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Dettaglio seduta n.99 del 21/12/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Esame progetto di legge n. 121: "Piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1982/1984"


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Punto primo all'ordine del giorno: "Esame progetto di legge n. 121: 'Piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1982/1984'".
La parola al relatore Mignone.



MIGNONE Andrea, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, il disegno di legge "Piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1982/'84", più precisamente composto da un articolato vero e proprio e da 28 allegati giunge all'esame del Consiglio regionale venti mesi dopo che fu pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione (supplemento al n. 14 del 2/4/80) la "proposta" di piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1981/83, predisposta dalla Giunta regionale. Da allora, i principali temi per l'approvazione del piano sono stati scanditi: dal dibattito che si tenne in Consiglio regionale il 23 aprile 1980, conclusosi con un ordine del giorno che considerò tale "proposta" come documento tecnico per le nascenti Unità Sanitarie Locali; dal dibattito del Consiglio regionale nell'ottobre 1980 sulle linee programmatiche della Regione nel settore socio-sanitario; dalle ampie, articolate e approfondite consultazioni svolte dalla V Commissione consiliare lungo tutto l'arco temporale del 1981; dalla presentazione - infine - del disegno di legge n. 121 da parte della Giunta regionale il 7 luglio 1 981 - una modificazione, sistemazione e riscrittura della precedente proposta - avente per oggetto il piano socio sanitario vero e proprio. Su quest'ultimo è chiamato ad esprimersi oggi il Consiglio regionale, nel testo riformulata della competente Commissione.
Contemporaneamente a questo processo, interessante precipuamente i livelli istituzionali, si è sviluppato un grande e significativo dibattito nella comunità piemontese tutta, e non solo nelle sedi o tra gli operatori più direttamente interessati, attorno alle indicazioni del piano.
Credo si possa riconoscere a questo documento di essere tra quelli che più sono stati oggetto di esame e di discussione, capillarmente diffuse sul territorio, nella nostra società.
Dibattito e confronto, sempre appassionato e talora aspro, che ha evidenziato la domanda di salute dei cittadini in un ambiente meno carico di rischi, nel rispetto della dignità individuale, nel riferimento al territorio dei servizi, a fini anche di riequilibrio, nella loro reciproca integrazione, con particolare riguardo al settore socio-assistenziale nell'efficacia dei servizi resi, nel ruolo decisivo della prevenzione.
Queste sono state alcune delle indicazioni fondamentali lungo le quali hanno operato la Giunta regionale e la V Commissione.
Infatti, come si è ricordato, sulla proposta di piano socio-sanitario regionale precedente, che avrebbe dovuto uniformarsi ai contenuti ed agli indirizzi del piano sanitario nazionale se fosse già stato adottato dal Parlamento, è stata iniziata, ed ultimata, la procedura prevista nello Statuto regionale per quanto attiene alla consultazione degli Enti locali e delle altre istituzioni ed organizzazioni interessate, gli organismi economici e tutte le forze sociali; come previsto dall'art. 75 dello Statuto regionale e dalla legge regionale 19 agosto 1977, n. 43, la proposta di piano fa riferimento agli obiettivi del programma regionale di sviluppo.
Pertanto, costituitisi in tutta la Regione, gli organi delle Unità Sanitarie Locali ed organizzati i servizi delle Unità stesse in sostituzione di quelli degli Enti e delle gestioni soppresse, si è manifestata la necessità urgente di dare alle nuove organizzazioni gli strumenti e soprattutto gli indirizzi, per lo svolgimento della loro attività, particolarmente difficile e complessa in questa prima fase perché si potesse addivenire, con una uniformità di criteri, alla graduale eliminazione degli squilibri esistenti nei servizi e nelle prestazioni sul territorio regionale.
Va peraltro riconosciuto che il processo di avvio e costruzione della riforma sanitaria era iniziato, nella Regione Piemonte, come in altre realtà, in data antecedente rispetto anche alla stessa legge statale 833 istitutiva del Servizio sanitario nazionale.
Infatti, già dal 9/7/76 era entrata in vigore la legge n. 41 relativa alla zonizzazione del territorio regionale, che delineò i territori delle future Unità sanitarie locali, quali furono poi confermati dall'art. 2 della legge regionale 21/1/80 n. 3 (Disciplina degli organi istituzionali del Servizio sanitario regionale e relative norme transitorie).
La legge 8 agosto 1977, n. 39, a sua volta prefigurò anche l'assetto istituzionale dei nuovi organismi sanitari, istituendo il consorzio socio sanitario, a cui furono delegate le funzioni amministrative regionali in materia.
Durante il processo di costituzione dei consorzi socio-sanitari, il Parlamento emanò la legge di riforma entrata in vigore il 23/12/1980.
In applicazione della medesima,dopo un transitorio esercizio delle prime funzioni da parte dei consorzi socio-sanitari, sopra richiamati furono costituite con la legge regionale 21/1/80, n. 3, le Unità sanitarie locali, nella rinnovata forma di associazione dei Comuni.
Una serie di provvedimenti organizzativi seguirono nel tempo, a delineare il profondo rinnovamento strutturale ed istituzionale della sanità in Piemonte: dalla legge n. 60 del 22/5/80, relativa all'organizzazione e funzionamento delle USL. alla n. 53 del 20/5/80 sulla tutela della salute nei luoghi di lavoro, alle numerose leggi di riordino settoriale previste dalla medesima legge 833 e attualmente in discussione od in presentazione, presso il Consiglio regionale. Nel frattempo, le Unità sanitarie locali costituitesi con un vastissimo e dialettico processo di coinvolgimento democratico delle autonomie locali, si sono trovate a gestire una fase molto difficile della propria attività: la ricostruzione su basi unitarie, dei servizi prevalentemente frammentari ereditati dallo scioglimento dei precedenti enti preposti.
Per assicurare la necessaria omogeneità ed il necessario coordinamento a tale delicata e complessa fase la Giunta regionale approvò, appunto sulla base della bozza di piano sanitario preparato dal Governo e all'interno degli obiettivi del Piano di sviluppo regionale, una "proposta di piano sanitario regionale" che il Consiglio regionale considerò valida, con un proprio ordine del giorno approvato il 23/4/80, prima della fine della seconda legislatura, come documento tecnico di orientamento per le USL fino al momento che, dopo approfondita, ampia e completa consultazione la proposta stessa potesse essere approvata nella sua veste definitiva.
E' appunto questa proposta che, modificata ed integrata a seguito della consultazione e della discussione in Commissione, giunge ora in aula per l'esame del Consiglio regionale.
L'importanza di un tale provvedimento è cruciale per il corretto ed equilibrato concretizzarsi della riforma sanitaria. La legge 833 suscit tante speranze, ma anche ansie e preoccupazioni nel caso di "gestione" avventurosa o frettolosa: perché le prime diventino delle realtà e le seconde siano fugate, è decisivo e discriminante, a nostro avviso tracciare e definire questo quadro programmatorio di riferimento. Esso va inteso nel senso di dare certezza di comportamenti operativi; di definire obiettivi e finalità da perseguire; di consentire gradualità e processualità di attuazione; verifica del rapporto tra servizi erogati e risorse impiegate, maggior partecipazione ed informazione. Ma tutto ci esige che la riforma, intanto, sia avviata davvero, e che le USL si diano i primi programmi zonali di intervento.
Non ci nascondiamo che le sfasature temporali tra le varie leggi possono aver creato incovenienti: questo può valere nel rapporto tra le legge 41/76 (sulla zonizzazione) e 39/77 (sui consorzi socio-sanitari) e la legge 833 per ciò che riguarda la Regione; e può valere nel rapporto - ad esempio - tra le leggi sui consultori, sulle tossicodipendenze e sulla salute mentale, e la legge di riforma sanitaria. Tutti assieme possiamo contribuire a meglio armonizzare questa articolata legislazione e le sue concrete attuazioni. Non possiamo però non rimarcare come sia mancato, nel frattempo, un adempimento importante da parte del Parlamento: l'approvazione del piano sanitario nazionale, che avrebbe dovuto logicamente precedere l'approvazione dei piani regionali.
Le difficoltà della situazione nazionale hanno tuttavia protratto ormai oltre ogni limite, il ritardo rispetto alle scadenze previste dalla legge 833, cosicché (operando in raccordo tra di loro e con lo Stato tramite il Consiglio sanitario nazionale ed in rapporto con il Ministero) le Regioni si sono orientate decisamente verso la scelta di non privare l'avvio della riforma dello strumento principale per la sua attuazione: "i piani sanitari regionali". L'Emilia Romagna e il Veneto si sono già dotate del proprio piano; altre Regioni ne hanno iniziato la consultazione o l'approvazione.
E' in tale quadro che avviene l'attuale esame del piano sanitario regionale. Questo, con la riserva dell'adeguamento al piano nazionale quando sarà approvato, si avvia a costruire un riferimento fondamentale per il progetto di riforma della nostra Regione.
I principi generali che reggono la proposta di piano sono: a) la tutela, con intervento globale ed unitario, della salute fisica e psichica dei cittadini, privilegiando la prevenzione, potenziando in primo luogo i servizi di base e sviluppando i servizi di riabilitazione e le politiche di reinserimento sociale b) l'integrazione fra servizi sanitari e servizi socio-assistenziali c) la distribuzione equilibrata ed organica sul territorio regionale dei servizi socio- sanitari d) l'aumento della produttività del sistema, nel rapporto tra costo dei servizi e relativi benefici.
La prima grossa evidenza è l'integrazione tra servizi sanitari e socio assistenziali, indispensabile soprattutto per le attività di base.
E' questo uno degli elementi su cui più si insiste nel piano secondo un principio ed un obiettivo da tutti condiviso. Eppure, è stato tra gli aspetti più controversi e dibattuti in seno alla Commissione, con riferimento sia a particolari situazioni, come quelle degli anziani e degli handicappati, sia a particolari tipi di intervento, tanto a livello di distretto di base (assistenza sociale, assistenza domiciliare, affidamenti ecc.) quanto a livello di servizi integrativi (comunità alloggio, case protette, ecc.). Non si può non riconoscere che, unitamente a valutazioni ideologiche tra loro differenti, sul serrato dibattito sviluppatosi in Commissione hanno negativamente inciso vari fattori. Anzitutto, il vuoto legislativo a livello statale dovuto alla mancata approvazione della legge di riforma dell'assistenza: tanto più grave in quanto, giusto il richiamo fatto dalla stessa legge 833, quasi tutte le Regioni hanno legiferato per una gestione almeno coordinata, se non integrata, dei servizi sanitari e socio-assistenziali. In secondo luogo, la nota sentenza della Corte costituzionale sulle Ipab, che ha generato non poche incertezze. Infine l'esame del disegno di legge n. 54 relativo a indirizzi e normative per il riordino dei servizi socio-assistenziali, predisposto dalla Giunta regionale, che purtroppo non trova esame contestuale al piano da parte del Consiglio.
Ciononostante, l'obiettivo dell'integrazione è indicato nel piano con chiarezza, unitamente a strumenti e modalità per la sua concreta attuazione. Da questo punto di vista il disegno di legge non limita le sue previsioni al solo settore sanitario, ma vi comprende quella dei servizi sociali, in particolare dell'assistenza pubblica, per quelle funzioni di integrazioni dei servizi stessi con quelli sanitari e del necessario coordinamento dei due settori, voluto non solo dall'art. 15, ultimo comma delle legge 833 ma anche degli artt. 28 e 29 della legge regionale 21 gennaio 1980, n. 3, la quale affida agli organi della USL la gestione dei servizi sociali e demanda ad essi le funzioni organizzative e direttive.
E' stato tenuto altresì presente, per tale indirizzo, lo spirito delle disposizioni di carattere generale del DPR 24/7/77, n. 616, che comprende in un unico titolo dei Servizi sociali sia la beneficenza pubblica che l'assistenza sanitaria ed ospedaliera; disposizioni che, in attesa della legge di riforma dell'assistenza pubblica vanno tenute presenti nel loro insieme per i principi che ispirano le norme relative, tenendo anche presenti le successive disposizioni, legislative nazionali in ordine alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza; si fa riferimento soprattutto alla determinazione degli ambiti territoriali adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari, secondo l'art. 25 del DPR n. 616 i quali debbono coincidere e "concernere contestualmente la gestione dei servizi sociali e sanitari", principio ribadito dal quinto comma dell'art.
11 della legge di riforma sanitaria.
Gli obiettivi generali del piano sono quindi sanitari e sociali e debbono considerarsi scadenzati per tappe a breve, medio e lungo termine all'interno di un disegno che è, nello stesso tempo, di ricomposizione e di riequilibrio sia funzionale che territoriale.
Uno dei punti fondamentali, attraverso cui si concretizzano gli obiettivi del piano è l'allegato 1, relativo agli indirizzi per il riordino dei servizi sanitari e socio-assistenziali, con i suoi riferimenti specifici all'allegato 28 relativo alla struttura organizzativa dei servizi delle Unità sanitarie locali.
L'esame dei due allegati è stato particolarmente attento, alla luce anche delle numerosissime osservazioni, per larga parte rivolte ad aspetti contenuti in essi, raccolte durante le consultazioni. Si può concludere che, per gran parte, l'allegato 1 è stato riformulato, specie per le parti dedicate al settore socio-assistenziale e per gli aspetti connessi sia alla dispersione del servizio ospedaliero su più sedi nell'ambito di una stessa USL sia alla riconversione e al conseguente utilizzo delle attuali infermerie (qui consentite in base al programma zonale, per attività residenziali anche a carattere parzialmente sanitario per quelle strutture già attualmente convenzionate con il Servizio sanitario nazionale).
Anche l'allegato 28 è stato modificato rispetto al testo originario e nuove indicazioni relative alle strutture o a servizi sono significative specie per le USL n. 31 - 40 - 45 - 46 48 - 49 - 60 - 69 - 76.
