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Dettaglio seduta n.89 del 12/11/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Industria (anche piccola e media) - Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sui problemi dell'occupazione e della politica industriale in Piemonte (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prosegue il dibattito sui problemi dell'occupazione e della politica industriale in Piemonte, come dal punto quarto all'ordine del giorno.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Alasia. Ne ha facoltà.



ALASIA Giovanni

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il quadro che ancora una volta diligentemente e puntualmente l'Assessore Sanlorenzo ci ha fatto, sia per gli elementi di quantità che di qualità che si evincono rispetto alla crisi, ci dice la gravità, il peso della crisi, con caratteri del tutto eccezionali e di lunga conseguenza in Piemonte.
E' dunque un fatto assai responsabile quello che compie il Consiglio oggi soffermandosi ad analizzare analiticamente la situazione. La Giunta ha il compito, come puntualmente sta facendo, di seguire le situazioni di crisi nella loro specificità per non fare di ogni erba un fascio.
Riprenderò alcune questioni e alcune domande che, per brevità e per un richiamo procedurale del Presidente di turno di allora, mi toccò formulare in termini stringati nella seduta del 29 ottobre.
Ma l'andamento della discussione del 29 ottobre e di quella di questa mattina, mi induce a fare una considerazione d'ordine generale dalla quale assolutamente non possiamo esimerci. Dopo quella seduta, quando fummo obbligati a fare una discussione stringata dopo che l'Assessore Sanlorenzo aveva fornito un quadro dettagliato della situazione (e noi non abbiamo mancato di sottolineare anche in quell'occasione l'urgenza delle questioni di politica industriale e occupazionale) è venuto il drammatico appello alla TV del Presidente Spadolini poi ripreso e riproposto a Redipuglia.
Spero che non si dica che anche Spadolini "lacrima", rimprovero mosso allora inopportunamente alla Giunta, quando Sanlorenzo presentò quel quadro. Noi certo non lo diciamo; diciamo, anzi, che siamo d'accordo con il suo richiamo e lo giudichiamo un atto serio e dovuto al Paese.
Il "coraggio della verità" come qualcuno ha detto in polemica con "l'ipocrisia ottimistica ufficiale di questi anni". Noi, in verità, lo consideriamo qualche cosa di più; un atto che innova nel senso che rompe gli indugi con quello che è stato il facilone ottimismo di questi anni.
Nessuno dei colleghi avrà dimenticato che nella primavera del 1980 pot formarsi il Governo Forlani senza che nelle dichiarazioni programmatiche vi fosse un minimo programma di politica economica. E non dimentichiamo che in questi anni si è pervicacemente svuotata la legge 675 che doveva operare per la ristrutturazione e riconversione industriale e che fu varata dal governo di solidarietà nazionale.
Bastianini stamane ha svolto un intervento molto corretto e ha espresso un concetto giusto quando ha detto che nel nostro Paese non si può più fare a meno di una politica industriale. Ha posto correttamente questo problema come ha posto correttamente il problema del peso degli 84 progetti, a differenza di Carletto, che ha teso darne una interpretazione riduttiva. Di fronte a situazioni di inadempienza della 675 altro che "spostamento di responsabilità allo Stato! ", caro Carletto.
Tutte le Regioni hanno dato ripetutamente negli anni passati pareri sulla politica di settore, l'hanno dato anche in modo unitario. Che cosa se ne è fatto di quei pareri? Negli anni passati persino l'idea della programmazione, che poi fa parte della nuova cultura industriale di Paesi come gli Stati Uniti, intesa non in modo dirigistico e vincolistico, ma intesa come quadro di riferimento di obiettivi, di finalità, di strumenti da attivare (che è poi la legge 675), quella programmazione che il potere politico deve offrire all'insieme delle forze istituzionali, produttive e sociali, veniva messa in forse; venivano esorcizzati i cosiddetti "lacci e lacciuoli" che si tramavano nell'ombra, mentre la nostra solerte imprenditoria avrebbe trovato da sé e in virtù propria la capacità di ripresa. Così si giunge persino a quella versione "sbarcata" e culturalmente rozza della ideologia neoliberista che andò sotto la teoria del "brambillismo". Mi pare di evincere dalle cose dette da Bastianini, che il "lasciar fare e il lasciar passare" è difficile in questi tempi al livello in cui si pongono i problemi dell'economia industriale, senza che Stati e Governi attuino una serie di misure. Noi l'abbiamo detto mille volte e non ci stancheremo di ripeterlo perché questo è il punto sul quale si va riorganizzando l'economia mondiale. Non abbiamo nessuna fisima nazionalizzatrice - lo abbiamo detto più di una volta - ma a nessuno sfugge, soprattutto non sfugge ai compagni socialisti, che Mitterand sta nazionalizzando 43 aziende e che tipo di aziende! Ma non fa le operazioni IRI del 1929 al tempo di Benito Mussolini: nazionalizza la Pechiney, La Saint Gobain, la Rhome Poulemic, ecc.
Non sfugge a nessuno il significato di grande sfida mondiale che hanno le misure attuate dagli Stati Uniti e dal Giappone. Noi nel corso degli ultimi mesi abbiamo lamentato l'ingresso delle auto giapponesi in Europa: un Paese che ha il 3% della popolazione mondiale, ha lo 0,3% della superficie mondiale, si trova già al 10% del prodotto lordo mondiale industriale. Certo noi non vorremmo ricalcarne il modello di vita, non si tratta di questo; ma si tratta di capire che certe misure si attuano solo in modo concertato e a livello statuale; si tratta di capire il significato delle misure annunciate la scorsa settimana: il Giappone impianta in Lussemburgo un'attività nell'elettronica e segnatamente nel controllo numerico.
E' facile immaginare i riflessi che questa operazione avrà sulla meccanica strumentale. I tecnici prevedono che sia sconvolgente. Non voglio essere un facilone, giustamente non ci sono né santoni né guaritori, e noi per la carità, non siamo guaritori e tanto meno santi, non vogliamo dare l'impressione di poter risolvere tutto. La situazione è troppo grave e difficile per tutti. Sulla famosa barca, anche se con modi e responsabilità diverse, ci siamo tutti e il movimento operaio ed il mio Partito non giocano allo sbarco. Ma noi cosa facciamo? Noi siamo alle prese - tanto per fare un esempio - col caso rivelatore della Nebiolo dove i dirigenti Comau ci hanno descritto l'allucinante situazione di un'azienda, quasi unica nella grafica che non ha progettazione. L'ing. Rossi e l'ing. Risi ci dicono che quando saranno andati in esaurimento le attuali tipologie del prodotto, la Nebiolo non esisterà più. Mi chiedo se un' azienda di queste dimensioni, assunta dalla Fiat per il 99%, gestita dal Comau, possa giustificarsi adducendo la ragione che il partner Cerutti di Casale non avrebbe mantenuto gli impegni di apporti tecnologici. Non è immaginabile che un gruppo delle dimensioni della Fiat-Comau non riesca a darsi una progettazione adeguata. E la questione è urgente. Ci hanno chiesto un incontro per domani con i Capigruppo. L'eventuale perdita della scadenza della Fiera Internazionale di Dusseldorf, che dà il là a tutto il settore sarebbe di pregiudizio, non solo per questo esercizio, ma anche per il futuro. Non si possono perdere battute in questo campo, mentre gli altri si attrezzano con politiche concertate tra imprenditori, grandi gruppi e Stato.
I provvedimenti di sospensione preannunciati, con i quali si avrebbe alla Nebiolo la messa in Cassa Integrazione dei due terzi della maestranza pare taglino proprio nelle condizioni essenziali per la ripresa: la progettazione, la lavorazione pesante, il settore commerciale ed il montaggio. Comprendiamo che il disimpegno del Gruppo Cerutti abbia creato una situazione nuova, tuttavia l'accordo del 27 giugno ci pare importante perché prevedeva una ripresa sia pure minima. Riteniamo necessario, tanto più se verrà confermata la voce secondo cui l'azienda sarebbe disposta a rinviare la seconda tranche di Cassa Integrazione, che la Regione, partendo da quell'accordo, si adoperi per avere una progettualità. Il discorso della progettualità della Nebiolo vale per tutte le situazioni.
Il Ministro Marcora al Convegno API ha richiamato la necessità di "realizzare una serie di politiche strutturali e settoriali indispensabili per incentivare la trasformazione delle industrie". Ebbene questo nuovo accenno di volontà programmatoria, salvo discutere gli interventi e le terapie, ci trova consenzienti. Ma stupisce il fatto che a distanza di anni dal varo della legge 675, che fu concepita anche con il nostro appoggio e definita come una legge di "settori", si arrivi oggi a richiamare l'esigenza di una politica di settore. Non intendiamo piangere sul latte versato, ma ci domandiamo il perché; il perché soprattutto pensando alle cose da fare.
E' proprio sicuro il Ministro Marcora, quando parla di volontà, che mancano, che il Governo e la grande imprenditoria abbiano manifestato questa volontà? Quando si sa - lo sanno ormai anche i ragazzi di prima Ragioneria - che i due termini essenziali per una politica di settore sono la legge nazionale di sostegno al settore, che va gestita dal governo, e la predisposizione dei piani di programmi di impresa che siano coerenti per obiettivi e per finalità ai piani di settore. Se si va a battere cassa, i denari non si danno alla leggera, ma si danno per determinati obiettivi.
Nella seduta del 29 ottobre avevo posto una domanda all'Assessore al lavoro sul ricorso della Fiat alla legge 675. Lo ringrazio per aver fornito il documento sui programmi Fiat sulla legge 675. Resta tuttavia la nostra curiosità. Resta perché a fine luglio il Ministro Marcora affermò ai sindacati e all'Assessore Sanlorenzo che la Fiat non aveva presentato alcun progetto; poi nel mese di ottobre abbiamo appreso dalla pagina economica de "La Stampa" che la Fiat aveva presentato fin dal 30 giugno la domanda sulla 675 alla Mediobanca. Strani misteri procedurali e strani misteri programmatici giacché la Fiat, attraverso l'ing. Romiti, aveva affermato di non aver alcun interesse al ricorso alla legge 675, non avendo sollecitato una politica di settore, e di essere semplicemente interessata al fondo di innovazione.
Oggi, ovviamente, la situazione è cambiata e ben venga una progettualità Fiat, ma qui torna la domanda: è stata interessata la Regione a questa procedura? Si è verificata la rispondenza dei programmi Fiat con la deliberazione Cipi per il settore auto? Le stesse domande sorgono per il settore siderurgico. Condivido le osservazioni del Consigliere Montefalchesi che non ripeto, a proposito delle importazioni.
Dal Ministro De Michelis ci siamo sentiti rispondere che il progetto Finsider non era stato inviato in Piemonte, perché l'Italsider gravita in Liguria. Ho già fatto questa battuta e mi scuso: sarebbe come dire che per la Ferroleghe si va a discutere in Svizzera, visto che si trova a Domodossola! Premettiamo allora che la Regione Piemonte è fortemente interessata al settore siderurgico dato che vi operano aziende dell'Italsider e della Teksid. Nel 1979 in Piemonte ed in Val d'Aosta i dipendenti nella siderurgia erano 26.755, oggi sono 23.400; se verranno attuati i piani dovrebbero scendere a 19 mila; ed è previsto anche un drastico calo dei volumi produttivi (da 26 milioni e mezzo di tonnellate a 22).
Il noto piano Finsider, malgrado le acrobazie dell'Assessore Sanlorenzo, il Piemonte l'ha avuto dalla Regione Valle d'Aosta. Mi risulta che alla Regione Lombardia è stato trasmesso; la Lombardia ha formalizzato un parere ed ha chiesto al Governo di ricontrattare qualità e quantità di produzione dicesi a livello comunitario. Non sono solo le cifre relative alla produzione ed all'occupazione a dire l'importanza del settore per il Piemonte. Non vorrei, quando citiamo queste cifre, che si ritenesse che noi pensiamo alla difesa statica dell'esistente. Vogliamo invece fare un discorso di qualità della produzione perché, per esempio, l'avvenire degli acciai speciali deve farci riflettere. E allora ci sono alcuni nodi da chiarire.
Nell'ipotesi di sistemazione della Finsider c'è il problema della sistemazione e del trapasso di proprietà della Teksid-Fiat e c'è una richiesta di finanziamento della Fiat sulla 675. Come si conciliano queste cose? Ci sono i previsti trasferimenti di attività a Piombino. C'è la pesante situazione Verbano-Cusio-Ossola. Ben venga il Ministro Aniasi intanto però si rispetti l'accordo per il carburo, firmato dal Governo e si rispetti l'impegno assunto sull'operazione Ferroleghe.
Sarà difficile discutere con il Ministro e discutere delle risultanze della Commissione Interregionale per l'Ossola, che noi assumiamo e accettiamo in larga misura, se un altro Ministro in un settore decisivo come quello della siderurgia decide in senso diverso. Il Ministro Marcora ha assicurato che la domanda sulla 675 per ristrutturazione della Piero Maria Ceretti è stata accolta. Ci va bene, ma, dal momento in cui esiste un piano pubblico che influenzerà tutto il settore, e c'è il disegno di plafonare le produzioni ad un certo livello, vogliamo capire all'interno di questo quadro come si dimensiona la Pietro Maria Ceretti e se c'è o meno un futuro per la Pietra di Omegna.
Vogliamo capire quale rapporto c'è tra la Sisma di Villadossola e di Bussoleno (essendo aperti i problemi sull'assetto proprietario sin dai tempi in cui si costituì la finanziaria IRI dopo lo scioglimento dell'Egam) e il Piano Finsider.
Credo, signori Consiglieri, che in una situazione del genere un particolare impegno debba essere messo dal sistema creditizio. Sono lieto che il collega Viglione abbia sollevato la questione dell'entità dei depositi bancari.
Ci sono crisi strutturali ma ci sono contemporaneamente situazioni che vanno debitamente sostenute perché hanno ampi spazi di mercato e proprie capacità produttive.
Lunedì ero a Bra all'assemblea della C.M.B. (Costruzioni Meccaniche Braidesi), azienda con alte capacità tecnologiche, con una vasta gamma di produzione, con un portafoglio di commesse per 14 miliardi e che ha trattative in corso con Germania, Cuba, il Terzo Mondo e con aziende pubbliche italiane, che, tuttavia, rischia di fallire per strozzatura finanziaria. L'Assessore Sanlorenzo e colleghi di diversi Gruppi in queste settimane hanno assistito a concitate riunioni e telefonate per ottenere l'assenso delle banche, che in un primo tempo era stato dato, poi venne ritirato; ora pare si apra uno spiraglio con la domanda presentata da Borelli.
Non riapro il discorso sul credito selezionato fatto da Sanlorenzo sulla legge 902. Caro Carletto, altro che giocare a scarica barile sul Governo: è il Governo che ha scaricato su di noi il barile della 902 mutando i criteri fissati per le istruttorie in ripetute versioni quasi comiche. La questione del credito è aperta.
Ma per tornare allo CMB in questa azienda l'ipotesi ventilata di amministrazione controllata può avere due significati diversi a seconda se l'amministrazione controllata sarà accompagnata da un impegno gestionale che darà l'avvio alla ripresa, oppure se sarà una gestione burocratica preludio al fallimento. Questo dipenderà in larga misura dagli impegni degli istituti di credito. Si potrebbero fare molti altri esempi analoghi.
E dal momento che la Giunta ha siglato con le organizzazioni sindacali un verbale d'intesa sui problemi del credito, noi proponiamo che si avvii subito la gestione di quel Verbale d'intesa attivando quanto in esso è previsto: una seconda consulta permanente fra banche e Regione. Credo del resto che l'impegno e l'esperimento diretto che la Giunta realizza in questi giorni con le banche per la Pianelli e per la CMB sia già una premessa seria per sistematizzare questo impegno.
Vorrei a questo punto trattare alcune questioni relative al mercato del lavoro e all'occupazione. Vorrei dire al collega Bastianini, che ha svolto un intervento serio, apprezzabile e attento, che non c'è bisogno di invitare la Giunta ad avere più coraggio sull'illustrazione di alcuni fattori di costo. E' un invito che faccio anch'io volentieri alla Giunta. E allora Bastianini vedrà che non è affatto vero che il costo del lavoro in Italia è più alto di quello degli altri Paesi europei: è una convinzione da sfatare. Ghidella la scorsa settimana e Romiti tempo prima l'hanno dichiarato chiaramente, affermando che il costo lavoro Fiat non è affatto superiore a quello dei concorrenti. Se poi si vuole comprendere in queste svalutazioni le anomalie parassitarie dell'Italia, allora è un altro discorso.
Bastianini Attilio, o non hai capito una questione oppure c'è l'abitudine di accarezzarci a vicenda o di cercare bersagli di comodo. Non vorrei che tu cercassi fra Montefalchesi e Viglione di separare due scuole socialiste, che tanto sono già separate abbastanza nettamente. Il 23 luglio in quest'aula il nostro Gruppo si è diffuso sulle possibilità e sui caratteri del terziario, prendendo spunto da un saggio che aveva elaborato l'Assessore Testa.
Dissi allora che il terziario veniva sbandierato con intenti elusivi rispetto al corpo del problema che si pone nell'industria e nell'agricoltura. Sono lieto di quanto ha scritto l'API in questi giorni.
Non riprendo la questione del Centro Ricerche Fiat, non riprendo la questione di Castallanza. A tre mesi di distanza, da quando qui facevamo quelle osservazioni, il Convegno API della scorsa settimana ha espresso opinioni del tutto simili alle nostre. Diceva l'ing. Busso della Confapi "il nostro non è un no alla terziarizzazione, è un no alla terziarizzazione che non produce risorse. Siamo per una terziarizzazione dedicata all'industria". Mi pare di non aver molto da aggiungere. E siccome si apre un campo importante di applicazione, lo raccomandiamo all'attenzione della Giunta; ma in quest'ottica, non in un'altra ottica: altrimenti il nostro tentativo diventa il quaternario napoletano che è tutt'altra cosa.
La questione della riforma del collocamento e della nominatività delle assunzioni sappiamo quanto sia complessa quindi non possiamo sbrigarla con una battuta. L'associazione degli artigiani metalmeccanici si preoccupa di trovare una discriminante fra aziende di puro decentramento produttivo della grande azienda e le aziende artigiane che hanno una progettualità in proprio. Questo esempio può dire quanto la questione sia complessa. Il Consigliere Viglione sa che questa questione la scuso solo se regolamentata a livello nazionale.
La 760, votata in un ramo del parlamento contiene una certa formulazione. E' votata dai partiti di maggioranza. Non vedo come si possano avere, delle posizioni; una a Roma e l'altra, diversa, a Torino. Il nostro giudizio sulla sperimentazione di mobilità è stato ripetutamente espresso in ogni occasione. Non è il caso qui di ripeterlo. Faccio anch'io parte di quella compagnia di pellegrini che siedono nella Commissione della mobilità: abbiamo raccolto tutti le nostre amarezze.
La Giunta ha compiuto un atto serio e coraggioso perché siamo ancora in assenza della 760 ed il problema si presenta arduo in presenza di crisi del mercato del lavoro. Voglio vedere come faranno Sanlorenzo, Ferrero, Brizio membri effettivi della Commissione, e Bastianini e Alasia, membri supplenti, a dare i posti di lavoro in una situazione dove i posti di lavoro scarseggiano: qualunque cosa faranno sarà molto delicata, e ci saranno sempre critiche.
Agli amici che avessero la memoria corta su tale questione e che continuassero in quelle esercitazioni per contrapporre presunti sostenitori a presunti oppositori della mobilità, vorrei ricordare che con la presentazione dei provvedimenti di politica economica, avvenuta nel mese di maggio, cioè prima dell'accordo Fiat, la Giunta assumeva, fra gli altri l'impegno di "sperimentazione da attuarsi su casi concreti e non attraverso simulazioni".
Tornando indietro negli anni, quando non esisteva nemmeno la norma contrattuale a questo proposito, la Regione allora presieduta dal Consigliere Viglione, stipulò accordi di mobilità significativi, seppure limitati, ogni qualvolta veniva composto un accordo sindacale fra le parti che garantiva lo sbocco occupazionale con una spesa di diversi miliardi per la formazione professionale. Ho ben presenti le attestazioni di lealtà e di impegno che ci diede il Presidente dell'Unione Industriale di Asti Vallarino Gancia, in occasione, per esempio, dell'operazione Nuova Melco e se Vallarino Gancia un giorno vorrà dirlo, potrà semmai dire da quali parti ha avuto rimbrotti. Anche su questo non ci piove. L'Osservatorio regionale del lavoro in accordo con la Federpiemonte ha ultimato l'indagine sulla domanda. E' un passo importante che potrà orientare la nostra attività formativa.
Tutto questo dovrebbe consentirci di chiudere una polemica e di dare lealmente atto alla Giunta dei suoi sforzi e dei suoi impegni in un campo così difficile. Siamo tutti reduci da quelle riunioni.
Qui non siamo, signori Consiglieri, nella sede della Commissione regionale e sarebbe fuori luogo soffermarsi sulle questioni delle modalità che deve darsi la Commissione. Vanno però dette alcune cose partendo dal presupposto che abbiamo su questo un impegno senza riserve, che vogliamo realizzare dei risultati. Allora, la prima cosa è di non nascondere le difficoltà serie, che sono di varia natura. Le abbiamo già viste nelle riunioni della commissione per darci una delibera. A me qui interessa sollevare la questione sostanziale della fattibilità concreta del processo di mobilità: iter operativo, formazione e riqualificazione professionale passaggi, nuovi posti di lavoro.
Bastianini stamane ha detto una cosa saggia (che vorrei sposare facendo una proposta) quando ha affermato che bisogna assumere "un atteggiamento che sia in rottura con comportamenti consolidati". Benissimo.
Siccome, colleghi Consiglieri, abbiamo tutti sporte di amarezza e siamo vaccinati dalle interminabili giostre di parole del mondo politico amministrativo, sindacale (tanto che siamo riusciti a sorridere persino su trovate che hanno un sottofondo qualunquistico, ma stimolante, come quella di quel prontuario di frasi a tutti gli usi "per riempire di vuoto il nulla"), credo siamo allora indotti a pensare alla realizzabilità delle cose. Allora venendo alla questione che mi sta a cuore credo non sia sfuggito a nessuno che non appena si è insediata la Commissione della mobilità, il Sottosegretario Cresco ha affermato che il vero problema è a monte e che occorre valutare se c'è la volontà politica di investire per creare nuovi posti di lavoro. Sanlorenzo ci raccontava di quell'operaio in Cassa Integrazione che diceva: "il corso per l'informatica l'ho fatto, la riqualificazione l'ho compiuta, il posto chi me lo dà? ".
Signori, io non scappo per la tangente. Non voglio andare oltre il segno del "tentativo di sperimentazione". Ma pongo un problema che è presente a tutti; resto nel campo obbligatoriamente ristretto della mobilità, e pongo, a nome del mio Gruppo, una questione che prima o poi si presenterà. Con questo spero di rispondere anche al collega Montefalchesi che chiedeva che cosa ne pensano le forze politiche. Il problema di coinvolgere ai fini della mobilità tutte le assunzioni, anche quelle fatte in modo diretto, e non di limitarsi all'area delle assunzioni numeriche per assicurare una base più ampia e consistente di possibilità di reimpiego. Dagli ultimi dati del mercato del lavoro risulta che nel corso dell'ultimo anno gli avviati nominativi sono assai superiori a quelli numerici.



