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Dettaglio seduta n.160 del 23/11/21 - Legislatura n. XI - Sedute dal 26 maggio 2019

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ALLASIA



(La seduta inizia alle ore 9.45)


Argomento: Condizione femminile

Eliminazione della violenza contro le donne: riflessioni in occasione della Giornata internazionale del 25 novembre (Assemblea aperta ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento interno)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Benvenuti a questo Consiglio regionale dedicato alla giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.
Saluto e ringrazio i numerosi relatori: abbiamo in collegamento il Sottosegretario all'Interno, l'onorevole Ivan Scalfarotto, in rappresentanza della Ministra Luciana Lamorgese; il Questore Vicario di Cuneo, Paola Capozzi; il Dirigente divisione Polizia anticrimine della Questura di Torino, Barbara De Toma; la Garante per l'infanzia Ilenia Serra; il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive, Bruno Mellano; la Presidente della Consulta femminile Ornella Toselli; la Presidente della Commissione Pari opportunità Maria Rosa Porta; la Consigliera di parità regionale Anna Mantini.
Saluto anche le numerose Associazioni che si alterneranno negli interventi questa mattinata.



(Proiezione di video)



PRESIDENTE

Il 25 novembre di ogni anno si celebra la Giornata istituita dall'Assemblea Generale dell'ONU nel 1999, per porre l'attenzione su un fenomeno purtroppo ancora molto diffuso e per sensibilizzare l'opinione pubblica.
Combattere la violenza contro le donne è un dovere civile ed etico cui le istituzioni devono rispondere. La violenza di genere resta ancora un fenomeno per lo più sommerso e la sensibilizzazione sul tema risulta essere necessaria per garantire il suo riconoscimento tempestivo. Per questo è importante tenere alta l'attenzione e continuare a fare informazione.
I dati non sono di certo confortanti, perché indicano un fenomeno che non accenna a diminuire: in Italia, il 30% delle donne ha subìto nel corso della vita una qualche forma di violenza e il 90% non l'ha denunciata.
Negli ultimi anni, i progressi nelle politiche nazionali volte a ridurre la violenza sulle donne sono stati significativi, ma molto rimane ancora da fare. La violenza, infatti, non è da considerarsi solo quella fisica, ma anche quella economica e psicologica.
A volte, però, le donne hanno la possibilità di rendersi conto, da alcuni segnali inequivocabili, dei rischi che possono correre con un certo tipo di uomini.
Riconoscere la violenza vuol dire saper distinguere i gesti di amore e affetto da quelli violenti; vuol dire riconoscere a se stesse di essere incappate in una relazione sbagliata.
Durante il periodo di emergenza sanitaria, che ormai perdura da quasi due anni, purtroppo il problema si è aggravato. Le organizzazioni che si occupano della tutela delle donne, infatti, hanno denunciato ovunque un aumento consistente delle richieste d'aiuto per le violenze domestiche.
La raccomandazione di stare a casa ha costretto molte donne, che convivono con un partner violento, a rimanere isolate 24 ore su 24 a contatto con il loro abusante.
Su questo fenomeno non possiamo abbassare la guardia, anzi, dobbiamo incrementare la nostra azione di denuncia e sensibilizzazione, invitando sia le vittime sia la cittadinanza a intervenire attivamente, segnalando casi di sospetta violenza alle Forze dell'ordine, alla Magistratura e ai tanti sportelli di ascolto delle molte associazioni presenti nei nostri territori.
Credo però anche che per educare alla non violenza sia necessario lavorare fin dall'infanzia sulla creazione di relazioni positive e paritarie.
È quindi indispensabile un cambiamento culturale a partire dalle nuove generazioni, coinvolgendo le scuole affinché facciano prevenzione e promuovano una cultura basata sul rispetto e sull'uguaglianza, elemento vitale per il contrasto alla violenza di genere.
Il nostro obiettivo è quello di invertire la rotta, ma questo richiede interventi, impegno e determinazione soprattutto da parte delle istituzioni, perché ne va del futuro delle nuove generazioni, del benessere delle donne, degli uomini e dell'equilibrio della nostra società.
Vi ringrazio.
Darei la parola all'Assessore alle politiche della famiglia e pari opportunità Chiara Caucino.
CAUCINO Chiara, Assessore alle politiche della famiglia e pari opportunità Stimatissimo Presidente, colleghe e colleghi, ringrazio tutti voi per la sensibilità dimostrata decidendo di dedicare una seduta aperta del Consiglio regionale a riflettere sul tema dell'eliminazione della violenza contro le donne, la cui Giornata internazionale cade il 25 novembre.
Desidero offrire il mio breve contributo alla discussione che si svolgerà oggi, partendo da alcuni elementi di cornice, per poi volgere l'attenzione al contesto regionale e ad alcune iniziative e misure particolarmente qualificanti intraprese nel corso del tempo.
I dati ISTAT mostrano che in Italia il 31,5% delle donne ha subìto, nel corso della propria vita, una forma di violenza fisica, sessuale o psicologica (parliamo di una donna su tre). Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici.
Secondo un'altra recente indagine dell'ISTAT sulle richieste di aiuto durante la pandemia, le famiglie sono più a stretto contatto e trascorrono più tempo assieme, con aumento del rischio che le donne e i figli siano esposti alla violenza, soprattutto se in famiglia vi sono gravi criticità economiche o lavorative. Via via che le risorse economiche diventano più scarse possono aumentare anche forme di abuso, di potere e di controllo da parte del partner.
Nel 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, promosso e gestito dal Dipartimento per le Pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio, sono aumentate del 79,5 rispetto al 2019 sia per telefono sia via chat. Il boom di chiamate si è avuto a partire da fine marzo, in piena emergenza COVID, con picchi ad aprile - più 176,9% rispetto allo stesso mese del 2019 - e a maggio - più 182,2% rispetto a maggio del 2019, ma soprattutto in occasione del 25 novembre data in cui si celebra la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Per questo è importante parlarne.
La violenza segnalata quando si chiama il 1522 è soprattutto fisica (47,9% dei casi), ma quasi tutte le donne hanno subìto più di una forma di violenza e tra queste emerge quella psicologica (50,5%). Rispetto agli anni precedenti, sono aumentate le richieste di aiuto delle giovanissime fino a 24 anni di età e delle donne con più di 55 anni. In Piemonte, nel 2021 hanno operato sul territorio regionale 21 Centri antiviolenza con la delocalizzazione di 77 sportelli che hanno avuto in carico 3.090 donne e 12 Case rifugio con una capienza complessiva per 98 posti di accoglienza. A novembre 2021, nei giorni scorsi, si è aggiunta la tredicesima Casa rifugio nell'ambito provinciale di Asti, portando la capienza complessiva a 102 posti ed ampliando ulteriormente la copertura del servizio a tutto il territorio regionale, ad eccezione dell'ambito provinciale di Vercelli.
Gli enti titolari dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio sono iscritti all'Albo regionale - iscrizione per la quale è necessario il possesso dei requisiti previsti dall'Intesa 2014 -appartengono alle seguenti tipologie: 10 associazioni iscritte all'Albo regionale, 4 cooperative sociali e 9 Enti pubblici. I Centri antiviolenza piemontesi svolgono un'intensa attività di raccordo con la rete dei servizi di contrasto alla violenza e collaborano alle rilevazioni annuali promosse e realizzate dall'Istat. La Regione sovrintende alla raccolta dei dati presso i Centri e le Case rifugio avvalendosi del sistema di acquisizione predisposto dall'ISTAT e garantisce la completezza e la qualità dei dati rilevati, monitorando il processo di rilevazione.
I numeri dei contatti e degli accessi di donne ai Centri regionali nel corso del 2020 sono stati 10.882, di cui 2.291 diretti di persona e 8.116 telefonici o via mail. Di questi, i nuovi contatti di donne che per la prima volta accedevano al Centro sono stati 7.385. Oltre al numero di donne che hanno contattato il Centro si è rilevato anche il numero di donne in carico per le quali è stato avviato un percorso personalizzato di uscita dalla violenza, inteso come l'attuazione di un progetto specifico individualizzato e concordato con la donna.
Nel 2020 il numero di donne in carico ai Centri è stato 3.090 di cui 864 straniere. Dei 1.372 minorenni supportati dai Centri in quanto figli di donne vittime di violenza, 208 sono stati vittime di violenza diretta e 975 di violenza assistita. Con l'emergenza COVID le misure restrittive imposte a livello nazionale e regionale, tutti i Centri hanno modificato le modalità di accesso ed erogazione dei servizi, nel rispetto delle misure di distanziamento, introducendo colloqui telefonici e videochiamate comunicazione via e-mail e utilizzando i canali multimediali. In ogni caso tutti i Centri antiviolenza hanno fornito nel 2020 all'utenza servizi di pronto intervento, percorsi di allontanamento e ascolto anche attraverso il servizio di mediazione linguistico-culturale, di accoglienza in emergenza e di II livello: supporto e consulenza abitativa, orientamento e inserimento lavorativo, orientamento e accompagnamento ad altri servizi della rete territoriale, supporto e consulenza psicologica, supporto e consulenza legale.
I servizi prevalenti forniti all'utenza direttamente dalle Case rifugio sono l'orientamento e l'accompagnamento ad altri servizi della rete territoriale, l'appoggio educativo e di sostegno scolastico dei minori. Nel 2020 sono state accolte nelle Case rifugio del territorio piemontese 71 donne, di cui 35 con 58 figli.
A conclusione del periodo di permanenza presso la Casa rifugio - al massimo sei mesi - le donne sole o con figli sono state inviate per il 61 dei casi ad altra struttura residenziale di I livello, di II livello e di semi autonomia; per il 25% dei casi in progetto di autonomia abitativa, per il 12% dei casi in progetto in autonomia abitativa sempre presso abitazioni messe a disposizione dal CAV (Centro Aiuto alla Vita) o dalla rete territoriale e per il 2% di casi in altre sistemazioni.
Tra le iniziative meritevoli di segnalazione figura certamente l'applicazione "Erica" sulla quale non mi dilungherò ora, visto che avrà luogo una sua presentazione dedicata giovedì 25 alle ore 14,30 presso la Sala Viglione.
A completamento dell'attività regionale desidero ricordare i progetti che fanno parte dell'area degli interventi per gli autori di violenza di genere. Il "Progetto Rivivere", presentato e finanziato a valere sull'avviso pubblico del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, approvato a settembre 2021, è risultato secondo in graduatoria a livello nazionale e propone la realizzazione di due specifiche macroazioni in grado di coinvolgere attivamente tutti i partner nelle fasi di coprogettazione, nelle fasi di attuazione e monitoraggio delle attività e degli interventi.
In ultimo, desidero porre l'accento sulla collaborazione con IRES Piemonte in attuazione del Piano Strategico nazionale 2020-2021. In base ad uno specifico accordo di collaborazione si è previsto, finora, in particolare, l'esplorazione delle modalità di rilevazione attualmente in uso presso i Centri di ascolto e trattamento degli uomini maltrattanti e dei rispettivi percorsi di presa in carico e trattamenti degli autori di violenza, nonché dei casi seguiti nel corso dell'anno 2000.
I risultati del lungo lavoro finora svolto saranno altresì oggetto di confronto, nelle prossime settimane, con il Tavolo regionale di coordinamento dei Centri antiviolenza, delle Case rifugio e del Centro esperto sanitario.
Nella speranza di aver fornito un contributo utile a tracciare un quadro esaustivo delle attività svolte nel nostro contesto regionale, e nell'assoluta consapevolezza che giornate come questa, dedicate all'eliminazione della violenza contro le donne, siano fondamentali per mantenere alta l'attenzione su un tema tanto importante quanto delicato vorrei infine permettermi di rivolgere un appello a tutte le donne, ma soprattutto a tutte le donne che vivono in Piemonte: denunciate! Chiedete aiuto! Gli strumenti in Piemonte esistono e potete contare su una rete di servizi assolutamente capillare, efficiente e diffusa.
Chiamate il numero di pubblica sicurezza e utilità 1522 e scaricate l'applicazione "Erica" dal sito della Regione Piemonte.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie, Assessore.
Darei la parola al Sottosegretario del Ministero dell'interno l'onorevole Ivan Scalfarotto, che è in collegamento.



SCALFAROTTO Ivan, Sottosegretario Ministero dell'interno

Chiedo scusa per essere in video-collegamento.
Vi ringrazio anzitutto per l'invito, ma anche per l'iniziativa di convocare un Consiglio regionale aperto su questo tema così importante e così strategico per il nostro Paese.
Prima di entrare nel vivo, voglio portarvi innanzitutto i saluti della Ministra Lamorgese, che oggi è a Catania, sempre per un'iniziativa legata al 25 novembre, e ricordare le parole che il Presidente Draghi ha detto soltanto ieri, rammentando che per il Governo la lotta all'odiosa violenza di genere è una priorità assoluta, e che la concentrazione del Governo, sia sulla repressione ma anche sulla prevenzione e sul sostegno alle vittime, è una priorità assoluta.
Come dicevo, questo è un tema strategico: penso che sia soltanto un aspetto, il più grave e il più drammatico, dell'enorme sfida che il nostro Paese ha davanti, quella di costruire la nostra forza, il nostro ruolo nel mondo e la nostra ripresa economica anche sul talento e sulla forza dalle donne.
Rispetto a questo tema - lo abbiamo visto anche nella compilazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - l'Italia ha ancora moltissimo da fare. Sappiamo bene che i compiti di cura della famiglia e di assistenza ricadono spesso sulle donne; raramente si parla di "condivisione degli oneri familiari", ma soltanto di "bilanciamento tra vita personale e vita professionale della donna", come se il problema si limitasse soltanto a questo, senza condividere quelli che sono gli oneri e i piaceri della famiglia e dell'assistenza, che dovrebbero, invece, ricadere su tutti uomini e donne.
In un'intervista, un importante magistrato di Milano, il Presidente vicario del Tribunale, dottor Roia, esperto di questi temi, pone molto l'accento sulla questione culturale. Lui dice: "Ci sono sempre più donne che denunciano, ma spesso scopriamo che si tratta di donne giovani, e i loro carnefici, i loro aguzzini o comunque coloro che le mettono in una situazione di pericolo, sono anch'esse persone, diciamo così, non di generazioni anziane, ma anche di giovani", quindi, evidentemente, abbiamo un tema culturale grande come una casa, un problema di schemi di tipo patriarcale che talvolta ci illudiamo di aver messo in soffitta. Ci immaginiamo una società post-industriale, nella quale la piena parità dei diritti e dei ruoli nella società è stata raggiunta, ma probabilmente non è così. Verosimilmente, nelle nostre famiglie ancora si tramandano schemi educativi nei quali i bambini e le bambine hanno compiti e responsabilità diverse in famiglia, e le attese nei loro confronti, rispetto a certe parti o a certe questioni della vita quotidiana, sono ancora diverse.
Questa cultura della condivisione, della parità piena e sostanziale della completa pienezza dei diritti e della dignità tra uomini e donne va coltivata a partire dalle nostre case; diversamente, il tema criminale diventa una sorta di "bubbone", una questione più grossa, in un certo senso il terminale di una questione culturale che è molto più ampia.
È altresì vero, però, che, oltre ad occuparci di questo, dobbiamo fare in modo che le donne vivano in sicurezza, perché i numeri forniti ad inizio seduta dallo stesso Presidente del Consiglio regionale - numeri che leggiamo anche oggi sui giornali - sono veramente drammatici.
Sebbene ci si sia dotati di strumenti come la Convenzione di Istanbul che ha definito in un certo senso la violenza domestica (voglio ricordare che l'Italia è stato uno dei primissimi Paesi a ratificare questa convenzione), oltre che di leggi importanti come il Codice Rosso, che individua degli strumenti e delle procedure a tutela delle donne vittime di violenza, i numeri sono ancora veramente scoraggianti; basta riflettere sul fatto che abbiamo avuto fino a questo mese in Italia 247 omicidi. Il 40% di questi omicidi (parliamo di 109 delitti) hanno visto vittime delle donne: 109 su 247 è un numero incredibile, assurdo, insostenibile! Se poi pensiamo che di queste 109 donne 93 sono state uccise in ambito familiare e affettivo, e che ben 63 sono state uccise dal partner o dall'ex partner capiamo che si tratta di un'emergenza assoluta.
Se dal numero degli omicidi togliessimo le donne uccise in queste situazioni, avremmo il 40% degli omicidi in meno. Voi capite che anche dal punto di vista dell'ordine pubblico diventa un'emergenza vera e propria.
Parliamo di 10 donne uccise al mese! Parliamo di una donna uccisa ogni tre giorni! È un dato veramente insostenibile.
Ovviamente, occupandoci dell'ordine pubblico, come Ministero dell'interno non possiamo che considerarla un'assoluta emergenza un'assoluta priorità. Al riguardo, si sta facendo un lavoro molto importante, che si muove su due binari: uno è proprio quello di tentare di limitare il fenomeno criminale; l'altro comporta che, per poter essere efficaci in questo lavoro, bisogna essere in grado di dotare le Forze dell'ordine della capacità di intercettare i primissimi segnali di pericolo.
Si parla, per esempio, di "reati spia", di quelli che devono far capire a chi si occupa di questo (le Forze dell'ordine) che da quel particolare reato, magari poco grave, potenzialmente può svilupparsi un percorso di violenza che può arrivare fino all'omicidio. Questa è una nozione che è stata introdotta dal "Codice Rosso" e sulla quale si lavora molto, per formare le persone, le donne e gli uomini della polizia e delle altre Forze dell'ordine, creando Uffici specialistici dedicati, creando nelle Questure delle stanze per l'ascolto protetto, dove le vittime possono trovare ascolto. È chiaro che quel rapporto di fiducia, che deve intercorrere tra la vittima del reato e le Forze dell'ordine che interloquiscono con questa persona, è un rapporto di fiducia delicatissimo, come un cristallo che deve essere maneggiato con grande attenzione. Questo richiede naturalmente una preparazione e una capacità di ascolto attento ed empatico che pu svilupparsi solo grazie a percorsi formativi ad hoc.



PRESIDENTE

Mi scusi, Onorevole, è saltato l'audio. La vedo, ma non la sento.
Se non è un problema, darei la parola al prossimo relatore e, se poi riusciamo a collegarci, può concludere. Grazie molte, Onorevole. Buon lavoro.
Ha ora la parola la Dottoressa Paola Capozzi della Questura di Cuneo in qualità di Questore vicario.