I due ambiti in cui tale disegno si sviluppa sono, da un lato, la USL.
dall'altro, l'intero territorio regionale. All'interno della USL si hanno quindi servizi di base e servizi integrativi, e trovano precise definizioni strutturali i "distretti socio-sanitari" e le attività di igiene pubblica quali momenti di rinnovamento operativo e di sviluppo capillare del servizio alla portata del cittadino soprattutto in termini preventivi.
Questi sono da privilegiare, nei riguardi dell'area specialistica ambulatoriale ed ospedaliera che si presenta a sua volta strettamente integrata in funzione ed a supporto dei distretti medesimi.
Nell'ambito regionale è, poi, chiarissimo lo sforzo di riequilibrio territoriale che decentra al livello di quattro quadranti funzionali (in cui è suddiviso il territorio regionale: nord-est per i Comprensori 4-5-6-7-8; sud-est per i Comprensori 13-14 15; sud-ovest per i Comprensori 9-10-11-12; nord-ovest per i Comprensori 1 2-3) tutte le funzioni specialistiche, anche le più complesse, ribaltando la loro concentrazione, storicamente determinatasi, nel capoluogo di Regione.
Elemento di rilevante novità è poi la stretta integrazione fra le USL.
in una rete di reciproci supporti e consulenze - non casuali od estemporanee, bensì territorialmente definite e stabilmente organizzate che realizzeranno un ulteriore importante decentramento dell'accesso alle funzioni più complesse ed una "tutela" stabile e completa dei cittadini.
E', inoltre, delineata con completezza e chiarezza l'attività di informazione e verifica sia dell'attuazione degli obiettivi di piano, sia dell'efficacia e dell'efficienza dell'operare dei servizi.
Sono infine delineati campi e filoni operativi di grossa rilevanza che formano oggetto dei tre "progetti obiettivo" (volti alla tutela delle persone anziane; alla tutela della salute in ogni ambiente di lavoro; e tutela della salute della donna, della procreazione responsabile, della maternità e dell'infanzia); nonché delle "azioni di rilevanza sociale" (allegati dal n. 15 al n. 27).
E' questo un altro punto qualificante del piano, volto non solamente alla riorganizzazione dei servizi, ma ad indicare a questi servizi riorganizzati delle particolari azioni di intervento, di carattere eminentemente preventivo, a tutela della salute dei bambini e delle madri dei lavoratori in ambienti di lavoro e delle persone anziane. Tali finalità sono riconducibili: a) alla riduzione della mortalità infantile, perinatale e materna nonché del numero di handicappati; alla riduzione dell'istituzionalizzazione dei bambini sotto gli otto anni e alla socializzazione dei soggetti emarginati b) alla conoscenza dei fattori di rischio presenti negli ambienti di lavoro; all'organizzazione dei controlli e delle strutture necessarie per gli interventi preventivi e di risanamento c) all'obiettivo di assicurare un'adeguata sicurezza economico-sociale all'anziano mantenendolo possibilmente nel suo ambiente di vita e assicurando la tutela della salute mediante la riqualificazione degli interventi sanitari.
All'interno di tali filoni si evidenzia una progettualità di settori che non si isola in singoli servizi od operatori, ma coinvolge invece tutti i servizi e gli operatori in una strategia complessiva (inglobante anche interventi non sanitari) tale da garantire il conseguimento degli scopi prefissati.
La struttura del piano socio-sanitario regionale del Piemonte è quindi conforme agli indirizzi della legge di riforma sanitaria e agli obiettivi del Piano di sviluppo regionale in modo originale ed innovativo.
Costituisce non solo elemento indispensabile nella costruzione del processo di programmazione sanitaria in ambito regionale, ma anche di apporto culturale rilevante in ambito nazionale.
A tale risultato si è giunti con il fattivo apporto di tutte le forze politiche che, sulla base delle risultanze della consultazione, in molta parte accolta nel testo modificato della Commissione, hanno approfondito le tematiche generali e specifiche, sia pure nell'ambito delle diverse impostazioni ideologiche, ed hanno teso a raggiungere il massimo di unità affinché il piano potesse essere punto di riferimento per tutta la comunità regionale.
In siffatta prospettiva va dato atto alle forze di opposizione, e segnatamente al gruppo della DC, di aver portato un significativo contributo di idee e di suggerimenti (spesso accolti), e di aver in ogni momento attestato volontà di comune impegno e spirito costruttivo, pur nel rispetto sempre delle diverse impostazioni politico-culturali.
Testimonianza di ciò è il fatto che ben oltre la metà degli allegati è stata approvata all'unanimità, anche se tale voto non vi è stato sui due tra i più importanti allegati (n. 1 e 28). Ci auguriamo che la discussione in aula produca l'effetto di un ulteriore contributo ad una definizione unanime, o comunque non differenziata in modo netto, del piano socio sanitario.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente e signori Consiglieri, spiace che dibattiti importanti come quello della sanità cadano nel più completo disinteresse tant'è vero che talvolta si è tentati di non parlare e di fare la dichiarazione alla stampa in modo che i cittadini piemontesi sappiano che quest'aula è sempre più sorda e grigia. Queste cose bisogna dirle anche da parte di chi sostiene una Giunta regionale.
Nei periodi che vanno dal 1700 in poi l'attenzione veniva rivolta all'agricoltura, ai lavori pubblici e non venne mai portato avanti il problema della salute dell'uomo in quanto era vista come bene individuale rimesso al cittadino. A volte, addirittura, la vita umana era al servizio del regnante, del principe che costituiva il governo autoritario.
Addirittura venne vista come modello di sfruttamento dell'uomo, della cui salute nulla importava. La media della vita umana in certi periodi era di trenta anni e la popolazione non superava in Europa i 25 milioni di abitanti a causa di flagelli umani che minacciavano l'estinzione delle popolazioni.
Fino agli ultimi decenni del 1800 il disinteresse alla salute era totale. Sorgevano via via motivi di clientela, organizzazioni concorrenti e parallele che però non davano l'avvio ad alcuna riforma e che semmai aggravavano il problema. L'excursus storico in materia è molto interessante.
Soltanto gli ordini religiosi ebbero il senso della salute dell'uomo.
Ricordiamo la creazione dell'Ordine Mauriziano nel 1438 che sorse anche per motivi di salute oltre che per motivi di cavalierato, il primo nucleo religioso ospedaliero venne creato a Torino a Porta Palazzo e ancora oggi ce lo troviamo di fronte con tutto il suo patrimonio. Il presidio ospedaliero diventò con il tempo il lazzaretto, diventò una mediazione tra l'assistenza e la sanità. Questa mediazione in questa città la opereranno il Beato Cottolengo, Don Bosco, Domenico Savio e il Beato Cafasso.
Questa Regione più di ogni altra, tranne forse il Veneto e parte della Lombardia, è stata fortemente interessata a questo fenomeno.
Con la mediazione fra l'assistenza e la sanità si creano le premesse di una sorta di deformazione di assistenza sanitaria. A mano a mano che la scienza medica progrediva, sorsero i grandi medici e il medico condotto lasciato a sé stesso - incominciò a vivere sul binomio medico condotto presidio ospedaliero, senza che si mediasse alcuna struttura territoriale che superasse questo quadro. L'ospedale divenne un modello assistenziale dove un letto era sempre pronto per chi dovesse essere ricoverato. Si instaurò il metodo perverso del rapporto finanziario fra il medico e l'ammalato sulla base dei letti occupati piuttosto che sulla base dell'attività scientifica e professionale. Si arrivò al punto che un primario aveva un compenso fisso per ogni posto letto occupato.
Oggi si tratta di andare in una direzione nuova.
Quali fini ha il piano? Sono grandissimi e semplici allo stesso tempo: l'intervento globale, l'uguaglianza dell'ammalato, lo spostamento del presidio ospedaliero in un modello di prevenzione, che veda un taglio del 40/50% dei letti ospedalieri individuando l'ospedale come momento acuto della malattia e ribaltando su una serie di punti territorialmente distribuiti, talché il cittadino, prima di ammalarsi, possa accedere a presidi medici che non siano soltanto quelli ospedalieri.
Abbiamo individuato questo obiettivo, ma, poiché molti sono i problemi non siamo ancora riusciti a realizzarlo totalmente.
Un cittadino può essere stanco, vecchio, anziano o abbandonato e questi tipi di assistenza devono essere visti in una prospettiva diversa e non devono essere motivo che rende più acuto il problema ospedaliero e sempre meno presente la prevenzione.
Su che cosa si fonda la riforma sanitaria? In Piemonte, dove non siamo all'anno zero, dove il chinino oppure la pastiglia per curare il raffreddore l'hanno tutti, dove un minimo di impianto sanitario esiste, non si può non fare un salto qualitativo per andare a punte avanzate che siano di riferimento per 56/57 mila operatori sanitari, medici o paramedici. Se stiamo ancora qui,a discutere che il reparto di cardiochirurgia non funziona, che in altri reparti non si va avanti - e potrei citarne diversi - se rifiutiamo, come abbiamo fatto fino adesso il termine di alta qualificazione della scienza medica riprodotta sul territorio, la riforma fallirà. Non può esserci appiattimento o egualitarismo perché vi sono dei valori di cui dobbiamo tenere conto. E' possibile pensare di dare un posto a tutti come al catasto? Oggi il medico non riesce più ad inserirsi neanche nella vecchia mutua perché l'Università ha sfornato il 30% in più dei medici necessari e arriviamo ad una rincorsa quasi di carattere assistenziale, quasi che la società debba assistere il medico giovane.
Dobbiamo dire che il piano dà avvio a meccanismi nuovi e importanti non tralascia nulla, anzi, è persino più corposo di quanto dovrebbe essere in termini di comprensibilità e di esemplificazione.
Occorre un grande e corale aiuto da parte del cittadino e dell'utente che deve vedere la salute come momento di responsabilità. Non è possibile irradiare alcuni raggi di luce da Palazzo Lascaris o da Piazza Castello e sperare che questi raggi di luce diano dei risultati. Uno dei peggiori errori che potremmo commettere sarebbe quello di non avviare un grande processo informativo e partecipativo verso l'operatore medico e verso l'utente.
Se crediamo di creare qualche poliambulatorio e di trasformare qualche mutua in Unità sanitaria locale senza nulla cambiare, evidentemente ripeteremmo gli errori del passato con conseguenze gravi.
Deve esistere una distinzione tra chi è scienziato e portatore di veri valori e chi non lo è, se non vogliamo ripetere gli errori che non fanno nemmeno più i paesi dell'est dove oggi uno scienziato viene indicato al paese come modello.
Se non dovessimo dar corpo alla riforma, ci troveremmo in una sorta di ufficio tecnico erariale dove anche i bravi funzionari sono uguali agli altri e dove alla fine del mese tutti hanno uno stipendio di 400 mila lire.
Come possiamo andare incontro alla società se non modifichiamo i comportamenti irrazionali del passato? Ringrazio l'Assessore che è sempre stato attento a questi problemi e che ha accettato molte proposte venute da ogni parte, ringrazio tutti i gruppi, la DC che per lunghi mesi ha garantito la sua presenza in Commissione, il PLI che ha dato luogo a processi nuovi attraverso scoppi improvvisi di luce del Consigliere Marchini, il relatore Mignone che si è assunto il carico di relazionare questo importante provvedimento.
Il piano ha avuto anche un retroterra di elaborazione di alcuni anni quindi è presente in tutte le forze politiche che vi hanno contribuito.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Martinetti.



MARTINETTI Bartolomeo

Signor Presidente, colleghi, se non è riuscito l'autorevole Presidente del gruppo socialista a infoltire il banco della Giunta, non posso pretendere che questo avvenga per me. Del resto sono convinto che anche un solo Assessore può rappresentare molto bene l'intero Governo regionale specialmente se si tratta (ma purtroppo pare non sia così) di una Giunta unita.
Mi sia comunque consentito di sottolineare in particolare l'assenza dell'Assessore all' assistenza, nel momento in cui si discute un piano sanitario e socio-assistenziale e si sottolinea l'importanza di questa integrazione dei due momenti assistenziali. L'Assessore all'assistenza sarà sicuramente molto impegnata, sappiamo che è in funzione di rappresentanza nel suo collegio elettorale, ma ci sembra che nel momento in cui si tratta di questi problemi, a fianco dell'Assessore alla sanità ci starebbe bene l'Assessore all'assistenza.
Il Gruppo della DC intende affrontare il dibattito sul piano socio sanitario regionale per il triennio 1982-84 con lo stesso impegno con cui ha partecipato ai lavori preparatori della V Commissione consiliare.
Lo spirito con cui i sei Consiglieri democristiani hanno operato in tale sede, è stato obiettivamente riconosciuto dal Consigliere Mignone, che nella sua relazione , stesa a nome della maggioranza, ha dato atto "alle forze di opposizione e segnatamente al gruppo della DC di aver portato un significativo contributo di idee e di suggerimenti e di avere in ogni momento attestato volontà di comune impegno e spirito costruttivo".
Vorrei sottolineare anche (penso che l'intera Commissione sia d'accordo su questo) la parte avuta dal nostro Presidente, il collega Beltrami, che non solo ha partecipato attivamente a tutte le consultazioni ed ha diretto con grande assiduità le riunioni della Commissione, ma ha sempre saputo,con il suo stile e a volte con la sua pazienza, doppiare gli scogli di momenti più o meno caldi, ben naturali in un confronto di tale importanza.
Viene sgombrato quindi, una volta per tutte, il terreno da velate accuse che pure ci sono state rivolte o anche da semplici sospetti circa una nostra ipotetica volontà di insabbiamento o di manovre dilatorie.
Noi siamo stati presenti, pronti con le nostre proposte e disposti al confronto, ogni volta che i Gruppi di maggioranza sono stati in grado di procedere nell'esame del piano. Molte volte abbiamo accettato comportamenti procedurali che consentissero ai lavori di proseguire, anche quando l'assenza abbastanza normale di due dei tre gruppi che compongono la maggioranza lo avrebbe reso impossibile.