BASTIANINI Attilio

Applica quella norma, così perderemo anche quei posti di lavoro.



ALASIA Giovanni

Caro Bastianini, non l'ho sollevata in Commissione questa questione.
Rispettiamo i lavori e la Commissione. Non siamo nati ieri, abbiamo 40 anni di contrattazione alle spalle, sappiamo che cosa significa quella sede, per procedere gradualmente, per non perdere anche acquisizioni parziali del lavoro. Ricordo però che questa questione noi comunisti l'abbiamo messa in discussione fin dal 7 ottobre sulle colonne dell'Unità. Prima o poi si aprirà. Credo che un modo per dimostrare che si "rompono i tradizionali atteggiamenti" come tu dici, sia anche questo. Sappiamo di sollevare una questione controversa; lo stesso rappresentante dell'Unione Industriale ha riconosciuto la legittimità di queste questioni, salvo non essere d'accordo.
Visto che il mio Partito non è al Governo, vorrei ricordare che il principio del coinvolgimento di tutte le assunzioni, numeriche e nominative, nei processi di mobilità è stato sostenuto dai presentatori della proposta di legge di fonte governativa ed è passata alla Camera con il vostro voto. So di parlare non in forza di una legge, ma il Sottosegretario Cresco mi ha confermato che questo è l'orientamento e che così è stata votata dai vostri Partiti. Mi direte che è uno strano modo di ragionare questo, su una legge che non c'è. Non è affatto strano perch andando ad una sperimentazione, tanto difficile e tanto faticosa, non vedo perché non si debbono dare prove di buona volontà, al di fuori di steccati (che non sono i nostri). Non vedo perché un principio che viene ritenuto serio da forze di governo e che viene da noi caldeggiato e che risponde a criteri di concretezza non debba essere sperimentato.
L'altra questione importante è quella della riqualificazione professionale. Credo che la formazione professionale non è sprecata e non è assistenza, tanto più quanto più essa è finalizzata, cioè quando si conoscono i dati di scolarizzazione di partenza e gli ipotizzabili sbocchi.
Data la complessità della situazione sarebbe estremamente utile poter realizzare accordi-convenzione, che la legge regionale sulla formazione professionale prevede, con le parti imprenditoriali, con le parti sociali che vedano la Regione assumere l'onere e l'impegno formativo e vedano l'imprenditore assicurare determinati sbocchi occupazionali. E' quanto più di una volta aveva ventilato, seppure in termini vaghi, il Prof. Terna quando parlava della possibilità, ad indagine ultimata, di accorpare determinate domande omogenee per livello territoriale e di istituire corsi finalizzati.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, poiché altri sei Consiglieri hanno chiesto di intervenire sull'argomento, è opportuno stabilire l'ordine dei lavori.
Convoco i Capigruppo.



(La seduta sospesa alle ore 16,05 riprende alle ore 16,30)


Argomento: Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati

Esame deliberazione della Giunta regionale n. 166-10726: "Partecipazione della Regione Piemonte alle operazioni concernenti: il 12° censimento generale della popolazione; il 6° censimento generale dei servizi (U.L.P.A.) ed il 3° censimento generale dell'agricoltura"


PRESIDENTE

La seduta riprende.
I Capigruppo hanno concordato di portare a termine la discussione sull'occupazione e la politica industriale. Però prima di proseguire occorre esaminare il punto settimo dell'ordine del giorno: "Esame deliberazione della Giunta regionale n. 166-10726: 'Partecipazione della Regione Piemonte alle operazioni concernenti: il 12° censimento generale della popolazione; il 6° censimento generale dei servizi (U.L.P.A.) ed il 3 censimento generale dell'agricoltura' ".
Ve ne do lettura.
"Il Consiglio regionale preso atto che la Regione Piemonte, in relazione alla sua partecipazione al 12° censimento generale della popolazione; al 6 censimento generale dei servizi ed al 3° censimento generale dell'agricoltura, deve realizzare le seguenti operazioni: per quanto concerne il 12° censimento generale della popolazione: la registrazione, in sede locale, dei dati relativi al censimento e le successive elaborazioni degli stessi. Tali operazioni saranno realizzate ai sensi dell'art. 40 del DPR 28/9/1981, n. 542, di concerto con i Comuni per quanto concerne il 6° censimento dei servizi: la diretta rilevazione delle Unità Locali dei Servizi della P.A. dipendenti della Regione per quanto concerne il 3° censimento generale dell'agricoltura: iniziative di carattere organizzativo, in funzione della diretta partecipazione alle operazioni di censimento, previste per l'ottobre 1982.
Ritenuto che l'impegno della Regione in direzione delle suddette iniziative deve essere supportato dalla diretta partecipazione degli enti strumentali della Regione, fermo restando il prioritario impegno in 'direzione del coinvolgimento dei Comprensori, dei Comuni e degli altri Enti locali Rilevato che in relazione a detta partecipazione si rende necessario predisporre i provvedimenti organizzativi di seguito indicati: 1) 12° Censimento generale della popolazione stipulazione, ai sensi dell'art. 40 del DPR 28/9/1981 n. 542, di una convenzione con l'ISTAT, per la disciplina dei reciproci rapporti, anche a rilievo finanziario; sulla base di un testo predisposto dall'ISTAT stesso e verificato dalla Regione affidamento ad una o più ditte di perforazione, attraverso licitazione privata, della registrazione dei dati, sulla base di idoneo capitolato, recante le specifiche fornite dall'ISTAT stipulazione di una convenzione con il C.S.I. Piemonte, per le operazioni di controllo, verifica ed elaborazione dei dati istituzione di una Commissione di lavoro, coordinata dalla Regione per lo studio e la predisposizione di proposte per l'utilizzo dei dati del censimento (nei termini consentiti dalla convenzione con l'ISTAT e' dalle normative in materia), Commissione in cui faranno parte esperti e tecnici dei seguenti enti: C.S.I. Piemonte; IRES; ILPA; ESAP. Saranno invitati a far parte della Commissione 'docenti degli atenei torinesi, sulla base di un diretto rapporto con gli atenei stessi ed esperti di istituti di ricerca coinvolgimento, con modalità da definire in rapporto con l'ISTAT, dei Comitati comprensoriali nelle operazioni di carattere organizzativo e altresì, in funzione delle proposte di utilizzo dei dati, all'interno di quegli organismi regionali realizzazione di rapporto e raccordi con i Comuni (capoluoghi di provincia o superiori ai 100.000 abitanti) che hanno richiesto all'ISTAT di curare direttamente la registrazione in sede locale dei dati del censimento.
2) 6° censimento generale dei servizi (U.L.P.A.) diretta realizzazione del censimento delle Unità Sanitarie Locali dipendenti della Regione, attraverso l'attribuzione al personale dei Comitati comprensoriali del compito di rilevatori trasmissione dei dati all'ISTAT.
3) 3° censimento generale dell'agricoltura impostazione dei rapporti con l'ISTAT per definire la diretta partecipazione della Regione nelle operazioni di rilevazione, registrazione ed elaborazione dei dati istituzione di una Commissione di lavoro, coordinata dalla Regione con il compito di curare: a) la definizione delle modalità di rilevazione, registrazione ed elaborazione dei dati b) lo studio di criteri e di indicazioni a supporto dei provvedimenti organizzativi di cui al punto successivo adozione di provvedimenti organizzativi, di concerto con l'ESAP e con gli altri enti strumentali, per l'organizzazione, centrale o periferica delle rilevazioni, con particolare attenzione al necessario supporto tecnico delle operazioni di rilevazione istituzione di un'articolata organizzazione di strutture regionali per la predisposizione di una rete periferica di supporto alle organizzazioni zonali, assunte come riferimento principale per il supporto tecnico di cui sopra, in raccordo con le Amministrazioni provinciali, con i Comitati comprensoriali, con i Comuni, con le Comunità montane e con gli altri Enti locali, nonché con le organizzazioni di categoria interessate.
Vista la deliberazione n. 166-10726 della Giunta regionale visto il parere favorevole espresso in merito dalla I Commissione consiliare delibera 1) di approvare, nei termini in premessa schematicamente indicati, la partecipazione della Regione Piemonte alle operazioni concernenti i censimenti in oggetto 2) di demandare a singoli, specifici provvedimenti della Giunta regionale l'adozione delle deliberazioni recanti gli atti di organizzazione e gli impegni di lavoro in premessa pure indicati 3) di riservare alle stesse deliberazioni della Giunta regionale l'adozione dei necessari provvedimenti di finanziamento".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 31 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Industria (anche piccola e media) - Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sui problemi dell'occupazione e della politica industriale in Piemonte (seguito)


PRESIDENTE

Riprende il dibattito sui problemi dell'occupazione e della politica industriale in Piemonte.
La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, contribuisco a limitare i tempi del dibattito in quanto non sarà necessario un lungo discorso per manifestare il nostro punto di vista in ordine alle molte, interessanti ed appassionanti cose che abbiamo sentito dire, al riguardo delle quali tuttavia, ci corre l'obbligo di dichiarare immediatamente che siamo costretti ad assumere un atteggiamento difforme.
E' stato detto da più parti - ed è analisi tristemente esatta - che la crisi industriale di Torino e della Regione, il "caso Piemonte" come lo si è voluto chiamare, non ha precedenti negli ultimi trent'anni.
I dati al 31 ottobre scorso, comunicati ancora stamane dall'Assessore al lavoro, confermano la gravità di questa situazione: 300 aziende in difficoltà, 20.000 posti di lavoro in pericolo, 45.000 operai in Cassa Integrazione, 135.000 iscritti alle liste di collocamento; alla data del 1 settembre scorso, oltre 77.000 giovani erano in cerca di prima occupazione.
Indulgere ancora una volta nella ricerca delle cause, delle responsabilità che hanno portato alla gravissima recessione nel settore dell'auto, dei tessili, degli elettrodomestici, dell'edilizia, ci sembra essere, a questo punto, superfluo.
Lo abbiamo già fatto, partendo da punti di vista diversi e giungendo anche a conclusioni differenti, molte altre volte e non ci sembra il caso di insistervi ancora.
Diciamo che vi hanno concorso un po' tutti, imprenditori, sindacato governo. La verità è che si è andati avanti alla giornata, senza una precisa linea di strategia economica fra interventi di contraddizione evidente: ad esempio gli interventi promessi sino alla nausea a favore dell'industria automobilistica con il piano auto, di cui si parlava ancora stamane, e, di contro, il costante aumento del prezzo della benzina, il ritocco della tassa di circolazione, il rincaro delle tariffe autostradali.
Ma come ho detto, non intendiamo insistere lungo la strada dell'accertamento delle colpe, vogliamo invece offrire il contributo, o soltanto rappresentare il nostro punto di vista, sui "rimedi" che, secondo noi, si impongono per uscire fuori dal tunnel della crisi che, giova ricordarlo, è generale e di cui il caso Piemonte rappresenta soltanto un concentrato.
Perché si possa realizzare una politica industriale - e giustamente stamattina Bastianini sottolineava l'esigenza che in Italia ci si avvii finalmente ad una politica industriale che parta da certi punti fermi e che raggiunga certi scopi fondamentali - i nodi da sciogliere sono quelli dell'inflazione, del disavanzo pubblico, della dipendenza energetica dal petrolio, del costo globale del lavoro.
Quindi, a nostro avviso, occorre ridurre il prezzo delle risorse finanziarie, l'onere dell'energia, il peso delle diseconomie esterne all'industria, i nodi burocratici e amministrativi, entro i quali l'industria è costretta ad operare; contemporaneamente occorre migliorare l'apporto del fattore lavoro alla produzione, occorre lo sviluppo delle risorse della ricerca, l'innovazione tecnologica, l'approvvigionamento di materie prime.
Questi risultati non sono impossibili ad ottenersi. A nostro avviso, si ottengono con la regolamentazione legislativa del diritto di sciopero, non limitata ai soli servizi pubblici essenziali, si ottengono con l'aumento della produttività, con la disciplina in forza di legge della mobilità interna ed esterna della mano d'opera, si ottengono con la riforma della disciplina del collocamento che renda più efficiente l'incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Queste che abbiamo enunciato sono misure che anzitutto presuppongono l'esistenza di una strategia economica a livello nazionale la quale, per la verità, non ci sembra di ravvisare nell'attuale incerta e contraddittoria linea del Governo Spadolini e richiedono, come è evidente e chiaro interventi e decisioni di carattere governativo.
Ecco il punto: la Regione non ha le competenze e non ha i mezzi per fare fronte a simili problemi. Abbiamo già ammesso altre volte che nell'anno 1981, con la Regione ormai divenuta punto di riferimento in ogni processo industriale che si agita entro la società moderna, questa limitazione costituzionale può far discutere, può suscitare perplessità può essere fonte di discussione. Noi non abbiamo alcuna difficoltà a riconfermare il nostro parere, che è su una linea evolutiva della posizioni che assumemmo allorquando le Regioni presero corpo, tuttavia questa è la realtà con la quale bisogna fare i conti, la realtà di cui bisogna prendere atto.
Che cosa può fare la Regione davanti a una crisi senza precedenti che ha colpito il sistema industriale piemontese? Può meditare, può stimolare, può coordinare, proporre, suggerire magari promuovere la costituzione di aree industriali attrezzate, nelle quali poi, le aziende stentano a collocarsi; (per lo meno questo vale per alcune aree industriali), ma non ha poteri diretti di intervento. Nessuna conferenza stampa, nessun comunicato ai giornali, nessun attivismo assessorile può alterare questa verità. La Regione può annunciare e convocare un convegno tra tutte le parti sociali e le componenti economiche, quale quello annunciato per la prima decade di dicembre, tutte iniziative apprezzabili, lodevoli ma - diciamocelo francamente sostanzialmente iniziative che lasciano il tempo che trovano, non modificano cioè, Assessore Sanlorenzo, le caratteristiche fondamentali del fenomeno che oggi ci fa discutere.
Per esempio, la Regione non può influenzare la politica del credito a favore delle piccole e medie aziende. Siamo d'accordo con quanto stamane diceva il Consigliere Viglione, successivamente ripreso dal Consigliere Carletto, sullo strapotere delle banche, che hanno rastrellato fondi che vanno ad impiegare in azioni speculative e non di investimento, in aziende sane. Ma, di fronte a questa realtà assodata quali sono i poteri di intervento che ha la Regione? Né può favorire tra le piccole e medie aziende, se non entro certi limiti ben precisi, l'associazionismo, per il quale giustamente si è fatto notare che mancano gli stanziamenti governativi.
Siamo perfettamente d'accordo con tutte le soluzioni indicate per la Fiat, la Ceat, l'Indesit, l'Olivetti per parlare solo di alcuni punti caldi della crisi, ma ci chiediamo quali sono in concreto le possibilità di azione regionale nella costituzione, ad esempio, del consorzio per l'elettronica civile, necessario per salvare l'Indesit; o nella reperibilità dei mezzi finanziari che servono alla Ceat; o ancora nella commissione dei Telex indispensabili alla Olivetti per uscire dalla Cassa Integrazione. Non diciamo questo unicamente per gettare acqua sul fuoco, su quello che riteniamo essere un lodevole e giusto intervento della Regione nel tentativo di favorire possibili soluzioni alla crisi che travaglia la nostra Regione. Ci chiediamo piuttosto realisticamente, e qui dobbiamo insistere, quali siano i mezzi e i poteri d'intervento. Solo quelli che abbiamo citato prima: provvedimenti per i quali la Regione può adoperarsi sapendo anche di avere il nostro consenso, che ribadiamo, ma la cui soluzione, passa al di sopra della sua testa? La stessa conclusione purtroppo temporanea, raggiunta dal caso Pianelli, oggi alla ribalta della cronaca, ha visto la Regione essere l'ente di mediazione tra una trattativa che direttamente è andata a investire l'azienda da una parte, le banche dall'altra, senza che vi sia stata alcuna possibilità di intervento concreto regionale sulle decisioni prese dagli istituti di credito.



