Presidente Allasia, l'Ufficio di Presidenza e la Conferenza delle Presidenze dei Gruppi consiliari, ognuno per le proprie competenze per aver deciso di dar vita a un momento di confronto così importante sul tema dell'ambiente e per avermi invitato a partecipare. Il fatto che permettetemi di usare questo termine - il nostro Consiglio regionale abbia calendarizzato un momento di confronto aperto sull'ambiente, dimostra l'attenzione delle istituzioni piemontesi a quanto accade fuori dal palazzo e conferma un modus operandi di questa terra di cui tutti noi possiamo essere orgogliosi.
Sono particolarmente lieto di poter intervenire in quest'Aula sul tema dell'ambiente perché, dopo essere stato impegnato qui come Consigliere regionale, ho l'occasione preziosa di condividere con voi alcuni temi e alcune riflessioni che stiamo sviluppando in Senato, dove ho l'onore di poter guardare ai temi ambientali dalla prospettiva privilegiata della XII Commissione permanente Territorio Ambiente e Beni Ambientali.
In ragione di questa esperienza, sono certo si debba guardare ai temi ambientali in due prospettive: una di metodo e una di merito. Per quanto riguarda il metodo, oggi, quando le questioni ambientali hanno opportunamente trovato un posto prioritario nell'agenda dei decisori politici a tutti i livelli di governance, è fondamentale dare l'opportuna attenzione ai fenomeni mediatici, senza però farsi trascinare da un manicheismo semplificatorio che distingue, sommariamente, tra buoni e cattivi, senza orientarsi ad azioni concrete da intraprendere.
Resto sul metodo, dunque.
Oggi disponiamo di strumenti sviluppati, a livello internazionale, che sono fondamentali per orientare le politiche nazionali e regionali verso azioni concrete a difesa dell'ambiente. Penso, in particolare, all'Agenda ONU 2030, per lo sviluppo sostenibile, che contiene un programma d'azione per le persone, il pianeta e la prosperità e che offre 17 obiettivi, per lo sviluppo sostenibile, in un programma d'azione per un totale di 169 target.
Quell'Agenda, veicolata a livello nazionale da soggetti come l'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, è una possibile cornice concreta per l'orientamento delle politiche pubbliche alla sostenibilità ampiamente intesa, che può essere effettivamente declinata nella concretezza delle nostre decisioni legislative e amministrative. Ovviamente non si tratta di demandare ad altri le scelte che competono alle istituzioni nelle quali ognuno di noi, per le proprie competenze, opera, ma di un'occasione per avere un orientamento comune che metta al centro l'ambiente e la sostenibilità. Un esempio in questo senso è quello che ci arriva dalla Lombardia, dove si stanno provando a declinare gli interventi regionali considerando anche il loro inquadramento e l'impatto nell'ottica dall'Agenda ONU 2030.
Il secondo aspetto di metodo che vorrei brevemente condividere è relativo alla necessità di votarsi, negli interventi sull'ambiente, a un significativo pragmatismo. Sono convinto, infatti, che nessuno di noi possa permettersi di impostare la riflessione e le azioni sull'ambiente, in un orizzonte che faccia dell'aspetto della preservazione, della tutela e del mantenimento, una scusa per non agire.
Oggi, la sfida per tutti noi, decisori pubblici, è di costruire e implementare azioni concrete, con sostanziali risvolti anche economici per le imprese e i soggetti che animano il nostro Paese. Come ci ha insegnato Adam Smith, non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma è dalla cura che essi hanno per il proprio interesse. Non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro interesse personale. Solo costruendo politiche che tengano conto di questa citazione classica, forse abusata, ma sempre vera, potremo avere politiche adeguate che tengano insieme sostenibilità ambientale ed economica.
Questo secondo aspetto di metodo mi porta agli aspetti di merito. Parlare di ambiente e cambiamento climatico significa parlare di un universo sterminato di azioni, interventi, politiche e anche di un corollario infinito di conseguenze, che gli interventi e i mancati interventi possono comportare.
Tra questo elenco sterminato di possibili azioni voglio condividere con voi quelle sulle quali stiamo concentrando l'attenzione in Senato e mi vedono coinvolto direttamente. Mi riferisco, in particolare, al consumo del suolo e alla gestione dei rifiuti, con riferimento all'End of Waste, un tema sul quale, come legislatore nazionale, dobbiamo agire rapidamente, per permettere alle imprese, che vogliono fare dell'economia circolare il proprio orientamento di business, di avere un quadro legislativo che consenta di operare senza vincoli inutili.
Sul primo tema, l'impegno della XIII Commissione del Senato è solido.
Stiamo lavorando all'elaborazione di un testo unificato che tenga conto delle diverse istanze contenute nelle proposte legislative sul consumo del suolo, tra cui quella di cui io sono primo firmatario, per giungere a un intervento normativo che contribuisca a salvaguardare l'ambiente, a partire dalle molte possibilità di utilizzo del patrimonio esistente e, dunque mettendo al centro anche le opportunità economiche che gli interventi ambientali devono tenere ben presente.
Per quanto riguarda il tema dei rifiuti, tutti noi sappiamo come gestione e smaltimento abbiano un impatto ambientale significativo. In questo senso credo che l'End of Waste sia una misura concreta per realizzare, secondo i principi del diritto europeo, la cosiddetta "società del riciclo e recupero", in un'ottica di economia circolare.
In particolare, l'End of Waste è un processo che consente a un rifiuto di trasformarsi in un non rifiuto, cioè in un prodotto. Si legittimerebbe così, normativamente, la trasformazione di un costo in valore e si uscirebbe dalla disciplina amministrativa e dai controlli dei rifiuti.
Anche su questo tema, a livello sovranazionale, le cose stanno mutando come dimostrano i regolamenti europei sui metalli, vetro e rame. A livello nazionale, dunque, dobbiamo fare di più. L'ambiente deve diventare la leva principale per il futuro dell'economia del Paese. Spetta a tutti noi, come classe dirigente che non deve avere paura delle proprie responsabilità lavorare su azioni, interventi e politiche che consentano di difendere in modo propositivo l'ambiente per il nostro Paese e i suoi cittadini di oggi e di domani.
Quella odierna è una prima occasione in questo senso e sono certo che sapremo utilizzarla al meglio.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie.
La parola a Marco Marocco, Vicepresidente della Città metropolitana di Torino.



MAROCCO Marco, Vicepresidente Città metropolitana di Torino

Grazie, Presidente.
Gentili colleghe e colleghi, la tutela e la protezione dell'ambiente sono diventate ormai un'esigenza di primaria importanza.
Da alcuni anni, nell'opinione pubblica si è consolidata la consapevolezza dell'opportunità di salvaguardare l'ambiente. Si tratta di un impegno indispensabile, ma che necessita di un approccio coordinato in tutte le istituzioni.
La Regione Piemonte ha storicamente svolto un ruolo di coordinamento tra le Province, assumendo in passato anche atti tesi a regolamentare o a indirizzare le stesse Province in materia ambientale. In questo ruolo d'indirizzo deve trovare nuova forza attraverso l'apertura di Tavoli di discussione, da cui derivare interpretazioni e soluzioni condivise, per permettere agli operatori di svolgere le proprie attività seguendo indicazioni omogenee su tutto il territorio regionale.
È necessario che si ragioni in termini di sistema, definendo Tavoli specifici e permanenti, volti a individuare gli impatti sulle attività delle autorità competenti e sul territorio. Mi riferisco, in ambito rifiuti, al progetto teso a uniformare le prescrizioni degli atti autorizzativi o all'interpretazione in materia d'interventi per il miglioramento dello stato qualitativo delle risorse idriche, che negli ultimi anni ha visto poche occasioni di confronto. In tale occasione, la Regione potrebbe informare le Province e la Città metropolitana sulle tematiche trattate sui Tavoli con i Ministeri, che riguardano le nostre funzioni.
Vi è, inoltre, la necessità di rinnovare normative ormai troppo datate. Mi riferisco alla normativa sulla VIA e sul rilascio dei permessi di ricerca e le concessioni delle acque minerali, sottoposta a importanti modifiche legislative statali che non hanno visto un adeguamento regionale comportando problemi interpretativi nella sua applicazione. Tra l'altro, i canoni (sia quelli dei permessi di ricerca sia quelli delle concessioni e dell'imbottigliamento delle acque minerali) non sono proporzionati rispetto agli impatti ambientali sul territorio che ha la diffusione delle acque minerali. Ad esempio, l'utilizzo massiccio della plastica e del trasporto su gomma sulle lunghe distanze: anche in questo caso, l'uso vincolato di tali proventi a favore d'interventi in campo ambientale sarebbe di grande aiuto nella difesa dell'ambiente.
Occorre superare rapidamente la situazione di stallo che si è venuta a creare nella costituzione dei nuovi Consorzi, a seguito dell'entrata in vigore della legge regionale 1/2018 in materia di gestione rifiuti e servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. Esiste già una soluzione pronta e percorribile, giustificata anche dalla necessità di risparmio ed efficienza amministrativa ed è quella di utilizzare gli enti di area vasta che da sempre operano e conoscono il territorio.
Concludo, ovviamente sempre in tema di difesa ambientale, con l'urgenza di affrontare, a distanza di quasi quattro anni dall'entrata in vigore della legge sul riordino delle funzioni provinciali, un percorso serio e condiviso di modifica, non solo della legge regionale 23, ma dei relativi accordi tra Regione ed Enti locali sul personale distaccato e in avvalimento. Quest'ultimo punto, a oggi, risulta essere il nodo drammatico e più urgente da affrontare per l'esercizio delle funzioni a noi delegate.
Ne cito una per tutte: i 21.000 ettari di parchi e di siti Rete Natura 2000 delegati alla Regione, da gestire con tre tecnici e vigilare con sette agenti, che si occupano anche di tutto il territorio della Città metropolitana di Torino.
Dalle capacità di fare squadra e dalla volontà di migliorarsi correggendo gli errori, si potrà misurare la capacità della classe politica di saper leggere e comprendere le reali esigenze del nostro Paese, le necessità di sapersi correggere verso l'efficienza della Pubblica Amministrazione senza proclami, valorizzando le realtà efficienti, premiando gli Enti virtuosi riconoscendo i meriti di tanti dipendenti pubblici che erogano servizi e lavorano per la nostra grande collettività.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola ad Arturo Lincio, Presidente della Provincia del Verbano Cusio Ossola.



LINCIO Arturo, Presidente Provincia Verbano Cusio Ossola

Buongiorno a tutti.
Mi atterrò ai temi relativi ai doveri istituzionali dell'Ente che qui rappresento, quindi, per primo, al problema dei rifiuti, con qualche spunto sulla normativa relativa all'ambiente, essendo - la nostra - una Provincia montana non solo a parole. È chiaro che le casistiche sono, in ogni caso di rilevanza generale.
Per quanto riguarda i rifiuti, negli anni sono stati ingenti gli sforzi economici sostenuti dai Comuni per attivare servizi di raccolta in grado di raggiungere gli attuali eccellenti risultati di raccolta differenziata. I Comuni si trovano, infatti, in una duplice condizione di svantaggio rispetto al resto della Regione per la scarsa densità demografica che rende onerosa la raccolta delle diverse tipologie di rifiuto e soprattutto la perifericità territoriale che amplifica i costi di trasporto verso i centri di conferimento.
La previsione tariffaria per l'anno 2020 formulata dal gestore dell'impianto di attuale conferimento prelude, poi, all'ennesimo aumento peraltro immediatamente successivo ad altri applicati nell'anno in corso con prospettiva, stante l'organizzazione dei trasporti, di costi unitari per il conferimento e lo smaltimento del rifiuto urbano residuo prossimo a 200 euro/tonnellate. Problematiche, quindi, non solo relative all'aumento delle tariffe di smaltimento, ma anche alla mancata attivazione nell'Ambito Territoriale Ottimale (ATO) regionale rifiuti (vedi legge regionale n.
1/2018) e conseguente non avviata politica tariffaria su scala piemontese Inoltre, la verifica dei vincoli dettati dalla normativa PAI, in un approccio più attualizzato della normativa stessa, in relazione agli impianti esistenti per l'individuazione di aree idonee ove realizzare impianti a tecnologia semplice dal ridotto impatto ambientale.
I lavori d'innalzamento degli argini, nel nostro caso, sono da tempo affidati e mai iniziati. Da questo fatto dipende non solo il rinnovo delle autorizzazioni ambientali a numerose ditte operanti sul territorio, ma soprattutto la classificazione in idonea fascia del territorio per la realizzazione delle opere necessarie alla Provincia per i nuovi impianti problemi sempre burocratici.
Poiché nel nostro Paese c'è una storica tendenza a coprire le inefficienze e le incapacità del sistema rifiuti in generale, problema che invece è prioritario in assoluto per l'ambiente (si veda anche il discorso plastiche), concentrando la visibilità della politica ambientale su altri interventi che offrono un più facile palcoscenico sia di visibilità che di tuttologia, mi preme sottolineare che in tema di ambiente è necessario evitare che la Regione infligga i divieti più pesanti ai territori più deboli, disattendendo i diritti costituzionali dei cittadini e penalizzandoli per aver conservato il territorio fino a oggi tra mille difficoltà, per darlo a disposizione di chi ne ha fatto, o continua magari a farne, scempio nelle città.
Vi è, infatti, anche il problema delle pulsioni settoriali (diciamo così) non coincidenti con gli interessi generali. Sovente, la motivazione dell'urgenza degli uffici regionali non consente di fornire ai vari esecutivi regionali che si sono succeduti la necessaria conoscenza delle diverse problematiche fondamentali per l'azione amministrativa, in particolare per quanto riguarda le tematiche complesse, come quelle ambientali, non affrontabili con approcci semplicisticamente settoriali.
Ciò genera una confusa sovrapposizione ai piani territoriali e alle pianificazioni comunali, favorendo i contenziosi e la complicazione anziché la semplificazione.
Il sostegno alle possibilità d'innovazione, che possono incentivare la presenza dei giovani in agricoltura e, in particolare, in montagna, per impedirne l'esodo, è fondamentale. Anche a livello legislativo la voce delle categorie professionali, specificamente adeguata ad affrontare temi come la sostenibilità, deve trovare possibilità di espressione per impedire che impostazioni legislative settoriali e non sempre scientifiche possano causare più danni che benefici alla società, con il risultato dell'abbandono della montagna e del dissesto idrogeologico.
Per terminare, se ancora continuiamo a credere nella democrazia, e se non è superata da valori superiori, che però ci devono essere spiegati, la validità dell'espressione delle consultazioni regionali, alle quali noi richiamiamo la Regione Piemonte, se riguarda temi di competenza dei Consigli comunali, è testimoniabile solo dalle deliberazioni degli enti stessi. È altresì necessario che per il controllo degli atti riguardanti le consultazioni vi sia un controllo dei casi d'irregolarità segnalati da diversi enti.
È necessario, infine, definire tempi coerenti per l'analisi e la valutazione della documentazione, per consentire alle amministrazioni le opportune espressioni di pareri in tempi coerenti con la complessità dei contenuti: per volumi elaborati in anni (almeno in un anno) si concedono 15 giorni per esprimersi! Siamo ovviamente al ridicolo.
È inimmaginabile che con una semplice illustrazione s'intenda esaurire una consultazione, per cui noi reclamiamo la dignità alla responsabilità di chi rappresenta le necessità vitali di chi abita il territorio e deve poter difendere criteri di equità e non di discriminazione dei servizi essenziali. Ciò auspicando, appunto, che si sappia evitare che strumenti di partecipazione come le consultazioni si trasformino in un burocratico percorso di silenziamento degli enti consultati, vanificando il processo partecipativo delle Autonomie locali, che è alla base del percorso democratico.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola Marco Bussone, Vicepresidente di UNCEM Piemonte.



BUSSONE Marco, Vicepresidente UNCEM Piemonte

Grazie, signor Presidente e signori Consiglieri, per questa seduta, perch credo che ci possa servire a mettere a terra una serie di opportunità e di proposte che dovranno essere inserite nei prossimi anni di legislazione regionale fondamentalmente per rispondere ad alcuni macro obiettivi che ci derivano dal contesto internazionale.
Tanti hanno richiamato l'azione di Greta Thunberg. Io richiamo, se volete l'azione che ha mobilitato la politica con l'enciclica "Laudato si'" di Papa Francesco, piuttosto che i premi Nobel per l'economia dello scorso anno, che hanno studiato il rapporto fra lo sviluppo e la geografia, quindi come si organizza lo sviluppo locale in funzione del cambiamento climatico.
Richiamo, altresì, la prima donna che ha vinto il premio Nobel per l'economia nel 2009, Elinor Ostrom, che ha studiato un nuovo modello e un nuovo rapporto tra il consumo dei beni e la tragedia dei beni comuni; come reimpostiamo un rapporto fra i territori che producono risorse (in questo caso, guardo in particolare i territori montani e le aree rurali) e le aree urbane, che in gran parte le consumano. Questa è la sfida di oggi per una politica che vuole essere attenta alle esigenze dei territori e che vuole ridurre le sostanziali disuguaglianze sociali ed economiche.
Molte cose in queste ultime legislature su questi fronti sono state fatte.
Non è vero che non è stato fatto nulla, e credo che il lavoro che abbiamo svolto come sistema degli Enti locali (non solo delle aree montane) con il Consiglio regionale abbia permesso di ottenere una serie di risultati importanti. Cito alcune opportunità che sono già state tradotte in norma: partirei dalla legge sulle associazioni fondiarie, che riduce l'abbandono di suolo e che permette un utilizzo del suolo migliore, in particolare nelle aree montane; consente, dunque, lo sviluppo evitando abbandono e spopolamento, facendo crescere opportunità di salvaguardia delle risorse ambientali dei versanti, anche al fine della tutela del dissesto idrogeologico e dell'assetto del territorio. Siamo nella settimana nazionale della Protezione Civile e questa non può che essere una grande esigenza per un Paese moderno.
Cito il Piano paesaggistico, su cui non ho dubbi che alcune esigenze di semplificazione e riduzione dei vincoli burocratici vadano assolutamente messe in atto per evitare che i Comuni, in particolare quelli più piccoli s'infilino in un cul-de-sac che non porterebbe a grandi soluzioni, se non a eccessivi nuovi vincoli. Ma su questo confido nella capacità di risolvere alcune situazioni più critiche che si sono manifestate.
Cito la legge sul riuso, che ha permesso, come già diceva qualche oratore che mi ha preceduto, di riutilizzare gli immobili e di procedere a una riduzione del consumo di suolo sostanziale, utilizzando bene gli incentivi europei, ad esempio.
Cito la strategia nazionale per le aree interne, declinata anche in Piemonte con un po' troppa timidezza e un eccessivo rallentamento negli ultimi mesi; in quattro aree si stanno investendo delle risorse europee per ridurre queste disuguaglianze e agire più sul piano ambientale e sullo sviluppo economico, ma occorre fare di più.
Cito, ancora, il Piano energetico ambientale (guardo l'Assessore Marnati con cui ne abbiamo parlato già in diverse occasioni): è un piano che è stato scritto, ma che è ancora nel cassetto e ci auguriamo, come sistema degli Enti locali, che in questa legislatura questa Giunta e questo Consiglio possano dare piene gambe a un documento che contempla, ad esempio, un nuovo uso delle risorse naturali, come l'acqua. È vero che possiamo ridurre i carichi burocratici per accelerare la messa a terra di nuove centraline piccole, moderne ed efficaci sugli acquedotti, senza troppi vincoli normativi e senza carichi eccessivi di pareri. Ma abbiamo 800 nuove richieste di concessioni idroelettriche ferme: siamo una delle Regioni in Italia che produce di più dal punto di vista idroelettrico anche nei bacini a pompaggio, che rientrano nel Piano energetico ambientale, quale strumento utile per una riorganizzazione della produzione energetica da acqua.
Cito ancora, come azione importante intrapresa da questa Regione in funzione dei temi ambientali e dello sviluppo sostenibile, l'ultima legge sulla montagna, che attende 11 decreti attuativi che guardano a questi territori come luoghi dove si produce e dove s'impostano nuovi modelli di sviluppo.
Siamo la prima Regione che ha attuato una cosa assolutamente moderna, di cui parlava appunto Elinor Ostrom, che a New York si chiama "Pagamento dei servizi ecosistemici ambientali".
Con i fondi ATO, sin dal 1997 con la legge che era stata attuata, la n. 13 del 1997, all'articolo 8 si prevede che una percentuale del consumo idrico quindi della tariffa idrica che tutti noi piemontesi paghiamo, sia destinata alle aree montane per interventi di prevenzione del dissesto e tutela dell'assetto idrogeologico. Ebbene, questa è in Italia l'unica forma attuata e moderna di pagamento del servizio ecosistemico ambientale, come contemplato dalla legge 221 del 2015, quindi collegato ambientale alla legge di bilancio. L'ho detto ieri in un'assemblea al Senato, dove si parlava di green new deal, ma preferirei che al posto di parlare di green new deal attuassimo alcune norme che anche lo Stato ha messo a terra, come questa Regione, la n. 221, certamente, la n. 158 sui piccoli Comuni, il Testo Unico Ambientale sulle foreste, che nasce dalla legge sulle foreste che questa Regione ha concepito anni fa, guardando alle foreste come bene non soltanto da guardare e tutelare, ma come opportunità di crescita e di sviluppo, come altre Regioni alpine hanno fatto e impostato.
È già stato detto cosa bisogna fare urgentemente, a saldi invariati, si direbbe, senza cambiare le regole della finanza pubblica e senza costi in bilancio, già dalla prossima legge del bilancio della Regione, che questo Consiglio esaminerà: penso alla revisione del sistema delle concessioni autostrade, dighe e cave su cui si può intervenire subito, per lasciare risorse al territorio e, appunto, attuare meccanismi di remunerazione dei servizi ecosistemici a vantaggio dei territori. Sulle autostrade, più volte abbiamo ripetuto, come UNCEM, che quei passaggi sui territori potrebbero lasciare una percentuale del pedaggio a vantaggio delle aree, ad esempio montane, e penso alla Val di Susa o all'Alessandrino, con le loro aree forestate attorno alle autostrade che assorbono la CO2 dei mezzi che passano su quelle grandi vie e su quelle lingue autostradali.
Ebbene, chi fa queste cose? Io guardo al mio sistema, al nostro sistema di Enti locali (in sala ci sono anche altri rappresentanti delle associazioni con cui lavoriamo); il nostro sistema di Enti locali dev'essere pronto formato, adeguato e deve avere una managerialità che deriva dai Sindaci e dai Segretari comunali per fare determinate operazioni legate alla sostenibilità ambientale. Molto spesso abbiamo un sistema, invece, fragile: i Comuni da soli non sempre riescono e dobbiamo lavorare di più anche su questo piano, signor Presidente, per muovere un sistema e renderlo più moderno.
Da ultimo, guardo l'Assessore Marnati, che ha le deleghe all'ambiente, ma anche all'innovazione. questo è particolarmente rilevante, perché i temi green e smart vanno assolutamente tenuti insieme. Se non uniamo il tema della sostenibilità al tema dell'innovazione delle nuove reti, credo che facciamo un errore e, nella sua persona, Assessore, nel suo impegno, credo che avremo grandi opportunità, anche nel definire come utilizzare i Fondi europei. Non è vero che non ci sono risorse: ieri, parlando a un convegno di conto termico e di efficienza energetica per gli edifici ci sono 200 milioni di euro l'anno per la Pubblica Amministrazione, per cui ci auguriamo che l'ecobonus e le detrazioni fiscali per l'efficientamento energetico degli edifici vengano prolungate.
Le risorse europee su Smart Grid e su altre grandi partite, che siano del POR-FESR o del PSR, sono straordinariamente importanti. Mi auguro che nella nuova programmazione, oltre a un PON, a un POR che guarda alle aree urbane all'innovazione, all'industria 4.0 ci possano essere risorse specifiche anche per fare tutto questo complesso di cose e mettere nuove opportunità nelle aree interne e montane del Paese.
Chiudo dicendo che guardo con un po' di sospetto a un'ecologia da salotto che vuole determinare cosa fare nelle aree montane e rurali. Gli amministratori dei territori, i Sindaci in primo luogo, e tanti sono anche membri di questo Consiglio, sono stati amministratori e conoscono benissimo i territori, sanno che è meglio avere un'opportunità di sviluppo che nasce dal territorio. Guardiamo con un po' di diffidenza chi vorrebbe dettare da certi ambienti e certi salotti un'ecologia che non ci piace: non è quella che, come dicevo all'inizio, può ridurre disuguaglianze, limitare inquinamento e danni ambientali che di certo non vogliamo lasciare alle prossime generazioni.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
La parola ai professori Alberto Poggio, Energy Manager del Politecnico di Torino, Egidio Dansero, delegato del Rettore dell'Università degli Studi di Torino, Carmen Aina, delegata del Rettore dell'Università degli Studi del Piemonte Orientale e Franco Fassio dell'Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, che effettueranno un intervento congiunto per presentare i progetti degli Atenei piemontesi sul tema.



