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Dettaglio seduta n.88 del 12/11/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta. In merito al punto primo all'ordine del giorno, i processi verbali delle adunanze consiliari del 5 novembre 1981 sono stati distribuiti ai Consiglieri prima dell'inizio della seduta odierna. Se non vi sono osservazioni si intendono approvati.


Argomento: Viabilità

Interrogazione del Consigliere Ariotti inerente la circolazione stradale nel Comune di Casale


PRESIDENTE

Passiamo al punto secondo all'ordine del giorno: "Interrogazioni e interpellanze". Esaminiamo l'interrogazione del Consigliere Ariotti inerente la circolazione stradale nel Comune di Casale.
Risponde l'Assessore Cerutti.



CERUTTI Giuseppe, Assessore alla viabilità e ai trasporti

Si premette che le soluzioni che il P.R.G. del Comune di Casale (tangenziale Sud e recupero del ponte sul Po, con raddoppio ad uso urbano) derivano da costruttivi colloqui con la Regione. Tuttavia nell'incontro del novembre 1980 l'intesa raggiunta fra gli Enti presenti (Regione, ANAS Provincia di Alessandria, Ferrovie dello Stato, Comune di Casale) comportava: da parte dell'ANAS di studiare e mettere a punto con la Provincia di Alessandria una bozza di convenzione atta a consentire la concorrenza dell'ANAS nei confronti della Provincia per circa 800 milioni da parte della Provincia la predisposizione del progetto esecutivo la previsione di bilancio della spesa per l'opera per un importo presunto di L. 1.800 milioni, la verifica della capacità di assumere il mutuo con la Cassa depositi e prestiti per l'intero importo da parte della Regione, di predisporre lo stanziamento per l'anno finanziario in corso.
Nell'incontro del 3/11/1981 chiesto dal Comune di Casale per la verifica dello stato di avanzamento degli impegni assunti si è riscontrato che: La provincia di Alessandria ha in corso le predisposizioni del progetto e si è riservata di inviarlo al più presto per l'esame, ed inoltre ha manifestato incertezze sulla disponibilità a contrarre un mutuo di tal peso su un itinerario non provinciale, per cui si è impegnata ad accertare la legittimità dell'operazione con la Cassa depositi e Prestiti.
L'ANAS ha manifestato incertezza circa la possibilità di concorrere alla spesa, salvo verifica da fare presso la Corte dei Conti, qualora la Direzione dei lavori non le sia affidata.
La Regione ha ribadito la disponibilità alla contribuzione nelle forme e nell'entità già promesse del novembre dell'80, invitando ANAS e Provincia a sciogliere le perplessità al più presto.
Per quanto riguarda gli altri problemi si fa osservare che sta volgendo alla conclusione il lavoro che l'Assessorato ha avviato con le Province ed i Comprensori del Piemonte per la verifica degli strumenti regionali di piano: piano regionale dei trasporti, della viabilità, piani socio economici e territoriali, piani comprensoriali dei trasporti (in via di approvazione), per la formulazione di un quadro organico e motivato di priorità che parta dalle valutazioni del piano regionale, e dei piani socio economici e territoriali: per la formazione delle indicazioni che la Regione potrà fornire all'ANAS, per il piano triennale 1982/1984 e per l'impegno delle Province, con i propri programmi finanziari triennali, per l'esecuzione di interventi coerenti con gli strumenti di piano citati.
La Provincia di Alessandria, con i comprensori di Casale e Alessandria ha iniziato con ritardo tale lavoro, ma si ritiene che potrà comunque concorrere alle formazioni delle indicazioni programmate.
E dunque per i casi citati: uso dell'Autostrada in funzione di tangenziale aperta miglioramento della SS 31 bis nodo di Chivasso programma di interventi ANAS Dalle risultanze del lavoro delle Province di Torino ed Alessandria, a cui la Regione partecipa, emergerà un programma operativo, per i casi risolti e di approfondimento per i casi che lo richiedono, volto alla definizione anche urbanistica oltre che funzionale e finanziaria degli interventi.
Infine sull'asse Asti-Vercelli variante di Torino e Pontestura si ricorda che l'opera è stata decisa dall'ANAS secondo un programma approvato dal Consiglio regionale nel 1975, in un periodo in cui non erano ancora pronti gli strumenti di piano cui oggi è possibile fare riferimento per funzionalità e procedure delle opere. Sul progetto in particolare, dove numerosi interventi di ridimensionamento dell'opera che sono stati apportati in fase di approvazione, si diede parere favorevole ai lavori.
D'altro canto è noto che solo un rapporto più organico fra l'ANAS, la Regione e le Comunità locali che abbia a riferimento gli strumenti di piano, le indicazioni sulle tipologie viarie funzionali all'uso del territorio, le scelte costruttive più adatte alle situazioni locali e la disponibilità delle risorse, può consentire un processo di progressiva intesa sostanzialmente diversa da ciò che si ottiene con rapporti disorganici, bilaterali e personali fra Aziende di Stato ed Enti locali spesso convinti di mantenere posizioni di vantaggio.



