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Dettaglio seduta n.90 del 19/11/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Punto primo all'ordine del giorno: "Approvazione verbali precedenti sedute".
I processi verbali delle adunanze consiliari del 12 novembre '81 sono stati distribuiti ai Consiglieri prima dell'inizio della seduta odierna. Se non vi sono osservazioni i processi verbali si intendono approvati.


Argomento: Università

Interpellanza dei Consiglieri Bergoglio e Villa inerente la nomina del Commissario per le opere universitarie


PRESIDENTE

Passiamo al punto secondo all'ordine del giorno: "Interrogazioni e interpellanze". Esaminiamo l'interpellanza dei Consiglieri Bergoglio e Villa inerente la nomina del Commissario per le opere universitarie.
Risponde l'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore all'istruzione

Alcune settimane or sono in merito a questa interpellanza ho fornito ai Consiglieri interpellanti un promemoria.
Il carattere ufficiale della risposta al Consiglio mi impone di riprendere i temi di quel promemoria aggiungendo alcune considerazioni che sono maturate sulla base della situazione degli ultimi 20 giorni.
I provvedimenti che la Giunta ha adottato o proposto al Consiglio regionale tendono a fornire - in tempi compatibili con le esigenze effettive dei servizi erogati dalle ex Opere universitarie - una risposta a problemi reali, che, sollevati dai lavoratori operanti in quel settore hanno condotto ad agitazioni e sospensioni dal lavoro.
Tale stato di agitazione discende più direttamente dalla mancata adozione, da parte dei Consigli di amministrazione, di quei provvedimenti di inquadramento cui i Consigli stessi erano impegnati e che indubbiamente, sono resi problematici dalla mancata approvazione dei decreti governativi attuativi del disposto della Legge 312 (stato giuridico del personale dello Stato).
Questo motiva la difformità del comportamento formale dei due Consigli di amministrazione.
Alle ragionevoli richieste delle organizzazioni sindacali, d'altra parte, fanno riscontro atteggiamenti univoci dell'utenza che, recentemente ha rappresentato - con un documento approvato in un'assemblea degli studenti del 15/10/1981 - "di non riconoscere l'Opera universitaria come interlocutore politico".
Peraltro i Consigli di amministrazione e le persone che in essi sono più attive si sono mossi e prodigati per garantire la continuità dei servizi e di quel complesso di attività e di indirizzo a cui erano tenute.
Sulla base di un accordo intervenuto con le Organizzazioni sindacali accordo cui si è pervenuti di concerto con la stessa Civica Amministrazione, destinataria della delega amministrativa in materia, si sono delineate soluzioni transitorie finalizzate ai seguenti obiettivi: applicazione in tempi rapidi della Legge 312 realizzazione delle condizioni per il corretto ed effettivo esercizio della delega da parte della Civica Amministrazione definizione della consistenza patrimoniale delle ex Opere universitarie.
Com'è noto, il provvedimento di scioglimento dei Consigli di amministrazione - non nell'intento di esautorarli, ma a fronte della loro persistente inattività - era stato proposto all'interno di una più articolata deliberazione consiliare, che, approvata dalla Giunta regionale nell'adunanza del 6/10/1981, non è stata ancora discussa in Consiglio.
Tale proposta assume particolare rilevanza, non tanto per il provvedimento amministrativo di scioglimento, quanto per recare linee di indirizzo, indispensabili per assicurare allo svolgimento dell'attività delegata parametri di riferimento, che - come è proprio dei meccanismi di delega - devono essere formulati dall'Ente delegante.
Non essendo divenuta operativa tale proposta, è risultato necessario integrare (nella seduta della Giunta regionale del 27/10/1981) la deliberazione di commissariamento con l'atto, presupposto, di scioglimento che, in tal modo, diviene autonomo rispetto all'adozione delle linee di indirizzo.
Per quanto concerne il merito, la scelta esplicitamente concordata con le organizzazioni sindacali, su sollecitazione in tal senso delle stesse di un funzionario regionale, quale Commissario delle ex Opere, intende significare - e tradurre in termini operativi il permanere di un diretto coinvolgimento della Regione nella transitoria gestione delle ex Opere stesse.
Anche questa forma di "controllo sostitutivo" rientra - seppure in termini patologici - nei meccanismi propri della delega amministrativa d'altra parte, l'accentuato contenimento del periodo di commissariamento è sintomatico dell'intenzione di perseguire e di attivare in ordine alla delega stessa, i meccanismi ordinari.
A seguito di una discussione in Commissione la Giunta ha prospettato la disponibilità a non considerare l'atto amministrativo e ultimativo di delega come un meccanismo inarrestabile burocratico, ma a subordinare a una necessaria discussione politica l'adempimento amministrativo che dovrebbe concludere, ai sensi della vigente legislazione regionale, il trapasso al Comune delle competenze.
Come è risultata prassi costante della Regione Piemonte, infatti, alle deleghe ed alla relativa attribuzione di compiti è corretto pervenire previo adeguato riordino della materia delegata, condizione essenziale sotto il profilo politico, ma anche sotto quello giuridico-amministrativo come prescritto dalla lettera e dallo spirito dell'art. 67 dello Statuto della Regione perché alle deleghe si dia corso.
Per quanto concerne i Consigli di Amministrazione, i provvedimenti di cui trattasi non possono, né intendono, risultare censori o punitivi.
In primo luogo, in quanto ;la data di scioglimento e di commissariamento coincide con quella in cui avrebbe cominciato ad essere operante la delega: i Consigli di amministrazione sarebbero, così comunque, decaduti.
Quella data - giova ricordare - è di chiusura del bilancio amministrativo delle Opere universitarie che, collegato alle cadenze dell'anno accademico, risulta essere di alcuni mesi in anticipo rispetto ai bilanci della civica Amministrazione della Regione Piemonte.
In secondo luogo perché i già citati ritardi governativi e, più in generale, la complessità dei provvedimenti sottesi all'intera vicenda di riordino e delega (inventari, nuovo inquadramento del personale, indirizzi per la gestione, ecc.) hanno posto i Consigli stessi di fronte a problemi di peso e di rilevanza tali, da risultare incompatibili con le prerogative proprie di meri organismi di gestione.
La Regione, pertanto, nel riassumere - transitoriamente - la titolarità della gestione della materia, opera in piena responsabilità, responsabilità che la Giunta assume collegialmente nei confronti del Consiglio direttamente coinvolto, naturalmente, per quanto concerne gli indirizzi nei confronti dell'utenza ed, altresì, a fronte dei problemi reali posti in termini evidentemente differenziati, dalla Città di Torino e dal personale delle ex Opere.
Oggi mi risulta che ci sono alcuni fatti nuovi. Il primo, che saluto con estrema positività, è l'annunciata approvazione, che spero sia compatibile con l'organizzazione dei lavori del Consiglio, della costituzione: della Commissione con la presenza del mondo universitario e degli studenti. Oggi questo atto di nomina rende la Regione più capace ed incisiva nell'intervenire sulla materia.
Il secondo fatto è una mia dichiarazione, a seguito di voci non documentabili ma troppo insistenti. La Regione Piemonte ha una opinione sulla soluzione organizzativa al complesso delle Opere. Tale soluzione prevede esplicitamente una fase adeguata di unificazione e integrazione all'interno delle Opere. La Regione Piemonte non ritiene e si riserva di esprimerlo con gli atti di indirizzo e con le potestà che le sono proprie essendo la materia trasferita, prioritario un accorpamento delle diverse competenze con le suddivisioni amministrative interne del Municipio di Torino.
La Giunta sta operando, attraverso l'attività ordinaria del suo servizio o del commissario, per concludere con le organizzazioni dei lavoratori, un accordo che contenga la soluzione delle necessarie condizioni normative e la certezza per l'immediato futuro e per una prospettiva ragionevole delle condizioni di lavoro e dell'ambito in cui queste si troveranno ad essere inserite.
La costituzione della Commissione prevista dalla legge permetterà al Consiglio di avere più facilmente tutte le informazioni e alla Giunta di intervenire in modo migliore.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

Ha la parola il Consigliere Bergoglio.



BERGOGLIO Emilia

La risposta dell'Assessore Ferrero si attiene al contenuto della nostra interpellanza anche se nel frattempo si è avviata in sede di Commissione la discussione della deliberazione che, tra l'altro, contiene gli indirizzi e i criteri in relazione all'attività delle ex Opere universitarie. Su questa parte ci riserviamo di intervenire quando discuteremo specificamente nel merito.
Per quanto attiene invece all'oggetto dell'interpellanza abbiamo già avuto modo in Commissione di accennare alle preoccupazioni che il provvedimento di commissariamento delle Opere ha sollevato il passaggio dalla gestione autonoma al Comune di Torino, per effetto della delega prevista dalla legge 84/80: è in realtà più macchinoso e più difficile di quanto, forse troppo ottimisticamente, la Giunta aveva previsto nella fase di approvazione della legge di delega. Noi avevamo ipotizzato tempi più lunghi del previsto per attuare quello smembramento della unità organica dei servizi svolti dalle Opere nelle varie ripartizioni e nei vari settori dell'attività amministrativa e burocratica.
Questa difficoltà l'ho colta anche nella risposta dell'Assessore perch in realtà è uno dei punti che rendono difficile il passaggio.
Anche il problema del personale concorre a non rendere le cose facili.
Questo problema può essere affrontato sia dal Consiglio di amministrazione (anche se è stato sciolto, ma noi su questo provvedimento non esprimiamo parere favorevole) sia da parte degli Uffici regionali che hanno assunto le funzioni, sia nella persona del Commissario o dei suoi eventuali collaboratori.
Il problema del personale è preesistente rispetto alla delega. Esiste una normativa di inquadramento non attuata sulla base della quale il personale dovrebbe essere inquadrato nei ruoli della Regione o del Comune.
I parametri sono equivalenti,anche se dal punto di vista giuridico pu essere di maggiore interesse essere dipendente della Regione che non di un comune,proprio per la dimensione non soltanto comunale dei problemi di cui trattiamo.
La questione del personale è uno dei punti sul quale questa fase di gestione ha segnato di più il passo. Non mi sentirei di dare per buoni e per scontati i documenti ufficiali delle organizzazioni sindacali interne perché l'Assessore Ferrero ben sa che non tutto il personale condivide la posizione ufficiale del sindacato e sa anche che non risulta esserci stata un'assemblea dei lavoratori delle Opere che abbia approvato il documento poi sottoposto all'attenzione dell'Assessore stesso. Sarebbe opportuna una verifica con tutto il personale interessato.
Le posizioni degli studenti sono divergenti. C'è un documento firmato dai cattolici popolari e dagli studenti delle liste laiche riformiste repubblicani, liberali, ecc., che hanno presentato un documento congiunto nel quale puntualizzano alcune posizioni rispetto alla fase di gestione commissariale.
Occorre garantire la presenza di queste componenti e delle componenti universitarie che al momento del provvedimento di commissariamento sono completamente escluse dalla gestione o anche solo dall'informazione rispetto all'attività che viene svolta. Noi oggi andremo finalmente alla votazione della Commissione per l'attuazione del diritto allo studio.
Questo è un fatto positivo anche perché coinvolge direttamente, sia pure con un ruolo consultivo chi di questi servizi è il principale destinatario.
Al di là dei singoli aspetti: non smembramento dei servizi nell'ambito dell'attuazione della delega, soluzione del problema personale, rapporto con le componenti universitarie, il problema richiede una fase transitoria di gestione regionale. Ritorniamo alla nostra proposta di un anno fa nella quale suggerivamo, prima di parlare di trasferimento e di deleghe, un recupero gestionale transitorio in attesa di una legge organica che tenga anche conto delle esperienze che emergono in sede nazionale e dalle altre Regioni. La situazione che si è venuta delineando in questo anno ha confermato la correttezza e l'opportunità della nostra posizione. In allora richiedevano una legge organica più rispondente alle esigenze, oggi chiediamo una revisione della legge che la maggioranza ha voluto approvare nel 1980 perché a noi sembra che sull'attuazione di quella legge ci siano oltre che difficoltà di tipo politico anche difficoltà di tipo pratico di grosso peso.
Riteniamo che la fase attuale debba essere svolta sotto il controllo della Regione, senza andare allo scioglimento del Consiglio di amministrazione per andare, in tempi brevi, alla verifica della legge 84/80, nella quale si possano eventualmente esaminare possibilità alternative, anche perché nel frattempo sono state approvate o sono in fase di approvazione leggi di altre Regioni italiane sull'attuazione del diritto allo studio che, nella quasi totalità, prevedono l'istituzione di un ente apposito. La soluzione dell'Ente apposito non ci entusiasma. L'Assessore Ferrero in sede di Commissione ha accennato alla necessità di una discussione generale. Su questo tema esiste una situazione diversa da quella per altre materie per le quali è prevista la delega, come il trasferimento ai Comuni, delle operazioni di polizia urbana, il trasferimento della classificazione alberghiera o di altri provvedimenti amministrativi e gestionali. Non sono questi né il momento né la sede per affrontare nel dettaglio la questione. Tuttavia su queste linee, se c'è l'accordo delle forze politiche, occorre fare un lavoro utile e proficuo per non dire tra un anno che avevamo visto giusto. Chi ha ragione un'ora prima degli altri si sente dar torto per un'ora.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore all'istruzione

Preciso che, a nome della Giunta, ho firmato un accordo con il sindacato che definisce i termini, le modalità e le procedure attraverso le quali arrivare ad un accordo, Non sono né d'accordo né contrario ad altre proposte di inquadramento. Questa è la materia di trattativa. Non vorrei solo aver dato l'impressione nella mia risposta che l'approvazione da parte della Giunta di un accordo congiunto con il sindacato modifichi nel merito le posizioni alle quali il Consigliere Bergoglio si riferiva in merito all'effettivo inquadramento dei lavoratori.