I nostri interventi sono stati rivolti sì a far passare modifiche da noi ritenute sostanziali, ma anche, e spesso, a contribuire al miglioramento tecnico e formale del testo, fino a farci chiedere legittimamente da qualcuno se non andavamo oltre, un po' ingenuamente, alla funzione di controllo e di stimolo propria di un gruppo di opposizione.
Noi vogliamo che il piano passi, e lo abbiamo sempre detto e dimostrato, anche se naturalmente vorremmo un piano migliore di quello che ci viene presentato e per questo ci siamo battuti e continueremo a batterci fino all'ultima ora.
Pochi giorni fa, al Ministro Altissimo che esprimeva dubbi sull'opportunità che una Regione approvi il suo piano socio-sanitario prima che il Parlamento abbia approvato il piano nazionale, abbiamo opposto la nostra opinione che sia giusto mettere un punto fermo su una situazione che ormai si trascina da troppo tempo, dare qualche maggiore elemento di certezza agli operatori che sul territorio piemontese affrontano, tra le gravi difficoltà a tutti note, i primi passi della riforma sanitaria.
L'approvazione del documento, da noi condiviso o meno, costituirà, sul piano della legalità istituzionale, il superamento di condizioni che noi abbiamo giudicate e giudichiamo inaccettabili.
Per l'incertezza del quadro generale molti ostacoli si frappongono ad una corretta programmazione degli interventi da parte delle Unità Sanitarie Locali; ma oltre a ciò, più grave è l'incongruenza di certi atteggiamenti che la Giunta regionale e, più ancora, gli uffici dei due Assessorati competenti, hanno tenuto, negli anni passati, nel Governo della Sanità e dell'Assistenza in Piemonte.
Il comportamento dell'esecutivo, infatti, è stato volto ad anticipare nelle scelte che giorno per giorno si imponevano, le determinazioni che sarebbero state materia e contenuto del futuro piano e ciò non soltanto dopo che la proposta di piano era stata approvata dalla Giunta e dopo che il Consiglio regionale, con un ordine del giorno dell'aprile 1980, aveva stabilito di considerare tale proposta come documento tecnico per le nascenti Unità Sanitarie Locali, bensì anche prima, fin dall'inizio degli studi avviati nel 1976 per l'elaborazione della proposta stessa ed anche successivamente, esorbitando dai limiti di indirizzo riconosciuti alla proposta dal Consiglio. Abbiamo già altre volte denunciato, in quest'aula l'illegittimità di un comportamento che, basandosi su future prescrizioni di piano, al momento del tutto ipotetiche, imponeva vincoli tassativi a scelte autonomamente assunte da organi responsabili o, peggio, bloccava pretestuosamente decisioni e progetti, senza degnare di risposta le istanze degli amministratori locali e provocando gravi, e a volte irreversibili danni nelle strutture assistenziali esistenti.
Oggi, che viene presentato un piano notevolmente diverso dalla proposta dell'aprile 1980, un piano che si è spogliato, anche se non abbastanza, di alcune delle ipotesi eccessivamente rigide che una schiera di esperti politicizzati lasciava cadere dall'alto con ostentata sicurezza, si comprende come fossero spesso immotivate e ingiustificate le saccenti direttive di funzionari che forse credevano davvero in una filosofia che in seguito doveva rivelarsi piuttosto effimera.
Non solo. Mentre la proposta di piano veniva elaborata, mentre si sfornavano decine di documenti, di tabelle, convegni e commissioni, parlo degli anni dal '76 all'81 ed anche dell'ultimo anno, non sono mancati, anzi sono stati numerosi, i casi in cui la Giunta si è mostrata fedele al principio: "non sappia la tua destra quel che fa la tua sinistra"; e così sono stati concessi contributi per costruzione e ampliamento di strutture che secondo la proposta di piano non avrebbero ragione di esistere, si sono autorizzati reparti e posti-letto ospedalieri che ora si vorrebbero eliminare, si sono finanziate e costruite case albergo (nome che ora non si può più neanche pronunciare) e altri servizi residenziali, senza un complessivo criterio di programmazione.
Anche per questo il periodo pre-elettorale del 1980 è stato particolarmente significativo. Ritorneremo, se sarà il caso, su questo argomento, quando proporremo che di queste decisioni del passato abbastanza recente, ci si ricordi nel momento in cui si propongono chiusure di ospedali o diminuzione della loro capienza. A puro titolo di esempio ricordiamo che ancora il 22 aprile 1980, la Giunta regionale autorizzava con giuste motivazioni, l'Ospedale di Cirié ad ampliare i suoi servizi fino ad una capienza di 273 letti, mentre lo stesso mese il Bollettino Ufficiale pubblicava la proposta di piano in cui all'USL di Cirié venivano attribuiti 210 letti, cifra ancora ridotta nell'ultima stesura post-consultazioni a 160.
L'Ospedale di Carignano, per fare un altro esempio, è stato uno dei nodi del presente dibattito e, forse a colpa di un errore di stampa, non si capisce ancora bene se lo si voglia mantenere o eliminare.
La proposta della Giunta era di eliminarlo con la motivazione, tra le altre, che dispone di uno stabile insufficiente; ma il 30 ottobre del 1979 l'allora presidente Viglione scriveva all'allora Assessore Enrietti chiedendogli di affrettare l'approvazione della ristrutturazione dell'Ospedale di Carignano, per una spesa di 1 miliardo e mezzo a carico dell'Ospedale stesso. Cosa che gli stava particolarmente a cuore, perch (sono parole sue): "l'Ospedale di Carignano serve una larga zona popolata ed è attualmente in fase di sviluppo industriale". E proseguiva: "Come saprai, la zona di Nichelino è priva di strutture ospedaliere e quindi l'Ospedale in questione sarebbe utilissimo per la zona della cintura di Torino che gravita attorno a Carignano". Tutto giusto. Solo che pochi mesi dopo, la Giunta presieduta da Viglione approvava la proposta di piano che eliminava l'Ospedale di Carignano, così eloquentemente difeso.
Ancora recentemente, in sede di riparto di fondi per l'edilizia ospedaliera, questo Consiglio ha stanziato somme considerevoli per coprire spese già fatte, ma si presume autorizzate dalla Giunta negli ultimi anni per ampliamenti e ristrutturazioni di cosiddette infermerie, sulla cui funzione sanitaria la Giunta stessa, nella proposta di piano, manifestava propositi rigidamente negativi.
Questa è la storia degli ultimi anni, caro Mignone, e non soltanto quella pulita ed anodina, fatta di leggi e di delibere, da te opportunamente illustrata nella prima metà della relazione. Una storia che dimostra come la tanto vantata serietà e chiarezza di gestione della passata amministrazione faccia anch'essa acqua da qualche parte. Una storia che non può non avere influito negativamente sui modi e sui contenuti con cui la proposta di piano approda finalmente in Consiglio, una storia che purtroppo influisce negativamente anche sul giudizio che, nell'insieme noi, e con noi gran parte dei piemontesi, diamo alla proposta stessa, per quel che vale e per quel che potrà produrre di costruttivo.
C'è anche un'altra storia, che merita di essere ricordata in Consiglio e conosciuta dall'opinione pubblica piemontese ed è quella del documento di piano, delle diverse stesure e dei successivi rifacimenti, nonché dei modi con cui si è giunti al testo finale, oggetto della proposta oggi in discussione.
Dopo l'avvio della terza legislatura, la proposta di piano venne ripresentata al Consiglio, e per esso alla competente Commissione, nel testo approvato dalla precedente Giunta nell'aprile 1980. Le ampie consultazioni svoltesi nei mesi aprile-giugno 1981, scaricarono sul tavolo della Commissione un cumulo di osservazioni, di critiche e di istanze, che diedero chiaramente l'impressione di un notevole divario fra le astratte ipotesi della Giunta e le attese concrete della comunità piemontese.
Allora l'Assessore Bajardi, con quel senso pragmatico che gli è proprio e con il dinamismo eccezionale che tutti gli riconosciamo, rielabor prontamente il testo, gli diede una nuova forma del tutto diversa, quella di una proposta di legge con 28 allegati, e inserì una serie notevole di varianti, in parte accettando le richieste degli enti consultati (che suoi vigili emissari avevano cura di riferirgli la sera stessa delle singole consultazioni), in parte inserendo novità sostanziali, come l'invenzione dei cosiddetti quadranti, che avevano lo scopo di mostrare un certo riequilibrio dei servizi sul territorio regionale, riequilibrio non troppo evidente nella prima stesura. Il nuovo testo proposto dalla Giunta in sostituzione del primo avrebbe probabilmente dovuto essere riproposto alle consultazioni. Non lo chiedemmo ed è una nuova prova contro chi ci accusa di manovre ritardatrici, ma è lecito domandarsi se quanto è avvenuto è stato nel rispetto di quelle prerogative del Consiglio, il quale, secondo la prassi parlamentare sempre calorosamente difesa dal Capogruppo socialista, è l'unico arbitro dell'iter parlamentare di una proposta, una volta che gli è stata rassegnata, senza possibilità di intrusioni dell'esecutivo, a cui competerebbe, nel caso, solo il diritto di ritirare la sua proposta, ma non di modificarla "in itinere".
Questa interpretazione formale più ristretta venne effettivamente invocata, e non da noi, in seguito, allorché anche il nuovo testo doveva essere, a parere della Giunta, in vari punti ancora modificato. Le nuove proposte, predisposte dall'Assessorato, vennero presentate come emendamenti dal Gruppo comunista.
Questa continua serie di successivi aggiustamenti non può mancare di dare un'impressione di superficialità, tanto più che il fenomeno assunse proporzioni ancora più vistose quando, avvicinandosi la conclusione, le modifiche incominciarono a interessare le situazioni locali, il reinserimento di strutture ospedaliere prima destinate all'estinzione, la salvezza o la creazione di reparti, ecc.
Si noti. Poiché noi siamo e siamo sempre stati contro la filosofia dello smantellamento che caratterizzava la prima edizione del piano (chiusura di ben 32 ospedali,esistenti, abolizione di ogni funzione di ricovero alle infermerie, chiusura delle case di riposo, ecc.), non ci è dispiaciuto il ripensamento che ha portato alla conservazione di un certo numero di ospedali già destinati all'estinzione, e per le infermerie, ad una formula che ne ammette in qualche modo (per noi ancora insufficiente) l'utilizzazione a fini residenziali anche a carattere sanitario; Siamo lieti di questo, anche se, per un principio di equità, proponiamo che questo criterio di maggiore difesa e valorizzazione dell'esistente venga esteso ad altri casi consimili, colpevoli soltanto di non avere santi protettori nel paradiso della maggioranza.
Quello che ci siamo domandati, di fronte alla costernazione con cui i commissari comunisti e gli "esperti" dell'Assessorato reagivano alle non infrequenti impennate del capogruppo socialista in sostegno di modifiche per lo più valide, ma obiettivamente contrastanti con la filosofia originaria della proposta, era ed è, lo confessiamo, fino a che punto una Giunta così divisa su questioni essenziali possa continuare decentemente a reggere la Regione Piemonte.
I comunisti sono riusciti a ricomporre i contrasti più forti anche se in certi casi, per un partito che si vanta di saper seguire la sua linea senza ambiguità e con coerenza, deve essere stato difficile (come il dover accettare, per esempio, la richiesta ultimativa di inserire nel piano la prospettiva di "assicurare reparti di cardiochirurgia in ognuno dei quattro quadranti", scelta che suscita molte perplessità, anche fra gli esperti del settore).
Questo è l'aspetto politico che va sottolineato ed enunciato con chiarezza.
Non è con teorizzazioni sulla "processualità" della pianificazione Assessore Bajardi, o annunciando che è già pronta una Commissione per studiare l'adeguamento del piano che stiamo per approvare, che si pu nascondere la realtà di una situazione, da cui emerge un dato certo: se una programmazione seria comporta l'abbandono di ogni campanilismo e la capacità di richiedere alle comunità locali anche dei sacrifici, in vista di una necessaria razionalizzazione dei servizi, non è una Giunta così divisa in sé stessa su questi problemi, che può dare affidamento di una corretta e produttiva riforma.
E veniamo dunque, a dire in modo sintetico ma chiaro che cosa pensiamo di questo piano. Esso è indubbiamente, nel suo insieme, nella linea della riforma sanitaria. Di una riforma che il nostro partito ha voluto e vuole nella convinzione che il sistema sanitario nazionale doveva essere adeguato alle esigenze di una società profondamente mutata mediante un processo di razionalizzazione e di riequilibrio, capace di dare attuazione ai principi costituzionali. Contrariamente a quanto strumentalmente si sostiene da qualche parte, la nostra forza politica e il vasto mondo popolare cattolico che noi rappresentiamo non, si pongono dinnanzi alla riforma in una posizione di critica indifferenza o di paura del nuovo. Dalla riforma ci vengono sollecitazioni che noi accettiamo come segno dei tempi, occasione di impegno o di rinnovamento in una linea storica che ha sempre visto la comunità cristiana, dotata di capacità anticipatrici e di adattamento ai bisogni reali della gente. Le istanze culturali che sono alla base della riforma, espresse nei principi enunciati dal primo articolo della legge 833, sono da noi pienamente condivise. La riforma quindi si muove su linee giuste: rapporto paziente-operatore come fatto globale di prevenzione, cura e riabilitazione, concetto sociale della medicina di base, diritto-dovere del cittadino di assumere un ruolo attivo nella difesa della salute necessità di formare una diffusa coscienza sanitaria, attraverso l'educazione sanitaria dei cittadini.