CAPOZZI Paola, Questore vicario della Questura di Cuneo

La violenza contro le donne è un fenomeno complesso, di particolare attualità ed importanza. La Polizia di Stato, che da quarant'anni ha le donne all'interno dei suoi ranghi, ha sviluppato una grande sensibilità a questo problema. Noi ne siamo orgogliosi e questo ci viene ampiamente riconosciuto dai cittadini. Da tempo sono stati istituiti, all'interno delle Questure, uffici specializzati in cui opera personale specificatamente formato Uno strumento importante per l'elaborazione del fenomeno nel suo complesso ci perviene dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale che a livello centrale, ha istituito un apposito ufficio Analisi dedicato all'elaborazione dei dati che pervengono da tutte le Forze di Polizia, su questa ed altre fenomenologie. Elabora studi, ricerche e progetti integrati interforze. Questo servizio a sua volta supporta le Forze di Polizia con informazioni preziose sulla caratterizzazione del fenomeno. Fare un'analisi precisa sui dati significa anche creare gli strumenti per intervenire in maniera efficace ed equilibrata.
La complessità del fenomeno richiede inevitabilmente una strategia politica globale che coinvolga attori diversi, dalle forze di polizia alla magistratura, alla tutela delle vittime e la presa in carico delle vittime dalla rete delle associazioni con il coinvolgimento degli operatori sanitari. Intorno al problema della violenza sulle donne occorre lavorare a 360° mettendo in essere quello che in linguaggio operativo usiamo definire operatività "delle 5P": adozione di misure di prevenzione (Prevenzione) interruzione della violenza e protezione della vittima (Protezione) contrasto alla violenza (Punizione), adeguate forme di risarcimento e supporto (Presa in carico), promozione di una cultura non discriminatoria (Promozione).
La prevenzione è argomento chiave per un'azione incisiva ed efficace al contrasto della violenza sulle donne. Come si fa la prevenzione? Innanzi tutto con efficaci strumenti di informazione sulle situazioni potenzialmente a rischio che permettano ai colleghi quando effettuano interventi operativi di poter riconoscere immediatamente elementi utili a riconoscere potenziali margini di rischio o anche un semplice segnale di pericolo. Un aiuto importante ci arriva dal sistema "Scudo": uno strumento in cui convergono tutte le informazioni relative a potenziali situazioni di rischio anche a fronte di interventi effettuati da altri colleghi. Questo sistema ci permette di capire, quando andiamo sul posto, se si tratta di una situazione che apparentemente non presenta carattere di emergenzialità ma che tuttavia nasconde possibili margini di rischio da attenzionare o da indirizzare verso altre tipologie di intervento.
La seconda "P" è la protezione di queste donne e del loro stato di criticità. Spesso accade che le donne denuncino situazioni di violenza, ma poi queste denunce si rivelino "fragili" magari sotto la pressione del partner o a seguito di condizionamenti psicologici autonomi o indotti vengano revocate o sminuite nella loro gravità o peggio ancora sistematicamente "giustificate". Per cui è determinante l'attivazione di forme di accoglienza e di presa in carico non soltanto da parte delle Forze di Polizia ma anche da tutta la rete di supporto sociale che in molte occasioni viene percepita dalla stessa vittima come meno invasiva e meno impattante in una situazione già familiarmente critica.
La terza "P" è la punizione. Su questo entra in gioco non solo l'intervento della Polizia ma anche l'Autorità Giudiziaria. Fondamentale su questo aspetto è la precisione d'intervento e il suo tempismo ravvicinato.
Non è facile prevedere come possano sviluppare le dinamiche di rischio in questo contesto e la velocità di intervento spesso risulta determinante per salvare persone; un pronto riconoscimento del problema è l'anticamera di un efficace isolamento della vittima dal suo persecutore.
A tal proposito, recentemente sono stati introdotti degli strumenti specifici che permettono l'allontanamento della vittima e individuano nuove tipologie di reati. In particolare, il cd "Codice Rosso" ha introdotto 4 tipologie specifiche: violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; costrizione e induzione al matrimonio; diffusione illecita di immagini e video sessualmente esplicite (cd "revenge porn") deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti del viso.
La quarta P è la presa in carico della vittima e la sua protezione.
Aspetto che spesso risulta complesso proprio per le difficoltà indotte che inevitabilmente comporta. Anche qui occorre lavorare a 360°; queste vittime, oltre a essere fragili, spesso portano figli minori e situazioni difficili sul piano familiare e su quello psicologico, aspetti di cui la comunità se ne deve fare carico.
In ultimo, ma non ultimo, la 5P ovvero "promozione culturale" ovvero la diffusione di una nuova cultura del problema. Proprio nell'ambito delle iniziative di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne, la Polizia di Stato porta avanti una campagna dal titolo "Questo non è amore" un progetto che da anni ha l'obbiettivo di sensibilizzare sul tema della violenza, diffondere una nuova cultura di genere e aiutare le vittime a vincere la paura che condiziona le loro scelte. In particolare viene evidenziata una serie di comportamenti che, singolarmente presi devono rappresentare per le donne un "campanello d'allarme": " se ti ricatta, se danneggia le tue cose, se pretende amore quando tu non vuoi, se ti intimidisce, se ti fa del male fisico, se ti spinge o schiaffeggia, se ti chiude in una stanza, se ti offende, se ti umilia, se minaccia te o i tuoi figli, se t6i chiede l'ultimo appuntamento, se ti prende a calci, ti tira pugni e ti strappa i capelli, se ti telefona di continuo per insultarti, se minaccia la tua libertà, anche quella economica, se ti infastidisce con sms ossessivi, se ti controlla, ti segue.Questo non è amore. I reati e i comportamenti elencati in questo messaggio sono specifici indicatori di violenza di genere quelli che noi definiamo "Reati Spia": atti persecutori maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenze sessuali, violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o divieto di avvicinamento alla persona offesa, induzione al matrimonio, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.
Al Questore è stata data la possibilità di intervenire in maniera precisa e mirata sulle casistiche, proprio per arginare, ancora in una fase antecedente alla commissione dei reati, queste fenomenologie. (Ammonimento del Questore ex art8 del DL 11/2009) Occorre essere responsabili e attenti; ma non dobbiamo essere attenti solo come Forze dell'ordine, ma come cittadini, come persone che stanno nella società e che hanno occhi e orecchie. Gli occhi e le orecchie di ogni cittadino, di ogni vicino di casa, sono un potenziale salvataggio di una vittima. Oggi abbiamo casistiche più attenzionate, quindi non sappiamo se i numeri sono maggiori perché facciamo più attenzione o perché il fenomeno è in crescita. In entrambi i casi, dobbiamo lavorare e fare sinergia insieme per intervenire in maniera efficace.
Porto l'esperienza di Cuneo, ma so che è l'esperienza un po' di tutte le province. "Fare rete" è fondamentale perché è vincente. Alcune donne non si sentono di andare direttamente alle Forze di polizia, oppure vanno alle Forze di polizia, ma poi hanno bisogno di un supporto. La rete di Cuneo è nata nel 2008 e vede collegate in sinergia pubblico e privato: non solo le Forze di polizia, ma anche la Procura e tutti i consorzi di carattere assistenziale, le associazioni antiviolenza, ma anche l'ospedale l'ASL e l'Ordine dei medici. Interventi come questo, sono fondamentali per lavorare insieme.
Abbiamo bisogno anche di professionalità, come ad esempio gli psicologi, che sono realtà presenti all'interno delle Associazioni antiviolenza, ma spesso a corrente alternata, perché magari li abbiamo dal lunedì al venerdì; invece servirebbe creare, per essere più efficaci, reti sempre presenti, anche durante le ore notturne, anche nei festivi, anche quando non c'è nessun altro. Uno spunto di riflessione che spero possa essere accolto dalle Associazioni che trattano queste situazioni.
Due dati sui maltrattamenti, sugli atti persecutori e sulle violenze sessuali, che sono i "reati spia" (noi li chiamiamo così per dire che sono quelli su cui occorre prestare maggiormente attenzione). Per la Provincia di Cuneo parliamo, solo per l'anno 2020, di 84 casi di maltrattamenti riconosciuti e perseguiti; 53 atti persecutori (questo significa che non sono 53 casistiche, ma 53 persone denunciate per reati specifici) e 22 violenze sessuali. Femminicidi ne abbiamo avuto uno soltanto, nella Provincia di Cuneo, ma, purtroppo, il dato nazionale è molto alto. In particolare, sulla Provincia di cuneo abbiamo avuto 37 richieste di ammonimento ma, grazie ad un'azione sinergica collaterale, se ne sono formalizzate solo 10.
Lavorare in sinergia significa non soltanto creare i rapporti ed i progetti ma soprattutto conoscersi fra operatori dei differenti settori stimarsi e potersi mobilitare in tempi rapidi La rete non le fanno le etichette, le fanno le persone. Se ci si stima se ci si conosce, si lavora insieme e si ottiene un risultato migliore.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
La parola alla dottoressa Barbata De Toma, Dirigente divisione della Polizia anticrimine della Questura di Torino.
DE TOMA Barbara, Dirigente divisione Polizia anticrimine Questura di Torino Buongiorno a tutti.
Innanzitutto porto i saluti del Questore di Torino al Presidente e a tutto il Consiglio.
Negli ultimi anni, di pari passo con l'affinamento degli strumenti di tutela giuridica nei confronti delle donne vittime di violenza domestica e di genere, si è sicuramente rafforzata la capacità di intervento della Polizia di Stato in questo settore.
Nel febbraio del corrente anno, la Direzione centrale anticrimine, che a livello nazionale detta le linee guida per l'attività sia delle Squadre mobili sia delle Divisioni anticrimine sia degli Uffici di controllo del territorio da cui dipendono le Volanti, ha invitato i Questori a mantenere alta l'attenzione su questo fenomeno e ha individuato anche delle nuove prassi operative cui attenersi, nel trattare casi di violenza di genere e di violenza domestica.
Per la prima volta ha anche posto l'attenzione sulla necessità che gli operatori di Polizia tengano conto delle particolari condizioni psicologiche delle vittime di questi reati e con esse anche dei minori che spesso sono presenti a fatti di violenza e che quindi, quanto meno, sono vittime nella forma della violenza assistita.
La Questura di Torino, per rendere immediatamente operative queste direttive, proprio in questi giorni sta svolgendo un primo corso di aggiornamento professionale dei poliziotti che operano nel primo intervento in materia di psicologia e sociologia per dar loro nuove capacità interpretative che poi portano anche a nuove capacità decisionali, proprio nel momento del primo intervento.
Si capisce l'importanza di queste raccomandazioni se solo si tiene conto che, negli ultimi due anni, gli arresti per maltrattamenti in famiglia e per stalking - due dei principali "reati spia" della violenza operati dalle volanti di Torino sono stati in media 17 al mese, mentre gli interventi per liti in famiglia o per maltrattamenti nel 2020 sono stati 206 al mese e sono attestati a 230 al mese nel 2021.
Ugualmente in aumento, almeno dal 2019, anche i principali "reati spia", sempre nella provincia di Torino: maltrattamenti in famiglia stalking e violenze sessuali, che nell'ultimo anno sono aumentati in percentuali che variano dal 5 al 10%.
Questo incremento statistico rappresenta, tuttavia, l'espressione secondo me senza dubbio, anche di un'emersione di questo fenomeno e dello svilupparsi di una nuova cultura che esclude l'uso della violenza nelle relazioni interpersonali. Un dato significativo, ad esempio, consiste anche nel fatto che molte donne straniere, rispetto agli anni passati, si rivolgono alle Forze dell'ordine per segnalare situazioni di violenza domestica o violenza di genere. Certo non c'è dubbio che questo fenomeno è ancora molto forte nella nostra società ed è dimostrato anche dal fatto che la stragrande maggioranza dei femminicidi avviene per mano del partner o dell'ex partner.
A Torino, nei primi dieci mesi del 2020, sono state dieci le donne uccise, e di queste ben sette sono state uccise dal partner o dall'ex. Nel 2021 questi numeri si sono ridotti: su sette donne vittime di omicidio cinque sono state uccise dal partner o dall'ex partner.
Il raffronto su Torino dei dati di omicidio dal 2020 al 2021 vede un calo degli omicidi in generale: nei primi 10 mesi del 2020 abbiamo avuto 25 casi di omicidio che sono diminuiti a 22 nel 2021. Nei primi dieci mesi del 2020 in Piemonte sono state uccise 14 donne, nel 2021 le donne uccise in Piemonte - i dati sono fino ad ottobre - sono state otto (questo ci lascia ben sperare).
A fronte di questi casi è decisamente importante l'impegno della Polizia di Stato sia nella prevenzione sia nel contrasto.
Ho fatto riferimento ai dati statistici degli arresti per maltrattamenti e stalking ma, accanto a queste attività di contrasto ugualmente importante è l'attività di prevenzione. Quest'anno il Questore quale autorità di Pubblica sicurezza, ha ammonito 100 persone che si sono rese autori o autrici di violenza fisica nei confronti di un familiare o di un convivente o comunque di una persona con la quale aveva una relazione affettiva. Di questi 100 autori, 98 sono uomini e di queste 100 vittime, 99 sono donne (quindi si capisce ancora l'entità del fenomeno).
Grazie ad un Protocollo d'intesa che la Questura di Torino ha siglato ormai due anni fa con alcune associazioni presenti sul territorio (il Gruppo Abele, il "Cerchio degli Uomini", il CEPSI e il Centro Studi Trattamento Agire Violento), ogni volta che un autore violento viene ammonito dal Questore, gli si dà un appuntamento presso uno di questi centri a propria scelta e quindi gli si dà l'opportunità di usufruire gratuitamente di un supporto psicologico che lo aiuti a riconoscere il disvalore del comportamento tenuto. Questo, chiaramente, per limitare il rischio di recidiva.
Circa un terzo degli ammoniti hanno colto questa opportunità ed hanno deciso di seguire un corso di "gestione - come lo chiamiamo - delle proprie emozioni"; peraltro, in piena aderenza anche a quanto prevede la normativa internazionale su quest'argomento, prima fra tutte la Convenzione di Istanbul, che prevede la creazione di programmi rivolti agli autori di violenza domestica per incoraggiarli ad adottare comportamenti non violenti nell'ambito delle relazioni interpersonali.
Un ultimo accenno lo farei agli strumenti operativi di cui si sono dotate le Forze dell'ordine proprio a marzo. È divenuto operativo l'applicativo "Scudo", attraverso cui tutte le pattuglie di controllo del territorio sia della Polizia di Stato sia dell'Arma dei Carabinieri inseriscono nella banca-dati interforze le risultanze di ogni singolo intervento sia in materia di Codice Rosso, ma anche di tutti quegli interventi di semplici liti in famiglia, anche solo verbali, dove l'aggressività è semplicemente verbale e non si è ancora trasformata in aggressività fisica. Questo permette, in un futuro, ad una qualsiasi pattuglia, anche di una Forza dell'ordine diversa da quella che era già intervenuta, di consultare nell'immediatezza dell'intervento attraverso i tablet che ogni volante ha in dotazione se vi sono dei precedenti in quell'abitazione, in quella famiglia, tra quelle persone, in modo da calibrare le modalità di intervento per prendere decisioni immediate e più opportune.



PRESIDENTE

Grazie, dottoressa De Toma.
La parola all'Assessore al lavoro e istruzione, Elena Chiorino.



CHIORINO Elena, Assessore regionale

Grazie, Presidente. Grazie per questo momento, assolutamente indispensabile per tenere alto uno di quei drammi che ritengo sia sentire comune definire uno scempio per la nostra società.
I numeri che abbiamo sentito anche oggi e che sentiamo, ahimè purtroppo quotidianamente sono agghiaccianti e lo sono ancora di più se pensiamo che, purtroppo, spesso, spessissimo, troppo spesso - fosse anche solo una volta, sarebbe comunque troppo spesso! - quando c'è violenza su una donna, può succedere che ci sia anche un bambino vittima di violenza assistita. Questo è un ulteriore dramma nel dramma. Mi sento di evidenziarlo, perché oltre al tema dei bambini vittime di violenza assistita, parliamo di un'ulteriore violenza a quella madre che già sta subendo violenza e che non riesce a difendere suo figlio nemmeno dal vedere quella violenza.
È un tema che, forse, non si tocca neanche a sufficienza, rispetto al quale chiederei di tenere alta l'attenzione. La violenza fisica è quella più evidente e, in qualche modo, è anche più facile da dimostrare rispetto a quella esercitata su donne che si vergognano, provano imbarazzo, si sentono deboli, si sentono sbagliate. E non può essere così.
Il primo cambiamento importante dev'essere, evidentemente, culturale: penso che le istituzioni ad ogni livello si debbano attivare in tal senso e portare avanti tutto quello che è di loro competenza; così come le donne tra le donne devono trasmettere messaggi in questi termini. Non ci sono donne giuste e donne sbagliate, al punto che, poiché sei sbagliata, rischi di cadere vittima di violenza, sia essa fisica o psicologica o di sfruttamento. E vale anche nell'ambito del lavoro, quella sensazione di non avere pari opportunità rispetto ad ambizioni di crescita, di legittima soddisfazione anche in ambito professionale. Sono frustrazioni che potrebbero innescare danni psicologici importanti, rispetto ai quali, in una società come la nostra, si dovrebbe agire e garantire davvero la parità di accesso alle donne, sia nell'ambito del lavoro, sia nell'ambito delle retribuzioni tra maschi e femmine.
Ecco perché è necessario un intervento importante anche e soprattutto sul piano culturale, che tenga in considerazione tutte le forme di violenza, non da ultime quelle sessuali: si parla di violenza e di sfruttamento del corpo di una donna anche quando si fa riferimento all'utero in affitto e ai drammi che ne conseguono in termini fisici e psicologici, un altro abominio portato avanti da questa società che si ritiene particolarmente evoluta, ma che invece cambia in un modo ancora più aggressivo la capacità di sfruttamento del corpo delle donne e delle conseguenze sui loro bambini.
Consentitemi di fare una riflessione anche sul piano giuridico, perch ritengo che ci vorrebbe la certezza della pena, senza mai consentire alcuna benché minima scorciatoia, neanche a chi si pente dopo aver portato avanti violenza nei confronti di una donna. Perché se la violenza è da condannare sempre, la violenza rispetto ai più deboli, rispetto alle donne, rispetto a quello che possono poi indirettamente in talune situazioni subire anche i bambini, è deprecabile come il peggiore dei reati che un essere umano possa compiere.
Se questo è lo scempio vero ed enorme della nostra società, ringrazio oggi quest'Aula e tutte le istituzioni che terranno alta l'attenzione su questo tema, ma ogni giorno, non soltanto in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Si porti avanti in ogni momento e a tutti i livelli il messaggio alle donne che non si prendono le botte perché si è sbagliato, perché non si è stati all'altezza delle aspettative, perché non si è ubbidito o perché non si è consentito a farsi sfruttare in un certo modo il proprio corpo. L'augurio è quello che si lavori affinché non ci sia più una donna che si vergogni di denunciare perché ha paura o perché teme ulteriori ripercussioni. Contestualmente, per fare questo bisogna dotare sempre di più anche le Forze dell'ordine di strumenti, di mezzi e di libertà di azione.
Tengo a ringraziare particolarmente le Forze dell'ordine perché in più casi, anche fuori servizio, hanno portato avanti la difesa e l'attenzione rispetto a donne che avevano denunciato, che avevano paura e che magari non erano ancora state adeguatamente protette.
Questa è anche l'occasione per ringraziare tutti loro e riconoscergli quel lavoro formale che svolgono quando sono in divisa, ma anche di quello che continuano a svolgere nel momento in cui si tolgono la divisa. Perch non sono poche le testimonianze di Forze dell'ordine che hanno dormito fuori servizio sotto le case di donne che hanno denunciato, perché avevano paura o perché non erano tranquille.
Il mio grazie è rivolto a loro, con l'augurio e l'auspicio che vengano incrementati i loro strumenti e che, giuridicamente parlando, ci siano certezze di pena senza nessuno sconto e senza nessuna scorciatoia.
Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Grazie, Assessore.
Darei la parola alla dottoressa Ornella Toselli, Presidente della Consulta femminile regionale.



TOSELLI Ornella, Presidente della Consulta femminile regionale

Illustre Presidente, Consigliere e Consiglieri, Assessori e relatori la Consulta femminile interviene con soddisfazione in questo Consiglio aperto.
Ragionare sulla violenza di genere in seduta di Consiglio è un segnale molto importante e testimonia la centralità dell'argomento per la nostra istituzione, anche se parlare di violenza di genere non è facile. Non è facile parlarne compiutamente, perché essa ha davvero tanti aspetti.
Questa è la Giornata internazionale di contrasto alla violenza di genere. Pongo l'accento sul termine "internazionale", proprio perché vorrei soffermarmi su alcuni tipi di violenza che vi sono nel mondo, sia nei confronti delle donne in quanto tali, cioè in quanto genere, sia manifestata nelle sue forme più varie.
Se nei nostri Paesi la violenza di genere è essenzialmente un reato domestico o comunque relazionale, in altri Paesi ed in altre aree geografiche la violenza assume ulteriori e più ampi connotati. In alcuni Paesi le donne sono sopraffatte con violenze e soprusi per opera di chi ti chiede il controllo del potere statuale o parastatuale. È una violenza perpetrata direttamente dalle forme di governo.
Quest'anno abbiamo avuto nuovamente la presa di potere da parte dei talebani che, come si sa, hanno tra i loro precetti quello dell'oppressione e della violenza sulla donna. La situazione non migliora anche in altre parti del mondo.
Tra i dati sconfortanti contenuti nel rapporto annuo sullo stato della popolazione mondiale, stilato dal Fondo ONU (edizione 2021), emerge che a livello mondiale in media le donne hanno il 75% di diritti in meno rispetto a quelli di cui godono gli uomini. Dei circa quaranta milioni di persone vittime di forme di schiavitù moderna - quali lavoro e matrimonio forzato traffico di essere umani - più di sette su dieci sono donne. Più di duecento milioni di ragazze e donne vivono con le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili e altri quattro milioni rischiano di subire tale pratica ogni anno. I matrimoni precoci forzosi riguardano cinquecento milioni di donne, forzate a sposarsi in età adolescenziale o addirittura in età infantile. Ogni anno sono almeno dodici milioni di ragazze.
Inoltre, c'è la situazione nostra, del nostro mondo, della nostra epoca e dei nostri Paesi, dove la violenza di genere assume in modo principale il connotato di violenza domestica, cioè di quella che avviene all'interno delle mura domestiche, in ambito familiare o relazionale. Essa è costituita da azioni diverse, ma tutte caratterizzate da uno scopo comune: il dominio ed il controllo da parte di un partner sull'altro, attraverso violenze psicologiche, fisiche, economiche e sessuali.
Come Consulta femminile abbiamo organizzato diversi convegni durante l'anno, uno dei quali sul "Codice Rosso", molto interessante. Sentivo prima dire come il "Codice Rosso" abbia inciso sul nostro modo di approcciare il contrasto alla violenza di genere e ne siamo tutte alquanto soddisfatte. Da questi convegni, a cui hanno presenziato magistrati e Forze dell'ordine, si è appreso che tale violenza si verifica in qualsiasi classe sociale economica e culturale. Non esiste neppure un profilo univoco di donna maltrattata. Non è vero, come si sente dire, che si tratta quasi sempre di donne straniere oppure di ceto economico e culturale basso o di donne che vivono in situazioni di disagio e di degrado economico e sociale. Tutte le donne ne possono essere vittima. Anche il quadro psicologico della violenza domestica continua ad essere peraltro molto complesso.
Quello che riesce difficile comprendere ad ognuno di noi è perch quando si dovrebbe fuggire il più velocemente possibile e chiedere aiuto denunciando il maltrattante, in realtà non sempre questo viene fatto o fatto subito. A ciò andrebbero dedicate ampie ed approfondite riflessioni con l'aiuto di psicologi, anche sul perché molte donne considerano normali comportamenti che, invece, sono spesso preludio di una degenerazione in senso violento della relazione, ad esempio la gelosia ed il controllo.
Inoltre, occorre dire che chi è vittima di una relazione maltrattante spesso si ritrova con le vie d'accesso del resto del mondo penosamente recise. La relazione, che all'inizio poteva essere forse anche non sgradevolmente esclusiva, diventa via via una cella di isolamento. Quindi cosa fare? Noi sul tema dell'isolamento possiamo sicuramente intervenire. E dobbiamo anche evitare di fornire modelli ambigui - come diciamo ai comunicatori -; dobbiamo fornire modelli univoci che insegnino a non tollerare comportamenti che possano essere preludio di comportamenti violenti e far comprendere, in primo luogo alle giovani e alle adolescenti e per questo è necessario l'intervento nelle scuole - che la tendenza al controllo e all'asservimento dell'altro è un comportamento distruttivo l'inizio forse di una relazione maltrattante ed insana.
La violenza di genere è una violazione dei diritti umani. Questo dice la Convenzione di Istanbul del 2011 sottoscritta da un numero molto alto di Paesi. È stata sottoscritta nel 2011 ad Istanbul e proprio la Turchia quest'anno ha deciso di abbandonare ufficialmente la Convenzione di Istanbul. Questo fa capire come in talune aree geografiche bisognerebbe intervenire, attraverso canali che non conosco, ma che sono quelli della diplomazia e degli interventi internazionali.
La violenza di genere, come abbiamo detto, è una violazione dei diritti umani, perché costituisce una gravissima forma di discriminazione e una violazione dei diritti fondamentali alla vita, alla libertà, alla sicurezza, alla dignità, all'integrità fisica e mentale nonch all'uguaglianza tra i sessi.
Ma qual è la molla? Quali sono le fondamenta su cui poggiano le basi i comportamenti violenti nei confronti del genere femminile? Ebbene, c'è un elemento che costituisce il regolatore della nostra vita sociale ed è il fondamento di tutte le nostre relazioni: il potere. E ciò è soprattutto evidente in campo criminologico. Il rapporto tra vittima e carnefice è un rapporto di potere. I comportamenti violenti non sono comprensibili fino in fondo se non si comprende che la causa del crimine è riconducibile, come per tutte le scienze sociali, al fondamentale concetto di potere. Nel caso del femminicidio poi, la rilevanza del potere e del possesso è addirittura clamorosa: "Ti uccido perché o sei mia o di nessun altro". Quando le studiose di genere dicono che il femminicidio è espressione del potere diseguale tra donne e uomini, dicono una grande verità. Il fenomeno è più marcato laddove la diseguaglianza tra uomini e donne è più marcata.
Abbiamo visto qui sotto le scarpette rosse, che siamo abituati a vedere come simbolo dei nostri giorni. Si tratta della replica di un'installazione che un'artista ha fatto a Palo Alto in Texas, ricordando i femminicidi perpetrati in Messico nella città di Suarez, dove vi è una forte cultura "machista" che ha messo le basi perché il fenomeno del femminicidio diventasse assolutamente reiterato e diffusissimo.
Quindi, la strada maestra è perseguire l'uguaglianza dei generi un'uguaglianza che sia sostanziale, anche economica, la non discriminazione e l'abbandono di stereotipi che relegano la donna in posizioni di sudditanza.
E poi c'è un'altra strada, che è quella che stiamo percorrendo oggi cioè lo stigma. Perché noi siamo qui oggi? Siamo qui a comunicare la condanna dei comportamenti violenti. Tutto ciò, ovvero il parlarne spesso e diffusamente, non è inutile; serve per creare su di essi un condiviso stigma sociale, fino a far diventare questi comportamenti quello che gli antropologi e i sociologi chiamano il "tabù". A me questa parola non piace tanto, perché ha quasi un connotato sacrale. Lo definirei piuttosto "pregiudizio", cioè una forte proibizione relativa a quest'area di comportamenti e consuetudini, in modo che la violenza di genere ed il femminicidio si consideri cosa ripugnante e degna di biasimo da parte della comunità. Meglio ancora se a stigmatizzare sono gli uomini. È più efficace se a comunicarlo è un uomo o molti uomini. Le vittime che si difendono da sole sono percepite quasi come ovvie, ma se alla condanna contribuiscono gli uomini, questa risulta più forte ed immediata.
Vorrei fare ancora una considerazione brevissima. Ho sentito prima parlare del "Codice Rosso". Alcune donne impegnate nelle politiche di genere si chiedono se sia giusto enucleare sotto il profilo penale, la particolare fattispecie della violenza di genere in tutti i suoi aspetti rispetto alla violenza generica (tutti quei casi, tutte quelle fattispecie nuove di reato indicate dai relatori che mi hanno preceduto), oppure il femminicidio rispetto agli altri omicidi volontari. Credo che la risposta sia senza dubbio sì, non solo perché ciò contribuisce a creare meccanismi di intervento, anche preventivi, diversi e più rapidi, ma anche perch alimenta la scia di condanna di cui dicevamo prima, in grado di creare una forte censura, disprezzo e biasimo nei confronti di tali crimini. Sono crimini particolarmente aberranti e così devono essere sentiti dalla collettività; pertanto, è ottimo che si sia emanata una legge che abbiamo definito "Codice Rosso".
Come si vede, moltissimo lavoro è da fare per la politica, per il comunicatore, per l'Ordine giudiziario, per le Forze di Polizia e per la società civile.
Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Grazie.
La parola alla dottoressa Maria Rosa Porta, Presidente della Commissione Pari Opportunità.