SANLORENZO Dino, Assessore al lavoro

Le cose non sono andate esattamente così L'elemento di novità sta nel fatto che su qualche cosa siamo riusciti ad influire noi.



CARAZZONI Nino

Dalle notizie che mi sono giunte non ho ricavato questa impressione. In realtà un intervento risolutore sarebbe stato il convincere gli istituti di credito a dare all'azienda Pianelli quei 23 miliardi che sembravano essere necessari e indispensabili al piano di salvataggio. Si è raggiunto invece un risultato di compromesso assicurando soltanto il pagamento degli stipendi ai dipendenti.
Nessuna speranza quindi, o meglio nessuna illusione del ruolo effettivo che la Regione è chiamata a svolgere e del peso ad essa attribuito per il superamento della crisi.
Ciò premesso, quanto ai campi di più diretta competenza regionale quali ad esempio la previsione di opere di pubblica utilità, compiute dagli operai in Cassa Integrazione, dobbiamo dire, associandoci al giudizio che è stato espresso da altre parti politiche, che siamo francamente perplessi.
Innanzitutto per la macchinosità che dovrebbe comportare la messa in moto di questa iniziativa e soprattutto perché siamo timorosi della sottrazione di posti di lavoro che verrebbe effettuata a carico dei disoccupati reali e dei giovani soprattutto.
Lei, Assessore non ci può dire di no.



SANLORENZO Dino, Assessore al lavoro

E' curioso che dica di no, addirittura prima di sapere come vengono presentate le questioni.



CARAZZONI Nino

A meno che lei non abbia tenuto tutti i conigli nel cappello, v'è da presumere che per opere socialmente utili vengano impiegati operai in Cassa Integrazione. Questa è la partenza. A questo punto, dovendosi occupare soltanto dipendenti che hanno già un rapporto di lavoro e che sono in Cassa Integrazione è chiaro che dobbiamo sapere: 1) in quali forme verrebbero attuate queste assunzioni (libere volontarie, obbligate) 2) quali opere verrebbero eseguite 3) quali opere non verrebbero eseguite, perché ovviamente bisogna operare una scelta 4) quali posti di lavoro verrebbero riservati ai disoccupati reali (non a quelli che sono già in Cassa Integrazione e dei quali comprendiamo tutte le umiliazioni e le frustrazioni) 5) quali posti verrebbero sottratti al mercato del lavoro per i giovani.
Quanto ai progetti di pronto impiego, riteniamo che sia anzitutto importante che la loro compatibilità venga verificata al più presto dal Governo.
Siamo in larga parte d'accordo con la parte espositiva che abbiamo sentito enunciare, ma ci domandiamo come possa arrivare la Regione ad impegnare sul concreto i vari Ministeri. Sul caso del Verbano-Cusio-Ossola che è di una gravità non indifferente, da settimane diciamo che non sono più necessari gli studi, le analisi, le programmazioni, ma che è necessario intervenire. Sentiamo dire che forse il Ministro Aniasi accetterà di verificare sul posto le situazioni reali. Quando questo avverrà? Quali possibilità, quali poteri ha la Regione di convincere un Ministro ad ascoltare finalmente le istanze di quella zona?



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

Il Ministro si è già impegnato per quell'incontro



CARAZZONI Nino

E se non lo dovesse fare, noi che cosa facciamo? Di impegni ne hanno già assunti e non mantenuti troppi. Consentitemi quindi questo dubbio.
In conclusione, la terapia anticrisi deve avere uno spessore diverso e va ricercata prioritariamente nell'adozione a livello nazionale di una politica economica e sociale diversa da quella sin qui seguita. Lo andiamo ripetendo da tempo, lo ripetiamo oggi in conclusione di questo intervento in cui ci siamo limitati a enucleare la nostra posizione di principio, più che mai convinti che a fronte della disperata situazione piemontese nessuna azione, nessuna iniziativa, nessun slancio periferico può avere successo se non si potrà contare prioritariamente al centro su una situazione radicalmente innovata e mutata.
Questo è il nostro punto di vista.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, è purtroppo la quarta volta in un breve arco di tempo, che il Consiglio regionale è chiamato ad esprimere le proprie valutazioni in ordine alla crisi che attraversa il tessuto produttivo della nostra Regione. Le cifre ed i dati sono cosa ormai purtroppo tristemente nota per tornarvi sopra. Rappresentano un fatto, una realtà che non può non trovare, come ha trovato, in quest'aula, una eco, un riscontro nella misura in cui si evidenza sempre più la persistenza della stagnazione e diventa più concreta l'ipotesi di una crescita zero anche nella nostra Regione.
Il fatto più grave, che è già stato opportunamente ricordato nella relazione del Vice Presidente, è la crisi crescente nelle piccole e medie imprese, non soltanto nella grande industria, ma in quell'arcipelago del "piccolo" non necessariamente legato alla grande casa automobilistica tanto esaltato. Ebbene, anche questo dimostra cedenze preoccupanti e scarse prospettive di futuro.
Già in altre occasioni abbiamo avuto modo di ricordare come le politiche monetarie specie restrittive sono una manovra necessaria per rompere il cerchio inflazione-recessione, ma se queste non sono accompagnate da provvedimenti di rilancio produttivo (i famosi piani di settore, che non portino soltanto a ipotesi di licenziamento, riattivazione del credito agevolato, la revisione della legge 675) la situazione non si sblocca e a decollare è soltanto il numero dei disoccupati.
La politica monetaria restrittiva riduce l'attività economica e rialza il costo del denaro. Si è formata forse la convinzione che solo un ritmo lento di espansione e un graduale rientro dell'inflazione sia gestibile politicamente senza paurosi traumi, ma contro una tale ipotesi stanno le cifre della disoccupazione. L'esplosione della disoccupazione, è un fatto ormai noto, ha seguito il dimezzamento del tasso di crescita nei paesi industrializzati. Rimane così ribadita, a nostro avviso, la necessità di puntare su uno sviluppo più sostenuto se si vuole pervenire ad arrestare in qualche maniera, la crescita della disoccupazione.
In questo quadro, seppure rifiutando ipotesi di mero assistenzialismo non si può non richiamare il ruolo dell'intervento pubblico, il sostegno creditizio, le agevolazioni finanziarie, il sostegno di ricerca finalizzata e nell'innovazione tecnologica, il sostegno nello sviluppo dell'esportazione. Su quest'ultimo aspetto non è che non si faccia niente è che talora quello che si fa lo si fa in modo scoordinato. Il ruolo della Regione va riaffermato come momento importante di promozione, di inventiva attraverso i propri enti strumentali, Finpiemonte e Promark innanzitutto, e attraverso il raccordo e la collaborazione delle forze produttive convinti che tutti assieme si può trovare qualche spiraglio di uscita con il solidale impegno di tutti, parti sociali e forze politiche. Vogliamo valutare positivamente l'azione del Governo regionale nel rapporto costante e dialettico con il Governo centrale. E' un rapporto costruttivo.
Perciò è divenuta imprescindibile la necessità per gli anni '80 di finanziare l'ammodernamento del sistema produttivo e la penetrazione delle esportazioni sul mercato mondiale, disegno di politica industriale che purtroppo stenta ad assumere forme concrete e contorni netti con una solerzia adeguata alla gravità della situazione. Bisogna allora riconsiderare anche il ruolo dello "Stato banchiere" poiché e necessario che i trasferimenti pubblici privilegino il sostegno della ricerca e dello sviluppo nonché dell'innovazione e più in generale che l'intervento pubblico più che sostituirsi al mercato miri a creare le condizioni perch il mercato stesso possa mobilitare le risorse necessarie all'ammodernamento del sistema produttivo.
Questo passa anche attraverso il rilancio del mercato finanziario, che non deve procedere verso uno stato di progressiva atrofia a fianco o a fronte di una ipertrofia del mercato monetario. Da questo punto di vista la vicenda dei B.O.T. a breve termine (siamo arrivati ai B.O.T. a due mesi e arriveremo anche ai B.O.T. settimanali) in continuazione immessi sul mercato, la vicenda della legge sui fondi di investimento che tarda ad uscire dalle Camere, sono esempi emblematici.
Su queste possibilità gli istituti di credito operanti in Piemonte debbono dare delle risposte che siano atte a sostenere l'apparato produttivo sano, ancora esistente in maniera consistente nella nostra Regione. Credo che anche la nostra istituzione possa e debba svolgere un importante ruolo politico. Mi pare anche di poter sottolineare positivamente l'azione fin qui svolta dal Governo regionale, ad esempio nella vicenda Pianelli. E' segno che, al di là delle competenze, questa istituzione può svolgere un proprio ruolo di proposta e di confronto con il Governo e con le parti sociali, trovando un comune terreno di mobilitazione e di aggregazione.
Così come abbiamo fatto un anno fa nel chiedere l'approntamento dei piani di settore, quello dell'auto, quelli della siderurgia e della chimica e dell'elettronica di cui si leggono le ipotesi, chiediamo che le Regioni abbiano un confronto con il Governo e che il Consiglio esprima le sue valutazioni. Occorre insistere nel confronto con il Governo perché siano piani che prefigurino anche le riprese produttive, il rilancio e l'avvio concreto delle innovazioni tecnologiche. Così come occorre anche premere per la revisione dei meccanismi della 675, nonché i criteri di individuazione delle aree insufficientemente sviluppate previste dal DPR 902. L'uso della legge in questi anni è stato in alcuni casi distorto.
Occorre attivarne la possibilità di accesso da parte delle medie industrie.
In merito al DPR 902, la Regione non può rinunciare al proprio ruolo di programmazione socio-economica e territoriale, quindi occorre che ci sia un confronto perché le aree siano individuate tenendo conto del Piano di sviluppo regionale. Molto opportunamente si è dato avvio agli 84 progetti speciali per i quali auspichiamo sollecite e concrete realizzazioni.
Occorre anche non rinunciare, non ritardare l'avvio del secondo Piano di sviluppo, quadro e disegno fondamentale dell'azione della Regione di individuazione di priorità tra cui vi è certamente il sostegno dell'occupazione e il rilancio produttivo, di finalizzazione produttiva delle risorse pubbliche, di richiamo ad una collaborazione delle forze sociali vive e sane della Regione. In questo quadro potrà opportunamente trovare rilievo la politica delle aree attrezzate, avendo però presente la necessità di non agire in modo velleitario ma di farle crescere là dove vi sono energie e forze locali disposte ad impegnarsi secondo l'indirizzo che è stato guida dell'attività della Giunta regionale.
Deve inoltre essere sostenuta la politica di rilancio delle esportazioni, dell'innovazione tecnologica e della ricerca anche attraverso la promozione di forme consortili, come si è cercato di fare in Piemonte ricerca su cui richiamiamo da parte del Governo un più forte e preciso impegno per evitare da un lato la dispersione delle poche risorse destinate e dall'altro perché queste risorse crescano nella misura in cui noi dichiariamo e vogliamo essere un Paese al passo con i tempi.
Il piano di sviluppo deve ribadire la politica di riequilibrio e sottolineiamo la grave situazione del novarese - e dell'alessandrino. Non si deve pensare soltanto ai grandi complessi o ai centri di concentrazione industriale. Occorre delineare lo spazio per il disegno di un programma sistematico nel quale le diverge forze possano, attraverso opportune ridefinizioni, riconoscere il loro ruolo e da questo compartecipare ed acquisire consapevolezze, e progettare un tipo di sviluppo nel quale la scelta territoriale appare fondamentale.
L'azione della Regione appare ormai matura in tale contesto: la programmazione si presenta come uno strumento essenziale e insostituibile ma si segnala più come un obiettivo di metodo da raggiungere che come una realtà già sperimentabile in concreto.
A questa situazione siamo giunti per motivi di ordine strutturale e di ordine culturale, ma questi sono anche gli effetti di una scelta restrittiva di politica monetaria in chiave antinflazionistica, che nel breve periodo non produce effetti piacevoli.
Questa è un'azione condivisibile ma occorre a fianco di essa dare indicazioni precise di politica industriale, di ripresa produttiva nei piani di settore. Chiediamo anche che la Regione possa accedere al fondo di investimento previsto dal piano a medio termine.
Siamo perfettamente d'accordo con l'azione del Governo che condividiamo per l'impegno, per la serietà di voler combattere l'inflazione, per la scelta di dire chiaramente come stanno le cose, per la scelta di parlare chiaro alla gente, per voler cercare di far trovare un punto di incontro tra le parti sociali, ad esempio, come sta avvenendo sul problema del costo del lavoro, per il quale ci sembra un passo avanti l'accordo raggiunto all'interno della CGIL (anche se non sappiamo quando questa proposta sarà formalizzata; come anche l'azione decisa dal Presidente del Consiglio nei confronti dei vertici della Confindustria per richiamarli ad un confronto più serrato e concreto).
Il problema è appunto che ciascuno faccia la sua parte con senso di responsabilità e volontà collaborativa; il che non vuol dire una mera esasperazione del ruolo della mediazione, forse se ne fa già fin troppo uso. Certo il dibattito su forme di corporativismo credo non sia del tutto fuori luogo. Occorre anche che gli strumenti legislativi seguano il passo dei tempi, tengano conto delle esperienze europee e delle democrazie industriali avanzate, sia per le agevolazioni creditizie ma anche in ordine al problema della mobilità e della riforma del collocamento per il quale auspichiamo davvero la conclusione legislativa del disegno di legge 760 così come dell'avvio di nuove esperienze in ordine all'agenzia del lavoro tra le quali segnaliamo anche il progetto Di Giesi per l'ipotesi sperimentale tra cui figurerebbe anche Torino. Soprattutto chiediamo che si dia corpo ad una seria politica industriale da parte del Governo che veda contributo delle Regioni e che si ponga come quadro complessivo di riferimento e che risponda alla diffusa domanda di modernizzazione e di ordine che viene anche proprio dai lavoratori che esprimono grande volontà di cambiamento ma che si sentono più europei lontani dai massimalismi e dall'estremismo e che vogliono contare di più al di là dell'affermazione di Reviglio che l'operaio è socialdemocratico in dimensione europea.
In conclusione, nella difficile e complessa situazione economica del Paese noi riteniamo che quella specifica del Piemonte abbia evidenziato delle realtà e delle tendenze di estrema gravità.
Una situazione così diversificata non può essere affrontata con allarmismo, l'ha detto la Giunta nell'incontro con il Governo, né con facile ottimismo, ma necessita di riflessioni e di convergenze di indirizzo di tutte le forze politiche, sociali e imprenditoriali, che riscontrino momenti di sintonia fra il Governo locale e il Governo regionale in una programmazione che sia dinamica e flessibile.
Se da questo dibattito usciremo con il convincimento occorre un'azione comune che veda l'apporto costruttivo di istituzioni e di forze sociali, se sapremo indicare momenti e strumenti concreti di intervento, per quanto di nostra competenza, se saremo in grado tutti assieme di contribuire a sollecitare e definire le linee di politica industriale, se non perderemo di vista anche le piccole aziende e le aree deboli della periferia piemontese, credo che avremo davvero dato un contributo serio per delineare le cause di questa situazione e anche alcune possibili vie d'uscita.