POGGIO Alberto, Politecnico di Torino

Buongiorno a tutti.
Come Atenei piemontesi, abbiamo deciso d'intervenire in quest'Assemblea tutti insieme, di fare un intervento congiunto, perché le Università italiane e quelle piemontesi sono già da molto tempo al lavoro su questi temi e credono che questo sia uno degli argomenti principali che vada affrontato in tutti i consessi. Abbiamo pensato di dividere quest'intervento in due parti, cominciando con una parte introduttiva, dove parleremo delle sfide ambientali che abbiamo di fronte, di qual è l'agenda globale dello sviluppo sostenibile, che già in parte è stata citata, che cosa stanno facendo gli Atenei italiani, che cosa fanno gli Atenei piemontesi. Poi, andremo più in dettaglio su cosa ogni singola Università sta facendo.
Parliamo di crisi ambientale e di cambiamento climatico: è il caso di parlare di un certo signore, Aurelio Peccei, che, per primo, cinquant'anni fa aveva immaginato quella che sarebbe stata l'evoluzione che stiamo già osservando oggi: aveva immaginato che saremo andati incontro a una situazione di crisi ambientale su più fronti. Vediamo quali sono i dati perché stiamo parlando di elementi che non sono più oggetto di discussione da un punto di vista scientifico e tecnico, ma sono ormai assodati, sono elementi che devono essere presi come un dato di fatto da chiunque debba prendere decisioni di questo genere.
Il grafico che state vedendo è uno dei tanti che si possono utilizzare per valutare questo ragionamento e ci dice com'è evoluta la concentrazione di CO2 in atmosfera negli ultimi 800 mila anni. Lo sappiamo per certo attraverso misure e campioni fatti sui ghiacci polari, nei quali è conservata la memoria dell'aria che abbiamo visto su questo pianeta, così tanto tempo indietro. Ottocentomila anni sono l'orizzonte temporale nel quale la specie umana si è sviluppata e ha potuto prosperare. Beh, non si è mai visto prima un dato così elevato di CO2 e l'origine è chiaramente e inequivocabilmente antropica, è dovuta all'azione dell'uomo ed è notorio ormai da più di un secolo, che la CO2 in atmosfera determina il riscaldamento globale. Quindi il riscaldamento globale esiste, è in atto ed è causato dall'uomo.
Che cosa ci dicono gli scienziati che studiano, ormai da decenni, questo problema, non in via autonoma o ufficiosa, ma attraverso incarichi formali che le Nazioni Unite da diversi decenni hanno affidato a un panel di esperti internazionale riconosciuto da tutta la comunità scientifica (l'IPCC), che ormai pubblica periodicamente rapporti nei quali si traccia la situazione del cambiamento climatico e quali devono essere le azioni per cercare di contrastarlo e non di fermarlo, perché purtroppo è già partito? È un po' come quando a scuola guida spiegano la distanza dalle auto che precedono; purtroppo noi la distanza dal resto l'abbiamo già in parte mangiata e andiamo sicuramente a sbattere, quindi dobbiamo decidere quanto possiamo mitigare il danno. L'IPCC ci sta dicendo che un livello di sicurezza per evitare problemi gravi su questo pianeta a tutte le scale non solo legate agli ecosistemi, ma anche alla vita della specie umana - è compromesso dall'incremento di un grado e mezzo, massimo due, oltre i livelli preindustriali. In questo momento, abbiamo superato ben oltre l'incremento di un grado e stiamo andando abbastanza velocemente, nell'arco di poco tempo - l'orizzonte temporale è il 2040 - a raggiungere il grado e mezzo. Quello è il punto di crisi e non lo possiamo spostare. Possiamo cercare di non arrivarci, cambiando la traiettoria.
Questo grafico che vedete nell'ultimo rapporto generale dell'IPCC ci dice che dobbiamo azzerare le emissioni di CO2 il più in fretta possibile per cercare di cambiare quella traiettoria d'incremento della temperatura e piegarla verso il basso. Comunque ci sarà un incremento, comunque ci saranno delle conseguenze, ma possiamo cercare di mitigarle, e questa azione va fatta in tutto il pianeta, in tutti i contesti, da tutti i territori e da tutte le attività industriali e civili di qualunque ordine e grado. Non è oggetto di discussione: è questo, perché questa è l'analisi confermata da tutta la comunità scientifica internazionale ormai da anni.
Ma non è l'unico elemento di crisi ambientale che stiamo fronteggiando. Qui ne citiamo due a titolo d'esempio. Abbiamo un problema enorme legato alla gestione dei rifiuti e delle plastiche, che stanno invadendo i nostri ambienti marini e terrestri e, come sappiamo bene in Piemonte, abbiamo localmente problemi molto gravi di qualità dell'aria, anche questi non più eludibili, che hanno impatti significativi, anche a breve termine, sulla salute.
Il complesso di questi elementi ci porta a ritornare all'analisi che Peccei aveva già visto cinquant'anni fa e che egli stesso aveva già chiesto di simulare a un gruppo di ricerca del MIT. Quelle simulazioni, che ci dicono quello che è scritto nei grafici che vedete rappresentati nelle slide erano purtroppo corrette, e ci stanno dicendo qualcosa che, tutto sommato era facile da immaginare. Era però difficile da vedere in un pianeta di risorse finite, di dimensioni finite: è impensabile immaginare una crescita infinita. Questo pianeta non sopporta a questo tipo di approccio dovuto all'attività umana. Quindi, necessariamente dobbiamo discutere l'aspetto della crescita.
Passo la parola al mio collega Franco Fassio, che prosegue sull'Agenda.



FASSIO Franco, Università di Scienze gastromiche di Pollenzo

Buongiorno a tutti.
Sono passati quattro anni dalla sottoscrizione dell'Agenda 2030, il 1 gennaio 2016, delle Nazioni Unite, compresa l'Italia. Si può leggere dal principale report delle Nazioni Unite che in tutto il mondo si registra una crescente consapevolezza nell'adottare un approccio integrato, nella definizione e anche nella realizzazione di uno sviluppo sostenibile. Per questa presa di coscienza si manifesta in un quadro internazionale di crescenti tensioni, con evidenti difficoltà nel trovare soluzioni che siano multilaterali. Parliamo di un'Agenda che è strutturata in 17SDGs, 169 target e che, in particolar modo, s'incardina su cinque"P" (persone prosperità, pace, partnership e pianeta). È chiaramente un nuovo quadro di riferimento che bilancia, per la prima volta, le tre dimensioni di crescita economica, inclusione sociale e tutela ambientale. Si tratta di un documento storico, che esprime un giudizio chiaro sull'insostenibilità del nostro modello di sviluppo senza più distinzione tra paesi sviluppati emergenti e in via di sviluppodelineando una riflessione che richiede un forte coinvolgimento di tutte le componenti della società.
La cornice finanziaria, coerente con il conseguimento degli SDGs, è stata delineata dal Piano d'azione di Addis Abeba, sottoscritto nel luglio 2015 in cui s'individuano oltre 100 misure concrete economiche per far fronte alle sfide. Una di queste, che vi cito, è quella di allineare gli investimenti pubblici e privati al conseguimento degli SDGs. Questo per nel 2019, nel report chiamato "Financing for Sustainable Development Report"curato dalleNazioni Unite, ci dice che gli investimenti a livello mondiale allineati agli obiettivi di sviluppo sostenibile rimangono ancora decisamente sotto finanziati.
L'attuazione dell'Agenda è rimessa all'impegno di tutti gli Stati, ed è declinata nell'adozione di "Strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile", come quella approvata dal nostro Paese nel dicembre 2017 strategia, che chiede a tutti gli attori del sistema di rendicontare e monitorare l'impatto dei propri SDGs.
Ci sono tre documenti che citerò in sintesi per entrare nel merito della rendicontazione e raccontarvi alcuni dati su una prima valutazionea livello globaleper poi arrivare a una scala regionale.
Il primo, che potete vedere nella slide che vi riporto, è il "Global Sustainable Development Report 2019" delle Nazioni Unite, e che ci dice che ci sono allarmanti tendenze rilevate nei settori del clima (SDG13) biodiversità (SDG 15), disuguaglianza (SDG 10), fame (SDG 2), e che vi è la necessità di emergenti impegni e azioni concrete in tale direzione. Il documento evidenzia, inoltre, la necessità di un approccio sistemico legato alla valorizzazione ed il monitoraggio di tutti i SDGs e, in particolar modo, sei punti d'ingresso (Benessere umano e capacità, Economie sostenibili e giuste, Sistemi alimentari e modelli nutrizionali Decarbonizzazione energetica con accesso universale, Sviluppo urbano e periurbano, Problemi ambientali globali.) e quattro leve (Governance Economia e finanza, Azione individuale e collettiva, Scienza e tecnologia)da prendere in considerazione.
A livello italiano,nel 2017 il Ministero dell'Ambiente classificava, su 40 indicatori, la posizione dell'Italia tra il 21° e il 23° posto su 118 Paesi. Dal recente report dell'ISTAT uscito lo scorso mese emerge che l'Italia ha fatto progressi in tutti gli obiettivi, tranne che in sette che sono: povertà, salute, lavoro, città, cibo, agricoltura, mare e terra. In particolar modo, nel report emerge la mancanza di una chiara strategia di attuazione dell'Agenda 2030, ma segnali incoraggianti sono anche richiamati con la proposta di inserimento in Costituzione del principio di sviluppo sostenibile, unorientamento delle politiche favorevoli allo sviluppo di una green economy, di un'economia circolare e di una lotta alle disuguaglianze comprese quelle di genere.
Arrivo, infine, al focus che emerge a livello di quadro piemontese. Il report recente dell'ASviS e il report dell'ISTAT descrivono effettivamente il contesto in cui il Piemonte sta agendo. Tra le aree dove la situazione descritta dagli indicatori SDGs è più avanzata emergono chiaramente la Provincia Autonoma di Trento e di Bolzano, Valle d'Aosta, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna. Se si considera il profilo medio alto allora si aggiungono Toscana e Piemonte.
Elementi di problematicità, come rileva l'ISTAT in Piemonte, sono stati riscontrati con riferimento al goal 1 (Povertà), insieme a Liguria e Valle d'Aosta, mentre per il goal 9 (Impresa, Innovazione e Infrastrutture), si evidenziano risultati favorevoli per Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte.
Inoltre, la crescita più intensa del turismo registrata in Piemonte Basilicata, Puglia e Lombardia - che è un più 29% - è un elemento ovviamente, positivo, ma incide sulla produzione dei rifiuti data dal turismo e dunque sul global goal 12.
Infine, secondo il report dell'ASviS, vi è un incremento piemontese sul goal 4 (Educazione di qualità) a fronte di un aumento delle persone che prosegue gli studi in ambito universitario - ovviamente come Atenei piemontesi ne siamo felici - mentre viene segnalato un calo del 6% sul global goal 8 dovuto, soprattutto, alla negativa evoluzione del PIL reale per abitante.



PRESIDENTE

La parola a Dansero Egidio, Università di Torino.



DANSERO Egidio, Università degli Studi di Torino

Buongiorno a tutti. Sono Egidio Dansero, delegato dal Rettore Stefano Geuna per la sostenibilità ambientale dell'Università di Torino.
Andiamo avanti sulla presentazione perché, a fronte del quadro sui dati sulle emergenze e sulle politiche a livello internazionale e nazionale, la domanda è che cosa stiamo facendo come Università italiane. Le Università italiane si sono organizzate in una rete che si chiama RUS (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile). Rete che attualmente vede 69 Atenei che rappresenta l'85% degli Atenei della Conferenza dei Rettori delle Università italiane (tutti e quattro gli Atenei piemontesi aderiscono alla RUS). Rete che, quindi, si rapporta con la Conferenza dei Rettori, con l'ASVIS e con gli altri attori della società civile.
Che cosa fa la rete? L'obiettivo della rete è quello di agire all'interno di ciascuna Università e sul territorio per cercare di diffondere la cultura e le buone pratiche di sostenibilità. Ovviamente le Università sono già impegnate con le loro attività tradizionali che sono la ricerca, la formazione e la cosiddetta terza missione ma, in particolare, l'esperienza della RUS nasce dall'esigenza di agire in primis sull'Università come organizzazioni e comunità. Vedremo poi meglio nel dettaglio, ma ognuno dei nostri Atenei è un piccolo mondo che dobbiamo cercare di orientare più concretamente verso iniziative di sostenibilità.
La RUS è strutturata in gruppi di lavoro: il gruppo di lavoro sull'energia il gruppo di lavoro sulla mobilità, sui rifiuti, sull'educazione, sul cibo e sui cambiamenti climatici. Questi gruppi di lavoro scambiano buone pratiche tra gli Atenei. Il problema per tutti noi qui presenti, in particolare noi come docenti, è di essere credibili di fronte ai nostri studenti. Io e gli altri colleghi insegniamo politiche ambientali, ma se poi nei nostri campus non facciamo la raccolta differenziata, non adottiamo misure banali di risparmio energetico, non riusciamo ad avere atteggiamenti più sostenibili rispetto alla mobilità sostenibile, diciamo che il mondo dovrebbe andare in una direzione, ma poi andiamo in un'altra e non diamo l'idea che il mondo, nel nostro piccolo, si possa cambiare, non siamo credibili. L'intervento della RUS è un intervento concreto e ogni Ateneo agisce al suo interno.
Lascio la parola alla collega dell'Università del Piemonte Orientale.



PRESIDENTE

La parola ad Aina Carmen, Università del Piemonte Orientale.



AINA Carmen, Università degli Studi del Piemonte Orientale

Buongiorno a tutti. Sono Carmen Aina, delegato RUS dell'Università Piemonte Orientale.
Oggi siamo qui come sistema RUS Piemonte che, di fatto, coincide con il sistema universitario Piemonte. Una realtà che muove numeri piuttosto importanti. Come vedete dallaslideproiettata, gli studenti iscritti all'Università di Torino sono oltre 70.000, al Politecnico oltre 31.000 all'Università del Piemonte Orientale oltre 12.000, all'Università di Scienze gastronomiche oltre 400. Oltre agli studenti c'è poi da considerare il personale e tecnico amministrativo, che muove altre 7.600, 2950, 1.500 e 88 persone, per un totale di oltre 127 mila persone. Questo non deve essere interpretato come un numero stock, che rimane costante nel tempo, perché il vantaggio dell'Università è proprio quello di avere dei flussi continui: ogni anno circa 15-20.000 matricole entrano nel sistema, portando nuova linfa e, al tempo stesso, incidono su ogni territorio in cui operano i vari Atenei in maniera tale da produrre, sostanzialmente, quella che in economia si definiscono spillovereffects, ovvero esternalità positive sul territorio. Gli studenti diventano ambasciatori di conoscenza e di competenza che, unitamente al personale nel suo complesso, incidono circa per il 3% della popolazione residente in Piemonte. Numeri importanti, che sono in costante evoluzione, dei veri flussi che possono avere un grosso impatto sul territorio piemontese.
Perché siamo qui oggi? Sicuramente per segnalare che c'è un'attenzione del sistema di formazione terziario e della sua intera filiera, dalla scuola primaria fino all'università, alla sostenibilità ambientale. Si fa riferimento ai temi promossi dall'Agenda 2030 che, come hanno già descritto i miei colleghi, segnalano la rilevanza di incidere, attraverso la formazione e la conoscenza, su queste tematiche. All'interno di ogni Ateneo, oltre all'impegno nella ricerca e nella didattica da parte di tutto il corpo docente, sono stati costituiti anche dei gruppi tematici che sono impegnati su questi aspetti. Per dare concretezza alle significative sinergie che andiamo a mettere in atto, ricordo UniToGO, SustainablePath in Polito, il Green Teame il centro interdipartimentale UPO4 Sustanaibility all'interno dell'Università del Piemonte Orientale e Terra Madre per quanto riguarda Scienze gastronomiche.
Oggi, tra l'altro, siamo anche qui per segnalare che questa collaborazione tra gli atenei non è fittizia, ma è qualcosa di concreto. Ci crediamo non soltanto come RUS a livello nazionale, ma come RUS Piemonte. Un primo esercizio di collaborazione è di mettere a sistema tutte le competenze e tutte le varie capacità, anche organizzative. A breve, infatti presenteremo un progetto congiunto, in risposta al bando del Ministero dell'Ambiente, che ha come obiettivo quello di promuovere un modello di governanceper promuovere la strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile.
Inoltre, nel presentare questa proposta abbiamo tenuto conto di altri due bandi aperti su questo tema, quello per la strategia regionale dello sviluppo sostenibile e quello per Torino Metropoli, proprio per far emergere l'importanza che i progetti siano tra loro integrati e che ci sia un approccio sistemico per rispondere a quelle criticità che già coloro che sono intervenuti stamattina hanno evidenziato.
Cosa facciamo noi come Università del Piemonte Orientale? Sicuramente, sul fronte della ricerca, nei vari ambiti, abbiamo colleghi competenti e che hanno contribuito molto nella ricerca scientifica in tema di cambiamenti climatici e rifiuti. Tuttavia, la svolta decisiva, almeno per il nostro Ateneo, è stata l'adesione recente alla RUS, questa Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile, perché ha smosso l'attenzione e ha dato spinta alla formazione diulteriori sinergie, in modo da fare sistema all'interno dell'Università stessa. Sapete bene che l'Università del Piemonte Orientale opera su tre province (Novara, Vercelli e Alessandria), pertanto questa collaborazione è necessaria per mettere le competenze a sistema.
Stiamo ultimando la definizione del Green Team UPO che possa rispondere in maniera efficace ed essere operativo su queste tematiche.
Di recente, proprio sulla spinta dell'adesione alla RUS, abbiamo costituito Centro Interdipartimentale sui temi della Sostenibilità, dove oltre ai vari Dipartimenti, possono aderire anche le realtà esterne, interessate alla promozione di uno sviluppo sostenibile. Abbiamo inoltre anche un altro Centro InterdipartimentaleFoodLink sul tema cibo.
Che cosa fa UPO al suo interno? Internamente, una delle recenti dichiarazioni del nostro Rettore Gian Carlo Avanzi è di far diventare anche in linea con quello che stanno facendo altri Atenei, il nostro plastic free. Stiamo cercando di implementare tutta una serie di misure per contrastare soprattutto l'utilizzo delle plastiche monouso, ad esempio attraverso la diffusione di torrette d'acqua dove poter riempire le borracce, in modo da favorire attraverso queste buone pratiche, anche un cambiamento degli stili di vita e dei comportamenti, perché da questi piccoli adeguamenti del proprio comportamento si può avere un notevole impatto sullo sviluppo e sulla sostenibilità ambientale.
Stiamo ragionando sul trasformare, inoltre, i vari campus in Healthy Campus, quindi sostenibili sotto più punti di vista, in modo da diffondere tra i nostri studenti comportamenti e modelliche siano credibili, come diceva il collega Dansero, cioè in grado di dare il buon esempio, perch solo in questo modo i nostri studenti potranno essere domani dei cittadini più consapevoli.
Le intense interazioni tra i colleghi confermanopoi la volontà di mettere l'impegno e le competenze di tutti a sistema. Tra l'altro, abbiamo intenzione di rivedere anche l'offerta formativa, inserendo programmi e corsi in chiave transdisciplinare, cioè con la contaminazione di tutte le discipline, al fine di riuscire a dare risposte e nuovi approcci alle criticità che l'Agenda 2030 evidenzia.
Per quanto riguarda le collaborazioni esterne, sono assai consolidate le cooperazioni scientifiche con centri di ricerca sui temi ambientali, sia a livello nazionale sia a livello internazionale. Cito, tra i vari progetti che sono in atto, anche per segnalare come le collaborazioni scientifiche tra gli Atenei sono già consolidate, che tra Politecnico di Torino Università di Torino e Piemonte Orientale, ad esempio, c'è un progetto sulla valutazione dei sistemi fluviali del Monviso, proprio per vedere come i cambiamenti climatici possano impattare su queste dinamiche.
Esempi di collaborazione che mettano la scienza al servizio di un progetto comune sono, come vedete, prassi comune.
Sono poi anche molto forti, forse per la dimensione e la realtà del nostro Ateneo, i rapporti con gliEnti locali. Oggi può testimoniare queste collaborazioni, Federico Perugini, con il quale, negli anni, anche in tema di Healthy Campus, abbiamo collaborato per valutare come integrare in chiave sostenibile l'Università con il territorio.
Di recente abbiamo aderito, in qualità di partner, all'organizzazione della mostra interattiva"Nel nostro piatto", promossa dalla Regione Piemonte e fortemente voluta dal Comune di Novara, che a breve, il 25 ottobre, verrà inaugurata. In contemporanea è inoltre stata allestita la mostra interattiva "Bia e l'isola dei tesori", sui temi della sostenibilità ambientale, promossa da Novamont. All'inaugurazione parteciperà anche l'Assessore Matteo Marnati, confermando la forte interazione tra enti pubblici e università.
Abbiamo infine anche una collaborazione per valutare la possibilità di attivare un'offerta formativa di alta formazione, sui temi dei sistemi energetici eco-sostenibili nella provincia di Alessandria.
In ambito di attività di divulgazione, le quali rientranoper le università sotto l'egida della terza missione, si sottolinea l'impegno che caratterizza UPO in modo da accrescere cultura e consapevolezza, nonch diffondere conoscenze utili a rendere i cittadini più consapevoli e dare loro informazioni adeguate per affrontare le tante criticità ambientali.
Che cosa abbiamo fatto? Sicuramente un'iniziativa molto significativa, che ha avuto un grande impatto, "La notte dei ricercatori".Quest'anno l'abbiamo dedicata al tema clima, ambiente e sostenibilità. Molte attività sono state aperte alla partecipazione di famiglie con bambini. Molte di queste verranno riproposte nell'iniziativa UPO junior (Università per i bambini) dove gli studenti delle scuole elementari vengono all'Università e potranno cimentarsi e sperimentare i vari laboratori didattici, anche attraverso il gioco.
Uno spunto per il futuro? Sicuramente noi oggi, con questa presentazione congiunta, vogliamo segnalare il nostro impegno a farci promotori di un nuovo modello di collaborazione tra università e stakeholders al fine di diffondere buone pratiche e farci contaminare da idee e approcci in chiave sostenibilea tutti i livelli. Un esempio è il Waste Mob, che negli ultimi anni è stato attivato solo nella città di Torino. Si tratta di una raccolta rifiuti lungo il Po dove gli studenti partecipano in squadre. L'obiettivo ad esempio, è di replicare questa iniziativa anche nelle altre Province dove operano gli altri Atenei. Tutte queste attività evidenziano la volontà di mettere a sistema collaborazioni tra i variEnti locali già presenti, per diffondere una maggiore consapevolezza tra la cittadinanza delle criticità ambientali presenti nei territori e attivare un confronto tra le Province per individuare strategie e dare delle risposte sinergiche e integrate.
Occorre poicapire se esistono buone pratiche, già realizzate in altre aree che possano essere replicate nel territorio piemontese.Solo con forti e strutturate partnership si potrà essere veramente più impattanti e incisivi nella formulazione di interventi e soluzioni capaci di affrontare le emergenze ambientali.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie.
La parola al professor Dansero



DANSERO Eugenio, Università degli Studi di Torino

Riprendo la parola per presentare quello che stiamo facendo come Università di Torino, Università che, ricordo, ha oltre 100 sedi sul territorio piemontese (quasi una novantina nella sola area metropolitana di Torino).
Un tema importante è l'edilizia universitaria e vedremo alcune cose fra poco.
Si è appena insediato il nuovo Rettore, Stefano Geuna, che ha preso il posto del professor Gianmaria Ajani. Quando il professor Ajani ha iniziato il suo mandato, sei anni fa, non esisteva il termine "sostenibilità" nel programma, anche se c'era un'apertura; non esisteva un delegato del Rettore, ma nel tempo si è strutturata quest'azione. Attualmente - anzi, mi sono sottovalutato - sono Vicerettore vicario alla sostenibilità.
Nella riorganizzazione dell'Ateneo, abbiamo inserito il termine "sostenibilità" nella Direzione edilizia logistica e sostenibilità.
L'obiettivo è cercare di attraversare, sotto il filtro della sostenibilità tutte le attività dell'Università. In particolare, abbiamo creato un Green Office dell'Università di Torino che, analogamente con le attività della RUS, mette a fuoco temi quali la mobilità, gli acquisti pubblici ecologici il cibo, l'energia, i rifiuti e i cambiamenti climatici, facendo lavorare assieme docenti, studenti e personale amministrativo, per rendere davvero protagonisti gli studenti, ma anche stimolare tutte le energie e le competenze esistenti dentro un grande ambito come l'Università, nel confronto e nello stimolo con gli altri colleghi degli altri Atenei.
Pertanto, ogni gruppo di lavoro si muove sull'idea del conoscere coinvolgere e cambiare.
Un lavoro che è stato portato avanti è quello di prevedere un piano d'azione di sostenibilità ambientale di Ateneo, proprio perché, con 120 sedi, abbiamo molto da fare. Ovviamente, siamo partiti dalle questioni più semplici: la raccolta differenziata e il risparmio energetico, che non abbiamo ancora concluso, ma che stiamo estendendo lavorando, tra l'altro in sinergia con l'AMIAT e il Comune di Torino o il Comune di Grugliasco, a seconda delle sedi, quindi andando di pari passo con l'estensione della raccolta differenziata porta a porta, per arrivare alle situazioni più complesse (ad esempio, incidere sui nuovi Campus).
Il nuovo Campus di Grugliasco, che è in progettazione con la Città della Scienza, che raddoppia la presenza degli scienziati a Grugliasco, sarà un Campus di eccellenza proprio per com'è stato pensato e progettato. E io penso (non devo dirlo in questa sede) che la nuova Città della Salute, che vedrà l'Università fortemente protagonista anche per avere per sé un edificio, sarà, per com'è strutturata, fortemente performante, perché tutti gli edifici formativi dovrebbero essere dei luoghi in cui, per osmosi s'impara la sostenibilità senza bisogno di spiegarlo (uno entra dentro e capisce, da com'è progettato l'edificio e da come funziona).
Pertanto, ci siamo dati diversi obiettivi, lavorando, come ha detto la collega, su una popolazione universitaria che in parte è stabile, più o meno stabile (quella del personale), e una popolazione universitaria mobile, che è quella di studenti e studentesse che poi sono protagonisti in molti casi, dell'associazionismo sul territorio, che magari arrivano dalle scuole superiori animati da tutte le speranze e la voglia di cambiare il mondo con il Fridays for Future e devono trovare nell'Università un posto in cui si può continuare ad agire in questa progettazione senza sbattere la faccia contro il muro della dura realtà che non si pu cambiare.
Pertanto, questo ruolo di raccordo è molto importante. Un'azione che abbiamo portato avanti (per citarne una concreta), lavorando in stretta collaborazione con ARPA e Città metropolitana, è stata quella di prevedere un capitolato ecoinnovativo per i distributori di cibo e bevande. È una cosa piccola, che, però, ha orientato il mercato ed è diventato una buona pratica anche a livello europeo.
Pertanto, c'è un ruolo importante che la Pubblica Amministrazione (in questo caso, anche l'Università) può svolgere nell'orientare il mercato.
Abbiamo partecipato all'indagine nazionale sulla mobilità dei flussi casa/università, raccogliendo oltre 17.500 risposte, che hanno consentito di avere un quadro, che non c'era mai stato prima, di come si sposta tutta la popolazione universitaria attorno alle sedi.
L'impegno (stimolati nel lavoro con ARPA e Città metropolitana) è quello di aumentare le performance sugli acquisti pubblici; siamo arrivati al 97 degli acquisti pubblici ecologici per quanto riguarda l'amministrazione centrale, l'85% per i Dipartimenti e possiamo proseguire e spostarci verso altri beni e servizi che non hanno ancora i criteri ambientali minimi. In questo, c'è il ruolo della ricerca, dei giuristi, dei tecnologi e di tutti i colleghi.
C'è l'attività di coinvolgimento: un esempio è quello del Waste Mob, di cui ha già parlato la collega. Stiamo per far partire un ciclo d'incontri in cui abbiamo coinvolto colleghi (dai fisici dell'atmosfera agli antropologi dagli umanisti agli agronomi) per capire i cambiamenti climatici. Si svolgerà alla Cavallerizza Reale, in orario preserale, quindi è aperto a tutta la cittadinanza.
Ovviamente, portiamo avanti tantissime iniziative con gli altri Atenei, a partire dal Competence Center Industria 4.0: l'obiettivo è quello di riuscire ad attraversare, con il tema della sostenibilità, tutte queste iniziative.
Ricordo, ancora, un'iniziativa che condividiamo con il Politecnico e Scienze gastronomiche: l'Atlante del Cibo di Torino metropolitana un'iniziativa che vede la sottoscrizione del Comune e della Città metropolitana, dell'IRES Piemonte e della Camera di Commercio, proprio per agire a livello locale sulle politiche del cibo, che è un buon volano per intervenire negli altri cambiamenti.
Chiudo nel ricordare con piacere, perché è la seconda volta che sono in quest'Aula (la prima volta era nel 2000, con la collega e compianta amica Anna Segre, che allora era Consigliera regionale dei Verdi). Tullio Regge e Anna Segre avevano creato l'Atlante dell'ambiente in Piemonte. Sono passati quasi vent'anni e mi piace ricordarla.
Grazie.



