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Dettaglio seduta n.216 del 22/11/22 - Legislatura n. XI - Sedute dal 26 maggio 2019

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ALLASIA



(La seduta inizia alle ore 9.26)


Argomento: Condizione femminile

Assemblea aperta ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno inerente a "Prevenzione e contrasto per l'eliminazione della violenza contro le donne: riflessioni, esperienze e progetti in occasione della Giornata internazionale del 25 novembre"


PRESIDENTE

La seduta è aperta.



(Viene proiettato il cortometraggio "Due" di Alessia Olivetti)



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ALLASIA

Buongiorno.
Gentili Consigliere e Consiglieri; gentili relatori e gentili ospiti.
L'argomento del Consiglio aperto di oggi è tra i più drammatici e complessi da affrontare.
La dichiarazione dell'ONU indica come "violenza contro le donne" ogni atto che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà.
Quanto questa sia diffusa è davanti agli occhi di tutti: si legge nei racconti dei giornali e dei social, si vede nei servizi televisivi, emerge dalle testimonianze degli operatori sanitari e delle forze dell'ordine che intervengono in soccorso e sui volti muti di chi l'ha subita.
Ogni tre giorni in Italia una donna muore perché vittima di violenza. I dati del Ministero dell'Interno in questo 2022, fino al 20 novembre parlano di 273 omicidi registrati, con 104 vittime donne, di cui 88 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 52 hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner.
Sono cifre terribili nella loro crudezza, descrivono abissi di crudeltà che non vorremmo conoscere. Eppure rappresentano solo la punta dell'iceberg.
Sotto la superficie dell'acqua ci sono tante e tante storie di violenza domestica, alcune denunciate, molte altre no, fatte di botte, vessazioni e umiliazioni, annullamento della persona. Storie che il cortometraggio che abbiamo appena visto riassume con tragica verità anche nei loro più pesanti risvolti psicologici.
Voglio ringraziare Alessia Olivetti, registra e interprete del cortometraggio, che ha portato sul grande schermo tutte quelle piccole ferite invisibili, tatuaggi indelebili, testimonianza dell'ansia dell'impotenza e della depressione che tante donne provano tra le mura di casa.
E poi ci sono i casi di stupro. A Torino se ne è verificato recentemente uno in un collegio universitario, un luogo che dovrebbe essere di riposo studio e cultura ed è stato profanato da una violenza insensata.
Non mancherà oggi la voce dei giovani, che come in questo caso vivono la violenza sulla propria pelle, con l'intervento di due studenti in rappresentanza del progetto "Ambasciatori del Consiglio regionale".
Da non dimenticare infine le molestie, per strada e sui luoghi di lavoro perpetrate spesso in maniera subdola da chi pensa, in nome di un ruolo, di arrogarsi un diritto che in realtà è un abuso.
Non è certo una situazione riservata all'Italia, anzi. Nel resto del mondo moltissimi sono i Paesi in cui la condizione della donna è di pesante subordinazione e porta con sé violenze fisiche e psicologiche insopportabili, insieme ad un'impossibilità di scegliere il proprio partner, la propria vita, un futuro sereno.
In Iran le giovani donne si ribellano a un sistema che le vorrebbe senza identità fisica, coperte, ombre di se stesse. Stanno pagando con la vita la loro rivolta. E nonostante gli spari che le accolgono quando dimostrano in piazza, nonostante le centinaia di uccisioni, continuano a protestare stanche di soprusi e violenze, con la voglia di affermare la loro persona e scelta di libertà. Ce ne parlerà stamattina il Presidente dell'Associazione "Iran Libero e Democratico".
È un panorama che, nel suo insieme, descrive una condizione pesante e insopportabile che molte donne vivono con grande sofferenza e spesso disperazione. Tanto che in questi casi sembra avverarsi le parole di Elio Vittorini quando diceva che "il disumano domina l'umano".
Prevenire la violenza sulle donne, punire reati, proteggere le vittime, è quanto la normativa e i tanti attori che operano nelle istituzioni e nella società tentano di realizzare. Anche la Regione Piemonte, con le tante campagne di informazione realizzate, il sostegno alle associazioni e ai centri antiviolenza, l'aiuto anche economico alle vittime, l'impegno a fare rete, vuole partecipare a questo sforzo che dovrebbe coinvolgere tutta la società.
A questo proposito voglio ricordare due nostri imminenti appuntamenti: il convegno di domani sulla violenza digitale di genere, quello poi di venerdì sulla tratta delle donne, a cura del Comitato regionale diritti umani e della Consulta femminile regionale.
Tuttavia, di fronte alle cifre dei femminicidi, alle cronache sulle violenze domestiche, agli insopportabili stupri, è chiaro che tutto questo non basta se non si arriva a sconfiggere una visione della donna vissuta e percepita come occasione di dominio e di piacere e non in quanto individuo.
Un atteggiamento che va sconfitto attraverso l'educazione nella scuola e nella famiglia, con comportamenti che siano di esempio ai più giovani, con modelli culturali positivi che insegnino il rispetto verso le donne veicolati sui media, in tv, sui social e nella società stessa, in modo che sempre di più, tra di noi, sia l'umano a dominare il disumano. Grazie.



PRESIDENTE

Do ora la parola al Presidente della Giunta regionale, Alberto Cirio.



CIRIO Alberto, Presidente della Giunta regionale

Grazie mille, Presidente.
Buongiorno a tutti, buongiorno ai colleghi Consiglieri, ma in particolare buongiorno e benvenuti agli ospiti che oggi impreziosiscono con la loro presenza e la loro partecipazione, i lavori di quest'Aula.
Ringrazio il Presidente Allasia, la Consigliera Zambaia e tutti i colleghi che hanno voluto promuovere la convocazione di questo Consiglio regionale, perché questo è un tema che dev'essere affrontato in tutta la sua gravità e che non dobbiamo limitare soltanto ad una giornata di celebrazione del ricordo delle vittime. Noi istituzioni non ci laviamo la coscienza indossando il fiocchetto rosso o la sciarpa rossa un giorno all'anno e vivendo gli altri 364 giorni come se il problema dovessero sempre risolverlo gli altri.
Il video a cui ho assistito è estremamente toccante (ringrazio davvero la regista e l'interprete) e mi congratulo per come è stato strutturato perché dà un'immagine reale di quello che è il fenomeno della violenza di genere e della violenza sulle donne che si vive nella nostra società. Siamo abituati a pensare che i problemi siano sempre degli altri; siamo abituati a pensare che i problemi nascano e vivano negli ambienti degradati, dove c'è arretratezza culturale. Questo video ci dà l'immagine di una casa perfetta, di una casa ordinata, dove non mancano i soldi, dove tutto funziona, dove il papà e la mamma sono ben vestiti, dove la figlia ha i giochi, dove sembra che non manchi nulla. Eppure, all'interno di un contesto di questo tipo - che è un contesto che viviamo nella generalità dei casi delle nostre famiglie - si annida, si manifesta e cresce un fenomeno così terribile come quello della violenza di un marito nei confronti di sua moglie, di un partner nei confronti della partner, di un fidanzato nei confronti della fidanzata. Credo che questo sia il segnale più importante, che ci fa capire come questo sia un problema reale, che è tra noi. E non basta - lo ripeto - pensarci una volta all'anno: dobbiamo interrogarci, spendere i lavori di questa giornata per ricordare le vittime, ma soprattutto per ricordare anche quello che di buono è stato fatto e quello che non è ancora stato fatto, e per ringraziare per il lavoro che la nostra Regione ha già messo in campo negli anni.
Al riguardo, vorrei ringraziare il Presidente Chiamparino, perché fu lui il primo Presidente ad adottare un Piano triennale specifico per sostenere i Centri antiviolenza e le Case rifugio. Questo Piano triennale scadrà proprio in questi mesi, quindi ne dovremo approvare uno nuovo e sarà l'occasione per vedere cosa ha funzionato di quelle azioni e cosa, invece dovrà essere modificato o ulteriormente implementato.
Però dobbiamo tutti - lo dico perché lo sto vivendo su me stesso acquisire maggiore consapevolezza che si tratta di un problema reale, tra di noi, che non riguarda sempre "l'altro". Dobbiamo acquisire consapevolezza del fatto che i dati che registrano un incremento delle denunce vanno in una direzione positiva, perché fanno sì che le vittime trovino il coraggio di capire, innanzitutto, di essere vittime e poi di denunciare quello che hanno subìto.
Leggere i dati secondo cui la maggior parte delle violenze avvengono nell'ambito familiare è veramente un qualcosa che ci deve far riflettere.
Siamo abituati a pensare alla famiglia come al "nido": si cerca protezione in famiglia, invece diventa la prigione. Questa non è solo violenza fisica.
In questo video mi ha colpito moltissimo la questione dei soldi: è violenza costringere tua moglie o il tuo partner a chiederti quello che non dovrebbe chiederti, a farle pesare quello che sarebbe naturale. È una violenza! È una violenza psicologica! E, come questa rappresentazione ci ha ben dimostrato, è un campanello d'allarme, è una spia, è un segnale. È violenza anche quella.
È un esame di coscienza che dobbiamo fare tutti, io per primo. A volte costringere il tuo partner a chiederti ciò che le spetta è un modo per affermare una supremazia che non esiste e che non dovrebbe esistere. Ecco perché credo che oggi sia necessario interrogarci tutti, nella vita di tutti i giorni, nella vita della società che ci troviamo a dover governare e a dover amministrare, non dimenticando, appunto, che accanto alle violenze fisiche ci sono anche violenze psicologiche, che sono ancor peggiori, se vogliamo.
Ho studiato gli atti dei lavori di oggi e mi ha colpito il fatto che ci sono forme talmente subdole di violenza psicologica che fanno sì che la vittima si senta colpevole (lo si rappresenta bene in questo video). Credo che, finché la vittima non capisce il suo stato di vittima, ma si sente addirittura la causa di quello che sta vivendo, il malessere diventi esasperante; soprattutto, credo che non nasca mai la possibilità e la voglia di denunciare.
È con questo spirito che oggi dobbiamo approcciare i nostri lavori ringraziando le forze dell'ordine, le questure e la polizia, che hanno fatto tanto e bene in termini di repressione, ma lavorando di più sulla prevenzione; lavorando di più su questa rete e su questi centri; lavorando di più sull'assistenza psicologica, ma lavorando anche di più noi stessi sotto il profilo culturale. Perché quest'idea che uno possa essere superiore ad un altro, per qualsiasi ragione che uno pensa dentro di sé, è un qualcosa di abominevole che ci rende non persone umane.
Vi ringrazio ancora, perché oggi è una giornata importante: facciamo seguire atti concreti a questi dibattiti. Soprattutto, continuiamo ciò che il Presidente Chiamparino e il Governo precedente aveva ben attuato rinforzandolo e rafforzandolo, perché facciamo del bene al Piemonte, ma facciamo del bene soprattutto alla nostra coscienza di persone. Grazie.



PRESIDENTE

Grazie, Presidente.
Ha ora la parola il Garante per l'infanzia e l'adolescenza, dottoressa Ylenia Serra.



SERRA Ylenia, Garante per l'infanzia e l'adolescenza

Grazie, Presidente, per aver voluto organizzare questo momento fondamentale per ascoltare i contributi di tutte le istituzioni e le associazioni che si occupano di contrasto alla violenza contro le donne e, soprattutto, per aver voluto mantenere alta l'attenzione su questo fenomeno, che continua a violare nel modo più indegno i diritti fondamentali delle donne.
Come Garante, il mio compito principale è quello di diffondere la conoscenza della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e delle altre Convenzioni che si occupano di persone di minore età. Nella Convenzione del 1989 vi sono molti articoli rilevanti ai fini di questo tema. Innanzitutto i "Principi generali" (articoli 2 e 3), cioè il principio di pari opportunità e il principio del superiore interesse del minore, ma soprattutto, più nello specifico, il diritto ad essere protetto da ogni forma di maltrattamento, di abuso e di sfruttamento che può nuocere alla salute e allo sviluppo fisico e mentale delle persone di minore età.
Ci sono, purtroppo, molte forme di violenza che possono coinvolgere le bambine e le ragazze e molteplici sono gli ambiti in cui questa si pu realizzare, partendo proprio dalla violenza domestica che viene compiuta all'interno dell'ambiente familiare e che rappresenta, in qualche modo, la forma più grave, proprio perché avviene all'interno di un luogo come la casa che, invece, dovrebbe rappresentare il luogo sicuro per eccellenza e perché viene posta in essere da quei soggetti che dovrebbero avere cura dei minori. Anche in queste situazioni, la violenza può essere fisica o psicologica oppure può essere la cosiddetta "violenza assistita", a cui minori assistono all'interno dell'ambiente familiare.
Il nostro ordinamento giuridico non prevede un reato autonomo di violenza assistita, ma, in attuazione della Convenzione di Istanbul, la Giurisprudenza ha riconosciuto che la condotta di chi costringe in modo reiterato il minore a presenziare a manifestazioni di violenza fisica o morale contro un genitore configura il reato di maltrattamento. Nel 2013 inoltre, è stata introdotta la circostanza aggravante di aver commesso il fatto in presenza di un minore, fino ad arrivare al Codice Rosso, con il quale sono state introdotte delle modifiche significative e il minore è diventato, finalmente, persona offesa.
Queste sono le situazioni più difficili da gestire, come il cortometraggio che abbiamo visto ci ha fatto comprendere più di quanto mille parole possano descrivere. Chi subisce maltrattamenti deve essere messa in sicurezza unitamente ai propri figli, ma deve soprattutto essere sostenuta e supportata nella non facile decisione di sottrarsi a questo clima di violenza, che spesso non è soltanto fisica, ma è connotata da una forma di sudditanza psicologica e di isolamento dal punto di vista relazionale e come abbiamo ben visto, anche economico.
Com'è stato ricordato dal Presidente, il Piano triennale regionale contro la violenza si occupa di tutti questi aspetti, quindi non soltanto di dare un sostegno nell'immediatezza, ma soprattutto di accompagnare e di sostenere i nuclei familiari in modo adeguato e professionale.
Ci sono molte altre forme di violenza; pensiamo a quella subita dalle vittime della tratta. Proprio in occasione del 25 novembre qui ci sarà un convegno che affronterà questo tema, nel quale, come Garante, potrò portare l'esperienza delle minori straniere non accompagnate e del ruolo importantissimo che, in questo settore, svolgono i tutori volontari.
La nostra Regione si è dotata di strumenti per sostenere le vittime di tratta, riconoscendole vittime di violenza di genere e consentendo in questo modo l'applicazione di tutte quelle tutele previste dalla legge del 2016. C'è proprio uno specifico obiettivo nel Piano triennale dedicato alla prevenzione della tratta.
Abbiamo poi il fenomeno dei matrimoni precoci e dei matrimoni forzati. È un fenomeno poco conosciuto e spesso sommerso, ma che, a volte, emerge purtroppo proprio nelle pagine della cronaca. Anche su questo, vi è una risoluzione molto importante del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite del 2015, che invita tutti gli Stati a dotarsi di leggi che vietino i matrimoni forzati e precoci, che rappresentano una grave violazione dei diritti umani, anche perché spesso il matrimonio precoce si accompagna ad altre gravi situazioni, come i maltrattamenti. A questo proposito, la scuola ha sicuramente uno dei lavori più importanti da svolgere, in questo caso con una duplice funzione: sia una funzione di sentinella nel cogliere i segnali sia, soprattutto, nel fornire una prospettiva alternativa al matrimonio, una prospettiva futura concreta e valida.
La violenza si può poi, purtroppo, perpetrare anche in altri ambienti.
Pensiamo al mondo della scuola o al mondo dello sport, che sono luoghi che come la casa, costituiscono dei tasselli fondamentali nella crescita dei minori e che dovrebbero garantire un ambiente sicuro e protetto al 100%.
Qui la violenza può essere tra pari oppure da parte di adulti nei confronti dei minori. Ovviamente, nel mondo scolastico e sportivo vengono attuati e portati avanti dei Piani di prevenzione e di segnalazione per contrastare questi fenomeni.
Abbiamo il bullismo e il cyberbullismo, che vengono posti in essere per lo più tra pari; anche questi rappresentano una forma di violenza con delle gravi conseguenze. Inoltre, è in crescita il fenomeno della violenza di genere in rete. Domani ci sarà un convegno dedicato proprio a questa tipologia di violenza, che può consistere in insulti, in ricatti, nello stalking, nel cyberbullismo, nel revenge porn. I dati ci dicono che le donne corrono il rischio di essere molestate 27 volte di più degli uomini e, come evidenziato anche dall'ONU, la violenza di genere offline e online si alimentano a vicenda. Come sappiamo, quello che avviene in rete spesso è ancora più grave per la velocità con cui si diffonde, sfuggendo al controllo, da un lato per la difficoltà di eliminare certi contenuti e dall'altro, perché chi pone in essere questi comportamenti pensa erroneamente di essere, in qualche modo, protetto dallo schermo.
Come Garante ho partecipato a molti momenti di prevenzione di questi fenomeni, di sensibilizzazione e di formazione ad un progetto specifico finanziato dalla Commissione Europea - il Progetto Prisma - che ha l'obiettivo, in rete, di rafforzare le capacità di prevenire gli abusi soprattutto nei confronti della fascia 0-6.
Il primo compito che sicuramente dobbiamo portare avanti è proprio quello della prevenzione e della modifica culturale. Sono molto contenta, infatti che prenderanno la parola anche due ragazzi, perché le nuove generazioni sono assolutamente la soluzione al problema. L'attività di prevenzione è centrale e deve partire proprio da loro, dalle nuove generazioni, grazie al mondo della scuola e grazie alle associazioni; dobbiamo continuare a sensibilizzare, ovviamente con delle attività che siano via via tarate in base all'età, perché tutte queste forme di violenza, quelle contro le donne su cui ci soffermiamo oggi, ma in generale, ogni forma di abuso di maltrattamento passa attraverso la violazione dei diritti dell'altro e si previene attraverso un messaggio di rispetto degli altri e di empatia nei confronti di tutti.
Questo ci deve coinvolgere come istituzioni, come la mattinata di oggi ben rappresenta, ma prima di tutto come persone.



GAVAZZA GIANLUCA



PRESIDENTE

Grazie.


Argomento: Varie

Saluto del Presidente del Consiglio ai docenti e agli allievi della Scuola Media Istituto Comprensivo "Rita Levi Montalcini" di Rosta


PRESIDENTE

Saluto i docenti e gli studenti della Scuola Media Istituto Comprensivo "Rita Levi Montalcini" di Rosta in visita a Palazzo Lascaris, ai quali auguro buona permanenza.


Argomento: Condizione femminile

Assemblea aperta ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno inerente a "Prevenzione e contrasto per l'eliminazione della violenza contro le donne: riflessioni, esperienze e progetti in occasione della Giornata internazionale del 25 novembre" (seguito)


PRESIDENTE

La parola all'onorevole Mellano.



MELLANO Bruno, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte

Grazie, Presidente.
È un onore essere qui oggi e credo che sia una significativa ricorrenza e una significativa tradizione che sta assumendo il Consiglio regionale del Piemonte nel ritornare in modo ufficiale e cadenzato sul tema della violenza di genere, la violenza sulle donne.
Il contributo che posso portare io, come Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà, è un contributo molto particolare, perch parte dal mio angolo visuale, dal mio osservatorio privilegiato, che è quello dell'esecuzione penale e della presenza nelle 13 carceri del Piemonte, su 4.100 detenuti, di un numero significativo abbastanza costante negli anni di persone che sono ristrette, sulla base di condanne, in attesa di condanna o sotto giudizio, per reati afferenti a questo tipo di crimini di reati.
Sappiamo, perché lo dicono la ricerca scientifica e le analisi sociologiche e criminologiche, che, come società civile e come istituzioni, anche dalle notizie di cronaca e dalle notizie relative alle condanne e agli arresti individuando un certo numero di persone, abbiamo l'opportunità di valutare una platea su cui io, per compito istituzionale e per convenzione personale, torno a richiamare l'attenzione di tutte le istituzioni.
Erano 268 le persone in carcere nel 2021 per reati legati alla violenza di genere, alla violenza sulle donne o in contesto di sfera sessuale; a queste si affiancano, però, altre 100 persone che sono in carcere per reati considerati sentinella, per reati collegati o collegabili alla violenza di genere come, per esempio, lo stalking.
Lo scorso anno mi è scappato proprio un grido di allarme; quest'anno voglio essere più tranquillo e moderato, ma con uguale passione e con uguale convinzione. Credo che davvero occorra, come istituzioni e come territorio tra le tante cose che si possono e che si devono fare, partire da questo zoccolo, da questa parte di popolazione che è già incappata nella giustizia, in un fermo, in un arresto e magari anche in una condanna, ma rispetto al quale l'esecuzione penale in carcere, per come la viviamo in questa fase e in questa nostra stagione, non sempre è utile e non sempre è produttiva.
Utile lo è certamente per togliere dal contesto sociale, togliere dal contesto familiare, togliere dal nucleo dove il reato si è costruito e si è dipanato, ma di fronte a un reato sentinella, di fronte a un reato spia quindi, di fronte a una condanna medio-breve (necessariamente, medio-breve perché non si tratta di reati definitivi, di assassini, di stupri o di grandissimi reati alla persona), su questo target di persone occorre intervenire in modo scientifico, in modo professionale, in modo assolutamente continuativo e strutturato.
Nelle 13 carceri del Piemonte ci sono 3 Sezioni dedicate: Torino, Biella e Vercelli. A Torino, essenzialmente grazie all'Università di Torino e al Dipartimento di Psicologia, che ha costruito negli anni una rete d'interventi finanziata in gran parte dal privato sociale, delle fondazioni bancarie, si è costruita una sedimentazione di progetti e d'interventi che hanno permesso di conoscere, in primo luogo, le persone lì detenute e trattenute, di conoscere e approfondire scientificamente il contesto e la platea delle persone e costruire con loro, con l'amministrazione penitenziaria, con la rete sociale e istituzionale del territorio, percorsi di uscita e di rientro nella società, laddove appunto il reato è un reato che prevede una pena definita e una pena, in molti casi, ripeto, medio breve.
Ci sono, invece, realtà diversificate e diverse (Vercelli, Biella), dove i progetti pure ci sono stati negli anni, ma sono stati molto frammentati e legati alla buona disponibilità - ripeto - di una fondazione bancaria o anche, banalmente, alla disponibilità degli operatori penitenziari, i famosi educatori, di riuscire a costruire con il territorio i progetti.
Rispetto all'anno scorso, possiamo notare alcuni dati positivi e li voglio qui citare e richiamare, perché credo sia importante non dare un quadro soltanto nero, tragico e preoccupante. Nell'ultimo anno, abbiamo avuto un intervento significativo di fondi da parte del Ministero di Giustizia, che ha permesso ai Provveditorati regionali dell'Amministrazione penitenziaria di dotarsi di alcune figure di psicologi dedicate a questo target di persone. Anche qui, però, siamo in una fase in cui in questo momento sono attivi, ma sono progetti temporanei, sono progetti che - vediamola in positivo - buttano dei semi, ma rischiano poi di non essere coltivati nell'albero di interventi e di iniziative che devono nascere da quei semi ed essere alimentati in futuro.
La figura degli psicologi è una figura assolutamente decisiva in un momento così delicato e complicato come quello che vivono le carceri nel nostro Paese e anche nella nostra Regione, ma su questo target di detenuti è ancora più emergente l'idea che il detenuto, in particolare per queste condanne, con questi crimini e con queste imputazioni, non abbia neanche la possibilità, in qualche modo, di confrontarsi anche a muso duro con le proprie responsabilità, con i propri atteggiamenti, magari, con la propria base culturale, con il proprio substrato culturale che deve essere inciso e modificato da un'esperienza, sicuramente traumatica come quella del carcere, ma che rischia di costruire, in un sistema complessivamente malato, un vittimismo di ritorno.
Pertanto, il reo diventa anche vittima di un sistema che non riesce a garantire percorsi, non riesce a garantire consapevolezza del reato, non riesce a garantire una crescita individuale e anche una modifica sostanziale dei rapporti, per impedire la recidiva, fenomeno gravissimo che coglie le nostre istituzioni penitenziarie italiane. È un dato che tutti gli anni, in tutte le relazioni, si richiama all'attenzione delle istituzioni, ma su questo particolare e specifico terreno è particolarmente odioso e particolarmente preoccupante.
Lo sappiamo tutti. Le notizie di cronaca si incaricano sempre di riportarci alla dura realtà: sovente sentiamo la notizia di un crimine efferato, di una violenza efferata e poi sentiamo il cronista dire, giustamente: "Quella persona aveva già avuto un passaggio in carcere; quella persona aveva già avuto una denuncia; quella persona era già stata, in qualche modo, presa in carico". È questa presa in carico che dobbiamo alimentare e strutturare.
Il Presidente Cirio ha richiamato il Piano triennale di interventi e dei centri di antiviolenza; segnalo che per tradizione, e per scelta opportuna su molti aspetti, i centri antiviolenza piemontesi, ricchezza sociale e istituzionale del territorio, non si occupano degli autori di reato. Sugli autori di reato la Regione - e ne do atto - ha aperto un bando specifico chiuso recentemente, proprio per mettere in capo a istituzioni associazioni e strutture del privato sociale la possibilità di progettazione specifica, partendo anche da una motivazione professionale e culturale di operatori motivati e sensibili.
Questa è di certo la vera sfida. Non che non sia importante e prioritaria la sfida sulle vittime, sul contesto o sulla modifica culturale di questo fenomeno, ma è chiaro che le istituzioni e le reti del territorio devono sfidarsi sull'attivazione rispetto ai sospetti e ai recidivi di questi reati, rispetto agli autori di reati sentinella, altrimenti il problema di tutta l'analisi scientifica e sociologica, che ci dice che quelli sono reati sentinella, reati spia, fenomeni da controllare, verificare monitorare e su cui intervenire, è di avere gli strumenti per intervenire.
Rispetto all'anno scorso, abbiamo un numero nuovo e significativo di psicologi dell'amministrazione penitenziaria dentro le tredici carceri del Piemonte, che buttano i semi su progetti temporanei, ma poi occorrerà che questi semi crescano, fioriscono e diano i loro frutti. Dall'altro punto di vista, occorre porre attenzione proprio sugli autori di reato, sui maltrattanti, sui soggetti che sono la spia d'allarme di un fenomeno sociale che certamente tutti condanniamo, ma che nel lavoro di rete delle istituzioni può trovare delle risposte. Difficili, complicate, sono una scommessa rispetto alle persone, ma con i segni positivi dell'ultimo anno e con una prospettiva assolutamente responsabilizzante, è necessario fare ulteriori passi in avanti.
Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo il Garante, onorevole Bruno Mellano, per l'intervento.