PORTA Maria Rosa, Presidente della Commissione Pari Opportunità

Buongiorno a tutti.
Ringrazio il Presidente e i componenti del Consiglio regionale per il gradito invito e porto i saluti delle componenti della Commissione pari opportunità della Regione Piemonte.
Ho pensato molto a come avrei voluto intervenire in questa importante Assise e alla fine ho deciso che non sarei venuta a parlare in senso lato del problema della violenza di genere e del fatto che la Giornata del 25 novembre, cui noi facciamo riferimento oggi, sarebbe stata la fase centrale di quanto avrei voluto dire in quest'Aula.
Le statistiche e le cronache di questi giorni dimostrano come il rispetto della persona e il contrasto a ogni violenza, così come gli abusi e le discriminazioni, rimangono un problema aperto. Rimangono ancora una sfida che non siamo riusciti né a vincere né a scalfire. Lo dimostrano come dicevo prima, i dati.
Giornate internazionali come quella del 25 novembre sicuramente ci permettono di riflettere e permettono alla collettività e agli individui singolarmente di riflettere. Hanno una funzione importante proprio per questo.
Vengo al mio intervento.
In questi giorni, la Commissione Pari Opportunità promuove, in modo particolare il giorno 26 novembre, un evento a ricordo di un tragico fatto avvenuto alla fine degli anni Sessanta, nella provincia astigiana, quindi sul nostro territorio.
Ricorderemo la figura di Maria Teresa Novara e la ricorderemo - e abbiamo deciso come Commissione Pari Opportunità di ricordarla - in un modo diverso, non con un convegno, non con un racconto dei fatti, ma coinvolgendo le ragazze del Liceo Musicale di Alessandria, il Liceo Saluzzo Plana. Abbiamo fatto loro questa proposta; la proposta è stata accolta con grande entusiasmo e grande interesse e l'altro giorno, durante la conferenza stampa nella sede consiliare della Città di Alessandria (poich la Città di Alessandria darà il patrocinio, insieme alla Città di Venaria poiché l'evento si terrà alla Reggia di Venaria, insieme al Consorzio delle Dimore Sabaude) è intervenuta una giovane ragazza, Isabella Burnar. Il suo discorso in conferenza stampa è stato talmente importante, talmente bello e talmente pregnante che ho deciso di invitarla oggi qua. Purtroppo, le condizioni non hanno permesso a lei di poter partecipare, allora le ho chiesto di riscrivermi quello che aveva detto.
L'altro giorno, quando la circolare del Ministro della pubblica istruzione, Patrizio Bianchi - che ho ricevuto perché sono un'insegnante esortava gli insegnanti e la scuola a coinvolgere attivamente gli studenti e le studentesse, richiamandoli all'azione e a esprimere le loro opinioni ho capito che la scelta di leggere qui il suo intervento, e non di raccontarvi cosa io pensi della tematica che stiamo trattando, fosse la scelta giusta.
Quindi io, spero degnamente, leggerò l'intervento di Isabella Burnar, a nome del Liceo musicale coreutico Saluzzo Plana di Alessandria.
"Affido alla lettura le mie riflessioni, poiché mi è stato comunicato che non sarebbe stato possibile intervenire. Ringrazio per averci coinvolto in questa bellissima iniziativa, che è una delle proposte in calendario per riempire di azioni e consapevolezza la Giornata contro la violenza alle donne.
La musica e la danza saranno la cifra delle nostre parole, per esprimerci su temi di grande sensibilità e attualità come la violenza di genere. Per noi, giovani e donne e, in generale, per la scuola, è un'ottima occasione per poterci confrontare su temi attuali e di grandissima importanza che ci riguardano, situazioni davanti alle quali non si possono chiudere gli occhi o, peggio, far finta di non vedere. La storia della violenza e del dolore di Maria Teresa ci è entrata dentro. Abbiamo percepito la disperazione che ha scandito il suo tempo tragico, che ha accompagnato la violenza con cui hanno straziato e abusato il suo corpo e la sua anima.
Anche la musica e i gesti della danza possono amplificare il grido di dolore dal quale vogliamo partire, per provare a fare la nostra parte per un futuro migliore, un futuro dove non ci siano più violenze di nessun genere, né contro le donne o i bambini né contro chi sceglie liberamente il proprio orientamento sessuale. Anche noi, studentesse e studenti, possiamo fare qualcosa per contribuire a costruire una società persino migliore dei ritardi che, rispetto alla politica, ha nel non dotarsi di leggi e norme di civiltà. Ed è proprio di futuro che vogliamo parlare questa mattina, oggi più di ieri, perché gli ultimi due anni sono stati caratterizzati dalla perdita di speranza e di voglia di fare.
Ci siamo ritrovati tutti sospesi a un filo, senza una certezza, senza una speranza, senza un futuro. Persi nelle nostre solitudini e nelle nostre incertezze.
Spesso ci siamo rinchiusi in noi stessi, quando non è capitato di affidarsi alla spensieratezza effimera dell'alcol o della droga. Il futuro ha il sapore amaro del lavoro che manca o che si è perso e questo colpisce ancora più le donne e le ragazze. Non è una novità che vi sia ancora purtroppo, una discriminazione verso la parità di diritti, di opportunità peggiorata dopo la pandemia.
Oggi, grazie a progetti come questo, ricominciamo a svolgere attività quotidiane e collettive; attività che ci hanno permesso di condividere i percorsi di studio, di musica o di danza per i quali abbiamo scelto l'indirizzo di questa scuola. Ed è proprio grazie a iniziative come questa che la speranza si riaffaccia. Ritornare a suonare, per noi del liceo musicale, e a ballare, per le nostre compagne del liceo coreutico rappresenta uno spiraglio di luce che speriamo possa piano piano allargarsi, così da illuminare tutte le nostre giornate.
Il concerto, di grandissima importanza che abbiamo l'onore di eseguire presenta una piccola novità: oltre alla presenza di un'orchestra interamente femminile, sarà diretto da una giovane donna. La cosa mi emoziona particolarmente perché avrò io l'onore di poterlo fare e di farlo dirigendo le mie compagne. Non sarà semplice, ce la metteremo tutta per far fluire i sentimenti attraverso la musica, fino a buttare il cuore oltre l'ostacolo, che per tutti è grande quando si affronta una prima volta, come toccherà a me, che per la prima volta affronterò la direzione di un concerto.
Sento forte la responsabilità nei confronti delle mie compagne, delle ragazze, delle donne e delle bambine di oggi e delle donne di domani. Delle ragazzine che, come Maria Teresa, per troppo tempo, non hanno avuto voce e giustizia.
Spero di poter essere all'altezza delle aspettative e del genio del nostro amatissimo professore Enrico Pesce, maestro e compositore. Tuttavia ciò che spero più intensamente è di poter trasmettere le emozioni della musica che sole potranno entrare nell'animo di ciascuno di noi e sciogliere in tenerezza e forza l'opportunità di dire basta alla violenza". Isabela Burnar.
Quando l'altro giorno ho sentito queste parole in conferenza stampa non ho potuto fare a meno di credere che questo fosse il posto giusto dove leggerle e dove portarle, perché questo, e lo dico ai presenti e a chi ci ascolta, è un vero messaggio di speranza, è un vero messaggio rivolto al futuro. Credo che i giovani e le giovani donne debbano essere sempre più coinvolte in questo percorso e in questo processo. Ecco perché, come Presidente della Commissione Pari Opportunità, proporrò a questa Assise e alle colleghe della Commissione, di fare una modifica al Regolamento affinché giovani donne, studentesse delle nostre scuole e dei nostri licei possano partecipare attivamente, come parte integrante, alla Commissione Pari Opportunità.
La voce e le istanze che loro portano, purtroppo non possono essere più le mie che ormai sono un'insegnante alla fine della sua carriera ed è giusto coinvolgerle. Spesso, e anche di recente, ho detto che quando non esisterà più il ruolo della Presidente della Commissione Pari Opportunità finalmente la nostra società avrà vinto la sua sfida.
Vi lascio con questo messaggio e vi ringrazio per l'attenzione.
Buon proseguimento e grazie.



PRESIDENTE

Grazie, dottoressa Porta.
La parola alla dottoressa Anna Mantini, Consigliera di Parità regionale



MANTINI Anna, Consigliera di Parità regionale

Buongiorno a tutti.
Mi complimento per l'iniziativa di oggi e ringrazio il Presidente Allasia e i colleghi Consiglieri per l'invito.
La Giornata Internazionale di azione contro la violenza sulle donne rappresenta un'importante occasione per riflettere sulla drammaticità della violenza fisica e psicologica subìta dalle donne nel corso dei secoli. La violenza sulle donne è un fenomeno diffuso e variegato, come è stato detto sul quale non si può e non si deve gettare un'ombra. Dai report della Polizia di Stato emerge che ogni 15 minuti si verificano reati di violenza contro il genere femminile; non solo quindi è necessario parlarne, ma anche farlo con competenza e consapevolezza, tenendo conto di tutte le sfaccettature di questo triste fenomeno.
Non sempre la violenza sulle donne assume la forma di quella fisica, ma spesso viene esercitata in modo più astuto, ma non per questo meno avvilente ed umiliante. È il caso della violenza psicologica e della violenza economica, che privano la donna delle proprie risorse personali e dei mezzi economici indispensabili per sottrarsi alla prevaricazione e alla sopraffazione della propria persona.
Gli uomini violenti non sono identificabili in base alla classe sociale, al reddito o a livello culturale: si tratta di un fenomeno trasversale. Né si può affermare che è una conseguenza di un disturbo psicologico o dell'uso di sostanze stupefacenti. L'ampiezza del numero degli atti di violenza sulle donne è troppo grande per essere giustificato in questi termini. Difatti, la costruzione della violenza segue passi ben precisi che isolano la donna rendendola così incapace di difendersi.
Le istituzioni stanno portando avanti un discorso di riconoscimento della soggettività giuridica e di affermazione dei diritti della donna: un'operazione necessaria poiché oggi si assiste ad una continua violazione e disconoscimento di tali diritti. Ci sono dei veri e propri ostacoli in tutte le sedi, anche di natura giuridica e, nonostante il notevole impegno i risultati non sono sempre gratificanti per diverse ragioni. In primo luogo a causa delle metodologie operative e comunicative in atto in e tra le istituzioni. In secondo luogo a causa della scarsa presenza femminile nelle istituzioni.
Sul tema specifico della violenza sulle donne sono evidenti le carenze di cui sopra, soprattutto in quanto le leggi non tengono conto, se non marginalmente, della vittima di questo genere di violenza - la donna impedendole in questo modo di affrontare un percorso giuridico da sola.
D'altronde, bisogna anche tenere conto che una legge da sola non è in grado di risolvere i conflitti sociali; può essere un valido strumento, è vero ma deve essere inserito in un contesto sociale e culturale e di supporto per espletare tutta la sua efficacia.
Un ruolo importante è svolto, com'è stato detto, dai Centri antiviolenza e dalle associazioni di volontariato, numerose anche nella nostra Regione. Ma la realtà con cui le volontarie hanno a che fare quotidianamente è drammatica e disperata. Sebbene siano sempre di più le donne che si rivolgono a questi servizi, dobbiamo tener presente che le associazioni generalmente sono sostenute dal duro lavoro di molte volontarie, socie di sodalizi che hanno pochissime risorse.
In questo periodo particolare di isolamento forzato, gli episodi di violenza sulle donne sono in crescita, soprattutto all'interno delle famiglie. Per questo bisogna comunque tener presente che, frequentemente le vittime dirette e indirette di queste situazioni sono i bambini. Ed è inoltre in aumento anche la violenza sulle donne anziane, come le cronache spesso ci confermano.
Le Consigliere di parità concorrono, con un'attività assidua e costante, alla realizzazione delle pari opportunità nei luoghi di lavoro vigilando sulla parità salariale, sulla tutela della maternità nell'accesso alla formazione e alle progressioni di carriera delle donne combattendo tutte le forme di violenza, come il mobbing e le altre forme di discriminazione nell'ambito lavorativo attraverso stretti rapporti con i Comitati unici di garanzia, gli ispettorati del lavoro e le organizzazioni sindacali.
In sostanza, ciò che le ricerche dimostrano in maniera chiara e precisa, nonostante la mancanza di dati standardizzati e di definizioni inclusive, è che gli omicidi di donne e ragazze ad opera dei loro partner non sono il risultato di un raptus incontrollabile e imprevedibile di follia o di malattia, ma sono il frutto di una cultura patriarcale sessista intrisa di violenza e di oppressione che punisce le donne che ad essa non si conformano.
La violenza è sistemica, pervasiva, culturale. Studiare il fenomeno è sì necessario, ma, ad oggi, è di vitale importanza l'analisi di tutti quei meccanismi che portano a tali crimini, in modo tale da poter, in un futuro prossimo, provare a prevenire l'atto ancor prima che questo venga compiuto sradicando la cultura della violenza e promuovendo l'educazione all'affettività.
Servono le parole giuste, le testimonianze dei sopravvissuti, dei corsi annuali nelle scuole. Ma tutto questo non basta.
Non basta inasprire le pene, perché quando si arriva alla pena, i crimini sono già stati commessi.
Il cambiamento culturale prevede tempi lunghissimi e qui non c'è più tempo. Com'è stato detto, le donne uccise in Italia quest'anno per femminicidio sono 109: un numero spaventoso, una strage che non sta vedendo la fine! Finché non si interverrà con un provvedimento sanitario obbligatorio nei confronti del maltrattante, dello stalker, del violento si farà sempre la conta dei femminicidi, dei loro poveri orfani e delle altre vittime collaterali.
Bisogna istituire legalmente e velocemente uno strumento di prevenzione: di fianco al TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) creiamo il TRO (Trattamento Riabilitativo Obbligatorio) nei confronti di questi soggetti pericolosi. Bisogna fare prevenzione vera in questo senso, agire subito sul martirizzante, oltre che aiutare le vittime. Questo tipo di maltrattanti va forzatamente inserito per un lungo periodo in soggiorni residenziali, in centri riabilitativi per violenti, in centri specializzati appositamente istituiti, e vanno ospitati fino alla loro completa e comprovata riabilitazione. Nel frattempo, si aiutino le vittime a rifarsi una vita e a riacquistare sicurezza e serenità. Perché tentare di riabilitare i carnefici in carcere, dopo che hanno trucidato la compagnia e/o i loro figli, è troppo tardi.
Anche le attenuazioni di pena dovrebbero essere abolite per questi soggetti. Dopo che hanno trucidato la compagna o i loro figli non servono è troppo tardi, sia per loro stessi che per salvare le preziose vite innocenti dei loro familiari assassinati per il semplice motivo che non volevano più essere soggiogati psicologicamente, fisicamente e sessualmente.
Ogni sorella che è stata uccisa poteva essere una di noi. La prossima volta potrei essere io. Non siamo un numero in una statistica: ci vogliamo vive, ci vogliamo libere.
Da ultimo, vorrei fare un appello ai giornalisti: basta scrivere "Alla base della strage c'è la richiesta di separazione della moglie". Dovreste piuttosto dire "Alla base della separazione c'era la violenza di lui".
Perché la separazione è una conseguenza, non una causa.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
Darei la parola alla dottoressa Ylenia Serra, Garante per l'infanzia e l'adolescenza.



SERRA Ylenia, Garante per l'infanzia e l'adolescenza

Grazie, Presidente e buongiorno a tutte e a tutti.
Come Garante per l'infanzia vorrei parlarvi, innanzitutto, di quello che ha fatto l'Ufficio nell'ambito del contrasto e della prevenzione della violenza sulle donne.
In primo luogo, a livello generale, l'Ufficio è stato coinvolto in numerosi progetti volti alla sensibilizzazione e all'informazione sull'argomento, nonché in corsi di formazione diretti a diverse professionalità: insegnanti, in primo luogo, medici di medicina generale pediatri e odontoiatri, tutte figure che hanno un ruolo nella vita dei bambini e delle famiglie e che quindi possono svolgere anche un compito molto importante nell'individuazione di segnali di disagio che potrebbero indicare situazioni di maltrattamento e di violenza assistita. È quindi fondamentale che ricevano un'adeguata e multidisciplinare formazione affinché siano messe nelle condizioni di comprendere, individuare e soprattutto segnalare a chi di dovere.
Ovviamente, c'è stata una costante collaborazione con l'Assessorato alle politiche della famiglia e delle pari opportunità, vista la grande attenzione della nostra Regione alla tematica del contrasto alla violenza e, soprattutto, al sostegno da fornire alle donne vittime e ai loro figli.
Da un punto di vista particolare, in ottemperanza a quanto previsto dalla legge istitutiva, ho ricevuto segnalazioni non già direttamente relative a casi di violenza diretta o assistita, ma di quelle che possono essere le conseguenze nell'ambito dei giudizi di separazione o, comunque nell'ambito di giudizi davanti all'autorità minorile in cui si discute il regime di affidamento e poi il diritto di visita. L'Ufficio può essere investito della questione, e lo è stato, avendo il compito di monitorare le prese in carico disposte dal Tribunale.
Ed ecco che, senza entrare ovviamente nei dettagli della casistica posso certamente affermare che le persone di minore età coinvolte vivono un periodo veramente molto difficile e complicato. I casi di violenza nell'ambito familiare cui il minore può assistere in maniera ripetuta comportano conseguenze sullo sviluppo psicofisico, a livello psicologico emotivo e di capacità di socializzare dei minori vittime di violenza domestica. Tale violenza comprende quella più evidente (cioè quella fisica) e quella più subdola ma ugualmente grave, che è la violenza psicologica che mina nel profondo la dignità della donna, all'interno delle mura domestiche. Proprio la circostanza che questi episodi avvengono in un ambiente come la casa, che è il luogo in cui il bambino dovrebbe sentirsi più al sicuro, protetto e sereno, incide ancora di più in maniera negativa.
Quello che fa più male osservare è il constatare come questi bambini vengano privati di quella serenità e di quella spensieratezza che, invece dovrebbe caratterizzare la vita di ogni persona di minore età.
Nell'affrontare quindi questa gravissima problematica, come è già stato detto, è fondamentale operare in sinergia tra le istituzioni, i professionisti e i servizi. Ma proprio perché la discriminazione di genere può costituire un terreno fertile per la tolleranza della violenza contro le donne, la Convenzione di Istanbul si preoccupa di chiedere alle parti l'adozione di tutte quelle norme volte a garantire la concreta applicazione del principio di parità tra i sessi. Viene dato ampio spazio nella Convenzione alla prevenzione della violenza contro le donne, che richiede un profondo cambiamento di atteggiamenti e il superamento di stereotipi culturali che possono favorire o comunque giustificare l'esistenza di queste forme di violenza.
A questo proposito, vi cito alcuni dati di due ricerche che devono secondo me, farci molto riflettere. Da un'analisi ISTAT del 2018 sugli stereotipi di genere ho preso i dati delle persone tra i 18 e i 29 anni: quasi il 28,8% degli uomini e il 26,7% delle donne intervistate ritiene accettabile, in certe circostanze, che un uomo controlli abitualmente il cellulare e l'attività social della moglie. Alla domanda se sia accettabile che in una relazione scappi uno schiaffo ogni tanto, il 10,5% degli uomini e il 4,3% delle donne tra i 18 e i 29 anni ha risposto "sì, in certe circostanze".
Una ricerca IPSOS del 2020 per Save the Children sugli stereotipi di genere ha, invece, raccolto le opinioni di giovani italiani, tra i 14 e i 18 anni. I dati sono veramente moltissimi e riguardano le opinioni e le esperienze vissute, ad esempio nell'ambito delle molestie per strada, nei casi di violenza, di prevaricazione, di tradimenti, di reazioni alla decisione di uno dei due di interrompere la relazione. Il 34% degli intervistati ha dichiarato che almeno una volta è capitato che il proprio partner controllasse il telefono, il 26% di essere stato insultato pesantemente durante il litigio, il 23% che il partner chiedesse una foto per dimostrare dove si trovasse in quel momento e il 22% una foto per dimostrare come fosse vestito. Il 18% ha dichiarato di aver ricevuto uno schiaffo durante un litigio e la stessa percentuale di essere stato spinto o strattonato. Il 39% ha dichiarato di aver visto online dei contenuti che giustificavano la violenza sulle donne. E considerando che almeno il 95 dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni ha dichiarato di avere almeno un account social e il 53% ha dichiarato che per informarsi e farsi un'opinione si affida ai social, ritengo che questo dato debba far riflettere molto, anche sul ruolo svolto dai social media e, in generale, da Internet.
È quindi fondamentale continuare una profonda attività di prevenzione di diffusione della cultura del rispetto dell'altro, in primo luogo, la promozione della parità di genere, senza discriminazioni, ma con l'attenzione alla specificità di genere e un'educazione anche all'affettività. Molto viene già fatto in merito, anche in ambito scolastico, con iniziative nazionali, regionali e territoriali, ma credo che, alla luce delle strazianti conseguenze della violenza sulle donne e della drammaticità del fenomeno - e anche di quella che pare essere, seppur solo in una certa percentuale, la percezione del fenomeno, soprattutto da parte delle nuove generazioni - si possa valutare un incremento delle iniziative di prevenzione e di sensibilizzazione, ovviamente calibrate in base all'età, coinvolgendo il mondo della scuola e degli Assessorati competenti.
Come Garante, quindi, offro la mia piena disponibilità a lavorare in sinergia anche su questo fronte. Grazie a tutti.



PRESIDENTE

Grazie.
Ha ora la parola, Bruno Mellano, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte.