PRESIDENTE

La parola alla signora Vetrino.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, nell'inserire questo mio contributo nel dibattito che, per la passione che ha saputo sviluppare in taluni interventi, ha dimostrato la sua importanza, vorrei riferirmi ad una affermazione che il Presidente della Giunta ha fatto alla stampa in questi giorni, giorni molto intensi di dichiarazioni, di prese di posizione e di comunicati. Egli ha detto che il caso del Piemonte è un caso italiano. Noi siamo d'accordo con lui, pensiamo però che nella situazione attuale non possiamo dimenticare e non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla "casa Italia" - per riprendere un termine spadoliniamo molto affascinante casa Italia - che ha i questo momento tutti i conti in rosso (e questo è meno affascinante).
Il 1981 è stato un anno di recessione sia sotto il profilo del reddito che sotto il profilo degli investimenti e gli indicatori già denunciano che così sarà per la bilancia dei pagamenti e per l'occupazione (le ore di Cassa Integrazione sono triplicate). Per allargare il panorama piemontese e riferirci alle cifre italiane, il prodotto interno lordo dovrebbe raggiungere nel 1981 397 mila miliardi registrando un incremento rispetto al 1980 del 17,7% in termini monetari. Se si considera che l'inflazione è cresciuta finora del 19,8%, si può constatare come la crescita del prodotto interno lordo non sia stata nemmeno pari all'aumento del processo inflazionistico. E' questo il primo allarmante dato che dimostra clamorosamente l'arretramento delle condizioni economiche italiane. A tale dato si aggiunge il deficit commerciale che, nel 1981, si presume sia pari a 16 mila miliardi rispetto ai 15 mila del 1980, configurando un deterioramento delle nostre ragioni di scambio con l'estero pari al 9,4%.
Il volume degli investimenti rispetto al 1980 è diminuito del 2%. Una bassa utilizzazione degli impianti, una bassa redditività delle imprese gli alti tassi di interesse sono tra le cause primarie di tale realtà. Tali dati confermano quindi una pesante progressiva perdita di competitività delle nostre produzioni, prefigurando una concreta uscita dell'Italia dai mercati dei Paesi ad economia industriale avanzata.
E' ovvio che il peso di tale spiazzamento viene pagato sia in termini di minori investimenti da parte delle imprese sia in termini di disoccupazione.
Se è vero, infatti, che il numero degli occupati in assoluto registra in Italia un incremento medio dell'uno per cento, pari a 200 mila unità, è anche vero che si prevede che, nel 1981, sarà superata la cifra di 500 milioni di ore di Cassa Integrazione rispetto ai 245 milioni del 1980.
Come è noto, l'incidenza di tale fenomeno è soprattutto al Nord (e abbiamo visto con quale percentuale vi partecipa il Piemonte) con un aumento dei primi sei mesi del 1981 rispetto ai primi sei mesi del 1980 del 100, 91% e con un costo per la collettività che si aggirerà a fine anno in 1749 miliardi.
Al tempo stesso, registriamo che i redditi del lavoro dipendente hanno avuto un incremento monetario del 21,1% superiore al tasso di inflazione del 19,8%. Dando anche uno sguardo ai conti del settore pubblico allargato, nel quale peraltro come amministrazione locale siamo coinvolti (amministrazione centrale dello Stato, amministrazione periferica, Enti locali, aziende pubbliche), vediamo che questi conti si chiuderanno nel 1980 con un fabbisogno accertato di 50 mila miliardi, cifra della quale si è molto parlato e che probabilmente non si riuscirà a rispettare, pari al 12,6 % del prodotto interno lordo rispetto ai 43 mila previsti all'inizio dell'anno.
Il disavanzo di parte corrente inciderà del 6,3% sul prodotto interno lordo rispetto al 4,8% del 1980. Le entrate correnti sono passate dal 41,7 al 44%, ma la spesa è passata dal 46,5% al 51%.
Altro punto nodale del dissesto è quello che interessa il sistema delle autonomie locali, le quali, nel sistema di finanziamento quale quello attuale, presentano il conto all'amministrazione centrale la quale è costretta a pagare a pié di lista, senza che esistano margini di responsabilizzazione degli amministratori e con una spesa pubblica, quindi sempre in ascesa.
La spesa sanitaria derivante dalla riforma, sulla cui legge i repubblicani si astennero, denunciando già allora effetti finanziari incontrollabili, cui fatalmente si è pervenuti, avrà dei costi che si aggireranno sui 26 mila miliardi. E questo è un altro settore che concorre al disastro.
Ho riferito i dati dell'Italia perché ritengo sia interessante una panoramica generale, ma anche perché relativamente al Piemonte non abbiamo che i dati che ci fornisce l'Assessorato al lavoro riferiti al campo del suo interesse. L'Ires ha prodotto recentemente alcuni documenti importanti che però non sono pervenuti ai Consiglieri regionali.
Partendo da questa realtà che vede l'Italia con la più alta incidenza del deficit di bilancio di tutti gli Stati industriali, con la più alta incidenza del costo del lavoro per unità di prodotto, con la crisi di interi comparti industriali, che vanno dalla siderurgia, alla chimica all'agricoltura, con la necessità di uno sforzo immane pari a 10 mila miliardi in tre anni per la ricostruzione del Mezzogiorno, c'è da chiedersi cosa facciamo noi per il Piemonte e per l'Italia.
La discussione da tempo in atto tra economisti di diversa scuola circa gli obiettivi da assegnare alla politica economica, se dare priorità allo sviluppo e all'occupazione o invece alla stabilità dei prezzi, si è in gran parte assopita; se, infatti, da un lato le crescenti difficoltà determinate a partire dagli anni '70 dagli oneri crescenti delle materie prime e del petrolio hanno obbligato tutti alla riconsiderazione dello Stato assistenziale e della continua espansione dei redditi e dei consumi in regime di alta inflazione, d'altra parte l'esperimento di contrastare la crisi economica con soli monetari, cosa in atto in Inghilterra, si dimostra fallimentare.
Sembra quindi che quello che occorre assolutamente perseguire è la ricerca in ogni campo della vita economica di recuperi di produttività da un lato e di disinnesco dei meccanismi che alimentano l'inflazione dall'altro.
Di fronte al quadro drammatico del Piemonte, alle centinaia di aziende in crisi, alle migliaia di lavoratori in Cassa Integrazione ma anche alle migliaia di lavoratori disoccupati o in cerca di primo lavoro, emerge la considerazione e la constatazione che le misure finora adottate dalle aziende, dal Governo, dalla Regione e da tutti gli enti interessati non si sono dimostrate valide a contrastare una recessione che non solo è in atto ma che è minacciosamente aggravatasi.
Quello che occorre è una politica seria, definitiva a medio termine proiettata verso il recupero della produttività che le aziende devono ritrovare al loro interno, così come al loro interno devono emergere i sintomi della ripresa e dello sviluppo.
Il Ministro del bilancio, intervenendo sabato in un Convegno indetto dall'Api, convegno al quale il dibattito ha fatto molto riferimento questa mattina, ha detto che la difesa dell'occupazione non può avvenire impedendo a ciò che è morente di morire, ma accettando invece che emerga ciò che c'è di nuovo e vitale. Queste parole vanno meditate e tenute presenti da ognuno di noi nel momento in cui affrontiamo questi problemi. C'è il problema del credito. Si chiede lo sblocco del credito agevolato, ma forse occorre aggiornare i criteri e i riferimenti sui quali concedere il credito. Finora la base per la concessione del credito sono state le garanzie reali senza tenere conto della validità economica e produttiva delle imprese. Occorrerà introdurre anche e soprattutto questi criteri, altrimenti, da questa economia assistita direttamente o indirettamente, dall'economia sommersa che esiste in Italia e in Piemonte, non usciremo più. Vorrei riprendere l'argomento dell'economia sommersa che è stato poco toccato in questo dibattito. Credo che dobbiamo rifiutare le affermazioni che a volte si fanno: per fortuna che in Piemonte e in Italia c'è l'economia sommersa altrimenti chissà che cosa succederebbe. Dobbiamo dirci con molto coraggio che se quello dell'economia sommersa dovesse essere considerato un aspetto che attenua o che attutisce i mali dell'economia in senso lato, ci troveremmo nel mezzo di uno Stato di un'epoca medioevale con il disconoscimento dello Stato di diritto e dello stato sociale tout-court.
Questo non significa che all'interno dell'economia sommersa non vi siano degli aspetti positivi che vanno recuperati, perché se è vero che si deve combattere l'obiettivo principale dell'economia sommersa che è il rifiuto del rapporto fiscale, che, essendo stato il primo rapporto tra Stato e cittadino si è radicato in modo distorto in ognuno di noi tanto che si pensa sempre allo Stato gabelliere, bisogna incanalare correttamente tutti quei valori che costituiscono vari obiettivi come quelli di dare sfogo alla fantasia, alla imprenditorialità, al rischio dell'impresa. Ci vuole una politica per recuperare alla legalità l'economia sommersa.
E' evidente però che le aziende non possono da sole operare il miracolo: occorrono politiche ad hoc, occorrono interventi specifici occorre una politica di riforma del collocamento. So perfettamente che esiste la legge 760 in itinere e che tra le altre cose si ripropone anche di regolamentare questi aspetti, perché molti guai sono derivati dalla aziende per non aver avuto uno strumento flessibile. Non so se le dieci unità previste dalla legge 760 siano sufficienti o se non sia necessario andare ad una cifra più alta. Ho sentito parlare molte volte in Consiglio regionale della proposta delle 50 unità, proposta avanzata dal Consigliere Viglione e che adesso sembra raccogliere anche le simpatie del Consigliere Bastianini, sulle quali, magari con l'intento di portare un po' di luce su un asso lib-lab che si sta realizzando, potrei essere d'accordo. La chiamata nominativa deve diventare un fattore determinante.
Occorre una maggiore attenzione ai problemi delle piccole e medie imprese e questa attenzione sarà produttiva se si saprà guardare a questi problemi non continuando a trattare i problemi della grande impresa come un mondo a parte bloccato nelle sue contraddizioni e, contemporaneamente tentando di ottenere il massimo profitto dalle piccole imprese ancora vitali come unica speranza per salvare la nostra economia, ma indirizzando le nuove occasioni imprenditoriali verso i settori nuovi, attraverso un sistema industriale che produca forme di collaborazione che unendo le capacità di programmazione della grande industria alla capacità produttiva e di innovazione dell'apparato industriale collaterale minore, consentano un parallelo sviluppo della media e piccola impresa in grado entrambi di competere sul mercato internazionale.
Il documento dell'Assessore al lavoro ci è parso consapevole di tante difficoltà e di tante esigenze. Dalla sua sinteticità e dalla sua crudezza non lo dico in termini dispregiativi, ma in termini di apprezzamento si evince la consapevolezza di una limitatezza della competenza regionale rispetto a questi problemi.
Abbiamo esaminato gli obiettivi enunciati e sottolineiamo la preoccupazione che l'uso della Cassa Integrazione non vada esasperato ma si favoriscano reali momenti di riqualificazione e di ristrutturazione.
La Cassa Integrazione non la vorrebbe nessuno, non la vuole il Governo non la vogliono le aziende, ma non la vogliono soprattutto i Cassa integrati, ma essa, purtroppo, è conseguenza della difficilissima condizione economica del Paese. Oggi essa si va trasformando da un fenomeno congiunturale a un fenomeno strutturale e questo è gravissimo perché i primi a convenire che il reddito del lavoro non può essere assicurato fuori da un'attività lavorativa, sono proprio i cassa-integrati.
Il decreto 616 ha attribuito alle Regioni un ruolo non indifferente nella programmazione, che induce al rapporto tra la politica nazionale e la politica regionale. Non solo, ma il piano a medio-termine 1982/1984 investe la nostra Regione anche del privilegio di fungere da Regione sperimentale tra l'altro in binomio con la Sardegna, per la verifica di questo raccordo tra programmazione regionale e programmazione nazionale.
Come rappresentante di questa assemblea regionale posso ritenermi soddisfatta della scelta fatta dal piano, mi chiedo però come la Regione potrà onorevolmente svolgere questo ruolo visto che di programmazione in questa Regione non se ne è mai fatta. Queste non sono parole mie. Forse non ho mai detto crudamente questa parola, per quanto molte volte mi sia soffermata su questa carenza dell'amministrazione regionale, queste cose le ha dette l'Assessore Simonelli in quest'aula non meno di quindici giorni fa.
Facciamo bene a sollecitare incontri con i Ministri, con il Presidente del Consiglio e, ripetiamo, non attribuiamo a questa azione su Roma un tentativo di alibi del Governo regionale per scaricare il barile.
Occorre essere coerenti. Allora, mentre si accetta la logica programmatoria, che è quella che il Governo oggi impone, non si può nella politica regionale di ogni giorno continuare a disattenderla attraverso disegni di legge che aggravano la situazione finanziaria della Regione e che ci obbligheranno a gestire un piano di sviluppo zero perché le risorse sono ormai vincolate da impegni che hanno risposto a logiche al di fuori di quella programmatoria. Quando nel documento della Giunta, a proposito della legge 675, si afferma che occorre un maggior coinvolgimento nella definizione della politica industriale generale, "nel controllo dei progetti di qualificazione, ristrutturazione e riconversione dei grandi gruppi al fine di individuare le compatibilità con il piano di sviluppo" (preciserei nei limiti delle deleghe alle Regioni) chiedo con quali capacità esercitiamo questi controlli e queste verifiche, con quali strutture, con quali riferimenti. Non più tardi di un paio di ore fa l'Assessore al lavoro lamentava la scarsa struttura del suo Assessorato.
La Regione non ha finora saputo esprimere una sua capacità progettuale e non è riuscita a trasmetterla, come sarebbe stato suo dovere, agli altri enti che insieme a lei debbono concorrere alla programmazione regionale.
Le aree industriali attrezzate, definite dalla Regione fin dal 1975 fanno passi lenti. Servono certamente i 26 miliardi richiesti a Marcora, ma occorre stimolare gli Enti locali ad accelerare la loro attività soprattutto quella legata alla programmazione urbanistica.
Come possiamo trasmettere certezze quando proprio la politica urbanistica deve ritornare in quest'aula per un suo aggiornamento? Quando tra le stesse forze di maggioranza a questo proposito esistono dissonanze anche pesanti, che richiederebbero preventivamente un chiarimento all'interno della maggioranza stessa? Per ritornare agli aspetti che il documento non ha approfondito e per parlare viceversa di tutte le altre responsabilità che competono alla Regione e che rappresentano il campo più coerente del suo impegno e che, se opportunamente affrontate, potrebbero fornire aiuti, collaborazioni e contributi al superamento della crisi in Piemonte, bisogna affrontare ancora una volta - e credo di averlo detto fino alla noia - che la Regione è fortemente in ritardo nella presentazione del secondo Piano di sviluppo.
Vorrei dire che continuando esclusivamente a parlare della necessità di questo piano, di cui è già nota la metodologia, di cui si è già anticipata la stesura attraverso gli 84 progetti e di cui in questi giorni si stanno occupando alcuni importanti cervelli della comunità, rimane nelle forze politiche, che vorrebbero collaborare a questa elaborazione, innanzitutto la difficoltà a definire quale sia l'interlocutore e quindi il responsabile nella politica regionale del secondo Piano di sviluppo.
Dobbiamo in quest'aula parlare di energia, di agricoltura, di utilizzo delle risorse, delle opportunità rappresentate dagli enti strumentali, di industria, di artigianato, di formazione professionale, del terziario dobbiamo per ognuno di questi aspetti definire un tassello preciso, ma per fare questo occorre uno sforzo corale perché la crisi, come è stato detto e scritto, è senza precedenti.
I lavoratori che questa mattina attraverso la loro presenza ci hanno dimostrato quanto i problemi siano gravi e aggravantisi, non hanno più bisogno di parole, non hanno nemmeno bisogno di comizi (i comizi avremo tempo a farli e speriamo non in primavera), hanno bisogno delle nostre idee, del nostro impegno, della nostra responsabilità, mentre la comunità ha altresì bisogno delle loro idee, del loro impegno, delle loro responsabilità come delle idee, dell'impegno e delle responsabilità di tutti coloro che credono che questo Piemonte e questa Italia sappiano ritrovare la capacità di dare ai suoi figli sicurezza e serenità per una condizione umana dignitosa per tutti.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Guasso.