Argomento: Varie

Saluto del Presidente del Consiglio ai docenti e agli allievi della Scuola Media Istituto Comprensivo "Rita Levi Montalcini" di Rosta


PRESIDENTE

Saluto il secondo gruppo di docenti e studenti della scuola media "Rita Levi Montalcini" di Rosta in visita a Palazzo Lascaris, ai quali auguro buona permanenza.


Argomento: Condizione femminile

Assemblea aperta ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno inerente a "Prevenzione e contrasto per l'eliminazione della violenza contro le donne: riflessioni, esperienze e progetti in occasione della Giornata internazionale del 25 novembre" (seguito)


PRESIDENTE

Do la parola alla Presidente della Consulta femminile regionale, dottoressa Ornella Toselli.



TOSELLI Ornella, Presidente della Consulta femminile regionale

Buongiorno a tutti e a tutte.
Grazie, Presidente, per consentire anche quest'anno alla Consulta femminile regionale del Piemonte di intervenire in un Consiglio aperto su un argomento che è nella nostra mission ed è così importante come la violenza di genere.
Non mi focalizzerò sulla storia di come siamo arrivati all'attuazione della Convenzione di Istanbul, prima attraverso una decretazione d'urgenza sul femminicidio e poi con il Codice Rosso, che forse necessità di qualche limatura, ma dirò soltanto quello che può essere cambiato rispetto al Consiglio aperto della volta scorsa.
Cos'è successo dall'ultimo Consiglio? Quali sono gli aggiornamenti? Dal dossier che fa il punto sulle attività complessive del Ministero dell'Interno, gli omicidi identificati come femminicidi, cioè quelli in cui è riconoscibile l'uccisione della donna in quanto donna, ossia motivata dal genere della vittima, nel 2022 sono stati 125. Sentirete, a seconda dei report che andremo a leggere, numeri anche un po' differenti. Questo numero è un po' fluttuante, perché non basta essere donne per essere classificate come vittime di femminicidio, ma occorre anche che la motivazione sia proprio nel genere.
Di questi, 108 sono stati compiuti in ambito familiare-affettivo; per il resto, secondo il Viminale, nell'ultimo anno sono diminuite le denunce di stalking rispetto al periodo precedentemente esaminato. Sono invece aumentati gli ammonimenti del Questore, che ne dà un numero globale: 3100 contro 2565, di cui la metà è per violenza domestica. Quest'ultimo dato testimonia un sempre maggior ricorso agli strumenti messi a disposizione dal Codice Rosso. Hanno fornito molti strumenti, sia introducendo nuove figure di reato sia dando strumenti, quale l'ammonizione e altri tipi di strumenti preventivi.
Per quanto riguarda il Piemonte, abbiamo ritrovato, nel citato dossier del Ministero dell'Interno, dati che indicano che i femminicidi nel nostro territorio sono in diminuzione, pur rimanendo in numero preoccupante. In questi giorni, parlando di dati, siamo tutti in attesa di un evento importante che si svolgerà il 25 novembre presso l'Aula Magna dell'Istat dal titolo "Proteggere le donne. Dati e analisi per contrastare la violenza di genere", che riporterà gli ultimi dati rilevati sulle donne che hanno avviato un percorso presso i centri antiviolenza, attraverso le analisi tratte dalle rilevazioni dei centri antiviolenza e delle case rifugio.
C'è poi un'analisi sugli accessi al numero di pubblica utilità 1522, che è particolarmente interessante. Abbiamo avuto un momento, quello del lockdown, in cui le donne rimanevano in casa con il maltrattante, quindi abbiamo anche proprio questo grafico del numero 1522.
In convegni come quello di oggi e in altre occasioni di incontro, siamo tutti testimoni del grande sforzo che le forze di polizia fanno in termini di formazione ed impegno sul tema della violenza domestica e di genere.
In questi giorni, noi siamo stati anche sul territorio, abbiamo parlato con molte forze di polizia - a Ivrea e in altri posti - e abbiamo trovato una forte sensibilità. Vi è la volontà di formarsi e vi è anche una grande empatia rispetto alle persone che si recano a denunciare; tuttavia, non è ancora facile far denunciare.
Come Consulta, tanto tempo fa - cito solo questo - abbiamo avviato attraverso le nostre associazioni, in particolare attraverso un paio di nostre associazioni, un esperimento che poi è andato benissimo e che erano le stanze dedicate alle vittime di violenza che andavano a denunciare.
Stanze che erano partite inizialmente con il sostegno della Consulta e poi si sono diffuse in tutta Italia attraverso le associazioni - ora sono più di 120 - e sono state allestite nelle caserme dei Carabinieri, presso le forze di polizia e presso i nuclei di prossimità dei Vigili Urbani, come nel territorio di Torino, laddove venisse richiesto. Serve perché - lo avete visto nel video - quelle che hanno subìto violenza e maltrattamenti sono persone molto delicate; per questo, il clima in cui loro vanno a sporgere una denuncia per noi è particolarmente importante. È importante se c'è un bambino che accompagna la mamma, che abbia un suo angolo e che queste persone sappiano di essere accolte nel modo più empatico possibile.
Serve anche la videoregistrazione che avviene in queste stanze, perché non solo le parole, ma molto spesso anche il corpo comunica: gli atti, i movimenti e la comunicazione non verbale. Noi dunque procediamo con le nostre associazioni, soprattutto sul territorio piemontese, con iniziative anche pratiche di questo genere.
Sul nostro territorio abbiamo anche la fortuna, per esempio a Torino, di avere un pool che si occupa di fasce deboli. Noi abbiamo fatto dei convegni sulla legge denominata "Codice Rosso" e conosciamo quel pool, che ha imboccato con fermezza la strada delle misure di prevenzione e sorveglianza speciale e obbligo di dimora in un Comune, ottenendone l'applicazione nei casi la cui gravità lo richiedesse. Sono misure che erano riservate a veri e propri criminali e che, comunque, nel nostro caso, sono state condotte sul territorio di Torino, sempre supportate da ampia documentazione per evitare che il Tribunale del riesame potesse invalidarle.
La percezione quindi è che qualcosa, nella prospettiva della tutela delle donne, si stia muovendo. Eppure, a fronte di questo impegno, di cui noi siamo testimoni, sia delle forze di polizia, dei GIP e di tutti gli addetti ai lavori, nel 2022, i casi in cui l'Italia non ha protetto la vittima di violenza, generando la condanna della Corte di Strasburgo, cioè della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, sono ancora aumentati. È pur vero che si riferiscono a casi degli anni precedenti, perché quando si arriva alla sentenza della Corte Europea questa fa riferimento agli anni precedenti, in cui quei casi si sono verificati. Per effetto di queste condanne, in cui è stata accertata l'assenza di valutazione del rischio, il nostro Paese è sotto sorveglianza nell'ambito della procedura di esecuzione davanti al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. Sono tutti casi in cui vi erano state reiterate denunce da parte della donna, che poi è stata vittima e che quindi, a giudizio della Corte, non aveva avuto adeguata protezione.
Da ciò non si può che ricavare che qualcosa continua a non funzionare. E allora, che cosa fare? Noi sappiamo che vi è un pacchetto di misure che potrebbero anche tornare all'esame del nuovo esecutivo. Queste misure giacenti sono in parte modificative della legge "Codice Rosso", che è stata una buona legge, ma nell'applicazione tutte le leggi possono essere migliorate. Guardiamo il caso della Spagna, dove abbiamo salutato con grande piacere l'attivazione di una legge che pareva molto decisa, ma nella fase dell'applicazione si sta verificando che vengono riviste tutte le sentenze al ribasso: qualcosa nella legge deve essere modificato. Le leggi non sono così automatiche nella loro applicazione: dipende anche dalla sensibilità dei magistrati; dipende anche come si innescano su tutto un sistema giudiziario. "Codice Rosso" è stata una buona legge, ma probabilmente, a questo punto, bisogna fare anche delle riflessioni ulteriori.
Queste misure sarebbero sì modificative della legge "Codice Rosso" e amplierebbero la possibilità di arresto non solo in flagranza, ma anche in caso di violazione degli obblighi del divieto di avvicinamento; inoltre amplierebbero la procedibilità d'ufficio nei casi di violenza recidiva e di precedenti ammonimenti per lo stesso tipo di reati, rendendo anche strutturale quel reddito di libertà che in questo anno 2022 non ha avuto vita facile. Mi riferisco a quei 400 euro per dodici mesi che le vittime di violenza dovrebbero, attraverso i servizi comunali di assistenza, chiedere all'INPS, fondo che non è stato finanziato completamente, che non aveva inizialmente le istruzioni per essere applicato e che era dotato di poche risorse. Questo fondo, cosiddetto di libertà, dovrebbe, a nostro avviso diventare strutturale e dovrebbe anche essere facilitato nella possibilità di erogarlo.
Teniamo presente che le donne maltrattate o vittime di violenza, di solito hanno un ISEE cumulativo con il marito, con il maltrattante. Questi sono aspetti burocratici, ma incidono molto sulla bontà degli strumenti che andiamo ad utilizzare. Certo, non possiamo pensare, riferendomi a questo pacchetto, che una stretta di vite sulle misure e pene sia da sola risolutiva e possa essere disgiunta da ciò che potrebbe fare davvero la differenza (su questo siamo tutti d'accordo). Mi riferisco a quel cambio culturale necessario che naturalmente richiede tempi lunghi e forse anche un cammino incerto.
Passando ad un altro argomento, l'anno scorso avevamo lamentato la mancanza di raccolta di dati sulla violenza domestica e sul femminicidio. Nel 2022 c'è una notizia sulla vicenda della raccolta dei dati. Ogni anno avremmo dovuto fare questo: il Ministero di Giustizia avrebbe dovuto fornire all'Europa, secondo la Convenzione di Istanbul, dati puntuali sulle vittime di violenza domestica e femminicidi, ma così non è avvenuto. Questa raccolta ora dovrebbe diventare realtà, perché nel 2022 è stata emanata una legge contenente "Disposizioni in materia di statistiche in temi di violenza di genere" che, all'articolo, 1 indica la finalità di garantire un flusso informativo adeguato per cadenza e contenuti sulla violenza di genere contro le donne, al fine di progettare adeguate politiche di prevenzione e contrasto ed assicurare un effettivo monitoraggio del fenomeno.
Non si tratta solo di dati statistici, ma di dati fondamentali che non solo siamo obbligati a raccogliere a mente della Convenzione di Istanbul, come ho detto, ma che più recentemente ci sono stati richiesti anche dal GREVIO (Gruppo internazionale di Esperte sulla Violenza di donne), che è un organismo indipendente del Consiglio d'Europa che monitora l'attuazione della Convenzione di Istanbul nei Paesi che l'hanno sottoscritta. Sono informazioni fondamentali, che vanno ad individuare alcune delle principali criticità: quante sono le vittime di femminicidio; quante avevano denunciato ripetutamente il loro aggressore e quante non sono state adeguatamente protette; quante volte i fatti da loro raccontati erano stati derubricati a conflitti familiari; che tipo di legame esisteva con l'omicida; quali misure erano state messe in campo per proteggere le donne prima che diventassero vittime.
Tra i reati che dovrebbero essere rilevati ci sono anche i cosiddetti "reati spia", di cui ha parlato prima il Garante dei detenuti. L'insieme di tutte queste informazioni consentirà di modificare gli strumenti e la presa in carico per intervenire in maniera efficace e, soprattutto, in tempo utile.



PRESIDENTE

Mi scusi, Presidente, ma per questioni di tempo e di scaletta dovrebbe avviarsi alla conclusione.



TOSELLI Ornella, Presidente della Consulta femminile regionale

Ho quasi concluso. Volevo solo fare un ultimo appunto sui dati che, a nostro avviso, sono necessari: i dati sugli orfani di femminicidio non li abbiamo ancora, è una realtà che resta sempre nell'ombra. L'anno scorso avevamo rilevato la carenza di un registro che dicesse chi e quanti erano e magari raccogliesse anche altre informazioni, come l'età; il coinvolgimento in presenza dell'evento drammatico (quindi la violenza assistita); la situazione economica del nucleo familiare rimasto: tutte informazioni utili ad approntare strumenti di sostegno.
Ci sarebbe molto da dire sugli stupri, mi limiterò soltanto a questo: non chiudiamo il percorso che avevamo attuato per avere delle città sicure ed illuminate. Capisco che siamo in un momento di risparmio energetico, ma Roma sta vivendo un'emergenza stupri; le nostre città devono continuare ad essere vivibili, con spazi urbani accessibili, illuminati e sicuri per le donne.
Vorrei chiudere dedicando una frase ai ragazzi che sono in aula. È una frase di Benedetto Croce (proprio in questi giorni corre il settantesimo della sua morte): "La violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla". E noi aggiungiamo che la violenza può distruggere le donne, le famiglie, le relazioni l'affettività ai bambini e ai ragazzi, in una parola il futuro.
Grazie e mi scuso per aver sforato (non ho guardato il tempo): non sono abituata a parlare in aula.
Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Grazie.


Argomento: Varie

Saluto del Presidente del Consiglio ai docenti e agli allievi dell'Istituto Comprensivo "Rita levi Montalcini" di Rosta, accompagnati dal Sindaco Domenico Morabito


PRESIDENTE

Saluto i docenti e gli studenti del terzo gruppo, le classi 3 M e 3 L della scuola media Istituto Comprensivo "Rita Levi Montalcini" di Rosta accompagnati dal Sindaco Domenico Morabito, ai quali auguro buona permanenza.


Argomento: Condizione femminile

Assemblea aperta ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno inerente a "Prevenzione e contrasto per l'eliminazione della violenza contro le donne: riflessioni, esperienze e progetti in occasione della Giornata internazionale del 25 novembre" (seguito)


PRESIDENTE

Prendono ora la parola i rappresentanti del Progetto Ambasciatori del Consiglio regionale, George Macovei e Elena Rita Sette, alunni della classe 3 N dell'Istituto di Istruzione Superiore Erasmo da Rotterdam di Nichelino.
Colgo l'occasione per rivolgere un saluto ai compagni di classe di George ed Elena, che stanno seguendo i lavori della mattinata presso la Sala delle bandiere, accompagnati dall'insegnante, la professoressa Tiziana Scali.
Prego, ragazzi.



MACOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Salve! Direi che ormai è evidente il motivo per cui siamo qui, ovvero i giochi di potere che alcuni uomini mettono in atto ogni giorno su tantissime donne nel mondo. Abbiamo sentito prima le stime: una donna uccisa ogni circa tre giorni! È una cosa vergognosa, di cui personalmente mi scuso per tutto il genere maschile.
Ebbene, noi non vogliamo più che questo sia un discorso trattato con leggerezza. Non vogliamo più che queste cose vengano guardate con le fette di prosciutto sugli occhi, perché alla fine parliamo di questo. Noi siamo giovani e vogliamo un futuro che ci possa mettere al sicuro da ogni tipo di cosa.
Cedo la parola alla mia compagna Elena.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Abbiamo preparato alcuni episodi che succedono quotidianamente nella nostra vita, che coinvolgono sia i ragazzi sia le ragazze; episodi che però sono vissuti dai ragazzi in maniera differente rispetto alle ragazze.
Ad esempio, uscire la sera.



MACOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io, per esempio, posso uscire tranquillo la sera, non ho nulla di cui preoccuparmi.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io, invece, ho paura di uscire da sola la sera: potrebbe succedermi la stessa cosa che è accaduta a quella povera ragazza al telegiornale.



MACOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io posso tornare a casa all'ora che preferisco, tanto i miei genitori non diranno mai nulla.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io non posso. Io devo farmi accompagnare da qualcuno: ho il timore che qualcuno mi possa seguire; ho il timore che qualcuno mi possa far del male.
I miei non mi lasciano stare fuori fino a tardi, perché si fidano di me, ma degli altri...



MACOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io posso vestirmi veramente come mi pare, esprimendo la mia personalità liberamente.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io non posso vestirmi come voglio, altrimenti vengo considerata come una poco di buono, come una ragazza facile.
A scuola vengo considerata una distrazione, se indosso dei pantaloncini anche se fa caldo.



MACOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Nell'ambito sportivo io posso praticare qualsiasi attività mi piaccia: tanto lo sport fa bene, non è vero?



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Se pratico uno sport maschile è perché cerco le attenzioni dei ragazzi. Io devo fare sport solo eleganti e femminili.



MACOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Per il lavoro, io ho un'ampia disponibilità di impieghi che mi aspettano: basta scegliere.
Poi posso raggiungere alti livelli, facilmente.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Trovare lavoro è un rompicapo: se non sono attraente, se ho figli, se non ho figli...
Io devo sforzarmi molto di più, se voglio raggiungere determinati obiettivi; ma anche se dovessi raggiungerli, verrò sempre considerata inferiore ad un uomo.



MACOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Posso amare chi voglio. Mi è permesso divertirmi, avere tante relazioni. Le persone non si curano di questo aspetto.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io, se decido di avere più relazioni o se decido di divertirmi, vengo considerata come una ragazza facile, come una poco di buono.



MACOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Nella difesa io sono tranquillo: posso difendermi molto facilmente e raramente sono costretto a farlo davvero.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io non sono tranquilla. Posso cercare di difendermi, ma non so mai chi posso trovarmi davanti e non so se riuscirò a contrastarlo.
Ma vorrei non dover far nessun corso di autodifesa.



MACOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io posso viaggiare ovunque, anche da solo.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Posso viaggiare anch'io, ma in alcuni Paesi ho paura e forse è meglio essere accompagnata.



MACOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Se dico cosa penso sono considerato un uomo giusto, che si fa valere.
Posso esprimermi come preferisco, anche se uso un vocabolario volgare o scurrile: nessuno mi dirà mai nulla, anzi.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io, se sono contraria ad un'opinione, mi viene detto che mi lamento sempre.
Io mi devo esprimere con moderazione per non risultare eccessiva.



MAVOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io vengo accettato per quello che sono, per come sono: non importa il mio aspetto.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io, invece, devo rispettare i canoni della società oppure non sarò mai apprezzata da nessuno.



MAVOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io posso promuovere anche un prodotto, vestito come preferisco, senza che il mio aspetto fisico venga messo in conto. Bastano le mie idee: sono sempre buone!



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io devo essere impeccabile se voglio pubblicizzare qualcosa. In tutte le pubblicità ci sono ragazze magre, ragazze perfette. Devo essere come loro.



MAVOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale E poi posso postare quello che mi pare.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Io devo fare attenzione a quello che posto, altrimenti potrei ricevere messaggi e commenti inappropriati.



MAVOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Mi hanno sempre insegnato a scuola, durante l'infanzia, di rispettare le bambine. Da piccolo, però, giocavo solo con i maschi.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Potevo giocare con tutti, ma non potevo giocare ai giochi da maschi, perch poco raffinato per una bambina.



MAVOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Se omosessuale, non tutti mi accettano o comunque sono spesso sessualizzato anch'io, da questo punto di vista.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Se amo una donna come me, spesso vengo sessualizzata dagli uomini o discriminata.



MAVOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Quindi, che cosa possono fare a questo riguardo le istituzioni della Regione per le ragazze, le donne e le bambine che si possono trovare in difficoltà? Innanzitutto, dovrebbero predisporre delle protezioni in tutti gli ambiti quotidiani, come dei dispositivi da utilizzare in caso di aiuto dati in dotazione gratuitamente o installati lungo le strade. Oppure far presidiare le strade dalle forze dell'ordine, quindi poliziotti carabinieri e vigili, anche nei paesini meno abitati, proprio per evitare che avvengano dei casi più importanti di abuso o che comunque si espandano in quelle zone.
Nei Comuni più piccoli sarebbe, inoltre, utile una navetta che raggiunga più luoghi possibili, affinché chiunque possa rincasare in sicurezza, a qualsiasi ora della giornata.



SETTE Elena Rita, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Prestare più attenzione ai casi dove una donna sporge denuncia verso un uomo che la importuna ripetutamente, senza minimizzare le sue paure. Creare degli incontri per le ragazze e le donne vittime di violenza, in modo tale che possano confrontarsi e sfogarsi con altre donne che hanno subìto situazioni simili, ma in modo anonimo.
Tenere delle lezioni in classe, a partire dalla scuola materna, per educare fin da subito i bambini sul tema della violenza sulla donna ed evitare che crescano con delle idee sbagliate. Dare alle donne vittime di violenza domestica un aiuto economico e psicologico per incoraggiarle a cambiare vita.



MAVOVEI George, Rappresentante Progetto Ambasciatori del Consiglio

regionale Vorrei dire un'ultima parola. Qui stiamo sempre parlando di manipolazione stiamo parlando di violenza. Molto spesso la manipolazione finisce in atti di violenza, verbale e fisica. Quindi, tutto quello che stiamo facendo in questo momento lo stiamo facendo perché crediamo che qualcosa può essere cambiato. Grazie per l'attenzione.



PRESIDENTE

Grazie, ragazzi. Il futuro è nelle vostre mani e anche nelle nostre.
Ha ora la parola il Vicepresidente dell'Associazione Iran Libero e Democratico, dottor Josef Lesani.