Argomento: Personale del servizio sanitario

Interpellanza del Consigliere Viglione inerente i concorsi all'ospedale di Santa Croce di Moncalieri


PRESIDENTE

Esaminiamo l'interpellanza del Consigliere Viglione inerente i concorsi all'ospedale di Santa Croce di Moncalieri.
Risponde l'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

Allo stato attuale, il concorso di primario di ostetricia e ginecologia dell'ospedale Santa Croce di Moncalieri sta seguendo il normale iter di espletamento, tant'è vero che la Giunta regionale ha adottato il 1 settembre scorso la deliberazione relativa alla nomina della Commissione di sorteggio del concorso su indicato ed in data 28/9 l'Assessorato regionale alla sanità ha inviato all'Unità Sanitaria Locale comunicazione del provvedimento adottato dalla Giunta e vistato dagli organi di controllo. Va d'altra parte fatto presente che la procedura di espletamento del concorso stesso, bandito dal Consiglio di amministrazione dell'ospedale Santa Croce di Moncalieri, in data 28/4/1979, ha subito notevoli rallentamenti in quanto un dipendente dell'ospedale stesso riteneva di aver diritto di beneficiare del concorso riservato, previsto dall'art. 24/ter della legge 33/1980; infatti lo stesso ha presentato in data 19/3/1981 ricorso al T.A.R. contro la decisione del Coreco di annullamento della deliberazione del Consiglio di amministrazione dell'ospedale Santa Croce di Moncalieri giudizio che è tuttora pendente. Si ritiene opportuno far rilevare che questo Assessorato si è attivamente adoperato con richieste di chiarimento e telegrammi al fine di sbloccare la procedura in oggetto. Si assicura nel contempo che, come per il passato, sarà prestata particolare attenzione per il proseguimento di questa e di altre procedure. Ciò ovviamente vale per tutti i concorsi anche in relazione all'impegno assunto a suo tempo dal sottoscritto a seguito della discussione svoltasi su altro argomento, ma analogo, in Consiglio da parte di un altro Consigliere con relativa interrogazione.
Su tutti i concorsi sovrastano però - è bene ricordarlo - gli effetti del decreto 538 che blocca non solo le assunzioni, ma anche il turn over delle strutture sanitarie. Il decreto è ora all'esame del Parlamento; tra due o tre giorni scadono i 60 giorni previsti e, anche alla luce dei colloqui intercorsi tra Regioni e Ministero della sanità, credo siano sorte condizioni nuove per un'organizzazione nuova di tutta la materia, con l'eliminazione del blocco indiscriminato. Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Devo rilevare che l'Assessore si era impegnato a presentare un quadro dei concorsi o dei posti messi a concorso nel campo ospedaliero sin dal 1980.
Ho colto il caso dell'Ospedale di Moncalieri, però potrei cogliere tanti altri casi di posti messi a concorso per i quali il concorso non viene effettuato.
Siamo decisi ad andare fino ih fondo. La legislazione contempla l'abuso di potere e l'omissione di atti di ufficio. In Piemonte sono decine le Commissioni che non possono riunirsi e i concorsi non vengono effettuati.
La responsabilità è di tutti, nostra, mia, dell'Assessore, dei membri delle USL e degli ospedali. O si assumono decisioni coraggiose oppure il nostro Gruppo assumerà decisioni particolari e ogni volta che non si svolgerà un concorso lo segnalerà al Magistrato per abuso di potere o omissione di atti d'ufficio. Ci dicono in continuazione che i concorsi vengono rinviati perché il primario o il cattedratico o chissà chi non è presente; pertanto dato il momento così drammatico per l'occupazione noi non vogliamo in alcun modo avere responsabilità a questo riguardo, sollecitiamo l'Assessore in questo senso. Se dovessero continuare queste vicende vorremmo da lui quel quadro generale dei posti vacanti, parastatali e sanitari. Pertanto la vicenda è tuttora aperta e in quella direzione ci andremo a collocare.



PRESIDENTE

La parola ,all'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

Devo informare che il citato concorso per l'ospedale Santa Croce di Moncalieri sta seguendo il suo iter, nel senso che sono stati colmati i vuoti che erano prima esistenti. Avevo anche informato che un dipendente dell'ospedale Santa Croce aveva inoltrato ricorso al T.A.R. e che nonostante il giudizio sia ancora pendente, il concorso è stato rimesso in cammino.
I colleghi avranno rilevato dagli ordini del giorno della Giunta che tutte le settimane hanno corso atti relativi a concorsi, proprio in virtù di quell'azione di stimolo e di controllo che è venuta a seguito del dibattito svoltosi mesi fa in Consiglio regionale. Sono tuttavia disponibile a presentare il quadro completo richiesto.
Nella mia precedente esposizione ho rilevato come la conclusione dei concorsi non voglia assolutamente dire assunzione del personale; infatti il richiamato decreto 538, i cui 60 giorni per la conversione scadono in questi giorni, blocca le assunzioni ed anche il turn over. Le considerazioni che il collega Viglione faceva in relazione ai bisogni di personale nelle nostre strutture, allo stato attuale, non potrebbero essere soddisfatti per il blocco di quel decreto.
Ciò non vuol dire che non si possano perfezionare tutti gli atti in modo che nel momento in cui viene superato il blocco indiscriminato determinato dal decreto 538 si possa procedere immediatamente all'assunzione del personale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Il problema era stato sollevato dal Gruppo socialista prima dell'emanazione del decreto 538.
Si spera nella sanatoria, questo è l'eterno Paese che spera nella sanatoria. Chi ha un posto viene sanato e viene collocato in quel posto.
Allora, lo si dica con franchezza: "non facciamo i concorsi perché siamo in un benedetto Paese in cui, quando uno si siede su una sedia, arriverà sempre un Ministro Altissimo a non rimuoverlo più". Quando abbiamo sollevato il problema, Altissimo non era ancora Ministro e potevamo dar corso a quei concorsi che avrebbero assegnato in punti chiave della sanità il personale medico valido.
D'altronde, l'ipotesi Altissimo non esclude tutte le situazioni, ci sono casi in cui è stata nominata la Commissione, si sono perfezionati gli atti, sono state eseguite le prove, quindi un certo iter poteva essere mandato avanti.
L'ipotesi di allungare i concorsi per sanare tutto quanto, non è un'ipotesi, da prendere a cuor leggero.
Non ci è stato fornito il quadro di riferimento dei concorsi, quindi non possiamo giudicare. Vorremmo dall'Assessore un termine entro il quale ci fornirà il, quadro dei concorsi. Le USL possono darlo nel giro di una settimana e questo avrebbe potuto essere fatto sin dal momento in cui avevamo presentato l'interpellanza. Leggiamo i bollettini, ma non sappiamo se i concorsi sono stati espletati e quali rientrano nell'ipotesi Altissimo. Quindi ci limitiamo a dire che rispetto a questa situazione siamo profondamente insoddisfatti.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

Debbo assicurare il collega Viglione che tutte le Regioni hanno espresso al Ministro Altissimo il loro dissenso di fronte all'ipotesi di sanatoria a tutti i livelli.


Argomento: Organi, strumenti e procedure della programmazione

Interpellanza dei Consiglieri Picco, Bergoglio, Brizio, Carletto e Chiabrando inerente l'elaborazione del secondo Piano di sviluppo regionale


PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picco per l'illustrazione dell'interpellanza dei Consiglieri Picco, Bergoglio, Brizio, Carletto e Chiabrando inerente l'elaborazione del secondo Piano di sviluppo regionale.



PICCO Giovanni

Avrei piacere che l'Assessore dia una risposta ai quesiti che abbiamo evidenziato nell'interpellanza. Antepongo brevemente alcune considerazioni perché dalle definizioni date dall'interpellanza stessa potrebbe apparire sui ritardi con i quali viene denunciata la presentazione del secondo Piano di sviluppo, una motivazione un po' generica.
Partendo dalle considerazioni generali che discendono dalla denuncia dei ritardi, chiediamo alla Giunta regionale come intenda collocarsi in ordine ad alcuni problemi nodali del secondo Piano di sviluppo che in particolare interessano l'area metropolitana di Torino.
Al punto secondo chiediamo come intenda la Regione, in ordine a precise competenze istituzionali soprattutto per quanto concerne l'equilibrio territoriale, promuovere un confronto delle possibili scelte che si vanno delineando.
Non crediamo che questo sia un aspetto secondario in assenza della redazione di strumento di schema di piano territoriale e in presenza di una dialettica tra le forze politiche che si caratterizza in posizioni differenti sui temi dei trasporti, dell'assetto territoriale, delle infrastrutture pubbliche soprattutto dell'area ovest, le stesse forze di maggioranza.
Al punto terzo chiediamo come si intenda affrontare la drammatica carenza, di nuove abitazioni rispetto alle linee di indirizzo sul piano territoriale dell'area metropolitana torinese, in presenza di normative (vedi Comune di Torino) assurdamente limitative rispetto alle necessità impellenti rispetto ai drammatici problemi che caratterizzano la richiesta di abitazioni.
Al punto quarto chiediamo come si intenda collocare la Giunta regionale in sede di approvazione dello strumento esecutivo, o piano particolareggiato, di Collegno che riguarda il centro direzionale Fiat e direzionalità pubblica. Anche in questo caso con la rivendicazione di un ruolo della Regione che non sia di mero passacarte o di mero notarilismo nel senso di avallare decisioni genericamente prese a dimensione politica ma entrando nel merito delle destinazioni di uso quindi imponendo di fatto una scelta che sia coerente con l'indirizzo della programmazione regionale.
Mi scusi l'Assessore se ho voluto fare queste precisazioni perché a noi interessa soprattutto il discorso relativo ai contenuti della programmazione e delle scelte sull'area metropolitana di Torino.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Simonelli.