La programmazione regionale, conseguente alla riforma, tende a dare al sistema sanitario unità per superare le differenze, garantendo a tutti eguale livello di prestazioni, e razionalità, per dare a tutti il massimo pur nella limitatezza delle risorse disponibili. Noi siamo d'accordo con la proposta di piano regionale, laddove essa persegue l'unità, non quando vuole imporre un'uniformità che non tiene conto della diversità dei bisogni e delle situazioni. Noi siamo d'accordo se si punta alla razionalità del sistema, non se si vuole distendere sul territorio piemontese uno schema rigido, stabilito dall'alto secondo parametri astratti. Siamo d'accordo sul cambiamento, siamo contrari all'impostazione pseudo-rivoluzionaria scientista e tecnicistica di chi vuole tutto subito, senza la necessaria gradualità, senza l'attenta ed esatta valutazione delle risorse distruggendo l'esistente prima di aver creato il nuovo, dando valore assoluto a certi concetti di per sé validi, ma che debbono essere confrontati con la realtà e ad essa adattati. Nessuno si deve stupire se noi abbiamo inteso come nostro preciso dovere di collaborare con tutte le nostre potenzialità al miglioramento del piano proposto dalla Giunta, né se molte delle nostre richieste di principio sono state accolte. Non si trattava di istanze di carattere ideologico, bensì di precisi richiami alla Costituzione, alla legge di riforma, a principi contenuti in leggi vigenti.
Così, quando abbiamo chiesto ed ottenuto che nel primo articolo della legge venisse richiamato il pieno rispetto dovuto non solo alla dignità, ma anche alla libertà della persona umana, abbiamo ripreso un concetto costituzionale, richiamato dalla legge 833. Ciò non costituisce un fatto formale, ma determina impegni di comportamenti pratici, non solo nella gestione, ma anche nella formulazione delle successive previsioni del piano. A tale comportamento ci si è attenuti ogni volta che nella proposta di legge o negli allegati sono state accolte le nostre proposte rivolte ad una politica non punitiva verso le iniziative private, anzi alla razionale utilizzazione delle stesse; mentre ciò non è avvenuto, quando si è mantenuta la rigida determinazione di troppo schematiche prescrizioni in ordine, ad esempio, ai servizi residenziali da disporre in favore degli anziani.
La puntigliosa assiduità con cui abbiamo partecipato all'attività della Commissione ha condotto, come ricordava Mignone, all'accoglimento di molti nostri emendamenti, cosicché abbiamo potuto dare il nostro consenso a molti degli articoli della legge e a un certo numero di allegati o parte degli stessi.
Come la maggioranza ha dato atto della validità dei nostri contributi così noi non abbiamo difficoltà a riconoscere la disponibilità che la Giunta e la maggioranza hanno dimostrato nel discutere e nell'accogliere molte delle nostre proposte. Vogliamo pensare che ciò sia derivato non da pur legittimo desiderio di puntare ad un allargamento del consenso su un documento così importante, ma piuttosto dal riconoscimento della bontà dei nostri suggerimenti e dalla convinta accettazione dei principi da noi sostenuti. Come già abbiamo accennato, molte delle proposte di modifica avevano lo scopo non di affermare principi a noi peculiari, bensì di assicurare la consonanza fra le prescrizioni del piano e le norme della Costituzione e di altre leggi; altre volte il nostro interesse era determinato da un desiderio di chiarezza, tendente a semplificare e facilitare l'attività quotidiana degli operatori delle USL; altre, infine a creare una maggiore aderenza con le realtà locali, in un beninteso principio di gradualità, che assicuri il passaggio al "nuovo" senza traumi e vuoti pericolosi, e a valorizzare l'esistente senza preconcetti iconoclasti.
Forse il più emblematico caso in cui riteniamo di aver collaborato sostanzialmente al miglioramento del piano riguarda l'allegato n. 12 concernente l'obiettivo: "Tutela della procreazione responsabile, della salute della, donna, della maternità, dell'infanzia e dell'età evolutiva".
Abbiamo dato in Commissione il nostro consenso al testo di questo allegato, dopo l'accoglimento di molti nostri emendamenti, ma ci evidentemente non significa l'adesione ai principi della vigente legislazione sull'aborto, che noi continuiamo a giudicare inaccettabile e che, tuttavia, rientra tra le prestazioni del servizio sanitario regionale di cui l'allegato 12 si occupa.
Comunque, noi giudichiamo importante che in tale documento sia avvenuto, dalla prima all'ultima stesura, un vero capovolgimento rispetto al modo di porsi di fronte all'applicazione della legge 194, e ciò in una corretta interpretazione della legge stessa, che non per nulla si richiama nel suo titolo, prima alla tutela sociale della maternità e solo in secondo luogo all'interruzione volontaria della gravidanza.
Sono così scomparse certe frasi a dir poco ambigue, come quella che affermava il "diritto del bambino a venire al mondo solo quando desiderato", che era tutto meno che un diritto, e gli obiettivi da perseguire sono stati posti nella graduatoria logica e legittima, con al primo posto quello di operare per ridurre le richieste di interruzione volontaria della gravidanza, aiutando la donna a superare le cause di qualsiasi natura che possono renderle difficile l'accettazione della maternità, diritto alla tutela della vita umana fin dal suo inizio compare pertanto, con piena rilevanza tra i diritti fondamentali su cui si fonda il progetto obiettivo, così come l'aver accolto testualmente nella premessa ben 10 commi da noi proposti, sulla posizione della donna nella società attuale e di fronte al lavoro e sul dovere dell'ente pubblico di aiutarla a svolgere la sua essenziale funzione familiare, conferisce, a nostro avviso dignità e basi corrette a tutto il progetto-obiettivo.
A questo proposito dobbiamo aggiungere soltanto un'osservazione: da ora innanzi, più che nel passato, la Regione Piemonte sarà impegnata, nella complessa politica sanitaria afferente alla maternità ed alla procreazione ad avere ben chiari i piani delle priorità. Nessuno potrà farsi vanto di aver messo in piedi, con dovizia di mezzi, le strutture per gli interventi abortivi, se prima non avrà predisposto, con altrettanta e maggiore larghezza, gli strumenti ed i servizi necessari per fornire alla donna in gravidanza i mezzi per superare le eventuali difficoltà, che contrastino il diritto alla vita del nascituro.
E in quest'ottica dovranno operare i consultori pubblici, spesso ridotti fino ad oggi ad essere semplici macchine burocratiche per l' autorizzazione ad abortire e non create per contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza come prescrive l'art. 2 della legge 194.
Contributi rilevanti abbiamo dato alla definitiva elaborazione di molti altri allegati, in particolare il n. 13 sul progetto-obiettivo "Tutela della salute dei lavoratori in ogni ambiente di lavoro", il n. 14 "Tutela sanitaria e socio-assistenziale delle persone anziane", il n. 19 "Prevenzione dell'handicap ed assistenza agli handicappati". Per quest'ultimo, che non abbiamo potuto votare nel suo complesso per le ragioni che illustreremo tra poco, il nostro interesse è stato molto vivo convinti come siamo che l'attività in favore delle persone colpite da minorazioni psichiche, fisiche o sensoriali sia ancora incerta e frammentaria e sostanzialmente insufficiente; basta pensare all'incertezza in cui si trovano oggi le iniziative avviate qualche anno addietro in base ai programmi Cee e all'ampio dibattito in corso circa l'impostazione da dare agli interventi del settore. Per questo il nostro Gruppo ha presentato recentemente una proposta di legge che ha lo scopo di dare organicità e razionalità alla materia e che oggi formalmente chiediamo che venga sollecitamente posta in discussione.
Rimangono tuttavia diversi punti rispetto ai quali il nostro dissenso non ha ancora potuto essere superato e composto in formulazioni, anche di compromesso, ma accettabili. Si tratta, ad esempio, del modo insufficiente e a nostro avviso non corretto con cui viene affrontato il problema del sistema socio-sanitario di Torino, si tratta di un insieme di modifiche da noi ritenute ancora necessarie alla rete regionale dei presidi stabiliti nell'allegato 28 e di altri punti. Si questi temi ritorneranno in seguito altri Consiglieri del nostro Gruppo.
Altri motivi di dissenso, forse i principali da un punto di vista generale, concernono alcune parti dell'allegato 1 "Indirizzi per il riordino dei servizi sanitari e socio-assistenziali", che è indubbiamente il documento fondamentale del piano, e degli allegati 14 "Progetto obiettivo sugli anziani" e 19 "Assistenza agli handicappati". Le nostre argomentazioni in proposito possono essere ricondotte ad una certa unità concettuale e logica ed è ciò che cercheremo di fare in conclusione del nostro intervento.
Comincerò con un esempio. Quando si leggerà che con uno dei nostri emendamenti, non accolto ed ora riproposto, chiediamo che dopo l'ultima riga del paragrafo 6, del punto 2,1 dell'allegato 14, si aggiunga la semplice parola "eccetera", da qualche parte si potrà sostenere che il nostro dissenso si riduce a ben poca cosa. Invece questo rifiuto ad aprire appunto con un "eccetera", l'orizzonte troppo rigido e ristretto dei servizi residenziali previsti per gli anziani (esclusivamente comunità alloggio e case protette), questo non voler ammettere che esistono o possono esistere altre forme strutturali, altre tipologie parimenti valide e magari di più, per assicurare agli anziani l'assistenza di cui hanno bisogno, dimostra chiaramente che, specie nel settore socio-assistenziale viene conservata e difesa quell'impostazione schematica e teorica che noi riteniamo un grosso difetto di questo piano.
Questo schematismo rigido percorre infatti le pagine del documento meno di quanto le percorresse nella prima stesura, ma ancora in misura tale da pregiudicare seriamente, secondo noi, la concreta realizzazione di un sistema sanitario e socio-assistenziale adeguato alle diversificate esigenze della comunità piemontese.
Il discorso è, di nuovo, uno di quelli che si presta ad affibbiarci la taccia di retrogradi e di incapaci a riconoscere le esigenze di novità che emergono dal tessuto sociale. Ed allora dobbiamo chiarire alcune cose in modo inequivocabile. Noi non siamo contro quella che, con brutta parola viene chiamata la "deistituzionalizzazione", siamo contro la deistituzionalizzazione selvaggia, come quella di chi, prima ha chiuso i manicomi, e poi si preoccupa della mancanza di strutture alternative; siamo convinti che il bambino, l'handicappato, l'anziano devono restare in famiglia o che per loro, in mancanza della famiglia naturale, deve ricrearsi un nucleo familiare (per i minori, mediante l'adozione o l'affidamento) o comunque un ambiente di vita il più vicino possibile al modello familiare. Per questo ogni volta che è stato possibile, abbiamo chiesto che nel piano siano privilegiati gli aiuti di ogni genere volti a sostenere le famiglie nel loro compito, per questo non abbiamo mai detto di essere contro la comunità-alloggio, proprio perché la vediamo come una piccola struttura che tende a riprodurre il modello familiare.
Abbiamo espresso dei dubbi sul modo superficiale con cui si intende la comunità-alloggio, che una volta si concepisce come comunità autogestita un'altra volta come servizio tutelare per soggetti non autosufficienti (handicappati o bambini) che richiedono pertanto la presenza specifica di personale.
Noi non chiediamo che sia esclusa la comunità-alloggio dai servizi residenziali previsti dal piano ed a prova di ciò rimando agli emendamenti da noi proposti agli allegati 1, 14, 19, nei quali diamo una plausibile e completa definizione della stessa e spieghiamo ciò che secondo noi la comunità-alloggio deve essere e a che cosa può e deve servire.
Riteniamo che essa poco si presti per gli handicappati mentali e che comunque, al di là di ogni nominalismo, se la comunità-alloggio necessita di personale di assistenza permanente, essa diventa una struttura protetta una casa protetta. Siamo anche molto diffidenti rispetto alla norma dell'allegato 19, secondo cui non debbono essere comunque costituite comunità-alloggio composte esclusivamente di handicappati, Se si ricorda (come precisa il punto 23 dell'allegato l) che la comunità-alloggio si rivolge a minori, adulti, handicappati, dimessi da ospedali psichiatrici ragazze madri, dimessi dal carcere, anziani, è evidente il rischio che si cada in commistioni pericolose e controproducenti, che secondo noi sono assolutamente da evitare.
In particolare siamo convinti che la comunità-alloggio, in cui dovrebbero convivere 6-8 persone, non è facilmente utilizzabile in favore degli anziani, i quali, se incontrano difficoltà ad adattarsi alla vita in comune nella casa di riposo, non minori ne incontrano ad avviare una convivenza quotidiana autogestita con altri anziani, tutti condizionati da abitudini e da modi di vita personali profondamente radicati. E ciò abbiamo sostenuto, non per escludere che in casi determinati e concreti la comunità alloggio possa essere utilizzata, ma per chiedere che si eviti l'ostracismo assoluto ad altre forme in cui l'esperienza ha dimostrato la validità o ad altre che la fantasia creatrice, degli operatori assistenziali o magari del volontariato potrà inventare in futuro. Ma su questo ci è stato opposto un muro. Le uniche strutture ammesse nella Regione Piemonte, per sacra investitura degli esperti dell'Assessorato all'assistenza, saranno le comunità-alloggio e le case protette (o almeno - aggiungiamo noi, fidando nella capacità di adattamento dei piemontesi - dovranno chiamarsi così).
Case di riposo organizzate modernamente, ma non modellate pedissequamente sui parametri tecnici e funzionali dell'allegato 14, case albergo capaci di assicurare il massimo di vita autonoma o familiare con il supporto di servizi comuni, sono messe al bando; case di riposo e case albergo, si costruiscono e si finanziano anche negli ultimi anni e non all'insaputa, bensì con finanziamento della Regione, ma non se ne deve parlare.