(Applausi in aula)



FASSIO Franco, Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo

Grazie, Egidio.
Riprendo la parola per illustrarvi tre suggestioni che Pollenzo vuole portare in questa sede.
L'Università di Scienze gastronomiche, che nasce nel 2004 grazie anche alla collaborazione della Regione Piemonte, è di piccole dimensioni, ma forse in questo suo essere contenuta ritrova l'agilità e la flessibilità per muoversi in maniera più resiliente in questo contesto economico-sociale così instabile. Questo lo possiamo fare anche grazie a un'importante rete di sostenitori: circa 372 aziende dalla costituzione dell'Università che sostengono, insieme alla Regione, il nostro Ateneo.
Ciò che ci accomuna, che noi chiamiamo l'unità basedi connessione, è il cibo; il cibo analizzato in ottica olistica, "dal campo al campo" per dirla in chiave circolare.
Sulla slide avete un riferimento internazionale che si chiama The wedding cake, sviluppato da Johan Rockström, il direttore dello StockholmResilience Center, che è il padre dei limiti planetari. È semplicemente quella che in italiano si chiama torta nuziale, che dimostra come il cibo sia un'importante leva che connette tutti i 17 Sustainable Development Goals.
Per monitorare l'andamento dell'economia circolare nel foodsystem, sempre partendo dalla firma di un protocollo d'intesa che la nostra Università ha siglato con la Regione Piemonte, abbiamo costituito il Circular Economy for FoodHub, un centro di analisi e ricerca per lo sviluppo dell'economia circolare nel cibo a livello tanto regionale quanto internazionale, proprio con la finalità di contribuire allo sviluppo internazionale della Circular Economy for Food. Applicando e calcolando l'impatto delle aziende che agiscono sull'economia circolare e cercando di monitorare il loro impatto sui Sustainable Development Goals, emerge quel quadro della wedding cake che lì vi mostro.
Sono state monitorate oltre 200 aziende e quello che emerge è che chi attualmente si sta occupando di economia circolare - ahimè - pone ancora poca attenzione a salvaguardare la base della torta di tutti i nostri ragionamenti economici, che è la biosfera ovvero il capitale naturale, i cicli biogeochimici connessi a clima, acqua e suolo, e trascura anche l'importanza di assegnare un vero peso ai temi sociali, che devono evolvere parallelamente con il nuovo paradigma.
Condividere questi obiettivi a breve, ma anche a lunga durata, ci porta a ragionare su progettualità concrete come SEeD for Global Goals, ricerca svolta per l'evento culturale Terra Madre-Salone del Gusto per ridurre l'impatto ambientale e aumentare l'impatto culturale dell'evento pluripremiata a livello nazionale e che è stata presa come caso studio per la generazionedella norma nazionale e internazionale sulla gestione e la progettazione sostenibile degli eventi culturali. Al progetto del 2018 hanno contributo 3 Atenei (coordinatore Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in collaborazione con Università di Torino, Politecnico di Torino) suddivisi in 8 unità di ricerca, 72 realtà imprenditoriali, per un totale di oltre 1.000 persone direttamente coinvolte nella realizzazione di 82 azioni impattanti sui Global Goals.
Un altro progetto importante, frutto di una partnership for the goals, è chiaramente il Progetto REPOPP, che è un progetto di valorizzazione dell'organico di Porta Palazzo, che è coordinato da UNISG, ma che è realizzato insieme a Città, Novamont, AMIAT Gruppo IREN, Eco delle Città.
Questo progetto ha portato a una riduzione del 31% dei rifiuti indifferenziati nel mercato di Porta Palazzo; ha portato a una raccolta dell'organico che è cresciuta del 95% rispetto al 2016, una raccolta differenziata che ha raggiunto l'80% nella prima parte del 2019, dove circa 30.234 chilogrammi di prodotti (principalmente frutta e verdura) sono stati ridistribuiti a famiglie bisognose.
Un progetto del genere rende evidente come, effettivamente, agire in maniera concreta nei confronti dell'adozione del Sustainable Development Goals è un qualcosa alla nostra portata, a livello regionale, e i tre premi a questo progetto lo dimostrano: mi riferisco ad esempio al Milan Pact Awards, assegnato al progetto REPOPP come migliore esempio europeo sul foodwaste in un'ottica di economia circolare.
Concludo l'intervento con il terzo e ultimo spunto che vorrei offrire in questa sede. Mi riferisco all'ultimo documento della EllenMacArthur Foundation, che è la fondazione internazionale che spinge di più a livello europeo sulla promozione dell'economia circolare. È un documento sul ruolo dell'economia circolare per combattere il cambiamento climatico e che ci offre vari spunti di riflessione, tra cui la necessità di agire attraverso un approccio sistemico; agire attraverso il cibo ci permette di impattare sul cambiamento climatico, di agire sulla perdita naturale e culturale limitandola. Ovviamente, riteniamo che tutti questi siano obiettivi prioritari della Regione da sviluppare in chiave trasdisciplinare.
Lascio la parola ad Alberto Poggio.



(Applausi in aula)



POGGIO Alberto, Politecnico di Torino

Chiudiamo la carrellata con il Politecnico, che, insieme agli altri atenei sta cercando di sperimentare un modello organizzativo per implementare la sostenibilità all'interno della nostra attività, in tutto, quindi nei nostri muri, nei nostri edifici, nei nostri serramenti, nell'attività di formazione, nella ricerca. E lo facciamo con una squadra che abbiamo chiamato Green Team, che è in staff alla guida dell'ateneo. È guidata dalla pro Rettrice, che, insieme al Rettore, sono al vertice dell'ateneo, ed è in collegamento con tutte le strutture.
Noi pensiamo che sia un prototipo di strumento da usare in tutti i contesti, nell'amministrazione pubblica ma anche nei territori, per cambiare in termini orizzontali quello che è l'approccio alla sostenibilità che troppo spesso nei nostri contesti è verticale.
Facciamo delle analisi. Ad esempio, ci siamo resi conto che il nostro impatto ambientale attraverso lo strumento e l'impronta ecologica è molto concentrato su due binari principali: energia e trasporti soprattutto. E se sui trasporti dobbiamo interfacciarci con il territorio, perché non siamo noi a governare il trasporto pubblico locale (semmai possiamo muoverci in sinergia), l'energia invece riguarda prettamente i nostri edifici, per cui sono io il primo responsabile di questi consumi, in quanto energy manager ed è mio compito, all'interno del Green Team, cercare di lavorare per ridurli e contenerli.
Abbiamo anche messo in campo delle campagne di mobilitazione e sensibilizzazione. Ne citiamo due a titolo di esempio: smettiamo di usare l'acqua in bottiglia e iniziamo a utilizzare l'acqua del rubinetto con borracce come questa, che sono distribuite a tutte le nostre matricole quando s'iscrivono ed è in possesso di tutti i nostri dipendenti; inoltre cercare di cambiare gli apparecchi d'illuminazione è una cosa assolutamente banale, ma che ha un impatto nell'amministrazione pubblica del 30% circa sui consumi elettrici.
Tutte queste cose le facciamo ormai da più di dieci anni attraverso quella che è la "misura": occorre misurare quello che facciamo per osservare quali effetti reali e concreti siamo in grado di produrre.
Per chiudere con qualche riflessione che impatta quello che può essere un approccio che un territorio come questo affronta nel fronteggiare una situazione come quella che tutto il mondo sta provando ad affrontare vorrei richiamare il contenuto di uno dei documenti dell'Unione Europea quello che ci dice come dovremmo cercare di fare, come europei, per un pianeta pulito per tutti. Il documento dice una cosa nettissima: quelle emissioni climalteranti le dobbiamo azzerare. Non prevede nessuna discussione possibile. E il tempo con il quale dobbiamo azzerarle è dell'ordine di decenni. Anche questo non è oggetto di discussione: è un qualcosa che va fatto adesso! Ed è già tardi, perché Peccei lo aveva capito cinquant'anni fa, ma noi per cinquant'anni purtroppo abbiamo perso tempo.
Ora che dobbiamo farlo, lo dobbiamo fare senza precedenti pregressi nella storia. Nella storia le variazioni che abbiamo introdotto sono molto più lente, allora dobbiamo cambiare passo. Forse dobbiamo completamente rivedere l'approccio, ad esempio, alla pianificazione. Sempre negli ambiti delle Regioni e delle amministrazioni pubbliche si parla di piani settoriali: l'energia, i rifiuti, l'urbanistica. Ormai dobbiamo ragionare invece, in termini di piani molto più orizzontali, che non possono che partire da un nocciolo di conoscenza comune. Non posso più avere un "piano energia" che non parla col "piano mobilità".
Questo è uno degli argomenti che proveremo ad affrontare della proposta che candideremo al bando del Ministero dell'Ambiente.
Ci avete sentito raccontare queste cose per 40 minuti: quello che posso dirvi è che la rete RUS ha aderito alla dichiarazione di emergenza climatica. Vi hanno aderito gli atenei piemontesi. Gli Atenei italiani e gli Atenei piemontesi sono già in cammino da tempo e stanno già lavorando in quella direzione.
Noi siamo pronti: vi aspettiamo. Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie a voi, naturalmente.
La parola al professor Peter Wadhams, professore emerito di fisica oceanica presso il Dipartimento di matematica applicata e fisica teorica dell'Università di Cambridge e Visiting Professor presso il Politecnico di Torino.



WADHAMS Peter, Università di Cambridge

Thank you very much. Grazie per l'opportunità di parlare qui.
Mi dispiace se parlerò in inglese, ma approfitterò della traduzione di mia moglie, che parla molto bene l'italiano.
Il discorso sul cambiamento climatico, di cui stiamo parlando, è che specialmente il ghiaccio dell'Artico è una causa diretta di tutti i cambiamenti che stiamo vedendo nel pianeta. Ha scritto un libro, "Addio ai ghiacci", pubblicato da Bollati Boringhieri, in cui soprattutto si analizzano gli impatti che la diminuzione e la sparizione del ghiaccio dell'Artico portano sul pianeta ma, soprattutto, cosa possiamo fare per avere meno danni sul pianeta e, la cosa più importante, sulla base di studi molto recenti, la riduzione dell'anidride carbonica dall'atmosfera.
Questi che vedere nella slide, sono gli orsetti, tanto per capire quello di cui stiamo parlando.
Sono professore e visitatore al Politecnico di Torino e sto notando come ci sia questo nuovo progetto nel Dipartimento di eccellenza sul cambiamento di clima, adattamento e mitigazione; si tratta, soprattutto, di un progetto finanziato dal MIUR per 8,7 milioni di euro.
Vediamo nella diapositiva precedente che dall'anno Mille la terra si stava in effetti, raffreddando, stava andando verso un'altra era glaciale, ma dall'inizio a metà dell'Ottocento, c'è stato un aumento della temperatura con la rivoluzione industriale, con l'uso del carbone e del petrolio che hanno portato a un improvviso riscaldamento concentrato in questi ultimi centocinquant'anni. E mentre nel mondo c'è stato un aumento globale di temperatura al di sotto di un grado, nell'Artico si è avuto un aumento di temperatura di 2,5 gradi centigradi.
Vediamo nell'immagine come il ghiaccio sia sparito dalla parte principale dell'Artico, segnato dalla linea rosa, nell'inverno 2005 e nel 2007: durante l'estate c'è molto, molto meno ghiaccio nell'Artico.
È importante anche misurare lo spessore del ghiaccio e questo si può fare andando sotto il ghiaccio, con sottomarini nucleari per analizzare appunto quanto sia rimasto spesso il ghiaccio.
Moltiplicando l'area per lo spessore abbiamo il totale volume del ghiaccio e vediamo che dal 1979 al 2011 il volume del ghiaccio nell'Articolo si è ridotto a un quarto di quello che era: da 16 milioni di chilometri cubi a 4,3.
Vediamo che in passato c'era questo grande ghiaccio pluriennale che adesso ha cambiato completamente forma anche nell'Artico.
Un problema che sorge è l'innalzamento dei mari, soprattutto dovuto alla fusione dei ghiacci nella calotta polare della Groenlandia, anche perché i mari intorno alla Groenlandia sono adesso liberi dal ghiaccio e quindi portano più calore.
Ho avuto la fortuna di essere in Groenlandia sulla calotta polare proprio il 1° agosto di quest'anno, quando c'è stata la più grande perdita giornaliera di ghiaccio dovuta al riscaldamento: c'era una temperatura di 21 gradi centigradi.
Si nota anche che, quando il ghiaccio si scioglie, rimane lo sporco che faceva parte del ghiaccio stesso e questo provoca una superficie più scura che assorbe ancora più calore. Questo porta alle previsioni, che sono state molto conservative all'inizio, sull'aumento del livello del mare dovuto alla fusione dei ghiacci della Groenlandia e anche dell'Antartide: adesso ci si attesta a pensare che il livello del mare si possa alzare di un metro.
Quindi, ci saranno problemi per le città costiere che dovranno essere abbandonate o avere delle difese estremamente costose. Per l'Italia il problema maggiore sarà Venezia.
Un altro problema è l'emissione di metano. Vediamo che soprattutto nei mari molto bassi della Siberia, che arrivano solo a 70 centimetri di profondità si sta sciogliendo anche il metano. Quelle che vediamo nell'immagine sono bolle di metano ed è recentissimo di due giorni fa uno degli studi di altri nostri colleghi che hanno notato ancora più emissioni di metano nell'Artico.
Si nota un altro effetto di questo riscaldamento dell'Artico, cioè che mentre la corrente a getto separava la parte fredda della Terra dalla parte più temperata, adesso questa corrente si sta rallentando molto, per cui molto più freddo viene a sud e molto più caldo va verso nord. Questo sta provocando grossi danni, soprattutto nelle zone temperate dove c'è la maggior parte delle coltivazioni. Per cui ci potrebbe anche essere un problema di approvvigionamento di cibi.
Che cosa possiamo fare? Continuiamo a vedere che, nonostante gli sforzi, le emissioni di anidride carbonica stanno salendo, specialmente in India e in Cina con lo sviluppo tecnologico. Le misurazioni che sono state fatte dal 1958 a Mauna Loa, su un vulcano delle Hawaii, dimostrano con questo grafico che anche i nostri sforzi non hanno portato a una riduzione apprezzabile.
È opinione ormai di tutti gli scienziati che studiano questo problema che anche una riduzione a zero delle emissioni non è sufficiente per poter aiutare il clima e ci si sta orientando verso una tecnica chiamata "Direct Air Capture" (la cattura diretta dell'aria, DAC in breve) per eliminare e raccogliere l'anidride carbonica, toglierla dall'atmosfera.
Peter era in Islanda due giorni fa, è tornato domenica. In questa zona dell'Islanda stanno analizzando come assorbire chimicamente l'anidride carbonica e farla reagire con la roccia all'interno delle profondità marine. Quindi, rimane completamente isolata dal resto del mondo e in questo modo è molto efficace l'eliminazione dell'anidride carbonica.
Un altro promettente metodo che abbiamo studiato in California è di far diventare l'anidride carbonica calcare. Gli americani vogliono sempre avere un vantaggio economico in questo senso, trasformano l'anidride carbonica in calcare e la immettono poi all'interno di cemento armato che viene usato per le costruzioni. E questo cemento armato diventa il 44% neutrale di carbonio.
Un altro sistema che viene usato in California e che abbiamo studiato, è di utilizzare quello che buttiamo. Quelli che vedete in slide sono, per esempio, gusci di pistacchio che, invece di buttare via, vengono analizzati in apposite macchine, diventano energia, vengono bruciati con pochissimo ossigeno e diventano anche fertilizzanti.
Ho iniziato il mio intervento facendo vedere un libro e voglio finire invece, facendo la pubblicità a un documentario che è stato finanziato dalla Fondazione di Leonardo Di Caprio, "Ice on Fire", in cui si parla sia del cambiamento di clima, soprattutto anche di cosa si può fare per eliminare questo problema. È un documentario andato in onda soltanto in televisione, è stato prodotto da HBO di Los Angeles e in Italia su Sky c'è la traduzione italiana. È stato già trasmesso a luglio su Sky Arte e Sky Atlantic. Se riuscite a vederlo, ne vale molto la pena.
Quello che si vede in copertina è un uomo su un lago gelato, da cui esce metano che poi prende fuoco. Per quello il titolo "Ice on Fire": ghiaccio bollente.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Ringraziamo il professor Wadhams per la sua chiara presentazione che fa riflettere moltissimo. Grazie, Professore.
La parola a Franco Gottero, dell'Istituto per le piante da legno e ambiente (IPLA)



GOTTERO Franco, IPLA

Buongiorno a tutti.
Dai ghiacci del Polo torniamo a un territorio un po' più vicino, parliamo dei boschi del Piemonte. Questo perché? Questa mattina abbiamo sentito parlare di sostenibilità, abbiamo sentito parlare chiaramente di cura dell'ambiente ma, molto spesso, abbiamo una scarsa conoscenza di quello che è l'ambiente, anche quello che ci circonda in maniera più prossima. Sono estremamente grato al Consiglio regionale e al suo Presidente per averci dato la possibilità e l'opportunità di fare un minimo di comunicazione e passatemi la parola un po' forte, di educazione della cittadinanza nei confronti di quello che è realmente il nostro ambiente.
Io sono un tecnico forestale, mi occupo di pianificazione forestale, di conseguenza provo a far partire e a far parlare i dati e magari inserire qualche specifica notazione.
I numeri qui riportati nelle slide probabilmente sono molto piccoli e non li vedete, ma considerate che fuori dall'aula ci sono delle brochure che riportano gli stessi numeri di conseguenza, se siete interessati, li potete vederli lì.
I boschi del Piemonte: di che cosa stiamo parlando essenzialmente? Di 930 mila ettari sul territorio piemontese. A quanto corrisponde un ettaro? Considerate che due campi di calcio affiancati, grossomodo, sono un ettaro.
Rappresentano il 37% del territorio regionale, di conseguenza una superficie notevole e addirittura superiore rispetto alla media europea.
Oltre ai boschi propriamente detti, ci sono altre superfici forestali, che sono quelli dove, sostanzialmente, non c'è una copertura sufficiente piuttosto che l'arboricoltura da legno e i castagneti da frutto.
Aggiungendo queste superfici arriviamo a un milione di ettari, cioè a una superficie pari, sostanzialmente, alla superficie agricola. Per cui non stiamo parlando proprio di bruscolini, ma stiamo parlando di una superficie che è un terzo della superficie regionale che, in qualche modo, è importante e va gestita.
E qui inizia il primo aspetto interessante. Quando andiamo nelle scuole, ma non solo nelle scuole, e chiediamo: secondo voi i boschi stanno crescendo o stanno diminuendo in Piemonte? La risposta media è che stanno sicuramente diminuendo, stiamo disboscando l'universo, di conseguenza disboschiamo anche il Piemonte. No, non è proprio così anzi, è esattamente il contrario.
Negli ultimi 35 anni l'estensione dei boschi è cresciuta del 40% per motivi chiaramente diversi: lo spopolamento montano, piuttosto che l'abbandono delle aree marginali agricole, i pascoli abbandonati e così via. Tuttavia i nostri boschi stanno crescendo e stanno crescendo sia in superficie sia in volume, nel senso che il capitale sostanzialmente che sta sull'ettaro boscato, aumenta tutti gli anni di un tasso d'interesse; comunque, quello che si va a prelevare annualmente, è inferiore rispetto a questo tasso di crescita. Di conseguenza anche i volumi totali stanno aumentando: 200 milioni di metri cubi, sempre nei famosi 35 anni di cui dicevamo prima.
Vorrei porre l'attenzione, perché ci ritorneremo dopo, al dato che indica che ogni anno si aggiungono cinque milioni di metri cubi ai nostri boschi.
Tenetelo a mente per un attimo.
Come sono fatti? Qui andiamo molto velocemente: l'84% sono latifoglie e il 16% sono conifere. Grossomodo c'è un miliardo di alberi. Chiaramente non li abbiamo contati tutti, sono dei dati inventariali, diciamo che il miliardo di alberi fa sempre abbastanza effetto, per cui è uno di quei dati che alla stampa piace molto. In realtà, è un dato che ha relativamente poco senso da un punto di vista scientifico.
Li conosciamo molto bene; sappiamo che ci sono 21 categorie forestali e le varie tipologie di boschi sono: castagneti, lariceti, faggeti e così via.
Dalla slide potete vedere - anche se è sempre un po' allungato, diciamo che le proporzioni non sono esattamente quelle cui siamo abituati a vedere il Piemonte - come i boschi stanno essenzialmente in montagna, ma ci sono anche tutte le colline centrali (Langhe, Monferrato e Roero), che sono estremamente forestali e, oltretutto, sono alcuni fra i territori con una maggior produzione di legno, essenzialmente legno di scarso valore, ma stiamo comunque parlando di legno da ardere.
Il castagno è, in assoluto, la specie più rappresentata.
I boschi attuali - e questo è fondamentale - sono essenzialmente il risultato di azioni dell'uomo.
Altra domanda classica: esistono dei boschi naturali in Piemonte? No, in Piemonte non esistono più dei boschi naturali, ma esistono dei boschi naturaliformi, nel senso che sono dei boschi che hanno già avuto una gestione da parte dell'uomo, che molto spesso sono stati abbandonati, per cui stanno di nuovo tornando verso una forma più naturale. Il problema è che, spesso, questi boschi sono formati da castagno, come abbiamo detto prima, che è una specie che - ahimè e purtroppo - non è così stabile sul nostro territorio. Di conseguenza, per fare in modo che questi boschi continuino a crescere e a svolgere le loro funzioni (che poi andremo a vedere), è necessario e fondamentale continuare a gestirli. Stare a guardare un bosco e dire "uh, com'è bello", lo costringe, prima o poi, a cadere e a distruggersi.
Dicevamo prima: 72% in montagna, 19% in collina e così via.
Sono essenzialmente privati: i tre/quarti dei boschi piemontesi sono privati, mentre la rimanente parte è pubblica, grossomodo comunale.
Sono gestiti? Sì, sono abbastanza gestiti. Non entro troppo nello specifico, non vi parlo di che cos'è un ceduo e di una fustaia, perché non mi sembra il caso in questo momento. Voglio solo portare l'attenzione sul fatto che i boschi si stanno rinaturalizzando, ma quelli meno stabili castagneti e robineti - stanno deperendo. I cuneesi fra di voi, piuttosto che chi passa spesso nel Verbano, soprattutto nel Cusio, vedrà enormi fasce di castagneti ormai morti.
Questo è proprio dovuto al fatto che la gestione continua a essere insufficiente rispetto a quello che queste specie vorrebbero.
Che cosa vorremmo fare noi dei boschi? Ci servono o, meglio, i boschi hanno bisogno di noi? No, i boschi non hanno bisogno di noi. Chiaramente loro svolgono le loro funzioni a prescindere, ma noi abbiamo bisogno dei boschi perché questi svolgono dei servizi ecosistemici, servizi essenzialmente dati dalla produzione di legno e di legname, com'è da tradizione, ma anche e soprattutto - e sta diventando la parte assolutamente più importante svolgono funzioni in seno alla protezione del territorio, alla conservazione della biodiversità e anche a tutto quello che possiamo definire "il terzo settore", in ambito forestale, che è la qualificazione del paesaggio, la fruizione pubblica piuttosto che le funzioni culturali e così via.
Per quanto riguarda la protezione del territorio, chiaramente ci proteggono dalla caduta sassi piuttosto che dalle valanghe, piuttosto che dall'erosione superficiale del suolo. Sono fondamentali anche perch grazie ai boschi ben gestiti, riusciamo a far svolgere a loro queste funzioni, evitando di spendere risorse economiche per proteggere quelli che sono i manufatti che stanno sotto le superfici forestali.
Oltre al discorso della protezione di tipo idrogeologico, non dobbiamo dimenticare - ne abbiamo già sentito parlare a lungo questa mattina - la mitigazione del clima, con l'assorbimento della CO2. Considerate che i boschi piemontesi fissano, nel loro legno, cinque milioni di metri cubi di CO2 all'anno, per cui svolgono un ruolo fondamentale.
La conservazione della biodiversità è un altro dei servizi ecosistemici fondamentali. Nei boschi del Piemonte ci sono tantissime specie di uccelli che nidificano. Chiaramente i grandi alberi, soprattutto il legno morto sono degli habitat estremamente importanti per tutta la catena alimentare e sono fra gli ecosistemi più ricchi e più complessi che possano esserci sul nostro territorio; cosa che assolutamente non possiamo dire dell'altro milioni di ettari, che sono le superfici agricole, dove la biodiversità è stata necessariamente semplificata.
Il 16% dei boschi piemontesi sono comprese in aree protette o siti della Rete Natura 2000 e così via.
Quanto valgono? Beh, valgono notevolmente. Che cosa producono l'abbiamo già detto prima: legno per costruzione o per usi energetici, chiaramente carta cartoni, tannini e così via, ma anche altri prodotti. Pensate a quelle che sono le filiere delle castagne piuttosto che dei funghi, del miele o della selvaggina, che sembra poco, ma a livello di economia locale sono estremamente importanti.
A livello piemontese abbiamo circa 4.000 boscaioli qualificati, che svolgono la loro funzione anche in ambito sociale, nel senso che fanno in modo che ci sia del lavoro dove i boschi ci sono, di conseguenza in montagna, e i numeri sono comunque di un certo livello: abbiamo 600 ditte boschive iscritte all'Albo regionale e, quindi, qualificate; abbiamo 900 tecnici forestali iscritti agli Ordini professionali e 400 iscritti alla Facoltà di Scienze Forestali e Ambientali (è ancora il vecchio nome, adesso non si chiama più così), comunque alla Facoltà universitaria che gestisce questa realtà.
Vado velocissimo.
Nei boschi piemontesi, si prelevano ogni anno circa un milione di metri cubi. Ricordate il numero che dicevamo prima? Crescono cinque milioni di metri cubi. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che preleviamo un quinto rispetto a quello che potremmo prelevare in maniera sostenibile e che quindi, stiamo sottovalutando una risorsa. Non significa che, andando a tagliare o accendendo la motosega in un bosco, si compiono dei reati ambientali, ma semplicemente che si va a gestire in maniera sostenibile e coerente una grossa parte del nostro territorio.
Mi fermo qua. Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola ad Angelo Robotto, direttore generale dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA) e delegato per l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.