SIMONELLI Claudio, Assessore all'urbanistica

Ai diversi problemi che l'interpellanza solleva devo premettere come informazione al Consiglio che in seno al Comprensorio di Torino è finalmente maturata una volontà politica e decisioni operative in ordine alla redazione dello schema del piano comprensoriale.
Il giorno 8 ottobre è stato votato all'unanimità un ordine del giorno che impegna il Comprensorio di Torino a consegnare lo schema di piano socio economico territoriale entro il mese di febbraio 1982 e lo impegna alla presentazione di un prearticolato di schema entro il mese di novembre 1981.
Gli organismi politici, che raggruppano i rappresentanti di tutte le forze politiche presenti nel Comprensorio, e una Commissione tecnica sono al lavoro. Entro il mese di dicembre potremo disporre del prearticolato dello schema socioeconomico e territoriale di Torino.
Ricordiamo che lo schema del piano socio-economico e territoriale di Torino non fu approvato nella precedente legislatura con gli altri non perché non fosse pronto, ma perché erano sorte alcune questioni. Si tratterà di definire i punti sui quali c'era dissenso e le opzioni del Comprensorio e su questa base andare al confronto.
Questo discorso vale relativamente ai temi del Comprensorio di Torino e in modo particolare ai temi gravi, che sono richiamati nell'interpellanza che riguardano soprattutto il ruolo e la funzione dell'area metropolitana torinese in rapporto con l'industria e il terziario.
La qualificazione e l'evoluzione tecnologica del settore industriale lo sviluppo del terziario superiore, collegato con il ruolo e le funzioni urbane e metropolitane del polo torinese, il ruolo dell'area metropolitana anche come ruolo di governo rispetto ai processi che si determinano nel suo contesto e rispetto alla riforma della legge nazionale in tema di autonomia e di enti locali, sono tre punti che entreranno come elementi precisi di confronto anche nel Piano regionale di sviluppo, non dico prescindendo dal problema del Comprensorio, ma come emergenza regionale dei problemi di Torino. C'è poi il problema della casa che non è limitato a Torino.
Per gli aspetti più propriamente territoriali, che riguardano Collegno ma non solo Collegno, è opportuno che nella formazione dello schema territoriale del Comprensorio si tenga conto della strumentazione urbanistica esistente.
Esistono strumenti urbanistici, approvati sulla base della legge 56 dei quali il piano territoriale deve tener conto, anche se evidentemente grandi opzioni innovative potrebbero suggerire di modificare gli strumenti urbanistici esistenti. Il processo tra piano territoriale e piani urbanistici dei Comuni è un processo in due direzioni. Il rapporto tra piano territoriale e i piani regolatori è un rapporto in due sensi di informazione e di vincoli reciproci.
Per quanto riguarda Collegno, la Giunta ritiene di dover svolgere un ruolo attivo. Abbiamo appreso dalla lettura dei giornali i programmi innovativi che la Fiat propone. Abbiamo avuto nei giorni scorsi un incontro in cui ci è stato sommariamente illustrato il problema ed altri incontri ci saranno per saperne di più. In questi tempi, avendo priorità assoluta su qualunque altro progetto nel processo industriale gli investimenti per l'innovazione tecnologica può anche avere senso che la Fiat decida di destinare le sue risorse sul settore produttivo piuttosto che sulla rilocalizzazione dei servizi. E' una ragionevole ipotesi, tutta da discutere. Gli stessi strumenti urbanistici attuativi, in questo momento all'esame della Regione, tengono solo parzialmente conto delle novità che sono state illustrate.
Nel momento in cui emergesse, ed emergerà, una sostanziale novità di orientamenti la Giunta non ha difficoltà ad avviare un confronto in Consiglio o in Commissione.
In altri termini, il discorso complessivo delle funzioni dell'area metropolitana torinese, del terziario da insediare, della direzione ovest della direzione nord, della direzione sud, saranno oggetto di un unico confronto quando discuteremo il Piano regionale di sviluppo lo schema socio economico e territoriale di Collegno avranno invece un loro rilievo che, o per i tempi anticipati o per le dimensioni dei problemi, merita di essere visto a parte: non c'è nessuna difficoltà a farne oggetto di un confronto in Commissione o in Consiglio.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola all'interpellante Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Ancora una volta ci ritroviamo a discutere riduttivamente rispetto all'importanza di questi temi in argomenti di grande rilievo sui quali, al di là delle assicurazioni che ci sono state date dall'Assessore, non possiamo non manifestare tutta la nostra insoddisfazione. Anche perché una interpellanza di questo tipo probabilmente avrebbe dovuto comportare una formulazione di risposte non soltanto ai problemi relativi alla programmazione della gestione urbanistica, ma anche alla pianificazione territoriale.
Venendo al merito della risposta sottolineiamo una parziale soddisfazione dovuta all'assicurazione che nel mese di dicembre vi sarà la possibilità di confronto sul documento del Comprensorio di Torino, quindi credo che vi sarà la possibilità, nell'ambito della II Commissione, di un confronto a fondo su questo documento.
Confronto a fondo che noi chiederemmo di associare alla verifica di due grossi avvenimenti che sono in atto nell'area metropolitana torinese: la variante al piano regolatore di Collegno ed il piano particolareggiato del Comune di Collegno con riferimento alla direzionalità Fiat e alla direzionalità pubblica e la variante al piano regolatore di Rivoli per l'insediamento di un complesso di 15 mila abitanti nell'area ovest.
Non sto a ricamare su questa richiesta. Ricordo solo che siamo in presenza di un ruolo della Regione che è sostanzialmente succube di una serie di decisioni che vengono prese o a livello di accordi politici ed amministrativi, quale l'accordo Fiat, oppure a livello di decisioni che prendono i Comuni, sui quali la Regione, come livello istituzionale, non riesce a dire nulla di più che a registrare i fatti che avvengono al suo esterno. Comunque sia, anche l'assenso ad una operazione o ad un accordo a livello politico-amministrativo dato a nome dell'istituzione non può vedere totalmente estraneo né il Consiglio né le forze politiche. L'informazione sulle opportunità o sulle motivazioni che giustificano certi atteggiamenti dovrebbe essere portata nelle sedi opportune, salvo poi assumersi l'esecutivo le responsabilità che gli competono per quanto attiene alla sigla in sede opportuna dei relativi accordi.
Devo ricordare ancora una volta come il trasporto pubblico nell'area metropolitana, l'episodio dei 15 mila abitanti nell'area ovest, il problema del terziario pubblico nel Comprensorio di Collegno, siano logiche del tutto estranee al controllo di programmazione, o di indirizzo della Regione.
Il discorso non si chiude assolutamente qui. Se non ci sarà data occasione prima di Natale, promuoveremo altre iniziative in Consiglio ed in Commissione per evidenziare questa insoddisfazione e questa logica che fa avanzare settorialmente tutti i progetti anteponendoli alle scelte della Regione. Anche l'affermazione fatta dall'Assessore, che cioè pare che la programmazione operativa di alcuni interventi vada avanti rispetto alle previsioni dei piani regolatori non è vera, perché né il piano di Collegno né il piano di Rivoli hanno recepito queste scelte. Queste scelte sono pendenti in sede di approvazione delle variazioni che le dovrebbero giustificare come strumenti urbanistici. La Regione si trova di fatto nelle condizioni di dover approvare le variazioni degli strumenti urbanistici sapendo bene che da un lato vi sono progetti in stato avanzato di elaborazione e di definizione (addirittura vi è in sede regionale un'ipotesi di strumento legislativo a supporto delle iniziative dei quartieri integrati di edilizia popolare e di edilizia libera) e dall'altro lato vi è una convenzione e un accordo stilato a livello politico e amministrativo che ha già di fatto sancito nel dettaglio tutti i diritti e tutte le possibilità.
Se in questo spazio che rimane nella sede istituzionale opportuna dell'approvazione delle varianti ai due piani regolatori ed ai piani esecutivi, la Regione non colloca un suo ruolo, mi chiedo che cosa stia a fare la Regione e a che cosa serva la sua competenza istituzionale in materia urbanistica.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Mi riconosco pienamente nell'intervento del collega Picco. Devo per fare un'ulteriore precisazione in merito alle dichiarazioni dell'Assessore Simonelli.
Non vedo come sia possibile discutere entro dicembre il documento del piano socio-economico e territoriale del Comprensorio di Torino quando la maggioranza che opera a livello di piano territoriale di coordinamento sta costituendo una Commissione che deve rivedere l'impostazione che non ha trovato concordi le stesse forze di maggioranza. Il Presidente ha poi fissato il termine del mese di febbraio per l'approvazione dello schema di piano territoriale di coordinamento dell'area torinese. Questa discrasia di tempi e questo ritardo comportano notevoli difficoltà. Anche sotto questo aspetto c'è un'insoddisfazione parziale sulla risposta.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Simonelli.



SIMONELLI Claudio, Assessore all'urbanistica

Ho detto che il Comprensorio si è impegnato a presentarlo per febbraio però entro il mese di novembre viene presentato un documento preliminare sul quale potremo confrontarci. La Commissione, per quanto mi risulta, sta già lavorando.
Non dobbiamo aspettare lo schema finale per discutere di questi temi.
Mi pare un modo corretto e rispettoso dei diversi livelli più correnti.


Argomento:

Interpellanza dei Consiglieri Picco, Bergoglio, Brizio, Carletto e Chiabrando inerente l'elaborazione del secondo Piano di sviluppo regionale

Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

In merito al punto terzo all'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio", comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Bastianini, Carazzoni, Enrietti, Turbiglio e Valeri.


Argomento:

b) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

Rendo note le deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nella seduta del 10 novembre scorso, in attuazione dell'art. 7, primo comma della legge regionale 6 novembre 1978, n. 65: 29 - Deliberazione Giunta regionale n. 39/20450 del 10/4/1979, relativa alla convenzione con l'Università di Torino per la tutela della salute nei luoghi di lavoro: integrazione di spesa L. 3.743.900. (Cap. 10690/81 residui 1980).
BAJARDI Sante 30 - Affidamento al geom. Riccardo Ottino di un incarico per funzioni inerenti l'edilizia ospedaliera. L. 5.950.000. Cap. 10670. Bilancio 1981.
BAJARDI Sante 65 - Spese per il funzionamento primo semestre 1981, del Comitato tecnico regionale per il Piemonte della cassa per il credito alle imprese artigiane. Liquidazione competenze L. 1.824.110 (cap. 1900/1981).
MARCHESOTTI Domenico 88 - Attuazione linee programmatiche in materia di energia.
Individuazione e realizzazione di strumenti regionali per progetti nel settore delle tecnologie energetiche. Affidamento d'incarico di ricerca e studio al prof, dott. Piero Locatelli. Impegno di spesa L. 5.000.000(IVA inclusa) (Cap. 2250/1982).
SALERNO Gabriele 123 - Autorizzazione a resistere in giudizio avanti il C.d.S. ed affidamento incarico legale agli avvocati Andrea Comba ed Enrico Romaneli.
Appellante: Margiaria Giovanni avverso sentenza T.A.R. Piemonte n. 441/81.
Spesa lire 600.000 (Cap. 1080/81).
TESTA Gianluigi 124 - Rettifica della precedente D.G.R. n. 64/9361 del 30/7/1981 avente ad oggetto "Liquidazione onorari all'Avv. A. Comba a seguito di consulenza legale ed assistenza in giudizio avanti il T.A.R. Piemonte nella causa promossa dalla Soc. Eridania Zuccheri S.p.A." Maggiore spesa L. 296.000 (Cap. 12750/81).
TESTA Gianluigi 133 - Corso di specializzazione di secondo livello sulla contabilità meccanizzata per giovani del CFP regionale di Casale Monferrato. Pagamento di n. 1 docente tecnico esperto di informatica. Spesa di lire 1.437.500.
(Cap. 11490/81).
FERRERO Giovanni


Argomento: Commemorazioni

C) Commemorazione dell'agente della Digos, Eleno Viscardi


PRESIDENTE

Colleghi Consiglieri, un nuovo atto terroristico è avvenuto venerdì scorso alla stazione di Milano: l'assassinio dell'agente della Digos, Eleno Viscardi, un ragazzo di 25 anni.
Sento profondamente il rischio che corre questo nostro Consiglio regionale ogni volta che ci troviamo a ricordare la vittima dell'attività terroristica: questa nostra sentita partecipazione rischia di tramutarsi in un rito, in un'abitudine che, perdendo via via di importanza, denuncia in modo clamoroso tutta la nostra impotenza di fronte ai banditi criminali.
Eppure, egregi colleghi, sento il dovere di esprimere ancora una volta a nome di voi tutti, i sentimenti del Consiglio regionale ogni qualvolta la nostra democrazia, la nostra convivenza civile viene colpita e, in modo particolare, quando viene colpita attraverso la perdita di una vita umana.
Non credo sia indifferente sapere che per noi il delitto dei terroristi non potrà diventare un'abitudine, un fatto di cronaca da dimenticare rapidamente, per noi la lotta al terrorismo coincide con la possibilità stessa della democrazia di sopravvivere. Per questo sento il dovere, ancora una volta, di ringraziare e di rendere omaggio alle forze dell'ordine, alla Magistratura, che con grande coerenza si battono contro il terrorismo rischiando anche la propria vita, come dimostra l'ultimo assassinio di Milano.
Ma, anche in questo momento triste intendo sottolineare una parola di speranza: sul piano della lotta al terrorismo alcuni risultati sono stati raggiunti. Gli assassini dell'agente della Digos sono stati catturati, covi sono stati scoperti, i processi vengono ormai regolarmente celebrati. Siamo tutti coscienti che questi sono tutti fatti concreti per stroncare l'eversione terroristica, ma siamo altrettanto convinti che sia possibile accelerare ulteriormente la crisi del terrorismo soprattutto se si sapranno individuare quegli interventi legislativi capaci davvero di recuperare alla vita democratica quell'area che in questi anni aveva fiancheggiato i brigatisti e sapremo fornire ai giovani, che sono stati coinvolti marginalmente dalle attività terroristiche, una strada per uscirne.
Su questa strada forse si è già perso troppo tempo.
Le comunicazioni sono così terminate.


Argomento: Questioni internazionali

Esame ordine del giorno presentato dai Consiglieri Reburdo, Montefalchesi e Salvetti sulla fame nel mondo


PRESIDENTE

Passiamo al punto quarto all'ordine del giorno: "Esame ordine del giorno presentato dai Consiglieri Reburdo, Montefalchesi e Salvetti sulla fame nel mondo".
La parola al Consigliere Salvetti.