LESANI Josef, Vicepresidente Associazione Iran Libero e Democratico

Buongiorno a tutti, signor Presidente, Consigliere e Consiglieri ed ospiti.
Vi ringrazio moltissimo per la preziosa opportunità che mi permette, in questa giornata importantissima, di essere per un attimo la voce repressa del popolo iraniano, soprattutto delle donne.
Come avete saputo, dopo la barbara uccisione di Mahsa Amini, giovane ragazza innocente, da parte della polizia cosiddetta morale - che è un organo repressivo che regolarmente sottopone le donne e le ragazze ad arresti e detenzioni arbitrarie, violenza, brutali torture e altri maltrattamenti - subito si è scatenata una grande rivolta popolare nazionale, in tutto l'Iran, in 243 grandi città, 31 regioni, purtroppo con un bilancio di oltre 625 persone uccise. I nomi di 503 di queste persone sono stati pubblicati dalla resistenza iraniana e più di 30 mila persone sono state arrestate, fra le quali molti giornalisti, attivisti per i diritti umani ed artisti. 6 manifestanti hanno avuto la condanna a morte dalla magistratura della repubblica islamica. Tra i manifestanti uccisi figurano anche minorenni, come confermato da Javaid Rehman, Relatore speciale dell'ONU per i diritti umani in Iran e, secondo Amnesty International, fino al 13 ottobre sono 23 i minorenni uccisi, di età compresa tra 11 e 17 anni (20 ragazzi e 3 ragazze).
Oggi il numero di minorenni uccisi dalla forza repressiva del regime è arrivato a 58 persone tra gli 8 e i 17 anni, come riportato dal quotidiano The Guardian domenica 20 novembre.
Uno dei pilastri fondamentali, più cruciali e più feroci della teocrazia dittatoriale in Iran è la discriminazione contro le donne, perché è misogina, perché è fanatica, perché è oscurantista. È una ideologia che non appartiene al nostro millennio, a 1400 anni fa, come ha detto il leader supremo di questo regime "O con me o tutti al cimitero" che ha operato in tutti questi anni. Ecco perché le donne iraniane sono diventate la forza motrice di questa rivolta popolare nazionale per la libertà e la democrazia in Iran.
Più di 30 organi repressivi ogni giorno operano sul territorio, dappertutto (scuola, università, mondo del lavoro, mondo dell'arte e della cultura) per spegnere semplicemente la voce di protesta. Con questa brutale repressione ed oppressione, da 43 anni sono stati calpestati e negati i diritti più fondamentali dei cittadini, sistematicamente, ogni giorno, purtroppo, sotto l'indifferenza della comunità internazionale e sotto l'assoluto silenzio assordante dei mass media. E le donne sono sempre state le prime vittime.
Il regime è stato condannato 69 volte per la devastante violazione dei diritti umani dall'ONU: oggi è il primo Paese nel mondo per numero di esecuzioni: 120 mila fucilati e impiccati in 43 anni, durante l'estate del 1989; 30 mila sono i prigionieri politici impiccati e, tra di loro moltissime donne, donne incinte e giovani ragazzi, semplicemente per la loro diversità di idea e di pensiero.
La povertà è un'altra tragedia che colpisce l'intera popolazione soprattutto le donne. L'80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà; 30 milioni soffrono la fame, 12 milioni di persone vivono nelle baraccopoli, 7 milioni e 400 bambini quest'anno non hanno potuto iscriversi a scuola per problemi di povertà che colpiscono le mamme.
L'Iran è un Paese ricchissimo; i soldi vengono spesi per: la macchina repressiva; per progetti nucleari e missilistici; armamenti di distruzione di massa; il terrorismo, per mantenere sei eserciti formati dai fondamentalisti islamici in tutte le regioni mediorientali, che mette in difficoltà la loro sovranità, i vostri interessi geopolitici e geo economici.
Allora, gli iraniani hanno ragione di superare questo regime? Oggi, le piazze iraniane sono piene di giovani in rivolta e soprattutto le donne sono diventate le leader di questa rivolta; vogliono semplicemente superare questo regime e arrivare alla libertà e alla democrazia, come voi in questo mondo, come in altri Paesi, liberi e democratici.
Quello che sta succedendo in Iran non è una semplice protesta con slogan dei nostri giovani in piazza, ma è un rivoluzione democratica. Ecco perch lì perdono la vita: perché combattono per la libertà e la democrazia.
La continuità; una grande solidarietà fra ceti sociali con queste proteste gli studenti; gli scioperi: tutti vanno ad appoggiare queste intere proteste, perché vogliono superare questo regime; perché vogliono arrivare alla loro libertà e alla democrazia; perché lì raccoglie tutte le richieste di vari ceti sociali che, in questi anni, sono stati calpestati.
L'Agenzia di stampa Reuters, 25 novembre, scrive: "I giovani iraniani vogliono il cambio di regime, vogliono la libertà e la democrazia".
Il Movimento della resistenza iraniana, 35 anni fa, ha dichiarato: "Noi non lottiamo per il potere politico a qualsiasi prezzo, ma per la libertà e la democrazia a qualsiasi costo. Noi crediamo a una repubblica laica democratica, secolarizzata, basata sulla netta separazione tra lo Stato e la religione, per le elezioni libere, dove si decidono i veri rappresentanti del popolo iraniano".
Concludo con una lettera, che ho ricevuto da una giovane ragazza dell'Università di Teheran, con la quale sono in collegamento ogni giorno per gli aggiornamenti che arrivano dall'Iran. Ha scritto questa lettera per voi: "Tu che vai a raccontare la nostra storia agli italiani, dì loro che con voi siamo più forti, siamo più uniti. Non ci lasciate soli in questa situazione cruciale".
Noi crediamo che la comunità internazionale, il mondo civile, gli Stati democratici sono arrivati al momento di fare una scelta storica, di abbandonare la politica di accondiscendenza con il regime iraniano e di stare più vicino al popolo iraniano per la loro libertà e la democrazia riconoscendo la loro legittima difesa e far smettere questa ferocia e sanguinosa repressione.



PRESIDENTE

Grazie.
La parola alla Vicepresidente della Commissione Pari opportunità della Regione Piemonte, dottoressa Agus.



AGUS Caterina, Vicepresidente della Commissione Pari Opportunità Regione Piemonte

Buongiorno a tutti.
Ringrazio per la presenza qui oggi e porto i saluti della Presidente Mariarosa Porta, che purtroppo per impegni lavorativi non poteva essere qui. Sono sicura, però, che se fosse stata presente, sarebbe stata molto felice della presenza dei ragazzi delle scuole, perché come Commissione abbiamo investito e stiamo continuando a investire moltissimo sull'educazione e la sensibilizzazione, come vi dirò anche tra poco.
Personalmente, senza nulla togliere agli altri, sono molto felice che fosse presente anche una scuola di Rosta, perché vengo da Bussoleno, in Valle di Susa, quindi conosco molto bene l'identità territoriale di questi ragazzi.
Quando parliamo di violenza di genere la nostra mente corre subito al lugubre bollettino delle donne uccise o maltrattate, ma oggi non sono qui per leggervi bollettini. Nel preparare il discorso di oggi sono partita da alcune domande fondamentali.
Quali uomini e quali donne generano o subiscono la violenza oggi nel nostro contesto culturale? Quali sono i loro universi di riferimento? Da dove arrivano i loro modi di essere e che significato attribuiscono alla loro identità di genere e alle loro relazioni? Per tentare di dare una risposta a queste domande vi propongo un breve viaggio che parte dalla narrazione della violenza sulle donne.
Dobbiamo immaginare, da una parte, un grande occhio sociale, con uno sguardo sorvegliante e giudicante e, dall'altra, il corpo della donna o il corpo della vittima. Immaginiamo questo grande occhio indugiare su questo corpo; fa un'indagine, una perizia e racconta, un po' come fanno i media quando ci parlano di femminicidi, nei minimi particolari le violenze subite, ma più che per un intento di realtà, a volte, c'è anche una sorta di gusto voyeuristico, morboso, quasi ammiccante, una consolidata estetica della violenza, un po' come se si fosse combattuti tra uno sguardo di repulsione e uno sguardo di desiderio.
Nell'ultimo decennio, questo feticismo visivo ha trovato facile gratificazione, grazie ai nuovi media; la violenza fluisce negli schermi dei televisori, negli smartphone e nei computer, ci arriva in tasca al cellulare, conviviamo con la violenza e siamo tutti esposti a un flusso continuo di immagini e parole forti.
La società spesso si sente in diritto di rendere oggetto di dibattito pubblico taluni aspetti della gestione del corpo delle donne e, in questo modo, fa emergere una geografia del corpo femminile profondamente colonizzata, una geografia che sottolinea l'opposizione tra due corpi, uno ideale, costruito dalla società, e uno reale, quello vero delle donne. Ed è su questo retroterra culturale che si innesta la violenza.
Quando parliamo di corpo, pensiamo subito a un insieme di organi, tessuti fluidi, processi fisiologici, universalmente e biologicamente riconosciuti che caratterizzano il genere umano, ma il corpo non è solo un luogo naturale, dato e fisso, è anche un costrutto storico-culturale, perch viene costruito e ricostruito secondo l'ideologia dominante. Esempio lampante sono i canoni estetici diffusi dei media: penso alle immagini ipersessualizzate di donne e bambine nelle pubblicità, che vanno a rinforzare quell'immaginario collettivo stereotipato che riduce la donna a oggetto del desiderio sessuale.
Il corpo, quindi, come prodotto plasmato e modellato dalla cultura, in cui si gioca e si mettono in scena i rapporti e le tensioni sociali. Il corpo come arena, anche politica, per le battaglie identitarie; come soggetto anche politico, in cui si attiva e si negozia il potere. Il corpo delle donne sembra intessuto da una specifica narrazione, che cerca di sottolineare una costruzione sedimentata nel corso del tempo, che vede connessi corpo femminile, maternità e procreazione come aspetti di una definizione sociale della donna o di una definizione socialmente accettata.
L'attenzione alla maternità, dopo quasi due secoli di sovrascritture continue ed enfatiche sul ruolo materno, porta ancora oggi le donne a dover costantemente negoziare i loro diritti, sia quelli privati come la libertà di autodeterminarsi sia anche il controllo pubblico. Da qui, tutta una serie di difficoltà: l'accesso alla contraccezione, gli attacchi all'aborto, la retorica dell'orologio biologico, la messa in discussione della famiglia nucleare, per cercare di raccontare la maternità, ma anche la femminilità, in modo non stereotipato, quindi anche nei suoi aspetti distruttivi, perché esistono. Le non madri, invece - queste sconosciute alzano la voce per ribadire che per una donna la maternità è solo una delle scelte possibili.
Spesso, su questa vittima perfetta insistono forme poco visibili di violenza. Ne abbiamo parlato prima: quella psicologica, quella verbale o quella economico-patrimoniale, ma vorrei che ci concentrassimo per un momento su una forma di violenza invisibile e più subdola, quella che il sociologo francese Pierre Bourdieu chiamava "violenza simbolica", con un'intenzione semantica concettuale che, a mio avviso, conserva ancora oggi una sua pregnante attualità. Si utilizza per descrivere una relazione sociale in cui il dominatore esercita sul dominato forme di violenza non fisica, ma indiretta, attraverso l'imposizione di una determinata visione del mondo, dei ruoli sociali, delle categorie cognitive, delle strutture mentali e che, tuttavia, viene vissuta dall'individuo che le indossa come una disposizione naturale, contribuendo quindi a costituire il senso e il valore della sua identità sociale.
Come Commissione crediamo che la violenza di genere si esplichi oggi in un rapporto di dominazione fatto di catene, alcune volte simboliche, alcune volte reali, che indossiamo come un habitus. Senza pretendere di avere una ricetta pronta per risolvere il problema, pensiamo che la violenza contro le donne sia solo la punta dell'iceberg di un fenomeno molto più ampio di disuguaglianze sociali, disuguaglianze che si sono acuite in seguito alla pandemia da COVID-19, dove un ruolo importante hanno svolto le misure restrittive, l'isolamento sociale e i servizi socio-sanitari che non hanno retto l'urto, con conseguenze sociali ed economiche disastrose, con un aumento del carico di lavoro (penso alla femminilizzazione del lavoro di cura), ma anche dei rischi per la salute e dei problemi relativi alla conciliazione della vita professionale con quella privata.
Queste sono solo alcune delle sfide sulle quali siamo tutti chiamati a rispondere. La Commissione Pari Opportunità sta cercando di farlo attraverso progetti di sensibilizzazione nelle scuole (come vi anticipavo prima), che per noi sono luoghi di riflessione, meditazione, discernimento ed elaborazione del pensiero critico e divergente. Lo stiamo facendo in collaborazione con l'Ufficio scolastico regionale su tre temi in particolare: contrasto alla violenza di genere, medicina di genere e prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare. Lo facciamo anche con la valorizzazione delle imprese che hanno attivato strumenti di welfare aziendale in un'ottica innovativa, in particolare nelle dimensioni dello sviluppo sostenibile, del sociale e nel rispetto dell'ambiente, con percorsi verso la parità di genere e Tavoli di lavoro per promuovere la presenza delle donne nei Consigli di Amministrazione nelle posizioni apicali (con alcuni progetti, tra l'altro, che vedono una stretta collaborazione con la Consigliera di parità) e, tra gli altri, ricerche e analisi per proposte legislative, con le osservazioni, ad esempio, sui disegni legge "delete speech", legge elettorale e prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare.
In conclusione, in un momento storico in cui si usano spesso termini come ripartire, ripartenza o ricoveri, parole che rimbalzano ormai su ogni testata giornalistica (sono quasi diventati un mantra definitivo, come a dirci: o ripartiamo o non partiamo più), l'auspicio è che le istituzioni e tutte le parti sociali in causa trovino il modo insieme, non di ricucire questa volta, ma di decostruire l'immagine della cosiddetta "vittima perfetta". Isolare e combattere gli estremismi e costruire nuovi linguaggi di accoglienza e incontro.
Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo la dottoressa Caterina Agus.
Do la parola alla Dirigente della Divisione Polizia anticrimine della Questura di Torino, dottoressa Barbara De Toma.
DE TOMA Barbara, Dirigente Divisione Polizia anticrimine della Questura di Torino Buongiorno.
Anche quest'anno, la Polizia di Stato ha posto in essere una serie di iniziative volte ad accrescere l'efficacia degli strumenti di prevenzione e di contrasto alla violenza di genere. Grazie a specifiche linee guida emanate dalla Direzione centrale anticrimine, che a livello centrale ha funzioni di direzione di coordinamento degli Uffici periferici, è stata resa più fluida e immediata la circolarità delle informazioni tra gli Uffici Controllo del Territorio, da cui dipendono le volanti che poi sono quelli che fanno i primi interventi, e le Divisioni di Polizia anticrimine che intervengono sul violento o sullo stalker con gli strumenti di prevenzione. Ogni giorno, infatti, personale specializzato in questa materia delle Divisioni Polizia anticrimine approfondisce le risultanze di tutti gli interventi delle volanti sul territorio per liti in famiglia verificando la sussistenza di requisiti per l'applicazione dell'ammonimento del Questore, prima misura di prevenzione specifica per questo tipo di comportamenti, oppure per l'applicazione di altre misure di prevenzione quali ad esempio l'avviso orale o la sorveglianza speciale, nella convinzione che, tanto maggiore è la tutela delle vittime, quanto prima si possa interrompere questo ciclo della violenza, che altrimenti tende a ripetersi in modo via via più intenso.
L'attività di prevenzione, secondo le ultime direttive della Direzione Centrale Anticrimine, proseguirà anche dopo l'adozione dell'ammonimento nel senso che verrà mantenuto un rapporto, un contatto tra la Polizia che ha operato e la vittima. In questo modo, sarà anche possibile verificare l'efficacia nel tempo della misura di prevenzione adottata.
Nei primi dieci mesi del 2022, il Questore di Torino ha adottato 130 ammonimenti per violenza domestica e stalking, con una grande maggioranza di quelli per violenza domestica, (90, rispetto ai 40 di stalking). Questo anche perché gli ammonimenti per violenza domestica possono essere adottati senza che la vittima faccia istanza, ma d'ufficio, sulla base degli interventi delle pattuglie controllo del territorio. Questo significa ancora, che vi è la necessità di portare la vittima a denunciare. Molto spesso questi ammonimenti vengono adottati sulla base anche di un primo e solo fatto di violenza fisica, perché, sovente, sono presenti figli minori che assistono alla violenza e quindi è sufficiente un solo atto considerato grave proprio dalla presenza del minore.
Un altro elemento che ritengo fondamentale per un'efficace prevenzione è l'attenzione rivolta al maltrattante (qualcuno lo ha già sottolineato). Da questo punto di vista, la Questura di Torino e anche altre Questure della regione hanno e stanno stipulando dei protocolli d'intesa con associazioni private e centri che si occupano del recupero del maltrattante e del disagio maschile. Le Questure, in sede di notifica dell'ammonimento invitano l'ammonito a intraprendere un percorso di recupero, di gestione delle proprie emozioni e quindi essenzialmente della rabbia, per capire il disvalore dei fatti di violenza o di stalking commessi. Questo serve per abbattere la recidiva ed infatti i dati, anche a livello nazionale dimostrano che nei casi in cui le Questure hanno invitato (la legge non prevede l'obbligatorietà in questo caso) l'ammonito a seguire questi percorsi di recupero, vi è stato un abbattimento della recidiva negli ultimi anni che dal 15-18% è passata al 6% per quanto riguarda gli atti di violenza domestica e al 9% per quanto riguarda quelli di stalking.
A Torino, inoltre, nel corso del 2022, è stata posta particolare attenzione alla formazione del personale di Polizia; anche grazie al Comune di Torino abbiamo potuto fruire di una formazione di alto livello da parte di docenti dell'Università di Torino, del Dipartimento di Culture Politiche e Società e da parte del CIRSDe. Una formazione che era incentrata, non tanto sugli aspetti giuridici, quanto sugli aspetti sociologici e psicologici della violenza, così da poter calibrare anche meglio i singoli interventi.
Per concludere, credo che l'attenzione su questo tema della Polizia di Stato ma, non solo, di tutte le istituzioni della società civile, sia assolutamente importante e stia dando peraltro i propri frutti. Nella provincia di Torino, ad esempio, le denunce per i "reati spia" (maltrattamenti in famiglia, stalking e violenza sessuale) nei primi dieci mesi di quest'anno, rispetto al 2019 - eliminando i due anni di pandemia hanno registrato un aumento dell'8%. Questo un po' anche a riprova del fatto, comunque, che vi è sempre una maggiore emersione di questo fenomeno e una maggiore consapevolezza delle vittime che, sempre di meno, stanno zitte e non denunciano.
Grazie e buongiorno.



PRESIDENTE

Ringraziamo la dottoressa Barbara De Toma della Polizia di Stato.
La parola alla Consigliera di Parità regionale, dottoressa Anna Mantini.



MANTINI Anna, Consigliera di Parità regionale

Buongiorno a tutti e a tutte.
Mi complimento con il Consiglio regionale per l'iniziativa di oggi ed esprimo soddisfazione perché è importante che le istituzioni si occupino di questo problema e ci diano la parola.
La Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne rappresenta un'importante occasione per riflettere sulla drammaticità della violenza fisica e psicologica subìta dalle donne nel corso dei secoli. Oggi se ne parla, e dobbiamo continuare a parlarne, ma questa violenza c'è sempre stata. La violenza sulle donne è un fenomeno diffuso e variegato, sul quale non si può e non si deve gettare un'ombra. Dai report della Polizia di Stato, come abbiamo sentito, emerge che ogni 15 minuti si verificano reati di violenza contro il genere femminile. Nel mondo, una donna su tre è stata abusata una volta nella vita. In Italia, il 92,2 degli omicidi femminili è compiuto da una persona conosciuta e meno del 40 cerca aiuto.
Scorrere sui quotidiani i loro volti, al ritmo di una ogni tre giorni, è ogni volta uno strazio. Giovani e belle, traboccanti il futuro e belle speranze nei selfie presi dai loro profili social. Oppure più agé, stanche e sbiadite nella foto di un raro momento di serenità familiare. Quegli spiragli di normalità sono i più insidiosi, illudono e poi rigettano in una violenza ancora peggiore. Non solo, quindi, è necessario parlarne, ma farlo anche con competenza, tenendo conto di tutte le sfaccettature di questo triste fenomeno.
Ci sono le storie che hai orecchiato, i sussurri, i non si dice, i partner ricattatori la cui violenza è psicologica e mina le basi dell'autostima.
C'è la violenza economica, dove chi ha i soldi detiene il potere e chiude in una trappola senza scampo.
Ci sono culture che ancora pretendono il controllo sul corpo femminile con tecniche crudeli, come l'infibulazione; altre che quel corpo lo coprono o lo vendono bambino per nozze premature.
C'è la violenza sulle donne immigrate: schiave, costrette alla prostituzione per riguadagnarsi passaporto e libertà.
C'è la violenza digitale, che corre in rete e distrugge per la vergogna e quella nascosta negli uffici, dove l'abuso colpisce chi non può dire di no perché lo stipendio è vita.
Ci sono le molestie quotidiane, che si annidano un po' dovunque: strada scuola, autobus.
Gli uomini violenti non sono identificabili in base alla classe sociale, al reddito o al livello culturale. Si tratta di un fenomeno trasversale. Né si può affermare che è una conseguenza di un disturbo psicologico o dell'uso di sostanze stupefacenti. L'ampiezza del numero degli atti di violenza sulle donne è troppo grande per essere giustificato in questi termini. Difatti, la costruzione della violenza segue dei passi ben precisi, che isolano la donna, rendendola così incapace di difendersi.
Le istituzioni stanno portando avanti un discorso di riconoscimento della soggettività giuridica e di affermazione dei diritti della donna: un'operazione necessaria, poiché oggi si assiste ad una continua violazione e disconoscimento di tali diritti. Ci sono dei veri e propri ostacoli in tutte le sedi, anche di natura giuridica. Nonostante il notevole impegno, i risultati non sono sempre gratificanti, per diverse ragioni. In primo luogo, a causa delle metodologie operative e comunicative in atto nelle istituzioni e tra le istituzioni; in secondo luogo, a causa della scarsa presenza femminile nelle istituzioni. D'altronde, bisogna anche tener conto che una legge da sola non è in grado di risolvere i conflitti sociali; pu essere un valido strumento, è vero, ma deve essere inserita in un contesto sociale e culturale di supporto per espletare tutta la sua efficacia.
Ogni volta che si parla di violenza sulle donne, sappiate che parlarne è indispensabile. È vero, alle volte diciamo "Continuiamo a parlare di questo argomento", perché bisogna continuare a parlarne, assolutamente.
Quando lo si fa con più enfasi - il 25 novembre, appunto, è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne aumentano le richieste di aiuto ai centri deputati, che costituiscono una rete straordinaria, alimentata da donne spesso volontarie, che dedicano tempo e cure a sostegno di chi è intrappolato nella più antica schiavitù.
Parlarne aiuta a capire che la soluzione c'è.
In sostanza, ciò che le ricerche dimostrano in maniera chiara e precisa, nonostante la mancanza di dati standardizzati e di definizioni inclusive, è che gli omicidi di donne e ragazze ad opera dei loro partners non sono il risultato di un raptus incontrollabile o imprevedibile di follia o di malattia, ma sono il frutto di una cultura patriarcale sessista, intrisa di violenza, di oppressione, che punisce le donne che ad essa non si conformano. La violenza è sistemica, pervasiva, culturale.
Studiare il fenomeno è sì necessario, ma di vitale importanza, ad oggi risulta essere l'analisi di tutti quei meccanismi che portano a tali crimini, in modo tale da poter, in un futuro prossimo, provare a prevenire l'atto ancora prima che questo venga compiuto, sradicando la cultura della violenza e promuovendo l'educazione all'affettività.
Servono le parole giuste, le testimonianze dei sopravvissuti, dei corsi annuali nelle scuole (che ancora mancano), ma tutto questo non basta. Non basta inasprire le pene, perché quando si arriva alla pena, significa che i crimini sono già stati commessi. Il cambiamento culturale prevede tempi lunghissimi e qui non c'è più tempo: quest'anno le donne uccise in Italia per femminicidio sono state 96, un numero spaventoso! Una strage che non sta vedendo la fine. Finché non si interverrà con un provvedimento sanitario obbligatorio nei confronti del maltrattante, dello stalker, del violento, si farà sempre la conta dei femminicidi, dei loro poveri orfani e delle altre vittime collaterali. Bisogna istituire legalmente e velocemente uno strumento di prevenzione. Ogni sorella che è stata uccisa poteva essere una di noi. La prossima volta potrei essere io.
Non siamo un numero in una statistica: ci vogliamo vive e ci vogliamo libere. Dobbiamo continuare a parlarne, perché ogni donna che si è salvata è sempre una donna che ha trovato il coraggio di parlare.
Da ultimo, vorrei ancora fare un appello che ho già fatto altre volte ma che ci tengo a ripetere ai giornalisti: basta scrivere che alla base della strage c'è la richiesta di separazione della moglie. Dovreste dire piuttosto, che alla base della separazione c'era la violenza di lui, perch la separazione è una conseguenza, non una causa. Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo la dottoressa Anna Mantini.
Prende ora la parola la referente piemontese dell'Associazione donne in rete, la dottoressa Francesca Brancato.