Ed allora, poiché case di riposo e case-albergo sono state per lo più in passato, realizzate da Ipab e da privati, spesso da organizzazioni religiose, non può non sorgere il dubbio che tale ostilità ad ammettere un più ricco ventaglio di ipotesi residenziali per gli anziani, nasca dalla preconcetta volontà di smantellamento di tutte le istituzioni assistenziali esistenti, il che, tra l'altro, sarebbe in linea con la condotta che certe forze politiche hanno tenuto in questi anni e che noi abbiamo già contestato parlando recentemente sul problema delle Ipab. Troppo facile anche qui, accusarci di difendere strutture sorpassate, forme di beneficienza non più adeguate ai tempi. Noi sappiamo che alcune istituzioni pubbliche o private si sono involute fino a diventare ghetti inaccettabili sappiamo che altre sono rimaste all'interno di una cultura assistenziale che non conduce al recupero di tutte le potenzialità dell'anziano, ma non accettiamo che si faccia di ogni erba un fascio, dimenticando le migliaia di istituzioni religiose o laiche, pubbliche o private, nelle quali, pur con mezzi limitati e pur senza aiuti dall'alto, si è saputo adeguare ai tempi e rispondere a esigenze reali che altrimenti non avrebbero avuto alcuna risposta (salvo le statistiche, i convegni e le belle parole dei vari progetti anziani).
La politica dello smantellamento di quanto esiste e la riduzione di tutto nel letto di Procuste di due sole tipologie, rigidamente descritte e determinate nel piano, è la migliore risposta a quella domanda di assistenza che emerge dal mondo degli anziani e di cui nelle settimane scorse anche la stampa ha rilevato la dimensione? Sappiamo tutti che quotidianamente vi sono domande di ricovero che non possono essere accolte per mancanza di posti.
La riforma e il piano triennale cambieranno l'approccio, sociale a questo problema; questo è l'ottimistico obiettivo dei riformatori; e noi siamo d'accordo che ogni sforzo dovrà essere fatto in tale direzione, ben sapendo che si deve tendere ad evitare al massimo il ricovero per motivi puramente economici o sociali. Ma intanto, nella situazione attuale, è opportuno puntare esclusivamente su soluzioni chiuse e circoscritte ancora in gran parte da verificare nella loro funzionalità? E' giusto vanificare con un colpo di spugna o con una riga del progetto-obiettivo, ciò che faticosamente si è costruito nel passato, iniziative a cui le comunità guardano con affetto e interesse? Istituzioni che devono certo essere migliorate, trasformate, usiamo pure la brutta parola "ristrutturate" secondo le esigenze concrete e in aderenza ai più moderni orientamenti, ma non a schema fisso, mortificando la fantasia e ostacolando il graduale processo di adeguamento.
Questo discorso sugli anziani è stato fatto perché può considerarsi esemplare, nel senso che chiarisce uno dei motivi di dissenso che non riguarda un punto specifico, ma una linea di principio su cui la Giunta si è attestata.
Esso può applicarsi, con gli stessi ragionamenti, agli ostacoli posti alle nostre proposte per una maggiore valorizzazione dell'esperienza dei reparti geriatrici, che hanno secondo noi una loro funzione, se è vero come si legge sulla Stampa del 5/121 u.s, che l'emarginazione degli anziani è anche conseguenza della politica che fanno gli ospedali, che nonostante l'obbligo di curare i cittadini, continuano a buttare fuori anziani malati, cronici e non autosufficienti come per liberarsi di un peso.
E così il concetto si estende alla battaglia da noi sostenuta per conservare alle cosiddette "infermerie" una funzione di supporto e di integrazione agli ospedali, ed a quella per assicurare la possibilità di soluzioni diversificate alle necessità di assistenza degli handicappati specie quelli gravi.
Lasciando ad altri di toccare altri punti specifici del piano, chiudo con un'osservazione di carattere generale.
E' chiaro che la riforma sanitaria marcia a rilento, per non parlare di quella socio-assistenziale che non potrà avere un chiaro sviluppo fino a che mancherà la legge quadro nazionale.
Chi si aspettava che la riforma sanitaria fosse un toccasana magico di carenze antiche e nuove della nostra assistenza sanitaria non poteva che rimanere deluso. Un conto è sancire il diritto alla salute sulla carta, un altro è illudersi che la sua applicazione pratica sia indolore ed esente da errori. Alle ULS si è mossa l'accusa di essere troppo politicizzate l'accusa è stata respinta dai rappresentanti degli Enti locali al Convegno di Viareggio, secondo noi giustamente. Abbiamo già denunciato alcuni casi di malcostume, come i viaggi turistico-informativi organizzati da qualche comitato di gestione, ma sostanzialmente crediamo di poter contare su una classe politico-amministrativa locale che ha lunghe tradizioni di impegno e di serietà, una schiera di sindaci e amministratori comunali da cui la classe politica di livello nazionale ha solo da imparare.
Nessuno più dei rappresentanti diretti delle popolazioni, se sapranno affiancarsi funzionari esperti e preparati, può dare la garanzia di gestire la sanità e l'assistenza nell'interesse dei cittadini a cui rispondono direttamente e da vicino.
Certo, il momento economico nazionale crea nuove difficoltà, ma la riforma sanitaria, di per sé, non è stata fatta per spendere di più, ma come abbiamo concordemente scritto nella legge di piano, per aumentare la produttività del sistema, cioè per fare meglio possibilmente spendendo meno.
Le ULS devono, non solo fungere da ufficiali pagatori, ma essere responsabilizzate nelle spese. E tutti, politici, operatori sanitari cittadini, non devono immaginare la riforma sanitaria come una "bengodi" ma essere consapevoli che essa potrà avere successo soltanto se ognuno farà la sua parte.
In definitiva: la riforma sanitaria prima di condannarla, proviamo seriamente ad attuarla ciascuno secondo le proprie responsabilità.
L'approvazione del piano triennale è certamente un momento fondamentale per l'attuazione della riforma, ma bisognerebbe che, superando posizioni ideologiche preconcette, venissero corrette ancora quelle storture e quelle rigidità che, a nostro avviso, costituiranno ostacolo allo sviluppo di un sistema socio-sanitario adeguato e realistico.
Se questo avverrà ne saremo lieti per il bene della comunità piemontese.
Anche se non avverrà, perché infine è giusto che ogni forza politica si assuma le responsabilità proprie, resta comunque alla Giunta regionale il dovere di una gestione aperta, non settaria, libera da clientelismi e da campanilismi: noi saremo al nostro posto, nella nostra funzione di controllo e di sollecitazione.
Solo così sarà possibile chiedere a tutti gli operatori piemontesi la prova di quell'eccezionale impegno che l'avvio alla riforma richiede a tutti, operando affinché non ci tocchi di assistere al fallimento di un'impresa da cui tutti attendevamo, ed ancora attendiamo risultati positivi di progresso civile, sociale ed umano.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gastaldi.



GASTALDI Enrico

La proposti del piano socio-sanitario solleva tanti problemi. Cosa sia e a che cosa debba servire il Piano di sviluppo socio-sanitario si ricava dalla legge 833 agli artt. 53 e 56. In pratica esso è il complesso delle disposizioni necessarie per realizzare la riforma e uniformare sul territorio nazionale e regionale le prestazioni non solo ospedaliere, ma di tutti i servizi in modo da togliere gli squilibri esistenti nelle varie zone in conformità alla disponibilità finanziaria.
E' in pratica la programmazione, sia della materia sanitaria, e sia della spesa che ne occorre.
Dagli stessi articoli della legge 833 il piano, sia nazionale che regionale, deve perciò soddisfare la programmazione di due elementi: delle proposte di organizzazione di tutto quanto riguarda la sanità e l'assistenza e della spesa richiesta per l'attuazione di tali proposte.
In altre parole, programmazione di quanto può stare nella disponibilità finanziaria.
A questo punto viene logica una domanda: è realistica la proposta di un piano e soprattutto il tempo indicato in tre anni per la sua attuazione? Non si conosce, infatti, né la disponibilità finanziaria, né la spesa necessaria. La questione relativa alla disponibilità finanziaria è ben esaminata nell'allegato 11, che a mio parere dovrebbe essere il primo; in esso, in sintesi, si dice che "è ben difficile conoscere la disponibilità finanziaria perché manca il piano nazionale, sia l'entità della spesa necessaria perché non si conoscono ancora in modo perfetto le specificazioni che saranno oggetto dei piani delle strutture decentrate. Ed ancora - aggiungo - perché manca la legge finanziaria nazionale che, a sentire, sarà sostituita dall'esercizio provvisorio del quale non si sa ancora la disponibilità".
E non è certa neppure la programmazione delle proposte perché manca il piano nazionale, che dovrebbe essere la cornice nella quale si deve muovere il piano sanitario delle Regioni. Lo Stato, nel delegare alcune sue attribuzioni, si conserva il diritto non solo di pretendere l'osservanza dei principi fondamentali della legislazione statale, ma di indirizzare l'attività delegata secondo i criteri che ritiene più rispondenti a tenerla uniforme su tutto il territorio dello Stato e corrispondente alla sua visione. Anzi, a Roma si sta proponendo di ritirare il piano nazionale e di sostituirlo con una direttiva parlamentare da fare approvare in brevissimo tempo dall'assemblea delle due Camere. Lo stesso Min. Altissimo, mettendo in dubbio certe impostazioni che in un primo tempo sembravano risolutive non accenna più al piano nazionale, ma si propone di discutere in sede di Consiglio Sanitario Nazionale soltanto tre argomenti: la definizione di un modello di USL che abbia caratteristiche omogenee su tutto il territorio nazionale rilevazione, dello stato di funzionalità e di eventuali anomalie dell'assistenza ospedaliera e nei rapporti tra ospedalità pubblica e privata creazione di un servizio di informazioni che consenta, in base ai dati certi, una politica sanitaria mirata sia nei programmi che nella determinazione della spesa.
A questo punto mi chiedo: vi è ancora la volontà di attuare la riforma sanitaria? Il dubbio diventa logico analizzando le varie dichiarazioni e le tante parole che a vario livello si stanno dicendo, e gli stessi atti che in sede nazionale si stanno proponendo; si deve però osservare che la riforma deve essere attuata, non soltanto perché la legge di riforma 833 è legge dello Stato, ma perché la situazione complessa e caotica creatasi in materia socio-assistenziale è illogica e non più rispondente alle necessità sociali attuali ed antieconomica.
Mi chiedo ancora: quale determinazione deve prendere la Regione? Discutere e varare il piano regionale o rimandarlo a tempi successivi? Seppure con conseguenze gravi per l'attuazione della riforma, l'assenza del piano nazionale rende lecita e compatibile la predisposizione del piano socio-sanitario regionale? L'ente delegato può sostituirsi allo Stato se inadempiente? La questione mi pare possa essere risolta considerando che una delle condizioni del piano è quella di predisporre uno sviluppo tale da non superare, ma di spendere la cifra messa a disposizione della Regione che forse sarà del 16% in più di quella del 1981. Ciò è impossibile senza una programmazione che viene in pratica estesa in un piano; per questo motivo mi pare sia giustificabile per la Regione darsi una linea di azione che, anche se imperfetta, anche se dovrà essere corretta, ha una sua necessità, anche perché, in assenza di un piano, le USL. già esistenti per legge in Piemonte, non possono avere una linea di azione uguale e comune e si potrebbero creare delle disparità di assistenza ed un camaleontismo nelle varie USL ed una irregolarità di spesa, come sta succedendo in varie zone d'Italia. A mio modo di vedere, quindi, non solo è lecito, ma è necessario predisporre il piano regionale; però, quali ne saranno i limiti e le condizioni perché sia valido e quale la sua durata? Ciò è ben detto nell'allegato 11 dove si legge: "Occorre stimare il flusso aggiuntivo di spesa che i nuovi investimenti e la nuova organizzazione dei servizi genereranno negli anni a venire, mettendola a confronto con le disponibilità: quindi definire la priorità e determinare il piano di finanziamento degli investimenti, ritenuti compatibili, con la disponibilità corrente".
Con questi limiti e con queste premesse, che in pratica vogliono dire che il limite triennale della realizzazione non è né rigido né impegnativo anche per me il piano diventa una necessità assoluta ed indilazionabile; e non sembra più un libro dei sogni irrealizzabile.
Dopo queste considerazioni teoriche, passo all'analisi del piano e degli allegati. Nel primo, che riguarda l'organizzazione dei servizi troviamo tutto quello che la tecnica, le ricerche mediche e scientifiche ci hanno offerto nel campo sanitario negli ultimi anni; è tutto collocato, a seconda dell'importanza territoriale, in punti facilmente usufruibili e raggiungibili.
La divisione del Piemonte in distretti USL. con servizi sovraregionali nei quattro quadranti, i compiti ad essi affidati, da quelli medici preventivi e di cura a quelli legali, a quelli di tutela dell'ambiente, di veterinaria, ecc., con una scalarità di importanza e di prestazioni che va dai distretti, dove sono collocate le prestazioni più semplici e più frequenti, fino ai quadranti dove si collocano le prestazioni di maggiore complessità e perfezione, presenta una organizzazione ben studiata e curata nei particolari.
I compiti affidati alle varie strutture danno inoltre garanzia di economicità di spesa e di risparmio accanto ad un'offerta completa di prestazioni e di utenti. Ad esempio, l'organizzazione del poliambulatorio e del Day Hospital farà risparmiare sulla ospedalizzazione, che ancora rappresenta il 50% della spesa sanitaria.
Ad esempio, ancora, l'educazione, specie sull'uso ed effetto dei farmaci e sulle analisi, ridurrà le spese farmaceutiche forse più di quello che possono fare il prontuario terapeutico e le tabelle diagnostiche.
Sarà necessario, certamente, un periodo di avvio, che potrà essere difficile, ma si potrà prevedere, nel tempo, un'organizzazione perfetta e completa di tutta la materia sanitaria. Tutto poi è proposto non in modo rigido ed immodificabile, infatti, il piano prevede la possibilità, da parte dell'USL. di concordare modificazioni e adeguamenti locali che meglio si adattano nelle singole USL.alle cui assemblee e comitati, sia per la conoscenza delle realtà locali, sia per l'esperienza, sono maggiormente noti.
Tale possibilità di modificazione è più volte affermata nel piano stesso, possibilità che deriva, inoltre e oltretutto, dall'art. 49 della legge 833. Si afferma, infatti, che il processo di programmazione è continuo, quindi l'applicazione degli indirizzi di piano deve essere verificata ed i riferimenti contenuti nel piano devono consentire e privilegiare tale verifica.