MELLANO Bruno, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale

Buongiorno. Sono contento e felice di poter prendere la parola qui oggi, in questa giornata che è simbolica, ma che può e vuole essere anche una giornata di riflessione su cosa si può fare.
Ovviamente porto il mio contributo da osservatore della comunità penitenziaria e della comunità delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà. In questo momento, in Italia abbiamo 54 mila detenuti e 105 mila persone sottoposte a misure restrittive della libertà.
Ciò significa che della platea di cittadini italiani o domiciliati ospiti del nostro Paese abbiamo un buon numero di persone che sono limitate nella libertà personale, perché o condannati o indagati per reati connessi alla violenza di genere, al maltrattamento e alle varie tipologie di reati considerati dal "Codice Rosso".
Vi faccio un esempio specifico che riguarda il Piemonte. In questo momento, su 4 mila detenuti delle 13 carceri del Piemonte, abbiamo 268 persone collocate nelle sezioni dette "a riprovazione sociale"; quasi sempre persone legate a reati di tipo sessuale, di maltrattamento o di violenza, di pedofilia e di pedopornografia. Ma abbiamo altre 100 persone che sono in carcere per reati legati allo stalking.
Ho sentito prima parlare - e anch'io l'ho detto e l'ho scritto nelle varie relazioni presentate al Consiglio regionale - dei "reati spia". Reati che ci possono aiutare a capire, ad intervenire e a prevenire il fenomeno della violenza e del reato massimo definitivo da cui non si può recuperare.
Sembra banale e quasi evidente dire che si può cominciare da questi 373 detenuti nelle 13 carceri del Piemonte, i quali sono in carcere per reati connessi a questi fenomeni. L'ho già detto e lo ripeto qui - spero con qualche forza, non dico di convinzione, ma di partecipazione: la pena (ha ragione l'Assessore Chiorino) deve essere certa, ma certa anche nell'efficacia.
Sappiamo anche per questi 373 detenuti oggi in Piemonte non si fa quasi nulla. "Quasi" nulla vuol dire un progetto dell'Università di Torino sul carcere di Torino, il progetto SORAT finanziato da fondazioni bancarie, ma con nessun intervento pubblico. Questo vuole dire che nelle tre sezioni speciali - Torino, Vercelli e Biella - abbiamo progetti, in questi sette anni di mandato di Garante, estemporanei, legati al volontariato, alla disponibilità di professionisti del territorio, all'avere intercettato qualche finanziamento da fondazioni bancarie o culturali del territorio.
Sappiamo però, l'hanno detto qui con grande efficacia sia la rappresentante della Questura di Cuneo sia la rappresentante della Polizia di Stato, che abbiamo reati che si configurano come "reati spia". Se non sugli stalker se non sulle persone attualmente nelle patrie galere o in indisponibilità perché limitati nella libertà, al trattamento di recupero. L'amica e Consigliera di parità Anna Mantini diceva provocatoriamente, ma neanche tanto, che ci vorrebbe un trattamento obbligatorio, un trattamento di recupero obbligatorio: io mi accontenterei che ci fosse una presa in carico di questi soggetti.
Abbiamo soggetti che nel periodo di detenzione non assumono neanche la consapevolezza che il comportamento per cui sono finiti in carcere è un comportamento socialmente non accettabile e penalmente punibile. La recidiva, in questi casi, è un fenomeno di una drammaticità assoluta. Si diceva del problema di arrivare tardi, quando la persona è già in carcere ma queste persone, in carcere per omicidio o per pene lunghe derivanti da gravi reati, sono una minoranza estrema. Abbiamo in carcere persone condannate per pene medio-brevi legati a "reati spia" che non sempre - per fortuna non sempre - devono essere letti con professionalità, con figure professionali adeguate, come fenomeno per prevenire il reato grave, il reato definitivo. Nelle cronache leggiamo - ed è un dato che ci scandalizza e ci sconvolge - di donne uccise, violentate, stuprate o sfregiate da parte di persone che erano già state in carcere o che erano appena uscite dal carcere e che tendenzialmente, non avendo fatto nessun percorso, neanche di consapevolezza del reato, escono e vanno - ripeto: non sempre, per fortuna a "completare l'opera" (direbbe qualcuno), a punire le persone che le hanno denunciate, a punire il contesto sociale e familiare che ha provocato la detenzione.
Questo è il vero fallimento dell'esecuzione penale rispetto a queste persone. La recidiva - permettetemi la battuta - rispetto al ladro di pollo o al reato economico è grave, ma in questo caso è odiosa. Scusate la veemenza, finisco qua.
In questo campo c'è una responsabilità specifica della Regione. In questo campo c'è una responsabilità specifica della Regione perché la presa in carico è sanitaria. Non possiamo dire che è colpa del Direttore dell'Amministrazione e della struttura fatiscente. Tutto vero, però la presa in carico è sanitaria. Noi non abbiamo psicologi, non abbiamo mediatori, non abbiamo strumenti di intervento professionale, neanche per conoscere le persone che in questo momento sono in carcere.
Chiudo con un esempio secondo me eclatante.
Quattro anni fa, l'Amministrazione penitenziaria, per decisione romana (come spesso succede), il DAP, autorizza e obbliga il Provveditorato del Piemonte, e quindi il carcere specifico (quello di Verbania), ad aprire una sezione per stalker, con l'idea di fare un percorso di qualità specifico per quel target di persone. Aprono - deciso-fatto - la sezione, arrivano quindici/venti detenuti, ma nel frattempo nessuno aveva parlato con l'ASL del territorio, che non era attrezzata, non aveva il medico e non sapeva da che parte prendere il problema (perché obiettivamente è un problema).
Occorrono due anni; si organizzano, ma nel frattempo l'Amministrazione da Roma aveva deciso che il progetto era fallimentare e lo hanno chiuso nel momento in cui l'ASL si era organizzata con un medico dedicato, che aveva voglia di sperimentare, anche professionalmente, quell'intervento.
Ogni giorno c'è una data significativa da ricordare, un anniversario una data internazionale che ci chiede di riflettere e di muoverci, però su questi temi - scusate - bastano le relazioni del Garante per muoversi e per poter, con difficoltà, cercare di sperimentare, in rete con la Polizia, con il carcere, con le strutture del territorio e con le ASL, cosa vogliamo fare per prendere in carico queste persone con problemi anche sociali.
Ripeto - non voglio essere polemico, voglio prendere il lato positivo: certezza della pena, ma anche certezza di un trattamento, che in questo momento non stiamo fornendo, che noi e lo Stato non stiamo fornendo.
Dall'altro punto di vista, c'è anche - e lo dico da Garante dei detenuti un diritto soggettivo del cittadino recluso a essere trattato. Chi vuole essere trattato in questo momento se è al carcere di Torino ha la fortuna di incontrare il progetto dell'Università di Torino, se invece è a Vercelli o a Biella non viene trattato.
Queste persone tornano sul territorio e poi contiamo i danni.



PRESIDENTE

Parola alla dottoressa Francesca Brancato, referente piemontese dell'Associazione Donne in Rete.



BRANCATO Francesca, Referente piemontese dell'Associazione "Donne in Rete"

Buongiorno a tutti e grazie per questo invito, per questa occasione.
Grazie, Presidente, Consigliere e Consiglieri.
Intanto vorrei dire che siamo qui per la commemorazione di una morte importante di tre sorelle, le sorelle Mirabal, che il 25 novembre del 1960 furono barbaramente trucidate perché volevano ballare, cantare e amare come è già stato ricordato - ma la dittatura non gliel'ha concesso. Questo per dire che nelle nostre biografie è inscritta la violenza contro le donne, sia se siamo uomini o donne; quindi non possiamo fare altro che intanto, partire da un presupposto, cioè che tutti abbiamo bisogno di sentirci femministi e femministe, come diceva Nawal Al- Sa'Dawi. Lei, ad un certo punto, si chiese come mai i suoi fratelli avevano dei privilegi che lei non poteva avere: non ricevette risposta. Scrisse una lettera anche a Dio, in realtà, e anch'esso non rispose. Di conseguenza, lei concluse: "Questo mi fa dire che non posso fare altro che essere una femminista".
Cercando di comprendere un po' cosa potevo portare qui oggi che non fosse già detto o non fosse già abbastanza facile e diffuso da reperire con altri interventi o informazioni, ho voluto provare a fare una focalizzazione su quello che è il senso delle nostre azioni, delle politiche. Delle vostre azioni politiche. Voi avete un potere speciale avete un potere specifico e noi sappiamo che la quarta "P" della Convenzione di Istanbul ci ricorda che le politiche integrate sono uno strumento importante di prevenzione e il Rapporto Grevio ci dice che queste due "P", la prevenzione e le politiche, nonostante tutto quello che è stato fatto, non sono ancora sufficienti per cercare di determinare l'interruzione della violenza.
Allora mi chiedo che cosa possiamo fare tutti. Io sono una sistemica di formazione e quindi mi piace ricordare il fisico Von Foerster quando dice che quello che possiamo fare è lavorare tutti per aumentare la possibilità di ciascuno in maniera interconnessa. Proviamo a fare un attimo di sospensione e cerchiamo di capire quale può essere il senso del nostro stare qui. Voglio provare a declinare il senso nelle sue tre accezioni di significato: "senso" a partire dalla sensazione, quindi chiedo di provare a riportare al centro la tematica del corpo, perché è sul corpo delle donne che si gioca la questione della violenza. È del corpo che stiamo parlando della trucidazione del corpo, della violenza del corpo e del controllo sul corpo, ed è tutto quello che anche i nostri corpi, nel momento in cui siamo esposti a questo e stiamo vicino a questo, possono vivere.
Quali sono le emozioni che questa violenza perpetua porta anche in noi che siamo, in un qualche modo, spettatori, ma anche coinvolti. Le emozioni sono quelle di dolore, di sofferenza, di paura, di terrore, di tristezza e di rabbia. È un danno continuo e costante, fisico, psichico, sociale. È una deturpazione, una mutilazione e un annichilimento. È un trauma costante e collettivo. In questo periodo possiamo sommare traumi su traumi rispetto alla nostra esperienza di vita e alla nostra biografia. Tutto questo si riverbera costantemente nella società.
Possiamo passare a un'altra accezione, cioè al "senso" come significato, come comprendere, come tenere "dentro"; dobbiamo fare la fatica di portare dentro e di non lasciare andare quello che significa violenza. È una questione molto complessa, non possiamo semplificarla anche se certamente avremmo voglia di farlo. La violenza è un discorso difficile e facile nello stesso tempo, è una cosa recente, ma anche emergente; è una cosa sistemica, strutturata da secoli, ma è anche una cosa esplosiva e molto spesso utilizzata anche un po' per il suo effetto impattante. Perché funziona. Tuttavia, abbiamo imparato sul campo - noi attiviste, femministe, operatrici dei Centri antiviolenza, delle Associazioni, tutte le operatrici e gli operatori che lavorano costantemente a fianco della violenza, magari in altre funzioni - che essa è graduale, lenta, insinuante e pervasiva, prolifera ed entra all'interno delle nostre micro relazioni quotidiane. Ed è di questo che si nutre. Essa matura fra soggetti che comprendono che l'altro non è più un soggetto, ma diventa un oggetto. Ed è questo il modo per cui le relazioni diventano a questo punto predominanti e quindi hanno un afflato totalitario, duale, non sono più circolari né reciproche; è una manifestazione di disequilibrio di potere tra gli uomini e le donne. Noi sappiamo che la violenza non accetta i confini che possiamo desiderare di imporle: essa è pervasiva - lo abbiamo già detto stamattina, ma voglio ripeterlo - non accetta possibilità di contenimento. È un problema di trasmissione di modello relazionale di famiglia in famiglia, ha una ricaduta continua.
Tutto quello che noi abbiamo sempre pensato e che continuiamo ancora in qualche modo a definire luogo sicuro, ossia la casa e le relazioni intime lo sono? Non lo sono in alcun modo perché all'interno di quei luoghi sicuri c'è sempre qualcuno che tiene, dove c'è violenza, un rapporto di superiorità; qualcuno che sta sempre sopra e qualcuno che sta sempre sotto ed è dominato e viene sottomesso come una minoranza.
Il terzo "senso" che voglio qui nominare è la direzione: dove vogliamo andare? Finalmente abbiamo un piano. In questi giorni fortunatamente siamo riusciti a ricevere, dopo tutto il lavoro che è stato fatto. Certo, il piano era scaduto un anno fa e questo ci fa dire che abbiamo bisogno di velocizzare con i tempi di lavoro perché non possiamo pensare che per un anno si sospenda il lavoro che viene fatto costantemente nei confronti delle donne, che per un anno la violenza si ferma perché non siamo in grado di lavorare con una tempistica reale, pratica e coerente; e quindi è proprio dalla pratica che voglio passare.
Che cosa possiamo fare nel mettere in pratica un contrasto alla violenza? Possiamo intanto praticare un dialogo aperto tra società civile tra professioniste, esperte e attiviste e, chiaramente, chi detiene il potere di creare le politiche. Possiamo praticare un riconoscimento in tutte le sedi giudiziali e processuali della vera violenza; sappiamo che ancora adesso sia la violenza sia la violenza assistita non vengono riconosciute in quelle sedi.
"DiRE" ha avviato un Osservatorio di monitoraggio nazionale per la vittimizzazione secondaria che racconta questo: le donne hanno ancora paura di denunciare perché se arrivano alla denuncia, poi sanno che da lì in avanti ci sarà un percorso di vittimizzazione secondaria crudelissimo.
Dobbiamo praticare un reale riconoscimento della conoscenza dell'esperienza del sapere delle attiviste perché non è proprio dall'altro ieri che facciamo questo tipo di lavoro e che cerchiamo di fare una riflessione reale per contrastare la violenza strutturale. Dobbiamo anche praticare un'equa distribuzione delle risorse: non siamo delle volontarie siamo delle attiviste e abbiamo un forte senso civico, ma continuiamo a venire pagate non in modo corretto, non il giusto e con modalità di finanziamento irrisorie, precarie, rispetto a tutto quello che mettiamo in campo costantemente e che non facciamo mai cadere. Anche la modalità di affidamento delle risorse, che periodicamente finisce, non ci consente di avere quella visione di direzione nel lungo periodo che, invece, consente alle donne di poter sentire e di poter uscire dalle loro situazioni di violenza, ma anche di immaginarsi un futuro senza ricadere in un'altra situazione di violenza.
Abbiamo bisogno di praticare un'amministrazione del potere in senso orizzontale, certamente nella diversità dei ruoli, ma nella messa in discussione delle modalità con le quali si prendono le decisioni.
Abbiamo bisogno di praticare un ripensamento, anche a partire dal linguaggio.
Abbiamo bisogno di disarmare le nostre parole: basta con il linguaggio che evoca la guerra - "combattiamo la violenza", "conquistiamo la libertà" perché questo, in realtà, è un messaggio contraddittorio.
Abbiamo bisogno di utilizzare di nuovo il verbo "potere" nella sua funzione di verbo ausiliario, cioè, come ci diceva Lidia Menapace, come possibilità di poter fare, di poter dire, di poter essere.
Abbiamo bisogno di esercitare un'attenzione costante - e non soltanto in alcuni momenti dell'anno - su quella che è l'emergente (ma non nel senso di "nuova", ma nel senso di urgente e prioritaria) attenzione alla violenza.
I femminicidi sono una strage di Stato; tante volte ci chiediamo cosa faccia lo Stato, nonostante quanto sia stato già fatto, e nonostante l'inefficacia (probabilmente) di quello che, in maniera sistemica, ancora non consente di interrompere la violenza. Perché l'unica soluzione contro la violenza è interrompere la violenza, anche con azioni efficaci di prevenzione e di formazione culturale di tutti gli operatori, ma anche delle nuove generazioni. Sappiamo che la violenza ha un forte impatto di trasmissione trans generazionale, da padre in figlio, da madre in figlia non possiamo più pensare che la violenza sia una cosa privata, perché la violenza è un qualcosa di personale, ma noi sappiamo che il personale è politico.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
Darei la parola alla dottoressa Anna Clorinda Ronfani, Vicepresidente dell'Associazione Telefono Rosa.



RONFANI Anna Clorinda, Vicepresidente Associazione "Telefono Rosa"

Buongiorno e tutti.
Vi ringrazio e vi porto il saluto del Centro antiviolenza volontario "Telefono Rosa" Piemonte di Torino, che, come sapete, esiste sul nostro territorio dal 1993.
Telefono Rosa da sempre - dalla propria nascita e ancora oggi - lavora su due linee di azione, su due piani: il primo è quello del contatto diretto con le donne.
Abbiamo il privilegio di essere con loro e al loro fianco spesso dall'inizio del loro faticoso percorso di affrancamento dalla violenza abbiamo il privilegio di poter restare con loro nei momenti di frustrazione e di delusione che spesso il percorso giudiziario, sociale e a volte anche sanitario, infliggere loro; abbiamo l'infinito privilegio di essere con loro nel momento in cui, invece, si celebra e si festeggia la riuscita del progetto di rifiuto della violenza inflitta nelle relazioni domestiche nelle relazioni familiari, nei luoghi di lavoro e in tutti i luoghi in cui il fenomeno della violenza maschile nei confronti delle donne si manifesta.
Questa vicinanza noi la manifestiamo con l'accoglienza, con l'ascolto con l'accompagnamento, con l'informazione sui diritti (perché spesso queste donne non hanno nemmeno idea di quali siano i loro diritti, tantomeno di come fare per promuoverli e realizzarli), con consulenze gratuite di tipo legale in campo penale e in campo civile, con il sostegno psicologico all'interno dell'associazione, con l'accompagnamento anche nei percorsi giudiziari, con l'utilizzo costante delle risorse del Fondo regionale vittime contro la violenza, che è strumento che va sostenuto e conservato perché si è dimostrato prezioso per l'assistenza di queste donne, e con le risorse del gratuito patrocinio, altro istituto di carattere nazionale che sostiene le donne nei percorsi giudiziari. Assistenza legale e sostegno all'autodeterminazione: questo è il compito del Centro antiviolenza.
Il Centro antiviolenza, con le proprie operatrici, non si sostituisce alle donne, né prende decisioni per loro, ma le accompagna verso l'autodeterminazione, verso la scelta libera, consapevole ed informata di strategie che non vengono imposte, ma rappresentate affinché sia possibile sceglierle liberamente, fornendo strumenti per decidere se, come e quando uscire dalla vittimizzazione.
Noi preferiamo chiamarle "persone offese" anziché "vittime", non soltanto perché nel Codice di procedura penale, che ha centinaia di articoli, la parola "vittima" compare una sola volta, pur occupandosi molto dei diritti, ma perché si occupa dei diritti delle "persone offese". Le chiamiamo "persone offese" perché "Telefono Rosa" non alimenta il vittimismo; al contrario, alimenta il protagonismo del rifiuto individuale della violenza, che diventa collettivo proprio grazie alle risorse all'appoggio, alla presenza e al sostegno che viene messo a disposizione e offerto dalle nostre operatrici; naturalmente, nel pieno rispetto della riservatezza, dell'anonimato, dei tempi e delle scelte delle donne, ma facendo anche una valutazione del rischio. Perché la tematica dei tempi delle iniziative naturalmente deve fare i conti razionalmente anche con una valutazione seria, attenta, competente e consapevole della concretezza della vicenda umana della persona che sta davanti a noi e che accogliamo al Centro antiviolenza.
In questi due anni disgraziati - parlo del 2020 e del 2021 - "Telefono Rosa Piemonte" non ha mai cessato la propria attività, non ha mai chiuso.
Abbiamo implementato tutte le possibili forme di contatto, di collegamento di presenza e di raggiungibilità giorno e notte in ogni giorno dell'anno con donne che, specialmente nel periodo cupissimo del più duro lockdown, ci hanno comunicato la loro disperazione, la loro paura.
Era facile immaginare che il lockdown e gli isolamenti avrebbero incrementato il rischio di violenza all'interno delle situazioni domestiche. E così, purtroppo, è stato. Contemporaneamente, abbiamo imparato anche noi, operatrici di questi centri, ad utilizzare tutti gli strumenti di collegamento possibili.
Anche le operatrici non native digitali sono diventate esperte nell'utilizzo di questi strumenti e li hanno condivisi, e non solo. Abbiamo fatto anche un'opera nei confronti delle donne per insegnare loro a cancellare le tracce dei contatti con noi, perché le intrusioni invadenti e controllanti degli uomini violenti all'interno delle loro famiglie le mettevano a rischio di essere scoperte di questi contatti, perché le chat le cronologie d'accesso ai mezzi informatici devono tenere conto del fatto che, purtroppo, possono essere utilizzate da chi vuole spiare nella vita dell'altra. E così abbiamo anche insegnato a cancellare le tracce dei contatti con noi, sempre però nel pieno rispetto della loro riservatezza del loro anonimato e dei loro tempi.
Non le chiamiamo "vittime" non solo per quanto ho detto, ma perché il linguaggio è importante e perché le donne non sono deboli costituzionalmente. Diventano indebolite da una prepotenza e da un'aggressione, che è più forte di loro.
Il lavoro dei Centri antiviolenza è prezioso. Abbiamo sentito qualche giorno fa la Ministra Cartabia in un importante convegno pubblico lodare pubblicamente l'impegno, definendolo encomiabile, dei Centri antiviolenza perché la vicinanza è l'antidoto alla solitudine in cui spesso le vittime si trovano. Ed è anche aiuto all'accesso alle istituzioni, non sempre così facilmente raggiungibili. Questo è un altro compito dei Centri antiviolenza sia nella prevenzione sia nel governo delle situazioni delicate e difficili.
Solitudine, silenzio, sacrificio, illusione di cambiamento, mancanza di autonomia economica: abbiamo imparato che sono gli alleati principali della violenza maschile nei confronti delle donne e debbono essere combattuti da tutti, con tutte le energie e con tutte le risorse e le competenze possibili.
Parallelamente c'è l'attività del Centro antiviolenza per rivolgersi al contesto sociale, per fare in modo che la propria presenza sul territorio realizzi sensibilizzazione e formazione condivisa, con la partecipazione a progetti operativi, con convenzioni con enti pubblici e privati. Abbiamo ritenuto particolarmente importanti le convenzioni con dipartimenti universitari, che sono i luoghi di eccellenza per la formazione della cultura; con l'INPS abbiamo fatto formazione reciproca, per fare in modo che ciascuno sapesse come lavorava e come funzionava e quali fossero gli elementi di giudizio utilizzati dall'altro. Abbiamo anche fatto una convenzione con la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale e con la Federazione Italiana Pediatri di libera scelta.
Vorrei rivolgere un particolare ringraziamento all'Assessore Caucino alle dirigenti e allo staff tecnico dell'Assessorato, con cui la collaborazione è stata estremamente proficua. Grazie a questo si sono avviati dei progetti anche molto importanti per il sostegno all'autonomia economica ed abitativa delle donne e anche per l'intervento educativo e di diffusione di cultura presso le giovani generazioni. Ricordo, in particolare, il Progetto "La violenza nelle giovani generazioni" che il "Telefono Rosa Piemonte" ha attivato nell'ambito del Piano straordinario contro la violenza sulle donne, finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Regione Piemonte.
Se i Centri antiviolenza hanno il compito di rendere visibili gli invisibili, vale la pena investirci,, così come vale la pena guardare alle politiche sociali e sanitarie non come un costo, ma come un investimento per il benessere collettivo. Le infrastrutture sociali rappresentano una delle leve fondamentali per progredire verso l'uguaglianza di genere, che questa mattina abbiamo sentito ripetutamente evocata come necessità.
I numeri. I numeri sono feroci e li possiamo vedere rapidamente.
Abbiamo delle slide che abbiamo messo a disposizione, ma sul nostro sito www.telefonorosatorino.it da vent'anni pubblichiamo il report delle nostre osservazioni e dei nostri monitoraggi effettuati sul bacino di utenza delle donne accolte.
Nei primi dieci mesi del 2021 abbiamo accolto fisicamente in associazione 594 donne. I figli vittime di violenza assistita in questo bacino erano 213, i figli vittime di violenza diretta erano 113. Avete questi dati che sono assolutamente speculari ai dati complessivi del 2020 (complessivi perché il monitoraggio si è già chiuso): delle 741 donne che sono venute da noi, 526 erano italiane e 215 straniere.
Voglio richiamare l'attenzione su un dato di particolare importanza. Di queste 741 donne del 2020, 116 erano laureate, 356 erano diplomate. Ci significa che il 15% e il 48% di queste donne avevano un livello di istruzione elevato. Questo dovrebbe rappresentare la prova di un antidoto io, invece, voglio vederlo da un altro punto di vista. Questa è la prova della forza dell'aggressività, della potenza della cattiveria della violenza nei loro confronti, che neanche queste donne erano in grado da sole di controllare.
Concludo il mio intervento, dicendo che abbiamo l'ambizione di vedere realizzato nel futuro il messaggio che la Convenzione di Istanbul ha chiaramente messo a disposizione per indicare le linee di comportamento, le linee di strategia, prevenzione, protezione, punizione e politiche integrate per rispondere a questo gravissimo problema.
Il GREVIO, che è quel gruppo di esperti internazionali che si è dedicato in modo assolutamente indipendente a valutare l'attuazione dei principi della Convenzione di Istanbul in ogni Stato aderente, ha fatto i complimenti all'Italia per la legislazione, ma ci ha tirato le orecchie sul fatto che la legislazione non viene applicata. Questo significa che c'è un problema di sensibilità e c'è un problema specialmente..



PRESIDENTE

Mi scusi, la invito a concludere.