ROBOTTO Angelo, ARPA

Buongiorno a tutti. Ringrazio per l'invito.
Una breve presentazione, perché tante cose sono già state sottolineate.
Ringrazio segnatamente per avere incluso anche ARPA Piemonte, oggi, qua, in quest'Assemblea, e ho l'onore anche di parlare come delegato dal Presidente di ISPRA, e quindi dal Presidente di tutte le ARPA d'Italia.
Le indicazioni sono ancora le stesse. Riprendo quelle che sono già state formulate dai professori universitari: il cambiamento climatico è inequivocabile. Questa è una sottolineatura che già nel 2013 il Quinto Rapporto IPCC sottolineava. È pubblico ed è da tempo che questi elementi sono noti.
Già allora, si segnalava che le concentrazioni di gas serra hanno raggiunto i valori più elevati degli ultimi 800.000 anni. Sono grafici già riportati questa mattina, ma che mi piace riproporre, perché, al di là delle sensazioni, si tratta di dati misurati. Sono dati misurati a livello mondiale, quindi abbiamo sfondato, dal 2014, i 400 PPM di biossido di carbonio, di CO2.
I dati vengono rilevati dalle reti certificate. Dalle reti certificate di ARPA Piemonte abbiamo i trend storici in Piemonte e vediamo che le anomalie sul Piemonte raggiungono, negli ultimi anni, addirittura un'anomalia di due gradi, con una media globale di un grado.
Le proiezioni delle temperature future: questi sono studi condivisi dalla comunità scientifica; in Italia certamente da 10.000 dipendenti delle varie agenzie nazionali.
Che cosa dice il secondo grafico? Se non si fa nulla, abbiamo un aumento nel secolo, di circa cinque gradi; se si fa qualcosa, l'aumento è di due gradi (sono valori importanti) a impattare sugli impatti attesi (sono segnati nella documentazione che lascio agli atti, ma che mi preme almeno sottolineare), cioè tutto ciò che impatta sugli eventi connessi agli estremi climatici, perché non sfugga che la grossa criticità è quella di sopportare le emergenze climatiche, le anomalie climatiche. Avremo certamente periodi assolutamente piovosi (alluvioni), ma anche siccitosi.
Della riduzione del permafrost, che peraltro è misurato anche da una rete di monitoraggio specifica di ARPA Piemonte, che fa scuola a livello nazionale, si è già parlato; mi preme sottolineare anche come siccità e incendi boschivi abbiano una grave influenza sugli impatti attesi.
Le catastrofi naturali dovute a eventi idro-meteo: al di là di ciò che è riportato dagli studi dell'Agenzia ambientale europea, riporto il secondo grafico, che evidenzia un aumento drammatico, dal 1800 a oggi. Oggi, in Piemonte, abbiamo un evento naturale ogni 21 mesi circa.
Un breve flash sulle azioni, quindi mitigazione e adattamento. Sappiamo che non riusciamo a fermare questo trend, però certamente dobbiamo mitigarlo.
Certamente, dobbiamo mitigare le cause e quindi, in una parola (è già stato detto questa mattina), ridurre le emissioni di gas climalteranti e favorire lo stoccaggio del carbonio, così come l'adattamento. Non ci può essere solo mitigazione e solo adattamento, ma adattare agli effetti e adeguare i sistemi al cambiamento climatico devono essere due azioni sinergiche, per moderare i danni.
Ebbene, le azioni sono riportate in questo grafico. Ci sono delle azioni complanari a entrambe le classi, gli insiemi di mitigazione e di adattamento, cioè conservazione delle risorse naturali e incremento delle infrastrutture verdi. Tutto ciò, perché le facce della medaglia, che riguardino strategie per il risanamento della qualità dell'aria, strategie per il risanamento della qualità dell'aria e strategie per il contrasto ai cambiamenti climatici devono convergere su politiche di riduzione delle emissioni.
Su questi aspetti, ovviamente, con la Giunta ci stiamo ragionando. Con l'Assessore Marnati stiamo portando vari elementi (si tratta di elementi tecnici, di dati) per consentire di fare le valutazioni delle politiche e quindi, mettere in campo dei dati certi di monitoraggio dei parametri ambientali e cercare di fornire le banche-dati interdisciplinari (perch qui l'argomento tocca più facce di uno stesso poliedro) e migliorare il quadro conoscitivo, perché senza conoscere, non si può agire.
Questo è il lavoro che stiamo svolgendo in Italia: forniamo le analisi di variabilità climatica, degli impatti del cambiamento climatico dell'efficacia delle politiche per il clima e cerchiamo di erogare dei servizi climatici sempre terzi e sempre particolarmente efficaci. Non dimentichiamo l'impatto sulla Protezione Civile - questa è la settimana della Protezione Civile - che deve essere allertata e sempre più tempestivamente. In Piemonte abbiamo sviluppato un sistema sicuramente all'avanguardia in Italia.
Chiudo con qualche minuto di anticipo, perché l'obiettivo era contenere i tempi: tutti i dati sono pubblici sul sito di ARPA Piemonte e questa breve relazione è lasciata agli atti.
Vi ringrazio per l'attenzione.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie a lei.
La parola a Ferlaino Fiorenzo, IRES Piemonte.



FERLAINO Fiorenzo, IRES Piemonte

Grazie, Presidente e buongiorno a tutti.
Ringrazio a nome del Presidente dell'IRES, che non è riuscito a venire.
Come molti di voi sanno, la Regione Piemonte ha risposto a due bandi del Ministero dell'Ambiente per l'attuazione della strategia dello sviluppo sostenibile: mi riferisco al bando del 2018 e a quello, in scadenza, del 2019.
La strategia dello sviluppo sostenibile, com'è stato detto, è partita dalla Conferenza di Parigi del 2015; è stata poi adottata dall'Italia nel 2017 e quindi è in corso di regionalizzazione con bandi, appunto, del 2018 e del 2019.
L'IRES, con ARPA, Università e altri enti, è coinvolto come ente attuatore e come ente strumentale della Regione.
Molte cose sono state fatte, in particolare nell'ottica,di cui si diceva prima, di integrare le diverse settorialità, per cui sono state chiamate le Direzioni a dire cosa stanno producendo sullo sviluppo sostenibile.
Molte cose vanno fatte. Noi, a breve, "romperemo ancora le scatole" alle Direzioni per invitarle a integrare le loro conoscenze nell'ottica e nel modello dello sviluppo sostenibile.
Che fare? Sicuramente guardare i dati.
Nel 2013 l'IRES ha prodotto un rapporto sulla green economy e quest'anno ha dedicato il suo rapporto annuale proprio allo sviluppo sostenibile.
L'occasione nuova pensiamo sia la nuova programmazione europea 2021-2027 che chiamerà le Regioni a stilare piani di mitigazione ea promuovereinterventi e azioni verso la mitigazione e l'adattamento.
Com'è stato più volte detto e ribadito, il cambiamento climatico è un dato: si tratta solo di capire se saremo in grado di rispettare i limiti fissati dalla Conferenza di Parigi per avere perturbazioni accettabili, oppure sforare quei limiti e avere perturbazioni meno accettabili. Il cambiamento è un dato ma, come tutti i problemi, rappresenta anche una sfida che ci invita al cambiamento. La nuova programmazione può essere l'occasioneper dare spunto a molte idee contenute nei rapporti IRES.
Come sapete - faccio un breve accenno - gli investimenti green sono quelli che tirano ormai da dieci anni. L'industria green e gli investimenti in genere crescono più degli altri. Questa è una sfida, ma è anche un'indicazione, in qualche modo. Occorre riappropriarsi del territoriodato che il cambiamento climatico cambia gli scenari: i territori che oggi sono periferici possono diventare centrali.
Prima il collega Gottero dell'IPLA parlava dei boschi: è una grande risorsa che trent'anni fa era meno presente. Ma la stessa montagna diventa una risorsa, la montagna intera. E diventa una centralità, perché tutto si sposta verso l'alto, quindi gli scenari tra centro e periferia territorialmente cambieranno. Su questo una riflessione va fatta. Noi la stiamo facendo, ma bisogna continuarla.
Sicuramente i soldi messi a disposizione dal Ministero dell'Ambiente per la strategia sono molto pochi. Invece la programmazione europea può costituire un'occasione per il cambiamento e il rilancio delle iniziative di sostenibilità finora seguite. Questa è un po' la prospettiva che abbiamo cercato di dare nell'ultima relazione annuale e che cercheremo di dare anche in seguito.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
La parola a Giancarlo Banchieri, Presidente di Confesercenti.



BANCHIERI Giancarlo, Confesercenti

Buongiorno a tutti.
Sono grato al Consiglio regionale che ci ha offerto quest'utile occasione di confronto su una tematica che sempre di più ci coinvolge, sia come cittadini, sia come imprenditori, sia come organizzazioni portatrici d'interessi.
Non possiamo e non vogliamo dimenticare che la sfida ambientale riguarda tutti e che i nostri comportamenti e le nostre decisioni non possono prescinderne. D'altra parte, le manifestazioni che si susseguono in tutto il mondo dimostrano come la sensibilità su questi temi è ormai diffusa specialmente, nelle giovani generazioni. Come impresa e come organizzazioni rappresentative dell'impresa non vogliamo certo sottrarci a questa sfida per salvaguardare l'ambiente; in questo senso, sbaglierebbe chi ci considerasse i paladini del no a ogni intervento di sostenibilità ambientale.
Prima che imprenditori, siamo cittadini che hanno tutto l'interesse a vivere e operare in un contesto sano e vivibile. Se ci sono stati e se ci sono dei no, questi riguardano provvedimenti palesemente inutili sul piano ambientale, ma nello stesso tempo dannosi per le imprese e i cittadini. In questo senso, è per noi emblematica la vicenda dell'allungamento della ZTL e della tassa d'ingresso proposti dal Comune di Torino. Non mi voglio dilungare su di essa, ma la cito solo come esempio di una linea ideologica e scarsamente aderente ai dati di fatto. Misure di restrizione come questa rischiano di essere devastanti per le aree urbane, al cui interno la presenza d'imprese commerciali, turistiche e di servizi garantisce condizioni di vitalità, sicurezza e ordine essenziali per un ambiente vivibile e attrattivo, senza contare i timori circa le possibilità che vengano alterati gli equilibri concorrenziali tra territori e tra aziende con forte penalizzazione per le realtà colpite dalle restrizioni rispetto a quelle escluse.
Inoltre, recentemente sono entrati in vigore i provvedimenti di limitazione del traffico sulla base dell'accordo di programma fra il Ministero dell'Ambiente e la Regione Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per l'adozione coordinata e congiunta di misure per il miglioramento della qualità dell'aria, recepito anche dalla Regione Piemonte. Anche su di essi le associazioni di categoria hanno espresso rilievi critici.
Al di là del merito, voglio prendere ad esempio questa vicenda per esprimere un'osservazione di carattere generale. Se è vero che le problematiche ambientali condizioneranno il futuro stesso del pianeta anche le conseguenti misure devono essere di ampio respiro e avere una vista lunga, come si dice. L'impressione, invece, è che questo, come altri provvedimenti, siano caratterizzati da un approccio più contingente e soprattutto, esclusivamente calibrato sulle limitazioni e sui divieti.
Certo alcune misure di emergenza sono necessarie, ma non possono sostituire una politica a più vasto raggio e nemmeno possono essere unilaterali. A fronte di divieti, magari giustificati, in materia di traffico quali provvedimenti altrettanto invasivi sono stati assunti in materia di riscaldamento di case e uffici? Quanti controlli vengono effettuati? E ancora, siamo sicuri che, a fronte delle limitazioni previste, l'offerta del trasporto pubblico sia adeguata? La domanda è ovviamente retorica, dal momento che è evidente a tutti che le risorse e l'attenzione che vengono dedicate a questo comparto sono drammaticamente insufficienti. D'altra parte, non si può immaginare che in una situazione di perdurante crisi economica famiglie e imprese possano rottamare in tempi brevi migliaia di veicoli, per un valore di svariati miliardi.
Vietare è facile, a volte anche necessario, ma non può essere l'ambizione esclusiva di una politica ambientale, che, come si è detto, voglia affrontare con successo un'emergenza di carattere epocale e che ambisca a superare gli angusti confini locali. Misure emergenziali sono inadeguate rispetto all'esigenza di ripensare modelli di produzione, scelte di vita e di consumo, modalità di distribuzione delle merci e modelli di trasporto delle persone. Per affrontare tutto questo c'è bisogno della collaborazione di tutti: Istituzioni a ogni livello, cittadini e imprese come singoli e come soggetti associati. Se questo sarà l'orizzonte, anche le organizzazioni delle imprese non faranno mancare il loro sostegno, il loro contributo d'idee e proposte.
Per quanto riguarda Confesercenti, ne indico rapidamente alcune, solamente per titoli.
Anzitutto, bisogna lavorare alla riqualificazione urbana degli edifici recuperando risorse da una maggiore tassazione sugli insediamenti delle piattaforme di marketplace; la web tax non spetta certo alla Regione, ma la Regione può comunque fare qualcosa e la strada è quella di considerare gli insediamenti dei colossi dell'online come veri e propri insediamenti commerciali e, quindi, applicare a essi gli oneri (urbanistici, fiscali eccetera) previsti in questi casi. Di fatto, sono attività di vendita, non magazzini di logistica.
Secondo. Allo stesso modo e nella stessa logica bisogna valorizzare e sostenere il commercio di vicinato come modello sostenibile; la consegna a domicilio tipica delle piattaforme online produce, invece, traffico e inquinamento.
Terzo. Vanno significativamente incrementati gli investimenti per il trasporto pubblico locale, in modo che una rete capillare ed efficiente possa rendere conveniente per il maggior numero di persone possibile l'abbandono o, almeno, l'uso più limitato dell'auto privata: quella famosa cura del ferro, di cui sentiamo parlare ormai da anni, che però vediamo solamente in parte applicata. Bisogna far sì che le politiche di welfare aziendale siano indirizzate a favorire l'uso dei mezzi pubblici attraverso ad esempio, l'acquisto agevolato di abbonamenti.
Inoltre, vanno premiate, attraverso una sostanziosa riduzione della tassa rifiuti, tutte quelle attività di vendita alimentari e di somministrazione che s'impegnino in un percorso virtuoso, abolendo, per esempio, l'uso della plastica o riducendo la produzione stessa di rifiuti.
Mi fermo qui sottolineando, in conclusione, una necessità che definirei metodologica: qualsiasi percorso s'intenda intraprendere è necessaria una maggiore integrazione fra i soggetti, sia a livello di provvedimenti locali (ambiente, urbanistica, trasporti), sia a livello di bacino padano, con il coinvolgimento dei Ministeri dei Trasporti e dello Sviluppo economico.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie a lei.
La parola Gianni Cortese, Segretario regionale dell'Unione Italiana Lavoratori (UIL).



CORTESE Gianni, UIL Piemonte

Grazie dell'invito.
Alla fine dell'intervento, consegnerò alla Presidenza un documento unitario di CGIL, CISL e UIL, elaborato nei giorni scorsi, che propone tutta una serie di azioni concrete per quanto riguarda la salvaguardia dell'ambiente dei lavoratori e della qualità della vita.
Sicuramente, oggi discutiamo di un tema, l'ambiente, e dei cambiamenti climatici, su cui sono sensibilizzate tutte le generazioni che cominciano a chiedere anche al mondo della politica degli interventi rapidi, per cercare di migliorare la situazione. L'ambiente, la sua tutela, il rapporto con la produzione e l'evoluzione del mondo del lavoro impongono sicuramente di saper coniugare l'obiettivo dello sviluppo economico con il rispetto e la tutela che si deve al nostro ambiente.
Per vincere la sfida, che è una sfida complicata e che viene da lontano occorre un cambiamento radicale dell'intero sistema economico e produttivo che deve spostarsi da un modello basato sulle fonti fossili a un modello di sviluppo eco-sostenibile. È evidente - e questa cosa la voglio sottolineare anche per una qualche faciloneria che ogni tanto si nota - che, nel frattempo, ci aspetta un problema di salvaguardia di molti posti di lavoro.
Quindi, rispetto ai tanti rischi, è necessario gestire la transizione con molta intelligenza e con adeguata sensibilità sociale.
Il "Decreto clima", che recentemente è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, è un primo passo, sicuramente ancora insufficiente a invertire la tendenza, anche purtroppo per la scarsa consistenza dei fondi che vengono stanziati (450 milioni). Tutela dell'ambiente, salvaguardia dell'occupazione e creazione di nuovi posti di lavoro non sono per noi degli obiettivi inconciliabili. Peraltro, esiste anche un'ipotesi concreta da sviluppare, che è quella della green economy, che è vista come un'opportunità trasversale a tutti i settori produttivi, essenziale per la competitività delle aziende, la qualità e la dignità del lavoro. L'economia verde richiede peraltro anche nuove figure professionali e nuove competenze nel mercato del lavoro.
Qui si apre anche sicuramente una prospettiva per quanto riguarda le politiche attive e la formazione in capo all'Ente Regione, che ha delle competenze specifiche in materia. I lavoratori che oggi sono impiegati in Italia nella cosiddetta economia verde sono circa tre milioni; sono quasi il 13% del totale degli occupati e il 46% delle assunzioni è a tempo indeterminato. Voglio sottolineare questa cosa, perché la media nazionale degli altri settori è oggi inferiore al 25%. Quindi, c'è anche buona occupazione e per noi questo è un elemento molto importante.
Il difficile rapporto tra sviluppo e sostenibilità è particolarmente evidente nell'edilizia - se n'è parlato anche stamattina - che è il settore che ha subito pesantemente gli effetti della crisi, anzi è il settore che ha subito più pesantemente gli effetti della crisi. Pertanto, credo che occorra operare per il recupero e la riqualificazione dei centri urbani dopo la fase di cementificazione selvaggia. La progettazione di nuovi quartieri e la riqualificazione di quelli esistenti devono rispondere a una visione che facilita la coesione, la convivenza e l'interazione tra i residenti. È impensabile ritenere che il rilancio possa essere legato solo alle grandi infrastrutture, che pure sono necessarie. Perciò bisogna preoccuparsi della messa in sicurezza del territorio, del dissesto idrogeologico - il Piemonte è periodicamente soggetto ad alluvioni devastanti e ne sappiamo qualcosa - e anche all'impatto delle attività sismiche, che frequentemente coinvolgono il territorio nazionale. Non possiamo dimenticare che l'81,9% dei Comuni italiani sorge su un territorio a elevato rischio idrogeologico e che il 66,8% degli italiani abita in zone sismiche. Per cui investire in prevenzione significa, in primo luogo ridurre il numero delle vittime, ma anche risparmiare risorse importanti nella ricostruzione e nella gestione dell'emergenza.
Anche gli interventi per l'efficientamento degli edifici pubblici - è stato richiamato anche questo - dovrebbero essere intensificati, perché sarebbero ripagati in pochi anni, producendo risparmio energetico, occupazione qualificata e l'eliminazione di CO2. Bisogna praticare un nuovo concetto di mobilità sostenibile, capace di rispettare l'ambiente, puntando su un trasporto non inquinante. A proposito d'inquinamento - il dottor Salizzoni sicuramente conosce i dati che sto per citare - bisogna ricordare che esiste il rapporto SENTIERI dell'Istituto Superiore di Sanità che esaminando 45 siti produttivi a elevata criticità ambientale, ha rilevato per chi ha vissuto nelle vicinanze o nella zona, sicuramente un tasso di mortalità molto più alto rispetto ad altre zone. Quindi, non si possono mettere le comunità nelle condizioni di dover scegliere se morire di tumore o di stenti per mancanza di lavoro. Il lavoro deve essere svolto in sicurezza, perciò infortuni e inquinamento sono inaccettabili.
Per gli obiettivi richiamati è fondamentale il ruolo della ricerca, che va sostenuta con forti investimenti pubblici. Le istituzioni europee stimano che la realizzazione degli obiettivi energetici e climatici previsti per il 2030 richiedono un volume d'investimenti pubblici e privati che varia dai 180 ai 270 miliardi di euro. L'Italia - voglio ricordare, secondo paese manifatturiero europeo - deve pertanto incrementare gli investimenti pubblici fino a raggiungere il 6% del prodotto interno lordo dal misero 2 attuale.
Grazie.



PRESIDENTE

La parola a D'Auria Aniello, in rappresentanza del Segretario regionale della Confederazione Italiana Sindacato Lavoratori (CISL).