SALVETTI Giorgio

Signor Presidente, egregi colleghi, quando con i colleghi Reburdo e Montefalchesi fu stabilito, di presentare questo ordine del giorno, ebbi per quanto mi riguarda, molti dubbi e molte perplessità, perché su un tema come questo, specialmente come questo, spesse volte in giorni di situazioni economiche pesanti e difficili a chi in modo epidermico giudica una problematica di questo tipo, vede scarsa tensione e scarsa sensibilità effettuale. Ma poi ci ricordammo in quel momento forse quello che recentemente ebbe a dire Kejson quando disse che non ci si ricorda mai che il prezzo del frumento è il doppio di quello del petrolio. Su queste determinazioni pensammo fosse utile discuterne, in un Paese come il nostro che è certamente uno degli anelli più deboli del mondo industrializzato e in una Regione come questa che è andata a ritroso di 3 o 4 posti ultimamente rispetto alla numerazione scalare del quadro economico europeo.
Il tema della fame nel mondo, che di solito è agitato da minoranze e che non occupa molto spazio nella stampa quotidiana, è tornato prepotentemente alla ribalta in occasione anche di movimenti che nei Paesi e non soltanto in Italia, si sono andati determinando: le marce della pace le conferenze di varie associazioni. Le prime infatti hanno messo in luce lo sperpero di risorse in momenti difficili che potrebbero essere più vantaggiosamente convogliate verso obiettivi di sviluppo per i Paesi del Terzo e del Quarto mondo. Le seconde hanno chiarito che difficoltà ed ostacoli tuttora si oppongono all'avvio a soluzione del problema, sia perché permangono notevoli divergenze di analisi e di proposta, sia perch la situazione attuale è caratterizzata da un ulteriore indebolimento delle economie più arretrate. Infatti gli anni settanta con i ripetuti choc petroliferi hanno peggiorato in termini assoluti e relativi la condizione di centinaia di milioni di uomini alle prese con problemi di pura e semplice sopravvivenza, mentre il reddito individuale del Kuwait, che capeggia la graduatoria mondiale, saliva fino ad oltre 15.000 dollari annui, quello della Svizzera a quasi 13.000, quello della Danimarca a 10.580 e quello degli USA a quasi 9.800 (nel 1979), mentre il reddito individuale in Etiopia risultava di 110 dollari, di 160 dollari in Afghanistan, di 180 in India, di 120 nel Mali. E' facile comprendere, sulla base di queste poche e crude cifre, come la lotta per la semplice sopravvivenza sia dovuta diventare sempre più aspra e come una stagione climatica negativa possa pregiudicare le stesse possibilità di vita di milioni di persone.
Questo è avvenuto negli ultimi anni in seguito alle siccità che hanno colpito numerosi Paesi della cosiddetta "fascia equatoriale", dove i fenomeni di denutrizione e le malattie da sottoalimentazione hanno mietuto un numero imprecisato di vittime.
Ma la geografia della fame ha una estensione ben più ampia, poich ricomprende le zone dell'India, del Sud-est asiatico e dell'America latina.
Suonano quindi assurde e persino offensive le parole espresse, anche da autorevoli rappresentanti di Governi come il Governo americano, intorno alla magia del mercato, alle necessità di fare da sé e di rimettere ordine in casa propria per avviare un decollo (alquanto improbabile). In effetti è stata l'economia, non dico di mercato, ma di rapina, che ha deviato ed impoverito le economie dei Paesi ex coloniali, per cui non fanno testo i pochi esempi di Paesi come Taiwan e la Corea del Sud dove, a seguito di un'immissione "politica" .di capitali nordamericani, si è registrato un notevole sviluppo fondato su bassi salari e sulle esportazioni, secondo un modello che aveva funzionato anche in Italia nel secondo dopoguerra. Tutte le nazioni in cui investire è considerato spesse volte rischioso o dove non si deve seguire una barriera contro la rivoluzione restano ancora fuori da ogni reale opportunità di crescita, per quanto squilibrata e caotica essa possa essere. Né si può dimenticare che il disordine politico amministrativo è quasi sempre il risultato di decenni di colonizzazione durante i quali si sono trovati in piedi dei regimi fantoccio sicuri di promuovere la crescita di una classe dirigente indigena, autonoma e degna di questo nome.
Oggi si è soliti nelle tribune più diverse sottolineare gli interessi vitali e strategici dell'Occidente, che potrebbe perdere l'accesso a fonti cospicue ed a buon mercato di notevoli materie strategiche controllate da governi amici o da grandi società multinazionali. E' quanto è emerso durante i lavori della conferenza di Cancun quando si è richiesto ai sottosviluppati di fornire precise garanzie sulla disponibilità di profitti delle multinazionali e nella suddivisione dei loro investimenti. Non si tratta di rivendicazioni assurde poiché nessuno decide di investire se teme il peggio, questo è ovvio, ma suonano molto ambigue e pericolose per una serie di problemi, quali ad esempio, quelli del Terzo mondo. Il costante aumento dei prezzi delle derrate alimentari e del petrolio ha compresso pesantemente le occasioni di espansione per le economie più deboli, la cui domanda reale è in via di ulteriore contrazione. Nel contempo è ben noto che le grandi strutture finanziarie, europee e nordamericane rigurgitano di valute pregiate, in particolare di petrodollari che non trovano un conveniente collocamento. Ad esempio, sembra che la sola Arabia Saudita possa contare su una massa di 120 miliardi di dollari (140 mila miliardi di lire) depositati nelle banche degli Stati Uniti che si rivaluta rispetto alle valute deboli e frutta interessi reali molti cospicui.
Tutto questo, se fosse posto a disposizione dei Paesi più indigenti creerebbe i presupposti per una profonda trasformazione della loro base produttiva e favorirebbe la ripresa anche dell'occupazione in Paesi più ricchi, dove ormai l'esercito dei senza lavoro supera i 27 milioni di unità. E' di questi giorni la notizia che nell'ambito della CEE si sono superati i 10 milioni di disoccupati, che potrebbero diventare oltre 12 milioni alla fine dell'82, moltiplicando i già gravi problemi di ordine economico sociale ed umano che affliggono le masse di lavoratori. Non è un caso se tanti giovani hanno aderito in questi giorni a forme di movimento come le marce della pace scandendo slogans contro il riarmo e chiedendo un utilizzo delle risorse disponibili a sostegno di grandi masse di diseredati ed emarginati. Essi stessi, sia pure ad un altro livello ed in quanto in un terreno sociale diverso, molto più favorevole ovviamente, sperimentano sulla loro pelle la conseguenza di politiche inidonee a mobilitare efficacemente le risorse disponibili.
I grandi organismi internazionali e la stessa Banca mondiale, pur avendo piena consapevolezza (basta leggere alcune statistiche di dati offerte anche recentemente) di questo stato di cose e delle interconnessioni e interdipendenze che legano la fame nel Terzo e nel Quarto Mondo con lo scarso dinamismo delle economie più avanzate, non indicano soluzioni percorribili, anche perché subiscono pesanti condizionamenti di alcune scelte strategiche. Ebbene, i crediti ai Paesi più indigenti sono del tutto insufficienti, in quanto la loro erogazione è sottoposta alla richiesta di garanzie che questi il più delle volte non possono dare. Sarebbe pertanto necessario un notevole trasferimento di risorse a loro vantaggio, parte delle quali già disponibili, parte acquisibili, come sostengono i pacifisti, attraverso una riduzione di quelle destinate alla produzione di armi altamente sofisticate. Gli studi tecnici e finanziari per realizzare queste riallocazioni di risorse su scala mondiale non sarebbero di difficile attuazione purché si potesse contare su un'adeguata volontà politica decisionale. E' proprio questo il fattore più carente, in quanto i Paesi più ricchi non sono molto propensi a trasferire flussi di ricchezza verso il resto del mondo, non solo per ragioni di potere, ma per evitare che la propria quota di risorse tenda a ridursi significativamente. Questo atteggiamento improntato alla prudenza o, meglio, ad un miope egoismo non giova però a nessuno, poiché le tensioni che percorrono lo scenario mondiale vengono continuamente alimentate dal divario tra Paesi con risorse economiche più cospicue e Paesi privi, mentre si estende l'area della cosiddetta povertà assistita. Né valgono a nostro avviso in questa triste realtà le accuse rivolte al campo socialista e in primo luogo all'URSS che hanno in qualche modo determinato una svolta nel rafforzare i propri arsenali e la propria politica di potenza. Purtroppo l'esperienza storica mostra che le rivoluzioni disarmate sono cose non sempre impossibili e che è vano sperare in un'emancipazione economica dei più poveri, se essa non è al contempo un'emancipazione politica.
In ogni modo non è palleggiandosi le accuse e le denunce che si fanno passi avanti verso la soluzione del problema, oltre alla diffusione di una conoscenza sempre più completa dei termini in cui è necessario reperire e mobilitare mezzi di ogni genere, che bloccano le tendenze al degrado qui in atto, e potenziare gli interventi volti a modificare le strutture produttive dell'area del sottosviluppo. Essa comprende, a livelli continentali, i 2/3 dell'umanità a cui non ci si deve rivolgere né in termini paternalistici né in termini caritativi, ma piuttosto impostando seri e realistici programmi di evoluzione. Il sostegno di essi non pu diventare un alibi per orientamenti autarchici e neoprotezionistici, sulla base dei quali ogni punto di partenza, ogni Stato crea il proprio orticello e difende lo status quo, trascendendo quanto avviene attorno a lui.
Non è ovviamente a livello regionale che si danno indicazioni e si operano le scelte indispensabili per risolvere problemi di portata internazionale. E' tuttavia importante a nostro giudizio discuterli nelle loro giuste dimensioni, focalizzarli nei punti essenziali, evitando sia le fughe nell'utopia, sia le frettolose liquidazioni con quelle espressioni che si addicono al banale realismo. Perché tanti Paesi poveri sono disponibili alle risposte buone a tutti gli usi, offerte loro dai Paesi più dotati su un piatto d'argento? il problema è certo di intervento finanziario, di sostegno, ma il problema è essenzialmente politico, sociale e non tecnico. Uno storico francese osservava acutamente che la grande carestia francese e le penurie alimentari del Medioevo avvennero in periodi in cui non mancavano i generi alimentari, che venivano prodotti ed esportati in grande quantità. Responsabili della penuria erano in larga misura il sistema e la struttura sociale. Quando oggi parliamo di penuria di alimenti dobbiamo collocarla nel contesto politico dei Paesi che controllano tanta parte delle risorse alimentari mondiali e dei grandi gruppi che dominano il commercio alimentare. E non sono bastate certo quelle soluzioni additate dalla cosiddetta rivoluzione verde, che semmai ha consentito ancora di accrescere un divario più profondo tra i Paesi clic avevano la possibilità di dare una risposta in termini di tecnologia più avanzata. La maggior parte del mondo dipende per le sue importazioni alimentari da una serie di Paesi che tutti conosciamo, dagli USA al Canada ecc.