Le affermazioni contenute nel piano a proposito della partecipazione che pongono la discussione come uno degli obiettivi prioritari, organizzata tra tecnici e popolazione, rappresentanti delle forze Sociali, esperti e tecnici, nei vari consigli sanitari e consulta, dovrebbero dare garanzia dell'elasticità del piano.
Dalla lettura dei verbali delle sedute della Commissione e dall'intervento stesso del Consigliere Martinetti, si ricavano le scelte che hanno richiesto maggiori discussioni e che hanno diviso, con proposte diverse, i commissari.
Esse, mi pare, si possono così raccogliere: - destino delle infermerie.
Mi sembra che l'utilità della loro esistenza sia al momento attuale superata. L'esperienza, infatti, mi dice che in certi casi, specie urgenti possono rappresentare una perdita di tempo che talora può essere di grave danno. Non è a conoscenza di tutti il loro limite di prestazioni, per cui nell'urgenza, l'utente potrebbe recarsi in infermeria dalla quale poi dovrà essere trasferito, ma soprattutto perché un servizio medico perfetto e sicuro richiede estese consultazioni tra specialisti: ad esempio, chi cura il diabete ha bisogno dell'oculista e dell'angiologo; chi cura l'apparato digerente può avere bisogno del chirurgo, consultazioni non possibili nelle infermerie, soprattutto in quelle piccole in cui gli specialisti risiedono di solito a distanza e si recano nelle infermerie ad ore o a giorni prefissi. Mi pare più giusto il non mantenere a servizio sanitario le infermerie, ma piuttosto esse possono essere utilizzate in altri tipi di presidi. Tutt'al più, come dice il piano, in presidi parzialmente sanitari.
Consorzi provinciali antitubercolari. Per quelli provinciali, il mantenere, pur nell'ambito del poliambulatorio, la destinazione specifica per malattie polmonari non mi pare esatto per questi motivi: la malattia polmonare tubercolare non è più da considerare mortificante, quale è stata considerata nei tempi trascorsi, perché è ora una malattia curabile e facilmente diagnosticabile prima che arrivi alla fase di contagiosità (le cavernizzazioni); il mantenere ed inviare in sede diversa dal poliambulatorio i malati di tbc polmonare può divenire motivo di distinzione e anche di emarginazione.
Un altro motivo è quello delle apparecchiature. Si possono trovare sedi di poliambulatorio dotate di apparecchiature radiologiche e sedi non dotate, ad esempio, quella della ex lnam di Alba; mentre invece i consorzi antitubercolari ne sono sempre dotati; sembra quindi economico utilizzare le sedi provinciali dei CAP a poliambulatorio non esclusivamente per malattie polmonari ma per tutte quelle prestazioni che esigono l'uso di apparecchiature radiologiche (ortopedia, gastroenterologia, ecc.).
Per il CAP centrale di Torino la cosa è maggiormente complessa in quanto essa dà prestazioni diverse da quelle attinenti alla tbc polmonare.
La situazione torinese, anche per quanto riguarda la sanità, è difficile da risolvere. La proposta, come dice il piano, di rimandare il problema del consorzio antitubercolare centrale, mi pare quindi utile e da accettare.
Reparto geriatria.
L'esperienza che ho in questa materia mi dice che un reparto di questo genere, tenuto a sé e distinto, non è in genere accettato né dall'utente n dai parenti dell'utente.
E' vero che il vecchio ha esigenze diverse da un giovane, però l'età non è mai quella reale: sono gli esami, che sono analoghi e uguali a quelli che si fanno per il giovane, che danno la esatta valutazione dell'età reale con le sue difficoltà e le sue differenziazioni che potranno essere valutate anche da un primario di medicina generale. L'isolamento in un reparto specifico per anziani diventa emarginazione per l'anziano e gli crea una sensazione deprimente e di anticamera della morte, unendo così al disagio della malattia, quello dell'età.
Si tende in tutti i campi (handicappati, anziani) all'inserimento nella società ed a far considerare tutti tra di loro uguali e poi si isola il vecchio in un reparto speciale dell'ospedale? Il reparto di geriatria isolato è quindi per me da rifiutare, sia perché inutile, sia perch psicologicamente deprimente per l'anziano e per i suoi parenti.
Allegato 8.
Vorrei fare una considerazione pratica a riguardo del prontuario terapeutico regionale. Gli utenti che per motivi vari, l'anziano, ad esempio, che si reca al mare d'inverno, gli operai in periodi di ferie, che si recano in regioni diverse, potrebbero trovarsi in difficoltà per continuare l'uso dei farmaci prescritti dal medico curante, in quanto questi potrebbero non essere contemplati nel prontuario terapeutico regionale dell'altra regione. E ciò potrebbe creare complicazioni di ordine economico ed amministrativo; nocive allo spirito di questa proposta che è di assicurare, insieme, efficacia di servizio terapeutico e razionalizzazione e contenimento della spesa. E' necessaria, quindi, una politica di collaborazione interregionale per una selezione quanto più omogenea dei farmaci.
Per quanto riguarda il prontuario terapeutico zonale e la commissione zonale per il farmaco ed il prontuario, il prontuario terapeutico zonale mi pare inutile in quanto ripetizione del regionale. Nel piano, infatti, si dice che le scelte dovrebbero essere, in partenza, in linea con quelle fissate dal prontuario terapeutico regionale e le proposte per l'aggiornamento semestrale devono essere fatte in base alle indicazioni della Commissione regionale. Mi pare invece di grande importanza la Commissione zonale perché facilita la partecipazione alla politica del farmaco di un gran numero di operatori sanitari.
Trovo inoltre positiva la loro composizione perché vi sono rappresentate tutte le componenti del servizio sanitario.
Positiva, anche, la determinazione delle incompatibilità all'incarico che garantiscono l'esclusione di interessi privati e di tipo economico e positive le norme che regolano l'invio delle proposte alla Commissione regionale, in base alla serietà e alla validità delle ricerche effettuate.
Allegato 14 - Anziani.
Premetto che il problema anziani è per me di importanza eccezionale soprattutto per quanto riguarda l'anziano non autosufficiente, più grave dell'handicappato non sufficiente, che il più delle volte ha una parentela diretta, genitori ancora giovani che possono offrirgli l'assistenza.
I figli degli anziani, già con le rispettive famiglie, con esigenze di lavoro e con le loro preoccupazioni non possono, talora, più dare, specie se con limitate risorse economiche, l'assistenza necessaria.
Mi pare quindi che al problema si dovrebbe dare la priorità assoluta anche a seguito di quanto si dice nell'allegato 11, relativamente alla priorità da attuare in base alla possibilità finanziaria, tanto più considerando che la maggior parte di questi insufficienti sono costretti a cadere nelle mani di speculatori. E per poter valutare e dare attuazione a questa priorità mi pare che siano necessarie statistiche diverse da quelle proposte dal piano. Sarebbe necessaria una statistica che desse il numero di questi non autosufficienti in Piemonte. La valutazione del 2,2 riportata dai giornali mi pare sia eccessiva. Una statistica esatta e completa è difficile e forse impossibile, ma mi pare potrebbe essere indicativa per la spesa da sostenere, anche una statistica a campione fatta su zone e paesi quali quelli a numero limitato di abitanti.
Anche il riferimento fatto dai giornali circa la disparità di trattamento tra bambini e vecchi (cinque presidi per bambini, nessuno per gli anziani) evidenzia la necessità di risolvere questo grave problema.
Dai verbali delle Commissioni risulta una concordanza sulle valutazioni e sulle proposte del piano, con la sola differenza della proposta, da parte della DC, della casa-albergo. A dire il vero non ho potuto capire dai verbali se la proposta sia per una struttura da mantenere nel tempo, o per una struttura transitoria che dovrà essere trasformata nella comunità alloggio prevista dal piano. Mi pare non sia accettabile la proposta, se ad essa si vuole dare il significato di proposta alternativa a durata permanente, perché, se supera i 24 ricoverati, ripeterebbe e manterrebbe il vecchio sistema di assistenza che tutti dicono istituzionalizzante ed emarginante e non più rispondente alle attuali esigenze sociali. Se sta nei 24 assistiti, rientra e ripete una proposta del piano relativa alla comunità-alloggio, infatti, il piano prevede otto assistiti per comunità e l'unione di tre comunità con servizi associati e soprattutto aperti all'esterno.
L'accettazione di tale proposta, dato che la legge prevede la possibilità di convenzionamento con le strutture private, mi creerebbe problemi di coscienza. Il possibile convenzionamento con un grattacielo pur bello, comodo e perfetto, fatto a questa destinazione in un paesello vicino ad Alba, mi metterebbe in difficoltà, tanto più conoscendo, in modo certo, le valutazioni e gli scopi, non certamente di natura caritatevole che sono stati alla base di tale costruzione. Il dubbio del Consigliere Ratti, riportato dai giornali: "Queste comunità-alloggio per autosufficienti non sono collaudate e saranno sicuri di rendere un buon servizio ad un anziano costringendolo a vivere con quattro o cinque persone della sua età?" è reale. Anche perché il piano dice al punto 4) dell'allegato 14, che in seguito al mandato del Consiglio regionale del 22.2.1979, quindi di tre anni fa, si stanno attuando sperimentazioni di comunità-alloggio nell'USL 43 della Val Pellice, ma non ci riporta il risultato ottenuto, a meno che il silenzio del piano su questo fatto e la ripetizione della proposta della comunità-alloggio non debbano essere interpretati come un'affermazione della positività dell'esperimento.
Queste sono le osservazioni e le considerazioni che l'esperienza personale e il desiderio che si attui la riforma sanitaria nella migliore forma possibile, mi hanno fatto pensare.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Acotto.



ACOTTO Ezio

Signor Presidente, signori Consiglieri, iniziamo stamane il dibattito consiliare sul primo piano socio-sanitario della Regione Piemonte svolgendo come Gruppo PCI un primo intervento. Il dibattito consiliare avviene, come ricordava il collega Mignone, ad un anno e mezzo dall'uscita della proposta di piano e a tre anni dalla promulgazione della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale.
Richiamare la legge di riforma sanitaria ci pare del tutto appropriato poiché discutiamo di un piano che ha, innanzitutto, il significato di far poggiare quella riforma su basi solide, sulle basi della programmazione.
Richiamare la proposta fatta dalla Giunta nella primavera del 1980 ci pare altrettanto appropriato, poiché significa ricordare un impegno certamente coraggioso, che le forze di sinistra si assunsero prima delle elezioni e che trova in questi giorni un'altrettanto impegnativa corrispondenza, e questo mi pare sia un elemento politico dirimente delle preoccupazioni sollevate dalla DC di questa maggioranza. Riforma o piano marciano dunque, nella nostra Regione, sullo stesso binario, marciano, è il caso di dire, poiché non da ora si inizia ad introdurre la logica di piano nelle scelte della sanità regionale e su questa logica la comunità regionale ha già cominciato a cimentarsi.
In questo contesto, il dibattito sulla proposta del piano socio sanitario, si è trasferito all'interno della consultazione ampia che la V Commissione ha condotto in tutte le realtà comprensoriali e con tutti i settori direttamente coinvolti nella gestione del comparto socio-sanitario.
Gli elementi di valutazione di proposte e contro proposte emersi dalla consultazione, unitamente all'originalità di ciascuna forza politica presente in Commissione, hanno poi consentito di portare al traguardo del confronto in Consiglio, un elaborato a cui ha dato un contributo decisivo la stessa Giunta attraverso la risistemazione; l'aggiornamento e l'adeguamento alla variegata realtà regionale della originaria proposta.
Sento qui il dovere di riconoscere a tutte le forze politiche che in V Commissione si sono cimentate su un tema tanto arduo, l'impegno significativo che esse hanno profuso, sia pure con fasi alterne e con diversità di impostazione che il confronto consiliare non mancherà certo di evidenziare.
Al di là delle polemiche, che pure non sono mancate, ma che non vanno però lette in chiave di antitesi paralizzante, poiché la realtà odierna dimostra il contrario, credo ci sia stata e ci sia una comune consapevolezza in tutti noi, quella che la salute è un bene primario per tutti i cittadini, che, se a volte viene vissuto in termini distorti, in ogni caso, viene collocato al vertice delle cose più importanti nella vita di ogni uomo.
Ecco perché io mi sento di dire con forte convinzione che al centro del piano socio-sanitario c'è l'uomo con il suo bisogno, innanzitutto, di preservare la propria salute e di difenderla da quell'arsenale di occasioni di malattia che sono i cosiddetti fattori di rischio, di riparare i guasti provocati dal superamento delle barriere e delle misure preventive, di recuperare un ruolo e una speranza quando l'aggressione ha avuto il parziale sopravvento sulle forze della vita. Mi sembra del tutto naturale che le forze del movimento operaio, più di altre, abbiano collocato, nel loro patrimonio di elaborazione culturale e ideale e poi nella loro lotta questi valori e questi obiettivi; valori e obiettivi che solo una profonda azione di trasformazione, qual è postulata dalla riforma sanitaria consente di avvicinare e di rendere concreti per l'insieme dei cittadini e in modo particolare per i ceti più deboli della nostra società.
Questo è il senso più politico e ideale che noi attribuiamo al piano e cioè ad uno strumento essenziale per avviare sul percorso giusto, quello della programmazione, una riforma di grande rilievo sociale.
Una riforma che deve fare i conti con trenta anni di ritardo nell'attuazione del principio costituzionale di tutela della salute ritardo che non poteva non provocare gravi danni all'insieme dei servizi sanitari italiani.
Questo ritardo fu superato 3 anni orsono dalla legge di riforma sanitaria, che ancora oggi, giova richiamarlo, non è accompagnata da quella dell'assistenza.
Ma non basta una legge, pure necessaria, per fare riforma: occorre che la linea della riforma sia sistematicamente perseguita con atti che, a livello nazionale, subiscono invece rinvii preoccupanti, come nel caso del piano socio-sanitario nazionale o che introducono elementi gravi sul versante della spesa sanitaria per i cittadini con l'istituzione di nuove "tasse di malattia" quali sono appunto i tickets.