D'AURIA Aniello, CISL Piemonte

Buongiorno a tutti.
Intervengo a nome della CISL. Ringrazio il Consiglio regionale che ha voluto dedicare una sessione di approfondimento e di confronto pubblico rispetto a questo importante tema. Su questo ha già detto molte cose il collega Cortese, che è intervenuto prima di me e ha consegnato il nostro documento unitario rispetto alle elaborazioni che il sindacato unitariamente ha fatto per quanto riguardo lo sviluppo sostenibile. Non citerò la piattaforma che, come sindacato, abbiamo presentato, ma vorrei concentrare il mio intervento su due aspetti per quanto riguarda questi cambiamenti.
Mi dispiace che negli interventi che ho sentito in questa sessione si sia parlato di dati, di una serie di aspetti, ma si sia parlato poco di lavoro e quasi nulla per quanto riguarda chi c'è dietro il lavoro, cioè la persona. Al centro di tutti questi temi, in realtà, ci sono persone in carne e ossa che meritano la nostra attenzione rispetto alla giusta transizione. Non citerò dei dati, voglio solo ricordare alcune importante tappe in questi anni. Trentadue anni fa il rapporto della Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo, promosso dalle Nazioni Unite, aveva lanciato l'idea di uno sviluppo sostenibile, perché già allora si diceva che non potevamo continuare questo tipo di sviluppo, ma siamo ancora lontani dal permeare la politica e le azioni dei vari Paesi in quella direzione.
L'anno di svolta è stato sicuramente il 2015 con l'adozione dell'Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile e la successiva conferenza di Parigi preceduta dalla pubblicazione dell'Enciclica di Papa Francesco "Laudato si'" che, voglio ricordare, era stata impostata su tre verbi chiari: studiare, conoscere, cambiare, convertirsi al cambiamento e agire. Questo è quello che dovremmo fare alla fine di tutti i dibattiti e gli approfondimenti.
Il pianeta è in sofferenza e lo sarà sempre di più se non interveniamo in fretta, ma sempre di più saranno i deboli, gli ultimi, gli scartati a pagarne le conseguenze. Per questo, come sindacato e come CISL abbiamo sin da subito aderito al primo rapporto e abbiamo contribuito a realizzare quel rapporto con le nostre organizzazioni europee e mondiali alla definizione dell'Agenda ONU 2030. Non citerò tutti i vari passaggi contenuti, ma non possiamo perdere altro tempo, occorre intervenire affinché gli obiettivi gli accordi e gli studi siano realizzati in tempo.
L'ultima Conferenza, la COP24, svolta in Polonia ha individuato alcuni percorsi che noi dobbiamo realizzare rapidissimamente. La questione lavoro in quella sessione è stata posta al centro dell'attenzione e finalmente è entrata anche nel dibattito internazionale. Ecco perché mi rammarico che qui sia stato citato poco rispetto al dibattito internazionale sul clima.
La lotta ai cambiamenti credo si debba fare con tutti, a partire dai lavoratori, nessuno dev'essere lasciato indietro. Il Presidente della Conferenza COP24 e il Presidente polacco, in apertura della Conferenza hanno lanciato la dichiarazione della Slesia: "Solidarietà e giusta transizione" era il titolo di questo documento. La Slesia, per chi non lo sapesse, è la regione carbonifera della Polonia, quindi ha un problema d'impatto rispetto alla questione del clima. Sono stati oltre 55 gli Stati che hanno già sottoscritto la dichiarazione "Solidarietà e giusta transizione".
Dalla firma della dichiarazione scaturisce l'impegno di ciascun Stato al piano della giusta transizione dei lavoratori, nel passaggio a una nuova economia. Piani che saranno oggetto di confronto in occasione delle prossime sessioni di studio.
Questa è la strada da percorrere. La lotta al clima non può essere fatta contro il lavoro, ma deve realizzarsi e rafforzarsi con l'inclusione l'adesione e l'apporto dei lavoratori e delle organizzazioni che li rappresentano. Di tutti, nessuno escluso.
Vorrei solo ricordare il problema che abbiamo rispetto agli agenti inquinanti presenti sul nostro territorio. Su questo voglio ricordare i problemi dell'amianto. Il Piemonte in passato ha pagato, e sta continuando a pagare, un prezzo non indifferente. La Regione Piemonte era una di quelle che si era dato un piano per arrivare alla bonifica. Sono trascorsi oltre 25 anni da quando è stato messo al bando il materiale amianto, ma si sono fatte ben poche bonifiche.
Richiamo l'attenzione, anche se sono già stati richiamati alcuni aspetti e quindi non li riprendo, che ogni anno sono oltre 6.000 ex lavoratori, e adesso cittadini, che per l'esposizione a quel materiale continuano a morire rispetto al fatto che non s'interviene.
La CISL e lavoratori sono preoccupati di questo rapido cambiamento climatico perché questa aggrava, come dicevo prima, la povertà e le disuguaglianze. Occorre intervenire con urgenza al fine di attuare, nella giusta transizione, un nuovo sistema che sia indirizzato verso una sostenibilità per garantire salute e benessere alla comunità e salvaguardare i posti di lavoro. Per questo ringrazio nuovamente il Consiglio regionale di questo primo momento di confronto e metto a disposizione non solo il documento, ma anche la nostra conoscenza e la nostra disponibilità, come ha già fatto l'Università, a partecipare a un Tavolo, magari con la regia della Regione Piemonte, che veda coinvolte tutte le parti interessate, al fine di poter individuare e concordare interventi concreti, come già auspicato dall'Università.
La CISL, il sindacato, i lavoratori ci sono.
L'Università ha aperto il dibattito facendo vedere una slide nella cui introduzione si diceva che già cinquant'anni fa una persona richiamava l'attenzione della società a questi problemi, che oggi sono diventati così drammaticamente presenti.
Oggi vorrei ricordare, perché è stato un Consigliere di quest'Aula Pasquale Cavaliere nel ventesimo anniversario dalla sua morte. Non tutti lo conoscono, non tutti sanno chi era, ma è stata una persona che già quando vi erano i primi movimenti sull'ambiente ha sostenuto, combattuto e si è fatto promotore d'iniziative anche all'interno del Consiglio affinch questi problemi non arrivassero alla gravità in cui versano oggi. Vorrei ricordare una persona che ha veramente dedicato tutta la vita e la sua esistenza affinché questi problemi venissero affrontati con la giusta attenzione.
Ciao Pasquale, e grazie a tutti.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Interviene il Presidente Cirio, poi chiamato ad altri compiti.
Prego, Presidente Cirio.



CIRIO Alberto, Presidente della Giunta regionale

Grazie, Presidente.
Cari colleghi e gentili ospiti, grazie di aver anticipato di un turno il mio intervento, perché alle ore 13 ho un incontro importante alla Corte dei Conti, quindi dovrò assentarmi.
Ci tenevo, però, a fare un breve intervento, una breve riflessione innanzitutto per ringraziare il Presidente del Consiglio, l'Ufficio di Presidenza e tutti i Consiglieri di aver voluto porre all'o.d.g. un argomento così importante come quello della tutela dell'ambiente, argomento anche così attuale, alla luce di tutti gli appuntamenti, a livello internazionale, che ci parlano e ci ricordano l'importanza della qualità dell'aria, della natura, dei boschi, del verde e di tutto ciò che ci circonda.
L'Assessore Marnati, che ha seguito da stamattina tutti i lavori del Consiglio, interverrà poi nel merito, anche in modo più puntuale, sui programmi che il nostro Governo regionale intende porre in essere e quelle che sono le linee guida su cui intendiamo muoverci.
Io ci tenevo soltanto a dare un personale contributo a questi lavori perché l'ambiente è sicuramente un tema a noi molto caro; è un tema caro sotto evidenti profili legati alla tutela del mondo in cui viviamo e dell'aria che respiriamo, ma è un tema sul quale credo si possa anche costruire un'economia importante per il nostro futuro.
Parlare di ambiente non è solo parlare di salvaguardare la coreografia straordinaria che la natura ci ha dato intorno a noi, che è quella in cui ci muoviamo e in cui viviamo, ma è anche dare un'opportunità di lavoro e di sviluppo a una Regione come la nostra che ha, nell'agroalimentare e nel turismo eno-gastronomico, una delle sue leve principali. Avete visto anche i dati relativi all'export regionale, che ci dicono con chiarezza quali sono i settori che numericamente oggi rappresentano una delle fette principali della nostra economia regionale piemontese. Ebbene, queste materie sono legate, in maniera molto evidente e molto chiara, a ciò che ci circonda, all'aria, alla natura e alla terra. Quando parliamo di economia rurale, parliamo di un'economia legata a doppio filo alle necessità di una tutela ambientale intelligente.
Il termine "intelligente" dovrebbe ispirare la nostra attività e il nostro impegno, perché noi crediamo che la tutela dell'ambiente sia sicuramente un principio fondamentale da porre come linea guida di ogni decisione e di ogni attività, ma non a compartimenti stagni. Sarebbe bene che l'Assessorato all'ambiente si occupasse, in senso orizzontale, un po' di tutti gli Assessorati, perché il rischio, nella pubblica amministrazione, è che, quando si parla di scuola, sembra che non si parli di ambiente. Non è vero, perché quando parli di scuola parli di ambiente; quando parli di urbanistica parli di ambiente; quando parli di sanità parli di ambiente quando parli di tutto parli di ambiente, perché è una competenza di tipo trasversale che occupa e interessa tutti i settori e tutte le sfere della pubblica amministrazione, non solo regionale, ma anche comunale e statale.
Pertanto, dev'essere un metodo di lavoro: un metodo di pensiero e un metodo di ragionamento che noi vogliamo porre in essere e al quale vogliamo dare particolare attenzione, ma che vogliamo tenere lontano e preservare da ogni tipo di approccio ideologico, nel senso che non ha, per noi, una valutazione che debba prescindere da ragionamenti che devono essere concreti e di buonsenso; ragionamenti che non devono farci dimenticare che comunque, ogni decisione che noi assumiamo avrà conseguenze sulla vita di ciascuno di noi, sulla qualità dell'aria, ma anche sulla qualità della capacità economica e produttiva della nostra Regione.
Questo è l'approccio che noi abbiamo voluto darci e che vorremmo darci, che non vuol dire non avere una sensibilità forte, anzi, vuol dire avere una sensibilità forte, ma che vuole anche ricordarci che ogni legge che noi facciamo, ogni norma che noi approviamo, ogni deliberazione che noi approviamo in Giunta, ogni decisione, anche interpretativa, dei nostri Uffici, ha delle conseguenze e porta delle conseguenze nella vita delle persone.
Pertanto, quando si portano conseguenze nella vita delle persone occorre io credo - usare sempre il buonsenso. Per questo motivo, un percorso di sensibilizzazione e di consapevolezza di tutto ciò che a livello di tutela ambientale è necessario fare, sicuramente va fatto e va seguito passo passo, ma, al contempo, non bisogna mai astrarsi troppo dalla realtà e rischiare di fare o assumere decisioni che poi rischiano di essere troppo generali o troppo astratte, e di non avere i propri effetti concreti.
Peraltro, sono orgoglioso che noi, anche a livello simbolico, come Giunta abbiamo adottato la delibera sul plastic free. Abbiamo adottato, anche a livello di esempio, per quanto riguarda tutte le manifestazioni e tutte le attività che si faranno in Regione, un'azione concreta che ci possa portare nella direzione non di vietare, ma di premiare coloro i quali riusciranno nell'organizzazione degli eventi e delle manifestazioni, a ridurre, man mano, l'utilizzo della plastica.
Tuttavia, vedete, in questa delibera, che prendo come esempio, noi avremmo voluto vietare, ma sarebbe stato sbagliato vietare, perché non è che uno può vietare dall'oggi al domani, in occasione delle manifestazioni che si fanno in Piemonte, di usare la plastica (sarebbe bello poterlo fare nella teoria). Nei fatti, vorrebbe dire creare tutta una serie di difficoltà operative e pratiche che rischierebbero di vanificare la bontà di un intervento di questo tipo.
Il dare, invece, un indirizzo e un premio a chi lo fa, è proprio l'atteggiamento che noi vorremmo cercare di adottare.
Pertanto, meno obblighi punitivi o, meglio, punibili nel momento in cui uno non li rispetta, e più criteri d'incentivo e di premialità nei confronti delle persone, dei soggetti, delle associazioni e delle organizzazioni che vorranno adottare queste buone pratiche. È un po' anche il ragionamento che cerchiamo di fare su un tema che è stato anche oggetto di dibattito in campagna elettorale: la legge del consumo del suolo, legge sulla cui applicazione e attuazione con straordinario buonsenso dedichiamo - voi sapete - un'attenzione particolare.
Noi lo vogliamo fare attraverso un meccanismo d'incentivo del riuso, cioè di tutto ciò che oggi c'è, quindi un patrimonio immobiliare straordinario in termini di potenzialità. Pensiamo a tante zone industriali che sono state abbandonate, che sono ancora al centro delle nostre realtà e che dobbiamo rendere maggiormente appetibili per gli investitori, attraverso criteri di carattere urbanistico - se vogliamo - o di strumenti di carattere commerciale, attraverso la creazione dei centri commerciali naturali, che sono quelli che ci piacciono, che piacciono a tutti, ma che poi, nella pratica, rischiamo di non riuscire a favorire più di tanto.
Pertanto, non tanto un blocco dell'utilizzo del suolo, ma un incentivo a chi riutilizza quanto di suolo è già stato utilizzato e lo fa attraverso quegli strumenti che anche la Pubblica Amministrazione può mettere in atto.
In questi mesi, si è dibattuto molto di un "braccio di ferro" - come qualcuno l'ha definito - tra la Regione e il Comune di Torino, per quanto riguarda il tema dello smog e la qualità dell'aria. Io non credo si sia trattato di un braccio di ferro, ma ritengo sia stato l'applicazione di questo principio che noi, in maniera coerente, cerchiamo di adottare e attuare ogni volta che si parla di decisioni riguardanti la vita delle persone.
Abbiamo cercato di avere un approccio di tipo pratico, legato al buonsenso legato anche alle condizioni di vita delle persone, legato al fatto che, se uno ha una macchina vecchia, non è che non la cambia perché ha piacere di tenerla vecchia, ma è perché probabilmente ha difficoltà economiche per poterlo fare. Se l'artigiano che utilizza un mezzo che ha vent'anni non lo cambia, evidentemente è perché in questo momento è già tanto se riesce ancora a tenere aperta l'attività. Un atteggiamento quasi punitivo nei confronti di questi soggetti, dicendo che non possono più utilizzare il loro mezzo, che sia privato o utilizzato per lavoro, era ed è un atteggiamento sbagliato.
Qualcuno, ha titolato, in un articolo: "I poveri possono inquinare". Non è vero, ma va bene lo stesso, se la vogliono interpretare così. Non ha senso pensare che, attraverso l'incentivo per cambiare la macchina, facendo risparmiare il 20% a un privato, costui cambi la macchina, perché magari gli manca il restante 80% per poterlo fare.
L'atteggiamento troppo ideologico rischiava, anche sulla base dei dati forniti dall'ARPA, di non portare risultati concreti, ma di intervenire in maniera determinante e negativa nei confronti della vita delle persone.
Insieme a questo, non dimentichiamo che buona parte dei problemi legati all'inquinamento è collegata alla vetustà dei nostri immobili ed edifici.
Abbiamo dati che ci dicono che quasi il 50% dell'inquinamento è creato dagli impianti di riscaldamento: sono impianti vecchi, caldaie vecchie.
Abbiamo edifici vecchi, che hanno una dispersione termica molto elevata tant'è che nella rimodulazione che abbiamo chiesto a Bruxelles la scorsa settimana interveniamo proprio introducendo degli incentivi specifici maggiorando la dotazione finanziaria del FESR (il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), degli incentivi che diamo ai privati e ai pubblici (quindi non solo ai pubblici, ma anche ai privati) che vogliono realizzare, ad esempio il cappotto al proprio edificio, al proprio condominio, che vogliono cambiare la caldaia o gli infissi, cioè mettersi nelle condizioni di inquinare meno, con interventi strutturali che consideriamo importanti.
L'Assessore, poi, vi specificherà meglio quali sono le nostre idee, le politiche che intendiamo attuare per quanto riguarda la politica dei rifiuti. Quello che è certo è che vogliamo portare il Piemonte ai livelli della media che dobbiamo raggiungere sulla differenziata: dobbiamo tendere all'obiettivo del 65% richiesto dai parametri europei. Oggi il Piemonte è al 50% di raccolta differenziata, quindi l'obiettivo che noi intendiamo darci e sul quale potremmo anche essere valutati numericamente, perch questo è facile farlo, è quello di riuscire a portare dal 50 al 65% la raccolta differenziata in Piemonte, nei cinque anni che avremo davanti. È un obiettivo ambizioso, che ritengo saremo in grado di realizzare attraverso un sistema non punitivo, perché non ci piace, ma premiale e anche di educazione civica nei confronti dei nostri cittadini piemontesi.
Pertanto, c'è un ampio spettro d'interventi.
Nella rimodulazione dei fondi europei, abbiamo chiesto la possibilità di inserire circa 20 milioni di euro per potenziare le infrastrutture per l'elettrico per i privati (le colonnine, per capirci, che possano permettere l'alimentazione delle auto elettriche in tutto il Piemonte).
Abbiamo voluto inserire dieci milioni di euro in più per quanto riguarda la possibilità delle imprese e delle aziende di inquinare meno, quindi dotarsi di strumenti, premiandole, che possano inquinare meno, perché la nostra filosofia vorrebbe proprio essere quella di aiutare a mettersi in regola se così la vogliamo semplificare.
È una strada che crediamo possa essere intrapresa in campo industriale e che già si utilizza in campo agricolo, perché ce lo chiede il mercato.
Oggi, i prodotti bio vanno sul mercato con il 30-40% in più sui prezzi rispetto a un prodotto ordinario, ed è un valore che il contadino sente.
Pertanto, anche se produrre biologico presuppone, a volte, costi maggiori rispetto al non biologico, parimenti offre delle prospettive di mercato sicuramente maggiori con un sensibile ritorno economico.
Non per questo, però, dobbiamo demonizzare chi sceglie il metodo agricolo tradizionale, perché l'agricoltura piemontese, anche quella non biologica è un'agricoltura molto controllata, esageratamente controllata (in bene) tant'è che anche qualche spot televisivo (e guardo il Consigliere Demarchi perché l'ha denunciato lui, opportunamente) vorrebbe condannare in maniera un po' approssimativa e superficiale l'agricoltura tradizionale, ritengo che sbaglierebbe a farlo. In Piemonte, c'è un controllo effettivo dell'utilizzo di tutte le tecnologie applicate all'agricoltura e devo dire che abbiamo un'agricoltura di eccellenza e anche di qualità e di garanzia della salute. Il biologico è un passo in più, ma, naturalmente, è un passo in più rispetto a qualcosa che sta già realmente funzionando.
Questo è il quadro complessivo.
S'inserisce, poi, la tutela dei boschi e dei parchi. Il Vicepresidente Carosso sta vagliando con attenzione i curricula dei candidati alla Presidenza del Parco, perché noi vogliamo una guida dei parchi del Piemonte che sia un po' più di utilizzo; di salvaguardia, sì, ma anche di utilizzo e di valorizzazione. In passato, abbiamo visto e sentito di realtà in cui la tutela era vista come una teca di cristallo che viene messa su un qualcosa perché nessuno lo possa toccare. Per noi, questa visione è sbagliata perché la tutela è, da una parte, preservare, ma, dall'altra, è anche avere strumenti che possano permettere a quel parco di vivere, attraverso il turismo, attraverso il turismo outdoor e tutti quegli strumenti che crediamo, invece, debbano essere in qualche modo incentivati e agevolati.
L'ambiente non ha, evidentemente, un colore politico, per cui chiedo confido in una risposta positiva - a tutto il Consiglio regionale e alle Commissioni, così come a tutti gli ospiti che ci hanno raggiunto e che sono intervenuti, di aiutarci in questo percorso. Perché una tutela migliore dell'ambiente non fa vincere o perdere le elezioni, però fa vivere meglio.
E credo che uno dei nostri compiti sia quello di far vivere meglio i nostri cittadini piemontesi.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La ringrazio, Presidente.
Come già precedentemente anticipato e concordato, riprendiamo con la scaletta degli interventi, dando la parola a Murella Armando, Segretario regionale UGL.



MURELLA Armando, UGL Piemonte

Buongiorno a tutti.
Parlare dopo il Presidente non è certo facile. Vi anticipo che anche noi abbiamo prodotto un documento che lasceremo alla Presidenza.
Tuttavia, prima di leggere quel documento vorrei fare un accenno a una situazione effettivamente legata all'ambiente. Perché l'ambiente, in effetti, è un problema che interessa tutti. Dunque, bisogna stare attenti a far sì che non diventi un problema che interessa soltanto alcuni e non altri.
Mi riferisco - prendo spunto da quello che diceva il Presidente - a quei lavoratori che, di fatto, non riescono a cambiare la macchina perch evidentemente, non hanno un reddito che gli permetta di poterla cambiare con un mezzo che gli consenta di entrare in tutte le città.
Bisogna quindi ripartire da una certa situazione, volta a garantire un reddito e una condizione sociale a tutti quei lavoratori che evidentemente, oggi, quando si trovano in una situazione economica gravosa probabilmente l'ambiente lo mettono in secondo piano.
Occorre ripartire da questo e ridare di nuovo fiducia al mondo del lavoro un mondo del lavoro che, effettivamente, sta attraversando un momento difficile in questa Regione; un mondo del lavoro che denuncia una crisi abbastanza importante, soprattutto nel settore manifatturiero.
Si parla tanto di trasporti: ma come si fa a essere credibili quando la Regione Piemonte ha tagliato tutte le linee secondarie che, effettivamente garantivano un sistema di trasporto per quei lavoratori? Lo stesso mezzo oggi continua a perdere fette di mercato rispetto al trasporto su gomma.
Badate che oggi il trasporto merci su rotaia viaggia intorno al 9%-10 quindi bisogna rivedere anche quelle politiche per cercare di rilanciare e dare fiducia al sistema, ed essere soprattutto credibili. Vi leggo il documento.
Quando siamo stati invitati a questo Consiglio regionale per la tutela dell'ambiente e i cambiamenti climatici abbiamo appreso con reale entusiasmo la possibilità di poter fornire un'umile esamina della situazione nel nostro territorio piemontese, con l'aggiunta di qualche breve suggerimento.
La politica e la società, a nostro modesto parere, non hanno ancora fatto finora abbastanza per contrastare i cambiamenti climatici in corso, anche se dovrebbero essere la priorità nell'agenda politica di qualsiasi governo dal Presidente del Consiglio fino all'amministratore del più piccolo dei Comuni.
Infatti, molto c'è ancora da fare per riconvertire ecologicamente la nostra economia, accettando di modificare alcune abitudini, perché i cambiamenti climatici, se non contrastati, porteranno a un pianeta ostile per le specie vegetali e animali, umani inclusi. Sarebbe opportuno che governi e imprese intraprendano politiche radicali per rendere le attività umane sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale, anche tutelando i lavoratori e i soggetti deboli della società, impegnandosi ad arrestare lo sfruttamento delle risorse oltre i limiti naturali di rigenerazione e arrivare urgentemente alla completa de-carbonizzazione delle fonti di energia a favore di quelle rinnovabili.
Visti i dati allarmanti sul riscaldamento globale, che, salvo un'azione immediata, provocherà un aumento della temperatura superiore ai tre gradi centigradi entro il 2100, con effetti devastanti sull'ecosistema terrestre e sulle specie umane; visto l'ultimo rapporto IPCC-ONU del 2018, secondo cui l'umanità ha solo fino al 2030 per limitare l'incremento di temperatura a 1,5 gradi ed evitare danni irreversibili al clima; visti i preoccupanti effetti del riscaldamento globale e dell'inquinamento che ogni anno accorciano la vita di circa 6,5 milioni di persone in tutto il mondo; visto l'allarme ONU lanciato il 6 maggio 2019, che segnala un declino ecologico "senza precedenti", in cui un milione di specie animali e vegetali sono a rischio di estinzione, colpa dello sfruttamento di terra e mare, di piante e animali e dei cambiamenti climatici; visto il dovere morale dello Stato e di tutte le istituzioni locali di rispettare il patto intergenerazionale che ci impone di lasciare alle generazioni future un pianeta vivibile visto il rapporto sul Global Environment Outlook (GEO), firmato da più di 250 scienziati; tutto ciò premesso, sicuramente i suggerimenti che l'UGL propone sono quelli proposti dalle più alte fonti scientifiche, quindi nulla di nuovo o di diverso da ciò che già sappiamo. Ma, naturalmente secondo noi, vale la pena ripeterli e riproporli per incentivare sempre di più la messa in atto.
Occorre incentivare la sostituzione dell'energia da combustibili fossili (gas, carbone e petrolio) con quella da fonti rinnovabili che nel tempo sono diventate anche più convenienti e su cui ENEL sta investendo tanto.
Bisogna elettrificare i trasporti e il riscaldamento; infatti l'elettricità è il vettore energetico del futuro, efficiente, sostenibile e competitivo per affrontare alcune delle sfide più difficili dei nostri tempi: la de-carbonizzazione dell'economia, la riduzione dell'inquinamento nelle città, l'efficienza energetica nei trasporti e negli edifici.
Occorre puntare sulla riforestazione per ripopolare il pianeta di alberi gli antagonisti naturali della CO2. Secondo uno studio pubblicato dai ricercatori e dalle istituzioni per la conversione dell'ambiente riforestando le aree disboscate ed evitando di distruggere le foreste esistenti (che ricoprono circa un terzo delle terre emerse) ogni anno si potrebbero rimuovere dall'atmosfera sette miliardi di tonnellate di CO2.
Occorre cambiare l'approccio nel settore agricolo, applicando tecniche innovative, ad esempio nei metodi di cattura del metano emesso, nell'uso dei fertilizzanti o nella produzione di carne e latticini che hanno un maggiore impatto sul consumo di materie prime e di acqua per chilogrammo.
Sappiamo che per le nostre città si potrebbe fare di più, e il quadro di finanza pubblica sta imponendo limiti alla possibilità di liberare le risorse necessarie a contribuire concretamente al rilancio di politiche per la sostenibilità, così come per l'innovazione e l'ammodernamento del nostro Paese.
Occorre dunque tornare a investire in primo luogo nella qualità del territorio. Oggi, infatti, la competizione non è più solo tra imprese, ma anche tra territori. E, dunque, rendere una Regione e la città accoglienti attrattive, sostenibili e di alta qualità della vita e di opportunità, per accrescere la possibilità di sviluppo e di lavoro.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
Non ci sono altri interventi.
Come concordato nell'incontro dei Capigruppo, è previsto più di un intervento per ogni Gruppo Consiliare. Al momento hanno chiesto d'intervenire Grimaldi, Bertola e Rossi.
La parola al Consigliere Grimaldi.