Orberto Hover fu il primo uomo politico moderno a considerare gli alimenti uno strumento per conseguire i propri scopi, spesso più efficace della politica delle cannoniere in quei tempi o dell'intervento militare o per giunta come strumento di sostegno degli stessi agricoltori per dividere fra loro le potenzialità.
Crediamo che se almeno 850 milioni di uomini vivono nelle condizioni di povertà assoluta, di alimentazione insufficiente o squilibrata, di abitazione al di sotto di un minimo decente senza accesso a servizi pubblici alimentari, di istruzione e di sanità nel mondo attuale la regola è dunque il sottosviluppo per circa 3/5 dell'umanità, un reddito medio di meno di 300 dollari, un dodicesimo di quello già scompensato italiano significa semplicemente la miseria e la fame, un'alta mortalità per parecchie decine di milioni di uomini all'anno e la condanna irreversibile di molti fra i sopravissuti a deficienze organiche, fisiche ed intellettuali nell'età adulta.
L'aiuto allo sviluppo, usata questa espressione di mezzi finanziari, od altri aiuti forniti ai Paesi sottosviluppati da Paesi esterni proviene oggi essenzialmente dai Paesi membri del DAC (Comitato di Assistenza allo sviluppo dell'OCSE), Kejson parlava di alcoolismo economico, questo disordine economico che oggi caratterizza la politica delle varie potenze e dei Paesi che in qualche modo si pongono in campo satellite. Le immagini si sono impossessate di noi, sono anche entrate nei nostri televisori, nelle nostre case, non abbiamo dimenticato quelle immagini di uomini e di donne scarne che raccoglievano un po' di fango, le stesse immagini in Somalia bambini dal ventre gonfio e dallo sguardo vuoto, lo sguardo vuoto anche di quelle madri che tengono nel fagotto di stracci il bambino morto. Quelle che scendevano dai battelli venuti dal Vietnam e quelle tra la folla, quel grottesco fantoccio che certa stampa quotidiana ha in quei giorni focalizzato nelle immagini da alcuni pezzi mal riuniti, disarticolati; quel bambino che veniva alla nostra osservazione come il bambino della Cambogia.
E ancora quei gozzuti, ve ne sono 200 milioni nel mondo, quei bambini ciechi, quei giovani che non vedranno mai la luce, perché non hanno mai avuto la vitamina A; quella mortalità infantile che sfiora, quando sfiora poco, il tetto del 15% . Oltre un miliardo di persone vivono nella miseria assoluta; 450 milioni sono almeno al di sotto della soglia critica. In 13 Paesi del Terzo Mondo la percentuale di quelli che mancano di calorie necessarie per la sopravvivenza è passata in questi ultimi tempi dall'8 al 12%. Non meno grave è la malnutrizione, pensate al contenuto di proteine quando l'uomo medio del Terzo Mondo e del Quarto Mondo consuma meno del 20 di latte e derivati di quanto consuma l'uomo dei Paesi industrializzati.
Si dice che la nostra responsabilità è modesta in confronto a quella degli americani. Gli Stati Uniti e Canadà controllano i 2/3 dell'esportazione di cereali. Sarebbe interessante vedere ciò che questo significa esattamente. Ma anche noi, a mio avviso, esercitiamo per quanto attiene ai Paesi della CEE, per esempio, un controllo su alcuni prodotti.
Siamo parte integrante nel controllo sui derivati del latte (50% del commercio mondiale), inoltre abbiamo una certa presenza e relative responsabilità nel Terzo Mondo. E' un fatto acquisito che le zone temperate del mondo, e l'Europa Occidentale è una di queste, continueranno per un tempo indeterminato, ma certamente molto lungo ad esercitare una responsabilità primaria nella sicurezza degli approvvigionamenti alimentari per certi prodotti che le zone tropicali, ad esempio, non sono in grado di produrre. Dobbiamo sviluppare l'aiuto alimentare nella fascia intermedia del nostro operare, il nostro aiuto non si può esprimere soltanto in termini di solidarismo, che o diventa come tutti i solidarismi internazionali per secondi fini o non guarisce mai lasciando delle ferite le cui cicatrici non guariscono manco per seconda intenzione.
A questa fase dell'emergenza si deve porre l'avvio di una politica diversa che alimenti le potenzialità di far crescere questi Paesi, che alimenti anche la produzione locale, l'incoraggiamento a produrre.
L'aiuto della CEE di alcuni Paesi che gravitano con essa, è stato incrementato dal 62 al 72 %in riferimento al dollaro. Questo vuol dire che anche a livello delle Commissioni della Comunità Europea il discorso è stato fatto, è stata una sensibilità nuova e diversa. Sono fra quelli che credono fermamente che l'assistenza alimentare è uno degli aspetti doverosi a cui dovremmo dare il nostro contributo; ma poiché anche la CEE ha una capacità di eccedenza, anche la sua politica di assistenza alimentare dovrà essere esaminata con estrema attenzione.
Il discorso deve essere visto in modo nuovo e diverso ricordandoci quello che lo storico francese dianzi citato aveva detto e cioè che il problema è sempre politico.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Il collega Salvetti ha espresso ampiamente le ragioni che ci hanno indotto a presentare questo ordine del giorno.
Non sto a riprendere la drammaticità dei dati che evidenziano il problema della fame e del sottosviluppo. Voglio solo mettere in evidenza che sul problema della fame e del sottosviluppo c'è nei paesi sviluppati una sensibilità episodica, spesso legata ai drammi contingenti che periodicamente scoppiano. E' un livello di sensibilità che fino ad oggi non ha permesso di individuare un intervento costante e strutturale sul piano politico. Tutti ricordiamo il dramma dell'India di alcuni anni fa e il livello di sensibilità che quel dramma si ebbe nella coscienza di milioni di uomini. A fronte di quel dramma non ci fu un intervento strutturale che permise di affrontare la fame e il sottosviluppo nelle sue ragioni di fondo.
Qui sta il nodo che dobbiamo sciogliere. Il dibattito in Consiglio regionale può contribuire a costituire una posizione a livello nazionale ed europeo. Dobbiamo partire dal presupposto che i paesi sottosviluppati da soli non riusciranno per lungo tempo ad uscire dal loro dramma quindi l'intervento dei paesi sviluppati deve essere programmato e costante altrimenti ancora una volta, come in passato, sarà un intervento episodico.
I Paesi sottosviluppati necessitano di ingenti risorse economiche tecniche e scientifiche, ma se raffrontiamo queste esigenze alle loro condizioni reali vediamo qual è l'abisso esistente tra i bisogni e le loro reali possibilità.
La conferenza dell'ONU a Parigi ha fotografato la situazione dei 31 Paesi più poveri del mondo e ha rilevato che alla necessità di risorse tecniche e scientifiche corrisponde un tasso di alfabetizzazione del 20/25%. Il livello medio di vita è attorno ai 40/45 anni. Il reddito medio annuo pro capite è di 220/250 dollari.
Queste aride cifre testimoniano come un intervento sul problema della fame e del sottosviluppo non può essere episodico, non può essere legato a drammi contingenti, ma deve essere un intervento strutturale costante.
Dobbiamo incominciare ad intervenire immediatamente perché domani sarebbe troppo tardi per milioni di uomini, donne e bambini che stanno morendo di fame.
Un intervento di lungo periodo ci impone delle scelte di fondo inderogabili, alternative alle attuali scelte sull'uso delle risorse. Le spese per il riarmo non solo sono uno spreco ma possono essere usate per superare le cause del sottosviluppo. Si impone un rapporto diverso tra Nord e Sud, tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, tra paesi poveri e paesi ricchi superando la concezione colonialistica e di devastazione e rapida delle risorse.
Si tratta di instaurare un rapporto che permetta lo scambio di tecnologie, di conoscenze, di risorse tra paesi ricchi ed i paesi in via di sviluppo che possono offrire come elemento di interscambio le materie prime esistenti sul proprio territorio.
L'Europa può giocare un ruolo importante e così il nostro Paese.
Accogliamo con favore la sensibilità del Governo su questo tema. Questo problema investe anche il Piemonte. E' possibile all'interno del rapporto tra l'Europa, il nostro Paese ed i paesi in via di sviluppo, per il Piemonte svolgere un ruolo importante come Regione industrializzata produttrice di tecnologie quale fonte di cooperazione e di scambio con i Paesi in via di sviluppo. Allora dobbiamo porci una domanda: quali sono le tecnologie che possono dare una risposta ai problemi del Terzo Mondo? Penso all'utilizzo delle risorse energetiche nei paesi del Terzo Mondo ed alla necessità che questi paesi hanno di tecnologie per questo sfruttamento.
Anche il Piemonte potrà fornire queste tecnologie e questo rapporto pu essere una risposta seppure parziale alla crisi industriale che la Regione attraversa.
La risposta all'interrogativo su che cosa possiamo fare subito è essenziale per riportare il problema della fame all'interno della nostra operatività pratica all'interno delle scelte che facciamo giorno per giorno.
Non c'è dubbio che la fame, la povertà e l'incontrollato incremento demografico sono espressione di sottosviluppo, di carenza culturale delle popolazioni. Sono soprattutto causate da un ordine economico internazionale fondato spesso su scambi ineguali, sul controllo e sullo sfruttamento delle risorse delle aree sottosviluppate in cui spesso la politica delle multinazionali rappresenta il braccio forte nel controllo politico su quelle popolazioni, da parte dei paesi capitalistici e degli USA in particolare. Gli stessi aiuti di paesi come l'Unione Sovietica rappresentano un controllo politico delle popolazioni.
Noi riteniamo che la questione centrale è quella dello sviluppo delle forze produttive nelle aree sottosviluppare. Questa è l'alternativa reale al crescere delle tensioni che attentano alla pace in maniera sempre più grave ed evidente nei paesi in via di sviluppo, che moltiplica i conflitti nel Terzo Mondo. Lo sviluppo delle forze produttive nelle aree sottosviluppate è essenziale per evitare che il Terzo Mondo ed i Paesi poveri cadano al ricatto economico e diventino terreno di contesa tra le grandi potenze.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Martini.