RONFANI Anna Clorinda, Vicepresidente Associazione "Telefono Rosa"

Concludo e ringrazio, dicendo soltanto che un intervento lo vorrei dedicare alla questione del trattamento dei maltrattanti, del quale abbiamo sentito già parlare questa mattina con competenza. Credo che poiché il "Codice Rosso" e le recenti riforme legislative hanno dedicato al percorso di recupero dei maltrattanti un effetto benefico a loro favore, addirittura sull'ottenimento, per esempio, del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Noi vorremmo sapere come questi trattamenti vengono fatti, dove, con quali metodi, con quali riferimenti scientifici e con quali criteri di valutazione degli esiti. Come i Centri antiviolenza devono rispondere a requisiti previsti per legge, anche i centri che trattano i maltrattanti devono avere le medesime caratteristiche.
Ultima questione: cambiamo la comunicazione.
Non vorremmo più vedere donne accucciate negli angoli, tumefatte e con le mani davanti al volto, vorremmo vedere donne che hanno vinto la battaglia contro la violenza e che lo manifestano con un'immagine nuova.
Vorremmo che la comunicazione, anche verbale, desse più spazio alle positività degli interventi, piuttosto che parlare sempre e soltanto, come peraltro è inevitabile, ma bisogna compensare, delle aggressioni, anche mortali, che incidono pesantemente sulla stessa sopravvivenza delle donne persone offese.
Vi ringrazio.



PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Monica Iviglia, Componente segreteria CGIL che svolgerà un intervento unitario delle Organizzazioni sindacali CGIL CISL e UIL.
Grazie.



IVIGLIA Monica, Componente segreteria CGIL

Grazie, Presidente.
Buongiorno Consiglieri, buongiorno a tutte e a tutti.
Intervengo a nome di CGIL CISL e UIL del Piemonte, in primo luogo apprezzando l'iniziativa del Consiglio regionale per la realizzazione, in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, di un Consiglio regionale aperto sul tema. Tema, quello della violenza contro le donne, che attenzioniamo ogni anno sotto i riflettori in occasione del 25 novembre, ma che ha radici profonde, come è già stato detto dagli interventi precedenti, e sul quale, come Organizzazioni sindacali, crediamo, ma anche come parti sociali e istituzionali in generale, si debba provare a lavorare tutto l'anno.
Secondo un rapporto pubblicato dall'OMS, come è già stato detto l'abuso fisico e sessuale è un problema sanitario che colpisce oltre il 35 delle donne nel mondo. Lo studio evidenzia anche il dovere di tutti di lavorare insieme per eliminare ogni forma di tolleranza verso la violenza femminile e favorire il sostegno offerto alle vittime di questa esperienza.
Il rapporto descrive l'impatto sulla salute fisica e mentale di donne e bambine vittime di atti di violenza, problemi fisici, ma anche mentali e sociali, che hanno ricadute nel quotidiano di ciascuna di queste donne. In Italia, i dati ISTAT mostrano che il 31,5% delle donne ha subito, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici e gli stupri sono stati commessi, nel 62,7% dei casi, da partner.
Nel triennio 2017-2019, secondo le risultanze dell'analisi condotta dal Ministero della Salute e dall'ISTAT, gli accessi in Pronto soccorso delle donne sono stati, per diagnosi di violenza, 16.140 e le stesse donne, nello stesso triennio, hanno effettuato anche altri accessi in Pronto soccorso con diagnosi diverse da quelle riferibili a violenza. Questo ci fa dire che una donna che ha subito violenza, in genere, torna cinque o sei volte in Pronto soccorso in media nel triennio.
Questi pochi dati che ho ripreso, anche se già citati negli interventi precedenti, ci parlano di un fenomeno enorme, ab norme mi verrebbe da dire sul quale dobbiamo lavorare tutti insieme su vari aspetti: in termini di emersione del fenomeno, di supporto alle vittime, ma anche di prevenzione.
Cito un altro passaggio.
L'emergenza dell'epidemia di Coronavirus ha molto cresciuto il rischio di violenza sulle donne, perché questa violenza avviene in famiglia e le disposizioni normative del periodo del lockdown stretto, in materia di distanziamento sociale, hanno creato maggiori difficoltà e un aumento del fenomeno.
Sono già stati indicati i numeri relativi alle chiamate al numero 1522 e quanto sia importante quel tipo di servizio.
Come Organizzazioni sindacali sottolineiamo quanto sia determinante la questione culturale. Persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subìta; addirittura il 39,3% della popolazione ritiene che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Anche la percentuale di chi pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire è elevata, addirittura il 23,9%.
Per il 10,3% della popolazione, le accuse di violenza sessuale sono false (più gli uomini che le donne); per il 7,2%, di fronte a una proposta sessuale, le donne spesso dicono "no", ma in realtà intendono "sì".
L'obiettivo generale comune, a fronte di questi pochi dati piuttosto impressionanti, è lavorare per combattere le discriminazioni e gli stereotipi legati ai ruoli di genere e al sessismo, che producono le condizioni contestuali e favorevoli alla perpetuazione della violenza maschile contro le donne; pregiudizi e discriminazioni sia della società sia anche delle stesse maltrattate. Molte donne, infatti, non considerano la violenza subita un reato. É importante, in tal senso, fare crescere anche la consapevolezza femminile di quanto si è subito.
Le politiche di sensibilizzazione, quindi, sono essenziali per trasmettere il messaggio che parlare della violenza subita ed entrare in contatto con le istituzioni e i servizi dedicati è una preziosa fonte di aiuto. Per questo crediamo sia importante aumentare il livello di consapevolezza, nell'opinione pubblica, sulle radici strutturali, sulle cause e sulle conseguenze della violenza maschile sulle donne; rafforzare come è già stato detto in altri interventi, il lavoro con il sistema scolastico, migliorando la capacità operativa del personale della scuola e degli insegnanti: luogo, la scuola, dove si può intercettare, prevenire fare emergere e anche intervenire su situazioni di violenza, compresa la violenza assistita; promuovere, nell'offerta formativa della scuola l'educazione alla parità tra i sessi, per il sotterramento dei ruoli e degli stereotipi di genere, anche attraverso una valutazione della didattica, dei libri di testo e la formazione del corpo docente di ogni ordine e grado.
Veniamo al mondo del lavoro.
Anche nel mondo del lavoro ci sono molestie e ricatti sessuali. Circa la metà delle donne, in età 14-65 anni (10.485 mila, pari al 51,8%) dichiara di aver subito, nella propria vita, ricatti sessuali sul lavoro o molestie in senso lato, come pedinamento, esibizionismo, telefonate oscene molestie verbali e fisiche.
Questi valori sono sopra la media nella nostra Regione: in Piemonte sono pari al 58,9%; nel Nord-Ovest 57,2%; nel Nord-Est 54,3%.
Si stima che siano 8.816.000 le donne tra i 14 e i 65 anni che hanno subìto qualche forma di violenza sessuale e si stima che siano 3.118.000 le donne che le hanno subìte negli ultimi tre anni. Nell'ultimo anno e nove mesi ci sono state 19 sentenze della Cassazione per molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Non sono processi facili, a volte non si arriva alla condanna proprio perché c'è quel tema culturale di cui parlavo prima: non si crede alla vittima.
Dalle sentenze emerge anche che le lavoratrici e i lavoratori vittime di violenza, molestie e molestie sessuali sviluppano vere e proprie malattie rispetto alle quali si profila una responsabilità penale.
Le molestie verbali nei luoghi di lavoro sono la forma più diffusa, poi ci sono le molestie con contatto fisico, le situazioni in cui le vittime sono state accarezzate o baciate contro la loro volontà.
La percezione della gravità delle molestie fisiche subìta è molto diversa tra i generi (anche questo è di nuovo il tema culturale di cui si parlava prima). Il 76,4% delle donne lo considera molto o abbastanza grave il 47,2% degli uomini lo considera grave.
Sono diffuse anche le molestie attraverso il web. Nel corso della propria vita il 6,8% delle donne ha avuto proposte inappropriate o commenti osceni o maligni sul proprio conto attraverso i social network e i social in generale.
Cosa possiamo fare? (vengo ad una parte più operativa). Come è stato già detto, la rete e fare sistema è sicuramente determinante; anche il mondo del lavoro ha, per quanto riguarda le molestie nei luoghi di lavoro uno strumento a disposizione. Dal 2019 è stata adottata la convenzione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie sui luoghi di lavoro. Questa convenzione all'articolo 1 recita che: "l'espressione 'violenze e molestie' nel mondo del lavoro indica un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili o la minaccia di porli in essere, sia in un'unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggono, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico sessuale o economico".
Ciascuno di noi, la rete e quel sistema, deve fare in modo che questa Convenzione diventi realtà: adottare e attuare, in consultazione con i lavoratori e i loro rappresentanti, politiche in materia di contrasto alla violenza e le molestie nei luoghi di lavoro; includere il tema della violenza e delle molestie tra i rischi psicosociali correlati nella gestione della salute e della sicurezza del lavoro; identificare i pericoli e le valutazioni dei rischi relativi alla violenza e alle molestie con la partecipazione dei lavoratori e dei rispettivi rappresentanti e adottare misure per prevenirle e per tenerle sotto controllo.
Il mondo del lavoro è un mondo che può fare molto nella rete e nel sistema di cui si diceva prima, e noi crediamo che sia un mondo nel quale si possano sia attenzionare i problemi legati alle molestie e alle violenze del "fuori" il mondo del lavoro sia quelli del "dentro" il mondo del lavoro. Ragion per cui pensiamo che si debba tenere strettamente correlato il tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro con questo tema di cui stiamo discutendo oggi.
Pensiamo che, quindi, sia importante declinare con dettaglio azioni progetti e tempi e risorse nei piani di prevenzione che si stanno per mettere in atto relativi alla prevenzione della violenza e delle molestie anche sessuali, nei luoghi di lavoro.
Pensiamo che sia importante che le Organizzazioni sindacali abbiano un Tavolo dedicato, un coordinamento tematico su questi temi e anche eventualmente, proponiamo una stipula di un accordo regionale con tutti i soggetti istituzionali, parti sociali su questo tema; oltre che costruire dei gruppi di lavoro specifici, dei comitati di coordinamento sulla prevenzione, la salute e la sicurezza del mondo del lavoro che portino anche maggiore formazione su questi temi sia per il mondo istituzionale che lavora sui temi della salute e della sicurezza (pensiamo ai tecnici dello Spresal e ai medici competenti) sia nelle collaborazioni con l'INAIL, ma anche rispetto alle nostre antenne che abbiamo nei luoghi di lavoro sui temi della salute e della sicurezza (gli RLS e gli RLST) che possono dare una mano nella rete e nel sistema di cui parlavamo questa mattina.
In questo diamo ampia disponibilità a lavorare tutti insieme per fare in modo che il 25 novembre sia sì una data da ricordare per contrastare la violenza e le molestie nei confronti delle donne, ma che tutti i giorni vengano praticate iniziative continue per fare in modo che questi numeri che oggi abbiamo rappresentato si riducano e che, soprattutto dal punto di vista della prevenzione e dal punto di vista culturale, ci sia un approccio diverso nei confronti delle donne sia nel mondo del lavoro sia nella società.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie, dottoressa Iviglia Monica.
La parola alla dottoressa Silvia Marchetti, Componente Direttivo regionale UGL Piemonte.



MARCHETTI Silvia, Componente Direttivo regionale UGL Piemonte

Buongiorno a tutti. Buongiorno Presidente, Consiglieri e Consigliere.
Siamo davvero felici come UGL di partecipare a questo Consiglio regionale aperto sul tema del contrasto alla violenza contro le donne. Non sono mai troppi gli appuntamenti per parlare delle violenze, non solo fisiche, che le donne tutti i giorni subiscono e che troppe volte non vengono espresse, quindi troppe volte in silenzio.



L'UGL Piemonte non vuole solo riportare i numeri che abbiamo

precedentemente ascoltato anche dalle nostre colleghe risultanti da femminicidio che, purtroppo, ad oggi, hanno superato il centinaio, ma soprattutto vogliamo esprimere un concetto fondamentale: tutti questi atti di violenza che si concludono con il femminicidio vengono commessi soprattutto negli ambiti familiari. Ed è proprio per questo che abbiamo valutato che più della metà delle donne subiscono violenze perpetuate da mariti, fidanzati, conviventi o ex. Sono quelli che i criminologi definiscono come omicidi in famiglia e prevalentemente motivati da gelosia rabbia, incapacità di accettare la separazione o l'abbandono, vendetta.
Molte volte anche mascherati da problemi psichici che nulla hanno a che fare con il reale movente dell'atto.
La violenza sulle donne, però, sfocia soprattutto anche nell'ambiente di lavoro e noi come Organizzazione sindacale oggi siamo qui a testimoniare il fatto che prima di sfociare in femminicidio, si manifesta anche in violenze verbali, come la discriminazione di genere e pregiudizi spinti da stereotipi che non sono affatto superati.
Le violenze subìte sul lavoro sono prettamente discriminazioni indirette; quindi quando una persona, in questo caso una donna, è trattata meno favorevolmente in ragione del suo sesso vi è una discriminazione indiretta. O quando una legge, un Regolamento, una politica o una prassi apparentemente neutri hanno un impatto sproporzionalmente avverso sui rappresentanti di un unico sesso, a meno che la differenza di trattamento possa essere giustificata da fattori oggettivi.
Vi sono, infine, le molestie sessuali, comportamenti indesiderati di natura sessuale o altro comportamento basato sul sesso, che reca pregiudizio alla dignità delle donne e degli uomini sul lavoro. In ci riscontriamo anche comportamenti dei superiori e dei colleghi.
Non ultima, la segregazione occupazionale, sia orizzontale sia verticale.
L'UGL-Piemonte, occupandosi della tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, vuole concludere con alcune riflessioni sul concetto di "benessere" nei luoghi di lavoro, spostando il concetto di prevenzione salute e sicurezza dall'ambito meramente fisico alla sfera psichica. In tal senso interviene il Testo unico sulla sicurezza e sulla salute delle lavoratrici e dei lavoratori (decreto legge 81/2008), che all'articolo 28 introduce il concetto di "valutazione rischi" attraverso il documento di valutazione dei rischi non solo fisici, ma anche psichici. I rischi di cui parla la legge sono quelli tradizionalmente legati all'ambiente fisico, ma anche allo stress di lavoro correlato (il decreto legislativo, infatti pone sullo stesso piano non solo i rischi fisici, ma anche quelli psicologici).
Su questo presupposto bisogna tenere in considerazione che la molestia sul lavoro è sicuramente elemento di rischio per la salute mentale della lavoratrice, così come il mobbing o le discriminazioni dirette e indirette.
Il benessere lavorativo assume centralità, con particolare importanza anche per il contrasto alle molestie e al mobbing, attraverso l'approvazione di codici di condotta disciplinati in contrattazioni collettive. I dati sui codici di condotta sono presenti nel comparto pubblico, ma poco nel privato; soprattutto c'è carenza nelle piccole e medie imprese.
Stando così le cose, ed esaminando l'incidenza e la ricaduta sullo stress da lavoro correlato, le violenze e le molestie di genere potrebbero essere individuate come mancanza generale di adattamento ad una situazione stressante al di sopra delle proprie possibilità di sopportazione all'interno del mondo del lavoro (anche in questo caso emerge la posizione minoritaria della donna, sottoposta quindi alla figura maschile).
In Italia le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro sono di fatto un fenomeno costante. Nel 2018 l'ISTAT ha stimato che sono più di 8 milioni le donne fra i 14 e i 65 anni che hanno subìto una qualsivoglia forma di molestia sessuale. È stato stimato che negli ultimi tre anni quasi il 3 della popolazione femminile attiva per ottenere un lavoro, mantenerlo e raggiungere avanzamenti nella carriera è stato sottoposto ad un qualche tipo di ricatto sessuale. L'insieme di comportamenti, pratiche e minacce che mirano a provocare, o che sono suscettibili di provocare danni fisici e psicologi, non sono solo psicologici ma anche economici, e comprendono anche la violenza verbale.
Nel declinare queste riflessioni, l'UGL Piemonte annuncia che il 29 novembre verrà inaugurata una "panchina rossa", come elemento di congiunzione e di volontà di far rete con i centri antiviolenza. In questo caso, abbiamo chiesto alla dottoressa Isa Maggi, che è il Coordinatore nazionale degli Stati generali delle donne, di poter apporre anche il loro simbolo che identifica la panchina rossa.
Il 29 novembre, alle ore 15.00, presso la sede della UGL di Torino verrà inaugurata questa panchina rossa, con la divulgazione di un QR Code che permetterà alle donne, alle lavoratrici o a chiunque si rivolga a noi per qualsiasi servizio, inquadrandolo, di visualizzare un indirizzo mail a cui scrivere - lo ricordo - in maniera totalmente anonima. L'UGL vuole creare rete in modo concreto, affinché si possano aiutare sempre più le donne che subiscono violenze.
Grazie a tutti e buona giornata.



PRESIDENTE

Grazie a lei.
Darei la parola alla dottoressa Anna Zucca, Presidente del Centro antiviolenza Donne e Futuro.
Il suo sarà un intervento unitario in rappresentanza dei Centri antiviolenza.
Prego, dottoressa.



ZUCCA Anna Maria, Presidente del Centro antiviolenza "Donne e Futuro"

Buongiorno a tutte e a tutti.
Sono Anna Maria Zucca, Presidente di E.M.M.A. Onlus, ma qui rappresento 21 Centri antiviolenza iscritti all'albo regionale, e precisamente: Centro antiviolenza "Donne e Futuro" di Torino, Centro antiviolenza della Città di Torino, "Centro Donne contro la violenza" di Torino, Associazione volontari del "Telefono Rosa" di Torino, Centro antiviolenza "Svolta Donna" di Pinerolo, "Centro Donna" ARCI di Susa e di Collegno, "InRete" (Chieri), "La Casa di Via Domani" (Chivasso), "Uscire dal Silenzio" (Settimo Torinese) Centro antiviolenza Verbano-Cusio-Ossola, Centro antiviolenza Biellese "Ricomincio da Qui" (Santhià), "Orecchio di Venere" (Asti), CAV10 (Cuneo) Centro antiviolenza Bra (Alba), Centro antiviolenza "Servizio Rosa", Centro antiviolenza "Medea" Onlus (Alessandria), Centro antiviolenza Casale Monferrato, Centro antiviolenza "Spazio Donna" (Novara), Area Nord novarese "Mamre", Centro antiviolenza Vercellese, EOS (Vercelli).
Da considerare anche i circa 80 sportelli antiviolenza, le 13 case rifugio, gli spazi di accoglienza ed emergenza in grado di accogliere oltre cento donne contemporaneamente, le strutture di secondo livello destinate a facilitare l'empowerment professionale e l'inserimento lavorativo delle donne.
Appare chiaramente come la realtà piemontese si presenti particolarmente articolata e attiva sul tema del contrasto al maltrattamento e alla violenza contro le donne sole oppure con figli.
Sicuramente, la Regione Piemonte può ritenersi una Regione virtuosa perché grazie alla legge 4/2016 e al successivo Regolamento attuativo è iniziato un processo di riconoscimento e valorizzazione delle realtà presenti che da tempo si occupavano di contrastare il fenomeno della violenza contro le donne.
Oggi, in attuazione dell'articolo 23 della citata legge regionale stiamo lavorando al secondo Piano triennale (2021-2023); uno strumento di indirizzo per le attività di tutti i soggetti istituzionali e non, che operano per la realizzazione della rete di sostegno delle donne che subiscono violenza, sole o con figli, nonché per il contrasto della violenza di genere e la sua prevenzione.
Lavorando tutti e tutte insieme emerge chiaramente che molto si è fatto per quanto attiene alla crescita di consapevolezza e maturità espressa dalla Rete Antiviolenza operante sul territorio regionale, ma ancora oggi la strada da percorrere è notevole. Ancora oggi ci troviamo a rispondere alla domanda "Che cos'è un Centro antiviolenza?". È un luogo completamente dedicato, dove la donna può esprimersi liberamente e in sicurezza. È un luogo di libertà, forse il primo per la donna che chiede aiuto, dove pu trovare le operatrici antiviolenza, professioniste esperte sulle dinamiche della violenza, in grado di offrire accoglienza, ascolto e sostegno, senza essere giudicata.
È un punto di partenza, dove la donna può scegliere di ridisegnare il suo futuro e anche quello dei figli, se è madre. Un futuro possibile dove lei, liberandosi dalla violenza, potrà acquistare o riacquistare autostima autorevolezza, autonomia e, soprattutto, un luogo dove le sarà sempre riconosciuto il diritto di scelta.
Chi sono le operatrici del Centro antiviolenza? Le operatrici, che accolgono e ascoltano le donne che subiscono violenza, sono professioniste esperte, perché hanno una formazione specifica e conoscono le dinamiche culturali presenti nelle situazioni in cui si subisce violenza. Questo significa che, anche se si è psicoterapeute, psicologhe, educatrici professionali, legali e counselor , eccetera, in un Centro antiviolenza si diventa operatrici proprio perché esperte sulla dinamica della violenza. È un qualcosa in più, ma è un qualcosa di molto, molto professionale. Grazie a loro, i Centri antiviolenza non sono solo spazi in cui le donne ascoltano donne, ma anche luoghi in cui le donne, con questa visione, ascoltano le donne. Grazie a questa visione politica, la violenza subita dalla singola donna trova origine nel contesto culturale e sociale in cui è vissuta oppure ancora vive.
Il percorso di uscita dalla violenza assume quindi anche la funzione di mettere a fuoco il vero problema ed intervenire sul processo culturale in cui nasce la violenza. In questo modo, la responsabilità trova la giusta collocazione nella struttura sociale in cui viviamo.
Purtroppo, ancora oggi i Centri antiviolenza non sono conosciuti.
Ricordo il dato ISTAT da cui emerge che le donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza non raggiungono il 5%. È, quindi, necessario attivare azioni di informazione e di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza, agli stakeholder, ma anche, e soprattutto, è importante che il ruolo dei Centri e la professionalità delle loro operatrici siano considerati e riconosciuti dalla Rete Antiviolenza territoriale.
Non dimentichiamo che quando una donna è anche madre, è essenziale sostenere anche i suoi figli. È importante lavorare con loro e per loro affinché la donna trovi o ritrovi la consapevolezza dei suoi talenti e delle sue abilità, affinché la madre si riappropri della sua autorevolezza come genitrice, affinché i figli e le figlie minorenni superino il trauma delle violenze subite o assistite, conoscano nuovi modelli di relazione basati sul riconoscimento e il rispetto reciproco, prive di sopraffazione di disparità e di abuso di potere. Questo è anche il lavoro delle operatrici nelle strutture di accoglienza e nelle Case rifugio.
Come accennavo all'inizio, sicuramente la Regione può vantare azioni di buone prassi. Questo lo riconosciamo, ma segnaliamo che il sistema di finanziamento dei Centri antiviolenza e delle strutture di accoglienza necessita di attenzione perché, lo sappiamo tutti e tutte, questi fondi sono insufficienti. Inoltre, quando parliamo di centri antiviolenza e di strutture di accoglienza ci riferiamo a servizi attivi h24 per 365 giorni all'anno.
Oltre all'aumento delle risorse insufficienti, sarebbe importante prevedere un sistema di finanziamento non vincolato a bandi, tenendo conto dell'esistenza dei requisiti e dei profili di qualità dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio iscritti nello specifico Albo regionale.
Un ulteriore suggerimento è quello di lavorare insieme, affinché nel momento in cui una donna sola o con i suoi figli necessita di un'accoglienza residenziale, si possa individuare la Casa rifugio e le altre strutture come luoghi deputati all'accoglienza, evitando in particolare che si collochi la donna o il nucleo in luoghi non idonei o non adeguati, solo perché costano meno. Ricordo, in proposito, che vige per le Case rifugio un regime tariffario, che chiaramente applichiamo.
Concludo, segnalando che il reddito di libertà è sicuramente un primo passo per sostenere le donne che subiscono violenza. Peccato che i fondi complessivamente stanziati sono assolutamente irrisori. Si segnala che la tabella inserita nella Gazzetta Ufficiale riporta i dati della popolazione dal 1° gennaio 2020, ripartiti per genere e regione. Tali dati sembrerebbero errati, in quanto la popolazione femminile in Italia dai 14 ai 67 anni, secondo l'ISTAT, è di oltre 20 milioni e non 279.364; in Piemonte, sarebbero oltre 2 milioni e non 18.488.
Nascono alcune domande. I dati sono riferiti a tutta la popolazione femminile di età compresa tra i 14 e i 67? Oppure sono riferiti ad un terzo della popolazione femminile, considerato che una donna su tre è vittima di violenza? Oppure sono riferiti alle donne seguite dai Centri antiviolenza? Noi non abbiamo risposte; in ogni caso per noi i conti non quadrano, perch in Italia sono 625 le donne che ne potranno fruire e in Piemonte solo 41.
A titolo d'esempio, vi dico che i Centri E.M.M.A. hanno in carico ogni anno circa 500 donne e in Piemonte oltre 10 mila (l'anno scorso), come la stessa Assessore Caucino ci ha segnalato questa mattina.
Pensiamo sia necessario capire e intervenire.
Grazie per l'attenzione.
Vogliamo concludere ricordando che la violenza contro le donne non è una situazione di normalità, è una violazione dei diritti umani e che uscirne è possibile. Diffondere questo messaggio significa generare un effetto moltiplicatore, perché aiuta a promuovere una corretta cultura della relazione uomo-donna e rafforza il messaggio che i Centri antiviolenza vogliono diffondere. Una società libera dalla violenza e dagli stereotipi di genere à sicuramente una società migliore.
Grazie per l'attenzione.