GRIMALDI Marco

Grazie, Presidente.
Autorità, gentili ospiti, colleghe e colleghi, concittadine e concittadini.
Intanto, grazie per aver accolto la richiesta di un Consiglio aperto sul clima; grazie a tutti gli ospiti ancora presenti e mi scuseranno se in particolare ringrazio i ragazzi che sono ancora lassù e che ci hanno tenuto il fiato sul collo e spero che continuino a tenere il fiato sul collo di tutti noi.
Mi scuserete se parto proprio dal vostro affettuoso applauso di stamattina in questi giorni unici e straordinari, per me: ho ripensato molto a quanto mi avete detto in questi mesi, al fatto che per i nostri figli (me l'avete comunicato in varie forme) siamo pronti a rinunciare al sonno, alla cena al cinema, e qualcuno mi ha confessato che non ci andava da qualche anno per loro, allo sport e a cambiare tante abitudini. La verità è che per loro, forse, più che per noi, siamo capaci di fare sacrifici, anche immediati, ma fino in fondo e sentendo tutto quanto ci siamo detti fino adesso, non a immaginare un futuro diverso da quello che, di fatto, stiamo pregiudicando loro.
Credo che dovremo mettere a fuoco un primo passo, anche nelle nostre distanze: smettere di negare l'entità di ciò che sta accadendo e cominciare a chiamare le cose con il loro nome. Per questo spero che oggi pomeriggio il Piemonte voti lo stato d'emergenza climatico.
Non m'illudo, però, e lo vorrei dire ai banchi della maggioranza e anche rispetto al dibattito di oggi: so bene che anche in quest'aula ci sono pareri discordanti, per esempio, sull'accettabilità morale e sull'utilità delle disuguaglianze, su quanta disuguaglianza sia necessaria o tollerabile in una società e su come ci si debba comportare di fronte a essa. Ecco, la verità è che sul futuro del pianeta e sull'emergenza climatica percepiamo spesso anche le stesse distanze, perché? Lo dico da uomo di parte, perch non condividiamo un pensiero: al momento, io credo, l'attuale sistema economico, il capitalismo, è una minaccia in termini ecologici.
Intendiamoci anche su questo: il pianeta sarebbe in grado di sopravvivere sia lui sia noi genere umano, ma non è questo il punto. La ricerca insaziabile del massimo guadagno a breve termine non può che spingere sempre più in basso gli standard ambientali, il tenore di vita della maggioranza delle persone. Oltretutto, quello in cui siamo immersi è un capitalismo in crisi, è decadente, composto - se volete - da estremisti altro che buonsenso! Da un lato, grandi titani, pronti all'elusione, all'evasione fiscale, al massimo risparmio, all'aggiramento delle regole per ridurre i costi battere i concorrenti, conquistare nuovi mercati e massimizzare i profitti.
Disposti a tutto, spesso per diventare monopoli più forti degli Stati e della nostra fragile democrazia.
Dall'altra, la decrescita infelice del 99% degli altri. Ecco perch secondo me, mettere in discussione questo sistema non ha niente a che fare con forme di arcaismo, di luddismo, o di nostalgia delle caverne.
La settimana scorsa il Consiglio dei Ministri ha approvato un primo decreto sul clima, purtroppo, non contiene gli annunciati tagli ai sussidi dannosi per l'ambiente, né spiega il modo in cui avverrà la loro cancellazione lineare del 10% su base annuale entro il 2040. Insomma, manca il provvedimento politicamente più rilevante della prima tappa del green new deal del Governo e del Paese che dovrebbe, spero, trovare posto nella legge di bilancio.
Gli interventi, per carità, sono tanti, così come quelli annunciati da tante Regioni e da tanti Comuni: il buono per la mobilità, un piano per la piantumazione, tanti anche i suggerimenti che sono avvenuti oggi. Tutto ci è sufficiente? Non credo.
Il movimento, che il 25 settembre ha portato in piazza a Torino 50.000 giovani, ci chiede di più: l'obiettivo è emissioni zero entro il 2030 per il Piemonte e per l'Italia la decarbonizzazione totale entro il 2025.
Follia? Non lo so: chi come me ha vissuto i giorni di Genova del 2001 e la violenta frustrazione delle grandi speranze di quegli anni in un movimento che aveva almeno l'ambizione di mettere in discussione gli stessi equilibri del mondo non può che avere rispetto e fiducia nel sollevarsi di una generazione che, come allora, sa guardare più avanti, con più lucidità e coraggio di tutti gli altri. Credo che la politica, che noi oggi siamo, non possa permettersi di fare a questi ragazzi ciò che allora la politica fece ai ragazzi della mia generazione.
Intanto, dovremmo cancellare una parola: "ineluttabilità". Quel mantra che da decenni ci dice che tutto è così, così com'è e così deve andare. Perché? Perché "è il liberismo, bellezza!".
Abbiamo il dovere di ascoltarli, perché sappiamo benissimo, anche se a volte il cinismo ci fa dire il contrario, che ciò chiedono è l'unica cosa ragionevole da fare per salvaguardare l'equilibrio fra il genere umano e il pianeta Terra. Vorrei dire che il movimento come questo credo ha tre campi di ricaduta.
Il primo è il più difficile, quello della messa in discussione radicale del sistema economico in cui siamo immersi e il conflitto con coloro che ne sono ai vertici.
Il terzo, paradossalmente, il più semplice è quello dell'opinione pubblica del quotidiano di ciascuno, quello che per intenderci, secondo molti, basta e avanza, cioè far sì che ognuno impari a usare meno plastica, non buttare le cicche per terra, muoversi meno in auto, non sprecare l'acqua. Tutto questo è importante, ma non dobbiamo essere ipocriti, lo dico soprattutto dopo la discussione di questa mattina. Non basta.
Il secondo campo di ricaduta è quello delle politiche pubbliche, degli interventi che le Istituzioni possono fare per la giustizia climatica e ambientale; ed è qui che noi siamo chiamati alla responsabilità.
Le ragioni, ancora una volta, possono essere un esempio di cambiamento.
Anche lì, negli scorsi anni ci sono stati tanti esempi di cambiamento.
Negli scorsi anni ci sono stati tanti investimenti. Alcuni parlano del debito come se fosse un mantra senza colore. Io sono orgoglioso dell'indebitamento che ha fatto questo territorio: l'ha fatto per fare una linea di metropolitana, l'ha fatto per interrare le ferrovie, l'ha fatto per il radicamento in tutta la provincia del teleriscaldamento. Credo che quelli siano stati obiettivi che hanno portato in un decennio l'abbassamento totale del PM10. Per questo, credo che per quanto la Regione si sia dotata di un Piano della qualità dell'aria, dobbiamo avere la stessa intensità di vent'anni fa.
Servono degli investimenti strutturali strategici e condivisi da tutti. Ve lo dico, perché noi siamo immersi in un catino. Avete visto bene le foto della Pianura Padana e credo che l'unico motivo per cui il Nord si deve unire, cari colleghi, è proprio per affrontare quell'emergenza.
Poi c'è il nostro territorio. Adesso lo dico scherzando, ma v'immaginate un Piemonte senza il vino? I vignaioli lo sanno: il cambiamento climatico impatta sul loro lavoro, le temperature aumentano, i deficit idrici sono più frequenti, così come gli eventi climatici estremi, come abbiamo visto anche quest'anno (grandine, inondazioni, gelate e siccità). Le viti risentono di tutto questo e sono particolarmente influenzate dalla temperatura, dalla disponibilità d'acqua e dalle radiazioni della luce solare. Il clima è uno degli elementi della tipicità del nostro vino, così come del vino in tutto il mondo. Significa che ogni pratica viticola viene scelta in base alle condizioni climatiche locali.
Il mondo del vino conosce già il futuro della geografia della produzione mondiale. Le zone con clima mediterraneo rischiano di diventare tendenzialmente troppo calde per sostenere l'attuale produzione, mentre quelle con il clima oggi più freddo potranno aumentare la produttività.
Entro il 2050 in alcune regioni del globo le superfici adatte a produrre vino potrebbero diminuire anche del 73%, mettendo sotto pressione i fiumi e gli altri sistemi di acqua dolce. Nei prossimi trent'anni le regioni vinicole più importanti, come la Toscana o il Piemonte, potrebbero vedere diminuite le loro aree coltivabili dal 20% fino al 70%. Questo grazie al lavoro anche dei nostri Atenei.
Perciò non solo dobbiamo dichiarare da subito lo stato di emergenza climatica e ambientale in Piemonte, ma abbiamo il dovere di approvare nei prossimi mesi atti d'indirizzo per dimezzare nel nostro territorio le emissioni entro il 2030 e azzerarle entro il 2050, nel rispetto degli accordi di Parigi, ridurre drasticamente la plastica usa e getta, avviare una transizione dell'energia pulita che prevede incentivi per chi vi contribuisce, completare gli investimenti sulla linea 1 e 2 della metropolitana, sostituire i mezzi del trasporto pubblico, sostenere la moderazione del traffico con incentivi economici e culturali all'utilizzo del trasporto pubblico, attuare un piano per la ciclabilità in tutta la regione, progettare, come ci hanno chiesto anche oggi, la piantumazione di un milione di alberi in Piemonte.
Vorrei che, oltre a tutto questo, scrivessimo insieme la prima legge regionale contro l'obsolescenza programmata. L'economia usa e getta e la strategia commerciale di definire e limitare il ciclo vitale di un prodotto non sono che un altro volto di ciò che ho descritto. Non esistono altre priorità, il futuro è adesso e dobbiamo smettere di delegare ad altri il cambiamento e la speranza. Vale per i nostri figli, così come per i ragazzi di Fridays for Future. Ogni uomo e donna sulla terra è partecipe di questa emergenza climatica e nessuno, neanche noi, possiamo chiamarci fuori.
Grazie.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Segretario Bertola in qualità di Consigliere; ne ha facoltà.



BERTOLA Giorgio

Grazie, Presidente.
Buongiorno e benvenuti a tutti gli ospiti che abbiamo avuto questa mattina in Consiglio regionale. Abbiamo avuto modo di ascoltare interventi molto importanti che hanno portato delle visioni, ma soprattutto anche dei dati scientifici. Volevo partire proprio da quelli per fare un ragionamento, ma non utilizzare tanto i dati quanto delle immagini. Noi chiaramente come Gruppo abbiamo delle proposte e chiediamo anche noi la dichiarazione di stato di emergenza climatica. Questo sarà più chiaro nel pomeriggio, quando verranno discussi i due atti d'indirizzo presentati dal mio Gruppo a firma di due colleghi.
Però volevo ragionare insieme su alcune immagini, perché i dati sono importantissimi e li abbiamo visti questa mattina: sono dati scientifici quindi non appartengono al campo delle opinioni, ma al campo dei fatti.
Spesso è bene richiamare alcune immagini che poi rimangono fissate nella mente, e devono rimanere fissate nella nostra mente e nella nostra memoria quando ci accingiamo a prendere delle decisioni, anche a noi politici quando siamo chiamati a schiacciare un bottone nella nostra aula di Consiglio regionale, nei Consigli comunali, in Parlamento. Sono dati che sembrano appartenere ai film del filone catastrofico che, non a caso, sta andando in crisi, perché la realtà in alcuni casi sta superando la fiction.
Voglio partire da una frase di una persona, anche lui in qualche modo uno scienziato, una di quelle persone che ci rendono orgogliosi di essere italiani, un personaggio che sta diventando anche un po' iconografico per la sua attività, che è il nostro astronauta Luca Parmitano - che ha la possibilità di avere una visione privilegiata sulla Terra, perché la vede dall'alto, da molto in alto - che ha detto: "Negli ultimi sei anni ho visto deserti avanzare e ghiacciai sciogliersi".
Parlando di ghiacciai quest'estate abbiamo visto 12 miliardi di tonnellate d'acqua riversate in mare in un solo giorno. Questo è successo in Groenlandia. La temperatura ha raggiunto i 22 gradi. Nel mese di luglio, il più caldo dal 2012, sono state riversate nell'oceano 197 miliardi di tonnellate d'acqua. Pensiamo agli incendi, non solo a quelli in Amazzonia che sono qualcosa che va a peggiorare la situazione d'emergenza climatica per ben noti interessi, ma parliamo anche degli incendi in Alaska e in Siberia di quest'estate: 4,5 milioni di ettari di foresta siberiana sono andati in cenere in pochi giorni, rilasciando in atmosfera la stessa quantità di CO2 prodotta dal Belgio in un anno. Arriviamo più vicini, in Svizzera al di là delle Alpi, Zermatt, il 25 luglio c'è stato un evento alluvionale, ma un evento alluvionale senza una goccia di pioggia. Com'è possibile? Zero termico a quota 4.800 metri. Lo scioglimento dei ghiacciai ha provocato lo sblocco di un laghetto sotterraneo che era lì danni e che entrando nel torrente Triftbach, ha provocato una vera e propria alluvione.
Passiamo a un episodio accaduto in Italia. Roma 28 luglio: una donna è stata sollevata da un ciclone con la sua Smart ed è stata ritrovata morta a chilometri di distanza. Fenomeno che prima di quest'estate lo avevo visto solo in documentari sugli uragani negli Stati Uniti e non qualcosa che appartenesse al nostro Paese.
Andiamo di nuovo all'estero, ma qui vicino, al di là delle Alpi, parliamo dei nostri cugini francesi che spesso non sono proprio amatissimi da noi c'è un po' di rivalità, ma ciò che è successo è sintomatico. Per la prima volta quest'estate a Les Deux Alpes non si è sciato. Il caldo ha sciolto la neve e, per la prima volta, l'impianto di risalita è stato chiuso: un fatto senza precedenti. Ricordiamo che gli impianti vanno dai 3.200 ai 3.600 metri e finora non era mai successo qualcosa di simile.
Parlando di ghiacciai, torniamo in Italia. A settembre il ghiacciaio del Monte Bianco scivola di alcune decine di metri al mese, un fronte di 250 mila metri cubi di acqua, pari a 10.000 container di navi cargo, minacciava alcune frazioni di Courmayeur. Ci si è salvati perché, nel frattempo, la temperatura è un po' scesa.
Di fronte a questi fatti, ci sono diverse reazioni possibili. Una è quella di far finta che non sia vero, c'è del negazionismo sui cambiamenti climatici, far finta che sia qualcosa di lontano nel tempo e nello spazio oppure spostare la questione sulle persone e non sui fatti: "Chissà chi c'è dietro Greta", "ll grande capitalismo", "cosa vorranno farci fare?" Non pensare, invece, al fatto che quei ragazzi manifestano per qualcosa di concreto, per qualcosa che esiste nei fatti e qualcosa che non riguarda solo la loro generazione o il loro futuro, ma riguarda anche la generazione di noi che abbiamo l'età dei loro genitori o dei loro nonni.
Oppure si possono fare operazioni di ambientalismo di facciata, un ambientalismo un po' alla Jovanotti. Anche da parte di chi fa politica: "Ma sì, facciamo fare due sportine di cotone", "facciamo qualche evento senza plastica", "non si può vietare la plastica, non vietiamola, diamo due incentivi a chi non la usa", "non si può fermare il consumo di suolo, non si può, diciamo di utilizzarlo meglio, magari con un cemento un po' più bello", come magari suggerirebbe il Presidente della nostra Regione.
La più preoccupante reazione che non dobbiamo avere nemmeno noi politici è quella di pensare che siano altri a dover fare qualcosa o che siano altri a dover fare ben altro, il "benaltrismo". Il Sindaco, l'amministrazione comunale dice: "Sì, però, se non fanno qualcosa a livello regionale, noi dal nostro livello facciamo pochino". Noi Consiglio regionali diciamo: "D'accordo, ma alcune cose sono a livello nazionale, comunitario". Abbiamo sentito dire anche da queste parti: "La Cina? Se non fa qualcosa la Cina o l'India.". Chi ha la responsabilità, chi ha un mandato da parte dei cittadini si deve prendere la responsabilità di adottare soluzioni concrete e immediate.
È stato detto questa mattina, e sono contento che sia stato citato Peccei che abbiamo perso cinquant'anni anzi; forse, ne abbiamo persi cento.
Cinquant'anni nei quali non solo non siamo andati nella direzione dovuta ma siamo andati nella direzione contraria, quindi forse ne abbiamo persi anche cento.
Le cose cambiano solo se ognuno di noi, per quelle che sono le sue competenze, le sue possibilità e le sue responsabilità, cambia qualcosa.
Serve anche da parti di noi politici una vera rivoluzione, una rivoluzione intesa proprio nella definizione letterale della Treccani: "Mutamento radicale di un ordine statuale e sociale nei suoi aspetti economici e politici".
Bisogna avere il coraggio anche di fare delle scelte impopolari, signori non solo le scelte che ci fanno prendere i voti la prossima volta, ma anche delle scelte impopolari. Mi spiace, è così.
Abbiamo sentito dire: "Sì, ma non tutti possono cambiare l'auto, bisogna aiutare i cittadini a poter cambiare l'auto". Signori, guardate che chi ha meno risorse, magari non solo non può cambiare l'auto ma - dirò una cosa cinica - i poveri muoiono di più dei ricchi - ripeto, muoiono più dei ricchi - anche per le condizioni ambientali di dove vivono e anche perch si possono curare di meno. L'automobile da una parte e la salute dall'altra: cosa pesa di più? Parliamone. È famosa la questione del percorso del tram 3 a Torino che, per ogni chilometro, si perdono cinque mesi di vita, come dicono le statistiche. Pensiamo a questo.
Decisione impopolare anche per favorire un cambiamento perché sappiamo come funziona. Tutti dicono: "Bisogna cambiare oggi", "dobbiamo fare", ma poi quando il cambiamento riguarda noi diciamo: "Proprio io? Ma perché non inizia lui? Da me dovete iniziare? Datemi una piccola deroga, una proroga datemi due anni di tempo e magari mi organizzo, quindi iniziate da qualcun altro".
Invece, purtroppo, bisogna anche fare delle scelte impopolari, poiché i fatti dimostrano che finora non è servito pensare di migliorare le condizioni ambientali del nostro pianeta con una visione altruistica. Non è servito pensare di farlo per i nostri figli, per i nostri nipoti, per i poveri e per le altre generazioni. Non è servito. Abbiamo perso. Allora facciamolo per egoismo, facciamolo per noi, perché questi cambiamenti che porteranno modificazioni nella nostra vita e nella nostra salute e alle nostre tasche, sono già qui.
Le nostre produzioni sono minacciate dai cambiamenti climatici, le nostre produzioni di eccellenza come il nostro vino. Se non vogliamo farlo per altruismo, facciamolo per egoismo, per salvarci noi, la nostra salute e i nostri soldi. Facciamolo almeno per questo perché non c'è moltissimo tempo.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Rossi; ne ha facoltà.



ROSSI Domenico

Grazie, Presidente, e grazie a tutte le persone e alle Istituzioni che oggi sono intervenute.
Mi permetto anch'io di fare un ringraziamento, in particolare ai ragazzi del movimento Fridays for Future, perché finalmente costringono questo Consiglio, ma non solo questo Consiglio, direi il mondo intero, a confrontarsi con il tema dell'emergenza climatica e costringono a farlo nei termini di un'emergenza. Abbiamo ascoltato le loro parole e alcuni di noi hanno manifestato con loro nelle settimane scorse. È importante sottolineare quest'aspetto. Stiamo discutendo di un'emergenza, quindi non ci basta il buonsenso, come abbiamo ancora sentito dire oggi in quest'aula da qualcuno.
Abbiamo ascoltato i dati oggettivi che le Università e i vari intervenuti ci hanno raccontato; abbiamo sentito anche i dati relativi all'aumento della temperatura e allo scioglimento dei ghiacciai (non ripeterò queste cose, perché le abbiamo già ascoltate), ma una cosa è certa: queste cose ci richiamano alla necessità di un cambiamento di paradigma. Qualcuno potrebbe usare la parola "rivoluzione", ma serve un cambiamento radicale dei nostri presupposti culturali e dei nostri comportamenti. Con il buonsenso e con i piccoli passi non usciamo certamente da quella che è l'emergenza di cui stiamo parlando.
I ragazzi ci costringono ad affrontare questo tema, che però non è un tema nuovo. Non è un tema che nasce oggi, è un tema che ci accompagna da decenni, ma come tanti "lemmings" ci stavamo buttando a mare. Qualcuno in questi decenni ci ha detto "guardate che vi state suicidando", ma non abbiamo ascoltato queste parole.
Voglio citarne alcuni, giusto per ricordare a quest'Aula che il tema affonda le radici in decenni di discussioni. Nel 1972 è uscito il rapporto "I limiti dello sviluppo", commissionato al MIT dal Club di Roma (è uno studio importante e famoso), in cui si faceva una simulazione sull'evoluzione del nostro sistema e si diceva che nel giro di cento anni si sarebbe arrivati a un punto di rottura che avrebbe provocato un collasso, sia della questione demografica sia della questione produttiva.
Le questioni erano già ben identificate, perché s'introduceva il concetto di limite. Noi stiamo sfruttando come se non ci fosse limite, invece il limite c'è, dobbiamo cominciare a tenere conto di questo e la questione dello sviluppo sostenibile attraverso le risorse rinnovabili, perché non si possono sfruttare le risorse finite come se fossero infinite e dobbiamo cominciare a impostare uno sviluppo che invece si fondi sulle risorse rinnovabili.
Tutto questo, dagli anni Settanta fino a oggi, ha avuto uno scarso successo, anche se negli ultimi anni possiamo dire che qualcosa ha cominciato a muoversi.
Poi c'è stata tutta una serie di pensatori. Non voglio fare della letteratura, ma non posso non citare Edgar Morin, per fare un nome tra i più importanti, che dagli anni Settanta in poi ha dato il via a una scuola di pensiero. Molte di queste cose le troviamo autorevolmente, sintetizzate e riattualizzate, nella bellissima Enciclica "Laudato Si'" di Papa Francesco, già citata oggi, che ci dice una cosa importante, che forse oggi abbiamo sottolineato poco: quando parliamo di crisi ecologica, non parliamo solo di una questione ambientale, ma parliamo almeno di due aspetti, un aspetto sociale e un aspetto ecologico. Questa crisi, questo sistema che non funziona, ha degli effetti deleteri dal punto vista ambientale, ma anche dal punto di vista della giustizia sociale.
Un ultimo nome che voglio fare, che è quello che, secondo me, più di tutti ha compreso qual è la stortura di fondo della nostra cultura e del perch siamo in questa situazione. È un autore che si chiama Gregori Bezzola, che ci ha spiegato come, in questa visione dell'uomo contrapposto all'ambiente e non di un uomo connesso al suo ambiente, nel momento in cui interviene la tecnica, quindi dalla rivoluzione industriale in avanti, la potenza che l'uomo acquisisce, e che prima non aveva, dà una forza, nei confronti della natura, che porta a uno squilibrio da cui non siamo ancora usciti.
Noi dobbiamo prendere atto di questo, sapendo che qui non è in ballo una questione ambientale, ma è in ballo una questione evoluzionistica. La posta in gioco è l'evoluzione: non esiste l'evoluzione dell'essere umano sganciata dall'evoluzione del sistema in cui è inserito. Noi non dobbiamo occuparci dell'ambiente perché siamo buonisti o perché è giusto così, ma perché, come diceva anche adesso il collega, se volete anche per una forma di egoismo, perché noi non usciamo da questa questione, siamo in un imbuto.
O ci usciamo insieme all'ambiente in cui siamo inseriti, oppure non ne usciamo neanche noi.
Anche le questioni economiche che altri hanno toccato - la questione del modello economico che genera, che uccide o che genera ingiustizia, sia sociale sia climatica, così come il richiamo ai nostri comportamenti individuali, che correttamente devono cambiare - non potranno mai cambiare in profondità, se noi non rivediamo i nostri presupposti culturali di fondo.
È una questione che deve partire, prima di tutto, da questa consapevolezza e serve un cambiamento radicale dei nostri saperi, del nostro sistema scolastico e dei nostri modelli educativi, perché se i modelli su cui ci fondiamo sono sbagliati, anche i nostri comportamenti lo saranno.
Ma - e arriviamo a questa sede, che è quella del Consiglio regionale - oggi non possiamo non porci la domanda di cosa possiamo fare noi, come Consiglio regionale, come Ente Regione.
Su questo mi permetto di dare il mio contributo: sono contento che l'Assessore Marnati sia in aula e abbia ascoltato la quasi totalità del dibattito (questo gli fa onore), perché è importante ascoltare quello che viene detto. Mi dispiace che altri Assessori non siano presenti, perch questo è un tema che in realtà non riguarda solo l'Assessore Marnati, ma riguarda moltissimi Assessorati, a partire da quello della salute, ma anche quello delle attività produttive.
Vorrei partire da questo, proprio da un suggerimento, un mio contributo: esiste, a livello europeo, una strategia europea per la bioeconomia e l'economia circolare; esiste a livello nazionale un Piano nazionale per la bioeconomia e l'economia circolare. La Regione Piemonte non ha un Piano regionale per la bioeconomia e l'economia circolare.
Chiedo che questa legislatura possa darsi quest'obiettivo ambizioso Assessore, da portare avanti insieme anche all'Assessorato alle Attività produttive, perché il settore della bioeconomia darebbe una risposta anche a chi oggi ha posto la questione del lavoro, anche mettendo un indizio pericoloso, perché non c'è una contrapposizione tra il lavoro e la necessità di cambiare modello di sviluppo. Se cadiamo in questa trappola non ne usciamo. Dobbiamo trovare la possibilità - e in Piemonte abbiamo eccellenze internazionali da questo punto di vista - di produrre beni e lavoro all'interno di un modello diverso, che non sfrutti l'ambiente, ma che utilizzi le fonti rinnovabili e che rigenera i territori.
Questo è possibile, non è una cosa che dobbiamo immaginarci per il futuro.
Esiste già, dobbiamo soltanto renderla a modello e incentivarla. Pertanto un Piano sulla bioeconomia e l'economia circolare significa, prima di tutto, incentivare la nascita di nuove attività che creeranno lavoro, nel rispetto dell'ambiente in questo settore, ma anche la riconversione di attività esistenti.
Faccio un esempio con la chimica su tutte: non è che 20 o trent'anni fa esisteva la chimica verde ed era un settore altamente inquinante. Oggi, per fortuna, insieme a un settore old style, esiste una chimica verde che fa le stesse cose, magari anche meglio di prima, ma lo fa nel rispetto dell'ambiente e con un nuovo modello.
La Regione Piemonte ha bisogno di avere un piano su questo, perché uno degli ambiti d'intervento della Regione è quello della pianificazione.
Senza pianificazione, noi seguiremo a tentoni il mercato o le mode del momento, mentre una pianificazione seria, che s'inserisce nel quadro europeo nazionale, ci aiuterà a essere all'avanguardia.
Un ruolo importante, in questo settore, devono giocarlo i nuovi fondi europei, perché è evidente che serviranno degli investimenti, quindi è importante che la nuova programmazione tenga conto di questo scenario.
Poi, ci sono le questioni più ordinarie. È evidente che oggi, parlando di emergenza climatica, dobbiamo trovare il modo di potenziare il trasporto pubblico locale, incentivare le persone a usare meno l'auto e più il trasporto pubblico e incentivare la sharing mobility (in questo momento c'è soltanto a Torino e nelle metropoli, mentre nel resto del Piemonte non esiste).
Si è parlato di consumo di suolo: anche qui, se n'è parlato nell'ottica di non esagerare. Io ritengo, invece, che sul consumo di suolo noi dovremmo essere radicali e arrivare a parlare anche in Piemonte, finalmente, di consumo zero. Tuttavia, quando parliamo di suolo, non dobbiamo parlare soltanto di questo: dobbiamo parlare anche della valorizzazione del suolo perché buona parte dell'inquinamento delle acque arriva dall'inquinamento del suolo; dobbiamo parlare del fatto che noi non sfruttiamo ancora bene il nostro rifiuto organico, che, invece, servirebbe ad aumentare la qualità del suolo e a diminuirne l'inquinamento. Questo, insieme a un efficientamento di quanto è già previsto nel Piano rifiuti, potrebbe essere utile.
Occorre dirsi con chiarezza, a partire dall'Accordo di Bacino Padano, cosa vogliamo fare in Piemonte quando parliamo di emissioni. I ragazzi ci chiedono emissioni zero nel 2030; ieri è uscito un manifesto per un'economia a misura d'uomo che parla di un'Italia a emissioni zero nel 2050. Noi, però, dobbiamo dirci quando vogliamo avere un Piemonte a emissioni zero, perché oggi questo non l'abbiamo detto, ma è arrivato il momento in cui non possiamo più rinviare.
Chiudo, Presidente, con un'immagine: l'immagine di una ciambella, che rubo a una studiosa, Kate Raworth, che ha scritto un libro dal titolo "L'economia della ciambella". La ciambella è delimitata da due linee: una inferiore e una superiore. Lei sostiene che noi dobbiamo immaginare un'economia che abbia questi due confini: la base sociale, dove non dobbiamo mai scendere sotto alcuni livelli di diseguaglianza, d'ingiustizia sociale, di situazione di degrado anche sociale, e poi un tetto, che è un tetto ecologico; dobbiamo avere un'economia che non superi mai questo tetto, quindi non distrugga la natura e non crei inquinamento.
L'obiettivo per il XXI secolo che ci indica questa studiosa e che oggi allargo al Consiglio regionale del Piemonte è quello di portare la nostra economia, la nostra cultura, nel XXI secolo, dentro la ciambella limitandoci a non sforare mai - nelle nostre scelte - né la base sociale n il tetto ecologico.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Biletta.