MARTINI Mario

Il tema della fame nel mondo esige un procedimento di disciplina mentale per riuscire ad inquadrarlo, perché non sia ripetitivo, per trovare agganci con le parole che in questa sede sono state pronunciate con toni che possono essere ampiamente condivisi.
Se dovessi fare una distinzione accetterei la relazione fatta dal collega Montefalchesi, più aperta sul piano della ricerca delle responsabilità che ci coinvolgono, che non invece quella del collega Salvetti che ha fatto delle distinzioni che nella realtà internazionale non hanno ragione d'essere fatte se non a livello di uso di metodi diversi comunque finalizzati a non puntare al problema centrale che è quello di riuscire a superare il problema della fame nel mondo.
Nel ristretto corridoio che mi sono proposto di percorrere, parlando a nome della D.C., vorrei soffermarmi sull'aspetto che può interessare più da vicino la Regione in quanto istituzione, cioè vorrei valutare come l'azione della Regione Piemonte possa inserirsi in una politica più vasta che viene portata avanti a diversi livelli dalle istituzioni nazionali a quelle sovranazionali.
Anche in questo settore non si parte sempre da zero. Bisogna prendere atto che esistono delle realtà che sono venute maturando nella misura in cui il problema della solidarietà fra i popoli è diventato un problema di consapevolezza politica e di coscienza politica. E' sufficiente richiamarci all'ONU, alla sua evoluzione rapidissima fatta negli anni dall'immediato dopoguerra ai giorni nostri. Da organizzazione di popoli vincitori si allarga agli Stati che emergono dalle rovine del colonialismo, diventa una cassa di risonanza soprattutto per i popoli più diseredati, fa emergere tentativi di strumentalizzazione quando si esprime a livello di voti di schieramento che sono evidentemente manovrati fra le due maggiori potenze Stati Uniti d'America e Unione Sovietica. Però non fa soltanto questo.
Mette anche in atto organismi e istituzioni finalizzati alla lotta alla fame. Sono state ricordate la FAO, il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, il Consiglio mondiale per l'alimentazione, gli uffici attuativi del programma alimentare mondiale, la Banca mondiale di investimenti, tutti strumenti che gradualmente sono stati realizzati e finalizzati sempre più a questo livello settoriale.
Oggi siamo in una situazione di crisi, ma le situazioni di crisi - pare non sono da considerarsi come fatto negativo; sono negative per i risvolti immediati, nel contingente, ma sono positivi per quella loro forza interiore che spinge gli uomini e le istituzioni ad una maggiore meditazione sui fatti e sulle cause che i fatti determinano.
Ebbene, in questa situazione di crisi l'esigenza che venga portato avanti il processo di solidarietà si fa sempre più diffusa. La crisi economica, come è stato ricordato, se qui provoca recessione e disoccupazione, nei Paesi del Terzo e del Quarto Mondo provoca la fame e la morte. Pertanto, questa situazione di crisi fa emergere, a livello di coscienza politica questa volta, l'interdipendenza che esiste fra le varie economie siano esse sviluppate o no.
Negli ultimi due anni alcune iniziative si sono fatte sempre più concrete a livello di istituzioni: dall'assemblea delle Nazioni Unite, al vertice dei Paesi industrializzati di Ottawa, alla Conferenza di Parigi dei popoli sottosviluppati e popoli ad ampia diffusione dell'economia del mercato, da tutte queste iniziative parte l'impegno perché venga abbandonato gradualmente l'assistenzialismo che ha caratterizzato l'intervento a favore dei popoli meno sviluppati (e sull'esigenza dell'abbandono graduale dell'assistenzialismo potremmo trovarci tutti d'accordo perché è difficile fare decollare un'altra politica che si sostituisca a quella dell'assistenzialismo) e venga avviato un piano globale di intervento aperto ad un pluralismo di iniziative. Quando si parla di pluralismo di iniziative si lascia un adeguato spazio anche alle iniziative private e alle economie di mercato, ma coordinato e finalizzato dall'intervento pubblico, però - e questo è il punto nuovo che rende più serio e più concreto il ragionamento a livello istituzionale - un intervento pubblico che sia sorretto da adeguati finanziamenti.
Perché questo programma non venga ritardato e affossato da eventuali rivalità politiche (ma le zone di influenza, a quanto pare, stanno moltiplicandosi e non si richiamano più soltanto ad un livello bipolare) abbiamo avuto l'autorevole appello di 55 Premi Nobel, appello che ha lasciato perplessi le forze politiche in quanto è stato fatto, proprio a livello politico, dal Partito radicale. Il merito di questa forza politica è di aver portato quell'appello in una sede istituzionale qual è il Parlamento Europeo, facendolo approvare con un programma di indirizzo da parte degli stati membri che dovranno riservare entro il 1990 lo 0,70% del reddito annuo al fondo di intervento per il programma globale. La posizione del Governo italiano è stata esposta alla Camera dal Ministro degli esteri Colombo il 31 luglio scorso, il Governo italiano si è impegnato a raggiungere il tetto dello 0,70 % del prodotto lordo da stanziare per interventi a favore del Terzo Mondo entro il 1990 e nello stesso tempo ha annunciato che per il biennio 1982/1983 sono stati destinati 3.500 miliardi per la cooperazione con il Terzo Mondo e ha comunicato l'intenzione di mobilitare altri 3.000 miliardi sempre in questa direzione.
Abbiamo parlato delle istituzioni a livello internazionale e a livello nazionale, dobbiamo però porci il problema della credibilità di queste istituzioni. Gli ordini del giorno vengono approvati e regolarmente disattesi. Se andiamo a vedere la situazione italiana nel consesso internazionale dobbiamo otturarci le orecchie perché continuamente veniamo richiamati al fatto che disattendiamo alle direttive a livello politico generale e alle direttive CEE.
Che cosa può fare la Regione per far sì che questa sfiducia nei confronti delle istituzioni venga meno? Che cosa può fare la Regione per mobilitare l'opinione pubblica piemontese su un problema di tanta rilevanza e per svolgere un'azione di pressione sul governo centrale perché non disattenda le indicazioni che vengono dalle istituzioni internazionali? Perché il nostro operare si avvii su un piano di concretezza occorre che in questa sede le forze politiche prestino maggiore attenzione alla realtà concreta della società piemontese, occorre lasciar cadere alcune pregiudiziali che sovente ci fanno vedere la realtà attraverso dei paraocchi. Sovente vogliamo incasellare la realtà attraverso le istituzioni infraregionali e non andiamo a vedere che cosa c'è dentro il mondo in cui operano le istituzioni. Come abbiamo detto che a livello internazionale non si parte dall'anno zero, così dobbiamo dire che in Piemonte non si parte dall'anno zero. Porto le esperienze che sono legate al mondo cattolico, che è vario e differenziato, del quale mi sento parte anche se non mi sento di rappresentare nella sua totalità.
Tuttavia è un mondo cattolico che guarda alla D.C. come ad un partito che, se vuole, può continuare a meritarsi l'ampiezza dei suffragi che il mondo cattolico stesso può esprimere. Ho la sensazione che il mondo cattolico raramente, o forse mai, abbia fatto una reale comparsa in quest'aula. Porto alcuni esempi.
Parliamo di solidarietà e di carità (mi riferisco al concetto di carità secondo la teologia cattolica che se approfondito, assumerebbe un significato ben diverso da quello che volgarmente e con un certo senso di disprezzo e di distacco si vuol dare a questa parola). Voglio ricordare che la catena di solidarietà esistente tra le popolazioni piemontesi ed il Terzo e il Quarto Mondo si concretizza, ad esempio, in centinaia di presenze di sacerdoti, di missionari, di suore che operano in quei Paesi.
E' gente che ha sperimentato in proprio l'esigenza di un cambiamento di mentalità nei confronti delle popolazioni del Terzo e del Quarto Mondo.
Quanti passi sono stati fatti nell'esigenza di salvare, ad esempio, l'anima delle popolazioni africane, ma inserendosi nel contesto del mondo africano e non pretendendo di importare modelli dall'esterno, che sono in contrasto con tradizioni, costumi e credenze religiose! E' gente che è al servizio dei poveri. E' un servizio concreto, è un servizio che può avere anche delle sbavature marginali non condivisibili, ma che sostanzialmente è testimonianza a fianco dei poveri. Esistono poi associazioni di volontari laici che si richiamano a principi cattolici-cristiani, ma non necessariamente. Sono decine e decine i piemontesi giovani soprattutto, che ogni anno si danno il cambio per portare, sia pure per un breve periodo, la loro solidarietà diretta ai più diseredati.
Esiste poi nella realtà piemontese una fitta rete di pubblicazioni che servono a mantenere i contatti tra coloro che operano nel Terzo e Quarto Mondo e coloro che vivono nella realtà piemontese. C'è "Famiglia Cristiana" e dirò anche perché la cito. Ci sono i settimanali diocesani, ci sono i bollettini parrocchiali. Qui ne abbiamo sentito parlare, in sei anni, una sola volta per sentirci dire che sono pubblicazioni che non fanno cultura.
Può darsi che non facciano cultura, ma è certo che questo tipo di cultura che produce solidarietà passa anche attraverso queste pubblicazioni. Non solo. Vorrei ricordare come attraverso questi strumenti modesti vengano diffusi capillarmente i principi solidaristici della Pacem in terris, della Populorum progressio, della Laborem exercens che trovano però pochissimo spazio nella stampa di ogni colore.
Va poi ricordato che grazie a queste forme di comunicazione non c'è parrocchia che non realizzi la sua quaresima per gli affamati, non c'è piccolo comune del Piemonte dove gruppi di giovami non improvvisino raccolte di carta, stracci e ferri vecchi, perché i proventi possano essere destinati al Terzo Mondo.
E' poca roba, ma esauriente. L'ho detto all'inizio. Sono fatti che avvengono ai margini e fuori delle istituzioni. Potrebbero essere sollevate accuse ai cattolici di avere scarsa affezione per le istituzioni. Di rimando è anche facile dire che le istituzioni finora hanno dimostrato un'estrema insensibilità a questi problemi.
Faccio una proposta che può essere accolta o non essere accolta. E' una proposta che si innesta in un ordine del giorno che è ordine del giorno che è stato approvato domenica scorsa dall'assemblea del congresso provinciale delle Acli di Cuneo, laddove si dice che le Acli si impegnano a sensibilizzare le amministrazioni pubbliche a trovare uno spazio nei bilanci comunali provinciali e regionale per finanziamenti a favore di interventi nel Terzo Mondo. Se questa proposta verrà accolta, offrirà alla Regione e agli Enti intraregionali l'opportunità di saldare, almeno in questo settore, il divario che esiste tra Paese reale e le istituzioni anche in Piemonte. Nello stesso tempo darà alla Regione forza politica morale e contrattuale per controllare e stimolare il Governo centrale e lo Stato al rispetto degli impegni di collaborazione internazionale.
L'attuazione di questa proposta, perché non si trasformi in un ulteriore elemento di confusione, dovrà però rispondere a precise modalità da concordarsi, alcune delle quali ritengo opportuno precisare in questa sede.
La proposta di invitare gli enti intraregionali a stanziare nel bilancio 1982 una somma per gli interventi nel Terzo Mondo non dovrà essere monopolizzata dalla Regione, ma dovrà essere portata avanti (mi pare con questo di ampliare una parte dell'ordine del giorno firmato dai colleghi Reburdo, Montefalchesi e Salvetti laddove si parla di sensibilizzazione degli Enti locali) dal Consiglio regionale in collaborazione con le associazioni delle province e dei comuni. Essa non dovrà, intaccare né per rafforzarla né tanto meno per indebolirla, la dialettica contrattuale con lo Stato in merito alla finanza locale. Il finanziamento a bilancio per la collaborazione con i popoli sottosviluppati dovrà comportare un reale sacrificio, una riduzione di una spesa di investimento in un settore concordemente individuato dalle forze politiche in questo e nei Consigli degli Enti intraregionali (anche per evitare che si continui a dire che le scelte sono facili perché chi paga è il solito indifferenziato erogatore di fondi). Non dovrà portare alla formazione di particolari organismi di gestione, che magari si improvvisano competenti in politica estera, ma questo fondo dovrà confluire ad integrazione dei fondi dello Stato per gli investimenti contro la fame nel mondo. E' evidente che la nostra forma di controllo e di pressione sul Governo centrale, perché si adegui alle indicazioni che a livello istituzionale sono venute sia dal Parlamento europeo che dall'ONU, acquisterà una forza maggiore se ci dichiariamo disponibili in certo senso a rinunciare ad una parte dei nostri finanziamenti per convincere il governo centrale a tenere fede agli impegni continuamente richiamati a livello internazionale.
Il Gruppo della D.C. è pertanto convinto che se saremo capaci per la prima volta (oggi affrontiamo questo tema di così grande importanza senza punte polemiche eccessivamente accentuate) in questa assemblea, noi come forza di opposizione e la Giunta di sinistra nei confronti del Governo nazionale, di superare il gioco delle parti e di ritrovare una sostanziale unità di fronte ad un problema di così scottante rilevanza umana, sociale e politica, compiremo una significativa battuta d'arresto in quella strada del disimpegno e della disgregazione e un sostanziale passo verso il recupero della fiducia delle popolazioni nei confronti delle forze politiche e delle istituzioni.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Reburdo.