BRANCATO Francesca, Referente piemontese dell'Associazione "Donne in rete"

Buongiorno, Presidente, Consigliere e Consiglieri.
Ci rivediamo a distanza di un anno: sfiliamo anche quest'oggi davanti a voi per rendicontare lo stato dell'arte della violenza maschile contro le donne, contro i bambini e le bambine, i figli e le figlie. Ci siamo messi in fila anche oggi, e così continueremo, per raccontarvi cosa è successo nelle vite di queste vostre e nostre cittadine, cittadini e cittadine di domani, come abbiamo visto poco fa. E vi raccontiamo quanta frantumazione sofferenza e lacerazione si è compiuta quotidianamente nelle relazioni che dovrebbero invece essere protettive, sicure, amorevoli.
Veniamo qui fiduciose e fiduciosi di una vostra capacità di ascolto senza la quale diviene tutto inutile, vacuo e patinato. Mi chiedo e vi chiedo se per voi è possibile ascoltare; se è possibile anche ascoltare le cose così dolorose che vi stiamo raccontando, se siete allenati nella vostra pratica politica e istituzionale ad ascoltarvi reciprocamente e a fare spazio all'intensità delle cose che vengono dette; mi chiedo e vi chiedo se per voi è davvero possibile sospendere la vostra parola, il vostro lavorìo mentale, il rimuginìo critico e giudicante, se è possibile fermare anche il vostro rimestìo sui vostri devices. Perché inizia tutto da qui, dalla capacità di fermarsi, di sospendere il proprio mondo interno, di mettere da parte la propria convinzione di assoluta certezza delle cose e di fare spazio all'altro, nella consapevolezza che, chiaramente, tutti ci difendiamo dal dolore. Perché creare uno spazio specifico vuol dire procedere con lentezza: così è possibile accogliere e manifestare l'attenzione per la libertà dell'altro. Se non lasciamo spazio al conoscerci e al riconoscerci reciprocamente, e ad essere curiosi di che cosa succede, alla fine esercitiamo violenza.
Quando prendiamo decisioni sulla vita degli altri, senza averli incontrati, esercitiamo violenza. Quando decretiamo direzioni legislative che condizionano la vita degli altri e delle altre, senza averle guardate ed ascoltate, esercitiamo violenza.
È passato un anno dal nostro incontro e vi chiedo che cosa abbiate saputo trattenere di ciò che tutti noi e tutte noi vi abbiamo raccontato mesi fa.
Avete preso delle scelte basate sul contatto e sull'ascolto? Avete saputo contemplare l'ascolto autentico del dolore, della sofferenza e della costrizione delle donne che subiscono violenza? Avete usato l'ascolto come strumento legittimante e propedeutico per le vostre azioni politiche? Avete usato l'ascolto per aumentare i diritti delle donne? Vi dico questo, perché in questo anno nei tribunali, in tutta Italia, è aumentato l'agire a partire da una visione paradossalmente ancora più patriarcale della famiglia, pensandola sempre di più come fosse una modalità naturale di stare in relazione e non come un costrutto culturale sociale ed economico. Nelle udienze, nelle sentenze e nei decreti si nominano sempre meno le parole "violenza domestica" e avviene un continuo e graduale non riconoscimento di cosa essa sia. Si confonde sempre di più il conflitto con la violenza. Li si sovrappone, creando una somiglianza e negando l'esistenza di una enorme gravità della dinamica relazionale di abuso di potere nei confronti del genere femminile.
Vi sto chiedendo questo, perché in questo anno avete affermato che sia un danno allontanare i figli e le figlie dai contesti familiari, pur sapendo come le famiglie siano il luogo maggiormente violento e meno protettivo per i bambini e, sapendo in quale numero elevato questa cosa accade, avete accantonato la realtà, negando ed abbassando la responsabilità verso quei bambini, che crescono continuamente in luoghi violenti e che subiscono danni che vanno a radicarsi nella psiche e nel corpo.
Vi dico questo, perché in questo anno avete confermato una visione un po' piccola, a mio parere, della donna, assumendola nella vostra logica maschilista come incapace di scegliere in libertà e in autonomia per sé e per il proprio corpo. Avete cancellato con un colpo di spugna una storia lunghissima fatta di narrazioni coraggiose sul dolore e sulle violenze scritte negli uteri delle donne, adducendo che, se solo una donna avesse a disposizione un contributo economico, essa sicuramente porterebbe a termine una gravidanza.
Immagino sappiate quale percentuale di concepimenti avvengono in una condizione di stupro e di violenza sessuale; e non faccio solo riferimento a quelle zone del mondo dove lo stupro è utilizzato come un'arma. Vi racconto questo, perché le ascolto le violenze sessuali che avvengono dentro le relazioni matrimoniali, di coppie stabili, in famiglie nelle quali si esercitano, per anni, modalità di violenza maschile sulle donne.
Avete, inoltre, considerato di poca importanza l'equità retributiva sottovalutando la necessità fondamentale di una donna di poter praticare la propria libertà, soprattutto attraverso l'indipendenza economica. Perché il punto è avere un potere economico, come dice Bell Hooks: certo, avere un lavoro, ma tante volte il lavoro per le donne significa avere un'ulteriore condizione di sfruttamento e di dipendenza.
Vi parlo di questo, perché per fermare la violenza contro le donne occorre iniziare a riconoscere la violenza istituzionale, che viene continuamente praticata. Ogni volta che un'istituzione non vede, non ascolta e non si ferma a comprendere la realtà della violenza, anzi la nasconde, la confonde, la minimizza e trova sinonimi comodi alla propria morale e ai propri privilegi, contribuisce al mantenimento della violenza contro le donne.
L'Italia - è già stato detto - è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell'uomo quattro volte soltanto nell'ultimo anno, proprio perch non è riuscita ad applicare una visione protettiva e garante dei diritti interrompendo la violenza agita contro le madri, le mogli, i figli e le figlie.
Lo scorso 23 novembre vi avevo pregato di trovare un senso, mettendo al centro della vostra agenda l'attenzione al corpo delle donne riconoscendole come esseri senzienti e sapienti, ponendo per loro occasioni per manifestare in libertà e indipendenza, tutelando e preservando questa priorità. Vi avevo condiviso l'importanza di comprendere - ossia, di tenere dentro - quale radicamento profondo, storico e strutturale abbia il potere maschile contro le donne. Vi avevo pregato di scegliere una direzione di movimento e di pratica di equità di risorse, di garanzia della sostenibilità per il nostro lavoro quotidiano ed esperto. Vi avevo pregato di dirigere una compatta navigazione di insieme verso l'interruzione della violenza, grazie a politiche di prevenzione. Vi avevo sollecitato l'urgenza di favorire un cambiamento radicale della visione per le donne, provando ad innestare, nel terreno di vita comune, condizioni in grado di aumentare le possibilità, intese come opportunità di fare, ma soprattutto di essere finalizzate all'aumento delle scelte dentro una cornice di piena autodeterminazione, di diffusione del benessere relazionale e di una vera connessione.
Vi avevo chiesto di trattare questa cosa con cura, con attenzione e con responsabilità. Qui oggi, a nome delle donne, dei figli e delle figlie che incontro e che incontriamo ogni giorno, non so davvero cos'altro di nuovo posso chiedervi. Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo la dottoressa Francesca Brancato.
Ora prende la parola, in rappresentanza dei referenti dei Centri antiviolenza, la dottoressa Adriana Sumini.



SUMINI Adriana, Centri Antiviolenza

Buongiorno a tutti e grazie dell'attenzione.
Vi confesso di essere molto emozionata, perché sono un tecnico e non sono abituata a parlare in un contesto politico, come voi siete, che ha determinate caratteristiche e diverse da quelle in cui normalmente opero.
Il mio contributo doveva essere a due voci; doveva essere con me il dottor Mellano ed era importante questo abbinamento maschile e femminile, perch ci interessa sottolineare che, nonostante quello che è stato detto in mattinata - cioè che i centri antiviolenza non si occupano anche degli uomini - è, invece, vero che i centri antiviolenza promuovono i gruppi che lavorano con gli uomini. È, infatti, determinante per tutti noi pensare che sia il maschile che inizi a cambiare, altrimenti non affronteremo mai veramente il problema.
Detto questo, quello che vi leggerò, cercando di essere il più breve possibile, è un documento che è stato costruito in modo condiviso nonostante i tempi molto stretti, dalla Rete dei Centri antiviolenza della Regione Piemonte, cioè dai vostri Centri antiviolenza, dalla rete che si è costruita a partire dalla legge regionale n. 4/2016, che è stato un primato in Italia. La Regione Piemonte ha il primato in Italia di una legge regionale per la costruzione della Rete di protezione delle donne vittime di violenza.
Proprio per questo ci sembra importante, come Centri antiviolenza continuare a mantenere l'aderenza ai problemi che le donne portano e qualificare, sulla base dell'esperienza che abbiamo fatto in questi anni il sostegno alle donne, nella concretezza dei loro percorsi.
Ci sembra importante e i Centri antiviolenza ritengono e vi chiedono che avvenga il prima possibile l'approvazione del Piano triennale regionale che - sottolineiamo - è fermo da mesi, perché è già stato scritto nel dialogo che esiste tra il Tavolo di coordinamento dei centri antiviolenza e il Settore politiche per le famiglie e minori e fragilità sociali, ma poi si è fermato. Ne abbiamo, bisogno abbiamo bisogno del Piano triennale regionale, perché in questo piano viene recepita l'esperienza fatta vengono recepiti i nuovi bisogni delle donne, la multiproblematicità che le donne portano con sé e la ricerca delle soluzioni.
Abbiamo bisogno di continuare a fare rete tra di noi, per condividere le buone prassi, perché si sono prodotte buone prassi per l'accoglienza e il sostegno delle donne vittime di violenza domestica e dei loro figli, ma anche le criticità. Soprattutto, però, abbiamo bisogno di fare rete, come Centri antiviolenza, per sostenere i percorsi delle donne.
Le donne non necessariamente trovano soluzione ai loro problemi di salute di salvezza, di progettazione del proprio futuro nello stesso luogo dove vivono la violenza. Le donne hanno bisogno dell'opportunità di potersi spostare; questo può accadere solo se si costruiscono legami tra i diversi soggetti a livello regionale e, quindi, la possibilità di sostenere tutto questo. E' importante una programmazione di sistema rispetto al quale il coordinamento regionale assume un ruolo fondamentale; il tavolo non ha più praticamente lavorato da un anno e abbiamo bisogno di lavorare assieme con la Regione.
Abbiamo bisogno che i finanziamenti che sono a scadenza annuale a sostegno della rete di protezione delle donne siano e assumano una forma più fluida abbiano una programmazione che sia almeno biennale o triennali, perché i percorsi delle donne hanno caratteristiche di complessità e tempistiche che sono differenti da quelli per la pianificazione annuale. C'è la necessità di contrastare la vittimizzazione secondaria subita dalle donne vittime di violenza, legata a norme e legislazioni che spesso sono in contrasto tra di loro, anche a livello regionale, anche in materia fondamentali come casa e lavoro, oltre che per l'integrazione socio-sanitaria.
L'integrazione tra queste politiche e normative sono gli strumenti fondamentali che permettono di fare uscire le donne dai circuiti assistenziali; questo è l'obiettivo, ma spesso si contraddicono tra di loro. Per esempio, per una donna un atto di violenza subìto può essere quello che il compagno non gli concede di prendere la residenza nel posto in cui vive e questo non le permette di accedere alla possibilità di casa e lavoro.
La nuova intesa Stato-Regioni, probabilmente, cambierà delle condizioni e per noi rappresenta un oggetto che necessita di essere discusso in modo partecipato e sul quale aprire un confronto. L'impatto del Codice rosso che sembra decisamente importante, porta con sé delle contraddizioni di cui la donna rischia di essere ancora una volta vittima, non solo per i rilassamenti procedurali istituzionali in atto, ma anche per le contraddizioni al suo interno, che sono già state citate.
La scelta dei percorsi riabilitativi da parte degli uomini può essere solo strumentale e non davvero reale. Occorre riaffermare la centralità della Convenzione di Istanbul come riferimento normativo anche nei confronti della violenza assistita, come violenza subìta dai minori, che porta con s conseguenze devastanti. Non fatevi traviare dalla parola "assistita", che sembra un po' meno della violenza subìta: i minori vivono una violenza subìta reale.
Particolare attenzione dovrebbe essere posta all'inserimento degli uomini padri maltrattanti all'interno di percorsi riabilitativi previsti, prima dell'attivazione dei luoghi neutri e non dopo o durante. I luoghi neutri sono uno strumento fondamentale per i bambini, che hanno bisogno di continuare a voler bene a entrambi i genitori, o almeno a provarci, e a realizzare il diritto della bigenitorialità, sicuramente, ma prima devono accadere determinate cose per la tutela del minore.
Occorre continuare a investire sulla costruzione della cultura del rispetto della diversità di genere, qualsiasi esso sia, proprio di una società civile, a partire da una riflessione critica sull'uso del linguaggio come strumento di potere, di cui spesso non ci rendiamo conto. E mi piace fare proprio il pensiero di un filosofo israeliano che dice che la società civile è quella in cui nessuno viene umiliato;, anzi, al contrario, in cui si costruiscono relazioni in cui l'altro viene valorizzato.
Buon lavoro a tutti.



PRESIDENTE

Grazie.
La parola alla dottoressa Canavera.



CANAVERA Vittoria Maria, Rappresentante Associazione "Telefono Rosa"

Vi ringrazio e porto il saluto di Telefono Rosa Piemonte e il ringraziamento di Telefono Rosa Piemonte per l'invito a questo momento di riflessione e interlocuzione, senz'altro utilissima; porto anche quello che è lo spettro di osservazione di Telefono Rosa Piemonte.
Sono dati che patiscono ancora il riverbero del periodo pandemico, quindi del periodo di stretto confinamento domestico che, ben sappiamo, ha portato a una deflagrazione della violenza domestica che noi abbiamo registrato anche sotto un profilo qualitativo, cioè proprio la gravità delle violenze.
Durante il periodo pandemico, Telefono Rosa Piemonte è sempre stato operativo, modulandosi in relazione alle possibilità e alle esigenze del periodo, implementando il contatto da remoto. Le accoglienze da remoto sono state comunque conservate anche in epoca attuale, in affiancamento all'accoglienza in presenza, perché si ritiene che questo possa essere uno strumento per dare una risposta più rapida a tutte quelle donne che, vuoi perché risiedono nel territorio della nostra Regione ma un po' più distante da Torino, vuoi perché hanno altre difficoltà, hanno più problemi a raggiungerci in sede.
Per darvi un'idea della dimensione, ho i dati relativi al 2022, quindi parliamo di gennaio 2022-ottobre 2022: sui nostri canali da remoto, quindi social network ed e-mail, abbiamo avuto 4456 richieste di aiuto, mentre le accoglienze in sede sono state 639, delle quali, una buona quota parte (109) riguardano donne che risiedono, sì, in Piemonte, ma in province diverse da quella di Torino, con una certa preponderanza di Cuneo e, a seguire, Asti, Biella e quant'altro.
Quindi 639 storie, 639 volti. Tra di loro, molte giovani donne, anche adolescenti, perché la maggior parte delle donne che abbiamo accolto ha un'età compresa tra i 16 e i 39 anni. Abbiamo anche una significativa presenza di persone di età superiore: abbiamo un 11% di accoglienza che riguardano donne dai 60 anni in su, sessantenni e ultrasessantenni, con un 4% di settantenni e ultra settantenni.
La maggior parte delle donne che abbiamo accolto ha un titolo di studio di scuola superiore o universitario, ma il 57% di loro non ha un'autonomia economica. Combinando questi due dati, se ne deduce che hanno, sì studiato, ma non sono state messe in condizione di lavorare o, comunque, di lavorare in modo tale da garantirsi un'autonomia economica. È un tema che anche il filmato in apertura trattava.
Questo accende un faro sulla tematica della violenza economica che è diffusissima, ma che ancora oggi stenta a essere riconosciuta e identificata come tale, sia dalle donne stesse, che molto spesso, in tutta una serie di soprusi economici, vedono una compressione dei propri diritti ma non vedono una forma di violenza vera e propria, sia in ambito giuridico, perché anche a livello giuridico la violenza economica tende a essere sempre un po' lasciata sullo sfondo. È una realtà diffusissima e drammatica ed è proprio uno degli strumenti con cui, molto spesso, i maltrattanti tengono avvinti a sé le donne, specie in presenza di figli.
Cosa succede? Uno degli argomenti che spesso questi uomini spendono è: "Se te ne vai, ti porto via i figli, ti tolgo i figli, perché tanto tu non hai un euro e non sei in condizioni di pagarti un avvocato per tutelarti".
Su questo punto soccorre quel fiore all'occhiello di Regione Piemonte, che è il Fondo per il patrocinio di donne vittime di violenza e maltrattamenti.
È un grandissimo conforto dire a queste persone: "Signora, non è così, non è come dice suo marito, perché c'è Regione Piemonte che ci pensa".
Regione Piemonte, con il Fondo, consente una tutela in ambito penale, ma ancora più in ambito civile, che non ha solo l'effetto immediato di sgravare la donna da un onere economico, ma che consente un'assistenza professionale e qualificata, perché tutti e tutte noi legali che operiamo con il patrocinio del Fondo siamo iscritti a un Albo e, per rimanere tali dobbiamo anche dimostrare di avere una formazione specifica costante sulla materia. Il Fondo Vittime ha l'effetto immediato di dare un aiuto concreto alla donna, sotto il profilo economico, ma veicola anche un messaggio - e questo è un effetto più mediato, se vogliamo - di vicinanza delle istituzioni. Non dimentichiamo che, molto spesso, queste sono donne sole perché isolate dai maltrattanti da anni, perché ben sappiamo che la violenza di genere si nutre dell'isolamento di chi la subisce. Per la donna, quindi, sentirsi dire che Regione Piemonte è con lei, la mette in condizione di tutelarsi sotto il profilo giuridico e la sostiene. È evidentemente motivo di profondo conforto per le nostre donne.
Accogliamo tante mamme e questo porta alla tematica già emersa nel corso di questa mattinata, della violenza assistita, perché una violenza su una mamma è una violenza esponenziale, è una violenza ancora più enfatizzata perché si riverbera in un discorso di violenza assistita, se non di violenza anche diretta contro i figli. Ma l'accoglienza non basta. Noi tanto abbiamo fatto, tanto facciamo e tanto faremo, ma per combattere la violenza di genere occorre agire anche a monte; motivo per cui Telefono Rosa Piemonte è forza propulsiva per tutta una serie di attività di formazione, informazione e sensibilizzazione, in modo che si riesca a cambiare il modo di pensare. Solo così la violenza di genere può essere sconfitta. Questo è il motivo per cui Telefono Rosa Piemonte è molto attivo in incontri di formazione, vuoi per Enti territoriali, vuoi per categorie professionali, ma anche in favore dei giovanissimi.
Mi è di grande conforto la presenza questa mattina di ragazzi così giovani ed è la conferma che Telefono Rosa Piemonte si sta muovendo molto bene sul punto, perché a maggio è stata stipulata una convenzione quadro interdisciplinare con l'Università di Torino e ci sono altri progetti molto interessanti che anche lo scorso anno hanno portato a una partecipazione da parte di ragazzi giovanissimi assolutamente incoraggiante. Sono stati dei percorsi e dei progetti che hanno visto coinvolte scuole secondarie della città; progetti che hanno conosciuto una partecipazione da parte di ragazze e ragazzi veramente massiccia.
Questi ragazzi ci hanno dimostrato un impegno e un'attenzione che ci fa ben sperare per il futuro. Ci sono state anche altre collaborazioni, quindi la sinergia istituzionale è fondamentale, per esempio, per borse lavoro che sono state poste in essere grazie a campagne di crowdfunding. Ribadisco che la sinergia istituzionale è fondamentale.
Mi ha fatto molto piacere sentire in apertura il Presidente parlare del Piano triennale di interventi contro la violenza di genere, che è assolutamente importante e strategico; lo ha già detto chi mi ha preceduto e lo ribadisco io, portando il messaggio di Telefono Rosa Piemonte, così come fondamentale è il pieno sostegno al Coordinamento regionale dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio.
Vi ringrazio.



PRESIDENTE

Ringraziamo la dottoressa Vittoria Maria Canavera.
La parola al Presidente dell'Associazione "Cerchio degli uomini", dottor Andrea Santoro.



SANTORO Andrea, Presidente Associazione "Cerchio degli uomini"

Grazie a tutti e a tutte; grazie Presidente del Consiglio regionale e Presidente della Giunta regionale per questo invito.
Vorrei cominciare il mio intervento riconoscendo e apprezzando il fatto che, incontri come questo, dimostrano che il cambiamento è in atto. In accordo con i principi della Convenzione di Istanbul, questo è uno degli elementi più importanti da tenere in considerazione: il poterci percepire in viaggio, in cammino, verso un nuovo modello di società, un nuovo tipo di società e sapere che ancora non siamo arrivati lì dove vogliamo arrivare ma stiamo moltiplicando i nostri sforzi per farlo.
Come Presidente dell'Associazione "Cerchio degli uomini", porto l'esperienza di un gruppo che prova a fare la sua parte e, in particolare prova a fare la sua parte con una serie di percorsi e servizi per gli uomini; uomini di tutte le età e in tanti contesti diversi, non solo nella cornice del lavoro diretto con gli autori di violenza, che è un elemento molto importante. Proviamo a fare la nostra parte nelle scuole, lavorando insieme agli studenti e alle studentesse sugli stereotipi di genere e sulle relazioni; proviamo a fare la nostra parte nel lavoro sulla genitorialità con i padri, con i neo papà per far comprendere loro il senso e il significato della condivisione delle cure all'interno della famiglia e per in generale, un ripensamento del proprio ruolo, non come soggetto che porta a casa lo stipendio, ma come membro della famiglia che si occupa di tutti gli aspetti, insieme alla sua compagna, di cura dell'ambiente domestico e dei figli e delle figlie.
Lavoriamo con gli autori di violenza, con quegli uomini che pure ci sono che ci chiamano spontaneamente e ci dicono che qualcosa non sta funzionando nella loro vita, che hanno commesso degli errori, che si stanno rendendo conto che stanno rovinando la loro famiglia, oltre che la loro vita, e che vogliono cambiare.
Lavoriamo anche con uomini, in qualche modo, inviati da una sentenza di un Tribunale, un provvedimento o una collaborazione con dei soggetti del panorama dei servizi, come per esempio quello degli assistenti sociali.
Incontrare questi uomini è molto significativo per noi ed è tutt'altro che facile perché, con queste persone, lavoriamo prima di tutto sull'assunzione di responsabilità e la consapevolezza dei loro comportamenti e delle conseguenze di questi. Non è un processo facile, è un processo che sicuramente richiede sforzi e tempo. Ci stiamo rendendo conto che l'elemento del tempo è sempre più prioritario ed è per questo che questi percorsi durano parecchi mesi; ormai il punto di riferimento dei dodici mesi sembra sempre di più un punto di partenza e non un punto di arrivo.
Lavoriamo tanto su molteplici aspetti che a questi uomini sembrano non balzare subito agli occhi: l'aspetto della genitorialità e della paternità per esempio, è importantissimo. Il riconoscere che noi siamo padri, non soltanto nella relazione con i nostri figli e le nostre figlie, ma in come facciamo vedere loro come ci comportiamo con le loro madri, quello che in gergo viene chiamato il coparenting, ovvero come mio figlio o mia figlia fa esperienza della relazione che io ho con la mia partner o ex partner.
Questo ci permette di superare tantissime contraddizioni e scogli; è un po' l'idea che hanno certi uomini di tenere separate le due cose: "Sì, vabbè nella relazione c'è stata violenza; sì, vabbè, le cose sono andate storte però i miei figli., i miei figli.". Eh no! La relazione con i figli e le figlie è pesantemente condizionata dagli eventi che sono successi e solo lavorando su questo è possibile recuperarla.
Un elemento che emerge è: siamo pronti a riconoscere la nostra responsabilità? Non solo nei confronti delle ex o delle partner, ma dei figli e delle figlie, che sono vittime allo stesso modo degli agìti violenti? Ci teniamo stretta la capacità di farci domande e la capacità di dubitare anche di dubitare delle cose ovvie, dentro percorsi che sono un po' incapsulati da quella felice intuizione che ebbe Alessandro Manzoni quando scrisse nella famosa scena "La notte dell'Innominato": "Per rendersi ragione d'un sol fatto, si trovò impegnato nell'esame di tutta la sua vita". È un po' quello che proviamo a fare con gli uomini, per arrivare in un territorio di nuovi modi di stare in relazione con le donne, con i figli, con tutte e tutti, anche per essere più liberi e più felici. Come abbiamo visto dal video che ha aperto i lavori questa mattina, abbiamo incontrato un uomo che magari poteva anche provare soddisfazione per la posizione di controllo in cui si trovava, ma era un uomo che portava un tormento. Dunque, riconoscere le proprie responsabilità, prendere consapevolezza e cambiare vita permette anche di iniziare un nuovo cammino all'insegna di una maggiore felicità. Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo il dottor Andrea Santoro.
Prende ora la parola la Vicepresidente dell'Associazione Italiana Vittime di Violenza, la dottoressa Simona Venuto.