BILETTA Alessandra Hilda Francesca

Grazie, Presidente.
Ringrazio anch'io tutti coloro che sono intervenuti questa mattina, per gli importanti contributi che sono stati resi su un tema che è sempre più attuale e cogente.
Oggi ci troviamo in un punto cieco culturale, perché non riusciamo a comprendere i segnali di pericolo quando la minaccia arriva sotto forma di graduali aumenti della temperatura planetaria o di minuscole sostanze chimiche che nel tempo si accumulano nel nostro corpo.
È fondamentale sviluppare una vera intelligenza ecologica, che consenta di superare il pensiero che pone l'umanità al di fuori della natura. La realtà è che viviamo avviluppati in sistemi ecologici e, nel bene e nel male influiamo su di essi.
Senza avere la presunzione di scomodare l'etica, di tentare di fare ragionamenti alti e profondi, che pure da soli dovrebbero essere sufficienti, può essere utile al dibattito odierno richiamare alcuni dati che sono anche richiamati negli atti d'indirizzo che verranno discussi oggi pomeriggio.
Senza interventi globali, l'aumento delle temperature avrà effetti gravi sulle produzioni agricole, sulla salute, sulla capacità lavorativa e sulla produttività dei lavoratori, sugli ecosistemi, sui livelli del mare e sul turismo.
Secondo uno studio dell'agenzia Moody's dello scorso giugno, elaborato su recente report dell'ICCP sui cambiamenti climatici, le perdite economiche al 2100 sono calcolate in 54 trilioni di dollari, nel caso di un aumento delle temperature di un grado e mezzo, e 69 trilioni di dollari, nel caso di un aumento delle temperature di due gradi. Questi sono, peraltro, dati elaborati su scala regionale e richiamati con precisione questa mattina da



ARPA Piemonte.

Allo stesso tempo, però, dobbiamo chiederci se l'ambiente sia un limite o un'opportunità.
Diversi studi, non da ultimo quello del CENSIS, dimostrano come gli investimenti nell'ambiente rappresentino un volano per l'economia, ma il cambio di paradigma che dobbiamo perseguire, per essere completo, deve riguardare anche un altro elemento. I dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, al pari di quelli contenuti in altri studi, sono inequivocabili e certificano un aumento delle patologie respiratorie e cardiovascolari connesse all'inquinamento. Secondo uno studio dell'OMS del 2010, il costo economico delle circa 600 mila morti premature e delle malattie causate dall'inquinamento atmosferico nel continente europeo ha raggiunto i 1.600 miliardi di dollari, un importo quasi equivalente a un decimo del PIL dell'Unione Europea. Gli studi più recenti parlano di circa 800 mila morti in Europa per inquinamento.
È, quindi, fondamentale comprendere che quanto investiamo oggi in misure di miglioramento delle diverse matrici ambientali rappresenta un risparmio sul fronte dei costi socio-sanitari.
Siamo in mezzo al guado e, come in tutte le fasi di transizione, anche in questa ci sono delle opportunità da cogliere per un cambiamento di segno positivo.
Diversamente, la fase di transizione si concluderà con il peggioramento della situazione, quindi accertiamoci di non passare alla storia come la generazione che sapeva e non si è preoccupata.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Preioni.



PREIONI Alberto

Grazie, Presidente.
È stata una bella giornata; una bella giornata per approfondire un tema importantissimo, perché il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti. Ci sono stati dei professori (uno scienziato ha evidenziato in maniera tecnica, in maniera approfondita, la questione) e tanti interventi molto interessanti.
Il cambiamento climatico - ripeto - è sotto gli occhi di tutti. Io vengo da una terra fantastica, il VCO, una terra ricca di parchi, una delle terre più protette di tutta la Regione Piemonte, una terra di montagna, dove assistiamo annualmente all'indietreggiamento dei nostri bellissimi ghiacciai.
Queste battaglie sul clima, però, vanno poste anche in maniera ragionata e normalizzata, perché sicuramente l'Europa - e quindi anche l'Italia qualcosa sta facendo. Certo, si può fare di più, ma è innegabile che ci sia una sensibilità maggiore anche da parte dei governi e ci siano delle politiche che vanno contro il surriscaldamento globale.
Dobbiamo tenere conto che l'azione nostra, l'azione dei nostri giovani e l'azione dei nostri governi, dev'essere anche improntata a sensibilizzare quei Paesi, soprattutto nell'Asia (la Cina, in particolare), che non fanno quelle azioni di tutela ambientale che, invece, oggi si fanno in Europa.
Basta osservare una normale città o una megalopoli cinese o asiatica per accorgerci che questi Paesi non hanno ancora raggiunto quei livelli di tutela ambientale cui è arrivata l'Europa, in termini di filtri o di responsabilità ecologica: lo scarico dei liquami e la produzione di gas tossici è nettamente superiore rispetto ai limiti consentiti in Europa.
Parliamo, però, di economie che arrivano dalla povertà e che devono ancora affrontare quegli stravolgimenti storici che l'Occidente invece ha già subito, come la rivoluzione industriale, le rivoluzioni sindacali e ambientali. In ogni caso, questi Paesi hanno delle grandi responsabilità perché è innegabile che oggi proprio da loro arrivi una produzione di CO2 e un inquinamento importante anche per il nostro Paese.
Da una parte, quindi, occorre incrementare la sensibilizzazione verso questi Paesi; dall'altra parte, tutto passa dai singoli, dai consumatori consapevoli. Dobbiamo sicuramente abbandonare il consumismo sfrenato di questi anni. È giusto che i giovani protestino e vadano avanti, ma devono ribellarsi anche nei fatti e nelle loro azioni quotidiane: perché se diventassimo dei consumatori più consapevoli e un po' meno "numerici" in questa macchina infernale improntata all'acquisto usa e getta, basato su tutta questa plastica, sicuramente faremmo del bene per il nostro Paese e per il nostro mondo.
Oggi abbiamo tante opportunità: è vero che in molti casi le produzioni magari artigianali di un certo livello hanno anche dei costi superiori.
Però vedo che il mercato si sta aprendo a questi mondi. L'auspicio, quindi è quello di potenziare e aumentare le buone pratiche nelle azioni del singolo, che sicuramente saranno indispensabili per ridurre questo devastante riscaldamento globale.
Inoltre - altro dato su cui mi vorrei soffermare - la città deve fare la propria parte. Perché è la città ad avere l'opportunità di conurbati urbani fortemente popolati dove il car sharing, i bus elettrici e altre attività del genere sono molto più semplici e più facili da sviluppare e da diffondere. Servono sicuramente investimenti, però dobbiamo chiedere alle città, che rappresentano il "grosso" della produzione di CO2, di fare di più rispetto agli altri territori.
È naturale che i territori lontani, magari in montagna, abbiano difficoltà maggiori a raggiungere i livelli di efficienza rispetto alla città. Ed è innegabile che la montagna e le zone scarsamente popolate incidano molto meno rispetto alle città.
Prima si parlava del legno: banalmente, si pensa che il bosco sia diminuito. Invece in questi anni chi vive in montagna come me ha potuto assistere al fatto che il legname - e quindi i boschi - è nettamente aumentato, perché non c'è stata più una cultura e una coltivazione del legno.
Dobbiamo quindi stare attenti, perché dobbiamo garantire alle popolazioni che vivono in montagna le stesse possibilità che hanno le persone che vivono in città; dobbiamo avere una cultura ecologista, sicuramente, ma non possiamo pensare che la montagna e i territori periferici paghino il prezzo di tutti, e per tutti, e vengano totalmente isolati, perché lo sviluppo è fondamentale, ma uno sviluppo intelligente, uno sviluppo ragionato ma essenziale.
Questa mattina qualcosa sui generis l'ho sentita, ma sono convinto che questo Consiglio regionale arriverà alla presentazione di un atto d'indirizzo unitario. È impensabile, però, avere una linea del tipo "no a nuove strade", "no a nuove ferrovie", "no a nuovi tunnel". Il movimento che ho l'onore di rappresentare ha una sana e giusta cultura ecologista, per sappiamo anche che il mondo occidentale e lo sviluppo del Piemonte passa dal TAV, dal Terzo Valico e da tante altre opere pubbliche che sicuramente sono di una certa dimensione, ma vanno verso lo sviluppo economico cui il Piemonte non può assolutamente rinunciare. Noi ci siamo in questa battaglia.
Interverrà anche il nostro Assessore Marnati, che spiegherà quanto si potrà fare, quanto si vorrà fare e quanto questa nuova Giunta regionale vorrà fare per limitare l'aumento della CO2, ma anche per limitare l'utilizzo della plastica, che è quel materiale che, purtroppo, invade i nostri mari e i nostri oceani.
Grazie a tutti.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie.
Ha chiesto la parola il Consigliere Bongioanni; ne ha facoltà.



BONGIOANNI Paolo

Anch'io mi complimento per questa giornata, che è stata sicuramente un momento utile per focalizzare l'attenzione su una problematica importante e determinante per il prosieguo della nostra vita e di chi verrà dopo di noi.
Chiaramente, ognuno ha i suoi punti di vista e i suoi pensieri.
Io non ho apprezzato, negli interventi che si sono susseguiti, coloro che hanno tracciato una visione leggermente catastrofista. È un discorso che ho subito sulle mie spalle nella mia attività precedente. Ricordo che all'inizio degli anni 2000 un noto cattedratico del Centro Italia venne a tenere dei convegni (finanziato dal nostro Istituto attraverso una sua partecipata), accompagnato da due climatologi che erano reduci dal Congresso sul clima di Andorra. Venne anche a Cuneo - me lo ricordo - in Sala Falco, dove ci spiegò che, a distanza di 15 anni (quindi sarebbe accaduto nel 2018), la soglia nivometrica, cioè il limite minimo sotto il quale non sarebbe più nevicato, si sarebbe elevata a 2.000 metri.
Grazie a Dio, le linee programmatiche della politica di territorio non seguirono quelle indicazioni. Più recentemente, il Presidente Chiamparino ha seguito una mia richiesta, e gli ha dato corpo quando era Presidente, di finanziamento degli impianti sciistici del territorio della provincia di Cuneo, riverberati su tutto il resto del Piemonte e noi, oggi, dal mondo della neve introitiamo un miliardo di euro e generiamo 20.000 posti di lavoro. Qualora avessimo ascoltato il docente universitario e i due climatologi, non avremo più investito su un settore che ci dà tanto.
Si parla di mutazione climatica, e vorrei ben dire.
Trent'anni fa, mi laureai in Scienze geologiche qui a Torino e poi mi fermai al Galfer, dove mi fu spiegato che l'uomo, che codifica tutto traccia tutto e definisce tutto, ha voluto suddividere anche il tempo.
Com'è diviso il tempo? È diviso in eoni, ere, periodi, epoche e piani. Il sistema per dividere il tempo? Negli ultimi 70.000 anni si usa il decadimento degli isotopi radioattivi attraverso la datazione radiometrica ma per andare indietro - il nostro pianeta ha quattro miliardi e mezzo di anni di vita! - si usa la lettura della stratigrafia terrestre. A cosa si deve la stratigrafia terrestre? Alle mutazioni climatiche e dentro ogni strato si rivelano le grandi estinzioni. La storia del nostro pianeta è in continuo cambiamento climatico e un susseguirsi di grandi estinzioni.
Mentre parlavano i vari relatori oggi, ho voluto vedere un conforto di qualche grande personaggio della scienza. Io, che sono un uomo fortunato una decina di anni fa, in un paesino che si chiama Rubiera, che si trova alle porte di Modena, mi trovai a cena con la mente più illuminata che nella mia vita ho avuto l'onore di ascoltare (non potevo interloquire, non ero all'altezza di farlo), che è il professor Zichichi, un fisico teorico che penso tutti conoscete.
Zichichi su questo problema dice che bisogna fare una grande distinzione tra inquinamento e surriscaldamento, in accordo, fra l'altro, con il suo collega Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica; e afferma che non è possibile accostare l'inquinamento al cambiamento climatico in modo diretto, in quanto non ci sono prove scientifiche evidenti che lo dimostrino. Al contrario, per Zichichi è risaputo che l'inquinamento da noi prodotto influisce sul clima per il 5%, mentre il 95% ha origine endogena.
Ovviamente, l'inquinamento va bloccato, questo lo diciamo tutti e bisogna andare quindi a ricalibrare con una certa attenzione, che non sarà semplice, le politiche industriali e ambientali, però va studiato e approcciato con un sistema scientifico. E qui scende in campo la figura dell'ambasciatrice di questa rivoluzione del clima alla quale, sicuramente va dato il grandissimo merito per l'attenzione mediatica che ha saputo suscitare, Greta Thumberg. Cosa dice ancora Zichichi in proposito? "Ha il merito di aver portato il problema all'attenzione dei potenti del mondo, ma il suo ruolo dovrebbe essere ridimensionato e, soprattutto, dovrebbe essere incoraggiata a continuare a studiare".
Faccio una piccola riflessione da padre, anche qui, fortunato, che ha avuto la possibilità di avare una figlia, oggi studentessa universitaria, e un figlio, molto più piccolo, perché fa la prima elementare. I figli insegnano tanto, l'amore il senso della vita, ma un fattore che ho imparato dai miei figli è che ogni individuo dev'essere messo nella condizione di vivere la propria stagione della vita per quello che è: un bambino deve fare il bambino, un adolescente deve vivere da adolescente, un adulto deve vivere da adulto, o al limite è l'adulto che può provare a vive da bambino. Io vedo la figura di questa Greta veramente un pochettino sfruttata e sottoposta a un bombardamento mediatico aggressivo che una ragazza di 16 anni non deve vivere. Questo mi fa dispiacere come padre, ma soprattutto per la figura di Greta, che punta il dito - giustamente, anche - contro uno stereotipo caro a una certa fetta della politica, contro le economie del mondo occidentale. È vero che siamo i primi che devono dare il buon esempio, però bisogna tenere conto e fare molta attenzione alle percussioni sociali ed economiche.
Facciamo attenzione, leggiamo e cerchiamo di capire come mai Donald Trump ha vinto le elezioni negli Stati Uniti e come mai sono nati i "gilet gialli" in Francia. La risposta a queste domande si legge nel momento in cui si è cercato d'intervenire nella riduzione della CO2: la risposta della gente, quando viene toccata nella pancia, può essere imprevedibile.
Teniamo conto che noi produciamo la CO2, ma oggi il 66% della CO2 prodotta arriva da Cina, Bangladesh e India, che raggiungeranno il picco delle loro emissioni fra il 2030 e il 2037. Auspicare che queste economie emergenti taglino le emissioni di gas climalterante vuol dire bloccare un meccanismo attraverso cui centinaia di milioni di persone stanno fuggendo dalla povertà. Qui le conseguenze politiche ed economiche sarebbero catastrofiche! E quindi bisogna trovare una soluzione, facendo attenzione al rischio che, ancora una volta, l'ideologia vuole avere la meglio sulla realtà: la ricerca della purificazione sulla ricerca della soluzione.
Allora dico: andiamo a cercare e vedere la soluzione oltre a quella che pu essere in un taglio che si può perseguire con i vari sistemi che, fra l'altro, sono stati enunciati da tutti i colleghi e io mi affido all'Uomo all'Australopiteco che sei milioni di anni, sulle sponde di un lago africano, si mise a camminare su due zampe, ma ci vollero milioni di anni per la sua evoluzione. Poi arrivarono l'Homo Ergaster, l'Uomo di Neanderthal, l'Uomo di Cro-Magnon, infine l'Homo Sapiens, che faticò a sua volta. Poi, ci fu la civiltà fra i due fiumi in Mesopotamia, Giza, il Partenone, il Colosseo, il Medioevo, il Rinascimento, la Rivoluzione industriale, la lotta alle malattie, la conquista dei cieli e domani i figli dei figli dei nostri figli conquisteranno l'Universo.
Credo che l'Uomo troverà la soluzione e la troverà nella scienza! Oggi grandi scienziati della chimica avanzata e geni delle nanotecnologie stanno lavorando per sottrarre la CO2, per fare quello che è il rapimento del CO2.
Credo che, con buona pace degli integralisti ambientalisti, con un impegno di tutti, sarà l'uomo, con la chimica e la scienza, a risolvere il problema.



PRESIDENTE

Grazie.
La parola al Consigliere Giaccone.