PRESIDENTE

La parola alla signora Ariotti.



ARIOTTI Anna Maria

L'interrogazione era nata dall'esigenza di avere informazioni in ordine a tre punti: innanzitutto per quanto riguarda i problemi di Casale non avendo avuto più notizie di avanzamento dei meccanismi quali erano stati predisposti nelle riunioni cui abbiamo partecipato entrambi e il timore che fossero sopravvenute difficoltà o intralci burocratici che possono ingenerare incomprensioni tra gli esponenti dei vari Enti che si erano incontrati e che avevano assunto precisi impegni, cosa che purtroppo sta avvenendo.
In secondo luogo, riguardo alla strada Casale-Torino, devo avvertire l'insoddisfazione e il disagio, specie di chi deve percorrerla giornalmente ed è costretto a fare code di più di 25 minuti nell'attraversamento di Chivasso, sapendo che è prevista dal piano dei trasporto una circonvallazione che si dimostra sempre più necessaria e vedendo contemporaneamente che vanno avanti altre opere, probabilmente utili, non certo prioritarie rispetto a quelle di Chivasso. In ultimo, c'è la preoccupazione che proseguano lavori eseguiti in modo tale da deteriorare ulteriormente l'habitat di zone particolarmente rilevanti dal punto di vista ambientale.
La risposta, di cui ringrazio per la tempestività, mi rassicura per certi aspetti, soprattutto quando l'Assessore fa riferimento al piano territoriale e a un rapporto diverso tra Regione, Comprensori e Anas, per altri aspetti però mi preoccupa perché vedo che i tempi di realizzazione diventano più lunghi mentre i problemi dovrebbero avere soluzioni più immediate. Sono grata per questa informazione perché riesce a dissipare certe incomprensioni che stanno nascendo a livello locale; ovviamente potrò dichiararmi soddisfatta quando vedrò che i lavori procedono concretamente.


Argomento: Trasporti e comunicazioni: argomenti non sopra specificati

Interrogazione dei Consiglieri Picco, Ratti, Sartoris inerente la situazione della SAGAT


PRESIDENTE

Procediamo con l'interrogazione dei Consiglieri Picco, Ratti, Sartoris inerente la situazione della SAGAT.
Risponde l'Assessore Cerutti.