GUASSO Nazzareno

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il mio sarà un intervento breve per due motivi fondamentali: per il nostro Gruppo in modo chiaro e documentato Alasia ha già esposto le nostre idee e le nostre proposte e perché mi pare che il dibattito, a questo punto, è stato ampio e di grande interesse; dibattito che ha portato anche un contributo allo sforzo encomiabile che la Giunta sta facendo per fronteggiare una situazione difficile come quella attraversata in questo momento della nostra Regione.
L'analisi della situazione di vera e propria emergenza "industriale" che oggi qui è stata compiuta dalla relazione del Vice Presidente e io aggiungo le sottolineature e critiche di tutti gli interventi che mi hanno preceduto, così come le proposte che sono state avanzate, mi sollecitano a fare a nome del Gruppo comunista alcune considerazioni che farò con brevità e schematicità, anche perché non vorrei che si sperdessero in un discorso di carattere generale.
La prima considerazione è relativa alla portata ed alla conoscenza di due dati, sui quali Sanlorenzo puntualmente e correttamente ha richiamato in più di una occasione la nostra attenzione, che vanno tra loro correlati.
Da un lato in modo più marcato da noi di quanto non avvenga su scala internazionale, vi è la caduta dei profitti di impresa, fino al segno negativo delle perdite, il forte indebitamento di grandi imprese l'accentuazione drammatica di questa tendenza nell'industria di proprietà pubblica, il blocco degli investimenti.
E' questo un dato che nella crisi internazionale caratterizza in modo determinante la crisi italiana, la sua specificità e peculiarità.
Dall'altro in modo particolare nel nostro Paese, e segnatamente da alcuni mesi nella nostra Regione, vi sono importanti parti di classe operaia che devono la loro occupazione ed il loro salario, in imprese molto significative, a forme di sussistenza indiretta (e cioè al sistema di sostegno alle imprese in perdita che impiegano fortemente le risorse bancarie ed ancora più quelle della finanza pubblica) ed a forme di assistenza diretta (cioè ai sussidi che vengono dati ai lavoratori formalmente dipendenti da imprese, ma che per tutto o in parte del tempo di lavoro sono in realtà disoccupati sussidiati).
Sono due dati che caratterizzano la crisi italiana da altre situazioni di pesantezza economica o di crisi più generale che abbiamo, non solo in Europa occidentale, ma nelle grandi società industrializzate.
Questi fenomeni, oggi sempre più drammatici, rilevano processi di fondo della crisi e sono l'effetto di cause profonde, quali la diversa dislocazione territoriale e geografica di forze e tendenze dell'economia nel panorama occidentale, che in Italia hanno ripercussioni ancora maggiori poiché qui, meno che in qualunque altro Paese d'Europa, non si sono voluti prendere in considerazione gli interrogativi che la crisi economica degli anni '70 ha proposto, sulla sorte dell'industria del nostro Paese, sulle implicazioni che essi comportavano per una politica complessiva estera ed interna dell'Italia.
Anche a questi fatti, innegabili, vanno ricondotte certe tendenze al "ritorno alle vecchie buone regole"che suscitano in settori dell'imprenditoria speranze ingiustificate! Per parte nostra. Non possiamo che preoccuparci di questa offensiva sempre più accentuata che ha teso e tende - e la sentiamo ben presente qui in Piemonte - ad accantonare le politiche "riformistiche" perché le ritengono incapaci di affrontare i problemi, quando essi si pongono come problemi della scarsità e non dell'abbondanza, quando essi si presentano come rallentamento drastico dell'espansione produttiva e restringimento dell'occupazione.
Ma sia chiaro. Manifestare queste preoccupazioni non vuole affatto dire leggere la crisi secondo l'impostazione "catastrofica" che fu tipica dell'atteggiamento di tanta parte dei partiti comunisti della terza internazionale; impostazione che è ben lontana dai comunisti italiani.
Vogliamo invece guardare a questa crisi per coglierne tutte le implicazioni e la complessità: l'intreccio profondo tra crisi economica sociale e politica. Questo vogliamo fare.
E questo vuol dire, di fronte ai rischi di un vera e propria recessione, non stare a rimpiangere un tempo perduto, il tempo delle riforme non fatte, ma guardare, realisticamente come movimento operaio come sinistra, ai pericoli dell'acuirsi dello scontro nell'immediato e sentirsi sollecitati a rivedere la propria prospettiva, il senso della propria politica.
Quando dunque i compagni socialisti ci chiedono - come ha fatto domenica scorsa l'on. La Ganga - se siamo disponibili a discutere di questa crisi, della crisi che travaglia il Piemonte e l'area torinese in particolare, non solo rispondiamo affermativamente, ma gli ricordiamo che il nostro rapporto con i partiti della maggioranza ha come fondamento questo confronto e punti di fondo unitari, nell'analisi della crisi.
Ma voglio anche aggiungere che la stessa politica di unità tra le forze democratiche e di sinistra, la collaborazione con i compagni socialisti e social democratici, proprio qui dove è più consolidata, ha come presupposto il superamento dei limiti e di schemi invecchiati; esige, perché l'unità si rafforzi, dibattito, e spirito di rinnovamento, capacità propositiva e progettualità.
E aggiungo che siamo anche pienamente coscienti, proprio perché non abbiamo la verità in tasca, che bisogna partire dai dati della crisi che coinvolge tutto il triangolo industriale, e mette in discussione, con accenti più o meno gravi, le realtà storiche consolidate di Torino, di Milano, di Genova e quindi non vi è nessun modello precostituito da assumere.
Sanlorenzo stamattina accennava anche a due nodi che oggi si pongono in termini del tutto nuovi che vanno anche ripensati in modo autocritico: pensa al rapporto Nord-Sud, Piemonte-Mezzogiorno. La linea dello spostamento di risorse dal Nord al Sud è oggi una linea, che di fronte alla natura della crisi, è linea che non regge, che non da più risultati, anche se in passato ne ha dati, perché i 40.000 posti nuovi di lavoro conquistati nel Mezzogiorno, sono una realtà, una piccola fetta che certo non pu risolvere i drammi del nostro Mezzogiorno, ma sono una realtà concreta, che dobbiamo anche allo spirito di sacrificio della classe operaia del Nord e di Torino in particolare. Ma tale linea non è più ripetibile di fronte alla crisi e guai se ci ponessimo in questo contesto; si resterebbe fermi.
Bisogna che pensiamo a qualcosa di diverso. Io non ho la formula in tasca ma proprio nel momento in cui si riapre un discorso o si deve riaprire un discorso sui rapporti tra Nord e Sud e non soltanto all'interno di un paese come il nostro, ma tra il Nord, e i grandi Paesi del sottosviluppo, il pensare oggi che l'obiettivo che può percorrersi verso una politica nuova, verso il nostro Mezzogiorno e verso il Sud potrebbe essere quello di un ribaltamento verso il Mezzogiorno e verso il Sud delle aree forti dell'Europa e quindi comprese le aree forti del nostro Paese.
Una direzione, può anche essere una strada nuova attorno cui possiamo riflettere, studiare, fare delle proposte.
Abbiamo perseguito negli anni scorsi e giustamente non solo la politica del riequilibrio tra Nord e Sud, ma la stessa politica del riequilibrio all'interno della Regione.
La scelta delle aree attrezzate anche se non intese nel senso di vincolare il tutto, ma intese come sforzo di riequilibrio territoriale e del sistema produttivo del nostro Piemonte era ed è una linea giusta. Oggi essa non è più realizzabile come l'abbiamo concepita nel passato nel senso di uno spostamento di risorse e di riduzione dal polo di Torino verso il polo di Mondovì o verso quello di Vercelli od altri, perché è il polo di Torino oggi che esprime il maggior livello di crisi strutturale nelle sue grandi industrie trainanti e in primo luogo nell'industria dell'automobile.
Forse qui, se non vogliamo abbandonare delle idee valide e ripensarne delle altre non sapendo se poi sono valide, forse qui il pensare ad un equilibrio che punti ad uno sviluppo autonomo di queste aree, ad un crescere in autonomia di queste aree e non soltanto a spostamenti che non sono più possibili, può essere una strada vecchia che abbiamo percorso giustamente ma che può diventare nuova in rapporto alle esigenze nuove che la crisi ci impone.
La seconda considerazione riguarda la necessità di restituire - alle istituzioni di democrazia politica - una funzione dirigente dello sviluppo.
E' questo, quello dello Stato, il problema politico centrale degli anni '80.
Non ci deve stupire se gran parte dei cittadini (anche se non tutti) abbiano interesse, pur nelle incertezze sul futuro, alle condizioni esistenti, allo "status quo", di fronte ad uno Stato sempre più ridotto ad una funzione puramente "assistenziale".
Sanlorenzo mi faceva vedere il giornale di Genova che riportava i dati aggiornati del livello di Cassa Integrazione del nostro Paese, che l'INPS sta pagando. Si parla di spendere altri 1.133 miliardi in assistenzialismi utili e necessari, ma non percorribili all'infinito senza avere dei drammi non solo personali dei Cassa-integrati, come li chiamiamo oggi con un termine brutto ed improprio, ma senza avere dei drammi che portino alla disoccupazione, al degrado e alla recessione.
Il punto è questo: vi è regressione della democrazia, stravolgimento della sua funzione, spinta e diffusi corporativismi, proprio quando lo Stato rinuncia alla sua funzione di governo e si riduce alla sola erogazione dell'assistenza.
E questo è tanto più grave quando si è in presenza di una crisi della grande impresa, della sua egemonia che in passato aveva costretto lo Stato a un ruolo subalterno sostituendosi ad esso nella direzione dello sviluppo rifiutando una politica di programmazione.
La crisi della grande impresa non può essere semplicemente ridotta ad un fenomeno di carattere "organizzativo" (la crisi del "grande impianto") come è stato detto al Convegno della piccola e media impresa.
E' anche questo; ma non solo questo.
E' anche crisi del gigantismo; noi abbiamo voluto importare e copiare dei modelli di sviluppo che non erano adatti o non erano storicamente inseribili. La crisi del gigantismo era una crisi che negli Stati Uniti era presente quando noi costruivamo Rivalta o altre cose di questa natura.
Ma la crisi è innanzitutto una questione di potere, di riassetto delle classi dominanti.
E' da questa constatazione che ci poniamo con maggior forza l'interrogativo: cosa significa, oggi la programmazione in questa crisi torinese e piemontese? Noi crediamo che debba significare in primo luogo, per la Regione esaltare con più forza come si sta facendo in questi mesi il ruolo di governo: mettere l'accento su quella esperienza portata avanti nella scorsa legislatura, quella della programmazione, per utilizzare con rapidità ed in modo incisivo le proprie risorse e quelle del sistema delle autonomie piemontesi ed al tempo stesso stabilire un rapporto diverso tra governo regionale e soggetti sociali ed economici.
Certo una Regione non è lo Stato.
Non ci facciamo illusioni.
Sappiamo bene che vi sono limiti oggettivi di poteri, di risorse, di competenze e soprattutto che al governo centrale spettano le maggiori responsabilità.
Ma noi crediamo che oggi non si tratti tanto di interrogarci "burocraticamente" sui poteri della Regione. La crisi esige che, con o senza poteri specifici, la Regione sia nel suo ambito "governo" per mobilitare le risorse possibili, per non essere ridotta di fronte alla portata dei problemi e della crisi a mera cassa di risonanza, del caso per caso, ad essere niente di più di un Ente locale senza neanche grandi disponibilità finanziarie.
Questo ruolo di governo è indispensabile per dialogare con tutti e per coinvolgere tutte le "risorse imprenditoriali" verso uno sviluppo, per far svolgere appieno il ruolo che le compete alla classe operaia, al movimento dei lavoratori.
A nostro avviso è anche questa la condizione per risollevare il problema della grande impresa in rapporto alla programmazione nazionale che è un tema fondamentale della nostra realtà per i riflessi, come già dicevo prima, di ordine economico e sociale.
Di qui discende la terza considerazione che voglio fare.
Vi è oggi, una pericolosa impermeabilità tra i soggetti sociali ed economici, protagonisti della crisi industriale.
Non può che preoccuparci la chiusura aziendalistica della grande impresa Fiat, estranea ad ogni sistema di convenienze stabilite da una politica di programmazione.
E' una chiusura che ci pare essere funzionale ad un disegno di rivincita sul movimento operaio e su uno schieramento rinnovatore.
E' una chiusura che pare incurante anche del sistema delle piccole e medie imprese che chiedono "certezze" di governo ed al tempo stesso credono che la crisi dello stato assistenziale possa essere superata con una ipotesi che tende a porre fuori da una collocazione centrale, economica e quindi politica, reparti decisivi della classe operaia, ed a rilanciare uno schieramento economico, e quindi politico, di borghesia "diffusa" ed efficiente in prima persona, a prezzo di un nuovo e costoso sistema di supporti assistenziali.
Il vantaggio di questa tesi sarebbe quello di far arrestare l'intervento pubblico nell'industria e l'esposizione della finanza pubblica nelle maggiori imprese in crisi.
Noi siamo convinti che con questa miscela fra capitalismo concorrenziale ed assistenzialismo di vecchio stampo cattolico non si esca dalla crisi, ma si aggravino tutti i problemi.
Una politica industriale per il Piemonte ed il Paese deve consentire alle nostre imprese di tenere il confronto tecnologico internazionale impegnando le risorse materiali e culturali accumulate nelle grandi strutture industriali e le doti della cultura industriale "padana".
Senza la grande impresa non vi può essere né ripresa né sviluppo.
Possiamo discutere a lungo del terziario e della sua collocazione della sua funzione e di cosa deve essere Torino e il Piemonte in questa direzione.
Guardiamo con grande interesse e senso di responsabilità a questa miriade, a questa struttura produttiva della piccola e media impresa.
Guardiamone con grande interesse, ma non illudiamoci, senza grande industria tecnologicamente sviluppata, competitiva sul mercato internazionale noi non avremo mai né ripresa né sviluppo.
Non possiamo pensare di far fronte alla divisione internazionale del lavoro che avviene nel mondo, che sta cambiando, che investe anche i Paesi del socialismo reale, di poter fronteggiare una situazione di questa natura, senza una grande industria.
Ha ragione Alasia: Mitterand ha nazionalizzato le industrie che contano nella strategia industriale moderna.
Ha nazionalizzato industrie di primo piano, strategiche, decisive per un Paese che vuole reggere il confronto con gli altri Paesi industrializzati, e che magari vuole guardare ad una nuova politica verso i Paesi del Terzo Mondo.
Questa mediazione e un'alternativa all'assistenzialismo ed implica anche conseguenti scelte nel rapporto con il sistema del credito.
Un sistema questo strutturalmente povero, in Piemonte, di strumenti di intervento: legato ad una politica avulsa da un corretto rapporto con il complesso del sistema delle imprese e che la crisi porta forse a considerare con più attenzione la funzione possibile, oggi, di fronte a tante situazioni di crisi, del ruolo di governo della Regione e della necessità della programmazione.
Per altro verso solo una forte iniziativa della sinistra e delle forze politiche democratiche, solo un'azione di governo, come quella che viene delineando la Giunta regionale, possono stimolare il sindacato a tracciare un programma che costituisca la prospettiva e la discriminante delle sue lotte e delle scelte politiche ed istituzionali che rivendica.
Condizione anche questa determinante perché riprenda il confronto sui temi concreti dello sviluppo tra i diversi soggetti, perché si traguardino nuove prospettive nella politica industriale.
Noi poniamo con chiarezza queste questioni consapevoli dello sforzo che va compiendo la Giunta per recuperare, nell'impianto dell'esperienza della politica di programmazione, perché scelte qualificanti e decisive.
Non nascondiamo a noi stessi né agli altri che scegliere oggi una politica economica ed una politica industriale significa scegliere un terreno che offre nuove possibilità di relazioni sociali e politiche anche con una parte della borghesia, della imprenditorialità attenta che ha creduto al confronto e che vuole ancora misurarsi, sul dato di fondo che è l'assistenzialismo, in modo concreto e serrato, per superare la "cultura del potere" che ha caratterizzato la parte più conservatrice della DC.
E' un confronto che rivendichiamo e proponiamo con estrema chiarezza e senza remore per questa maggioranza, facendo sino in fondo la nostra parte convinti come siamo che la ripresa dello sviluppo e la sua qualità, così come il rinnovamento e la capacità di governo delle istituzioni, dipendono dal blocco sociale e dalle forze politiche che saranno in grado di guidarlo in alternativa ad una scelta moderata e conservatrice.
Un'ultima considerazione.
Vi sono delle azioni che sin da oggi credo la Regione possa affrontare e discutere con tutti gli interlocutori sociali ed economici.
E' la questione degli enti strumentali.
In primo luogo la Finpiemonte.
Quando abbiamo creato la Finpiemonte non abbiamo voluto creare una "sorta di Gepi regionale".
Scelta giusta poiché allora la sottovalutazione dei segnali della crisi avrebbe potuto trasformare la Finpiemonte, rapidamente in un nuovo strumento di assistenzialismo.
Sia chiaro. Oggi siamo dello stesso parere, ma riteniamo anche di dover rilevare come tra un'impresa in difficoltà ed il "tribunale" non vi sia più nulla, nessun cuscinetto, nessun strumento di intervento, se non le banche preoccupate dei loro soldi.
Noi crediamo di dover porre il problema, perché in modo completamente diverso dalla Gepi, ma anche rispetto al suo attuale statuto, la Finpiemonte possa essere messa in grado di affrontare direttamente i temi della crisi industriale.
Le banche non possono prendere partecipazioni nelle aziende che attraversano crisi o che bisogna promuovere e ricapitalizzare.
Io sono stato qualche giorno fa, in una delle poche cooperative che abbiamo a Torino nel settore della macchine utensili, che vive da tre anni con 60 operai che hanno preso la fabbrica in crisi dal loro padrone e hanno fatto una cooperativa nel settore delle macchine utensili. Hanno 2-3 miliardi di ordini in portafoglio per il 1982, il 50% è esportazione nei Paesi socialisti e dell'Europa occidentale. Non hanno soldi per far girare la baracca. Altri esempi si potrebbero fare.



BORANDO Carlo

Il costo del lavoro, in quelle cooperative, per quanto incide?