PRESIDENTE

Grazie.
Sono terminati gli interventi dei relatori esterni, quindi inizierei con gli interventi dei Consiglieri.
Darei per primo la parola alla Consigliera Zambaia.



ZAMBAIA Sara

Grazie, Presidente.
Innanzitutto tengo a ringraziare lei, Presidente, l'Ufficio di Presidenza e gli Uffici per l'organizzazione di questo Consiglio aperto, un Consiglio che, come sapete, ho pensato di proporre proprio per far sì che il tema della violenza di genere venisse portato ufficialmente all'attenzione dell'Aula, andando oltre gli eventi che avremmo potuto organizzare.
Tengo a sottolineare, tra l'altro, che quello di oggi è il primo Consiglio aperto che facciamo su questo tema nella storia del Consiglio regionale; tengo poi a ringraziare tutti i relatori intervenuti quest'oggi dalle Forze dell'ordine alle associazioni e alle istituzioni. Li ringrazio non solo per il contributo odierno, ma per lo straordinario lavoro che ciascuno, sul proprio fronte, svolge quotidianamente.
Su questo tema, Presidente, ci sarebbe indubbiamente tanto da dire.
Sono anni che, fortunatamente, si sono accesi i riflettori sulla violenza di genere; anni in cui le istituzioni, facendo rete, hanno lavorato tanto dalle campagne di sensibilizzazione fino alla promozione del numero di emergenza - il 1522 - e alle celebrazioni del 25 novembre. Anche l'attenzione del legislatore regionale e nazionale è stata alta soprattutto negli ultimi anni; un'attenzione indubbiamente trasversale se pensiamo alla legge regionale del 2016 o al Codice Rosso del 2019, oltre che al neo - di cui stiamo parlando - reddito di libertà. Eppure Presidente, i numeri continuano a destare preoccupazione. Perché? Ed è un perché che ci chiediamo tutti.
Penso che la risposta a questo perché risieda nella più grande difficoltà che contraddistingue anche la società occidentale in cui viviamo, una difficoltà di natura culturale innanzitutto. Parliamoci chiaro, Presidente: abbiamo detto più volte, nell'arco della mattinata, che esistono varie forme di violenza, da quella fisica a quella sessuale, da quella economica a quella psicologica, però ho purtroppo la percezione che le prime due siano sostanzialmente riconosciute dalla società, e condannate pienamente, sulle ultime due citate, in particolare sulla violenza psicologica, ci sia ancora tanta ignoranza.
Non voglio essere eccessivamente forte nel dire che, purtroppo, viviamo in un contesto sociale in cui, se qualcuno esercita su di te, donna violenza fisica, allora parliamo di violenza vera, ma se il tuo compagno ti massacra verbalmente, magari nell'intimo di casa vostra, allora no, non è violenza. Non è vera violenza. Tante volte si sente dire: "Ma sì dai, avete litigato, cerca di fare pace" e se lo sentono dire tante volte da amici familiari e non solamente da loro.
A questo si aggiunge un altro problema che non aiuta di certo le donne che vivono questa situazione a uscirne: la difficoltà probatoria, come è stato ampiamente detto.
Anche qua, se ti presenti al Pronto soccorso e successivamente alle Forze dell'ordine con il viso sfregiato, la prova sei te stessa; ma mettiamoci nei panni, Presidente, di una donna che subisce violenza verbale. Come fa a provarla? Una donna che subisce violenza psicologica periodicamente, che si sente mortificata, derisa e denigrata, spesso per non aver commesso nulla se non l'errore di aver intrapreso una relazione con un soggetto problematico, come fa a provare una simile violenza, quando magari la raffica di parole violente e patologiche avviene mentre si è in bagno o semplicemente nell'intimità di casa? In questo caso, la ferita della donna è una ferita profonda, perché la violenza psicologica non ti sfregerà al viso, ma ti riduce psicologicamente a essere una larva, ad avere paura a esprimerti, figuriamoci di denunciare, Presidente.
Parliamoci chiaro: in assenza di prove, è la parola della donna offesa contro quella dell'offensore. In assenza di prove, soprattutto laddove ci sono figli che assistono a questi litigi patologici, in caso di denuncia viene udito proprio il partner, che in tanti casi è un soggetto assolutamente lineare agli occhi della società e del giudice. Allora Presidente, come può una donna, in questi casi, trovare il coraggio se la paura di non essere creduta, spesso - ripeto - in primis dai familiari e dagli amici, è tanta? Cosa può fare una donna in questi casi? Innanzitutto pensare all'incolumità di se stessa e dei figli. Come? Cercando di capire se il soggetto che si ha davanti è un soggetto recuperabile oppure no nella piena consapevolezza che, in tanti casi, la separazione è l'unica strada perché, come ha detto anche la Consigliera di parità nel suo intervento odierno, in questi casi la causa della separazione è l'atteggiamento patologico del compagno, oltre a essere l'unica soluzione possibile.
Non entro in altre questioni per motivi di tempo, ma ci sarebbe tanto da dire anche sul rispetto di genere nei luoghi di lavoro, come è stato recentemente detto, spesso inesistente o condito da eccessive confidente.
Altro tema molto delicato è la certezza della pena, perché purtroppo non sono pochi i casi di donne che trovano il coraggio di denunciare questi atteggiamenti, che a volte rimangono sul piano della violenza verbale altre volte sfociano in quella fisica, e dopo ripetute denunce e ripetuti momenti di paura finiscono uccise perché l'aggressore non è stato arrestato o, addirittura, è uscito prima della fine della pena. La cronaca di questi giorni - ahimè - ci ha purtroppo narrato l'ennesimo caso simile.
Dunque, Presidente, mi viene da dire che, nei tanti sforzi che facciamo noi istituzioni, l'unica azione che forse potrebbe traghettare questa società fuori da questo vaso di Pandora è una vera e propria rivoluzione culturale. Educare i bambini alla cultura del rispetto sin da piccoli perché la personalità di una persona si forma nei primissimi anni di vita non al liceo. Insegnare loro che le parole hanno un peso; che i gesti hanno un peso; che la tua vicina di banco oggi è la tua compagna di studi, ma domani sarà necessariamente una donna emancipata.
Per questo, Presidente, concludo annunciando all'Aula che ho depositato ieri un ordine del giorno, di cui sono prima firmataria, che ho strutturato assieme alla collega Letizia Nicotra - che ringrazio - dove chiediamo alla Giunta regionale di attivarsi presso il Ministero di competenza affinché si inizi già dalle scuole elementari l'insegnamento di questa cultura del rispetto, inserendo, all'interno dell'ora di educazione civica, progetti specifici sul rispetto di genere e sul valore delle parole e della comunicazione, perché solo partendo dai più piccoli attraverso la scuola dove non arrivano le famiglie, è possibile, perlomeno, sperare in una società migliore fatta di adulti consapevoli, oltre che di istituzioni attente.
Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Ringraziamo la Consigliera Zambaia per l'intervento.
Ha chiesto di intervenire la Consigliera Frediani; ne ha facoltà.



FREDIANI Francesca

Mi chiedevo se non si fosse prenotata prima la Consigliera Canalis.



PRESIDENTE

Mi attengo alla disposizione dei lavori del Presidente Allasia.
Prego, Consigliera Frediani, ha facoltà di intervenire.



FREDIANI Francesca

Grazie, Presidente.
In realtà mi ha preso alla sprovvista perché ho visto nell'ordine di prenotazione che forse il Gruppo PD si era prenotato prima; comunque intervengo adesso, non è un problema.
È stata una mattinata utile e devo dire che sono partita un po' prevenuta, soprattutto quando ho visto deserti i banchi della Giunta. La cosa mi è un po' dispiaciuta perché con il grande impegno che gli Uffici mettono ogni volta che si organizza un Consiglio aperto, quindi si devono gestire gli interventi degli esterni e con un tema così importante che dovrebbe richiamare l'attenzione di tutti noi in modo molto preciso e in modo molto evidente, vedere i banchi quasi completamente vuoti, con l'eccezione di pochi Assessori (due sono intervenute durante la discussione), non è un gran bel segnale. Invece, con il progredire della mattinata e con i vari interventi che abbiamo ascoltato, devo dire che si tratta di un'occasione sfruttata al meglio dai Consiglieri presenti che hanno potuto ascoltare diverse testimonianze, molti dati e molte proposte di cui dovremo assolutamente fare tesoro.
È innegabile che la nostra regione non è estranea a questo gravissimo problema ed è innegabile che c'è molto lavoro da fare e da interventi come quello, ad esempio, dell'onorevole Mellano, dovremmo trarre fin da subito delle azioni da portare avanti e, soprattutto, delle azioni pratiche quindi dare dei segnali immediati, trovando subito risorse adeguate per finanziare quei progetti di cui parlava il Garante. Progetti che arrivano sicuramente troppo tardi, purtroppo, in molti casi, ma sono anche progetti che in altri casi possono fare la differenza ed evitare che ci siano altre vittime.
C'è qualcosa che non va sicuramente nel meccanismo perché ci sono delle strutture e dei centri d'ascolto rispetto all'antiviolenza, le Forze dell'ordine, il Telefono Rosa che abbiamo appena ascoltato, tutti soggetti pronti all'ascolto delle denunce e che sono pronte a intervenire nel momento in cui una donna trova la forza di ribellarsi, di parlare e di cercare aiuto. Tuttavia la cronaca ci insegna che c'è qualcosa che non va nei passaggi successivi. Intanto, non possiamo accettare che la donna diventi la persona che deve nascondersi e scappare e che nemmeno così si possa sentire sicura. In questi giorni, purtroppo, abbiamo visto che molto spesso le donne sono, comunque, raggiunte dai loro carnefici.
Non dimentichiamo poi la questione dei bambini, stata citata più volte non dimentichiamo che nella nostra regione, a pochi chilometri da qui, c'è un ragazzo che sta aspettando la sentenza per avere ucciso il padre perch non vedeva altra via d'uscita, nonostante le denunce e nonostante il fatto che la sua famiglia vivesse in una situazione terribile. Si è dovuti arrivare a questo punto. ovviamente, la verità giudiziaria sarà accertata nelle Aule, ma è una vicenda che sicuramente dimostra come spesso le famiglie che si trovano in difficoltà - le donne e i loro figli - non riescono i a trovare una soluzione per vari motivi: perché non si trova il coraggio di denunciare, perché la denuncia, come diceva qualcuno, pu essere poi rivista, rimaneggiata e per paura si ritorna sui propri passi.
A volte, anche quando il percorso è intrapreso e si denuncia con coraggio e si rimane fermi nella propria denuncia, purtroppo, non si riesce comunque ad ottenere la giusta protezione e il giusto sostegno. E purtroppo, alla fine, la cronaca ci insegna che le tragedie avvengono.
A livello regionale possiamo lavorare fin da subito, le indicazioni ci sono state, quindi le risorse sui Centri antiviolenza, che sono anche risorse nazionali ma, soprattutto, l'intervento sulle carceri. Ieri parlavo in Commissione con l'Assessore Caucino della riapertura degli sportelli antiviolenza all'interno delle carceri, per consentire alle donne detenute di poter parlare e di poter denunciare situazioni nelle quali rischiano di ritornare nel momento in cui finiscono di scontare la loro pena. Non avendo un altro posto in cui andare, ritornano nello stesso ambiente da cui sono scappate e, purtroppo, sono costrette a ritornare alla convivenza con i loro carnefici perché non hanno alternative.
Credo che anche l'apertura dell'Assessore Caucino, rispetto al tema degli sportelli antiviolenza in carcere, sia un'apertura importante e spero che si possa mandare avanti.
Ringrazio gli Uffici del Consiglio regionale che hanno organizzato questa giornata e ringrazio la Consigliera Zambaia che ha proposto di svolgerla, ma queste giornate resteranno senza esito se non ci impegneremo da subito in modo concreto. Il primo modo concreto è quello di definire risorse, definire progetti e non interrompere questo collegamento che oggi ci ha permesso di confrontarci con tutte le associazioni e tutti i soggetti che sono attivi in questo campo.
Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo la collega Francesca Frediani per l'intervento.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Cane; ne ha facoltà.



CANE Andrea

Grazie, Presidente.
Preparando questo mio breve intervento, nei giorni scorsi ho fatto una dolorosa constatazione, ovvero che più si avvicina il 25 novembre, Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, più sale la conta delle donne morte per mano di un uomo.
L'escalation di violenza di quest'anno, forse complice la difficoltà legata alla pandemia, è letteralmente detonata. L'ultima vittima è una donna di 34 anni uccisa a coltellate in un parco pubblico a Reggio Emilia.
Uccisa da un uomo la cui madre, pensate, era morta per mano di un altro uomo. Uomo incapace, quindi, di fermare la sua mano assassina anche davanti alla sofferenza di un figlio rimasto orfano per lo stesso orribile delitto.
La madre di quest'uomo fu uccisa all'età di 39 anni a dicembre 2015 e del delitto fu accusato l'ex convivente.
Mi vorrei quindi soffermare su un altro numero, che è già stato evidenziato prima: 108. Un numero apparentemente semplice da visualizzare.
Noi, eletti in Consiglio regionale, siamo 51. Quand'anche raddoppiassimo i componenti di quest'Aula, ancora non basterebbe - pensate! - a raggiungere il numero delle donne morte quest'anno per mano di un uomo.
Ho usato l'Aula come strumento per esemplificare visivamente un numero.
Subito dopo mi sono chiesto: "Noi amministratori, politici, legislatori eletti, rappresentanti del popolo, cosa abbiamo fatto per evitare, arginare e denunciare questo fiume di sangue versato?". Abbiamo fatto grandi cose come litigare e tirarci la giacchetta, per esempio, per la proposta di legge Zan.
Nelle scorse settimane leggevo frasi del tipo: "Crediamo fortemente che oggi sia più che mai urgente arginare, contenere ed eliminare l'incitazione all'odio verso chi diserta l'ordine dominante". Noi, cittadini di questo Paese, che non riusciamo a proteggere le donne dalla violenza maschile.
Noi, che non siamo riusciti a traguardare un paradigma culturale che rispetti i diritti delle donne, abbiamo pontificato che con un disegno di legge avremmo annullato l'omolesbotransfobia. Noi, che siamo intrisi di patriarcato emotivo, sentimentale e culturale. Noi, che la "mamma è sempre la mamma". Noi, che tra più donne, se una fa carriera si è concessa sessualmente al capo. Noi, che per quanto sei brava al lavoro guadagni meno di un uomo. Noi, che diciamo "Vorrai mica assumere una donna, che poi si mette in maternità; e sai quante assenze perché poi il bambino ha la febbre?". Sono spiacevoli luoghi comuni (tra l'altro, ne abbiamo visti tanti anche nel video iniziale, trasmesso prima delle ore 10.00, come quello sulla guida delle auto, sulla pulizia di casa, eccetera, eccetera).
Battute, sì.
Magari fossero solo battute! Riflettiamo sul fatto che se davvero fossero solo battute oggi non saremmo qui, e non ci sarebbe nemmeno questa Giornata internazionale. Invece, ogni giorno dobbiamo confrontarci su notizie che evidenziano la violenza fisica.
Da una parte penso sia giusto continuare a legiferare per prevenire violenze e discriminazioni basate su sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere, in cui ricadono soprattutto le violazioni dei diritti delle donne. La violenza maschile è per me la priorità attuale. Ma non è certo il bagno per il sesso neutro o fluido, o l'asterisco a cambiarci la testa, a modificare quelle frasi desuete che sono alla base del problema, e che poi sfociano fino ai femminicidi.
Nel 2021 si uccide perché si trasgredisce ai rigidi ruoli voluti da una società patriarcale. E se fossero le norme, i codici, le leggi a superare questi eventi delittuosi? Saremmo tutti a vergare le pagine di diritto penale! Invece no: purtroppo non abbiamo cambiato le cose né con la discussione sul disegno di legge Zan, né con il "Codice Rosso" del 2019. E la prova è data proprio da quelle 108 donne che non riposeranno in pace.
Moltissime avevano denunciato; moltissime avevano chiesto aiuto; moltissime erano nella condizione di essere protette dalla legge e da chi la fa rispettare.
Mi chiedo come sia stato possibile, signor Presidente, che solo tre giorni fa un uomo appena uscito dai domiciliari possa aver ucciso, senza alcun problema, la sua ex compagna.
Signori, la legge non vale niente se non è nel cervello delle persone se il cambio di marcia non è culturale, se continuiamo a restare quel Paese che copre le statue di marmo raffiguranti corpi nudi nei Musei Capitolini come forma di rispetto alla cultura e alla sensibilità. Ricordate la conferenza stampa del Presidente iraniano Hassan Rouhani nel 2016? Se proseguiremo così, continueremo a percorrere la strada sbagliata.
Noi dobbiamo cambiare testa e legiferare. Ma dobbiamo soprattutto rispettare la nostra immagine delle donne, che siano libere, vestite spogliate, degne di rispetto in ogni caso.
Noi dobbiamo guardare ad un salto culturale, motivo sociale che nessuno metterà su carta o imbragherà in un codice.
Una donna non è una quota rosa o una pari opportunità; non è madre moglie o figlia: è una donna.
Solo quando supereremo un aggettivo o un pronome possessivo abbinato ad una donna forse potremo aggiungere diritti a tutti senza toglierli ad altri.
Una riflessione finale: bene ha detto in apertura della seduta il Presidente Allasia sul fatto di educare i nostri figli e i nostri ragazzi fin dalle scuole. Ancora oggi, a novembre 2021, la domanda che pongo a tutti noi - quindi anche a me stesso - è la seguente: quale può essere la soluzione migliore per educare al meglio i nostri studenti? Forse un asterisco? E mi rifaccio alla decisione del liceo classico "Cavour" di Torino di adottare pochi giorni fa l'asterisco nelle comunicazioni ufficiali per non indicare il genere degli studenti. Al riguardo permettetemi di citare le parole di ieri del mio Segretario Matteo Salvini: "Un conto è il rispetto; altro conto è una folle corsa verso il niente.
Basta".
"Basta" lo dico anche io, signor Presidente. Basta non solo alla violenza, ma anche alla palese intenzione di aggirare anche nelle scuole i veri problemi della nostra società, che non sono di certo gli asterischi per identificare un astratto genere fluido, mortificando l'identità dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze.
In conclusione, cito la frase di un Segretario di Stato degli Stati Uniti di circa un secolo fa, Charles Hughes, che disse: "Quando perdiamo il diritto di essere differenti, perdiamo il privilegio di essere liberi".
Ragazzi, ragazze, auspico che negli altri licei si provveda magari ogni mese a fare delle ore di approfondimento sulla violenza. Basterebbe anche solo una rassegna stampa puntuale per commentare tutti questi articoli di femminicidi che tutti noi speriamo un giorno di non leggere più sui nostri quotidiani locali e nazionali.
Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Ringraziamo il collega Andrea Cane per l'intervento.
Ha chiesto la parola la Consigliera Monica Canalis; ne ha facoltà.