REBURDO Giuseppe

L'occasione di questo dibattito è importante perché tocca da un lato un grande tema dal punto di vista umanitario, politico e culturale e dall'altro, perché, come diceva il collega Martini, si svolge con toni di cui questo Consiglio regionale aveva bisogno. E' un tema che non trova una sua qualità e una sua pregnanza da oggi, è un tema che ha investito tradizioni, esperienze culturali, politiche e religiose.
Quindi non solo dalla sollecitazione del partito radicale viene questa discussione, ma da qualche cosa di più profondo, di più drammatico e anche di più contraddittorio. E' un tema che evidenzia il profondo distacco nel nostro Paese tra la società civile e l'istituzione e solo uno sforzo comune ed unitario può portare a recuperare le condizioni sufficienti per dare alle stesse istituzioni una credibilità sufficiente e una coerenza tra quanto è affermato e quanto è realizzato a tutti i livelli.
Voglio sottolineare con una piccola nota polemica il fatto che nei primi giorni di quest'anno il sottoscritto con i Consiglieri Bontempi e Marchiaro aveva già presentato un'interrogazione al Presidente della Giunta sollecitati dagli interventi autorevoli che erano partiti dal Presidente della Repubblica, dal Santo Padre e da altre iniziative per sottolineare l'esigenza di andare verso la conquista della pace. C'era quindi un impegno che in qualche modo doveva segnare anche le istituzioni. Sottolineavamo l'esigenza che la Giunta ed il Consiglio si rendessero disponibili a verificare quanto era possibile fare sul piano dell'informazione, della sensibilizzazione, delle iniziative politiche per utilizzare l'esistente per coordinarlo e per dare spazio e forza perché su questi temi avanzassero nella società e nella scuola elementi di sensibilità.
In verità, gli avvenimenti di questi mesi, la corsa al riarmo, la sollecitazione venuta dall'appello dei Premi Nobel Per la pace l'intervento del Parlamento Europeo e le iniziative che il Governo italiano ha sviluppato hanno riposto questo tema in termini centrali.
Non sto qui a fare una lunga analisi. A questo punto del dibattito è importante domandarsi che cosa fare oggettivamente e realisticamente di fronte a questi problemi.
Non era possibile rispondere a quella sollecitazione se non investendo con la Giunta anche il Consiglio regionale per le diverse articolazioni e le esperienze maturate.
Forse è opportuno fare un esame autocritico di quello che le forze politiche e la Giunta potevano fare e non hanno fatto. Questo fatto ci deve sollecitare a verificare se in futuro qualche cosa di più articolato sarà possibile fare. Alcune iniziative si sono assunte. Ricordo l'ultima, la mostra organizzata dall'Assessorato alla cultura sul tema disarmo e sviluppo che ha costituito un terreno di sensibilizzazione tant'è vero che dietro richieste da parte di scuole e di organizzazioni verrà riprodotta in termini più estesi.
Guai a noi se ci limitassimo soltanto a questo.
Prima di tutto non dobbiamo solo rispondere nelle sue diverse articolazioni. Esistono strumenti che possono costituire un utile terreno sul piano della sensibilizzazione e dell'informazione. Personalità politiche, culturali e religiose hanno costituito con i loro messaggi ed i loro interventi una proposta di uno spessore notevole che però ha trovato scarso spazio sui grandi mezzi di informazione pubblica e privata.
La rivista "Terzo mondo informazioni" da anni, con uno sforzo notevole,sta cercando di portare avanti questi temi. Purtroppo è una voce nel deserto perché trova difficoltà a conquistare spazio e terreno laddove la sensibilità su questi problemi è più concreta.
Per esempio, non possiamo verificare se nelle biblioteche comunali nelle biblioteche scolastiche, dentro gli strumenti esistenti possiamo fare qualche cosa di più perché la pubblicistica sul tema della fame e dello sviluppo trovi più organica diffusione? Per esempio, al di là delle valutazioni politiche abbiamo sufficientemente valutato il rapporto Brandt? Quel terreno di informazioni se fosse stato maggiormente arato e ulteriormente seminato con interventi organici avrebbe potuto contribuire a dare maggiore pregnanza e sensibilizzazione su questi temi.
Ho citato questi esempi per dire come sul terreno dell'informazione e della sensibilizzazione ci sia largo spazio.
L'altra proposta che è avanzata nell'ordine del giorno è quella di prevedere nell'ambito del secondo Piano di sviluppo, delle iniziative e dei progetti economici che la Regione sviluppa un progetto organico integrante della politica regionale che dia una risposta ai problemi dei paesi del Terzo e del Quarto Mondo.
E' un Progetto pilota, un tentativo che chiama attorno a sé energie culturali, economiche, sociali, imprenditoriali, sull'esempio di quanto stanno realizzando Organizzazioni come "Mani tese" o altri gruppi di volontari che operano a Torino in accordo con settori dell'Università e dell'imprenditoria e in accordo con alcuni paesi del Terzo e del Quarto Mondo. Credo che la Regione Piemonte abbia le carte in regola nell'ambito della sua politica economica e di intervento per realizzare un progetto di questo tipo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola alla Signora Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il Consigliere Salvetti prima di porgere all'assemblea il suo pregevole intervento ci ha detto che egli pensò molto prima di decidersi a firmare la mozione che oggi è stata portata all'attenzione del Consiglio. Anch'io ho molto pensato prima di decidermi a portare il mio contributo modesto all'assemblea stessa. In un momento nel quale ognuno di noi incontra delle grandi difficoltà, in un momento di grave crisi economica, di grave crisi delle istituzioni, di crisi dei valori, si incontrano gravi difficoltà a dare a volte a sorreggere con un contributo concreto e con una proposta reale il tentativo di soluzione dei gravi problemi che la società attuale ha in questo momento e questa impotenza assume delle dimensioni incalcolabili di fronte ad un tema così grave come quello della fame nel mondo.
Se è vero che ognuno di noi può fare qualche cosa per cambiare le cose e qualcuno credo che lo faccia, la soluzione organica in assoluto del grande enorme problema della fame nel mondo si ottiene soltanto attraverso un progresso sociale, economico generalizzato da avviarsi lungo l'asse Nord Sud. E' già stato ricordato che il nostro sistema industriale, quello che viviamo da alcuni anni con tutte le complesse situazioni sociali che da esso sono derivate, ha posto agli inizi del secolo scorso le basi per una cultura societaria che non ha fatto che evidenziare progressivamente la linea di divisione tra i Paesi a sviluppo industriale ed i Paesi che sono rimasti o bloccati o estraniati su quella immaginaria, ma consistente linea di confine, relegandoli al sottosviluppo non soltanto industriale, ma anche di convivenza democratica all'interno di ogni singola realtà politica. La naturale conseguenza a questo profondo divario per il quale si stanno cercando delle soluzioni adeguate, ha portato le popolazioni dell'Africa, del Sud America e dell'Oriente a condizioni economiche disastrose con la conseguente crescita del fenomeno della denutrizione e le persone che soffrono la fame aumenta secondo uno schema costante, in modo paurosamente progressivo. Cercare di quantificare o di raccogliere in un rapporto numerico una seppur approssimativa quantità di persone che soffrono la fame sarebbe compito arduo, nello stesso momento in cui prendiamo consapevolezza politica di questo problema, migliaia di bambini ridotti all'estremo delle forze, al limite della sopravvivenza, stanno cercando una goccia di latte che li leghi in qualche modo alla vita.
Il contenuto concreto dell'avviato dialogo Nord-Sud ha dovuto prescindere dalle statistiche anche approssimative. Le popolazioni che soffrono denutrizione nei Paesi in via di sviluppo è salito da 360 milioni negli anni '69/71, ai 420 milioni dal '74 al '76, una percentuale altissima che tuttavia sembra poca cosa di fronte agli oltre 800 milioni di persone che vivono in stato di povertà assoluta. Il sistema sociale nel quale viviamo e per il quale cerchiamo una nuova strada e che ha determinato buona parte degli scompensi attuali, non è che la conseguenza storica di politiche espansionistiche sbagliate, di accentuate differenze razziali, di generazioni di uomini che hanno costruito e modellato la società industriale ad immagine e somiglianza di vecchi modelli, inserendosi in Paesi nuovi con metodi colonizzatori, a volte selvaggi, defraudatori di ogni tradizione religiosa e culturale. Il lento e costante sbriciolamento ha prodotto scompensi che i secoli hanno accentuato, si è creduto per troppo tempo che i Cristoforo Colombo, gli Amerigo Vespucci, i Pedro, gli Alvarez Cabral, i Giovanni Caboto o altri fossero poveri e modesti portatori di civiltà, di ricchezza e non invece portatori di imposizioni umanitarie radicali, chiuse al dialogo con le popolazioni che seppero ben presto sottomettere, popolazioni povere di mezzi di difesa, ma già allora ricche di tradizioni, di rapporti sociali, che gli europei definirono primitivi, ma che invece erano autentiche strutture civili. Oggi e più ancora rispetto al passato, paghiamo le conseguenze di una politica mondiale disorganizzata ed irrazionale che si riflette sulla reale consistenza di una pace stabile, difficile da mantenere, se vengono a mancare quelle condizioni di giustizia fondamentali. Soprattutto crediamo che non vi possa essere un duraturo sviluppo economico fino a quando tanta parte dell'umanità è costretta a lottare per la propria sopravvivenza, per un'accettabile condizione sociale. Dobbiamo in sostanza dare un contributo allo sviluppo della solidarietà fra i popoli, non dobbiamo puntare soltanto sulla strategia e sugli equilibri militari, ma credere nella ragione della libertà e dell'uguaglianza per consentire una generale crescita civile e di sviluppo economico per ogni Nazione. Il compito di aiutare i paesi più deboli a superare lo stato di soggezione materiale e morale e di contribuire fattivamente alla crescita in cui sono impegnati molti Paesi del Terzo Mondo è un disegno a cui dobbiamo mantenere fede senza ricacciarci negli egoismi del passato, nel pieno rispetto di ogni sovranità e di ogni indipendenza conquistata spesso con molta fatica, il progresso auspicato si metterà in atto quando la collaborazione internazionale sarà compiutamente avviata, fondata sulla pari dignità di cui il dialogo Nord Sud si è fatto partecipe. A questo punto cosa fare? Il compito dell'Italia può essere significativo e si può concretizzare in un dialogo che deve sempre più prendere la forma di un negoziato inteso a costruire un ordine nuovo e più giusto. Tra le iniziative prese dal nostro Governo, alcune delle quali hanno proiezione a lungo termine e si parla di un piano agro alimentare che tende a recuperare il surplus dei Paesi che non hanno il problema della fame e indirizzarlo verso quelle popolazioni così disagiate.
Credo che nel medio termine questa sia anche un'iniziativa, tuttavia di tipo assistenziale, che non risolve in assoluto il problema. Ricordo sempre a questo proposito una frase di John Kennedy che diceva che non occorre regalare una cosa a chi è povero, occorre insegnargli a costruirla. Credo che questo debba essere l'orientamento sul quale dobbiamo orientare i nostri sforzi. Anche l'Italia che oggi si fa promotrice di questo piano agro-alimentare di tipo assistenziale debba però nel futuro contribuire in maniera sostanziale agli obiettivi di sviluppo economico, tecnico ed agricolo per certe popolazioni. Il nuovo e ambizioso prodotto per dare speranza ai popoli in via di sviluppo è tutt'altro che chimerico. Non si tratta di intraprendere sentieri mai solcati prima, ma semplicemente di individuare precisi impegni, si tratta in concreto di definire iniziative che necessitano di nuovo impulso politico.
La Regione Piemonte può in tal senso dare un contributo valido e immediato, di intesa con il Governo di Roma, nelle iniziative che sta intraprendendo.
Abbiamo esaminato con attenzione la mozione che i colleghi Consiglieri hanno presentato e che oggi hanno portato al dibattito in questo Consiglio regionale. Crediamo però che quella mozione abbia un vizio temporale.
Peraltro il nostro Governo ha avviato una serie di iniziative che hanno dimostrato la sensibilità dei nostri governanti. Vorrei semplicemente ricordare l'incontro di Ottawa nel quale l'Italia si è fatta promotrice assieme ad altri Paesi europei, di un piano di aiuto nelle aree depresse che ha riscosso sostegno unanime.
Vorrei sottolineare il ruolo attivo che ha avuto il Governo italiano attraverso il coinvolgimento di tutti i capi di governo e della Comunità Europea con un intervento personale del nostro Presidente presso il Presidente della Commissione della Comunità Economica Europea.
Il nostro Paese intende articolare un piano di aiuti ai Paesi sottosviluppati collocato nel quadro degli impegni che la Comunità Europea dovrebbe programmare, nell'arco di questo decennio. Lo stesso Parlamento Europeo, attraverso una sua risoluzione, ha preso la consapevolezza politica e coscienza di questo drammatico problema, sollecitato in questo anche dai nostri rappresentanti italiani.
Pertanto, nel momento in cui esaminiamo e ci apprestiamo a votare l'ordine del giorno presentato dai colleghi, occorre che quest'ordine del giorno venga aggiornato anche nella sua enunciazione per la parte, che riguarda l'interesse del Governo Italiano portato in questi ultimi mesi e in questi ultimi giorni al problema. Sottoscriviamo le indicazioni che nell'ordine del giorno vengono date e crediamo che la Regione debba ad ogni livello adoperarsi affinché la sensibilizzazione dell'opinione pubblica, a partire dalla scuola, sia completa. Tutte le iniziative che abbiano questo riferimento ci troveranno senz'altro consenzienti. Dobbiamo avere presente che la definizione del problema della fame non la troveremo né domani n dopodomani. Questo però non ci deve scoraggiare. Non mettere in atto iniziative e progetti per mancanza di un accordo generale fra le forze politiche porterebbe all'accentuarsi di una crisi già preoccupante.
Cerchiamo, anche attraverso la buona volontà, di sottoscrivere collegialmente questo ordine del giorno con quelle modifiche che si renderanno necessarie anche alla luce del dibattito attuale.
Sappiamo le enormi difficoltà che abbiamo sul tappeto per risolvere i nostri problemi interni. Credo però che occorrerà fare uno sforzo generale per evitare gli sprechi e per evitare soprattutto che l'assenza di un coordinamento aggiunga sprechi a sprechi che già si stanno verificando anche a questo riguardo. Sia a livello nazionale che a livello internazionale a volte l'assenza di coordinamento ha portato a iniziative che si sono rilevate inutili.
Nel momento in cui andiamo a definire delle iniziative cerchiamo di essere coerenti e di aggregarle in modo tale che possano essere indirizzate nella direzione giusta e rappresentino un contributo reale.
La nuova fase dei rapporti fra Paesi industrializzati e quelli sottosviluppati è iniziata. E' una porta nuova che si sta aprendo per la maggior consapevolezza che esiste da parte di tutti e che la comunità piemontese ha dimostrato di voler affrontare anche attraverso questo dibattito. Spetta a noi adoperarci per rendere partecipi tutti dei nuovi sviluppi della situazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchiaro.