VENUTO Simona, Vicepresidente dell'Associazione Italiana "Vittime di

Violenza" Buongiorno. Rappresento l'Associazione Italiana Vittime della Violenza che è nata da alcuni genitori che hanno subìto un femminicidio, quindi da genitori che hanno provato questo dolore e che hanno deciso di mettersi a disposizione affinché altre famiglie non provino la stessa sofferenza.
Sono tre i punti che fondamentalmente l'Associazione porta avanti: la prevenzione, il lavoro e i servizi. Oggi, vista la presenza di altri interlocutori più esperti che sono già intervenuti sul tema della prevenzione e del primo aiuto, vorrei invece mettere in evidenza un altro problema, che riguarda il "dopo".
Le famiglie per le istituzioni non esistono. Mi permetto di essere abbastanza forte nei toni, in questo momento: le famiglie esistono in occasione di commemorazioni, nel momento della tragedia, nel ricordare il lutto, ma non esistono dei protocolli, né dei servizi a loro dedicati. Sono lasciate sole.
Io sono un operatore, sono un'assistente sociale, non sono un familiare: nel momento in cui le ho incontrate, quello che hanno riportato in termini di testimonianza, anche a distanza di moltissimi anni, è proprio l'assenza delle istituzioni.
Che cosa fanno le istituzioni per loro? Non esistono dei percorsi, nei consultori piuttosto che nei servizi sociali, di presa in carico fin dall'inizio. Loro portano l'esigenza di essere accompagnate, di essere sostenute. Alcune famiglie hanno fatto da sole, chiedendo supporto psicologico, chiedendo l'accompagnamento, ma molte non ce la fanno. Anzi spesso i servizi vengono vissuti come "antagonisti", soprattutto se ci sono figli o nipoti da tutelare.
Come non far passare questo messaggio? È quello che io chiedo, e che chiediamo come associazione. Come tuteliamo queste famiglie? Come le accompagniamo nell'elaborare il lutto, ma fin dalle prime ore? Quello che mi ha molto colpito nel conoscerle è stato soprattutto il momento iniziale il momento in cui apprendono della morte delle loro figlie, delle loro nipoti, delle loro sorelle: come vengono accompagnate queste famiglie? Lo chiedo alle istituzioni.
È interessante che, come Consiglio regionale, voi abbiate organizzato questo evento: io sono lombarda, e riconosco che in Lombardia non accade.
Spero che un simile evento apra le porte anche da noi ad una giornata come questa. Non dico che non veniamo ascoltati, però bisogna partire da queste famiglie e non ricordarsele solo quando mettiamo la panchina rossa, la targa, o il 25 novembre, in occasione della Giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne, quando ricordiamo la lista delle vittime.
Il mio sarà un intervento molto breve, perché si limiterà a chiedervi di attivarvi in tal senso: esistono già dei servizi, vanno solo creati dei protocolli (quindi non è neanche un problema economico, e lo dico da operatore). Credo, semplicemente, che anche gli operatori dei servizi territoriali vadano formati e che ci siano dei canali diversi in termini di approccio sui minori rispetto a quello che è il servizio tutela.
È vero che i minori vanno tutelati, ed è giusto che i servizi valutino le famiglie e li accompagnino. Ma ci devono essere dei percorsi diversi soprattutto a garanzia di questi figli che crescono, senza abbandonarli dopo un anno. E senza abbandonare le famiglie.
Concludo qua e vi ringrazio.



PRESIDENTE

Ringraziamo la dottoressa Simona Venuto.
Prende ora la parola la dottoressa Bruna Tomasi Cont, componente della Segreteria CISL, in rappresentanza delle organizzazioni sindacali CISL CGIL e UIL.



TOMASI CONT Bruna, Componente Segreteria CISL

Grazie, Presidente.
Grazie per questa opportunità, che colgo a nome di CGIL, CISL e UIL in questo mio intervento unitario.
Purtroppo, anche da quello che abbiamo sentito oggi, siamo ben lontani dalla soluzione del problema: non mi riferisco solo ai dati che ci rappresentano i quotidiani in questi giorni, che denunciamo omicidi efferati, ma anche alle statistiche (lo rappresentavano bene in apertura sia il Presidente Allasia che la dottoressa Toselli). In un anno si parla di 125 donne che muoiono, spesso per mano di chi avrebbe dovuto invece proteggerle dalle ingiustizie del mondo; parliamo di più di 16.000 denunce di stalking, di oltre 3.000 ammonimenti del Questore, senza considerare tutto il sommerso, che è numerosissimo. Insomma, la situazione è davvero drammatica.
Cosa possiamo fare? Già tanto si fa, ma noi riteniamo che per prevenire, ma soprattutto per aiutare le vittime di violenza e per punire chi perpetra violenza, sia necessario, forse, fare ancora più rete rispetto a quella che stiamo già facendo e che abbiamo fatto sinora.Ci sono davvero tanti margini di miglioramento su questo aspetto, lo suggeriva anche la dottoressa Sumini nel suo intervento.
In quali direzioni dobbiamo lavorare insieme? Intanto sulle norme, per cercare di migliorarle, anche se, a dire il vero, negli ultimi anni tanto è stato fatto a livello legislativo. Penso, ad esempio, alla legge 4/2021 che ha ratificato la Convenzione ILO; penso al congedo retribuito per le vittime di violenza; penso alla legge contro lo stalking; penso all'ammonimento del Questore, a cui facevano prima riferimento le Forze dell'Ordine. Tante cose sono state fatte nel nostro Paese, tante leggi sono state varate. Forse, come ci ricordava il gruppo di esperti del GREVIO dovremmo lavorare di più per farle applicare prontamente. Soprattutto prontamente.
In Piemonte - ce lo ricordava in apertura il Presidente Cirio - si dovrà lavorare sul Piano triennale per i Centri antiviolenza. Al riguardo auspichiamo un coinvolgimento anche delle organizzazioni sindacali, perch abbiamo una nostra visione, abbiamo delle proposte da portare. Ci auguriamo, da questo punto di vista, di essere coinvolti più di quanto non lo siamo stati invece nell'ultima norma su Allontanamento zero, che, a nostro avviso, è un grande rischio che facciamo correre ai minori nel rimanere all'interno di una famiglia nella quale spesso e volentieri purtroppo, si perpetra violenza. Dunque, il suggerimento o l'auspicio che noi rivolgiamo è quello di un maggiore coinvolgimento e di un lavoro maggiore di rete, per essere maggiormente propositivi e per coordinare gli interventi che facciamo quotidianamente sui territori, quindi dal punto di vista legislativo.
Poi, c'è la centralità del nostro operato e dell'operato delle organizzazioni sindacali, ovvero la centralità del lavoro e, soprattutto come detto in un intervento precedente, di un lavoro correttamente retribuito. Una donna che ha l'autonomia economica è una donna che sicuramente è più forte ed ha più opportunità nell'affrontare una violenza che le viene rivolta in qualsiasi ambiente e in qualsiasi situazione. Per cui, con il nostro cavallo di battaglia, ovvero la contrattazione a tutti i livelli - a livello nazionale con la contrattazione nei contratti collettivi nazionali di lavoro, ma anche nei contratti e negli accordi aziendali - dobbiamo fare in modo di tutelare il più possibile il lavoro femminile, ad esempio aiutandole nella conciliazione dei tempi di vita e lavoro, che è una delle ragioni più importanti per le quali le donne abbandonano il lavoro. Aiutarle in questa direzione è sicuramente un aiuto concreto contro la violenza.
Forse dobbiamo imparare un po' di più dalle giovani generazioni. Le nuove coppie sono più capaci di noi e della mia generazione di condividere il lavoro di cura all'interno della famiglia. Però - ahimè - ad oggi, nella stragrande maggioranza dei casi il lavoro di cura della famiglia, sia rivolto ai figli sia rivolto agli anziani, pesa ancora sulle spalle delle donne. Quindi, aiutarle anche aumentando le infrastrutture sociali sicuramente è un sostegno che va in quella direzione.
Il nostro lavoro di contrattazione si concentra anche nel tentare di rendere i posti di lavoro più sicuri, dal punto di vista delle donne. Va in questa direzione, ad esempio, l'accordo quadro che abbiamo sottoscritto con Confindustria che recepisce, di fatto, un accordo quadro europeo, nel quale abbiamo tentato di definire più puntualmente il senso delle molestie sul lavoro. Infatti, spesso la violenza non si palesa in maniera esagerata, ma nasce in maniera subdola. Se siamo capaci di intercettare sui posti di lavoro queste molestie, che nascono in maniera subdola, avremo sicuramente più opportunità di fermarle in tempo utile. Per cui, intanto rivolgo un ringraziamento a Confindustria che si è resa sensibile a questo proposito ed auspichiamo che anche altre associazioni datoriali ci dimostrino la stessa sensibilità.
Per cercare di fare sempre meglio all'interno dei posti di lavoro, e quindi nella contrattazione, in questi ultimi anni come organizzazioni sindacali abbiamo dato ampio spazio alla formazione di chi ci rappresenta all'interno dei posti di lavoro, cioè i nostri rappresentanti sindacali. Abbiamo fatto tanta formazione, facendo in modo che diventino ancora più sensibili a questo tema. Lo dicevamo prima con una collega: sempre più contratti nazionali, ma anche accordi aziendali, recepiscono in maniera più sensibile il tema della violenza nei luoghi di lavoro. Pertanto, avere dei rappresentanti più sensibili da questo punto di vista, rappresentanti che conoscano bene le norme che abbiamo a disposizione - e che le facciano applicare e per tempo - è sicuramente un passo in avanti.
C'è una grande occasione, unica a mio avviso, che non dobbiamo assolutamente perdere e sono i fondi del PNRR. Come tutti sappiamo, una parte di questi fondi verrà stanziata per la lotta alle discriminazioni e per le pari opportunità. È un'occasione che tutti insieme non dobbiamo perdere. Non dobbiamo perderla per implementare, come dicevo prima, le infrastrutture sociali (asili nido, scuole, strutture che si prendano cura degli anziani). Dobbiamo cercare di avvicinare le ragazze alle materie STEM, perché sono le materie che danno non solo più opportunità di lavoro ma più opportunità di lavoro stabile, sicuro e ben retribuito (a proposito di quello che dicevamo prima). E non dimentichiamo un aiuto all'imprenditoria femminile, attraverso i fondi del PNRR, e soprattutto sgravi. Parlavo prima della contrattazione che, per noi, è fondamentale.
Avere degli sgravi che ci aiutino ad implementare la contrattazione a tutti i livelli, sicuramente sarebbe un aiuto. Noi facciamo parte, come organizzazioni sindacali, del Tavolo del partenariato e sarà sicuramente nostra cura attenzionare i lavori e l'avanzamento dei lavori.
Ultimo, ma sicuramente non ultimo per importanza - anzi, per noi è fondamentale - è la trasmissione di cultura positiva, la cultura della non violenza. Diceva anche la dottoressa Serra dell'importanza di continuare a parlare di violenza di genere e farlo con la cittadinanza. Noi siamo molto capillari e abbiamo una presenza molto capillare nel territorio, quindi abbiamo tante possibilità - e lo facciamo tutti i giorni - per organizzare iniziative che diffondano cultura positiva a tutta la cittadinanza, ma soprattutto ai giovani, perché sono loro la vera speranza di trovare una soluzione a questa piaga sociale. Dobbiamo continuare a parlare di questo tema nelle scuole, a far parlare i ragazzi.
A questo proposito, come CGIL, CISL e UIL Piemonte stiamo organizzando un progetto, che partirà il 2 dicembre, nel quale abbiamo raccolto una serie di testimonianze che rappresentano un ventaglio di violenza nei confronti delle donne, che vanno dal cyberbullismo - quindi, violenza nei confronti delle ragazze - alla violenza sugli anziani, alla violenza nei posti di lavoro, alla violenza domestica. Raccoglieremo queste testimonianze e le porteremo nelle scuole, per condividerle con i ragazzi e fare in modo di aprire con loro un dibattito. Per far capire che cosa? Per far capire che la violenza è sempre sbagliata e, soprattutto, che non bisogna tacere di fronte alla violenza, non bisogna rimanere indifferenti. Questo è il messaggio forte che dobbiamo dare ai nostri ragazzi, per cui è importante parlarne con loro.
Credo, anzi sono certa, che abbiamo ancora tanta strada da fare, ma che la violenza non sia assolutamente invincibile. Insieme ce la possiamo fare.
Colgo ancora, a nome di CGIL, CISL e UIL Piemonte, la grande opportunità che mi viene data in questo luogo così importante per esprimere la nostra vera e sentita solidarietà nei confronti di tutte quelle donne che nel mondo lottano per la loro dignità e per la loro libertà. Ovviamente in questo momento soprattutto alle donne iraniane. Quindi, esprimo una grande solidarietà nei loro confronti.
Concludo con una frase di Martin Luther King, a proposito dell'indifferenza e del silenzio. Lui diceva: "Ciò che mi spaventa di più non è la violenza dei cattivi, ma l'indifferenza dei buoni". Aiutiamoci a vincerla. Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo la dottoressa Tomatis Cont.
Ha ora la parola la Segretaria regionale reggente dell'UGL Piemonte, Silvia Marchetti.



MARCHETTI Silvia, Componente direttivo regionale UGL

Buongiorno a tutte e a tutti. Ringrazio il Presidente del Consiglio regionale e ringrazio anche tutte le Consigliere e i Consiglieri.
Mi presento. Sono Silvia Marchetti, Segretario reggente della UGL Piemonte nominato dopo la prematura scomparsa del Segretario Armando Murella, che non smetterò mai di ricordare, perché è stata la figura fondamentale dell'organizzazione sindacale UGL nel nostro territorio piemontese.
Sono davvero felice di intervenire in questo Consiglio regionale aperto sul tema del contrasto alla violenza contro le donne, perché non sono mai troppi gli appuntamenti per parlare delle violenze, non solo fisiche, che le donne tutti i giorni subiscono, troppe volte in silenzio.
Avevo messo giù un elenco delle vittime che ormai abbiamo ripetuto più volte e, quindi, ritengo non dico inutile, però diciamo doloroso, ripetere il numero delle vittime. Passerei oltre, dicendo che l'UGL non vuole solo riportare i numeri impressionanti delle donne vittime di femminicidio, ma vuole sottolineare il dato allarmante che, su questo numero di donne (UGL ritiene siano 96 dal 1° gennaio al 13 novembre), sono 84 quelle uccise in ambito familiare e affettivo. Di queste, 49 hanno trovato la morte per mano di congiunti, compagni, mariti ed ex, (stando alle indagini iniziali, con responsabilità da provare in sede di giudizio); quelli che i criminologi oggi definiscono "omicidi in famiglia", in prevalenza motivati da gelosia rabbia, incapacità di accettare la separazione o l'abbandono, vendetta e soprattutto, a volte, anche con il dubbio di possibili problemi psichiatrici.
Direi che ormai la famiglia uccide più della criminalità. Tuttavia, la violenza sulle donne, prima di sfociare in gesti estremi di femminicidio si manifesta anche nelle violenze verbali, come la discriminazione di genere, con pregiudizi spinti da stereotipi che non sono affatto superati.
L'UGL-Piemonte, occupandosi della tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, vuole suggerire alcune riflessioni sul concetto di benessere nei luoghi di lavoro, spostando il concetto di prevenzione salute e sicurezza all'ambito meramente fisico, alla sfera più psicologica e psichiatrica. Su questo aspetto il Testo unico sulla sicurezza e sulla salute delle lavoratrici e dei lavoratori, la legge n. 81 del 2008 all'articolo n. 28, introduce il concetto di "valutazione rischi" attraverso il documento DVR - non solo fisici, ma anche psichici. I rischi di cui parla la legge, infatti, sono quelli tradizionalmente legati all'ambiente fisico, ma anche dallo stress da lavoro correlato, che si pone allo stesso piano degli altri e che dal 1° gennaio 2011 è fatto obbligo di valutare.
Con questo presupposto, bisogna tenere in considerazione che la molestia sul lavoro è sicuramente elemento di rischio per la salute mentale della lavoratrice, così come il mobbing o le discriminazioni dirette o indirette.
Stando così le cose, le violenze e le molestie di genere, esaminando l'incidenza e la ricaduta sullo stress lavoro correlato, potrebbero essere individuate come mancanza generale di adattamento ad una situazione stressante al di sopra delle proprie possibilità (parlo delle donne) e di sopportazione all'interno del mondo del lavoro.
Il benessere lavorativo deve assumere centralità, con particolare importanza anche per il contrasto alle molestie e al mobbing, attraverso l'approvazione di codici di condotta, disciplinati in sede di contrattazione collettiva (come prima ribadiva la collega). Dai dati rilevati ad oggi, i codici di condotta sono presenti nel comparto pubblico e poco nel privato; soprattutto, c'è carenza nelle piccole e medie imprese.
E già l'anno scorso avevamo evidenziato questo dato.
L'Agenzia dell'Unione Europea sui diritti fondamentale riporta che una donna su tre ha subìto atti di violenza fisica o sessuale in età adulta; il 55% delle donne dei Paesi dell'Unione europea ha subito molestie sessuali e il 32% delle sopravvissute dichiara che l'autore delle molestie era un superiore, un collega o un cliente.
In Italia, secondo gli ultimi dati ISTAT, sono 1.404.000 le donne che, nel corso della loro vita lavorativa, hanno subìto molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro: rappresentano l'8,9% della lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. Un fenomeno che appare molto sottostimato e che porta moltissime donne, per paura di ritorsioni, stigma e inefficacia dei sistemi di tutela, a decidere a non denunciare le molestie subite.
Altre ricerche mettono in evidenza come lo stato dell'equità di genere nel mondo professionale sia ancora distante, anche quando le donne ricoprono una posizione manageriale; in questa situazione, infatti, i loro comportamenti decisi e determinati vengono visti in un modo diverso rispetto a quelli maschili. Il 62% dichiara di essere considerata aggressiva se si mostra ambiziosa o assertiva; di queste, il 42% ricopre un ruolo di responsabilità dirigenziale.
Sempre rispetto alla carriera e al potere, dallo studio emerge che il mondo del lavoro in Italia è ancora troppo indietro. Per gli uomini è facile e veloce crescere e vedere riconosciuti i propri meriti; arrivano di più e prima a posizioni di potere e ciò fa sì che in azienda la leadership diffusa sia prevalentemente al maschile. La carriera della donne è ancora troppo spesso, interpretata alla luce di altri fattori rispetto al merito o alla competenza. Il 71% sperimenta contrasti, in cui la leadership e i ruoli di responsabilità sono spesso prevalentemente ricoperti da uomini e il 79% delle donne vede crescere i colleghi uomini più velocemente, anche se con minore esperienza della propria o di altre donne.
Questa difficoltà di progredire nel proprio percorso lavorativo peggiora in contesti in cui la genitorialità è percepita come condizione esclusivamente femminile; le donne non sono dunque serene nel comunicare la propria azienda di essere incinte (il 41%) e il 68% ha visto rallentare il proprio percorso di crescita, o quello di altre donne, a causa della maternità; il 65% ha anche sentito allusioni e commenti negativi rispetto alle conseguenze della maternità in azienda. A generare la discriminazione non è soltanto un rapporto sbilanciato di forza nel contratto lavorativo dato dai ruoli operativi degli uomini rispetto alle donne, ma anche all'appartenenza al genere.
Oggi - e in più occasioni, se si può - l'UGL ribadisce il proprio dissenso al silenzio che ho menzionato all'inizio dell'intervento e che deve essere rotto e interrotto, perché non si può e non si deve mai smettere, alzando toni e volumi, che all'alba del primo secolo del terzo millennio sia vergognoso, incivile e inaccettabile che le donne vengano maltrattate con ogni forma di violenza.
L'anno scorso, in occasione del 25 novembre, l'UGL, insieme al centro antiviolenza U.D.i.RE, ha inaugurato per la prima volta in Italia, nella propria sede provinciale di via Bionaz, la prima panchina rossa, simbolo del contrasto alla violenza delle donne all'interno di una sede di un'organizzazione sindacale, ove era presente anche il Presidente della Regione Alberto Cirio. Quest'anno, sempre con l'associazione U.D.i.RE abbiamo organizzato un convegno dal titolo "Il mio corpo è inviolabile.
Stop all'odio, basta alla violenza!", sempre per il 25 novembre alle ore 16 al Circolo Unificato dell'Esercito. Oltre a darne notizia, vi invito tutti a partecipare.
Approfitto per ringraziare della costante vicinanza e supporto, in questo momento come in tutti gli appuntamenti, che le istituzioni danno a questi momenti di confronto e di reale cronaca. Grazie alla collaborazione con U.D.i.Re, infatti, l'UGL offre un servizio di assistenza e supporto legale e psicologico a tutte le persone vittime di maltrattamenti o violenza in ogni ambito delle realtà lavorative in cui opera. UGL e U.D.i.RE sono in prima linea per garantire una vita familiare serena e un ambiente di lavoro sano. Un piccolo gesto per una grande lotta.
Grazie a tutte e a tutti.



PRESIDENTE

Ringraziamo Silvia Marchetti di UGL-Piemonte.
La parola alla Consigliera Sara Zambaia.