CANALIS Monica

Grazie, Presidente.
Questa mattina abbiamo ascoltato dei numeri molto allarmanti, due su tutti: nell'ultimo anno c'è stato un aumento della violenza tra il 5% e il 10% favorito, purtroppo, dalle costrizioni della pandemia e che nel solo 2021, fino ad oggi, in Italia sono già state uccise ben 109 donne, vittime di violenza. Ma questi sono i numeri del nostro Paese.
In una Giornata come questa, che anticipa di due giorni quella del 25 novembre, in cui cerchiamo di riflettere sull'eliminazione della violenza contro le donne, credo sia utile anche allargare lo sguardo oltre i confini del nostro Paese, al dramma delle spose bambine, al dramma degli stupri etnici - che, purtroppo, hanno avuto luogo in tempi non lontani anche nella nostra Europa - al dramma delle donne vendute, come fossero merci. Pensiamo alle donne yazide e a molte altre donne del mondo.
Il fenomeno della violenza - di cui le donne non sono una minoranza della popolazione mondiale ma poco più del 50% dell'umanità - assume forme diverse alle varie latitudini e, purtroppo, non lascia immune alcun Paese.
Per cui è importante che, in una Giornata come questa, facciamo un ragionamento locale, con uno sguardo internazionale globale per capire come possiamo noi - e, in particolare, noi donne impegnate in politica - essere vicino alle nostre sorelle.
La violenza assume molte forme, lo abbiamo detto questa mattina negli interessanti interventi che si sono susseguiti in Aula; c'è la violenza fisica, ma anche la violenza che si esprime nella sicurezza dei luoghi pubblici. Anche il fatto di non poter camminare in sicurezza nelle strade delle nostre città è una forma di violenza; anche il fatto di non potersi vestire come si desidera è una forma di violenza; anche la violenza verbale è una forma di violenza, così come l'esclusione sociale e l'esclusione economica che ancora attanaglia ampie fette della popolazione femminile italiana, mettendoci, di fatto, in ritardo e ponendoci come fanalino di coda in Europa per quanto riguarda i tassi di occupazione femminile. Ma la violenza può anche essere espressa attraverso la ridotta rappresentanza politica delle donne. Quindi, sono tante le forme di violenza e le forme di esclusione che dobbiamo tenere presenti.
Il compito della politica non è soltanto quello di aiutare a punire i reati oppure a proteggere le vittime di reato, ma, come è stato detto molto bene in uno dei primi interventi, anche quello di compiere azioni di promozione culturale ed educativa e, soprattutto, rimuovere alla radice le cause della violenza; in caso contrario, arriveremo sempre in ritardo rispetto a questo fenomeno.
Quali sono le radici della violenza? Quali sono le cause che hanno portato a numeri così allarmanti? Lo ricordo ancora: 109 donne uccise nel solo 2021. Sicuramente c'è una radice culturale, educativa, di modelli che vengono proposti nella società, nella scuola e all'interno della famiglia.
Sono modelli improntati al dominio e alla prevaricazione tra i generi piuttosto che alla parità di diritti, alla parità di possibilità e al rispetto della diversità. Donne e uomini hanno pari potenzialità: dovrebbero avere pari diritti, ma sono fondamentalmente diversi. Ed è questa diversità che deve ottenere rispetto e pari dignità. Gli stereotipi di genere sicuramente sono alla radice della violenza.
Ma la violenza si può propagare e può avere più spazio anche se la donna non ha quel grado di libertà concesso da un'autonomia economica dalla possibilità di avere un ruolo sociale autonomo rispetto a quello dell'uomo che le sta al fianco. Sicuramente anche la partecipazione al mondo del lavoro e alla socialità è un fattore fondamentale.
La radice della solitudine. Quante donne, in particolare in questo ultimo periodo caratterizzato dall'isolamento per molti, non hanno potuto condividere con altre persone il loro dolore, il loro grido di aiuto. Anche la paura per i figli può essere in molti casi un fattore di ritardo nel denunciare e nel chiedere aiuto. Sappiamo che la violenza spesso coinvolge madri e figli insieme; quindi, è violenza sulle donne, ma anche violenza sui minori.
Quali sono gli interventi che come Consiglieri regionali e, in particolare, come donne impegnate in politica in questo Consiglio regionale, dobbiamo spingere e promuovere per essere all'altezza del grido di aiuto che abbiamo ascoltato? Sicuramente dobbiamo difendere i nostri 13 Centri antiviolenza e le nostre Case rifugio. Si parlava di 102 posti letto, ma questo numero è ancora insufficiente rispetto alle necessità.
Quindi, nelle varie sessioni di bilancio sarà importante difendere questo presidio di ospitalità e di soccorso a queste persone, in un momento così difficile.
Sarà importante promuovere maggiormente gli interventi a tutela dei diritti sociali ed economici delle donne, per favorire l'inclusione femminile nel mercato del lavoro e per ribadire che non può esserci modello di sviluppo economico e culturale del Piemonte, senza una piena partecipazione delle donne a questo sviluppo. Senza le donne non pu esserci un progresso della nostra regione. Se non aumenta il tasso di occupazione femminile in Piemonte, sarà difficile agganciare pienamente la ripresa che ci può attendere nei prossimi anni; quindi, mettere in campo forme di accesso al credito per le imprenditrici donne, mettere in campo strumenti di conciliazione tra il lavoro e la vita familiare, strumenti di servizio alla cura dei figli, per far sì che le donne non rinuncino ad un impegno lavorativo per dedicarsi esclusivamente ai loro cari.
Ci ricordava il Garante, Bruno Mellano, che come Regione abbiamo una responsabilità specifica in materia sanitaria. Il tema della presa in carico sanitaria dei rei, ovvero dei responsabili dei reati, è un tema troppo trascurato, di cui forse non è piacevole parlare, ma è necessario farlo, perché chi oggi vive una detenzione, uscirà dal carcere ed è importante che possa vivere una nuova vita in cui non ci sia una recidiva ma che possa reinserirsi pienamente in società con una modalità comportamentale diversa.
C'è poi il tema della rappresentanza di genere in questa istituzione.
Uno potrebbe dire che ha poco a che vedere con il tema della violenza, ma non credo sia così. Più donne siederanno in questi banchi e saranno impegnate in prima persona nella vita politica del Piemonte, più temi come quello che stiamo affrontando oggi potranno avere spazio di discussione e rilievo. L'introduzione della doppia preferenza di genere nella nostra legge elettorale regionale, quindi, non è più procrastinabile. Non solo perché ce lo impone una norma nazionale, ma perché è necessario per dare voce alle donne del Piemonte, per dare loro una possibilità di una doppia preferenza, che chiaramente le può favorire.
necessario un intervento educativo, perché non sarà mai sufficiente la repressione, la punizione dei reati e neanche la messa in sicurezza delle vittime di questi reati, se non interverremo alla fonte, sui modelli educativi per i giovani.
Il tema, quindi, è proprio di collaborare con il terzo settore, con le istituzioni scolastiche, con tutti quegli enti impegnati nell'educazione dei giovani, per favorire la cultura del rispetto, della collaborazione tra uomini e donne, quasi di un'alleanza tra i generi, per favorire anche una solidarietà tra le donne che riduca il rischio di solitudine.
Talvolta, le pareti di quest'Aula ci possono apparire fredde ai bisogni delle persone e i discorsi possano suonare troppo lontani dalla quotidianità dei nostri concittadini e di tante donne piemontesi, ma credo che oggi, anche grazie a questa seduta che il Consiglio regionale ha avuto il merito di organizzare, si possano riempire queste pareti di calore, di senso e di umanità, per migliorare la vicinanza nei confronti delle tante donne che, purtroppo, ancora sono vittime di violenza.
Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziamo la collega Monica Canalis per l'intervento.
Parola alla collega Nicotra.



NICOTRA Letizia Giovanna

Grazie, Presidente.
Un ringraziamento a chi è intervenuto oggi, fornendoci il quadro di una situazione che continua a essere allarmante. Ci avete fornito molti spunti quindi grazie per tutto il lavoro svolto e grazie, soprattutto, alle Forze dell'ordine.
Il 25 novembre, com'è noto, è dedicato alla Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, ma la violenza di genere purtroppo, occupa troppo spesso le cronache, le nostre cronache. Come già detto da chi è intervenuto prima di me, sono 109 i femminicidi, con un aumento dell'8% rispetto al 2020. Molte vittime sono giovani donne tra i 18 e i 35 anni e i loro aguzzini sono altrettanto giovani. La violenza di genere non si esprime solo con l'aggressione fisica, ma include le vessazioni psicologiche, i ricatti economici, le minacce, le varie forme di violenza sessuale e le persecuzioni che possono sfociare in femminicidio.
La violenza psicologica porta la donna a sentirmi sminuita, insicura ad avere comportamenti diversi dal suo essere donna, portandola a sentirsi inutile e a volte, purtroppo, anche sbagliata. Questo tipo di violenza subdola è la più difficile da denunciare e da fare emergere.
Questi due anni di pandemia, come già detto oggi più volte, ha fatto accrescere il rischio di violenza, che spesso ha luogo proprio tra le mura domestiche. Si è purtroppo assistito, durante il periodo di lockdown, a un aumento drammatico della violenza contro le donne, che a volte vede tragicamente coinvolti anche minori.
Oggi, più donne denunciano. I dati ISTAT sulle chiamate al numero verde 1522 hanno evidenziato che il numero di chiamate valide, sia telefoniche sia di chat, è notevolmente cresciuto rispetto all'anno precedente: si parla di circa 71,7%.
Sono numeri che indicano la gravità di questo fenomeno, ma le vittime decidono sempre di più di denunciare e di chiedere aiuto.
Come ogni anno, questa Giornata non deve servire a far riaffiorare alla mente l'esistenza di questa piaga sociale, ma deve servire a infondere forza e coraggio alle migliaia di vittime di questa violenza fisica e psicologica. Abbiate la forza di chiamare le associazioni, le Forze dell'ordine, gli sportelli, gli amici, i vicini e il 1522.
Nell'ultimo decennio sono stati diversi gli interventi promossi sia a livello nazionale sia a livello regionale, volti a reprimere gli episodi di violenza a danno delle donne e fornire loro un sostegno psicologico giuridico ed economico, ben consapevole che la battaglia contro questa piaga sociale non debba assumere alcun colore politico, ma, anzi, deve vederci tutti uniti verso un unico obiettivo. Non posso essere che orgogliosa del Codice Rosso; oggi, in realtà, grazie all'assiduo impegno della Lega.
Non meno importante, perché è in grado di offrire un'indipendenza economica a chi ha subito violenza di genere, è il reddito di libertà. Non sono di certo poche le azioni messe in atto per contrastare questa piaga sociale. Tanto è stato fatto finora, ma di certo molto resta da fare, ad esempio in materia di educazione al rispetto. Proprio in questa direzione va l'ordine del giorno della collega e amica Zambaia, che ringrazio, che ho sottoscritto e a cui, come diceva la collega, ho collaborato convintamente.
Con quest'ordine del giorno chiediamo l'inserimento, nell'ambito dell'educazione civica, di progetti specifici che aiutino le nostre generazioni al rispetto per il prossimo in generale e per la donna nello specifico. La prevenzione è tutto. La prevenzione deve partire anche dalle scuole e va fatta anche contro la violenza, una violenza di cui, purtroppo se ne legge sempre di più nella nostra cronaca.
Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Ringraziamo la Consigliera Letizia Nicotra.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Grimaldi; ne ha facoltà.



GRIMALDI Marco

Grazie, Presidente.
"Uomo ammazza la moglie con otto colpi di pistola"; "Uomo entra in un bar e accoltella e uccide una donna" ; "Ha prima ucciso la moglie sparandole un colpo di pistola e poi, con la stessa arma, si è tolto la vita"; "Guardia giurata uccide l'ex moglie"; "Uccide la accompagna e si costituisce 24 ore dopo essere rimasto a casa con il cadavere. Non si era rassegnato alla separazione - dicono alcuni vicini di casa - anche se non lo dava a vedere. Anzi, sembrava aver reagito bene"; "Laura: strangolata e buttata in un fiume"; "Vittoria: accoltellata davanti ai suoi bimbi" "Lorenza e Carolina: madre e figlia massacrate in casa". Ilenia, Piera Clara, Licia, Barbara, Dorina e tutte le altre.
Quante donne muoiono per mano maschile ce lo ricordano le cronache (per intenderci, quelle che ho citato sono quelle delle ultime settimane) quasi ogni giorno. Come abbiamo sentito oggi, è un fenomeno strutturale e sistemico e non solo si sta intensificando ma, sempre più spesso, come avete sentito, coinvolge i bambini e le bambine.
Che cosa accomuna queste vicende? Forse dovremmo dirlo con un po' più di chiarezza, paradossalmente, anche dentro una giornata come questa: la volontà delle donne di uscire da una condizione di violenza, mettendo fine alla relazione. Ripeto, fine. In più di un caso gli individui che le hanno uccise, o hanno addirittura ucciso i figli, hanno contravvenuto a ordinanze e, senza apparente difficoltà - possiamo dircelo - hanno raggiunto le proprie vittime. Come è stato possibile? I Centri antiviolenza della rete DiRE, pochi giorni fa, hanno presentato dati preoccupanti: nel 2020 oltre venti mila donne si sono rivolte ai Centri, ma i fondi, come avete detto in tanti, sono scarsi e distribuiti in maniera spesso eterogenea. Le Case rifugio, 64 in totale sono del tutto insufficienti e sono le volontarie - dobbiamo sottolinearlo più volte - a sostenere le attività dei Centri. Soltanto il 32% delle oltre tremila viene retribuita. Ripeto, il 32%.
ActionAid ha definito il sistema antiviolenza italiano un'occasione mancata. Al 15 ottobre 2021, le Regioni avevano erogato il 74% dei fondi nazionali antiviolenza relativi alle annualità 2015 e 2016; il 71% per il 2017; il 60% per il 2018; il 56% per il 2019 e solo il 2% per il 2020. Nel frattempo, il Dipartimento per le Pari Opportunità non ha trasferito risorse significative per il 2021, impiegando talvolta sette mesi nel passaggio delle risorse alle Regioni.
Non solo. Stiamo riuscendo a proteggere le donne dalla violenza, dalla violenza reiterata, dalla violenza denunciata, ma stiamo facendo pochissimo per la prevenzione di questi fenomeni, del tutto incapaci di immaginare percorsi di vera educazione sentimentale dei giovani maschi.
Le relazioni di questa mattina ci hanno raccontato quanto l'accettazione delle tante forme di violenza di genere sia entrata nella mente e nella vita quotidiana dei più giovani: ecco perché la proposta di allargare la Commissione Pari Opportunità alle studentesse è davvero importante e ci vede favorevoli. Tuttavia, importante e drammatico è anche ciò che ci ricorda il Garante dei detenuti e delle detenute: pochissimo si fa per rendere consapevoli e consentire di comprendere ciò che hanno fatto e recuperare, per quanto possibile, gli autori delle violenze.
Occupati come siete a combattere un'inesistente ideologia gender e gli "asterischi", non comprendete che la vostra furia contro i tentativi di cambiare il nostro linguaggio e il nostro immaginario è parte del problema.
Consigliere Cane, non voglio neanche accusarla, perché molte delle cose che ha detto le condivido anche; capisco che chiamare le cose con il loro nome sia un gesto rivoluzionario, ma guardate che mettere le "a" e le "e" al posto giusto è un gesto di civiltà e anche di correttezza grammaticale. Un asterisco, vi assicuro, fa meno male del patriarcato. Riflettete per un attimo: anche dietro a quello c'è tanta violenza. In Italia nessuno chiamerebbe una donna, lavoratrice delle nostre scuole, bidello: tutti la chiamano bidella. Così come una collaboratrice domestica, una maestra, non si direbbe al maschile, ma fate una fatica enorme - la disprezzate questa idea - a chiamarla avvocata, architetta, sindaca. Anzi, fate ancora i risolini.
A proposito di identità, non farete fatica anche voi, come spesso alcuni colleghi della vostra coalizione, a chiamare, per esempio l'onorevole Montaruli deputata? Guardate che anche dentro questa idea c'è parte di quei pregiudizi e di quella visione del mondo.
Nel frattempo, possiamo leggere che soltanto il 27% delle donne accolte decide di avviare un percorso giudiziario: saranno pavide o qualcosa non funziona anche lì? Nel frattempo, sappiamo che da anni gli autori delle violenze sono prevalentemente italiani (soltanto il 23,6% ha provenienza straniera), tra i 30 e 59 anni; nel 47,6% con un lavoro stabile, quasi sempre il partner (60,2% dei casi) oppure l'ex partner (22,1%). Se si aggiunge la percentuale dei casi in cui l'autore è un familiare, si arriva alla quasi totalità: 92,3%.
Eppure, Presidente, non siamo in grado di unire tutti i puntini. Il 25 novembre è vicino, ma sembra molto, molto lontano.
Per questo ringrazio davvero i nostri lavoratori e lavoratrici, i nostri collaboratori e collaboratrici e i nostri Uffici per questa buonissima giornata di lavoro.



PRESIDENTE

Ringraziamo il Consigliere Marco Grimaldi per l'intervento.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Magliano; ne ha facoltà.



MAGLIANO Silvio

Grazie, Presidente.
Ringrazio chi, quest'oggi, ha voluto far soffermare quest'Aula a discutere, a dibattere e ad ascoltare soprattutto i nostri ospiti su questo tema.
Ringrazio anche personalmente gli Uffici del Consiglio che hanno reso possibile che all'ingresso del Consiglio regionale, non so se tutti abbiano potuto apprezzare, ci siano dei simboli molto precisi. Ringrazio chi ha voluto dare anche visivamente un segnale forte a chiunque, oggi, varcherà la soglia del Consiglio regionale.
Si è detto molto sull'argomento: i dati, snocciolati con attenzione sono certamente preoccupanti, e questo, in parte, evidenzia anche che, al di là delle misure legislative messe in campo, non basterà mai una norma o l'aggravamento delle pene a far sì che una certa tipologia di reato non si verifichi. Questo è un dato storico che abbiamo visto in tante occasioni e per tante tipologie di reati, alcuni anche molto efferati.
Il problema va affrontato secondo due aspetti: certo, quello legislativo, ma soprattutto quello formativo, legato all'istruzione dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze, soprattutto dei nostri ragazzi.
Ho letto con attenzione un'intervista del giudice Fabio Roia, che è Procuratore vicario al Tribunale di Milano, nonché membro dell'Osservatorio sulla violenza sulle donne. Il dato che fa emergere con grande preoccupazione è l'abbassamento dell'età: dai 18 ai 35 anni iniziano ad esserci i primi maschi che commettono femminicidi. Ma se commettono femminicidi - questo è il dato registrato, perché parliamo del "femminicidio" in quanto reato che pone fine ad una vita - pensiamo che siano ancora più vaste le attività e le azioni che vengono messe in atto da costoro, che sono azioni di violenza psicologica, di stalking e tante altre modalità di violenza che sono state raccontate in quest'Aula.
Forse la domanda che dovremmo porci non è soltanto quale informazione/formazione dare a scuola, ma a quali contenuti questi ragazzi hanno accesso. Se navigando su internet ho la possibilità di accedere a contenuti nei quali l'uomo è sempre dominatore rispetto ad una donna - mi sto riferendo, evidentemente, alla pornografia - se non ho la possibilità di discutere e di fare formazione con questi ragazzi e di spiegare loro che quella non è la modalità "normale" con cui rivolgersi all'altro sesso, è evidente che noi non riusciremo a svolgere un lavoro completo. È su questo che dobbiamo prestare attenzione.
L'accesso alle informazioni, l'accesso alle immagini, l'accesso a tutte le tipologie di video per talune persone (perché in nome della libertà chiunque può guardare qualsiasi cosa!), senza la possibilità di spiegare a costoro che quella non è la modalità normale di rapporto con l'altro sesso e che l'altra persona non può essere considerata un "oggetto", è rischioso (in alcuni casi, evidentemente, perché non possiamo certo generalizzare).
Perché quando la donna, la propria compagna o la propria moglie (o nei primi rapporti affettivi che si generano), proprio perché è alterità o diversità, rivendica il suo diritto a non essere intenzionata o sceglie altri percorsi di vita, potrebbe far scattare un meccanismo per cui si pensa che la propria posizione sia quella dominante. E così non è.
Da questo punto di vista, il lavoro nelle scuole, il lavoro di formazione degli insegnanti, ma anche dei genitori (lo dico da padre sebbene i miei figli siano ancora piccoli per affrontare questi argomenti) la possibilità di entrare fino in fondo in una dinamica di rischio educativo (così viene definito dai pedagoghi) per fare in modo che si capisca che l'altro va rispettato proprio perché è "diversità", per cui va rispettata proprio la diversità del fatto di non voler essere, magari parte di un progetto affettivo o parte di una condizione affettiva che uno ha in mente per sé.
Difendiamo con forza tutto ciò che viene proposto nelle scuole difendiamo il mondo associativo del terzo settore, che prova a dare una risposta immediata; difendiamo tutti coloro che provano con attenzione, con garbo e con riservatezza a far sì che questo percorso di libertà possa partire, soprattutto le forze dell'ordine. Ciascuno di noi ne è responsabile: infatti, la responsabilità non può essere demandata solo ed esclusivamente agli operatori del settore, perché ognuno di noi ha la possibilità di guardare un'amica o una conoscente, e di vedere dei segni di vedere un certo tipo di comportamento, di farsi delle domande in più (starà bene? Non starà bene?), di provare anche ad essere sentinelle vigili, soprattutto dopo questi due anni di COVID.
La pandemia, i drammi umani e la perdita del lavoro hanno reso ancora più difficile la relazione. Perché di fronte ad una vita che non ha una possibilità di aspettativa, o si ha qualcosa di più grande in cui sperare oppure si rischia di trovare nella violenza una modalità di espressione.
Così non può essere, perché di fatto è frutto di un danno che poi viene creato, ed è oggetto di distruzione di famiglie. Perché dentro la violenza domestica, com'è stato detto in modo puntuale e preciso, c'è anche tutto ciò che riguarda i bambini, tutto ciò che riguarda la violenza assistita.
C'è un altro aspetto, Presidente, che vorrei affrontare in Aula prima di concludere. Sempre in quell'intervista a cui facevo riferimento prima ad una domanda evidentemente provocatoria che metteva in evidenza alcuni casi di persone a cui era stata revocata la misura cautelare, con la possibilità di muoversi liberamente, che avevano ucciso la compagna o la donna che l'aveva rifiutato, le parole dello stesso giudice evidenziavano che forse esiste un problema di professionalità, di approfondimento della materia, di specializzazione.
Abbiamo una carenza strutturale di magistrati, dal punto di vista numerico, per cui sarebbe importante, da questo punto di vista, l'ingresso di nuove figure giudicanti, di magistrati che però abbiano la competenza e la capacità di formarsi anche in maniera pluridisciplinare su temi come questo. Erano le parole di un magistrato. Sempre a suo avviso, è necessario che nelle scuole intervenga personale formato a dovere, un altro vulnus dell'intero sistema di prevenzione alla violenza contro le donne.
Emerge, quindi, un grande problema di assenza di professionalità tra magistrati e forze dell'ordine. I giudici che hanno esaminato queste situazioni non hanno ben valutato gli indici di rischio a carico di questi uomini. È necessario che chi si occupa di questa materia sia formato su scienze complementari, dalla psicologia all'esperienza quotidiana degli operatori dei centri antiviolenza; devono essere in grado di comprendere il ruolo della donna nel ciclo della violenza.
Le leggi che abbiamo sono buone, ma non vengono applicate con competenza. Occorre fare un investimento di risorse sulla formazione. La magistratura ha una scopertura di organico del 13% che non ci consente di specializzare i GIP (i giudici che infliggono le misure cautelari).
A tutti coloro che provano ad intervenire in maniera puntuale, comprese le forze dell'ordine e i magistrati, va il mio ringraziamento forte. Ma questa carenza di personale e di formazione - non possiamo negarlo rischia di far venire alla luce casi come quelli raccontati dai colleghi.
In conclusione, ringrazio veramente di cuore i colleghi che hanno voluto farci soffermare su questo tema. Per quanto riguarda la delega della Regione, sarà nostra responsabilità, come politici, mettere in campo tutte le azioni per sostenere chi questa battaglia la combatte, e come uomini e donne essere attenti e vigili nel constatare quello che accade alle nostre realtà e, in prima persona, provare a fare qualcosa.
Grazie, Presidente. Ho concluso.



PRESIDENTE

Ringraziamo il Consigliere Silvio Magliano per l'intervento.
Ha chiesto la parola il Consigliere Paolo Bongioanni; ne ha facoltà.



BONGIOANNI Paolo

Grazie, Presidente.
È stata una mattinata importante, una mattinata di ascolto, grazie a tutte le testimonianze che abbiamo raccolto che aiutano tutti noi - credo ad aumentare la nostra coscienza su questa problematica orribile. È uno degli atti più orribili in assoluto ed è necessario non solo condannare nel modo più severo e più drastico possibile chi si macchia di una colpa infame come quella della violenza sulle donne, ma ci obbliga a lavorare per cercare di prevenirla. Per fare questo sicuramente è importante cercare di sensibilizzare e di riconoscere sempre di più un'equità tra i sessi in ogni campo della vita, del lavoro e delle istituzioni, cosa che di fatto è in essere - lo dico abbozzando un piccolo sorriso - anche in quest'Aula e nel lavoro che stiamo facendo per proporre la nuova legge elettorale della Regione Piemonte.
Chiaramente non è facile rimuovere il terreno dove si annida il rischio degli atti violenti contro le donne; sicuramente sono importanti, ma non bastano, le azioni giuste e condivisibili poste in essere oggi, come la parità di genere salariale o l'inasprimento delle pene per chi commette questi atti. Bisogna cercare, secondo me, di far passare una cultura nuova che giornate come questa sicuramente aiutano, ma deve essere studiata attraverso dei piani di formazione importanti.
Ci sono stati degli esempi recenti, belli, di quei Comuni che durante la pandemia hanno istituito gli Assessorati alla gentilezza o alla solitudine. Sono due concetti sicuramente importanti per lavorare, usandoli come antidoto contro qualsiasi forma di sopraffazione che sia fisica o verbale.
Però poi dobbiamo anche avere il coraggio di guardarci intorno, con lo sguardo rivolto a quelle parti del mondo non libere, a quei regimi dove le donne vengono trattate in modo indegno. L'abbiamo visto e lo vediamo.
Ricordo anche che, qualche mese fa, chi è ad un livello istituzionale più alto del nostro ha detto che con questi regimi si doveva trattare. Io dalla nostra assise rispondo che sicuramente il dialogo è parte essenziale e costruttiva della politica, ma il dialogo lo si ha con chi è civile. Con queste persone il dialogo non c'è. Chi fa violenza sulla donna o ritiene la donna un essere inferiore non è una persona civile e costruire un dialogo con queste persone è impossibile. Dobbiamo essere sicuramente solidali verso tutte le donne del mondo e tutte le donne che vivono sotto questi regimi. Dobbiamo però avere anche il coraggio - e chi riveste un ruolo istituzionale più alto del nostro deve averlo - di non girarsi dall'altra parte in nome di strategie geopolitiche. Questo non può esistere.
Presidente, in ultimo, proprio per il ruolo che rivesto in questa assise - come Presidente della VI Commissione regionale che fra le sue materie ha anche lo sport - anche se forse può sembrare minoritario, c'è anche da puntare il dito contro il dramma delle atlete sportive dell'Afghanistan, un Paese martoriato da 25 anni di sangue e di conflitti che oggi si trova sotto il regime violento e brutale (e definirlo così è poco) dei talebani.
Se l'Occidente ha ancora dei valori, deve dimostrarli, non solo all'interno dei propri confini, ma guardando anche verso queste terre. Non si possono non ricordare in questa sede le atlete vittime di quel regime che, come ho detto prima, ritiene le donne esseri inferiori e a queste vieta lo sport. Ma non si limita a vietarlo; c'è stato un episodio dove si è arrivati ad uccidere, decapitando un'atleta della squadra di pallavolo femminile, che come unica colpa aveva solo quella di inseguire un sogno, il sogno più genuino: quello di diventare una pallavolista professionista.
Detto questo non ci sarebbe altro da aggiungere, se non concludere dicendo che vogliamo tutti avere un mondo civile, che rispetti le donne con pari diritti e doveri, ma questo assioma oggi non è realtà. Lo sarà quando in tutte le parti del mondo (allora e solo allora) si potrà dire che avremo raggiunto una situazione dove gli episodi come quello che ho raccontato siano solo una brutta memoria del passato. Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
Ha chiesto di intervenire la Consigliera Disabato; ne ha facoltà.