Non vogliamo sottacere il fatto che i primi anni della riforma sono caduti in una fase difficile per il nostro paese; i pesanti momenti di crisi economica che stiamo attraversando hanno favorito la raccolta di elementi di antiriforma che, all'insegna dei presunti alti costi della sanità, non sono in grado di indicare soluzioni positive, ma solo aggravi per i cittadini.
Le spese della sanità non costituiscono un consumo superfluo, ma rappresentano un investimento capace di assicurare ai cittadini un'idonea qualità della vita, investimento tanto più necessario, quando, da più parti, quella stessa qualità viene aggredita. E il godimento di una buona salute è elemento essenziale per la qualità della vita.
Per questo occorre garantire a tutti i cittadini quegli interventi normali e continuativi legati a tutti gli aspetti della sanità e dell'assistenza, che costituiscono compiti del distretto socio-sanitario ed occorre anche assicurare l'apporto al distretto di quei servizi che lo sostengono e l'accesso dei cittadini stessi ai servizi più specializzati.
Nel piano e secondo lo spirito della riforma, il distretto socio sanitario rappresenta l'anello principale dell'organizzazione dei servizi e apre la via a nuovi rapporti tra la comunità, i suoi bisogni e l'organizzazione stessa dei servizi.
Occorre mettere in atto un processo capace di coinvolgere nella riforma cittadini, operatori dei servizi socio-sanitari ed amministratori.
Del resto, gli interessi dei lavoratori di ogni settore e categoria, le esigenze dell'agricoltura, dell'industria e del terziario reclamano una popolazione sana, domandano non cure mediche, ma produzione, di salute.
Tale esigenza deve, sempre più, trovare risposta dal mondo della cultura e i problemi della sanità offrono, in particolare, un nuovo momento di iniziativa all'università, chiamando in causa facoltà di diverso tipo, con l'obiettivo di collocare sempre più la ricerca con i problemi reali di salute delle popolazioni piemontesi.
I dati che l'Assessore alla sanità ci ha fornito, come elementi di valutazione sullo stato di salute dei cittadini della nostra Regione rappresentano da questo punto di vista un terreno, certamente ancora da approfondire, ma su cui è già possibile, sia fare intervenire le forze della cultura, sia attuare un coinvolgimento più ampio e una esplicitazione più diretta dei contenuti del piano socio-sanitario nei suoi progetti obiettivo, nelle sue politiche qualificanti, nelle sue azioni di particolare rilevanza sociale.
Molti sono gli strumenti che il piano individua per la costruzione della riforma e tra questi tre appaiono particolarmente significanti: la partecipazione, l'educazione sanitaria, la qualificazione professionale.
Sulla partecipazione occorre sottolineare, oltre al fondamentale momento distrettuale già richiamato, il valore che assume la formazione del programma socio-sanitario di zona e il relativo bilancio. E' questa un'occasione pregnante per un rapporto aperto tra organi responsabili della politica e dell'amministrazione socio-sanitaria e i comuni singoli e le categorie sociali di ogni tipo.
Sull'educazione sanitaria vogliamo sottolineare come essa sia un compito al quale vengono chiamati tutti gli operatori, senza eccezione alcuna, siano essi dipendenti dal servizio o con esso convenzionati, che possono e debbono esercitarla ogni qualvolta entrino in contatto con i cittadini.
La qualificazione professionale, appare come obiettivo permanente di tutti i dipendenti e convenzionati del servizio sanitario nazionale.
In tutte le discipline, quelle mediche comprese, la formazione di base degli operatori, sia essa universitaria o meno, oggi non è più sufficiente.
I ritmi di sviluppo delle innovazioni scientifiche, cliniche e tecnologiche impongono - pena la dequalificazione dei servizi - un processo di aggiornamento permanente e tanto più questo appare necessario, in questa fase d'avvio del servizio sanitario nazionale, tenuto conto delle esigenze sia di disporre di operatori in settori nei quali le carenze sono il risultato di precedenti errati orientamenti, sia di convertire a nuove funzioni operatori di servizi sovrabbondanti o non più necessari. La rete delle scuole sanitarie esistenti nella Regione e gli istituti universitari nelle rispettive competenze - costituiscono gli strumenti per una politica di formazione permanente del personale del servizio sanitario nazionale.
Per garantire lo sviluppo di una coerente politica di prevenzione, il coinvolgimento di larghi strati di cittadini e di operatori, occorre un modo nuovo di gestire la sanità.
Non si tratta di rifiutare e negare per partito preso le esperienze del passato, ma occorre determinare modalità diverse da quelle una volta seguite, recuperando dall'esperienza di ieri tutto quello che è utile ancora oggi e promuovendo lo sviluppo di quanto, ieri mortificato, si ritiene oggi necessario valorizzare.
Così, mentre da un lato, non può accettarsi la conservazione di un ospedale tuttofare, dall'altro va recuperata l'esperienza ospedaliera del lavoro di gruppo che, al di là di alcune deformazioni gerarchiche costituisce modello operativo da generalizzare in tutti i presidi e comparti del servizio sanitario e, mentre va rifiutata la burocratizzazione imperante nella fase finale del sistema mutualistico, vanno ripresi i valori di rigore nell'esercizio dell'attività e di solidarietà sociale tipiche della mutualità originaria, prima dello stravolgimento introdotto dal fascismo. Ed ancora, mentre occorre rifiutare un rapporto medico paziente spersonalizzato, conseguenza di un mercantilismo che portava alla massimizzazione del numero di assistiti, è necessario recuperare la tradizione del medico di fiducia, amico di famiglia.
Al centro dell'attenzione del servizio sanitario sta il cittadino che reclama, in primo luogo, il diritto di conservare la sua salute e poi, di essere curato, riabilitato e reinserito socialmente in caso di bisogno.
Occorre un nuovo modo di gestire la sanità che non veda come fatto fondamentale, anche se resta pur sempre necessario, quello di garantire solo orari di apertura di ambulatori, poliambulatori e così via, ma che porti attenzione, prima di tutto, al modo di consentire ai cittadini un uso comodo dei vari servizi sanitari, che debbono essere distribuiti sul territorio regionale, evitando, quando non siano motivate, concentrazioni di essi nel capoluogo di regione o in quelli di provincia.
Il riequilibrio territoriale dei servizi sanitari non significa che in ogni Unità Sanitaria Locale debbano essere presenti tutti i tipi di servizi, anche quelli più complessi.
Esistono servizi che - per la loro natura e per i loro compiti affidati debbono essere presenti ed operare in tutte le Unità Sanitarie Locali e sono i servizi di base nei distretti, i poliambulatori ed il servizio di igiene pubblica.
Esistono invece servizi che - per la loro complessità tecnica e per la dimensione che di conseguenza raggiungono - non possono essere attribuiti a tutte le Unità Sanitarie Locali, ma solo ad alcune e sono i laboratori di sanità pubblica e gli ospedali e per questi ultimi deve distinguersi tra servizi obbligatori minimi per ogni ospedale e servizi specialistici più rari presenti solo in alcuni di essi.
E' per questo ultimo tipo di servizi che si pone con più acutezza il problema della loro diffusione, tale da consentire ai cittadini un più facile accesso.
Riferimenti per la distribuzione territoriale di questi servizi sono in primo luogo i Comprensori e ciò per quanto attiene ai servizi relativi alle specialità più diffuse, quali reparti di ortopedia-traumatologia oculistica, otorinolaringoiatria, urologia e così via.
Per i servizi di intervento più raro - e quindi meno periferizzabili il piano fa riferimento al "quadrante", area territoriale corrispondente all'insieme di più Comprensori o province, ed in tale logica quattro sono i quadranti nei quali è stato suddiviso il territorio regionale: a) quadrante nord-est che comprende i Comprensori di Vercelli, del Biellese, di Borgosesia, di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola b) quadrante sud-est che raggruppa i Comprensori di Asti, di Alessandria e di Casale Monferrato c) quadrante sud-ovest che raccoglie i Comprensori di Cuneo, di Saluzzo Savigliano- Fossano, di Alba-Bra e di Mondovì d) quadrante nord-ovest che include i Comprensori di Torino, di Ivrea e di Pinerolo.
in ogni quadrante è garantita la presenza di servizi vari e complessi che, per le affluenze che ad essi si rivolgono, debbono essere localizzati solo a Torino.
In questo quadro occorre approfondire l'analisi dei problemi che investono gli ospedali del capoluogo al fine di evitare un ruolo non necessario di surrogazione di altri stabilimenti ospedalieri ed al fine altresì, di giungere alla loro trasformazione in ospedali generali univocamente legati a parti definite di territorio cittadino in modo da assicurare il più corretto rapporto tra sevizi di base e servizi ospedalieri.
Il piano socio-sanitario regionale per il triennio 1982-84 non è né un "libro dei sogni", né la bibbia del sistema socio-sanitario piemontese e non è neppure, un editto che deve valere per l'eternità. E' uno strumento che individua una logica di assetto dei servizi sanitari e socio assistenziali, che propone i primi passi da effettuare per passare dalla situazione esistente ed insufficiente, soprattutto in termini qualitativi ad una nuova, capace di meglio soddisfare la domanda dei cittadini.
Suo punto centrale - che lo qualifica e che pertanto resta fondamentale è lo sviluppo della prevenzione. Gli esempi che ci vengono in materia di misure preventive dal campo della lotta contro le malattie infettive (vaccinazioni e miglioramenti igienici) e da quello alimentare (eliminazione di carenze vitaminiche ed ottimizzazione della crescita e dello sviluppo) mostrano i risultati che si possono raggiungere, a condizione che sulla prevenzione si sviluppino momenti di formazione di personale, di adeguato assetto dei servizi ed anche di ricerca. Per questo ogni taglio alla spesa per la prevenzione costituisce atto controriformatore.
Come anche resta fondamentale il ruolo che ai singoli servizi (di base poliambulatoriali, ospedalieri e così via) viene assegnato nell'intento di superare confusioni riscontrate nel passato.
Ma siamo anche consapevoli che l'individuazione di un nuovo modello di servizio sanitario e socio-assistenziale non è operazione che si esaurisca con l'emanazione del piano, ma richiede una fase attuativa che dovrà portare a correzioni strada facendo. Soltanto l'esperienza gestionale delle Unità Sanitarie Locali sarà in grado di verificare tutte le ipotesi organizzative di piano.
Questa è l'impostazione che abbiamo dato nell'accoglimento di gran parte delle proposte emerse in sede di consultazione e nel confronto che si è sviluppato in seno alla commissione, senza tuttavia smentire, ne siamo convinti, l'obiettivo di offrire alla comunità una chiave di lettura, un modello aperto di riorganizzazione dei servizi da utilizzare e per riorganizzare l'esistente.
Procediamo - nel costruire il nuovo servizio sanitario - guardando al futuro, ma senza fughe in avanti. La realtà da cui partiamo è quella che è il prodotto della nostra Regione di secoli di attività sociali. Gli ospedali del '500 e del '700 ancora in esercizio, ai quali si sono affiancati i grandi complessi ospedalieri sorti nei principali centri a cavallo tra i due secoli, i poliambulatori mutualistici sorti qua e là con logica diversa da mutua a mutua, i dispensari già dei consorzi provinciali antitubercolari e dell'OMNI, le case di riposo di ogni epoca sono pur sempre - con pregi e difetti - patrimonio della comunità piemontese non solo e non tanto perché tali edifici esistono, ma perché in essi lavorano migliaia e migliaia di operatori sanitari e socio-assistenziali - ai quali si aggiungono le altre migliaia operanti negli ambulatori singoli ed a domicilio dei cittadini - che hanno messo la loro professionalità al servizio della società. E' questo patrimonio umano - di scienza e esperienza - che non va disperso in alcun modo a garanzia della possibilità di passare da un sistema sanitario vecchio ad uno nuovo.
Possibile e necessaria è la lotta contro gli sprechi che si individuano nell'elevato consumo delle medicine e nell'eccessiva richiesta di analisi di laboratorio e di esami radiografici, ma che si ritrovano anche nei ricoveri ospedalieri non necessari e nei troppi, letti ospedalieri: nel 1976 per ospitare tutti i ricoverati ospedalieri in Piemonte bastavano 28.400 letti, contro i 32.300 esistenti.
Possibile e necessaria è la definizione dei ruoli tra il settore pubblico e quello privato, atteso che il primo è responsabile dell'attuazione del dettato costituzionale di tutela della salute e che l'esercizio di tale, responsabilità - nel rispetto dell'iniziativa privata prevista e garantita dalla Costituzione - può richiedere il convenzionamento con il settore privato solo quando ciò si ravvisi necessario per raggiungere i fini che il servizio sanitario nazionale persegue. Si tratta di ridare piena efficienza a tutto il sistema della sanità, impegnando tutte le risorse disponibili ed evitando sterili contrapposizioni tra mano pubblica e mano privata, ma evitando al tempo stesso ogni indebito beneficio a danno della collettività.
Possibile e necessaria è l'introduzione di orientamenti e lo sviluppo di modelli di comportamento dei servizi, tale da garantire un rapporto corretto tra efficacia ed efficienza, nell'intento di assicurare la migliore qualità dei servizi prestati con il minimo costo unitario.
Con tali consapevolezze e con la consapevolezza delle possibilità che il piano consente di sviluppare, pur a fronte di tutte le difficoltà che ci sono nel settore della sanità e nel settore socio-assistenziale, ci accingiamo ad un ulteriore e definitivo confronto che vorremmo consentisse al Consiglio di cogliere, insieme con le differenziate impostazioni tra le forze politiche, il significato complesso di un'azione di programmazione che certamente con lacune e forse con errori, rappresenta la volontà e l'impegno di andare avanti nella direzione tracciata dalla riforma per migliorare la qualità della vita dei cittadini piemontesi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Il nostro Gruppo considera il dibattito in aula sul piano socio sanitario fondamentale per gli effetti e i risultati che ne sortiranno. Il mio intervento sarà ridotto all'indicazione di alcune considerazioni di metodo politico e di contenuto rinviando la maggiore specificazione delle nostre valutazioni all'illustrazione degli emendamenti. Questo per una ragione particolare che in Commissione ho richiamato più volte.