MARCHIARO Maria Laura

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, mi pare che questa discussione debba partire da un dato di fatto. Malgrado gli importanti avvenimenti recenti e nonostante gli sforzi e gli strumenti che sono stati messi in atto da organismi come l'ONU, il dialogo tra i Paesi industrializzati e i Paesi in via di sviluppo continua ad essere ad un punto morto. Ancora non vi sono le condizioni minime per l'avvio di un negoziato globale fra Nord e Sud.
Abbiamo di fronte dei fatti deludenti da cui non possiamo prescindere neppure per misurarci su interventi di livello locale, quali quelli che qui possiamo decidere e mettere in atto.
Sono deludenti i risultati emersi dalla Conferenza di Nairobi su "Energia e Terzo Mondo" e ci paiono deludenti, anche se qualche spiraglio vi è stato, i risultati del vertice recente di Cancun.
La Conferenza di Cancun era stata sollecitata proprio dalla Commissione Brandt per spostare l'attenzione dei problemi dello sviluppo e della cooperazione internazionale a livello di capi di Stato. Si sentivano infatti la limitatezza e i vincoli della trattazione di questi temi soltanto in sedi prevalentemente tecniche,. Ma ad un meeting che doveva sbloccare una situazione e rompere l'immobilità, siamo usciti con in mano ben poco.
Qualcuno, commentando l'avvenimento, ha parlato di tentativi di comprensione. Credo si debba in ogni caso mettere in evidenza il ruolo positivo che ha giocato la Francia di Mitterand. La questione politicamente più rilevante però è stata la posizione di estrema rigidezza dell'amministrazione Reagan, il rifiuto a riconoscere che le disparità economiche tra i Paesi del mondo debbono essere considerate e affrontate come una responsabilità di tutti, l'affermazione che il sottosviluppo è una retorica divisione fra ricchi e poveri, la teoria dell'uso politico - e quindi ideologico - dei dispositivi di aiuto ai Paesi in via di sviluppo.
Le prime due questioni indubbiamente vanificano e spostano molto in là nel tempo le possibilità di un negoziato globale, che peraltro è stato fatto proprio anche dal nostro Governo, ma rende velleitaria anche l'iniziativa di Ottawa per un'azione straordinaria dei 10 nel settore agro alimentare.
Allo stesso modo mi pare che proprio la rigidezza dell'Amministrazione Reagan ridimensioni anche l'attività, che è già critica, di quegli organismi multilaterali a cui il Consigliere Martini giustamente dava grande importanza. Così tende ad arginare la stessa politica dell'Europa che - pure tra molti limiti, incertezze e divisioni e naturalmente in funzione della sua vulnerabilità economica - è oggi propensa ad una trattativa complessiva che riguarda insieme risorse energetiche, materie prime industriali, prodotti manifatturieri.
Proprio in Europa si è avvertito come improponibile e cinico il rilancio del gioco del libero mercato e degli investimenti privati che è stato fatto appunto da Reagan a Cancun.
L'altra questione che caratterizza l'attuale posizione dell'Amministrazione Reagan, quella degli aiuti bilaterali, o meglio, degli interventi selettivi ai soli Paesi amici, è forse anche più grave perch riporta di peso, o perlomeno mantiene, la logica dei rapporti Nord-Sud entro quelli del contenzioso pesantissimo Est-Ovest e quindi della politica di potenze e di blocco, secondo gli antichi schemi colonialisti delle spartizioni, dei ricatti, della perpetuazione della dipendenza.
Come non vedere in questa impostazione dei problemi mondiali lo stesso appoggio di Washington alle dittature latino-americane, il sostegno a regimi di saccheggio, a oligarchie che perpetuano crudeltà illimitate l'identificazione di ogni lotta di liberazione con il terrorismo internazionale? Come non vedere in tutto questo una delle resistenze maggiori al processo di democratizzazione e di articolazione delle relazioni internazionali per l'avvio a soluzione dei più urgenti problemi strutturali del mondo? E' proprio di questo processo che abbiamo bisogno già immediatamente per l'oggi, per il futuro più prossimo. Chi prevede entro tempi molto ravvicinati catastrofi immani, chi denuncia e quantifica le conseguenze negative della mancata soluzione del problema del sottosviluppo sono organismi internazionali come l'ONU, la FAO, sono consessi di studiosi come il Club di Roma di Peccei o il Gruppo di Parigi di Servan-Schwaiter ma è anche la Commissione Brandt che, credo, debba essere per tutti il riferimento oggi non eludibile per avviare processi e relazioni internazionali.
E' proprio la Commissione Brandt che ha potuto tracciare nel corso di due anni di lavoro, di fronte alla novità persino provocatoria del concetto di responsabilità globale, le linee di azioni per riplasmare i rapporti mondiali fra Nord e Sud e fare di questa strategia, come ha dichiarato lo stesso Brandt, "la massima sfida che l'umanità deve affrontare entro la fine di questo secolo".
Si tratta di una svolta profonda e, per alcuni versi, traumatica. Non ci possono più tranquillizzare le spiegazioni secondo cui la fame è causata dalla pressione demografica, dal clima o dalle catastrofi naturali. Non ci tranquillizzano più queste spiegazioni perché è stato ampiamente dimostrato che sono enormemente parziali o false. Un esempio lo portava il collega Salvetti riferendosi alla situazione dell'Europa nel Medio Evo ma, non dimentichiamo che la Cina ha affrontato cicli spaventosi di carestie quando aveva 500 milioni di abitanti e, oggi - che ne ha 900 milioni - può fornire a ogni abitante ogni giorno 2300 calorie.
Dunque, che cosa manca? Manca la pianificazione degli investimenti mancano obiettivi mondiali di giustizia, manca un diverso ordine economico e politico. Continuiamo del resto ad avere di fronte scelte che impegnano mille cinquecento miliardi all'anno per gli armamenti: basterebbe questo per capire l'irrazionalità dell'ordine in cui viviamo e in cui dobbiamo lavorare e impegnarci come forze politiche.
Il futuro che abbiamo di fronte, l'hanno detto i colleghi che sono intervenuti prima di me, vedrà la terra abitata da 7 miliardi di individui per lo più affamati, che avranno un ambiente spogliato di risorse essenziali e saranno costretti a una degradazione collettiva irreversibile.
L'intervento del Consigliere, Salvetti ha rappresentato quantitativamente questa tragedia e giustamente non ha parlato solo del dramma della morte, ha parlato delle malattie, delle menomazioni fisiche e mentali a cui sono costretti i popoli denutriti. Ma forse (mi riferisco ad una annotazione di una politologa americana, Susan Giorge) "l'aspetto moralmente più rivoltante delle ingiustizie causate dalla denutrizione è che essa può impedire a grandi masse di persone persino di realizzare il loro potenziale genetico. Il bambino che non abbia un sufficiente apporto calorico e proteico nelle ultime settimane prenatali e nei primi mesi di vita sarà danneggiato mentalmente in modo permanente".
Di fronte a queste abissali disuguaglianze e a questa sofferenza ci ripugna la teoria secondo cui stiamo facendo una retorica di divisione tra ricchi e poveri, secondo l'espressione del Presidente degli Stati Uniti.
Lo scandalo della fame lo deduciamo tutti dalle statistiche dell'ONU.
Per renderci conto che non si fa della retorica credo basterebbe considerare il fatto che il bestiame americano mangia ogni anno in cereali l'equivalente del consumo umano totale di Cina e India messe insieme. Ma allo stesso modo, rifiutiamo una politica di libero mercato e di espansione degli investimenti privati così come aveva anche detto giustamente il Consigliere Salvetti.
Quali conseguenze ha avuto la dinamica della produzione alimentare dei paesi sviluppati in quanto vincolata esclusivamente alla domanda monetaria del mercato? Faccio qualche esempio. Negli anni '68/70 c'era una domanda crescente di cereali, eppure, proprio in quegli anni, i maggiori paesi esportatori di cereali hanno ridotto di un terzo le loro terre cerealicole e così ecco che la penuria alimentare diventa una leva essenziale del mercato, un artificio, un dato manovrato. E questo spiega perché il riso, la soia, il frumento hanno subito in questo decennio le manipolazioni di produzione, di prezzo e di scorte che noi sappiamo, dei cui dati disponiamo. Ma non credo che ci si possa fermare soltanto qui. Quante multinazionali, e qui sono state evocate da diversi interventi, a causa dei nuovi prezzi mondiali degli alimenti fanno investimenti agricoli nei paesi sottosviluppati utilizzando, a condizioni immensamente vantaggiose, la terra e la manodopera dei paesi che li ospita per produrre alimenti, i quali non vanno a soddisfare che in minima parte i bisogni delle popolazioni locali, ma invece sono esportati verso i mercati dei paesi ricchi? Non solo, ma spesso i ricavi delle colture per l'esportazione non pagano neppure le importazioni di alimenti. Vi sono studi di grande importanza sui cui dovremmo riflettere tutti, che fanno pensare che questi interventi di carattere libero e privato, fuori da una pianificazione, creano guasti definitivi nei modelli locali di occupazione, nelle colture alimentari locali, nei gusti dei consumatori e persino nella i struttura e nell'organizzazione dei villaggi e delle famiglie.
Molti economisti dei Paesi sud -americani hanno indicato questo squilibrio, questa distorsione grave tra il fatto che si sono spinti avanti, si sono modernizzati, i processi di consumo nei paesi del Terzo Mondo e non si sono invece spinti avanti e sviluppati i processi per la crescita della base produttiva.
Questa è la sostanza e l'essenza fondamentale del colonialismo, che anche negli anni recenti in cui viviamo, è stato ed è tutt'altro che pacifico.
Mi rammarico che nessuno più ricordi (e purtroppo anche in quegli anni nessuno ne parlava salvo il partito a cui appartengo) che la normalizzazione dell'Indonesia, la repressione delle masse contadine indonesiane, lo sterminio di un milione di comunisti indonesiani (il più grande partito comunista organizzato dell'Asia, naturalmente dopo quello cinese) siano stati determinati per impedire una riforma agraria in cui c'erano enormi interessi di potentati americani e anche di rispettabili Fondazioni, come la Fondazione Ford.
Vi sono due dati sostanziali, che emergono nell'attuale crisi che investe il mondo: l'impraticabilità, ormai, del bipolarismo fra USA ed URSS che ha caratterizzato una lunga fase delle relazioni internazionali (basti pensare a questo proposito alla questione energetica) e l'avvio della modernizzazione del Sud quale condizione per lo sviluppo del Nord. Ciò è possibile soltanto sé, ben oltre la politica degli aiuti, che noi riconosciamo necessari e che va perseguita anche sui livelli dello 0,70 del prodotto nazionale lordo che era stato deliberato e che non è mai stato rispettato nemmeno dai paesi europei - si trasmettono beni, conoscenze tecnologie che producono autonomia, che possono far crescere la base produttiva nei paesi sottosviluppati e che non producono, come hanno fatto finora, dipendenze. Quindi si tratta di trasformare gli stessi modi di produzione e di scambio nelle nostre aree sviluppate.
Vi sono tecnologie fornite da società multinazionali di consulenza - un esempio per tutti è la lunga vicenda della rivoluzione verde - che in realtà accentuano e perpetuano il sottosviluppo perché hanno costi iniziali enormi, perché hanno costi di esercizio insostenibili (pensate soltanto alla questione dei fertilizzanti), perché creano un rapporto di dipendenza in quanto determinano scelte a lungo termine dei paesi che vengono investiti da questi processi.
Vorrei ricordare un atto molto significativo del Parlamento Europeo: la risoluzione del settembre 1980, che ha ricevuto all'unanimità i consensi (si è astenuto soltanto il partito comunista francese e hanno votato contro i radicali italiani). Essa ha espresso una valutazione corretta delle cause del sottosviluppo e ha indicato vie operative che tengono conto di misure di aiuto, ma non soltanto di aiuto. Ciò che viene sottolineato nella risoluzione, e che è particolarmente significativo, è il fatto che le politiche di aiuto hanno avuto e hanno un limite intrinseco fintantoché "si inseriscono - cito dal testo - lasciandoli intatti i meccanismi di un sistema di relazioni economiche e politiche internazionali basato sull'ineguaglianza e sul dominio dei paesi più forti e delle grandi multinazionali".
Per noi comunisti porsi il problema dello sviluppo vuol dire, in un certo senso, porsi sempre meno il problema dei paesi sottosviluppati e sempre più quello della crisi economica mondiale.
Dunque, i problemi prioritari che stanno di fronte ad ogni paese, ad ogni area del mondo, sono quelli di programmare la redistribuzione delle risorse e degli investimenti, promuovere un sistema nuovo di scambi ed una diversa divisione internazionale del lavoro, disporre un uso comune della scienza e della tecnologia in grado di contenere l'esplosiva questione del rapporto popolazione e risorse.
In questo quadro noi riteniamo si debba parlare di una cooperazione paritaria fra paesi capitalistici, paesi sottosviluppati e paesi socialisti.
Per i paesi socialisti industrializzati a noi pare si ponga sempre più l'esigenza di assumere la soluzione del problema del sottosviluppo come componente essenziale di una politica di pacifica coesistenza e di cooperazione internazionale. Diciamo tutto questa ben distinguendo naturalmente fra livelli di responsabilità, perché non vi è dubbio che il sottosviluppo (e lo dicevo anche prima) sia storicamente un prodotto del capitalismo imperialistico e del dominio coloniale che si perpetua ancora nei diversi modi neocolonialisti che abbiamo già considerato.
Inoltre, al di là del discrimine storico, pesa oggi in modo decisivo la questione dei livelli, dei redditi e dei consumi fra i diversi paesi industrializzati.
Ma fatta questa riserva, che non può tacere peraltro il contributo enorme delle rivoluzioni anticoloniali nel processo di liberazione dalla dipendenza dello sfruttamento di grandi aree del mondo, ribadiamo l'esigenza di una cooperazione mondiale che coinvolga tutti allo stesso livello.
Per questo ci sembra che la strada da percorrere sia quella già qui indicata del negoziato globale.
In questo senso ci pare si muova l'immenso movimento di pace che si è sviluppato in Europa e che giustamente considera strettamente intrecciati i problemi dello sviluppo e quelli della pace e del disarmo, in quanto problemi di rapporti tra gli stati, di superamento della politica dei blocchi, di destinazione di immense risorse e di profonda modificazione delle strutture della produzione e degli scambi.
L'Europa ha un ruolo essenziale da giocare in questa partita, proprio per la sua peculiarità storica, geografica ed economica. Ed è per questo che sempre più è necessario che esca da particolarismi che soffocano queste prospettive, da protezionismi, da nazionalismi che oggi la dividono e che l'hanno condotta al fondo della sua crisi. Essa deve invece esprimere una politica unitaria ed autonoma.
E' su questo terreno che si colloca ogni iniziativa delle forze politiche del nostro paese, ogni iniziativa che voglia incidere significativamente e dare un contributo alla trasformazione dei rapporti internazionali.
Sempre meno ci deve sembrare sfasato rispetto alla vastità ed alla complessità dei problemi (e tutti gli interventi in qualche modo l'hanno sottolineato) sempre meno, dicevo, ci deve sembrare sfasato il nostro impegno anche all'interno della collocazione regionale.
Ne parlava in particolare il Consigliere Montefalchesi. Sono d'accordo.
I caratteri stessi della nostra crisi in Piemonte non si capiscono e non si possono superare se non in questa dimensione. Non ci può essere quindi troppa distanza tra il dibattito che abbiamo fatto la settimana scorsa e le cose che stiamo dicendo oggi. Vi sono problemi di ristrutturazione industriale, di finalizzazione diversa della produzione, di alta qualificazione della progettazione, di sviluppo della scienza, di revisione delle politiche di mercato che vanno visti strettamente intrecciati proprio nello svolgere il nostro lavoro di governo regionale. Per cui il discorso del Consigliere Reburdo di connettere questi temi dentro all'elaborazione del Piano di sviluppo mi trovano pienamente d'accordo. Sono da sperimentare forme nuove di collaborazione per obiettivi anche soprannazionali. Penso che Ignitor sia un esempio da non dimenticare. Comunque al di là di questo che sicuramente si muove in tale ottica, vanno ricercati e vanno costruiti modelli di relazioni fra scienza, industria, istituzioni locali, Stato centri finanziari che ci offrano la possibilità di percorrere strade, anche più ambiziose, ma necessarie per uscire dal fondo della nostra crisi.
L'ordine del giorno dei Consiglieri Montefalchesi, Reburdo e Salvetti chiede anche progetti e programmi per l'informazione. Il collega Martini conveniva anche su questo tema. C'è da lavorare su un piano di orientamento più generale dei consumi. Bisogna impegnarci come forze politiche su questioni come il consumismo sbagliato, distorto, gli sprechi. Bisogna lavorare per costruire una vita più sobria ma che sia anche culturalmente più ricca e contenga nuovi valori.
Abbiamo difficoltà enormi, nel presente, che richiedono realismo, che ci devono far considerare con umiltà le difficoltà che abbiamo davanti. Ma credo dobbiamo anche avere la forza di costruire con nuove idee.
La crisi ci chiama a misurarci con problemi che richiedono anche una sovraesposizione di valori e di ideali che ci possono anche far sentire talvolta imbarazzati. Credo che sarà sulla capacità e sul coraggio di interventi profondi di trasformazione che dovremo rispondere delle responsabilità che abbiamo.


Argomento:

Esame ordine del giorno presentato dai Consiglieri Reburdo, Montefalchesi e Salvetti sulla fame nel mondo

Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Faccio presente che molti del nostro Gruppo verso le ore 18,30 hanno degli impegni: la seduta non potrà andare fino a tarda ora.



PRESIDENTE

Consigliere Paganelli, l'ordine del giorno non è così nutrito da non poter permettere di finire entro le 18,30.



PAGANELLI Ettore

Preciso che questo dibattito non è certamente terminato. L'importante è che non si proceda ad oltranza.



PRESIDENTE

Comunico che il dibattito riprenderà alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,50)



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