ZAMBAIA Sara

Grazie, Presidente.
Innanzitutto ringrazio il Presidente Allasia, l'Ufficio di Presidenza e i Presidenti dei nostri Gruppi consiliari per aver scelto di svolgere anche per quest'anno questo Consiglio regionale aperto; così come ringrazio gli Uffici del Consiglio regionale che anche quest'anno, con passione, ci hanno permesso di arricchire la nostra mattinata con interventi utili e interessanti per fare il punto, il bilancio di quest'anno e capire insieme anno dopo anno, in quale direzione andare per migliorare questo fenomeno.
Non era scontato, Presidente, anche perché già lo scorso anno abbiamo fatto per la prima volta un Consiglio regionale aperto sulla violenza di genere.
Era stata un'attività molto ben recepita, soprattutto da parte di tutti i soggetti che compongono questo vasto mondo, quindi non era scontato che anche quest'anno si riuscisse a svolgere questo Consiglio aperto. Non era scontato, perché ormai siamo abituati, come ci siamo detti, a parlare di 25 novembre probabilmente anche al di fuori del 25 di novembre. Ormai, tutto l'anno parliamo di questa tematica e aggiungerei per sfortuna, perché se ne parliamo tanto, nonostante la sensibilizzazione e le politiche trasversali che operiamo tutti quanti su tutti i livelli istituzionali, vuol dire che il problema permane ed è sempre sul livello di allarme.
È in questo senso, Presidente, che voglio volgere i miei ringraziamenti di oggi: organizzare nuovamente un Consiglio regionale aperto sulla violenza di genere non è semplicemente dedicare un'attività istituzionale qualunque.
Avremmo potuto fare tante attività istituzionali dedicate al 25 novembre ma abbiamo scelto, ancora una volta, di organizzare questo Consiglio regionale aperto, perché farlo ha significato dare la possibilità, al mondo che rappresenta questo fenomeno, di adoperarsi attivamente, portando nella composizione istituzionale più alta della Regione Piemonte, l'Aula del nostro Consiglio regionale, un'analisi puntuale sullo stato dell'arte.
Non solo, Presidente; dare voce a questo mondo significa dare voce, e soprattutto dignità, a quell'universo che c'è dietro, composto da centinaia di donne, ma anche di uomini, che hanno avuto il coraggio di denunciare quello che stavano vivendo nella loro vita, ma, soprattutto, a quelle migliaia di donne e di uomini che quel coraggio semplicemente non l'hanno mai avuto, nonostante la presenza di noi istituzioni, nonostante la presenza di noi politici e della vicinanza delle Associazioni. Quindi Presidente, con il Consiglio regionale aperto di questa mattina, quel coraggio mancato, ma soprattutto quella sacrosanta dignità, siamo noi siamo noi donne delle istituzioni, donne e uomini delle istituzioni; siamo noi politici, con tutte le realtà che sono intervenute quest'oggi, unite e riunite in questa battaglia, dove purtroppo c'è ancora tanto, ma veramente tanto da fare per combatterla, ma soprattutto per vincerla definitivamente.
La società. Ci tengo a partire da questo concetto.
Siamo veramente sicuri che la nostra società sia realmente e concretamente pronta a dare il giusto sostegno e accettare determinate situazioni che gravitano attorno alle donne che scelgono di fare un cambiamento radicale della propria vita, di riprendersela in mano, di denunciare e di andare oltre? Onestamente, Presidente, non penso proprio che la società sia ancora pronta. Non voglio ripetermi rispetto a quello che avevo detto lo scorso anno durante il Consiglio regionale aperto, dove avevamo parlato del problema macro della violenza di genere, quello della necessità di una vera e propria rivoluzione culturale, ma da qui devo comunque ripartire perch nonostante l'anno passato, il problema rimane.
Esistono tanti tipi di violenza di genere. Nell'immaginario comune si parte chiaramente dalla violenza fisica: se una donna riceve dei maltrattamenti fisici e magari si presenta anche sul posto di lavoro con un livido o con un braccio rotto, allora la società riconosce quel gesto come una violenza conclamata, la riconosce come vittima e fa di tutto per spronarla a cercare di andare oltre e di ripartire denunciando. Ma se pensiamo ad altri tipi di violenza di genere, come ad esempio quella psicologica (di cui abbiamo parlato tanto) o anche quella che avviene in rete (peraltro di questa domani, proprio in Aula del Consiglio regionale, alle ore 10, come Comitato regionale per i diritti umani faremo un convegno ad hoc per parlare di questo fenomeno) o se parliamo della violenza cyber, mi dispiace Presidente, il discorso cambia drasticamente.
In questi casi, automaticamente mi viene da dire che è ancora vivo quel tarlo sociale che inizia a stilare ipotesi di giudizio, a mettere anche la donna, o comunque la vittima, qualsiasi essa sia, nella posizione di eventuale provocatrice o talvolta addirittura di causa e, di conseguenza, a giudicare le sue eventuali scelte di sorte. È in questo caso, Presidente che dico che la nostra società, nonostante la sensibilizzazione e le iniziative politiche, non è ancora pronta, perché se invece quella donna non si presenta con segni tangibili di violenza sul suo volto, ma semplicemente con dei segni all'interno della propria personalità e della propria anima, purtroppo questo automatismo di cui ho parlato prima viene meno e in un qualche modo si espone socialmente a quello che è, come io dico sempre, il chiacchiericcio sociale e se opererà con il coraggio di fare determinate scelte sulla vita - ahimè - dovrà sopportare, per il resto dei suoi anni, l'incapacità di giustificare la sua scelta.
Questo è il grande scoglio: l'opinione pubblica. Se tante donne o uomini non trovano il coraggio di uscire dalla situazione che stanno vivendo, non è solamente per la paura di non farcela, perché magari non possono contare sull'appoggio della propria famiglia o sulla comprensione dei propri amici spesso, tra l'altro, allontanati proprio dal partner, come abbiamo visto oppure perché non hanno la serenità economica di farlo. Non è solo quello che pesa, ma quello che pesa è proprio questo giudizio sociale da cui purtroppo, siamo ancora molto, ma veramente molto lontani per potere vincere questa battaglia. È il vero nodo della violenza di genere. Come ho detto l'anno scorso, è questo il vero nodo della violenza di genere: il conflitto sociale.
Sempre a proposito di conflitto sociale, ci sono altri elementi che incidono sul fattore giudizio: l'età della vittima, la durata della relazione, lo status sociale della vittima o del partner. Se la vittima in questione è una giovane donna, che decide semplicemente, per tempo - perch si rende conto fortunatamente per tempo - di riprendersi la propria vita in mano, il giudizio sociale aumenta. Se in più ha una professione che la espone socialmente o se il partner ha una professione che lo espone socialmente, allora la situazione si aggrava ulteriormente. L'esposizione sociale della professione espone automaticamente la vittima, come dicevo prima, al chiacchiericcio della società e la sua situazione privata, la sua dimensione personale, in qualche modo, autorizza gli altri a parlarne illegittimamente. Questo comportamento pesa e peserà sempre notevolmente su quel coraggio che serve, invece, per prendere una sana decisione.
Questo conflitto sociale - lo ripeto volutamente, Presidente - è il vero nodo della violenza di genere. È da qui che ogni anno ci dobbiamo dire che dobbiamo ripartire. Sul fronte istituzionale abbiamo sempre tutti trasversalmente fatto tanto. Nel 2019 è entrata in vigore "Codice Rosso" un'importantissima legge voluta da Giulia Bongiorno, che permette alle donne che denunciano di essere ascoltate dalla Magistratura entro 48 ore.
Abbiamo istituito il Telefono Rosa; a tutti i livelli istituzionali siamo impegnati ad attivare o a intensificare le nostre reti molto fitte di Centri antiviolenza, Sportelli di ascolto, associazioni, di attività all'interno delle scuole. Le forze dell'ordine, lo abbiamo visto, sono il nostro grande punto di riferimento, non solo per la cittadinanza, ma anche per noi istituzioni e la loro presenza, in questa partita, è veramente una costante garanzia. Ed è per questo che li ringrazio.
Potrei andare ancora oltre, ma non avrebbe senso, perché stiamo tutti mettendo in campo le azioni che servono ma, come dicevo prima, purtroppo tutte queste azioni non saranno mai realmente sufficienti, fino a quando non avverrà veramente quella rivoluzione culturale di cui anche lo scorso anno abbiamo parlato. Possiamo solamente sperare in una società che cambi possiamo solo ridirci di partire quotidianamente dalle scuole perché quei bambini che oggi apprendono, lo abbiamo visto anche con i rappresentanti delle scuole che sono intervenuti questa mattina, c'è solo da sperare che un giorno saranno veramente degli adulti con una consapevolezza diversa.
Allora lì sì che potremo dire tutti insieme di avere vinto una battaglia.
Non mi voglio dilungare ulteriormente, Presidente, ma ci tengo nuovamente a ringraziare tutti i soggetti che sono intervenuti questa mattina. Ripeto potevamo fare tante attività, invece abbiamo scelto di convocare nuovamente il Consiglio regionale aperto, che non è una banale attività, ma è dare voce a quel mondo che non ha il coraggio di parlare.
Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Ringraziamo la Consigliera Sara Zambaia per l'intervento.
La parola alla Consigliera Monica Canalis.



CANALIS Monica

Grazie, Presidente.
Credo anch'io che sia molto importante l'iniziativa che stiamo celebrando oggi, 22 novembre, a pochi giorni dalla giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne.
Quest'anno io vorrei soffermarmi nel mio intervento su un tema che, in parte, abbiamo già toccato negli scorsi mesi in Consiglio regionale, con riferimento ad altre categorie sociali, quella dei minori e degli anziani non autosufficienti. Vorrei infatti soffermarmi sul tema della famiglia perché è proprio all'interno del nucleo familiare che, purtroppo, molto spesso, si verificano questi episodi di violenza. Penso, infatti, che riflettere in maniera profonda, non pregiudiziale, ma anche molto oggettiva sulle dinamiche della realtà familiare oggi, ci aiuti a capire come mai tante donne fanno fatica a denunciare il pericolo a cui sono esposte e come mai arriviamo spesso troppo tardi.
Questa riflessione - ripeto - può essere adattata anche ad altre categorie sociali, ma oggi è importante che la facciamo per le donne e rispetto ai diritti delle donne. Qual è il vizio di fondo? Che troppo spesso la famiglia è considerata come un universo privato e isolato rispetto al resto della comunità; invece, ciascuna persona necessita di un legame affettivo familiare, ma anche di una rete più ampia, di una comunità che sappia offrire ulteriori relazioni, opportunità di crescita e anche opportunità di aiuto laddove necessario e possa essere anche un salvagente nei momenti di fragilità.
Eppure, sempre più spesso, si corre il rischio, come dicevo, di considerare la famiglia come un universo privato nella cui intimità è bene non intromettersi, come se il legame familiare creasse una sorta di confine con il mondo esterno. Dietro a questa concezione privatistica e isolata della famiglia, si nasconde, a mio modo di vedere, un modello individualista e frammentario delle relazioni umane. Questo modo di concepire la famiglia è un riverbero della concezione individualista dell'uomo e della donna, crea molti rischi e tradisce anche una visione davvero di monadi, di frammentazione sociale.
La famiglia è un nucleo fondante della società, ma è necessario che sia fortemente integrata con il resto della comunità sia nei momenti di gioia sia nei momenti di pericolo o di grande fragilità. Lo stesso potremmo dire ad esempio, per le situazioni di non autosufficienza, quando troppo spesso le istituzioni pubbliche abbandonano sulle spalle delle famiglie un carico di cura molto oneroso e anche tecnicamente non affrontabile dai parenti che necessita di un contributo professionale, come se quello che avviene tra le pareti domestiche fosse compito della famiglia, fosse responsabilità della famiglia, fosse un affare privato della famiglia. Questo vale anche per la violenza domestica, vale anche per il disagio minorile di cui tanto abbiamo dibattuto in quest'Aula in questi ultimi anni.
Il preoccupante aumento della violenza di genere e anche delle vittime di questa violenza è un fenomeno che richiede un importante investimento educativo, in alcuni casi repressivo - lo abbiamo detto questa mattina - ma anche un intervento culturale: non concepire la famiglia come un mondo privato, idealizzato in cui non intromettersi, ma un mondo attorno al quale costruire una rete che può anche essere un salvagente, laddove è necessario.
Io non credo che siamo vicini a questa svolta culturale: anzi, credo che manchi ancora molto. Ammettere, in molti casi, che sia la famiglia ad avere dei limiti, sembra quasi un attacco alla famiglia; invece così non è.
Ammettere i limiti significa ammettere che abbiamo tutti delle responsabilità, per creare questa rete di protezione, questa rete di puntello e anche questa rete di uscita dalla famiglia, laddove questa diventi un ambiente tossico, inadeguato e pericoloso.
In tutto questo, chiaramente, c'è anche una serie di compiti che la Regione deve svolgere. In molti interventi che abbiamo ascoltato ci è stato ricordato che va approvato il Piano triennale sui Centri antiviolenza. Non è vero che abbiamo fatto tutto a puntino: questo deve essere ancora fatto.
Dobbiamo lavorare ancora molto sul tema del linguaggio, che non è una questione secondaria: perché, surrettiziamente, è come se si ammettesse che quello che non esiste nella lingua non esiste neanche nella realtà. Occorre riconoscere che le donne svolgono dei ruoli sociali, ma occorre riconoscerlo anche con il linguaggio, quindi anche con questa forma di rispetto. Occorre combattere, attraverso l'istituzione regionale, ogni forma di esclusione delle donne, perché più la donna è inserita nel contesto sociale, lavorativo e politico - l'abbiamo visto anche nel video di apertura di questo Consiglio regionale aperto - e meno è soggetta al sopruso, meno è sola, più è inserita in una rete comunitaria.
Siamo molto in ritardo nell'approvazione del Regolamento relativo alla legge sulla parità retributiva tra uomo e donna: parliamo di una legge regionale approvata in questa legislatura che, purtroppo, non ha ancora un Regolamento applicativo che la renda effettivamente applicabile. Mancano ancora molte misure per combattere l'esclusione delle donne dal mercato del lavoro: più donne sono a casa, senza avere una propria autonomia finanziaria, e più donne sono soggette al pericolo di essere deboli rispetto ad una minaccia, rispetto ad un ricatto, rispetto ad una violenza.
Per quanto concerne l'esclusione sociale, dalla Regione dipendono quelle infrastrutture di cure sanitarie e sociali che possono consentire alle donne una conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare. Se non abbiamo progetti domiciliari o residenziali per le persone non autosufficienti, o non ne abbiamo a sufficienza, è chiaro che questo ricade innanzitutto sulle donne. E questo è collegato, poi, alle spirali di violenza o di ricatto familiare. Se non abbiamo sufficienti progetti di accompagnamento alle famiglie fragili, è chiaro che questo ricade - non sempre, ma in primis - sulle donne. Se la nostra Regione non ha ancora integrato la propria legge elettorale regionale con la doppia preferenza di genere, questo, in qualche modo, ricade anche sulle dinamiche culturali della nostra Regione, sulle dinamiche di inclusione. Non sono fenomeni avulsi uno dall'altro.
Lavoriamo sulla prevenzione. C'è già qualcun altro che si occupa molto bene di repressione nella nostra Regione. Il nostro è un compito più legato alla prevenzione, alla cultura, alla costruzione di infrastrutture sanitarie, sociali e di accoglienza per le donne vittime di violenza: misure che possano poi essere integrate con chi, in altri ambiti istituzionali, si occupa di repressione.
Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Ringraziamo la Consigliera Monica Canalis.


Argomento: Varie

Saluto del Presidente del Consiglio ai docenti e agli allievi della scuola elementare Istituto Comprensivo "Alvaro-Gobetti" di Torino


PRESIDENTE

Saluto i docenti e gli studenti della classe 5 C della scuola elementare Istituto Comprensivo "Alvaro-Gobetti" di Torino, oggi in visita al Palazzo Lascaris, ai quali auguro buona permanenza.


Argomento: Condizione femminile

Assemblea aperta ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno inerente a "Prevenzione e contrasto per l'eliminazione della violenza contro le donne: riflessioni, esperienze e progetti in occasione della Giornata internazionale del 25 novembre" (seguito)


PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la Consigliera Silvana Accossato; ne ha facoltà.



ACCOSSATO Silvana

Grazie, Presidente e grazie dell'attenzione.
Chiedo subito scusa ai colleghi e ai convenuti, ma dovrò scappare a breve per una visita medica da tempo programmata per le ore 13.00.
Ringrazio anch'io il Consiglio regionale e la Commissione dei diritti umani per l'organizzazione di questo incontro, che in qualche modo prova anche a scuotermi un po' da una certa fatica e stanchezza, dopo tanti anni di attenzione e di impegno su questo tema. Oggi, nel mio ragionamento e nelle mie riflessioni, unisco la ricerca di un rinnovato e ancora fortemente necessario impegno su queste tematiche ad un certo pessimismo rispetto a quanto ancora non si è raggiunto e a quanto ancora questi fenomeni siano così presenti nella vita quotidiana di cittadine e di cittadini.
Non è bello citarsi, ma ricordo con orgoglio quando, nel 1988, come Assessore, attivai il primo Telefono Donna in Italia, un Telefono Rosa rivolto alla denuncia delle violenze. Sono ormai passati trentacinque anni e oggi il Telefono Rosa ci racconta, nel suo intervento, come questa esigenza sia ancora forte e quotidiana.
Aggiungerei un aspetto: con il tempo si è acquisita sicuramente maggiore sensibilità, maggiore considerazione e consapevolezza da parte delle donne, quindi il numero di denunce è cresciuto; credo che questo sia l'altro aspetto della medaglia. Parliamo, quindi, di un fenomeno probabilmente in aumento - perché la violenza c'è sempre stata - ma anche di una maggiore consapevolezza da parte delle donne e del contesto sociale quindi di una maggiore capacità di denuncia. Questo lo rileviamo come aspetto positivo, in un percorso che vede la società civile e le istituzioni fortemente impegnate per arrivare al superamento di questa situazione.
Voglio ringraziare tutte le relatrice e i relatori di oggi, perché ci hanno portato dati aggiornati; ci hanno raccontato, dal punto di vista del loro lavoro, il loro operato, stimolandoci, come Consigliere e Consiglieri regionali (e, in generale, come istituzioni), a lavorare ancora di più e ancora meglio. Sicuramente, la nostra azione, sia legislativa che attuativa delle leggi, dev'essere più efficace, più puntuale e può ancora fare molto.
Voglio soffermarmi soltanto su alcuni aspetti - anche perché ho ancora un paio di minuti a disposizione - tra le tante questioni che sono oggi all'attenzione. Il primo aspetto, che per me sta diventando sempre più importante, è il ruolo degli uomini, la consapevolezza maschile. Oggi abbiamo ascoltato una testimonianza forte ed importante; sapevo dell'esistenza da alcuni anni di questa associazione. Questa deve essere la prima di tante associazioni; lo auspico e quindi il mio è anche un appello e un invito, quello che faccio quotidianamente al mio compagno e agli amici che conosco, perché devono essere gli uomini i primi a dire "Noi non siamo così. Noi non ci possiamo riconoscere in questo modello maschile" altrimenti l'azione delle donne rischia di risultare vana e poco efficace.
Siamo, quindi, sull'aspetto culturale, ma anche fattivo, perch l'intervento sui maltrattanti o sugli abusanti deve partire dalla metodologia del rapporto tra pari e non può essere più forte e più efficace se non parte proprio all'interno di relazioni maschili, ancor più di quelle di potere, anche se è bene che la questura intervenga ed è bene che gli interventi di allontanamento e gli ammonimenti crescano e vengano utilizzati come strumento.
Ancora due aspetti: l'educazione e la formazione. Non ci stancheremo mai di richiedere educazione sessuale ed educazione sentimentale diffuse e distribuite in ogni ordine di scuola, perché è lì che crescono le nuove generazioni. Inoltre, c'è un impegno che dobbiamo assumere e che ha preso questa mattina il Presidente Cirio. Abbiamo capito che c'è un tavolo di lavoro fermo da un anno, che c'è del lavoro da fare. Il sostegno ai Centri antiviolenza deve essere un impegno forte in questo senso per continuare una politica che in questi anni la Regione ha portato avanti.
Raccogliendo le tante indicazioni che questa mattina sono arrivate concludo dedicando questa giornata e questo 25 novembre alle tante donne che nel mondo lottano e sono in difficoltà, le donne iraniane e le donne afgane di cui ogni tanto tendiamo a dimenticarci e comunque a tutte le donne vittime di violenza nel mondo. Grazie, Presidente, anche per la gentilezza di avermi consentito di sforare il tempo.



PRESIDENTE

Ringraziamo la Consigliera Silvana Accossato per l'intervento.
Prende ora la parola il Consigliere regionale Andrea Cane.



CANE Andrea

Grazie, Presidente.
Un saluto a tutti, anche a chi sta seguendo da casa e anche ai ragazzi e ai bambini che erano qua dietro. Ricordo a tutti coloro che sono intervenuti questa mattina e a chi ci sta seguendo in diretta che oggi siamo qui per focalizzare tutta l'attenzione dell'opinione pubblica su un tema di grande attualità e per celebrare la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, che è stata fissata convenzionalmente dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per il 25 novembre. Questo è successo dopo che nel 1960 nella Repubblica Dominicana furono uccise tre attiviste politiche, le sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa) per ordine del dittatore Rafael Leonidas Trujillo.
Oggi nella Giornata contro la violenza, e quindi anche contro i femminicidi, si commemorano e si ricordano tutte le donne alle quali è stata negata la vita, ovvero strappate ai loro affetti, seviziate, uccise vittime di un percorso per cui la morte è lo stadio finale. Tutto ciò che si mette in campo prima di arrivare a questo gesto estremo distrugge ed annienta ancora di più quella donna; quindi, non è solo la morte, ma è anche la violenza fisica, psicologica, verbale, lo stalking. Quando non si arriva alla morte, l'esposizione alla violenza ha effetti negativi a breve e a lungo termine sulla salute fisica, mentale, sessuale e riproduttiva della donna. Le conseguenze possono determinare per le donne isolamento incapacità di lavorare, limitata capacità di prendersi cura di se stesse e dei propri figli. Anche gli stessi bambini - e questo è molto importante e molto spesso viene sottovalutato - che assistono alla violenza all'interno dei nuclei familiari possono soffrire di disturbi emotivi e del comportamento. Questo per tutta la loro vita, senza contare anche gli atti di emulazione che possono capitare nella fase adulta.
Quindi, parlarne oggi dove si amministra la cosiddetta res pubblica è fondamentale, perché è chiaro, esplicito e palese che gli effetti della violenza di genere si ripercuotono sul benessere dell'intera comunità. Se la violenza impatta in modo così distruttivo sulla comunità, Presidente, è proprio da lì che voglio partire.
Solo ieri mi è capitato - ahimè - di sentire al TG regionale che in un paese apparentemente tranquillo del mio Canavese (le mie terre) un uomo ha tentato di uccidere la compagna in strada, dopo un violento litigio. La donna è stata colpita con un coltello a serramanico dal compagno. Stando alle ricostruzioni dei Carabinieri, la sua colpa sarebbe stata semplicemente quella di aver cercato di mettere fine alla relazione. L'uomo avrebbe quindi reagito, estraendo il coltello e colpendo la donna al collo e alla schiena con diversi fendenti, i quali, per fortuna, non sono andati in profondità. La donna è riuscita a divincolarsi e a chiedere aiuto; è stata soccorsa e portata in ospedale. L'uomo è stato allontanato, poi rintracciato e fermato dai Carabinieri della compagnia di Ivrea, che colgo l'occasione per ringraziare.
Purtroppo, però, la maggior parte di questi fatti finiscono in modo ben peggiore e il giorno dopo si è costretti - ahimè - ad aggiornare la conta delle donne morte. Questi sono i fatti nudi e crudi, però la domanda che ci facciamo è: come deve rispondere la comunità a tutto ciò? Penso che debba rispondere con la cultura, con la conoscenza, facendo tutti insieme rete.
Per cui, sempre facendo riferimento agli stessi territori che ho citato poco fa per un fatto di cronaca, si possono fare alcuni esempi di rete, di come si combatta la violenza con fatti reali, con eventi che parlino della stessa violenza e che quindi la combattano.
Avremo una tavola rotonda, "Il coraggio di una ferita nascosta", in collaborazione con il Lions Club di Ivrea, che è programmata per la serata di domani. Durante questa serata, si affronteranno sempre i delicati temi del matrimonio combinato, delle spose bambine, delle mutilazioni genitali femminili e, poi, la sofferenza delle soldatesse e delle donne in guerra.
La rassegna terminerà venerdì 25, con lo spettacolo "Fuochi. Ribelli coraggiose, libere".
Proseguiremo con l'evento di Colleretto Giacosa, dove il 25 novembre presso la piazza del Municipio, ci sarà la deposizione di un fiore bianco sulla panchina rossa di Colleretto e alle 21, presso il Pro-riuso, ci sarà la proiezione di un documentario a cura dell'Associazione Violetta. A San Maurizio Canavese, l'installazione "Arianna, il filo che ti salva" sarà attiva fino al 28 novembre. Questa installazione consiste nel rivestire gli alberi del viale che conduce alla Chiesa vecchia del cimitero di San Maurizio Canavese con dei quadrotti di lana cuciti insieme. Su ogni albero sarà affissa la storia di una donna.
L'8 dicembre, l'associazione "La rete delle donne" di San Maurizio Canavese inaugurerà l'albero di Natale contro la violenza.
Termino con Volpiano, dove il 26 novembre verrà proiettato il film "Io ci sono", che racconta la storia di Lucia Annibali, una donna aggredita con l'acido solforico. Infine, venerdì 25 novembre, saremo con gli amici del "Ranch delle donne" a Nichelino, cui tengo particolarmente, perché ritengo sia una delle nostre eccellenze piemontesi; unica al mondo come tipologia di supporto per le nostre donne. Cosa faremo? Inaugureremo una panchina rossa, per ribadire ancora una volta come questo simbolo, sempre, tutto l'anno, per dove è posizionata, dica un no fermo alla violenza. Proprio di questo luogo, il "Ranch delle donne", mi piace citare una frase che recita: "Anche noi ora abbiamo una chiave e abbiamo anche trovato una serratura, ma ciò che aprirà è un tesoro che aspetta solo di essere portato alla luce".
Quindi, la domanda che voglio fare a tutti voi è la seguente: finita questa settimana, cosa resta? Cosa resterà? Quale sarebbe questo tesoro da portare alla luce? Sicuramente, resta l'impegno di ognuno di noi, dentro e fuori dall'aula, come persone, prima che come amministratori, per sanare i danni che la violenza fa i singoli e alla comunità, con azioni incisive e urgenti per il contrasto al crescente fenomeno della violenza nei confronti delle donne. Non solo, quindi, a partire dal ruolo che può avere un Consigliere regionale, ma anche quello di un amministratore di un Ente locale, di un Sindaco o di qualsiasi semplice cittadino. Questo come lo facciamo? Con tanta, tanta informazione, a partire dalle famiglie e dalle stesse scuole quindi famiglie e scuole, da non perdere mai di vista.
Ciò che auspico, anzi ciò che sono sicuro che tutti noi auspichiamo, è un obiettivo contenuto anche nel nostro stesso programma elettorale di governo, ovvero l'obiettivo "zero femminicidi", ripeto, zero femminicidi che muove dalla scorta alle donne vittime di stalking fino all'arresto in flagranza per chi non rispetta le misure cautelari del Codice rosso, che ricordo - è un provvedimento, approvato nel 2019, contro la violenza sulle donne, utilizzando anche lo strumento della creazione di Sezioni di Tribunale specializzate in violenza di genere.
Termino, Presidente, dicendo ancora una volta che la violenza è una malattia e per le malattie occorrono medicine, medicine forti e reali purtroppo, con le mentine o con le caramelle, non si salvano le vite.
Ringrazio tutti coloro che durante l'anno si battono a livello operativo o anche solo come esempio contro la violenza; ringrazio in particolare tutti coloro che sono intervenuti oggi, che hanno dato un valore aggiunto a questo Consiglio regionale aperto.