GUASSO Nazzareno

In quella cooperativa si applica in toto il contratto dei metalmeccanici e tutti gli scatti di contingenza. Regge, sta sul mercato guadagna, ha degli ordini perché il prodotto sta sul mercato ed è valido e ha del lavoro. Ma ha difficoltà di liquidità, di movimento di soldi che al 27-28% preso in banca sono il profitto.
D'altro canto non esistono, come dicevo prima, altri strumenti alternativi a procedure "concorsuali" di fronte ad aziende che hanno gravi problemi, ma anche commesse, lavoro e serie prospettive di ripresa.
Ecco una questione tra le tante.
Pensiamo dunque che sia possibile ristrutturare la legislazione sugli enti strumentali.
Mettere l'Ires davvero in condizioni di essere il punto di riferimento dell'analisi della situazione economica regionale, e la Finpiemonte in grado di analizzare specifiche situazioni di gruppo e di azienda.
Solo a condizioni rigorosamente predeterminate potrebbe essere autorizzata la partecipazione della Finpiemonte, per specifici programmi in aziende che risultassero in condizioni di effettiva risanabilità e rilancio e di affidabilità per il sistema del credito.
Ma soprattutto occorre potenziare la capacità della Finpiemonte di intervenire con specifici programmi sul management, sui processi formativi conseguenti ad accordi di mobilità e sui processi di acquisizione dei patrimoni d'ordine e delle prospettive di mercato, o su progetti precisi e finalizzati.
Un altro punto è quello della Promark.
Non credo che essa debba essere un istituto di rappresentanza della Regione.
Dobbiamo farne un riferimento nel Marketing, con il concorso delle stesse associazioni imprenditoriali e di categoria, per tutte le aziende per collocare sui mercati i loro prodotti.
Mi rendo conto che sono appena accenni di proposta. In esse nessuno è autorizzato a vedere soluzioni decisive. Ma possono essere un riferimento importante, insieme alle iniziative assunte dalla Giunta.
Siamo convinti che sarebbe un male drammatico stare a guardare, stare fermi. Non dobbiamo farci illusioni che da soli, i processi oggettivi ci portino fuori dalla crisi. I processi oggettivi portano a un unico risultato certo: al degrado economico e industriale del nostro Piemonte e della nostra Regione. Un risultato inaccettabile e io sono d'accordo che ognuno deve fare la sua parte. Il Governo facendo decollare una nuova politica industriale anche come valida politica di lotta all'inflazione perché è anch'essa una parte fondamentale, decisiva se vogliamo combattere l'inflazione. La Regione si muova su scelte precise e prioritarie come ha fatto con grande serietà in questi mesi: progetti finalizzati alla ripresa e allo sviluppo, coordinamento di tutte le risorse disponibili, difesa dei ceti più deboli perché saranno quelli che pagheranno di più. I lavoratori torinesi e piemontesi che sono venuti qui, hanno trovato e trovano più che mai oggi nella Regione un valido alleato, non per avere solidarietà, ma per costruire assieme atti e fatti concreti.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Signor Presidente, signori Consiglieri, ci sarebbero molte cose da dire, ma cercherò di contenermi in limiti accettabili anche perché la posizione del Gruppo è stata ampiamente ed efficacemente illustrata dal collega Carletto.
Siamo di fronte ad una crisi di notevole vastità il cui punto centrale è l'inflazione. Se non riusciremo a battere l'inflazione non usciremo dalla crisi.
Non siamo al bivio fra inflazione galoppante o recessione. L'inflazione galoppante non può frenare la recessione. Il dilemma è un altro: accettare o rifiutare un lungo periodo di recessione e di arretramento. Occorre una politica che il Governo sta portando avanti con impegno proponendo alle parti sociali in contenimento del costo del lavoro, proponendo un deciso freno del disavanzo con una legge finanziaria rigorosissima.
Abbiamo espresso un giudizio positivo sul Governo Spadolini che sosteniamo con impegno, Rifiutiamo però i giudizi troppo netti come quello espresso dal collega Bastianini sul Governo a Presidenza laica quasi che fosse il miglior Governo che abbiamo avuto finora. Abbiamo sentito Lama dire con particolare pesantezza che siamo di fronte al Governo più reazionario della repubblica. La DC sta proponendo sul tema dell'inflazione anche dall'esterno del Governo terapie d'urto più spinte e più intense.
Proprio in questi giorni il Gruppo parlamentare della DC ha proposto alcuni interventi per ridurre l'inflazione e per mettere un freno a tutti gli strumenti di indicizzazione onde rientrare nel quadro degli obiettivi di Governo: un raffreddamento degli indici della componente esterna sulla base delle regioni di scambio per non aggravare il differenziale di inflazione e per non togliere spazio alla discussione fra le parti sociali un avvicinamento progressivo delle tariffe ai costi la ricerca di criteri specifici e controllati per il trasferimento delle risorse finanziarie agli enti decentrati di spesa il riordino del sistema previdenziale con progressivo riequilibrio delle gestioni pensionistiche particolari.
Queste proposte dovrebbero rendere ancora più incisivo il freno dell'inflazione.
La crisi industriale d'altro canto si sta sviluppando pesantemente.
Siamo in presenza di un generale processo di decelerazione del sistema industriale. Si è parlato nel Convegno dell'API di deindustrializzazione fisiologica o di deindustrializzazione aptologica. E' chiaro che non siamo in una fase di deindustrializzazione fisiologica quale si verifica nelle economie particolarmente avanzate e che ha come momento fondamentale la razionalizzazione e l'efficienza del sistema produttivo industriale potendo, come tale, sviluppare attorno a sé spazio occupazionale per un terziario che si ampli trascinato dalla razionalizzazione dell'industria.
Siamo invece in una fase di deindustrializzazione patologica causata in primo luogo dalla caduta dei ritmi di sviluppo e, per quanto riguarda particolarmente il Piemonte, dalla crisi dell'auto con tutti i relativi effetti sull'indotto.
Siamo in presenza di carenza di impegni massicci del settore infrastrutturale, impegni che potrebbero essere di sostegno al sistema industriale.
Tutto questo rende pensierosi, soprattutto se si considera che le previsioni a breve termine non sono certamente rosee. Si parla di una ripresa dell'auto alla fine del 1982, ma il sistema industriale è in una situazione di difficoltà e di pesantezza tali da causare incertezza per l'occupazione.
E i riflessi sull'occupazione sono gravi. Il collega Carletto questa mattina ha avviato il discorso dell'occupazione dal livello europeo. Il crescendo stesso delle radiografie che l'Assessore Sanlorenzo ci porta via via sul tavolo offre l'indicazione di una situazione di notevole gravità per il mercato del lavoro. E' una situazione che non ha precedenti soprattutto se vista in prospettiva: la sua entità non è distante da quella degli anni 1974/1975, però le previsioni a breve termine non postulano una ripresa; e la crisi è quindi molto grave anche sotto l'aspetto della durata. I riflessi sull'occupazione coinvolgono a fondo la questione della mobilità.
Su questo tema ci vuole chiarezza.
Nella Commissione della mobilità di cui faccio parte, si è partiti da posizioni troppo rigide. La proposta dell'Ufficio del lavoro, quindi del Ministero, che lasciava intravvedere la possibilità di inserire nelle liste di mobilità anche i passaggi diretti, ha creato delle perplessità. Capisco che, ideologicamente Alasia la consideri valida, però sotto il profilo pratico tale modalità può costituire un ulteriore freno alla formazione dei posti di lavoro.
Un discorso di questo genere sarebbe stato negativo, quindi siamo stati favorevoli all'accantonamento del documento per scendere nel merito. Questo avvio ha pesato, ma più ancora ha pesato il discorso dei cosiddetti 52 cioè di quei giovani che terminato un corso finalizzato regionale non vengono avviati al lavoro, malgrado la richiesta Fiat, con la motivazione che occorre dar priorità ai lavoratori in mobilità. Si dice che la parte industriale richiedendo la preliminare soluzione del problema, ha posto una pregiudiziale inaccettabile. Certo è una pregiudiziale non priva di un certo fondamento per quanto attiene alla collocazione del personale che uscirà dai corsi di riqualificazione.
I dipendenti Fiat in mobilità sono 7.500. Si devono fare corsi di riqualificazione finalizzati, i quali dovranno reinserire i lavoratori in cicli produttivi. Il non portare a compimento con un positivo collocamento il corso per 52 persone, iniziato ancora con l'Assessore Fiorini, sarebbe un elemento di freno che creerebbe difficoltà e incertezze nella parte imprenditoriale. Ci auguriamo che a livello di governo si possa superare questa questione che, tutto sommato, è di entità modesta, ma che è importante nel merito per poter rientrare sul terreno dell'armonizzazione delle liste. Paolo Annibaldi in un articolo apparso oggi sul "Sole 24 ore" afferma che c'è la volontà da parte della Confindustria di sperimentare la mobilità; non c'è l'attesa mitica della legge 760, tanto più come questa è uscita dall'iter parlamentare, né c'è una valutazione positiva sull'agenzia del lavoro proposta da Di Gesi in quanto la si considera frenante sotto certi aspetti. Da questa difesa da parte industriale della mobilità, si dovrebbe dedurre la volontà di sperimentare a fondo questo strumento.
E' quindi necessario superare rapidamente la citata pregiudiziale con una mediazione pronta e tempestiva perché senza lo scioglimento di questo nodo, le nostre riunioni saranno improduttive o impossibili.
L'uscita dalla crisi non può essere che nel rilancio e nella riconversione industriale. Soprattutto in Piemonte c'è la necessità di una ripresa industriale con un processo di reindustrializzazione. Il Piemonte ha una tradizione industriale legata alla sua storia, indiscussa ampiamente riconosciuta e calata nella realtà, quindi il rilancio dell'industria piemontese è comunque necessario.
Quando parliamo dello sviluppo del terziario lo intendiamo come servizio dell'industria e come terziario superiore. Pensiamo anche al riequilibrio fra i settori economici, fra l'occupazione industriale l'occupazione del terziario e l'occupazione del primario, ma il tutto ha come premessa indispensabile la ripresa dello sviluppo industriale; sarebbe velleitario pensare ad uno sviluppo del terziario sulla crisi industriale: conveniamo in proposito con i giudizi che il professor Zanetti ha formulato nel Convegno dell'API.
L'obiettivo prioritario per uscire dalla crisi è la creazione delle condizioni per un nuovo sviluppo industriale, per suscitare nuove energie imprenditoriali: la ripresa non può che avvenire dall'interno del sistema industriale.
Quale reindustrializzazione è necessaria e possibile? Occorre tenere conto della realtà del Piemonte ed aver presente che il ruolo della grande industria è insostituibile, ma non esclusivo; c'è anche il ruolo non meno importante della piccola e della media industria.
La piccola e la media industria è una specificità italiana, legata all'imprenditorialità individuale, alla capacità di iniziativa che in certa misura è un requisito dello sviluppo industriale, ma che è anche una conseguenza e tende ad appiattirsi fatalmente nei momenti di crisi e di incertezza, come quello nel quale noi oggi viviamo.
I settori periferici del sistema industriale sono quelli sui quali dovrà anche puntare la reindustrializzazione del Piemonte fornendo le capacità di movimento: sono i settori a bassa intensità di capitale, dove sono assenti rilevanti economie di scala, dove la tecnologia è forzatamente matura, il progresso tecnico è lento, gli investimenti non sono eccessivi e possono rientrare nella capacità della media industria. Per reindustrializzare il Piemonte occorre primariamente una politica industriale a livello governativo. Possiamo discutere all'infinito su un'ulteriore delega di poteri alle Regioni, ma su questa ipotesi vi sono molte incertezze perché la politica industriale deve avere una impostazione unitaria e nazionale.
La politica industriale a livello di governo è quella che si sta sostenendo; ha alla base gli interventi di politica economica già accennati e portati avanti dal Governo Spadolini e contiene una serie di interventi più specifici come per esempio l'intervento della legge 675.
Il Ministro Marcora ha detto che la legge 675 verrà rinnovata così com'è ora con l'impegno di rivederne i meccanismi. Infatti questa legge è stata votata nel 1977, nel periodo della solidarietà nazionale e vediamo quanto è inoperante. Quando si cerca di raggiungere il consenso di tutti nascono contraddizioni: la 675 è scarsamente operativa a causa di una serie di emendamenti contraddittori (emendamenti Colajanni). Il piano di settore come elemento fondamentale, la compatibilità con il piano di settore possono essere criteri generali accettabili, però l'agibilità della legge è molto scarsa. Bisogna tornare allo spirito originario della riconversione industriale che dalla legge 675 è stato colto in modo imperfetto. La via sostanziale è quella di dare priorità all'impresa; se non partiamo da questo concetto sarà difficile uscire dalla crisi economica. Si devono sciogliere i vincoli pesanti che si sono aggravati con la crisi economica vincoli di carattere sociale che in certa misura poteva avere validità in una fase di mancato sviluppo industriale, ma che oggi costituiscono dei pesi inaccettabili. Occorre avere il coraggio di alleggerire le imprese industriali degli oneri impropri e di accettare la flessibilità del personale.
Il collega Alasia dice che il "brambillismo" è finito. Non parliamo di brambillismo quando diciamo di dare spazio all'impresa, di scioglierla dai nodi, quando vogliamo porla nelle condizioni di poter operare, non con furbizie o sottosistemi o con modi più o meno discutibili.
Sono aperti molti problemi. Il problema del collocamento la cui impostazione va rivista, quello della ricapitalizzazione delle imprese. La legge sui fondi di investimento si pone questa via, ma dobbiamo stare attenti, perché la legge sui fondi di investimento non potrà tassare tutti i movimenti e gli incrementi. Se si arriverà ad applicare una specie di Invim anche sui movimenti di capitale, arriveremo a bloccare il sistema. La legge sui fondi di investimento deve essere agile, idonea a portare capitali all'impresa, capace di dare spazio alla volontà di rischio ed alla capacità di movimento. La Visentini bis e il Formica uno sono validissimi ma servono alle imprese che guadagnano per detassare profitti ed autofinanziamenti, ma non pensiamo a soluzioni mitiche, dobbiamo anche pensare alle imprese che nella fase presente non guadagnano.
Dare spazio alle imprese vuol dire far pagare la crisi ai lavoratori? Non credo. Vuol dire che per favorire la ripresa del sistema economico occorre privilegiare più che il reddito personale dell'imprenditore o del lavoratore, l'impresa produttrice di lavoro e creativa di risorse economiche.
Abbiamo prestato la necessaria attenzione alle iniziative della Giunta e non le giudichiamo totalmente in modo negativo. Quando Carletto parlava di inerzia non intendeva dire che non c'è impegno, non c'è dedizione, anzi riconosciamo alla Giunta un certo lavoro di tamponamento, la presenza sui posti di crisi. A nostro giudizio manca il necessario ruolo di governo.
Sanlorenzo dice che dobbiamo puntare al coinvolgimento, al controllo dei programmi dei grandi gruppi al fine di individuare la compatibilità con il Piano di sviluppo. Bisognerebbe però che il Piano di sviluppo ci fosse.
Quale compatibilità possiamo verificare nella Regione se non c'è un Piano di sviluppo? Il problema del credito è un problema complesso, il Consigliere Viglione ha parlato di 33 mila miliardi di depositi in Piemonte, che non sappiamo di chi sono, almeno fin che vige il segreto bancario. Stiamo parlando di credito come se il credito fosse il salvataggio di tutto. Nei sistemi occidentali il deposito bancario è un investimento residuale per la famiglia. Gli investimenti si fanno nei settori produttivi. Il ruolo di intermediazione è sostanzialmente ridotto. D'altra parte i 33 mila miliardi sono in parte già ritornati al sistema produttivo, il credito ordinario non può essere un elemento di capitalizzazione delle imprese: esso è un sostegno alle imprese, quando sono sane, per la copertura dei fabbisogni commerciali di capitale circolante. Il rapporto capitale-credito del sistema produttivo italiano, è un rapporto che vede l'indebitamento verso il sistema creditizio enorme e pesante. Quindi non si tratta di dare ulteriori fondi ed ulteriori mezzi alle aziende che sono in difficoltà, il credito va dato alle aziende sane perché se il credito è soltanto un surrogato per la copertura delle perdite, creerà altro indebitamento e porterà rapidamente le imprese verso una crisi ben più grave.
E' necessario lo sbocco del credito agevolato ed il superamento dei problemi che il tasso di riferimento attuale comporta, però deve esserci la propensione agli investimenti.
Vorrei fare un accenno alla proposta del Consigliere Guasso sul problema della Finpiemonte. La Finpiemonte ha svolto un ruolo e penso che gli enti strumentali debbano avere un maggior slancio (anche la Finpiemonte che ha l'intero capitale investito in CCT e BOT). Non credo però che si possa pensare alla Finpiemonte come ad una società di sostegno finanziario alle imprese; sarebbe rischiosissimo e avvierebbe fatalmente la Regione verso interventi di salvataggio che quando attuati sono serviti solo in parte e che non sono più in grado di incidere sulla realtà industriale in una fase di crisi così marcata.
E veniamo ai Consorzi fra piccole imprese per i quali la legge 240 costituisce un elemento molto positivo. I limiti finanziari di questa legge sono modesti, comunque si deve avviare l'attuazione, si potrà chiedere l'integrazione dei 175 miliardi quando i miliardi saranno stati spesi. Non metterei la richiesta del finanziamento avanti all'impegno che compete alla Regione per la promozione dei consorzi con la sua partecipazione diretta che la legge 240 prevede. Il problema dell'integrazione fra le grandi medie e piccole imprese è un problema reale e l'azione degli enti strumentali può essere utile e deve essere intensificata. Per quel che attiene alle aree attrezzate dobbiamo notare che finora delle 8 previste una sola è stata realizzata. Il riequilibrio attraverso aree attrezzate di grosse dimensioni, aveva una sua validità, in una certa fase di sviluppo potrà avere ancora in determinate condizioni una certa validità. Occorre ripensare agli insediamenti industriali in modo che siano più agili, più ristretti, se non vogliamo che diventino cattedrali in un deserto e che non raggiungano gli obiettivi sperati. Le aree attrezzate devono essere realizzate di concerto con gli operatori economici che vi si insedieranno.
La realizzazione di tali infrastrutture senza la preventiva previsione di rilocalizzazione può portare ad uno sciupio di risorse. In proposito certo, pesa il grosso buco di Torino. Manca il piano territoriale di coordinamento del Comprensorio, non possiamo prevedere l'utilizzo dei finanziamenti in Torino, che è la zona più colpita dalla crisi. Se dobbiamo dare alle altre zone la capacità di muoversi autonomamente per la stessa ragione dobbiamo operare nel Comprensorio torinese analogamente. Questa carenza e responsabilità della maggioranza che in 5 anni non è riuscita a dotare il Comprensorio di Torino di una linea di programmazione seppure minima. Alcune notazioni sono anche opportune anche sulle richieste fatte al Ministero.
Per quanto riguarda l'Indesit non credo che vi sia una soluzione soltanto. Dobbiamo operare perché una soluzione possa maturare ma in modo economico, perché solo se il consorzio avrà le dimensioni necessarie potrà reggere sul mercato, essere vivo e garantire il posto di lavoro ai dipendenti.
In merito alla Olivetti la domanda pubblica può avere la sua importanza però non credo che la soluzione della crisi della Olivetti si possa attenuare con strani interventi del capitale pubblico in minoranza, come abbiamo sentito dire nel recente Convegno del P.C.I. Siamo molto scettici perché riteniamo che il capitale pubblico debba muoversi direttamente nel settore industriale solo se e quando necessario. La Fiat ha presentato dunque la domanda sulla legge 675. Siamo stati tra quelli che hanno puntualizzato le carenze della Fiat nei rapporti con la Regione, ci nondimeno sappiamo che il piano della 675 si presenta agli istituti di credito, come è fissato dalla legge stessa, quindi la Fiat il 30 giugno presentando il documento all'istituto di credito ha agito secondo la legge seppure ha trascurato il rapporto con gli enti istituzionali ed in particolare con la Regione, al punto che abbiamo avuto notizia della presentazione molto tempo dopo. Occorrerà valutare a fondo questa richiesta di finanziamento anche perché, sia per la 675, come per i fondi dell'innovazione, le risorse scarseggiano e si deve fare un discorso di priorità.
Tuttavia poiché il programma finalizzato per l'auto è stato da noi approvato e deve diventare operativo, concordiamo sulle iniziative indirizzate alla sua attuazione.
Aggiungo ancora qualche osservazione a quanto ha detto il collega Carletto. Abbiamo chiesto di spendere con efficacia le risorse proprie della Regione, di scegliere gli investimenti prioritari perché non ci pare che si sia condotta una politica finanziaria rigorosa. L'assestamento di bilancio, gli slittamenti al 1982 ci lasciano perplessi sotto questo profilo.
Occorre attivare l'edilizia privata. La legge 56 è di difficilissima attuazione, lo schema di convenzione quasi impraticabile. Bisogna procedere al più presto alla revisione della legge urbanistica. Tra i fondi non utilizzati della 457 vi sono quelli dell'Istituto autonomo case popolari.
Nei convegni si va dicendo che l'IACP è un organismo obsoleto e mal gestito. Ma chi gestisce l'Istituto autonomo case popolari? Lo gestiscono le forze di maggioranza regionale che sono responsabili se non si aprono i cantieri.
Oltre alla nostra proposta che è stata la prima, sono state presentate proposte migliorative alla legge anche nell'ambito delle forze di maggioranza; ma l'Assessore Simonelli si è limitato ad inviare una circolare che può essere apprezzabile (almeno nei documenti Simonelli si rende reperibile) ma è inadeguata e insufficiente. E' un impegno, ma con gli impegni i problemi difficilmente si risolvono, occorre l'azione.
Occorre sciogliere il nodo energetico, abbiamo visto in TV una riunione esemplare nella quale il Ministro Marcora si intratteneva con la Giunta, i Capigruppo ed i segretari regionali dei partiti della Regione Lombardia.
Qui stiamo ancora palleggiandoci. La convenzione con l'ENI non ha avuto il seguito necessario alla nomina della Commissione prevista: anche in ordine a questo problema non si passa dalle dichiarazioni all'azione più volte richiamata.
Nell'ultimo assestamento di bilancio sono stati depennati i fondi che nel bilancio pluriennale erano destinati al Piano di sviluppo: la conferma della volontà della Giunta di avviare questo fondamentale strumento, che per noi non può essere certo sostituito dagli 84 progetti ! Non vogliamo fare del catastrofismo, ma non è certo accettabile un superficiale ottimismo o un attendismo passivo.
La legislatura regionale è già inoltrata, siamo al secondo anno di attività, e non si vede una strategia complessiva.
Per il Piemonte circolano slogan pubblicitari messi in giro da un sistema informativo regionale molto costoso, sempre più di parte.
La realtà che siamo in una Regione sempre più burocratizzata appiattita nella gestione, incerta e priva di programmi. Arriva l'ora della verità anche per la maggioranza. Occorre voltar pagina ! Molti sono i dissensi emersi, molte le voci contrastanti sull'attuazione del programma della Regione. Interventi critici sul Piano di sviluppo e sui problemi urbanistici sono venuti anche dai banchi della maggioranza. I ritardi accumulati negli ultimi anni devono essere prontamente colmati poiché le istituzioni, particolarmente in tempi difficili, non possono andare in vacanza. La programmazione deve essere vigorosamente rilanciata se non si vuole che la Regione perda di credibilità e non sia capace di corrispondere alle funzioni istituzionali.
Questo abbiamo scritto nelle premesse alla prima proposta di piano del nostro Gruppo e questo vogliamo riaffermare oggi alla fine di questo dibattito, preoccupati dal grave arretramento del Piemonte. Anche nelle file della maggioranza questa opinione sembra farsi strada al punto che il responsabile del PSI degli Enti locali, l'on. La Ganga ha recentemente affermato: "Torino sta assistendo inerte alla sua deindustrializzazione: facendo ogni mese il bollettino delle aziende in crisi non si superano le difficoltà. Ci vuole una politica diversa. Le risorse del Comune di Torino vanno indirizzate più sugli investimenti e meno sui servizi". Il discorso vale anche per la Regione. Non siamo alla disperazione, ma dobbiamo assolutamente reagire all'isolamento che sta imbrigliando la nostra città.
La Ganga si rivolge ai comunisti ma anche all'opposizione, anche a noi e dice: "Dobbiamo impegnarci per trovare le vie d'uscita. Tutte le forze d'opposizione hanno il dovere di dare il loro contributo".
La sfida si può affrontare soltanto sui problemi concretamente e senza furberie. Sui problemi siamo disponibili come democrazia cristiana e non solo da oggi.
La nostra opzione non è un nuovo fumoso modello di sviluppo, ma lo sviluppo semplicemente, il rifiuto della rassegnazione, della paralisi e della fuga.
Programmare in tempi di crescita è più facile, si tratta soprattutto di indirizzare risorse, di razionalizzare lo sviluppo; programmare nella crisi e nella recessione è più arduo, più difficile e più problematico, ma ancora più necessario e indispensabile. E' su questo terreno che la Regione deve operare per dare un vero autonomo contributo alla ripresa.