GIACCONE Mario

Grazie, Presidente.
Poiché molte cose, anche molto intelligenti, erano già state dette ritenevo di non intervenire, ma l'ultimo intervento del collega m'induce a puntualizzare alcuni aspetti non senz'altro rivolti a lui, quanto allo scienziato che ha citato, cioè Antonino Zichichi.
Leggo le sue considerazioni, che peraltro il collega ha appena richiamato sul clima. Zichichi sostiene: "Il clima rimane quello che è, una cosa della quale si parla tanto, senza usare il rigore logico di un modello matematico e senza essere riusciti a ottenere la prova sperimentale che ne stabilisce il legame con la realtà".
Non lo dico io, ma un altro scienziato dice: "Antonino, ascolta: oggi abbiamo 61 modelli climatici basati su equazioni matematiche, che tengono conto di orografia, dinamica dell'atmosfera, attività solare, copertura nuvolosa, ghiacci, piogge, correnti oceaniche, cicli biogeochimici attività vulcanica, aerosol, gas serra, vegetazione e così via". Tanto che l'IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) delle Nazioni Unite scrive: "Continua a esserci un'altissima sicurezza sul fatto che i modelli riproducono il comportamento delle temperature medie superficiali su larga scala con una correlazione del 99%".
Quindi, Antonino, il modello c'è e il suo legame con la realtà è più che dimostrato.
Fatta questa considerazione iniziale su quello che, purtroppo, viene riportato anche in ambienti scientifici - riportati da scienziati senz'altro ottimi nel loro ambito ma che, forse, quando si avventurano nell'ambito che non è il loro, non sono altrettanto credibili ed efficaci faccio il richiamo allo scetticismo, perché ancora questo elemento condiziona il dibattito sulla questione ambientale, come se occuparsi della questione ambientale fosse un macrotema abbastanza astratto. Non sorprende che per alcuni cittadini lo sia, sorprende un po' che lo sia per chi si occupa di politica e deve decidere per tutti. È un po' come se la situazione ambientale non sia percepita come un problema reale. Sì, si sciolgono i ghiacci in qualche parte del mondo; sì, l'orso bianco forse a quel punto muore di fame e li vediamo nelle immagini su Facebook particolarmente dimagriti; sì, ci sono centinaia di ettari di bosco e di foresta in Amazzonia che vengono persi e, di conseguenza, si perdono innumerevoli specie vegetali e animali, ma oggi oggettivamente - ed è stato detto in quest'aula più volte - ci sono problemi più importanti e anche più vicini.
Sì, è vero. Ci sono problemi che appaiono molto più importanti e più vicini, ma analizzandoli a fondo - ed è la riflessione che voglio portare all'Aula - è possibile scoprire le relazioni che li legano a una scorretta gestione dell'ambiente o del territorio. Vale a dire che non sono due cose separate, stiamo parlando della stessa cosa. Visto che oggi si è parlato di catastrofismo, voglio riportare alcuni dati che riguardano anche l'ambito da cui derivo, cioè l'ambito sanitario, che dimostrano che se non ci troviamo proprio di fronte a una catastrofe, quantomeno ci troviamo di fonte a un argomento decisamente delicato e a fenomeni che numericamente hanno una loro rilevanza.
Un sesto dei decessi mondiali sono causati dallo smog, tre volte più dell'effetto combinato di Aids, tubercolosi e malaria messe insieme e 15 volte più di tutti i conflitti armati e delle altre forme di violenza.
Allora, per carità, non stiamo parlando di catastrofismo, ma mi sembra che stiamo parlando di un argomento che ha una certa rilevanza per gli esseri umani che sulla Terra vivono. È un prezzo molto alto, non solo dal punto di vista delle morti, ma anche dal punto di vista economico. Le malattie legate all'inquinamento nei Paesi a reddito medio e basso si traducono in una riduzione annua del PIL, che può arrivare al 2%. E qui riprendo quanto detto dal Consigliere Bertola quando dice che i problemi di natura ambientale si fanno sentire soprattutto sui ceti più poveri e su chi è più in difficoltà. Comunque anche nei Paesi a reddito alto l'aggravio della spesa sanitaria è dell'1,7% per malattie correlate al medesimo argomento.
Per venire rapidamente in Italia di nuovo e non fare del catastrofismo, ma riportare i numeri che ci danno un po' una dimensione di quello che capita il rapporto periodico sul rischio posto alla popolazione italiana da frane e inondazioni statistiche, degli eventi di frane e inondazioni con vittime nel periodo 1968-2017 - vi faccio una sintesi per rapidità, anche se siamo solo a metà dell'intervento - è di 1.800 morti per frane e inondazioni, 60 dispersi, 2.000 feriti e 316 mila evacuati e senza tetto. Anche questa mi sembra situazione da non sottovalutare.
È evidente che la questione ambientale non è affatto una questione astratta, ma concretissima: ci si ammala, come ho dimostrato, e si muore per inquinamento e per smog. Peraltro, il territorio in cui viviamo è insicuro e, a volte, mortale. L'impiego delle risorse economiche, volto a riparare gli effetti di questa impostazione sbagliata anziché a prevenire è enorme e non risolve i problemi, perché spesso ne cura i sintomi, ma non le cause. Quello che credo sia importante oggi, ed è per questo che il dibattito di oggi è stato particolarmente utile, è capire che la questione ambientale rimanda, prima di tutto e in primo luogo, al nostro modello di sviluppo.
I prossimi 15 anni saranno critici per l'economia mondiale. Non so quale ambientalista venga a dircelo, ma tutti i trend di crescita lo dimostrano: andiamo incontro a un enorme cambiamento strutturale. L'economia mondiale crescerà di oltre la metà, un miliardo circa di persone in più verranno a vivere nelle grandi città, nelle quali si concentrerà il 70% circa dell'intera popolazione. I prossimi 15 anni d'investimenti determineranno in maniera perentoria il futuro del sistema climatico mondiale.
Ciò su cui vorrei attirare l'attenzione di chi è rimasto in aula, e ha avuto pazienza di farlo fino oltre le ore 14, è che padroneggiare la questione ambientale, nel senso di saperla gestire e non di correggere gli effetti di un'impostazione sbagliata, ma saperla gestire in maniera competente ed essere coscienti della sua centralità in tutti i settori sarà indispensabile. È chiaro che ci troviamo di fronte alla ricerca di un nuovo modello di economia. Questa è la prossima sfida e sarà indispensabile virare verso un nuovo modello produttivo che incorpori il limite ambientale nel suo processo e che dovrà avere la tenuta dell'ecosistema come principio regolativo, cioè non più "limitiamo gli effetti di un modello sbagliato sull'ambiente, distruggendolo", ma "teniamo conto dell'ambiente, nel momento in cui lo progettiamo".
Vado a concludere. In Italia mi sembra che ancora si stenti a partire con competenza su questo tema nodale. Vorrei condividere con l'Aula concludendo, che sebbene molti attori fondamentali dell'economia e della politica riconoscano i grandissimi rischi legati al fattore ambientale nella fattispecie le mutazioni climatiche, antepongono in realtà altre preoccupazioni, di cui oggi si è fatto cenno: l'occupazione, la competitività, la povertà, la questione sociale. Queste sono sacrosante, ma il problema è mal posto e l'equazione non torna se l'impostazione è di un tipo, come ho cercato di dimostrare nel corso dell'intervento. È possibile e penso che questo sia ciò che ci dicono i ragazzi di Fridays for Future e a loro va reso merito - realizzare una duratura crescita economica che si occupi di questi aspetti.
Credo sia giunto il momento di passare da una rappresentazione della questione ambientale a una rappresentanza della questione ambientale come questione dello sviluppo. È tempo di passare a un'economia climatica, a un'economia ambientale, cioè un'economia che tiene conto di questo elemento, fin dal momento in cui viene costruita. Fare questo è possibile perché ci sono i capitali e ci sono innovazioni tecnologiche che in altri periodi erano inconcepibili, ma dobbiamo essere consapevoli che è difficile. Siamo noi in una difficile fase di transizione, perché bisogna prendere atto che non tutte le politiche climatiche sono vantaggiose per tutti e che alcuni compromessi saranno inevitabili.
Ci saranno costi umani ed economici e sarà esclusivo compito della politica sostenerli e gestirli. Per fare questo ci vorrà una forte leadership politica, in grado di esprimere politiche credibili e concrete, ma occorrerà anche la partecipazione attiva della società civile, cioè ci vorrà una green economy, ma la green economy non può prescindere da una green society e d una green leadership.
Noi siamo a disposizione per quanto siamo la generazione che questo modello, ma siamo anche consapevoli che la generazione di Fridays for Future e la generazione che ci segue potrà darci suggerimenti. Nelle sue mani consegniamo il testimone per progettare questo nuovo tipo di economia e di modello che garantirà il futuro dei nostri figli e, a loro volta, dei figli dei nostri figli.
Grazie, Presidente.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Non ci sono più Consiglieri iscritti a parlare.
Conclude i nostri lavori l'Assessore Marnati, che ha facoltà di intervenire.



MARNATI Matteo, Assessore all'ambiente

Grazie mille.
Dopo questa maratona di quasi quattro ore cercherò di essere relativamente breve, anche perché si sono toccati tantissimi punti e sarà difficile entrare nel dettaglio, quindi cercherò di rimanere su una linea generale.
Innanzitutto anch'io mi associo ai ringraziamenti di tutti coloro che oggi hanno portato i loro spunti e ai ragazzi non solo di Fridays for Future, ma a tutti i ragazzi delle scuole, perché so che ci sono anche altre associazioni che si battono su questo tema che non ha eguali dal punto di vista mediatico come in questo momento. Finalmente si parla anche di temi ambientali, che fino a qualche anno fa erano considerati più di nicchia.
Cercando di fare una panoramica, ho preso anche qualche appunto in base a tutto quello che oggi abbiamo sentito e avete detto. Una panoramica generale è doveroso farla. La Cina ha un miliardo e 400 milioni di abitanti, l'India un miliardo e 390 milioni e gli Stati Uniti 329 milioni di abitanti. Ed è vero che il quinquennio dal 2015 al 2019 è stato il più caldo mai registrato e mai monitorato, ed è vero che c'è uno scioglimento dei ghiacciai marini, ma anche quello delle nostre montagne (basta andarle a vedere fisicamente, prima il Consigliere Preioni citava le montagne del VCO).
È vero che le emissioni di CO2, quindi di anidride carbonica, continuano ad aumentare. Nel 2017 il 40% derivano dal carbone, il 35% dal petrolio, il 20% da gas e via via poi ci sono percentuali più piccole, quindi il grosso derivava questi tre settori.
La Cina è il primo produttore di CO2 al mondo con il 27%, al secondo posto seguono gli Stati Uniti, anche se in lieve diminuzione. Invece nell'Unione Europea, dove noi viviamo, le emissioni sono diminuite dal 1990 del 20%.
È doveroso dire che oggi noi parliamo di questi temi in un'aula democratica. Si parlava prima di protagonisti a livello mondiale, che hanno parlato in sede di Nazioni Unite, ma è anche vero che ci sono Paesi in cui questo tipo di dibattito non si può fare. Ad esempio, abbiamo parlato prima della Cina, e lo ha ricordato anche il Consigliere Preioni nel suo intervento, ma ci sono Paesi dove non si può discutere, non si possono attuare delle iniziative o dire quello che va o non va. Anzi, probabilmente quello che diciamo oggi in Europa, negli Stati Uniti o nel mondo, ad alcune popolazioni neanche arriva e non può neanche arrivare.
Sono orgoglioso di far parte della maggioranza che ha sostenuto una grande opera pubblica che è stata ricordata, seppur in pochi secondi, che è la TAV. Non è solamente una questione economica, visto che stiamo parlando di ambiente, ma la TAV è in linea con le direttive. Abbiamo sentito che le direttive dicono che entro il 2030 dobbiamo abbassare la CO2 in Europa e l'Unione Europea dice che il 30% delle merci devono essere trasportate su rotaia, ragion per cui, se non realizziamo infrastrutture che portano i treni ad alta velocità o capienti tra le grandi città europee, questo risultato noi non potremo mai ottenerlo.
La TAV, ad esempio, riduce di tre milioni di tonnellate il quantitativo di CO2 all'anno. Questo è scritto nell'analisi dei costi-benefici del Governo non me lo sto inventando io. Sia chiaro, non invento dati.
Considerate che noi abbiamo due capoluoghi - Biella e Cuneo, visto che parliamo del Piemonte - che non sono collegati con la rete autostradale veloce, oggi hanno collegamenti ancora lenti. Stiamo aspettando che il Governo "batta un colpo" sull'Asti-Cuneo e sulla Pedemontana che dovrebbe collegare Biella alla provinciale di Novara-Ghemme.
In India l'uso del carbone - prima citavamo un paese che ha miliardo e 400 milioni di abitanti - sta crescendo. Sono Paesi emergenti, oggi non hanno la sensibilità che abbiamo noi e quindi tendono a utilizzare ancora purtroppo, questo tipo di combustibile.
L'Italia è la seconda potenza industriale europea. Rispetto tutti gli interventi di oggi perché sono tutti utili e sicuramente hanno un valore aggiunto, ma ricordo che l'80% dei rifiuti prodotti in Italia è composto da rifiuti pericolosi e speciali. Oggi il Piemonte è in equilibrio, funziona bene ma, in futuro, potrebbero esserci emergenze nella gestione dei rifiuti. Oggi noi esportiamo gran parte dei rifiuti pericolosi speciali, ad esempio in Lombardia, dove hanno un sistema di smaltimento più efficace ed efficiente del nostro, o in Germania l'amianto, che va a finire nelle miniere di salgemma.
Se vogliamo parlare di raccolta differenziata, allora dobbiamo dire che il Piemonte va a due velocità. Ci sono Consorzi che hanno raggiunto gli obiettivi da anni e Consorzi, o città, che la raccolta differenziata non sono stati in grado, per qualche motivo, di portarla avanti. È giusto ricordare che sul podio, al primo posto, c'è il Consorzio di Chieri, nel Torinese, e poi c'è la Provincia di Novara con il medio e basso Novarese che ha raggiunto, da anni, oltre il 70% di raccolta differenziata (adesso vedremo i dati di fine anno per il 2018, ma sono comunque in aumento).
All'ultimo posto, è giusto ricordarlo, c'è la Città di Torino, che non raggiunge neanche il 60%, poi al penultimo posto abbiamo il Consorzio di Alessandria.
Non posso non citare anche un'eccellenza piemontese come la discarica Barricalla di Collegno, un esempio a livello nazionale ed europeo per il modello di gestione dei rifiuti speciali, tra cui anche l'amianto, che ha vinto numerosi premi. Un sistema secondo noi efficiente, dove c'è una partecipazione pubblica con Finpiemonte Partecipazioni e due società private che la gestiscono. Questo potrebbe essere veramente un modello da perseguire. È dimostrato che dove ci sono impianti di gestione rifiuti con un forte monitoraggio del pubblico, si allontana il rischio che s'insidino organizzazioni criminali. È importante fare in modo che ci sia la gestione dei rifiuti con una forte presenza della Regione Piemonte.
Considero il termine rifiuti un termine scorretto, perché rifiuto è quello che butta il cittadino nel cestino, qualcosa che non gli serve, ma da quel momento in poi diventa una risorsa presente sul nostro territorio. Il tema fondamentale dei prossimi anni sarà quello, se non da subito, di capire se noi questi rifiuti, o risorse, li vogliamo gestire o vogliamo fare gli struzzi che mettono la testa sotto terra e far finta che non esistano.
Credere, come ho sentito dire, che si possa arrivare oggi, con i nuovi sistemi, con le nuove tecnologie che oggi noi conosciamo, a rifiuti zero è un falso storico. Secondo me è anche poco responsabile dirlo, perché le industrie producono rifiuti, gli ospedali producono rifiuti, i cittadini producono rifiuti.
Questo non vuol dire che non si debba lavorare per trovare nuove soluzioni.
Però, se partiamo dal discorso che il Piemonte deve andare a una velocità unica, dobbiamo fare in modo che i Consorzi, che oggi non sono in grado di farlo, lo facciano anche con azioni abbastanza pesanti.
Avete parlato dell'economia circolare.
La Regione Piemonte vuole sostenere l'economia circolare a tutti i costi solo che questo - bisogna dirlo, perché è un dato oggettivo - è possibile farlo solo per alcuni tipi di rifiuti. Dieci giorni fa c'è stata la Conferenza Stato-Regioni, dove hanno partecipato il Piemonte, la Lombardia la Liguria, il Friuli, il Veneto, l'Emilia Romagna e la Toscana, diciamo le Regioni del Nord più efficienti dal punto vista economico (c'era anche qualche Regione del Sud), in cui abbiamo definito un programma per l'economia circolare.
In tale occasione, è stato detto al Ministro: "Noi vogliamo fare in modo che il famoso End of Waste (cioè la fine dei rifiuti, la qualificazione dei rifiuti) possa tornare com'era prima, a due anni fa, quando funzionava cioè definire caso per caso e fare in modo che ci sia una sorta di autonomia delle Regioni a decidere che tipo di autorizzazione dare".
Nonostante 20 Regioni (anche quelle assenti si sono dovute adeguare a quelle che erano presenti), quindi la maggioranza totale delle Regioni abbia dato una linea, il Ministro ne ha fatta un'altra. Bene, è legittimo può fare quello che ritiene più opportuno, però noi riteniamo, la Regione Piemonte ritiene che soprattutto l'ultimo decreto sull'ambiente sia un provvedimento inadeguato, perché non ascolta i territori più virtuosi del nostro Paese.
Che cosa può fare la Regione Piemonte? Può fare tantissime cose, noi non neghiamo nulla. Prima ho parlato del PEAR (Piano Energetico Ambiente Regionale), preparata, è vero, dalla vecchia Giunta, ma non è mai stata approvato e dobbiamo fare delle modifiche; c'è il Piano tutela delle acque che è integrato col PEAR; c'è la legge sul plastic free (con l'Assessore Ricca abbiamo appena avviato il sistema per ridurre la plastica monouso per gli eventi sportivi). Qui possiamo fare una legge regionale - e forse sarebbe la prima legge regionale in Italia - per la riduzione della plastic free monouso.
In Piemonte, come ricordava il Consigliere Rossi, abbiamo una tradizione di chimica verde: aziende importantissime, a livello mondiale, che oggi sono in grado di fare plastica riciclabile, che può essere utilizzata. Dobbiamo incentivare questo tipo di materiale.
Dobbiamo approvare, e approverò, un Piano antinquinamento specifico, non solo per il traffico, ma anche per il riscaldamento. Porteremo avanti la direttiva di rigenerazione urbana e dell'efficientamento energetico.
A fine anno, abbiamo messo a disposizione, attraverso l'Unione Europea (racconterò dopo quello che abbiamo fatto a Bruxelles dieci giorni fa), 80 milioni per il trasporto pubblico locale, per fare in modo che ci siano più autobus elettrici e che vadano anche a metano, a seconda delle esigenze (quelle collinari e quelle di pianura); c'è un milione, mai utilizzato, per la sostituzione dei veicoli dei Comuni o degli Enti parco; sette milioni di garanzia vera che potrà essere impiegata con un moltiplicatore di almeno cinque volte per l'efficientamento energetico dei condomini (fino a quattro unità), anche questo entro fine anno.
Vogliamo raggiungere il 50% dell'utilizzo del teleriscaldamento (anche questo l'ho sentito nei discorsi). Oggi il Piemonte è al 30%, possiamo arrivare fino al 50, in modo tale da evitare che ci siano emissioni nell'aria.
C'è un Piano molto ambizioso che stiamo portando avanti insieme alla Regione più efficiente, più performante e più ricca della Francia, Rhône Alpes (è venuto a trovarci un mese fa il Presidente).
Oggi, qui in Piemonte, abbiamo la possibilità di fare una grande piattaforma di ricerca dell'utilizzo dell'idrogeno, per l'utilizzo dei treni regionali, ma anche dei battelli che vanno sui laghi.
In questo momento - lo dico in anteprima - mi è arrivato un messaggio dalla Commissione che si occupa dello sviluppo dell'idrogeno, che è una tecnologia che conosciamo da trent'anni, ma che non è mai stata messa abbastanza efficacemente sul mercato, che dice che se noi prepariamo, come stiamo preparando, un Piano strategico di produzione e di ricerca dell'idrogeno entro la fine dell'anno, sono pronti a finanziarci, oltre i fondi europei previsti, extra fondi che ci daranno per il Progetto che noi andremo a presentare, tra la Regione francese Rhône Alpes e quella piemontese.
Ricordo che l'idrogeno si può fare con un processo chimico dall'acqua, di cui il Piemonte è abbastanza ricca, ma si può fare anche attraverso la valorizzazione dei rifiuti. Noi, quindi, potremo avere treni, battelli e mezzi pubblici che emettono nell'aria vapore acqueo, che si potrà riutilizzare.
Quando prima parlavo della Cina, dell'India e degli Stati Uniti, non voglio trovarla come giustificazione, però è vero che se noi siamo una piccola Regione, in un grande globo fatto di miliardi di persone, dobbiamo pensare principalmente al modello della resilienza, cioè fare in modo che, siccome sappiamo e conosciamo (ed è approvato) che ci saranno e ci sono cambiamenti climatici (lo dicono i dati), è necessario fare in modo che le nostre città, le nostre montagne e le nostre pianure si possano adeguare nel tempo, attraverso azioni d'infrastrutture, anche per evitare che ci siano eventi alluvionali, o comunque di emergenza, che possano colpire la nostra popolazione.
Questo lo si può fare prevenendo alcune azioni importanti. A me piacerebbe portare avanti la realizzazione (ma ne stiamo parlando da tanti anni) di nuovi invasi, soprattutto nelle montagne, proprio per trattenere le acque che oggi arrivano in maniera e in quantità enorme, e si disperderebbero come succede oggi, nei fiumi che vanno poi nel mare, quindi acqua pulita che si potrebbe riutilizzare.
La forestazione delle città. Stiamo portando avanti il Protocollo con vari protagonisti, tra cui il Politecnico, che prima ha partecipato a questo dibattito, con servizi, che è l'associazione di categoria che si occupa di gestire tutte le multiutility pubbliche del Piemonte, la nostra Regione l'Environment Park, che si occupa di portare avanti tutti i temi ambientali, per fare in modo che non si utilizzi più il carbone per la produzione di cemento, ma, ad esempio, si possono utilizzare i fanghi di depurazione che arrivano dalle nostre città. Questo è un modello che porteremo avanti, perché pensiamo che dobbiamo fare tanto per la nostra popolazione.
Detto questo, penso che la nostra Regione, che oggi ha un'economia ferma debba svilupparsi. Dobbiamo creare posti di lavoro e dobbiamo aumentare la ricchezza.
Al Governo esiste il Ministero dello Sviluppo economico (non si chiama ancora Ministero della decrescita felice), quindi dobbiamo pensare che ci debba essere un'evoluzione della società. Non possiamo tornare indietro.
A me dispiace non aver sentito nei discorsi, soprattutto dei ragazzi, a cosa sono pronti a rinunciare. Sono pronti a rinunciare alle nuove tecnologie? Agli smartphone, ai computer, all'aria condizionata, ai viaggi intercontinentali? Oppure, quando ci si lava, come accade in alcune zone dove manca l'acqua perché si deve preservarla, rinunciare a detersivi, a profumi e ad abiti firmati? Spostarsi esclusivamente a piedi? Sono pronti a rinunciarvi? Vedete, senza andare troppo in là negli anni e tirare in ballo il mio bisnonno o mio nonno, già mio papà mi raccontava che, negli anni Cinquanta (erano tre fratelli), si riscaldavano mettendo una pietra vicino al cammino e poi sotto le lenzuola. Si scaldavano così. Oggi noi abbiamo una società che ai ragazzi offre tantissime comodità, quindi, se è vero che come Ente pubblico dobbiamo esprimere la nostra opinione, ritengo lo debbano fare un po' tutti.
Mi spiace che oggi, nonostante sia una giornata dedicata all'ambiente nessuno abbia parlato del tema delle emergenze umanitarie e ambientali in corso in questo momento. Credo sia doveroso ricordare l'aggressione militare della Turchia nei confronti del popolo curdo. Voi direte: cosa c'entra con l'ambiente? Beh, è un intervento militare e, come succede spesso, le guerre in questo periodo moderno sono fatte per mettere mano sui giacimenti petroliferi. Quindi, mentre noi qui parliamo di cosa possiamo fare per il futuro, nel mondo esistono ancora situazioni di questo genere ed è doveroso ricordarlo.
È anche necessario pensare che oggi è possibile che il Piemonte diventi sempre più autosufficiente, prevedendo - come dicevo - Piani di sviluppo energetici. Negli interventi di UNCEM si è parlato dell'idroelettrico e del fatto che il Piemonte ha tantissime centrali di grandi derivazioni e di piccole derivazioni. Oggi, le centrali idroelettriche di grandi derivazioni sono diventate di proprietà della Regione ed entro il marzo 2020 questo Consiglio regionale dovrà approvare una legge, al riguardo. Che cosa è possibile fare? Molte cose, tra cui avere, utilizzando le nuove tecnologie un efficientamento dell'utilizzo delle centrali idroelettriche: utilizzando meno acqua, si può produrre fino al 10-15% in più di elettricità pulita.
Inoltre, un domani (quando eventualmente non ci saranno più i ghiacciai) farne dei grandi invasi, che saranno anche un grande giacimento d'acqua a uso potabile per la popolazione.
Fortunatamente, su questo il Piemonte è avanzato.
Ci sono molte altre questioni: non posso entrare nel dettaglio, ma segnalo l'avvio delle piccole comunità locali energetiche. Parlavamo prima delle montagne: a Barge, ad esempio, io ho visitato la prima comunità energetica del Piemonte, dove, attraverso il cippato proveniente dalle foreste (si dà anche lavoro alle attività locali) si riesce a portare il riscaldamento a piccole comunità, gestite direttamente dall'Ente locale.
Su questo, noi vogliamo avviare un processo che oggi non è previsto per legge e chiederemo al Governo di permetterci di avviare quest'iniziativa.
Non me ne vogliate, perché porto rispetto a tutti, ma come giustamente credo debba essere, come Assessore, ma soprattutto come Ente regionale, mi voglio basare esclusivamente sui fatti scientifici. Io ascolto tutti, per ritengo sia importante, nel futuro - e lo stiamo già facendo - rafforzare il rapporto con le nostre Università o gli istituti di ricerca privati, ma in particolare le nostre Università, perché sono in grado di darci le soluzioni e non soltanto dire dei no. Oggi si è parlato dei sintomi: si ha la febbre, ma non si sa da dove arriva o cosa si può fare. Sappiamo che dobbiamo ridurre le emissioni di CO2, causa dei cambiamenti climatici sappiamo che dobbiamo ridurre l'inquinamento, ma bisogna capire come, senza stravolgere l'attività produttiva della nostra regione, che è importantissima.
Pertanto, noi che rappresentiamo le Istituzioni dobbiamo dare le soluzioni valutando, purtroppo, tante variabili e qui subentra la difficoltà: se, da un lato, dobbiamo fare in modo che la nostra regione (e il nostro pianeta) sia sempre più pulita, dall'altro dobbiamo anche salvaguardare i posti di lavoro. Qui subentra il tema della green economy, per la quale sono state usate tante parole, ma, nei fatti, non è mai stato fatto quasi nulla.
Oggi, attraverso questa nuova ricerca, abbiamo la possibilità di utilizzare nuove tecnologie (il Piemonte ha questa fortuna) e nuove risorse che il Creatore ci ha donato, attraverso il calore del sole, la gravità dell'acqua, la potenza dei venti e, grazie all'ingegno dei nostri ricercatori e scienziati, possiamo veramente fare la differenza e creare nuovi posti di lavoro.
A differenza di qualcuno, io non mi posso permettere di piangere davanti alle telecamere o davanti alle varie platee e non posso neanche dare sempre la colpa agli altri. Ritengo che tutti debbano fare la propria parte, a partire dal singolo cittadino, dalle aziende che si devono adattare, agli istituti di ricerca, agli Enti pubblici che devono dare l'esempio, per posso dire che oggi il Piemonte sarà protagonista.
Oggi abbiamo ascoltato l'ARPA, che ha un sistema di monitoraggio molto ambito a livello nazionale e non solo (anche a livello europeo), come efficienza; abbiamo l'IPLA, che è formato da bravissimi ricercatori sappiamo che ci sono dei progetti anche per capire come, nelle città, le varie essenze possono fare la differenza; non totalmente, ma possono fare sicuramente qualcosa di positivo per evitare di ridurre gli inquinamenti provenienti dal riscaldamento e dal traffico.
Sono tante situazioni che possiamo mettere a disposizione, da subito.
Ritengo che il futuro dei prossimi cinque anni sia quello, da una parte, di salvaguardare la nostra regione (lo stiamo facendo e lo faremo con tanto entusiasmo, ma anche con tanta competenza, perché per fortuna siamo circondati da persone molto competenti), però, dall'altro, dobbiamo fare in modo che il Piemonte possa risorgere anche da un punto di vista economico e perché no? - sfruttando i temi ambientali, oggi questo noi possiamo farlo.
Il messaggio che mando ai giovani, in particolare, è di continuare su ci che stanno facendo, affinché non sia una breve moda. La Regione Piemonte è pronta: io chiedo se sono pronti anche loro a fare, eventualmente, dei sacrifici.
Grazie per l'attenzione.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Ringrazio i nostri ospiti.
Il Consiglio regionale si conclude qui.
Buon pomeriggio a tutti.
Se i Capigruppo sono tutti favorevoli, inizieremo i lavori della seduta pomeridiana alle ore 15.30.
La seduta è tolta.



(La seduta termina alle ore 14.32)



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