PRESIDENTE

Grazie.


Argomento: Varie

Saluto del Presidente del Consiglio ai docenti e agli allievi dell'Istituto Superiore "Erasmo da Rotterdam" di Nichelino


PRESIDENTE

Saluto i docenti e gli studenti dell'Istituto Superiore "Erasmo da Rotterdam" di Nichelino, che partecipano al progetto "Ambasciatori del Consiglio regionale", in visita a Palazzo Lascaris, ai quali auguro buona permanenza.


Argomento: Condizione femminile

Assemblea aperta ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno inerente a "Prevenzione e contrasto per l'eliminazione della violenza contro le donne: riflessioni, esperienze e progetti in occasione della Giornata internazionale del 25 novembre" (seguito)


PRESIDENTE

La parola al Consigliere Giaccone.



GIACCONE Mario

Grazie, Presidente.
In questa seconda occasione, nella quale ci troviamo in quest'aula per ragionare insieme su questo problema che ci coinvolge tutti, ascoltando tutte le testimonianze, mi convinco sempre più della sua utilità e necessità, perché il problema non solo non si ridimensiona ma, malgrado una crescente consapevolezza, continua a mantenere i medesimi valori.
Nel mondo, la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3 e, in Italia i dati ISTAT mostrano che il 31,5% delle donne ha subito della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Non voglio pensare in quest'Aula, visto che ci sono più di tre donne: la statistica dice che senz'altro qualcuna di loro sia rimasta coinvolta.
I dati del report del Servizio analisi criminale della Direzione centrale di polizia criminale dicono che nel 2021 sono stati 119 gli omicidi con vittime di sesso femminile; le donne uccise in ambito familiare e affettivo, nel 2021, sono state 103, il che vuole dire che la maggior parte di questi accade effettivamente in famiglia.
Nel triennio 2017-2019, un'analisi condotta dal Ministero della Salute e dall'ISTAT sugli accessi in pronto soccorso dice che le donne che hanno avuto almeno un accesso in pronto soccorso con l'indicazione di diagnosi di violenza sono 16.140; le stesse donne, nell'arco del triennio analizzato hanno effettuato anche altri accessi con diagnosi diverse da quella riferibile a violenze; una donna che ha subito violenza nell'arco del triennio torna in media 5 o 6 volte in pronto soccorso.
Le analisi sono tante e diverse, ma ho voluto accennare ad alcune brevemente per avere tutti noi contezza delle dimensioni del fenomeno e della sua gravità. Quali le azioni? Alcune sono state già dette dai colleghi e anche molto bene dalla collega Canalis. Azioni che, come cittadini e come decisori politici, possiamo effettuare per cercare di arginare o per cercare di sperare che un giorno questo problema sia, se non eliminato, progressivamente ridimensionato.
C'è un'attività di sostegno, di verifica dell'utilizzo dei fondi pubblici e che questi siano adeguatamente utilizzati; all'interno delle attività di sostegno sta anche l'appoggio e l'attenzione alla rete dei Centri antiviolenza, il sostegno alle campagne legali per il riconoscimento dei diritti degli orfani e delle vittime di violenza, ma c'è anche - come è stato già detto - un'attività necessaria e fondamentale di prevenzione.
Quello che possiamo fare adesso riguarda il presente, ma l'attività di prevenzione mette delle ipoteche positive sul futuro, lavorando sull'educazione al rispetto delle donne. Attraverso il rispetto delle donne si pongono le basi per ogni convivenza tra persone con abilità, identità credo religioso, colore della pelle e stato sociale o economico diverso.
Non ci si può aspettare che chi non rispetta le donne rispetti chi riconosce come diverso da sé.
C'è una necessità di lavorare in termini di prevenzione anche sul linguaggio: l'utilizzo di un linguaggio inclusivo non è un aspetto secondario sul quale si può soprassedere, perché sappiamo che le parole danno il nome alle cose, ma anche le definiscono e le circoscrivono, non solo alle cose, ma anche ai comportamenti e agli atteggiamenti.
Sono da promuovere attivamente campagne di sensibilizzazione e di educazione rivolte alle donne stesse, perché abbiano contezza di quali sono i segni premonitori di rapporti potenzialmente a rischio già nel momento in cui questi iniziano; come c'è da sensibilizzare, istruire e formare tutti gli operatori sanitari, i medici di medicina generale in particolare, ma tutti quelli che operano sul territorio a contatto con il pubblico.
C'è un tema che riguarda, sempre nella prevenzione e nella formazione l'educazione finanziaria. È stato già detto in quest'Aula questa mattina: circa il 17% delle donne non ha un conto corrente e non è neppure cointestataria. Una maggiore autonomia economica e la gestione diretta del proprio patrimonio, dallo stipendio alla pensione, facilitano moltissimo l'autonomia e aiutano a emanciparsi da situazioni di violenza psicologica e fisica. Non c'è solo un tema di natura intellettuale, c'è soprattutto un tema di natura materiale, pratica e quotidiana. L'educazione è uno strumento fondamentale, poiché in grado di proporre un'alternativa alla cultura che legittima una serie variegata ed enorme di atti quotidiani di svalutazione, di negazione e di umiliazione che, nella maggior parte dei casi, non vengono riconosciuti come tali, non solo da chi li compie (possiamo senz'altro, tra questo, indicare il genere maschile), ma spesso neanche da che li subisce. È chiaro che in questo caso, anche se incolpevolmente, dobbiamo riferirci alla componente femminile.
La presa di consapevolezza del fatto che tutti questi comportamenti, questi atteggiamenti e queste frasi squalificanti continuino a perpetrare l'asimmetria è l'elemento fondamentale. C'è un tema legato al lavoro: la cultura tradizionale del lavoro ha penalizzato le donne nella dimensione pubblica impedendola, come è stato già detto questa mattina, di avere un rapporto equiparabile a quello di un uomo, ma ha dato anche l'alibi all'uomo per sottrarsi alla sua dimensione privata e a una reale equiparazione dei compiti, sia all'esterno sia all'interno del proprio nucleo familiare.
Non mi dilungo sul tema della comunicazione, già illustrata, come se fosse la donna a indurre a determinati comportamenti o, quanto meno, che con particolari atteggiamenti si tenda a dare un alibi all'uomo che ha compiuto l'azione di violenza.
Vado alla conclusione, Presidente, ringraziandola per la pazienza.
Rimanendo anche solo nel nostro Paese, che senz'altro è migliore di altre aree del Pianeta a cui si è fatto riferimento questa mattina, la violenza fisica, la differenza di salari e di prospettiva di carriera, l'assenza della medicina di genere (sta nascendo adesso, ma faticosamente), il divario del carico mentale e del lavoro domestico, la discriminazione professionale e mille altri svantaggi sono circostanze che provano in maniera allargata la disparità che ancora regna tra i generi anche nella nostra avanzata Italia. Non si tratta solo di una situazione ingiusta, ma di una situazione che presuppone costi altissimi per la nostra società in termini sanitari, di salute pubblica, di ordine pubblico, ma più ancora - e questo è l'aspetto a mio avviso più importante - di perdita di opportunità per tutto il sistema, perché non consente di mettere correttamente a valore tutte le risorse a disposizione se, oggettivamente, la metà dei soggetti che ne fa parte sono discriminati.
Non ci sono solo i femminicidi conclamati (certo, la maggior parte degli uomini pensa di avere un atteggiamento corretto) se di omicidi, assassini o picchiatori non ce ne sono uno ogni due; senz'altro uno ogni due ne abbiamo tra coloro che si rendono protagonisti di atteggiamenti che gli omicidi e i pestaggi sistematici preparano e giustificano o, quanto meno tollerano.
Quanti comportamenti scorretti, da parte di uomini con una mentalità maschilista, ammantata di gentilezza e di riguardo, però paternalistici e sostanzialmente asimmetrici, perpetrano questo tipo di comportamento violento. Contribuire a superare una situazione evidentemente ingiusta è una responsabilità di ciascuno, perché dagli effetti devastanti di questo nessuno può sentirsi estraneo, ma ciascuno a suo modo coinvolto.
Grazie, Presidente, per la pazienza.



PRESIDENTE

Ringraziamo il Consigliere Mario Giaccone e mi scuso per il richiamo al tempo: vorrei che su questi temi ci fosse un tempo infinito per tutti.
La parola alla Consigliera Alessandra Biletta.



BILETTA Alessandra Hilda Francesca

Grazie, Presidente.
Voglio ringraziare anch'io il Consiglio regionale, a nome del Gruppo di Forza Italia, per aver organizzato questo importante momento di confronto e ringraziare tutti gli ospiti intervenuti per gli spunti di riflessione su un tema così importante e delicato.
Molto è cambiato, sicuramente e decisamente in meglio, sul fronte dei diritti femminili da quel 17 dicembre del 1999, quando l'Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, da celebrarsi il 25 novembre di ogni anno.
Se anche questo 25 novembre aderiamo agli eventi promossi in occasione della ricorrenza significa, però, che ancora tante - troppe - donne subiscono maltrattamenti, stalking, abusi sessuali, fino all'estremo del femminicidio.
La recente vicenda dell'aggressione e dello stupro ai danni della studentessa universitaria di Torino è un esempio brutale di pura e cruda violenza. Ma non è questa - fortunatamente verrebbe spontaneo dire - la tipologia più diffusa di atto violento nei confronti di una donna. Casi come quello citato riguardano colpevoli sconosciuti alla vittima. Se si riflette, è ancora più grave che la stragrande maggioranza degli episodi che colpiscono le donne vengano invece commessi in ambito familiare.
La Polizia di Stato ha rilevato che nel nostro Paese, in media ogni quindici minuti, si registra una vittima di violenza di genere femminile.
La Commissione parlamentare di inchiesta sui femminicidi, tempo fa, ha reso noto che su un campione di 200 casi presi in esame, il 63% delle vittime non solo non aveva sporto denuncia, ma non aveva raccontato a nessuno quanto accaduto. Dello stesso campione, nel 57,4% dei casi chi uccide è il partner e nel 12,7% è un ex partner.
L'approvazione della legge sullo stalking che introduce in materia un reato penale ha consentito di aumentare i casi di denuncia, ma ci troviamo a fronteggiare alcune difficoltà: in taluni casi, la mancata applicazione delle misure cautelari; il fatto che talvolta la vittima venga consigliata di desistere dal denunciare minimizzando i fatti; il timore della vittima di subire ritorsioni dall'aggressore e la paura del giudizio nel contesto sociale in cui vive.
Che contributo, quindi, possono offrire le istituzioni nel trovare delle risposte adeguate? Il Consiglio regionale del Piemonte, la Giunta regionale, le altre amministrazioni locali, in stretta collaborazione con le forze dell'ordine e il mondo dell'associazionismo, stanno svolgendo da anni un lavoro eccellente dal punto di vista della divulgazione e della prevenzione, affinché tutte le forme di violenza, comprese quelle subdole e psicologiche, così come la mancanza di rispetto, vengano messe al bando.
Possiamo ovviamente fare di più, anche come singoli cittadini e cittadine.
Ci dobbiamo impegnare nella quotidianità delle nostre relazioni sociali in una capillare operazione culturale, per valorizzare l'identità e l'autonomia femminile, sollecitare le vittime a reinventare il loro percorso di vita, a trovare l'indipendenza economica e psicologica, così da recuperare la persona nella sua identità e dignità.
Il cambiamento culturale è necessario ed è necessario attribuire alla violenza non il significato di problema di ordine pubblico ma, piuttosto di questione che riguarda le relazioni tra donna e uomo. Per combattere la piaga della violenza non servono solo gli interventi legislativi delle forze dell'ordine: bisogna innanzitutto conoscerne ed estirparne le radici studiare le trasformazioni in corso nelle relazioni tra i sessi.
È indubbio che sul fronte della violenza contro le donne lo scenario sia sempre preoccupante, nonostante le conquiste raggiunte negli ultimi anni nell'ambito della parità e dei diritti ma, proprio per tale ragione dobbiamo perseverare nell'opera di sensibilizzazione della comunità sia come singoli sia come istituzioni. Ecco perché oggi siamo qui, ecco perch è importante che ogni anno la data del 25 novembre non passi inosservata.



PRESIDENTE

Ringraziamo la Consigliera Biletta per l'intervento.
La parola alla Consigliera Francesca Frediani.



(Commenti del Consigliere Rossi)



PRESIDENTE

È per una questione di galanteria, mi permetta. Le chiedo scusa.



FREDIANI Francesca

Grazie, Presidente.
È colpa mia, perché ho chiesto un po' di alternanza. Ringrazio anche il collega Rossi per la comprensione. È stata una mattinata molto interessante e ringrazio tutti gli intervenuti, soprattutto coloro che sono rimasti fino alla fine ad ascoltare anche i nostri interventi.
Nel video di questa mattina, quello che è stato proiettato proprio in apertura, manca una parte importante, che è il seguito della storia. Capire che cosa succede a una donna dopo che ha denunciato e capire che cosa succede al marito, quindi alla persona che l'ha maltrattata: due nodi che sono stati poi affrontati in molti degli interventi e rispetto ai quali noi dobbiamo riflettere, in particolar modo come istituzione.
Si vede bene nel video che la scelta di denunciare è una scelta molto personale, molto difficile, molto dolorosa, che noi possiamo sicuramente sostenere con i numerosi strumenti normativi che abbiamo a disposizione. Ma dobbiamo, soprattutto, intervenire sul dopo, per evitare che si ripetano dei fatti che, purtroppo, riempiono le nostre cronache ancora in modo molto pesante.
Da questo punto di vista, il Piano triennale contro la violenza che dovremmo andare prima a discutere e poi ad approvare svolgerà un ruolo fondamentale. È un piano che prevede degli obiettivi ben precisi, che hanno ricadute un po' su tutte le competenze della Giunta (guardo ai banchi della Giunta che, purtroppo, in questo momento sono vuoti, ma lo sono stati purtroppo per gran parte della mattinata, ad eccezione dell'Assessore Poggio a cui riconosco presenza costante durante tutta la seduta).
Tuttavia, non mi interessa tanto richiamare il fatto che la Giunta non abbia partecipato, quanto richiamare sulla trasversalità dei temi rispetto ai quali dovremo decidere il nostro comportamento come Consiglio regionale.
Poi ci sono dei richiami in alcuni interventi che dovrebbero essere raccolti, che sono stati anche uno schiaffo - in senso figurato ovviamente rispetto all'attività che abbiamo svolto nei mesi scorsi. Mi riferisco in particolare all'idea di famiglia, che citava anche la Consigliera Canalis, quindi al fatto che troppe volte in quest'Aula abbiamo definito la famiglia come un'oasi sicura sia per i minori sia, mi viene da dire, anche per le donne, anche se il testo di legge relativo "Allontanamento zero" era riferito in particolar modo ai minori, ma in quella discussione si è proprio vista questa visione di famiglia come luogo sicuro.
Non possiamo sicuramente utilizzare questo approccio anche quando parliamo del tema di cui stiamo parlando oggi. Spero pertanto che, nelle prossime discussioni che avremo su questa materia, ci sia modo di confrontarci in modo più aperto sia tra noi sia con le associazioni che interverranno in fase di consultazione, per capire quale sia la nostra reale posizione quale sia la nostra reale visione di famiglia e se riusciamo a vederne davvero i limiti e le difficoltà. Altrimenti non riusciremo mai a normare in modo lucido e non riusciremo mai a fare delle leggi che siano realmente di qualche utilità alle donne che si trovano in difficoltà.
C'è poi l'altro tema, che è quello del sostegno alle donne nel loro ruolo nei loro diversi ruoli (le donne hanno diversi ruoli nella società) e soprattutto, il riconoscimento della libertà delle donne di decidere sulla loro vita, sul loro corpo. Anche questo è un tema che è stato posto in quest'Aula e che spero sia stato recepito, altrimenti avremmo un atteggiamento piuttosto ipocrita perché, da una parte, dichiariamo l'utilità di queste giornate, ma se poi non accogliamo alcune osservazioni e alcune riflessioni, rischiamo di continuare ad andare dritti lungo la nostra strada, senza correggere alcune nostre decisioni e alcune nostre visioni che rischiano poi di influire sulle norme che andiamo ad approvare.
Chiudo per stare nei tempi. Abbiamo sentito una ragazzo che chiedeva scusa a nome di tutti gli uomini per quello che succede per la violenza che spesso gli uomini esercitano sulle donne. Io credo che questo ragazzo non dovrebbe scusarsi a nome di qualcuno; anzi, dovrebbe valorizzare la sua individualità. Il sistema educativo, il sistema scolastico e la società in generale dovrebbero valorizzare l'individualità di quel ragazzo, e dei ragazzi come lui, e proporlo come esempio; dovrebbero far capire che c'è un modello differente, un modo diverso di essere uomini e di rapportarsi col mondo femminile.
Se generalizziamo, se chiediamo scusa, rischiamo di non capire che ciascuno è responsabile delle proprie scelte. Dobbiamo invece far capire anche a questi ragazzi che hanno la possibilità di dire: "No, io sono diverso. E sono importante in quanto diverso".



PRESIDENTE

Ringraziamo la collega Francesca Frediani per l'intervento.
Ha chiesto la parola il Consigliere Domenico Rossi; ne ha facoltà.