DISABATO Sarah

Grazie, Presidente.
Oggi ci siamo posti come obiettivo quello di ascoltare gli interventi dei relatori e delle relatrici delle associazioni, delle organizzazioni sindacali, dei questori, dei Centri antiviolenza, che ci hanno permesso di apprendere dei dati riguardanti questo problema ormai strutturale.
Tengo a ringraziare gli Uffici per aver lavorato duramente all'organizzazione di questo Consiglio regionale aperto, perché oggi abbiamo appreso nuovi elementi su cui lavorare in futuro per contrastare questo grave problema.
Quanto abbiamo appreso oggi conferma un trend che, purtroppo, è in crescita. Si tratta di dati che ormai sono strutturali e radicati, non sono un'emergenza, non è "una tantum". È un qualcosa che esiste e che ormai si protrae da anni e che è stato aggravato dalla crisi economica legata alla pandemia; è un problema che esiste e che noi dobbiamo contrastare, facendo soprattutto prevenzione. È quello che dobbiamo fare, non dobbiamo parlare quando ormai la problematica è in corso: dobbiamo prevenire. Per farlo possiamo agire subito per educare alla non violenza, partendo dalle nuove generazioni, soprattutto dai più piccoli. È lì che possiamo prevenire questo fenomeno e l'aggravio dello stesso in futuro.
Dobbiamo mettere in atto dei percorsi che educhino i giovani al rispetto, alle relazioni positive, paritarie e rispettose. Dobbiamo soprattutto destrutturare dei ruoli e delle relazioni basate su stereotipi ormai radicati da tempo, per poter sperimentare modalità di relazioni nuove con se stessi, ma soprattutto con l'altro, basate su criteri di libertà e responsabilità, per costruire una società accogliente, inclusiva e non violenta.
Per questo tengo, Presidente, a dire una cosa: noi non abbiamo bisogno di approvare degli ordini del giorno oggi per affermare questi principi perché sono contenuti in linee-guida che già esistono. Mi riferisco alle linee-guida del MIUR per l'educazione al rispetto. Quindi, non è un qualcosa che ci inventiamo oggi o che apprendiamo oggi in quest'Aula perché sono cose che possiamo già mettere in atto. In particolare, queste linee-guida ci descrivono la relazione tra le parità dei sessi, la prevenzione della violenza di genere, ma, soprattutto, il contrasto, non a questa forma di discriminazione, ma a tutte le forme di discriminazione.
Vede, Consigliere Cane, non ci sono discriminazioni di serie A o di serie B. Queste sono discriminazioni e basta; vanno combattute, eliminate e radicate dalla società. Per questo, come dicevo prima, esistono già delle linee-guida su cui la politica, a mio avviso, non deve muovere delle ingerenze. Oggi noi parliamo di questi percorsi educativi, ma il giorno dopo vediamo comparire sul giornale dichiarazioni contro l'utilizzo "dell'asterisco", fortemente voluto da un liceo torinese, su cui si è scatenata una comunicazione di una violenza inaccettabile. Se oggi, al posto dell'asterisco ci fosse stato il corso di educazione al rispetto nella scuola X, probabilmente oggi staremo parlando della promozione di una fantomatica quanto inesistente cultura gender, che in realtà non è altro che un'invenzione creata ad hoc per evitare che questi percorsi formativi basati sul contrasto alle discriminazioni, possano avere luogo. Ritengo inopportuna l'ingerenza politica su questo tema.
Dobbiamo coltivare oggi, nelle nuove generazioni e nei più piccoli, per raccogliere i frutti domani. Si è detto che è tardi, perché la violenza è già in corso e oggi, come ci diceva il Garante dei detenuti, abbiamo persone sottoposte a misure restrittive, presenti nelle nostre carceri piemontesi, su cui non viene fatta alcuna azione di riabilitazione e di percorso di tipo sanitario, rieducativo e psicologico per rimuovere le cause che hanno portato a commettere quella violenza.
Il problema è che queste persone sono sottoposte a restrizione anche per dei reati cosiddetti "di sentinella", che però potrebbero essere reiterati in forma più grave laddove non ci fosse un percorso rieducativo e preventivo alla base nelle nostre carceri. Quello che ho appreso oggi in quest'Aula ascoltando il Garante dei detenuti mi preoccupa e non poco. Non serve un ordine del giorno, occorre un'azione immediata, perché lì sappiamo benissimo che si annida una violenza e una cultura sbagliata che va contrastata e prevenuta.
Da questo bisogna partire. Ovviamente, possiamo iniziare oggi a educare le nuove generazioni, andando a colpire quel target che può essere effettivamente oggetto di violenza e di comportamenti sbagliati e delittuosi, onde evitare che ci siano altre vittime e che quei numeri, oggi tanto drammatici, possano salire.
Oggi parliamo di "Codice Rosso" e di interventi in tempi rapidi e continuativi per scongiurare delitti più gravi. È una legge fatta durante la legislatura in corso e ha dato qualcosa in più alle Forze dell'ordine, e ovviamente anche all'ambiente giudiziario, per agire e mettere in sicurezza le donne. È anche vero, però, che sarebbe bello un domani, grazie a questi percorsi di prevenzione educativi sulle nuove generazioni, non dover più applicare questo "Codice Rosso", perché vorrebbe dire che questi casi non esistono più. Introdurre nuove fattispecie, dall'allontanamento da casa al matrimonio forzato e al revenge porn, possono effettivamente prevenire il fatto che questi reati possano diventare qualcosa di più grave.
Oggi, quello che possiamo fare in questo Consiglio regionale è informazione, parlare alle donne che purtroppo, nella situazione in cui si trovano, avvolte da una violenza che ti isola, ti fa credere che non ci sia nulla da fare, che non ci sia una via d'uscita, perché il violento ti istiga, ti dice che sei sola e che non puoi essere aiutata. Invece noi oggi a quelle donne dobbiamo dire che abbiamo dei percorsi, delle associazioni e degli istituti che possono prenderle effettivamente in carico e che non sono sole.
Oggi si è parlato più volte dell'indipendenza economica, perché molte donne vengono isolate perché non hanno la possibilità economica di sfuggire a quelle situazioni. Oggi possiamo dire che, grazie al reddito di libertà quelle donne hanno uno strumento in più per fuggire da situazioni che potrebbero essere un campanello d'allarme rispetto a episodi di violenza che si potrebbero perpetrare in futuro. C'è, quindi, una possibilità economica di rifugiarsi altrove e di farsi una nuova vita.
Spero, però, che questo non venga legato soltanto alla denuncia, perch ci sono avvisaglie che arrivano anche prima: una donna, quando riconosce che una relazione diventa tossica, malata e insostenibile, deve poter segnalare da subito la questione e deve poter essere messa subito in sicurezza, fuggire e avere quella possibilità economica di mettere al riparo se stessa, ovviamente anche i suoi figli.
Questo, secondo me, è importante fare. Noi oggi dobbiamo dire alle donne che le misure ci sono per essere tutelate: c'è il reddito di libertà c'è il "Codice Rosso" e ci siamo noi, nelle istituzioni, che siamo attente monitoriamo e ascoltiamo quelle realtà che ci dicono come operare per mettere le donne in sicurezza. Dobbiamo fare sempre di più.
Presidente, sono felice oggi di aver avuto la possibilità, anzi, il privilegio di ascoltare tante voci esperte che possono indurmi ad avere una nuova conoscenza e una nuova consapevolezza di quello che oggi è un problema che attanaglia non soltanto la nostra Regione, ma tutto il Paese.
Spero di poter fare tesoro di quello che ho appreso oggi per mettere in pratica politiche che non siano una bandierina di partito perché, colleghi diciamocelo bene, questo è un tema che appartiene a tutti, non è intestarsi il Codice Rosso o una misura qualunque che ci puoi ergere a paladini di questa battaglia.
È una battaglia trasversale che dobbiamo condurre tutti e su cui ci deve essere condivisione, però io, Presidente, mi permetto di dire che forse dopo tutto quello che abbiamo ascoltato oggi, dopo le relazioni degli esperti e dei tecnici, ci debba essere un momento per rielaborare quello che abbiamo acquisito per mettere in campo nuove politiche anche per il futuro.
Se fossi nella Regione, rifletterei assolutamente su quello che ci è stato detto dal Garante dei detenuti, perché credo sia una di quelle proposte che oggi andrebbe presa in carico immediatamente.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Segretario Gavazza in qualità di Consigliere; ne ha facoltà.



GAVAZZA Gianluca

Grazie, Presidente.
Grazie all'Aula e grazie a tutti coloro che sono intervenuti prima di me questa mattina, soprattutto ai relatori esterni.
Questa mattina abbiamo parlato di Maria Teresa Novara, un dramma che mi ha seguito per tutta la mia vita, a partire dalla mia infanzia. Mi sono quindi sentito in dovere di non sottrarmi a questo intervento. Avevo anche altre cose da dire, ma mi dicevo: "Magari non mi dilungo"; però, non fossi intervenuto, mi sarei sentito un po' come successe tra il '68 e il '69, a Canale d'Alba, dove tanti e tante si girarono dall'altra parte. Oggi, dopo più di cinquant'anni, il problema è sempre lo stesso: ci stiamo ancora girando dall'altra parte.
Queste iniziative sono dunque importanti. Ringrazio la Consigliera Zambaia e tutti voi che avete tenuto duro in questa mattinata, a sopportare tutto quello che è stato detto ed acquisirlo, perché è stato come nettare per tutti noi.
Voglio fare un passaggio storico: ero un bambino di sei anni quando mi regalarono un mangiadischi e, insieme ai tanti dischi, c'era anche quello della vera storia di Maria Teresa Novara. Ecco perché noi dobbiamo iniziare dai fanciulli, dobbiamo iniziare da lì per creare un mondo migliore.
Questa mattina voglio leggervi un passaggio che una mia amica, fosse stata oggi al mio posto, avrebbe detto. Lo leggo per non lasciar perdere nulla di tutto ciò che lei vorrebbe e vuole far passare: "Il tuo nemico lo conosci: è qualcuno che ti ha fatto sentire regina; qualcuno che si è preso cura di te in tutto e per tutto. Qualcuno che ti ha consigliato come vestirti, come tagliarti i cappelli, come parlare, perché tu da sola non avevi stile e non capivi niente. Qualcuno che ti ha messo in guardia dalle amiche, gelose del vostro amore, che ti dicevano che eri cambiata. Qualcuno che ti ha difesa quando la tua famiglia ha cominciato ad ostacolarti e a dire brutte cose su di lui. Qualcuno che ti ama così tanto che bastate solo voi due. Qualcuno che si arrabbia per colpa tua e gli scappano gli schiaffi, ma poi ti accarezza la testa e ti chiede scusa. Qualcuno che ti corregge dove sbagli, qualcuno che ha spento tutte le luci della tua vita perché al buio tu possa riconoscere solo lui. Poi, una mattina, davanti allo specchio, i tuoi occhi di vetro hanno percepito un lampo e il rumore del tuono è esploso nel tuo cuore. Hai avuto paura, non di lui, ma di quello che eri diventata, di quello che avevi perso e di quello che dovevi fare. Quel tuono deve essere la luce che illumina la strada della denunzia".
Da uomo - mi trema anche la voce - per questa amica e per tutte le donne mi sono impegnato, mi impegno e mi impegnerò per un mondo migliore in trincea, contro la violenza sulle donne e per questa rivoluzione culturale.
Grazie a voi tutte: mamme, mogli, figlie e sorelle.



(Applausi)



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Gavazza.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Giaccone; ne ha facoltà.



GIACCONE Mario

Grazie, Presidente.
Sono anch'io, come il collega Gavazza, a chiudere questa mattinata (poi un'altra volta controllo meglio la successione degli interventi perché mi ero convinto di un ordine diverso, ma non c'è nessun problema).
Penso che la mattinata sia stata utile e ringrazio la Consigliera Zambaia che l'ha voluta e tutti i colleghi che sono intervenuti. Abbiamo sentito diversi tipi di interventi che vanno da quelli più di natura informativa sui numeri a quelli di natura più socioculturale sui meccanismi che presiedono a questo triste fenomeno.
È di questa mattina l'articolo nel quale la Direzione Centrale anticrimine relaziona sulle famose 89 vittime al giorno in Italia di reati di genere che danno la dimensione del fenomeno nel nostro stesso Paese.
Penso che sia legittimo accorgersi che negli altri Paesi fuori da qua i diritti delle donne siano ancora meno tutelati, ma sia doveroso guardare più in casa che in altri Paesi dove, senz'altro, la situazione è peggiore.
Non che il fatto che un terzo di questi delitti di genere, reati di genere siano compiuti da mariti e compagni ci rassicuri, anzi, ci indica che c'è una consuetudine tra la vittima e il carnefice, che c'è un contatto. E anche se c'è un incremento dell'8% dal 2020 sul numero di questo genere di delitti in contemporanea notiamo un aumento del numero delle denunce.
La sfida, è stato detto più volte in questa mattinata, è legata a diversi elementi. Il principale è quello della prevenzione, insieme a quello del sostegno. Tuttavia non c'è solamente una prevenzione di natura più tecnica puntuale ed immediata che è esercitata dalle Forze dell'ordine e dagli altri organi che sono preposti a questo scopo, questa mattina ne sono state segnalate diverse come l'applicazione "Scudo", le reti di assistenza, le politiche integrate. Anche il Questore faceva riferimento all'ammonimento che ha un effetto positivo perché una volta richiamato in tempi brevi chi si è macchiato di questa colpa, ci si rende conto che il più delle volte il tipo di comportamento non si ripete.
Oltre a questo prezioso elemento di prevenzione più tecnica e puntuale c'è, a mio avviso, un ragionamento molto più ampio di natura preventiva da fare che ha, invece, radici culturali e collettive, cioè come noi riusciamo a disinnescare il meccanismo del dominio, del possesso e del senso di superiorità che è alla base di questo genere di comportamenti. Su questo lo dico per inciso, non è che ci siano precedenze di diritti rispetto a certe categorie, che si tratti di migranti, omosessuali, donne, disabili ebrei o tutto quello che si vuole. In realtà, quando si tratta di tutelare dalle discriminazioni le asimmetrie dei diritti non si tratta di decidere quali, tra questi, abbiano le precedenze e di come intervenire su ciascuno di questi. Su ciascuno di questi e su quello di cui stiamo parlando stamattina è una dinamica, quella della sopraffazione, che non passa solo per la violenza fisica, non passa solo per l'umiliazione domestica e spesso quotidiana, non passa solo per la dipendenza economica, ma passa da meccanismi a volte più semplici, da comportamenti più sottili che sono socialmente accettati.
Alcune considerazioni che sono alla base di quel tipo di atteggiamento io le ho sentite fare, forse non nel corso di questa mattinata, ma nel corso degli anni in cui mi sono seduto insieme a tanti altri Consiglieri in quest'Aula. Ho ascoltato anche conversazioni dove le donne vengono messe a tacere o dove gli uomini, in quanto tali e non perché più competenti sull'argomento, ritengono di sapere cose che le donne non sanno; anche da questi atteggiamenti può iniziare a manifestarsi, comunque, un meccanismo di dominio e di superiorità. Anche da frasi che incarnano pregiudizi e che fanno da precursori ad atteggiamenti violenti e a comportamenti che, alla fine, inducono o permettono di arrivare al femminicidio.
Il pregiudizio che passa dal linguaggio uccide la possibilità di essere se stesse per molte donne. E per ogni dislivello di diritto subìto dalle donne, esiste un impianto verbale che lo sostiene e che lo giustifica. Di questo, spesso, né un genere né l'altro è completamente consapevole. Ma il problema è che uno lo subisce, e lo subisce anche nelle estreme conseguenze.
Vi pongo alcuni esempi prima di concludere, per lasciare un elemento utile alla riflessione: ci sono delle fasi consuete nella nostra quotidianità che, in realtà, identificano questo percorso che evidenzia meccanismi di subalternità, di sottomissione, di insicurezza ma anche di sfruttamento. Ad esempio, quando si dice "Stai zitta", come se il diritto di parola fosse legato ad un elemento di genere; quando si dice "Ormai siete dappertutto", come se la donna fosse una categoria socio-culturale e non la metà del genere umano presente sul nostro pianeta; quando si dice "Spaventi gli uomini", come se un atteggiamento aggressivo, che è normalmente tollerato (anzi, in alcuni ambienti è persino auspicato), sia da promuovere in un genere e da negare nell'altro; quando si dice "Io non sono maschilista", ma in realtà si vive in una società di privilegio che sottilmente e impercettibilmente, favorisce un genere rispetto all'altro quando si dice "Una donna con le palle", come se il fatto di avere dei meriti debba essere legato a degli attributi necessariamente maschili e non, invece, al rispetto che si ha della persona e del genere a cui si appartiene in quanto tale; quando si dice "Adesso ti spiego" - l'ho sentito dire tante volte - come se ci fosse, a priori, un'asimmetria di capacità intellettiva tra generi, non legata all'individualità di ogni persona.
È su questi presupposti sottili che permeano la nostra vita quotidiana che si basano i meccanismi che poi sfociano in diversi tipi di sfruttamento e in diversi tipi di umiliazione, e che possono creare, lentamente e progressivamente nel tempo, l'alibi per atteggiamenti violenti che possono alla fine, sfociare addirittura nel femminicidio.
Sono queste le radici su cui cresce la pianta della violenza: su un presupposto di mancanza del rispetto nelle case, nei luoghi di lavoro nelle strade.
È un meccanismo di controllo; è un meccanismo di potere e di vessazione che sfocia nella violenza; violenza che si manifesta nel femminicidio.
Tutti noi, come decisori politici, ma prima ancora come individui abbiamo il dovere di rompere il circolo vizioso che induce questo tipo di meccanismi: ne siamo tutti responsabili, ma - temo e osservo - il più delle volte gli uomini più che le donne.
Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Grazie.
Ha chiesto la parola la Consigliera Biletta; ne ha facoltà.



BILETTA Alessandra Hilda Francesca

Grazie, Presidente.
La ringrazio anch'io per aver organizzato questo Consiglio regionale.
Ringrazio, altresì, gli Uffici per averlo reso possibile e ringrazio tutte le persone che oggi sono intervenute con preziosi contributi.
Tutte le ricorrenze dal forte valore simbolico rischiano di ridursi ad una pura retorica; trascorso il giorno delle celebrazioni passerà un anno prima che giornali, opinionisti e addetti ai lavori tornino a parlarne.
Questo capita spesso, se ci fate caso, anche rispetto alla Giornata mondiale per l'eliminazione della violenza sulle donne, non fosse purtroppo, per le drammatiche notizie di cronaca che portano all'attenzione dell'opinione pubblica una piaga sociale sempre viva.
All'atto pratico che cosa stiamo facendo per limitare i casi di violenza, i più gravi dei quali hanno un epilogo in femminicidi? Noi tutte (e tutti, perché il coinvolgimento degli uomini è importante quanto quello delle donne nel ricercare soluzioni per debellare il fenomeno) non vogliamo che il 25 novembre si riduca a mero, per quanto importante, simbolo.
Le iniziative di sensibilizzazione (dibattiti, spettacoli e pubblicazioni) sono tante, direte: ben vengano, ma forse sono persino troppe.
Se ci vuole - e ci vuole sicuramente - un cambiamento culturale radicale, una rivoluzione nel modo di pensare e di agire su questi temi sarebbe forse meglio che le azioni di tutti i soggetti coinvolti si concentrassero su alcuni obiettivi definiti e prioritari, più volte richiamati oggi, sicuramente. Questo perché modificare modi di pensare consuetudini e retaggi che affondano le radici nella storia, in un passato che è sempre stato connotato da un divario abissale tra il peso dei diritti maschili e quello dei diritti femminili, a netto svantaggio ovviamente di questi ultimi, è impresa sì difficilissima, ma non impossibile, e di questo ne sono convinta.
Primo: denunciare. È stato già detto molte volte oggi che è fondamentale investire tempo e risorse per convincere le vittime delle diverse tipologie di violenza a presentare denuncia. L'aumento significativo delle chiamate di aiuto effettuate verso il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking nel periodo di lockdown forzato conferma un dato di fatto da troppo tempo consolidato: una donna senza lavoro costretta nella propria casa è più a rischio.
Se vogliamo vedere anche l'altra faccia della medaglia, il numero più elevato di chiamate va però nella direzione auspicata di non aver paura di denunciare.
Secondo: rendere le istituzioni in grado di prendersi realmente carico delle vittime di violenza. A monte vanno favorite le iniziative legislative, ma a valle sono i singoli casi che devono essere seguiti grazie all'impegno delle forze dell'ordine e delle realtà istituzionali del sociale, che concretamente dovranno prendersi cura di chi ha subìto violenza. Dovranno attivarsi per gli aspetti legali, per quelli amministrativi, per la sussistenza e per tutto ciò che riguarda la conduzione di una vita normale per chi ha avuto il coraggio di sporgere denuncia.
Terzo: accelerare la macchina della giustizia. Sulle violenze di genere non possono essere ammessi ritardi. Le risposte e i tempi devono essere rapidi sia nel sanzionare chi ha commesso violenza sia nel tutelare, da più punti di vista, la vittima.
Infine, credo sia opportuno ampliare il discorso dal tema della violenza a quello più complessivo della parità di genere. A tale proposito sarebbe non intellettualmente onesto affermare che i passi in avanti negli ultimi anni non siano stati significativi. Sono tante e socialmente affermate le donne con ruoli apicali nel pubblico e nel privato, nella politica, nel mondo della scienza, della medicina e della cultura. E ci dobbiamo augurare che questo percorso prosegua e non sia in salita. Le disparità sono ancora molte, è indubbio. Ecco perché dobbiamo continuare a sostenere, in primo luogo noi rappresentanti delle istituzioni e della politica, la professionalità e le sensibilità femminili.
La fase di ricostruzione economico-sociale che stiamo affrontando, a seguito della pandemia, non potrà avere successo, se non rendendo protagonista della ripresa il grande patrimonio di capacità e di sapere del mondo femminile. Anche questo sarà un segnale che indicherà inequivocabilmente l'avvio di quel cambiamento culturale e di quella rivoluzione auspicata all'inizio del mio intervento e oggi più volte richiamata. Grazie, Presidente.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliera Biletta.
Abbiamo concluso i lavori del Consiglio regionale aperto.
La seduta riprenderà alle ore 15,30 - penso che tutti i Capigruppo concordino - per la prosecuzione del Consiglio regionale.
La seduta è tolta.



(La seduta termina alle ore 13.55)



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