PRESIDENTE

Ha ora la parola l'Assessore Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Assessore al lavoro

E' già stato rilevato da numerosi interventi come il dibattito sia stato ampio, quindi primo dovere della Giunta è quello di acquisire e di informare gli altri colleghi di Giunta sui contributi che sono stati dati da tutte le parti perché da tutte le parti si può cogliere sia in forma propositiva, sia in forma critica osservazioni e proposte su cui meditare.
Abbiamo già fatto diversi dibattiti su questo tema ma oggi non siamo al punto del primo. C'è stata una evoluzione purtroppo negativa della crisi e c'è stata una evoluzione di consapevolezza del Consiglio regionale e un avvicinamento, almeno per quanto riguarda i capitoli essenziali sull'analisi della crisi.
Non è cosa di poco conto. Si può arrivare a risultati di convergenza e di analisi, si può arrivare in ritardo rispetto alle decisioni che occorre prendere e si può non arrivare mai. Immaginavo che un dibattito di questo genere si fosse svolto nel Parlamento italiano in questi giorni. Le cose che abbiamo detto qui se fossero state trasferite nel Parlamento della Repubblica italiana sarebbero apparse sorprendenti, e forse, avrebbero detto: "sta a vedere che il Piemonte vuol farci credere che è in crisi quando invece la crisi à altrove".
Oggi qui la consapevolezza della crisi è apparsa rilevante. Quindi su questo punto un contributo lo possiamo dare alle forze politiche del parlamento italiano e crediamo di averlo dato al Governo. Non è stato di poco conto l'aver parlato di questi problemi in tempi giusti, non ritardati. Non accetto l'osservazione riferita da un giornale secondo la quale la Giunta avrebbe scoperto in ritardo la gravità della crisi. Non è così, anzi, sarei disponibile per una sfida culturale e filologica su questi argomenti. Sfido il Consigliere Brizio a cercare un articolo di giornale, di rivista, sindacale o politica che, prima del 10 maggio 1981 abbia fornito al Piemonte e alle forze politiche i dati veri della crisi. A queste questioni ci siamo arrivati in parte per intuizione in parte casualmente. Avevamo un osservatorio del lavoro pregevole, ma che tuttavia aveva a disposizione i dati dell'Istat. La caratteristica fondamentale delle statistiche italiane è che sono a volte precise e puntuali, ma giungono con due o tre anni di ritardo.
Siccome stavamo verificando che le cose andavano male, abbiamo inventato un sistema di rivelazione empirico che raccoglieva i fogli delle crisi delle aziende con il contributo dell'Ufficio regionale del lavoro e con una interpretazione nostra e con correzioni. E' una empiria che ci permette in questo momento di avere la situazione aggiornata al 30 di ottobre; è un'empiria che ci ha consentito di informare il Ministro Marcora sulla situazione; è un'empiria che ci ha consentito di informare il governo precedente che le cose stavano andando in questa maniera, è un'empiria che ha dato origine al dibattito sulla Cassa integrazione e sui progetti speciali, è un'empiria che ci permette di discutere oggi con dati oggettivi che rendono più difficile sbagliare, almeno nell'analisi.
Certo, questo non basta. Dire le verità scomode e dire le verità drammatiche spesso è un esercizio inascoltato. Ci ha provato assai prima di noi nel nostro partito il collega Amendola, ci ha provato per tutta la sua vita La Malfa, ci prova adesso Spadolini, ma in genere coloro che fanno queste denunce, non hanno molta fortuna almeno nell'immediato. Sulla gravità della crisi a cui accennava il Consigliere Guasso non si può dire molto di più. Ha ragione a ricordare che abbiamo incominciato una polemica da tanti e tanti anni sulla qualità nuova della crisi, sul salto storico rappresentato dalla crisi del petrolio, sul fatto che da quel giorno tutto in fondo cambiava. Ma prima che di tutto questo si prendesse coscienza c'è stata qualche ripresa "drogata" dell'economia italiana che distoglieva di nuovo da un'analisi severa e riportava a dichiarazioni di ottimismo e di superamento di crisi, perché serviva in certi momenti dichiarare questo.
Ancora alla fine del 1980 l'analisi ufficiale era diversa da quella che oggi si impone.
La seconda considerazione che mi pare positiva del dibattito è la coscienza dei nostri limiti. Ha ragione il Consigliere Viglione a dire che non ci sono santoni né guaritori, ha ragione Guasso a dire che nessuno ha la verità in tasca; ha ragione anche Brizio a dire che non ci sono soluzioni mitiche: prima di loro - ci ricordava Montaigne - che la cosa peggiore da cui dobbiamo guardarci è di avere la presunzione di sapere. E per dare un riconoscimento alla cultura di altro tipo, la Genesi ci ricordava che nell'elenco dei reietti erano collocati in primo luogo coloro che credevano di sapere. E ancora, se vogliamo aggiungere un'altra fonte culturale, mettiamoci anche l'abate Galiani che ricordava che: "sol chi sa che non sa ne sa più di chi sa".
Sappiamo tutti che quando si parla di crisi economica, specialmente nel 1981, ancorché non manchino gli economisti, le statistiche e le previsioni entriamo su un terreno assai incerto, dove nemmeno i grandi esempi del passato ti possono sorreggere. Qualche cosa è aleggiato nel dibattito che si richiamava all'importanza degli investimenti pubblici; ma giustamente Bastianini ci ha detto: "attenzione che anche gli investimenti pubblici pur così importanti per la casa, per le infrastrutture, non possono essere sostitutivi di una politica industriale".
Eppure, questa grande intuizione servì all'America per uscire dalla crisi del 1929.
Oggi non ci è sufficiente - non dico che sia ininfluente - per dare una risposta al tipo di crisi politica e industriale del Piemonte Non ci è indifferente la cultura di Andreatta per quanto si riferisce alla gestione della finanza pubblica, ma Andreatta ha dovuto riconoscere recentemente che non è più sicuro nemmeno lui delle cifre che sono state calcolate sul bilancio perché l'inefficienza dello Stato è arrivata al punto di non poterci nemmeno fornire i dati per stabilire se il deficit è di 50 mila, di 60 mila miliardi.
Consigliere Carletto, ci servono anche la fantasia di Marcora e di Di Giesi, di De Michelis, e di La Ganga. Tutti possono essere utili propositori, ma nessuno ha la chiave in tasca per indicare agli altri quello che bisognerebbe fare, e guai a chi non lo fa! Dobbiamo avere la cultura della modestia complessiva, senza alcuna concessione al pressapochismo o alla rinuncia culturale. La Giunta dice di avere avuto la modestia di portare le cifre che, per il momento, non sono state contestate. Quindi paiono proprio essere "vere".
Vorrei allora vedere se non possiamo assieme arrivare ad una unità di valutazione che raccolga i contributi che sono stati dati.
Per esempio, raccolto incertezze sulla questione degli 84 progetti quasi che fossero stati solo un prodotto della Giunta regionale e di questa maggioranza. Prodotto di questa maggioranza è stata l'intuizione di proporre la necessità di presentarli. Ventiquattr'ore dopo c'è stata la stretta creditizia. Ma non dimentichiamo che abbiamo avanzato l'offerta e abbiamo raccolto la disponibilità di idee e di suggerimenti venuti da tutte le parti, dalla maggioranza, dall'opposizione, dalle forze sociali.
Gli 84 progetti sono di tutti. Attenzione a chi cerca oggi di svalutarli perché potrebbe arrivare l'approvazione di nomina del Governo formato da molte delle forze che oggi manifestano perplessità.
Il mio invito è a superare ogni tentativo di avere atteggiamenti puramente polemici o artifici per mettere in difficoltà qualcosa o qualcuno. Quale utilità finale deriva a tutto questo? Piuttosto la questione è un'altra...



CARLETTO Mario

Gli 84 progetti non sono sostitutivi del secondo Piano di sviluppo.