ROSSI Domenico

Grazie, Presidente.
Buongiorno a tutti e a tutte anche da parte mia. Ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguire questa intensa mattinata.
Vorrei cominciare questo mio breve intervento con le parole di un grande scrittore piemontese, Sebastiano Vassalli, autore, tra le altre opere, del romanzo storico "La chimera", dove si racconta la storia di Antonia, un'umile donna processata e bruciata viva per stregoneria agli inizi del Seicento proprio a Novara.
Vassalli scrive questo romanzo (che invito tutti a leggere o a rileggere) nel 1990, ma nell'edizione pubblicata venticinque anni dopo scrive una postfazione, che recita: "La storia che io avrei raccontato doveva ruotare intorno a un personaggio femminile: perché tra le cose che erano state rimesse in discussione, in Italia e in quel periodo, tra Controriforma e dominazione spagnola, c'era il rapporto tra i sessi. Avevo messo gli occhi per il mio romanzo su una vicenda milanese dei primi anni del Seicento, già raccontata da uno scrittore contemporaneo del Manzoni Achille Mauri, in una sua opera intitolata 'Caterina Medici di Brono' novella storica del XVII secolo. La colpa di Caterina Medici, per l'epoca in cui le era toccato vivere, era quella di essere troppo bella rispetto alla sua condizione di domestica. Dove andava a servizio, gli uomini si innamoravano di lei e nascevano trambusti di vario genere, liti, gelosie e drammi familiari. Accusata di stregoneria da una sua vittima, cioè da un uomo che diceva di essere stato sedotto dalle sue arti magiche, e processata dal Tribunale dell'Inquisizione, la poveretta fu condannata a morte e bruciata viva in età di circa quarant'anni, non in una valle delle Alpi nel Medioevo, ma in una piazza di Porta Tosa a Milano nel 1617. C'era a far da sfondo a quella storia, una società che si sarebbe trasformata nei secoli successivi, fino a diventare la nostra società attuale, dove le donne non vengono bruciate nelle piazze, ma vengono uccise in molti altri modi e dove si è dovuto inventare la parola 'femminicidio'".
Presidente, ho voluto cominciare da queste parole, in primo luogo perché la letteratura spesso ci aiuta a parlare di questioni di cui facciamo fatica, anche con il linguaggio, a coglierne gli aspetti essenziali; ma anche perché questo rapporto tra i sessi, come lo definisce Vassalli, in realtà non era in discussione solo in quel periodo storico.
Noi sappiamo - lo abbiamo ascoltato anche questa mattina - che attraversa tutte le società e tutte le epoche storiche, assumendo forme diverse. È una tensione mai risolta; è una brace che continua a rimanere accesa anche quando sopra, apparentemente, c'è la cenere. E riguarda certo gli individui, ma riguarda anche il collettivo (gli psicologi parlano di "inconscio collettivo" quando si riferiscono a questi temi); riguarda anche come si organizza e si gestisce il potere nelle società (e sottolineo la parola "potere"). Non è un caso che poi si parli di violenza: "violenza" è una parola che si associa alla gestione, al controllo, al potere.
Forse oggi abbiamo parlato troppo poco di patriarcato, che è la forma in diverse modalità di attuazione storica, su cui tendenzialmente si fonda e si organizza il potere nelle nostre società, ovvero attorno alla figura del maschio, che deve avere alcune caratteristiche - dev'essere forte, non può essere fragile, non può chiedere scusa, e con un ruolo per la donna sempre minore, che non deve mettere in discussione il potere dell'uomo.
Tutto questo è retto da un sistema di valori e da una cultura che facciamo fatica a superare anche noi. Ecco perché quando la donna, in tutte le epoche storiche, trova comunque il modo di affermare la propria alterità rispetto a questo modello e la propria libertà occorre trovare il modo per riportare le cose a posto, secondo l'ordine del patriarcato, anche con fenomeni enormi, fino a fenomeni come la stregoneria (ecco perché sono partito da quella citazione).
Oggi stiamo parlando di questo tema, ma è lo stesso che ha portato all'aberrazione di quel fenomeno e di tanti altri. È un fenomeno che non abbiamo ancora superato, perché ne stiamo ancora parlando e che trova un risvolto anche ai giorni nostri, in società che vogliono eliminare dal luogo pubblico il corpo della donna, dove la donna può uscire solo se è coperta completamente, quindi non deve esistere, non può andare a scuola non può avere rapporti sociali se non accompagnata, pena la violenza, la morte, le lapidazioni. Cioè, siamo ancora a questo punto, anche ai giorni nostri, nonostante siano passate migliaia di anni di cosiddetta "evoluzione".
Ci siamo evoluti su tanti aspetti, ma su questo non ci evolviamo: semplicemente, l'aspetto rimane lo stesso, si trasforma, ma non riusciamo a fare un passo avanti in tal senso. Lo vediamo anche in Iran, oggi, dove un bacio tra un uomo e una donna diventa un atto rivoluzionario, a rischio della vita. Noi non dobbiamo immaginare che, poiché questo avviene in Iran non ci riguardi: lo abbiamo ascoltato questa mattina e non torno sul fatto che non è un caso che nella nostra società la maggior parte delle violenze vengano relegate all'interno del nucleo familiare o all'interno delle relazioni primarie, perché è una questione di equilibri.
Prima di tutto, dobbiamo essere consapevoli che questa faccenda è strutturale alla nostra cultura e non ce la caviamo con questioni di superficie, con un approccio per cui pensiamo che riguardi altre epoche o altri luoghi. No, questa faccenda ci chiama in causa come essere umani come genere umano che su questo tema ha lo scoglio evolutivo più grande che non è riuscito a superare.
Guardando a casa nostra. alcune cose sono state dette e quindi le salto, perché è inutile che io ripeta le cose dette dagli altri. Cito solo un dato: nell'ultimo Global Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum, l'Italia è al 67° posto, preceduta da Uganda e Zambia, ed è appena prima di Tanzania e Kazakistan. Questo è il posto sul Gender Gap secondo le classifiche internazionali. Questa è l'Italia, è casa nostra.
Abbiamo ascoltato l'importanza dell'autonomia economica, sociale e culturale della donna. C'è dunque molto da fare. Direi - come hanno detto i colleghi prima di me e, Presidente, vado verso la conclusione - che ci sono due aspetti: uno è quello normativo. È stato già detto: c'è qualcosa che va fatto a livello nazionale. La collega Canalis ha già ricordato - ma lo voglio dire anche io - che a livello regionale c'è una legge del 2021 che aspetta ancora i Regolamenti attuativi. Mi riferisco alla legge n. 11/2021 che si intitola "Disposizioni per la promozione della parità retributiva tra i sessi e il sostegno all'occupazione femminile stabile e di qualità".
Questo dipende da noi e dalla nostra istituzione. Dopo la giornata di oggi ci aspettiamo che il Regolamento venga messo nelle priorità della Giunta regionale.
C'è poi il tema educativo, che riguarda sia le donne sia gli uomini; certo in particolare gli uomini, ma anche le donne. Serve un profondo lavoro di educazione, che potremmo definire "affettivo" o "sentimentale", che deve avere, da un lato, la finalità di fare intendere l'amore non come una spinta appropriativa - nel senso che l'altro non è qualcosa che mi appartiene - ma come un accoglimento della differenza. Questo vale sia per l'uomo sia per la donna.
Abbiamo visto l'importanza che le giovani donne crescano nella consapevolezza che non devono accettare neanche un accenno di una dinamica di potere, di oppressione e di violenza e che, al primo segnale, devono sapere dire di no, devono sapersi ribellare, devono saper chiedere aiuto e devono sapere troncare una relazione di questo tipo. Questo è molto importante, tanto più in questo momento di rivoluzione digitale che ha portato, da un lato, anche alla trasformazione delle relazioni verso una mancanza di empatia, ma anche ad una possibilità di controllo dell'altro implementata maggiormente dalla tecnologia.
Concludo, Presidente, parafrasando De André e dicendo che nessuno di noi soprattutto dopo giornate come questa, si deve sentire assolto. Sentiamoci tutti coinvolti in quello che sta accadendo, ma soprattutto, in qualità di legislatori, avvertiamo la responsabilità di tutto ciò che possiamo fare e che dobbiamo fare da oggi pomeriggio in avanti. Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo il Consigliere Domenico Rossi.
Prende ora la parola la Consigliera Letizia Nicotra.



NICOTRA Letizia Giovanna

Grazie, Presidente.
Mi soffermerò anch'io su alcuni numeri sentiti nei discorsi di questa mattina. In Italia, dal 1° gennaio al 30 ottobre 2022, sono stati registrati 246 omicidi, con 91 vittime donne, di cui 79 uccise in ambito familiare e affettivo; di queste, 46 hanno trovato la morte per mano del partner o dell'ex partner.
Sono numeri che fanno rabbrividire, ma che sono un granello di polvere, se parliamo di violenza psicologica. Da quando è stato attivato, le vittime che contattano il 1522 segnalano la violenza fisica come la violenza principale che subiscono ma, considerando tutte le forme di violenze subite, quella psicologica è la più frequente. Come ripetuto più volte in quest'Aula questa mattina, in Italia una donna su tre è vittima di violenza, almeno una volta nella vita.
Ma che cos'è violento per una donna? La definizione di maltrattamento psicologico parla di quella serie di comportamenti che mira a sminuire una persona, ponendola in una condizione di subordinazione e danneggiandone il benessere psicologico ed emotivo. Concretamente, è quello che stamattina abbiamo visto nel video, per il quale ringrazio. Sono frasi del tipo "Sei una fallita. Fai schifo come madre. Pensi solo al lavoro" oppure "Sei grassa. Sei magra. Sei senza interessi, sei buona solo a cucinare". Queste sono frasi e comportamenti che, se mossi nei confronti di una donna purtroppo, vengono ancora culturalmente accettati, come già è stato più volte accennato.
Usciamo da questo paradigma, investendo nell'educazione dei nostri giovani al rispetto, alla reciprocità, al riconoscimento della diversità e alla condivisione, all'ascolto e alla pazienza. Per quanto riguarda l'educazione, è la famiglia che garantisce una formazione al rispetto costante dei nostri figli e dei nostri ragazzi. Al suo fianco devono schierarsi la scuola e l'istituzione; per quanto mi riguarda - com'è già stato detto questa mattina - il primo esempio siamo noi e come ci poniamo nelle nostre relazioni, il modo con il quale ci poniamo sia nelle relazioni fuori dall'ambito familiare sia nelle relazioni con il partner o con la partner, che per un bambino è fondamentale; quindi, il buon esempio per me è la migliore cosa.
Inoltre, dobbiamo incoraggiare le donne a denunciare in strutture attente ad adeguate, in grado di fornire una risposta efficace e risolutiva. Nel nostro Piemonte non mancano e questa mattina ne abbiamo avuto un bell'esempio. Disponiamo di una buona legge, che è il Codice rosso dobbiamo far valere appieno gli strumenti normativi, attraverso le persone che sono giudici, sanitari, forze dell'ordine, volontari, come quelli che oggi si sono rivolti a quest'Aula. Sono tutti dotati di strumenti e di competenze che possono far sentire la vittima finalmente accolta, sostenuta e protetta.
Voglio ringraziare, infine, i ragazzi che sono intervenuti questa mattina le forze dell'ordine che sono sempre in prima linea e tutti voi per il vostro prezioso contributo. Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Ringraziamo la Consigliera Letizia Nicotra.
Ha ora la parola la Consigliera Disabato.



DISABATO Sarah

Grazie, Presidente; cercherò di essere breve.
La violenza maschile contro le donne è sistemica, attraversa agli ambiti delle nostre vite e si articola, si autoalimenta e si riverbera senza sosta, dalla sfera familiare e delle relazioni a quella economica, da quella politica istituzionale a quella sociale e culturale, nelle sue diverse forme e sfaccettature, come violenza fisica, sessuale e psicologica.
Non si tratta dunque di un problema emergenziale né di una questione geograficamente o culturalmente determinata: la violenza maschile espressione diretta dell'oppressione che risponde al nome di patriarcato sistema di potere maschile che a livello materiale e simbolico ha permeato e continua a permeare tutt'oggi la cultura, la politica, le relazioni pubbliche e private. Oppressione e ineguaglianza di genere non hanno quindi, un carattere sporadico eccezionale, ma al contrario strutturale. La violenza assume molteplici configurazioni e il femminicidio è soltanto la punta dell'iceberg di un fenomeno assai più profondo e radicato.
Le istituzioni continuano a considerare la violenza di genere un fatto privato e, al tempo stesso, ad utilizzarla in maniera strumentale e retorica, al fine di costruire, di volta in volta, un nemico esterno: tra gli stupri, tra le molestie, gli abusi, lo stalking, il cat-calling dobbiamo collocare anche la violenza istituzionale (lo ricordava qualcuno prima). Chi è intervenuto lo ha ricordato: può esistere una violenza istituzionale laddove non si pianifichino le azioni, laddove non si pensi alle conseguenze dirette di determinati provvedimenti, laddove vengano approvate leggi che attendono da anni un'attuazione e un regolamento: peggio di non approvarle, quindi.
Assistiamo a costanti attacchi all'autodeterminazione delle donne per quanto riguarda la salute sessuale e riproduttiva, tra obiezioni di coscienza, violenza ostetrica e colpevolizzazione delle donne che scelgono di non diventare madri o di abortire. Sì, Presidente, anche quella è violenza. Viene perpetrata in luoghi insospettabili, nelle aule istituzionali ed è successo anche in quest'aula. Quando denigriamo il linguaggio di genere, non sessista, che cosa stiamo facendo? Quando affossiamo l'educazione all'affettività o alle differenze in un contesto scolastico, additandolo come il rischio del gender, come il rischio che i nostri baldi uomini possano diventare femminucce, stiamo facendo un buon servizio? No, io non credo proprio.
Riflettiamo sulla violenza, ricordiamo alle vittime che non sono numeri, ma hanno un nome, un cognome e una vita distrutta, ma la politica con la "P" maiuscola deve sapersi prendere le proprie responsabilità.
Direi di cercare, in momenti come questo, di andare oltre le parole, per prenderci un impegno, perché dire oggi che manca il Piano triennale per contrastare la violenza e che verrà realizzato a breve non è una vittoria ma una sconfitta; rendercene conto in quest'aula oggi, in occasione di una ricorrenza istituzionale come può essere il 25 novembre, è una nostra mancanza, come lo è quando noi identifichiamo la carenza di risorse per la rieducazione dei sex-offender, quando ci accorgiamo che nelle scuole forse non si fa abbastanza educazione. Ebbene, possiamo assolutamente analizzare il fenomeno a 360 gradi, ma dobbiamo confrontarci con quello che noi possiamo fare ogni giorno, come politica, e interrogarci se lo stiamo facendo nel modo giusto. Direi che oggi una piccola proposta è stata fatta ed è stata sollevata dall'aula, ma anche dalle associazioni e da tutti gli attori che si sono susseguiti con i loro qualificatissimi interventi nella mattinata.
Partire da un Piano triennale in attuazione di una legge che esiste e quindi, non farne una nuova, ma scrivere semplicemente un regolamento direi che è un qualcosa su cui ci possiamo assolutamente prendere un impegno, per tornare il prossimo anno e non ribadire questa mancanza, ma poter invece illustrare a tutti gli interventi che noi pianificheremo da oggi, per tre anni, ma anche negli anni a venire.



PRESIDENTE

Grazie.
La parola al Consigliere Riva Vercellotti.



RIVA VERCELLOTTI Carlo

Grazie, Presidente.
Grazie da parte del Gruppo di Fratelli d'Italia per l'organizzazione di questa mattinata su un tema, la violenza sulle donne, che è molto complesso e di certo rappresenta una delle più vergognose violazioni dei diritti umani.
Qualcuno nelle relazioni ha detto che è un fenomeno che c'è sempre stato.
Sì è vero, dalla notte dei tempi, dall'uomo con la clava, effettivamente si vedono situazioni di violenza, ma - vivaddio - il progresso di una società e il livello di una civiltà e di una comunità si misurano anche su questo; oggi, sono molto contento per il livello del dibattito, ma soprattutto per la conferma che la nostra Regione e i nostri territori sono certamente molto avanti su questo tema a livello nazionale.
È un tema su cui c'è, tuttavia, ancora molto da fare, ma partiamo da una buona base legislativa e organizzativa che, in questi ultimi anni, non ha fatto altro che rafforzarsi. È stato giusto porre nella giornata odierna anche i problemi che non sono certo terminati, ma è altrettanto giusto evidenziare il grande lavoro dei e nei Centri antiviolenza, delle Case rifugio qui in Piemonte; è giusto evidenziare un lavoro in continua crescita; è giusto evidenziare il sostegno penale che viene dato dalla nostra Regione alle donne maltrattate; è giusto ribadire come i nodi antidiscriminazione si siano consolidati in questi anni nelle nostre province e la collaborazione interistituzionale sia aumentata, come l'impegno dei Servizi socio-assistenziali, dei Comuni stessi, del mondo associativo e scolastico. Ecco, è tutto un aspetto molto confortante.
Aggiungo anche l'impegno del Consiglio regionale stesso nei confronti di alcune malattie di genere: tumore al seno, endometriosi, disturbi dei comportamenti alimentari, dove abbiamo dimostrato di essere non solo una Regione sensibile, ma all'avanguardia legislativa nel nostro Paese. E, poi quante iniziative sono state realizzate nei Comuni piemontesi solo in questi ultimi anni? Tutto questo è molto positivo, perché aiutare concretamente e continuare a sensibilizzare, informare, creare una cultura di prevenzione è estremamente utile, ma il fenomeno della violenza sulle donne resta un tema molto complesso. La violenza interna alle mura familiari ha già, di per sé, molte drammatiche dinamiche: percosse violenza psicologica, lo stupro, fino alla perdita della vita.
Attenzione, qualcuno ne ha fatto cenno nelle relazioni, ma in quel video iniziale era chiaro: violenza sulle donne è anche violenza indiretta sui figli che vivono quelle immagini, quelle urla, finanche le percosse fisiche. Sono esempi sconvolgenti per la vita di un bambino. che avrà sempre bisogno di un supporto psicologico e la necessità di recuperare un rapporto sano con entrambi i genitori.
La violenza sulle donne è un fenomeno talmente ampio che esce dalle mura domestiche: passa per l'uso dei nostri cellulari; passa per i luoghi di lavoro dove molte donne faticano a trovare una collocazione lavorativa adeguata, non certo per mancanza di capacità, ma solo per il fatto di essere donne. Ed ancora: donne molestate, sempre in ambito lavorativo oppure donne per le quali il lavoro è fondamentale, perché il lavoro rappresenta uno strumento di libertà.
Fuori dagli uffici c'è la strada, ci sono i locali, ci sono le feste (più o meno lecite), che a volte finiscono in stupri anche di gruppo. Lo stupro è una lacerazione psicologica difficilmente rimarginabile in una donna. Fuori dei confini nazionali, il fenomeno, come è stato correttamente evidenziato nel corso della mattinata, è gigantesco rispetto ai temi domestici che riguardano la nostra Regione: l'infibulazione; la prostituzione l'industria degli uteri in affitto (che sfrutta i corpi delle donne dei Paesi poveri a favore delle coppie di ogni tipo di Paesi ricchi); la cultura araba patriarcale per cui la donna è obbligata, non solo a indossare il velo, ma a farlo solo in modo conforme alle regole islamiche se non vuole finire in carcere e poi chissà a quale altra fine.
Abbiamo parlato di Iran, ma non mi pare che la situazione in Qatar sia tanto diversa. Per curiosità, andiamo a leggere cosa scrive Amnesty International o la Human Rights Watch sulla situazione e sulle condizioni delle donne in Qatar. Con questo, voglio dire che siamo vicini alle donne di tutto il mondo che lottano per i loro diritti, specie in quelle società oscurantiste che pretendono che noi rispettiamo le loro tradizioni, ma guarda caso - quando loro entrano in un Paese diverso, quelle loro tradizioni non raramente le vogliono imporre anche in barba ai diritti delle donne stesse. Senza ipocrisia, non nascondiamo la condizione di tante donne provenienti dal mondo islamico anche qui nel nostro Paese. Ecco perché oggi vogliamo tornare a riaffermare, a tutte le latitudini del globo, la centralità della Convenzione di Istanbul e l'importanza che, a livello globale, i troppi Paesi che ancora non hanno alcun rispetto per le donne, quantomeno, avviino un percorso per riconsiderare il ruolo della donna.
Non vi nego che mi ha fatto piacere l'intervento che guarda il fronte degli uomini: l'importanza di lavorare sul prevenire, partendo dalla genitorialità, dal ruolo degli uomini nel contesto educativo familiare, sul sostegno agli uomini che vivono l'incapacità di gestire rapporti con la propria moglie, affinché vengano sostenuti. Auspico che nel Piano triennale si ponga l'attenzione al ruolo genitoriale dei padri; così anche l'importanza che proprio nel Piano triennale venga recuperato il ruolo della famiglia, in opposizione a quello di una società individualista.
Insomma, un tema ampio e un lavoro per le istituzioni tutte, enorme, in cui è e resta fondamentale dare continuità al processo di prevenzione culturale e al rafforzamento delle strutture pubbliche a sostegno delle donne in difficoltà, ma serve anche che la nostra società sappia garantire la sicurezza di cui ogni donna ha diritto. Sulla lotta al degrado familiare urbano, culturale e all'illegalità diffusa è nostro dovere fare di tutto perché venga ridata sicurezza alle donne, nelle mura domestiche come nelle nostre città.
Siamo dell'idea che non serva solo prevenzione o che non serva solo repressione. Servono entrambe, ma forse serve ancora prima una buona pianificazione delle politiche di contrasto che assorba tutti gli ambiti.
Continuiamo a lavorare sulla prevenzione in modo strutturato e continuativo. Abbiamo dimostrato ancora oggi qui in Aula come il Piemonte sia la Regione di riferimento, a livello nazionale, su questi temi e di questo dobbiamo esserne orgogliosi, ma guai a fermarci! Continuiamo a muovere e promuovere iniziative, a sensibilizzare e inaugurare panchine rosse in ogni Comune del Piemonte; a promuovere una programmazione pluriennale e a impegnarci tutti per un cambiamento culturale e per chiedere giustizia e tutela per le vittime. Possiamo fare tutto, come è stato detto; tanto è stato fatto, ma senza giustizia, se le norme stesse non vengono prontamente applicate, non saranno sufficienti le giornate come questa contro la violenza per dare una risposta chiara alle donne del nostro Piemonte e del nostro Paese.
Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo il Consigliere Carlo Riva Vercellotti.
Ringraziamo per essere ancora qui con noi la dottoressa Brancato, la dottoressa Canavera e l'onorevole Mellano.
La parola all'Assessora Poggio per la conclusione dei lavori.



POGGIO Vittoria, Assessore regionale

Grazie, Presidente.
Davvero un ringraziamento al Presidente del Consiglio per aver permesso di organizzare questa seduta di Consiglio aperto. Un ringraziamento va a tutti i colleghi che hanno portato la voce, secondo una sensibilità comune, e hanno anche contribuito a dare indicazioni su quello che è un problema che tutti consideriamo un problema complesso, una piaga sociale, un fenomeno allarmante. Ci tengo a ringraziare, anche se purtroppo non sono più qui presenti, tutti coloro che sono intervenuti in questa mattinata, perch ognuno, nei rispettivi ruoli, ha dato un valore aggiunto a questa giornata.
Era anche giusto che questo Consiglio aperto si protraesse per dare la voce a tutti, quindi comprendo come alcuni abbiano dovuto andare via per motivi di lavoro o di distanza.
La violenza sulle donne è una piaga sociale, un fenomeno allarmante, come abbiamo sottolineato, purtroppo aumentato durante la pandemia. Nel solo 2022 si è verificato un femminicidio ogni quattro giorni. La Polizia di Stato, che ringraziamo per tutto l'impegno che mette in campo, ci ha detto che viene commesso un reato ogni quindici minuti. In molti casi, la violenza contro le donne supera il rapporto di coppia e si riversa sui bambini, ma anche su altri familiari, amici e persone che tentano di intervenire per arginare questa folle spirale.
Ogni riflessione condivisa oggi in quest'aula ha un comune dominatore: la violenza contro le donne è un fallimento della nostra società nel suo insieme, una società incapace di accettare una concezione pienamente paritaria dei rapporti di coppia e non solo. Sono stati fatti tanti passi in avanti, è vero, però questo è ancora una riflessione su cui si deve ragionare. Molti concetti li ha espressi in apertura di Consiglio il Presidente Cirio: sicuramente quelli di continuare a lavorare sull'educazione e la prevenzione.
Senza dubbio voglio ribadire, per uscire da questa spirale, che è necessario, come è stato detto in precedenza da tanti di voi, educare, in ambito familiare e in quello scolastico, le nuove generazioni, che oggi hanno partecipato a questo Consiglio aperto. Questo è un bel segnale e ringraziamo i vari insegnanti che li hanno portati qua. Come ci ha detto la Garante dell'infanzia, la dottoressa Serra, avranno un ruolo fondamentale in questa battaglia di civiltà, perché questa è una battaglia di civiltà.
Le donne che hanno subìto violenza devono sentire intorno a loro - questo è importante - uno Stato che le accoglie e che le protegge, che le aiuta ad uscire dal silenzio, che le aiuta a liberarsi da quel recinto dove è nata la violenza. Ricordiamoci che ci sono le leggi, ma molto spesso accade che le donne che sono accolte dalle associazioni di volontariato e dai Centri antiviolenza fanno una vita da carcerate, mentre chi non viene punito gira liberamente e fa la propria vita.
Le attività che ogni giorno portano avanti le istituzioni sono importanti ma altrettanto fondamentale - giusto per fare una sintesi di questa giornata - sono anche tutte le attività delle associazioni che oggi ci hanno portato il loro contributo, delle volontarie e dei volontari che tentano di costruire luoghi per assistere e prevenire gli episodi di violenza e che oggi hanno evidenziato con le loro testimonianze - questo è importante - obiettivi e criticità che noi, come istituzioni, dobbiamo raccogliere.
Un esempio di ciò che esiste lo ha portato avanti il Parlamento con il "Codice Rosso", un'azione che, come è stato anche sottolineato, prevede tempestività nell'audire la denunciante entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, ma forse non è ancora sufficiente. Ci dobbiamo ancora lavorare, soprattutto per far sì che chi denuncia sia tutelato e soprattutto, non abbia paura di aver denunciato. Ancora, il Telefono Rosa Piemonte; la dottoressa Canavera ci ha spiegato in maniera molto chiara obiettivi e criticità di questo progetto, evidenziando anche l'importanza di divulgare materiale informativo legato alla violenza di genere nei contesti giovanili.
Infine abbiamo più volte citato il Piano triennale di supporto ai Centri antiviolenza. È vero, la Giunta se ne fa carico, quindi dovrà portare a definizione questo Piano, molto atteso dai Centri antiviolenza, che fanno un lavoro davvero encomiabile.
Sul tema della prevenzione le forze dell'ordine, che ho già ringraziato prima per l'enorme lavoro che svolgono, ci hanno raccontato quali iniziative portano avanti, ma occorre che le istituzioni supportino maggiormente questo aspetto; forse applichiamo male le leggi, forse servirebbe aggiornare le norme, ma oggi la realtà è che da questo punto di vista occorre lavorare ancora tanto, forse tantissimo.
Concludo il mio intervento di questo Consiglio aperto nella speranza condivisa di trovarci un giorno a ricordare questi scempi come un cancro definitivamente debellato e confinato nei ricordi più tristi del nostro passato.
Vi ringrazio ancora tutti per il contributo che avete dato questa mattinata.



PRESIDENTE

Grazie a tutti gli intervenuti.
Nel ringraziare il Presidente Stefano Allasia per la delega, dichiaro chiusi i lavori del Consiglio regionale.
Alle ore 14.30 inizieremo i lavori con l'esame dei question time La seduta è tolta.



(La seduta termina alle ore 13.47)



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