In Commissione si è venuta concretando una curiosa situazione che ha snaturato la funzione della Commissione stessa, dell'illustrazione dell'argomento da parte del proponente, delle eccezioni di chi non concorda totalmente sulla proposta, dell'esame della proposta e della conclusione.
Si è assistito al ribaltamento della situazione. Protagonista della Commissione era, a buon diritto, la DC, che proponeva delle eccezioni senza che l'argomento fosse illustrato. E' evidente che le altre forze politiche dovevano assumere un tipo di decisione.
La decisione che noi abbiamo assunto è stata quella di farci, a nostra volta, proponenti di modifiche al piano nella sede che riteniamo più idonea, cioè quella assembleare, senza peraltro far venir meno, come ci è stato riconosciuto, il nostro apporto in Commissione.
Diamo un giudizio positivo sul fatto che, alla fine del 1981, siamo in presenza di un piano comunque approvato dalla Commissione, approfondito dalla comunità, steso dalla Giunta, momenti istituzionali che significano che le istituzioni possono funzionare. Se è vero che la democrazia non si identifica con i treni che arrivano in ritardo, certamente la democrazia non si identifica neanche con i treni che arrivano in orario.
Questo lavoro ha coinvolto la comunità, ha coinvolto la Giunta, intesa come governo della Regione, avendo il piano radici che vanno al di là dei tempi di vita di questa Giunta; questo lavoro premia la collettività che ha risposto nelle consultazioni con consapevolezza e capacità di valutazione del problema generale, rifuggendo da difese corporative di categoria o ancor peggio, di tipo localistico. Premia, per il pregio che ha avuto,l'opposizione, in particolare la DC, che con gli interventi in Commissione ha dato spessore e in qualche misura anche luce di dibattito e premia il lavoro egregio dei funzionari della Giunta e degli esperti della Commissione.
Per questioni di stile e di principio ho sollevato il problema degli esperti in Commissione non perché volessi mettere in discussione la loro presenza, ma per segnare che la responsabilità politica non può essere devoluta ai funzionari, ma deve essere presa dall'Assessore. Devo anche dire che nella parte dei lavori in Commissione che ha visto decollare il piano è spiaciuto alla mia forza politica notare l'assenza dell'Assessore in quanto "sostituito" da un Consigliere del PCI che tutti conosciamo per la sua capacità, diplomatica (non per niente svolge la sua attività a Parigi oltre che a Torino). Questo fatto ci ha preoccupati perché, nella difficoltà a capire la filosofia del piano, non siamo riusciti a comprendere se le concessioni fatte alla DC fossero di tipo strumentale e dirette al miglioramento del piano, oppure se fossero dirette all'accelerazione del piano. Gli isterismi della maggioranza su questo problema mi fanno pensare che la presenza di un Consigliere, che ha anche interessi culturali in paesi transalpini, fosse diretta, più che al contenuto, ai tempi del piano; sono gli isterismi di chi ci accusava di non voler approvare il piano in tempo debito. La cosa è leggermente diversa: il piano arriva e si discute prima di Natale.
L'ultimo apprezzamento va al Presidente della Commissione al quale riconosciamo capacità specifica e grande responsabilità politica che hanno fatto sì che uscite e scoppi, che sono stati attribuiti al sottoscritto, ma che erano di altri, non avessero determinato quello che, in un paese non così equilibrato e con un Presidente meno attento, avrebbero certamente provocato. Direi che di uscite e di scoppi di viglionesca firma ne abbiamo avuti parecchi! Un'opposizione che si comporta nel modo in cui si è comportata in Commissione e che esprime un Presidente di tale levatura, merita ben altra maggioranza di quella che è seduta su questi banchi. Manca il Presidente della Giunta, manca l'Assessore all'assistenza, manca il Vice Presidente il quale ci aveva richiamati ad essere tutti presenti a leggere sui nostri tavoli il Piano di sviluppo, prima del 31 dicembre, pena la verifica politica. Guarda caso, oggi non c'è né il piano sui nostri tavoli né il Vice Presidente sulla sua sedia! Il nostro giudizio critico sul piano socio- sanitario non pu prescindere dalla presa d'atto che il piano è figlio della legge 833 quindi non ci si può scandalizzare oltre misura se il risultato, cioè il figlio, porta con sé le matrici paterne o materne di quella vicenda.
Il nostro partito ha espresso sulla legge 833 un giudizio critico e negativo perché fin dall'inizio ha ritenuto che quella legge potesse determinare sul territorio una serie di conseguenze negative, in primo luogo l'incapacità del controllo della lievitazione della spesa, fatto al quale stiamo assistendo. Ci era sembrato di prevedere lo svilupparsi di fenomeni di ingovernabilità sul territorio in periferia e qui è stato denunciato questa mattina che, pur nel riconoscimento della capacità degli amministratori, la ingovernabilità in periferia di tutta la tematica sanitaria è avvenuta. Avevamo anche indicato, tra i rischi, la caduta della professionalità con conseguente abbassamento del livello finale della prestazione.
L'Assessore Bajardi non ha mantenuto fede ad una affermazione significativa che aveva fatto sullo stato della sanità in Piemonte, quando aveva detto in termini manageriali che il bilancio di qualunque attività lo si fa giudicando i fatti concreti.
Il giudizio che si deve dare ad un piano sanitario è se questo sarà in grado di dare una maggiore garanzia della salute, un maggior livello delle prestazioni. Tutto questo mi sembra compromesso dal piano socio-sanitario.
In primo luogo perché non si è assolutamente cercato di sollevare la soglia del servizio finale che viene dato al cittadino. Nel piano non si fa alcun riconoscimento al fatto che il Tac e la cardiochirurgia ad alta qualità sono nati da un processo culturale di ricerca e da un impegno professionale. Si dimentica la professione.
Ho presentato un emendamento per cercare di ricuperare e reintrodurre un termine specifico della professione medica: la deontologia. La professionalità, nei documenti del piano, troppo spesso viene ricondotta alla capacità di produrre, di essere presenti e essere sociali. E' vero, in Piemonte sono avvenuti dei fatti devastanti, ma certi processi non sono avvenuti per caso. A Torino c'era il meglio o il peggio della medicina italiana (è un problema di ottica) e si capisce perché il meglio o il peggio della medicina italiana sia stato messo in contestazione e portato sui banchi degli imputati prima del processo riformatore.
Noi abbiamo fatto la rivoluzione e abbiamo tagliato tante teste, quindi siamo in grado di capire come altri, per fare le rivoluzioni, procedano prima a tagliare certe teste. Si dà il caso però che nei Paesi dove abbiamo tagliato le teste ci siamo poi preoccupati di realizzare altre teste mentre i rivoluzionari della riforma sanitaria non si sono resi conto che al posto delle teste troncate bisognava ricreare altri cervelli.
Nel piano, in sostanza, si rinuncia a porre il Piemonte per le sue strutture, le sue capacità di ricerca e di cervelli in un ruolo trainante nel processo di qualificazione del servizio.
Non entro in concorrenza con la DC nell'indicare come il livello attuale della prestazione non venga garantito per l'abbandono di questa o di quella struttura, di questo o di quel presidio. Faccio peraltro notare che se si appesantisce il quadro con elementi di burocratizzazione e di istituzionalizzazione, soprattutto per quanto attiene al personale, è evidente che le risorse che verranno distratte dalla prestazione in senso stretto per essere dirottate verso la burocrazia, faranno scendere il livello attuale del servizio.
In questo piano inoltre non è garantita la professionalità della classe medica e la libertà di accesso dell'utente. Ho provocatoriamente presentato un emendamento con cui chiedo di abrogare le parole "libertà e dignità del cittadino" perché è evidente che qualunque legge viene fatta nel pieno rispetto della libertà e della dignità del cittadino.
Per libertà del cittadino nel campo sanitario che cosa si intende? Si intende libertà di scelta del medico; libertà di scelta della struttura libertà di scelta del farmaco. La libertà di principio indicata nell'art. 1 della legge non è sufficiente e, secondo noi, è mal collocata.
Questo piano si può paragonare a una grossa rete che ha pescato in un grande mare di problemi, li ha raccolti in un bacino più comprensibile e più leggibile per portarli quanto meno in acque meno profonde e più chiare.
Sarà più facile alla classe politica, agli operatori e alla burocrazia incominciare a introdurre in queste acque meno profonde e più chiare elementi più specifici di selezione, di giudizio, di valutazione e di decisione. Almeno in questo senso il nostro giudizio è positivo.
Il documento, come molti documenti prodotti dalla sinistra, contiene alcuni vizi logici mentali, in primo luogo il revanscismo secondo cui quanto è stato realizzato nel passato debba essere spazzato via alla luce delle nuove conquiste, delle nuove valutazioni e delle nuove considerazioni. Vi è poi una specie di furia iconoclasta che dovrebbe essere superata da parte di un partito che non è più ideologico o almeno non vuole più esserlo.
Un altro vizio tipico è il provincialismo proprio là dove non si vuole capire come l'organizzazione di una serie di presidi, l'organizzazione della ricerca, l'organizzazione della formazione professionale debbano andare al di là dei limiti provinciali del piano. Questi vizi determineranno il fallimento del piano che, per una parte, già denuncia un fallimento. E' un problema di carattere politico istituzionale e di maggioranza all'interno della maggioranza. Uno dei primi obiettivi denunciato nel piano è quello del riequilibrio, cioè quello di fare sì che il Piemonte non sia soltanto Torino, ma un complesso diffuso sul territorio in termini di prestazioni, di servizi, di iniziative, di ricerca, di professionalità. La Regione ha di nuovo perso la guerra contro Torino: ancora una volta Novelli I ha prevalso, per non dire prevaricato, su Enrietti I: questi fatti avvengono oramai a cadenza settimanale. La vicenda Spadolini è stata emblematica: questa istituzione si è fatta carico di tutti i problemi del Piemonte, ma poi è diventata il secondo referente dei problemi del Piemonte. Questo è un problema di capacità delle forze di maggioranza.
Il lavoro di approfondimento, delle tematiche e delle problematiche del Piemonte è stato fatto dalla Giunta regionale ed è stato discusso da questo Consiglio, dopodiché la proposta politica, e quindi la strategia politica attiene ad un'altra istituzione, che non è questo Consiglio. Nel campo i sanitario siamo esattamente allo stesso punto; perché tutta la materia che attiene all'USL 1-23 è arrivata come categoria ultima. Si è detto: "discutete pure sull'infermeria di Dogliani se deve avere 20 o 25 letti l'importante è che non mettiate in discussione il monopolio di Torino con i 4 mila letti delle Molinette". Questa è la sconfitta politica del piano! Non la faccio una sconfitta del partito socialista, che è l'anima del piano nei confronti del PCI, ma la faccio una sconfitta istituzionale.
Probabilmente le resistenze di Torino includono anche ceti sociali e di pensiero più vicini a noi che alla maggioranza, ma, viste sul piano storico, sono un'ennesima dimostrazione dell'incapacità della classe di governo di ricondurre a omogeneità il terreno piemontese e di avviare quel famoso processo di riequilibrio a cui ci si riferisce.
Questo fallimento troverà le conseguenze in tutte le problematiche di settore. A quel punto diventerà pericoloso quanto è avvenuto in Commissione dove la maggioranza, o per meglio dire il PCI, era rappresentata dal Consigliere Revelli, il quale riferiva ciò che pensava la Giunta delle proposte della DC.
Abbiamo la netta impressione che il PCI abbia voluto fare di questo piano sanitario l'ultima spiaggia di una alleanza. Nessuno di noi aspettava la maggioranza al guado, nessuno di noi ha prevaricato in Commissione, il Presidente ci ha impedito di farlo, ma il Presidente rappresenta l'istituzione.
Non pensiamo che questo piano sia la linea, al di là della quale tutto è facile e al di qua tutto è difficile per la maggioranza. Questa maggioranza, evidentemente, trova i suoi limiti, se li ha, in problematiche che vanno al di là del piano. Troverà una maggiore ricomposizione, come noi auspichiamo, perché una minoranza ha il diritto di avere una maggioranza omogenea, qualificata, finalizzata, mirata ad obiettivi precisi sui quali l'opposizione si possa misurare.
Ho apprezzato la disponibilità del Presidente della Giunta a portare il piano in aula entro il mese di dicembre. Ho apprezzato anche la sua disponibilità a lasciare lievitare questo pane, questa realtà.
A noi sembra che la maggioranza non abbia valutato le nostre osservazioni. Ne prendiamo atto. Abbiamo presentato numerosi emendamenti garantiamo stringatezza di comportamento e disponibilità verso la Giunta sia quando la valutazione sarà positiva,sia quando sarà negativa. Di fronte a questa specie di linea Maginot pensavamo che il giorno che fossimo arrivati qui per sfondarla, cioè oggi, tutte le truppe si sarebbero allineate, coperte con i mortai, con carri armati, con le fanterie e gli ospedali da campo. Invece, che cosa abbiamo visto? Il vuoto assoluto, la sussistenza della maggioranza. In guerra succede che la prima linea è sempre la prima a scappare lasciando i prigionieri, che sono gli addetti, a contare le coperte nei magazzini. Questa mattina si è avuta questa impressione: si è tirata la linea Maginot, l'opposizione è arrivata schierata con argomenti, fucilerie, grossi calibri di emendamenti, e a difendere la Maginot sono rimasti soltanto alcuni ammirevoli, seri e apprezzabili addetti alle salmerie, mentre lo stato maggiore si era defilato elegantemente!



PRESIDENTE

I lavori del Consiglio finiscono per ora con questo intervento, saranno ripresi alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13.00)



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