SANLORENZO Dino, Assessore al lavoro

Certo, non voglio sfuggire a questa questione.
Gli 84 progetti sono il tentativo di anticipare un Piano di sviluppo necessario, ma non mitico, se anche noi vogliamo essere coerenti con la dimensione e la modestia delle nostre capacità. Non sono mitici né il Piano di sviluppo che deve essere presentato, né il documento della DC, né gli ottantaquattro progetti. Tutto questo dobbiamo analizzarlo per comporlo in un disegno di politica economica.
Presentammo quella proposta, abbiamo instaurato un rapporto con il Governo la prossima settimana avremo un incontro con il Ministro Marcora dove puntualmente verificheremo tutte le risposte possibili. Questo rapporto è corretto da parte di una Regione che vede tagliati i margini di manovra finanziaria autonoma di cifre superiori a quelle qui denunciate.
Non avremo 200 miliardi di fondi liberi, ma ne avremo 40, se li avremo, con il bilancio 1982.
In una situazione di questo genere non viene allora esaltata la funzione programmatoria, propositiva della Regione, attraverso ciò che è scritto nello Statuto là dove si dice che la Regione concorre con il suo contributo alla determinazione della politica nazionale? Non è questo l'unico elemento positivo che viene fuori dalla restrizione della capacità autonoma di spesa? Non viene esaltata la capacità propositiva di inventiva di confronto; senza proporre con l'intento di farsi dire di no, o di proporre cose astratte perché poi risultino impraticabili? Abbiamo proposto 8 progetti sull'energia perché crediamo ad essi e, a quanto pare, altri ci credono se è vero che due sono già stati approvati dalla Comunità europea.
Badate che se vengono approvati quei progetti avremmo trovati più soldi di quanti sono nel bilancio della Regione Piemonte come fondi liberi.
Si può dire che "una funzione di questo genere non è la funzione che le Regioni debbono avere? ".
Un pericolo c'era ed era il pericolo che venissero approvati tutti: 3.250 miliardi di investimento, metà della disponibilità della legge finanziaria! Noi avevamo consapevolezza che in nessun caso sarebbe stato possibile approvare tutti i progetti, ma che tutti erano utili e fortemente motivati.
Entro la fine del mese il Ministro deve dare il suo parere sugli otto progetti dell'energia. Appena ci verrà consegnato il piano energetico faremo tutte le scelte che dovremo fare, con il concorso di tutti.
Non dimentichiamo che il primo Kwh di energia nucleare salterà fuori nel 1991 o nel 1992 e che ci sono nove anni durante i quali dovremo convivere in situazione di restrizione e di risparmio energetico e di creazione di energia complementare. Le decisioni si impongono a tempi brevi: ecco l'urgenza delle proposte che abbiamo avanzato nell'interesse nazionale contribuendo alla lotta contro l'inflazione.
Tutto questo esaurisce il capitolo del nostro impegno nella politica industriale ancorché i nostri poteri siano modesti? Montefalchesi dice che nei progetti non c'è la politica industriale.
Non dimentichiamoci che abbiamo avuto qui un dibattito specifico sulla politica industriale che conteneva proposte di carattere generale e particolare che erano inerenti alla politica industriale. Lì ci sono delle proposte che riguardano i grandi gruppi e le piccole e medie aziende e sono, ancora una volta, proposte senza le quali è evidente che le nostre possibilità di intervento diventano residuali e modeste. Ma sarebbe assai più modesto e residuale se non avessimo avuto la capacità di proposta attraverso il confronto con le forze sociali, gli imprenditori e sindacati.
Non è questa la collaborazione che bisogna instaurare con il governo indipendentemente dalla sua composizione politica, senza essere pregiudizialmente né d'accordo né contrari? Non è questo un rapporto giusto, necessario, esemplare. Non è questo un rapporto per gli anni '80? Tutto questo non può significare solo dare pareri sulla legge 675! Pareri che vengono messi nei cassetti. Il nostro contributo deve confrontarsi con un nuovo tipo di programmazione, se vogliamo ancora credere a questa parola, attraverso azioni che non siano soltanto piccole cose e nemmeno attraverso la programmazione per progetti come era intesa nel 1977. Quando parlo di progetti, parlo di complesso di progetti che siano rispondenti nel complesso a una linea di politica economica. In questo senso sì, parlo di nuova programmazione.
Un'altra programmazione non la saprei concepire.
Chi può fare calcoli per i prossimi tre anni? Nella prossima seduta parleremo della fame del mondo, delle variabili internazionali da cui dipende l'economia mondiale. Qui le cose si decidono avendo presente la prospettiva del 2000, avendo ben presente dove andremo a finire. Però con la capacità di decidere, settimana per settimana, mese per mese, cose coerenti. Il non decidere coincide con l'andare verso la precipitazione della crisi industriale e l'acutizzazione di tutte le tensioni. Non parlo del Piemonte, ma parlo dell'Italia, della situazione internazionale, delle questioni che sono in ballo a Cancun e fuori Cancun . Parlo del nostro Paese come Paese industriale o come Paese che rischia di andare nell'area del sottosviluppo.
Se qualcosa di quanto sto dicendo è vero, vedo qualche progresso sul piano culturale, per la necessaria cultura industriale che deve sorreggere i nostri sforzi e per l'avvicinamento di posizioni.
Bastianini non me ne vorrà se in dialettica con Alasia e con Guasso ricorderò che oggi si è fatto un passo avanti nella cultura industriale del Consiglio regionale.
Bastianini ha detto che "è indispensabile una effettiva politica industriale", con ciò dicendo che finora una politica industriale effettiva, sana, orientata su criteri giusti, non c'è stata.
Sono d'accordo con lui, anche perché ho partecipato al convegno di Genova e ho sentito il prof. Barattieri dire che è difficile parlare di politica industriale in un Paese che in tre anni cambia sei ministri dell'industria: è un paese che produce molti ministri dell'industria ma poca politica industriale perché non c'è nemmeno il tempo di passare le carte fra un ministro e un altro.
Credo che abbia ragione Barattieri e che abbia ragione Bastianini. Ma credo che abbiano ragione in un senso che non lascia più molto spazio al dialogo fra i lib-lab.
Voglio tentare di inserire tutte le forze politiche in questo dialogo prendendo a spunto non quello che ha detto Bastianini, ma quello che diceva prima di lui un conservatore (e non un reazionario), Luigi Einaudi, che scriveva con una prosa un po' strana, ma che la vedeva lunga circa il punto di intesa fra un certo tipo di liberalismo e le forze progressiste.
Scriveva Einaudi nel 1957: "Non fa d'uopo confutare ancora una volta la grossolana fola che il liberalismo sia sinonimo di assenza dello Stato o di assoluto lasciar fare e lasciar passare e che il socialismo sia la stessa cosa dello Stato proprietario e gestore dei mezzi di produzione; che i liberali siano fautori dello Stato assente, che Adamo Smith sia il campione dell'assoluto lasciar fare e lasciar passare. Sono bugie che nessuno studioso ricorda, ma per essere grosse sono ripetute dalla più parte dei politici abituati a dir superare l'idea liberale, ma non hanno mai letto nessuno dei libri sacri del liberalismo e non sanno in che cosa esso consista".
Una ripresa delle teorie neoliberiste 1957 urta contro Einaudi e urta contro Bastianini. Allora dobbiamo avere la consapevolezza che, davvero, il richiamo della foresta, il richiamo del passato, no è nemmeno un richiamo ai grandi maestri, è un richiamo all'800, ma è un richiamo che non serve a niente.
Dobbiamo guardare con occhi lucidi e spogli a una realtà che nessuno ha mai conosciuto; non l'ha conosciuta Lenin, non l'aveva profetizzata Marx.
Credo che Marx sia da rivalutare in molti dei suoi studi, ma questo è un discorso di altra natura. Una realtà di questo genere il marxismo non l'ha conosciuta, una realtà dove non c'è unità fra il mondo comunista internazionale, c'è anzi conflitto, una realtà in cui le crisi si manifestano ma non hanno sempre il senso catastrofico che avevamo previsto una realtà nella quale non sempre c'è la caduta tendenziale del raggio di profitto in tutte le situazioni capitalistiche.
E' una realtà nuova da tutti i punti di vista.
Non sto proponendo la politica della solidarietà nazionale, non sto proponendo la vicinanza culturale in qualche cosa del genere, ma attenzione però, quando la crisi tocca profondità di questa natura, qualche cosa che avvicini le parti lo dobbiamo trovare.
Nelle riunioni del Consiglio comunale e provinciale e nelle Commissioni consiliari della Regione qualche cosa si muove in questa direzione, c'è qualche cosa che tende al coordinamento delle questioni di questa portata alla ricerca di punti di vicinanza, al ritiro delle proposte se non funzionano, a spingere avanti l'acceleratore se c'è il consenso di tutti.
Come si farebbe altrimenti a uscirne fuori? Come si possono fare appelli alla televisione come quello di Spadolini se poi non lo si raccolgono? Distinzione sì fra le varie forze politiche, ma anche ricerca di convergenza. Svolgo qui una funzione di Giunta di governo che, volendo essere forza di governo e volendo svolgere una funzione di governo non pu che porsi autonomamente in questo modo. Mio dovere, in qualità di Vice Presidente della Giunta, è quello di fare un appello alle forze politiche e sociali per ricercare i punti di consenso.
Si dice che questa Giunta riceve, gli operai, riceve i sindacati, le banche e poi dà la benedizione alla crisi. Si può leggere anche così quello che si fa, ma badate che si può leggere anche in un'altra maniera. Quale altra Giunta, quale altra maggioranza sarebbero sopravvissute a una crisi di queste proporzioni con 45 mila lavoratori in Cassa Integrazione? Non dico che noi stiamo assolvendo alla funzione di pompieri o di mediatori del conflitto sociale perché da noi non viene la gente perché la chiamiamo sono gli imprenditori che chiedono di venire da noi, poi vengono i sindacati. E' Orfeo Mandi che telefona alla Regione per chiedere che cosa si può fare. E' anche la Nebiolo. E la Nebiolo è la Fiat. Sono i dirigenti della Ceat.
Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che la funzione di governo viene automaticamente riconosciuta dalle forze sociali per quello che può dare. Non soltanto registrazione e mediazione dei fatti. La questione Pianelli non sappiamo come finirà.
Abbiamo conquistato i salari per il mese di settembre e metà di ottobre e l'amministrazione controllata. Questa non era l'unica ipotesi possibile.
C'erano anche altre ipotesi più radicali che non avrebbero portato ai 500 milioni per garantire l'attività produttiva. Ci sono manovre e giochi, che in qualche misura abbiamo per il momento parato, tendenti a far precipitare la situazione per piombarci sopra e fare come si fa sempre nelle grandi crisi industriali, appropriarsi delle parti che funzionano e sbattere via il resto senza curarsi se ci sono 5 mila persone che vanno in disoccupazione.
Non siamo i notai delle crisi. Il sindaco di Bra sa che non abbiamo fatto i notai in quella fabbrica. Quando abbiamo incominciato a discutere con le banche non ce n'era una che volesse accettare il discorso. Se adesso c'è una prospettiva è perché abbiamo saputo cucire, svolgere una funzione che ha saputo mettere attorno ad un tavolo le parti interessate ed evitare i giochi e le manovre e le ambiguità. Si è trattato di portare la proprietà a capire che doveva consentire l'amministrazione controllata perché non c'era altra via, non perché lo proponevamo noi, ma perché attraverso la maturazione complessiva di lunghe ed estenuanti riunioni dovevamo arrivare a tutto questo.
Spesso le fabbriche escono con accordi sottoscritti e firmati che possono essere il meno peggio ma che sarebbero stati peggio se non ci fossero stati. Sono decine e decine di questi accordi.
L'Assessorato all'industria e quello al Lavoro non hanno una lira da spendere. Ma se riuscissimo a salvare la fabbrica di Bra, sono 3,5 miliardi di investimenti delle banche e 1,5 miliardi di investimenti privati. Non vale la pena di tentare una carta di questo genere? Riuniremo le Regioni interessate alla vicenda Ceat. C'è l'amministrazione controllata fino a gennaio, però bisogna pensare al dopo.
Se riuscissimo a trovare una soluzione che non metta altri lavoratori in Cassa Integrazione, significherebbe decine e decine di miliardi in meno che vanno ad aggravare la situazione.
Tutto questo non c'entra con la funzione della Regione? Non c'entra con il bilancio regionale? E' altra cosa? In qualche misura c'è la consapevolezza del fatto che le forze democratiche di sinistra al governo della Regione sono un pezzo di speranza di uscire fuori. Abbiamo coscienza piena di questo.
Nel 1975, quando le forze di sinistra conquistarono il governo dei comuni, delle province, della Regione, ponemmo il problema della qualità della vita e di un nuovo sviluppo. L'uno e l'altro obiettivo erano giusti.
Oggi abbiamo piena consapevolezza che il problema della qualità della vita viene messo in discussione dai tagli che toccano proprio la qualità della vita delle donne, degli anziani, toccano la cultura. L'assistenza, la sanità. Il problema della qualità dello sviluppo si pone sempre come prima ma si pone in un momento in cui non c'è più sviluppo.
Di fronte a tutto questo che cosa dobbiamo fare? Scegliere la via della convenienza, la via di far fare l'Assessore al lavoro a qualcuno di una forma politica del governo nazionale che qui siede all'opposizione? La sinistra va bene nel periodo dello sviluppo, ma non deve assumersi la responsabilità del governo della crisi, non deve "sporcarsi le mani" per usare la frase di Sartre? Credo di no. Ma attenzione! Questo discorso non deve essere equivocato.
Noi avanziamo proposte, ma vogliamo risposte. Non abbiamo atteggiamenti pregiudiziali, ma nemmeno debolezze.
A Verbania il Governo deve andarci. Marcora la prossima settimana deve darmi due risposte. Per la fine del mese il documento della Presidenza del Consiglio sui progetti deve avere una risposta.
Noi dobbiamo presentare il Piano di sviluppo entro la fine dell'anno e se non lo presentiamo ci direte quello che ci viene. Dobbiamo presentarlo senza ambiguità.



BRIZIO Gian Paolo

Sia messo a verbale.



SANLORENZO Dino, Assessore al lavoro

Certo, sia messo a verbale. Lo dirò ai colleghi di Giunta. Alla fine del mese di novembre deve venir fuori l'articolato di modifica della legge 56. Se no si discute la proposta del Gruppo DC.
E' chiaro? Questo vuol dire assumersi le responsabilità. La Giunta regionale nella sua ultima riunione ha esaminato questi tempi e ha convenuto, presente l'Assessore Simonelli, che questi sono i tempi da rispettare.
La proposta dell'incontro delle forze politiche, economiche al 10 di dicembre non è solo una proposta, ma è un impegno, discutendo la metodologia di convocazione con voi, con i Capigruppo. La Giunta si assume la responsabilità di presentare la formula della preparazione alla prima o alla seconda riunione dei Capigruppo perché i tempi sono brevi. Bisogna essere d'accordo anche sull'impostazione di questo. Noi abbiamo la responsabilità di proporre, ma abbiamo il dovere di discutere con tutti i Gruppi.
Entro il 25 dobbiamo presentare alle forze politiche ciò che siamo in grado di proporre, con la modestia che ricordavo prima, in termini di progetti speciali. Abbiamo pienamente presenti le questioni che hanno ricordato Bastianini e Carazzoni. Prima di dare un giudizio negativo a priori, verifichiamo assieme. Non ne parliamo sui giornali prima presentiamo in sede istituzionale, presentiamo ciò che siamo stato in grado di elaborare in questo campo, lo discuteremo se va bene lo porteremo avanti, se andrà male lo manderemo indietro. Qualche idea c'è e tiene conto delle cose che avete detto. Sono progetti a cui partecipa volontariamente la gente. Guai se non fossero progetti che riguardano i disoccupati e i cassaintegrati, guai se fossero progetti così cari da essere preferiti altri investimenti.
Dal 1° al 15 teniamo le assemblee in Piemonte con i risultati dell'indagine sulla Cassa Integrazione e sui progetti presentati. Non sono i toccasana, ma sono qualcosa che deve intervenire nella realtà.
Potrei dire anche molte altre cose, ma l'ora è tarda. Però non vorrei sottrarmi dalla provocazione di Bastianini quando dice: "diteci che cosa pensate sul costo del lavoro".
Sono convinto che il costo del lavoro è una componente che pesa sull'economia del nostro Paese, ma sono d'accordo nei limiti che ha detto Mandelli ieri alla televisione. Non sono d'accordo su quasi niente di quello che dice Mandelli, ma su quello sì.
Ha detto che il costo del lavoro è una cosa importante, ma non se ne faccia un monumento, perché anche se le forze politiche e i sindacati si accordassero su un altro costo del lavoro, non usciremmo dalla crisi industriale del Paese.
Sono d'accordo che le cose stanno così, in tutti gli incontri che facciamo con le aziende, anche se c'è il costo del lavoro alle spalle, la gente pone altri problemi: credito, progettazione carente, mercato internazionale, difficoltà a ricercare nuovi mercati.
Il salario italiano in questo momento non è un salario europeo. Il metalmeccanico ha un salario di 640 mila lire al mese. Andiamo pure a rivedere la giungla retributiva. E' vero quello che dice una parte degli industriali: leggete il rapporto Artom. Ci sono due anime anche lì. A pagare la crisi finiscono di essere certi settori industriali da una parte e milioni di operai e di disoccupati dall'altra. Ma ci sono anche certi privilegiati che la crisi non la paga.
Quindi, prudenza nelle valutazioni. Ormai si difende la capacità d'acquisto del lavoratore, cioè il valore effettivo del salario. Se ci sono incrementi di produttività una parte vada al salario, un'altra parte vada agli investimenti.
Chi pone aumenti salariali che davano al di là di tutto questo? Il costo del lavoro non riguarda la Giunta, ma non ho voluto rifiutare nemmeno questa provocazione.
Per quanto riguarda l'altro aspetto spinoso della riforma del collocamento, noi abbiamo presentato un progetto e vogliamo che le apparecchiature tecniche del collocamento siano all'altezza di gestire la lista della mobilità. Il punto a cui si è giunti al Parlamento non sarà perfetto, ma quando alle industrie artigiane si concede la nominatività dell'assunzione fino a dodici unità, tutte le richieste artigiane sono soddisfatte; quando a tutte le industrie si concede la nominatività fino a dieci, pensiamo davvero che questo sia un elemento risolutivo nella situazione attuale? E' una componente, certamente non risolutiva. Ho chiesto a parecchi industriali quanto pensano che tutto questo possa dare in termini quantitativi. Le cifre sono molto più modeste di quelle che qualche volta sono aleggiate.
Poi c'è la nominatività per i giovani che escono dai corsi di formazione professionale.
Tutta la battaglia che era avvenuta in sede di Parlamento è avvenuta nel grande contrasto tra la DC e il PCI: la DC proponeva 15, noi proponevamo dieci. Alla fine è passato 12. Nessuno ha proposto qualcosa di trascendentale. Bisogna avere presente il quadro nazionale del collocamento, bisogna aver presente il caporalato, il Mezzogiorno. Ecco perché passa la sperimentazione del Piemonte. Si vuol vedere a che punto si giungerà qui per stabilire quanto di questo potrà servire su scala nazionale.
Ci sarebbero tanti altri spunti del dibattito che meriterebbero riflessione.
La giornata è stata comunque proficua. E ringrazio quindi tutti coloro che hanno partecipato alla discussione.


Argomento: Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati

Ordine del giorno sulle Servitù Militari


PRESIDENTE

Vi do lettura di un Ordine del giorno sulle Servitù Militari.
"Il Consiglio regionale del Piemonte vista la legge 24 dicembre 1976, n. 898, 'Nuova regolamentazione delle Servitù Militari', che all'art. 3 stabilisce che nel termine di 5 anni dall'entrata in vigore della legge stessa, e cioè entro il 10 gennaio 1982 devono essere definite, in ciascuna Regione, da parte dei Comitati Misti Paritetici, le zone idonee alla concentrazione delle esercitazioni militari in aree che dovranno essere espropriate dall'Amministrazione militare per la costituzione di poligoni di tiro permanenti visti gli indirizzi emersi nel corso della Conferenza nazionale sulle Servitù Militari, tenutasi a Roma nel maggio 1981, e specialmente la direttiva impartita dal Ministero della Difesa alle Forze Armate, tendente ad evitare il più possibile l'istituto dell'esproprio, optando di preferenza per la stipula di convenzioni pluriennali viste le note di protesta di molti Comuni interessati da poligoni militari, che evidenziano la difficile situazione delle comunità locali gravate da serie limitazioni che interferiscono con le normali attività socio-economiche e ne condizionano lo sviluppo visto che le prime iniziative prese in questi giorni dalle Forze Armate nei confronti dei Comuni sedi di poligoni, al fine di ottemperare in tempo al dettato della legge hanno determinato vive preoccupazioni nelle comunità locali e la netta opposizione di molti Sindaci ad ogni forma di esproprio dei territori comunali tenuto conto che nell'anno in corso in tutti i poligoni occasionali tutte le esercitazioni militari previste si sono svolte regolarmente e che sia da parte delle Forze Armate che da parte delle Comunità locali si sono dimostrate particolari sensibilità e attenzione ai reciproci problemi facilitando in questo modo la ricerca ed il raggiungimento di accordi e soluzioni soddisfacenti per entrambe le parti tenuto conto che questo clima di collaborazione, da poco avviato e tuttora in corso, è indispensabile alla ricerca di soluzioni che rendano compatibili interessi spesso lontani e contrastanti tenuto conto che soltanto il 10 novembre c.q. si è insediato il nuovo Comitato Misto Paritetico, che dovrebbe esaminare i problemi connessi all'armonizzazione tra piani di assetto territoriale della Regione esigenze delle Comunità locali e programmi delle installazioni militari invita il Governo ed il Parlamento ad intervenire perché si addivenga ad una proroga dei termini della succitata legge, affinché attraverso un più accurato esame dei problemi legati alla definizione dei poligoni militari ed in base al rapporto di discussione avviato con le Forze armate, si possano trovare soluzioni che salvaguardino la vita e lo sviluppo della Comunità locali, senza tuttavia disattendere alle necessità addestrative dell'esercito".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 31 Consiglieri presenti in aula.
Il Consiglio regionale sarà convocato per il giorno 19 novembre.
La seduta è tolta.



(La seduta termina alle ore 19,40)



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