CERUTTI Giuseppe, Assessore alla viabilità e ai trasporti

Con riferimento all'interrogazione in oggetto si fa presente che per quanto sostenuto in premessa dagli interroganti, i lavori in corso presso l'aeroporto "Città di Torino", non condizionano, ormai da tempo, il normale decorso del traffico, come pure i decolli, avvengono ormai non più lungo la direzione dell'abitato di Caselle; ciò è limitato ad eventi sporadici e solo su specifica richiesta del Comandante dell'aeromobile. L'eventuale permesso di decollo su tale direttrice viene accordato solo se il traffico in arrivo lo consente.
Per quanto riguarda la situazione finanziaria della Sagat, si ricorda che i proventi principali della Società derivano dal traffico, per cui se pur nel corso del 1981 i valori di traffico sono in leggero calo la situazione finanziaria, al momento, è di sostanziale equilibrio e si suppone che a consuntivo dell'anno in corso vi sarà una situazione di sostanziale pareggio di bilancio.
Con riferimento alle domande specifiche degli interroganti si precisa che: I lavori di ristrutturazione e potenziamento dell'aeroporto "Città di Torino", finanziati con la legge 825/1973, ad oggi risulta necessario in base alle più recenti valutazioni della Sagat, un finanziamento aggiuntivo di L. 15 miliardi necessari ed indispensabili per portare a termine tutti i lavori previsti in Convenzione (Convenzione n. 3222 del 30/5/1977 approvata con D.M. 350/12 del 27/8/1977, tra il Ministero dei trasporti ed il Comune di Torino). Nella tabella allegata alla presente, aggiornata al sesto stato di avanzamento per quanto riguarda i lavori in corso (30/6/1981), è contenuto il quadro generale e dettagliato della spesa occorrente per il completamento delle opere.
Da tali previsioni, risulta un fabbisogno finanziario relativamente alle opere già consegnate di L. 5,8 miliardi, per il completamento delle opere appaltate di L. 9,9 miliardi e per l'esaurimento del piano delle opere in Convenzione di L. 13,6 miliardi. Considerando inoltre che le cifre sopra esposte sono state stabilite sulla base di previsioni, basate sull'ipotesi che alcune condizioni (completamento progetti, approvazioni finanziamenti, revisione prezzi, ecc.) si mantengano entro limiti compatibili, è sembrato più prudente identificare in L. 15 miliardi le necessità complessive di rifinanziamento delle opere in Convenzione.
A tale spesa, da reperire a tempi brevissimi e di cui il Comune di Torino si è dichiarato disponibile, per quanto è nelle sue possibilità, di anticipare le prime somme occorrenti per evitare la sospensione dei lavori occorre aggiungere la necessità a tempi medi di altre nuove opere di cui la Sagat ha stimato un fabbisogno di L. 40 miliardi così suddivisi:



CERUTTI Giuseppe, Assessore alla viabilità e ai trasporti

nuova aerostazione passeggeri L. 24.000.000.000 piazzali aeromobili L. 4.500.000.000 adeguamento aerostazione merci L. 2.000.000.000 palazzina Uffici Enti di Stato L. 2.000.000.000 Vigili del fuoco L. 500.000.000 bande laterali via circolazione e raccordi L. 2.000.000.000 adeguamento impianti tecnol. L. 1.500.000.000 potenziamento viabilità pubblica e parcheggi L. 3.500.000.000 _________________ TOTALE L. 40.000.000.000



CERUTTI Giuseppe, Assessore alla viabilità e ai trasporti

Gli azionisti della Sagat, certamente preoccupati e pienamente sensibilizzati a tali inderogabili necessità, si sono incontrati nello scorso mese con il Ministro dei trasporti e dell'aviazione civile On.
Vincenzo Balsamo ed in tale occasione hanno ampiamente relazionato sui problemi attuali e prossimi dell'aeroporto di Torino.
I temi discussi, oltre alla necessità dei finanziamenti su menzionati hanno riguardato anche la carenza dei collegamenti nazionali ed internazionali di cui soffre l'utenza aerea piemontese.
Da parte del Ministro Balsamo è stata data assicurazione che nel prossimo piano di interventi sugli aeroporti italiani, che dovrebbe essere presentato a breve termine, le necessità dell'aeroporto piemontese saranno adeguatamente risolte.
Non corrisponde al vero la notizia, riportata nell'interrogazione secondo la quale i nuovi collegamenti internazionali per Barcellona e Bruxelles sono stati ritardati per l'attuale deficiente assetto delle infrastrutture aeroportuali.
I lavori di ristrutturazione sono al momento concentrati su parte dei piazzali di sosta aeromobili e non limitano la normale operatività dell'aeroporto.
Al momento sono in corso trattative con l'Alitalia per definire gli eventuali oneri a carico degli Enti pubblici piemontesi e gli orari dei voli. Si prevede che il collegamento con Barcellona abbia inizio dal 2 gennaio e il collegamento con Bruxelles dal 1 aprile.
Con riferimento ai problemi dello sviluppo del traffico passeggeri e merci in particolare, tale necessità va vista in un quadro non certo locale ma nazionale.
I dati del traffico aereo nel 1981 sono negativi per quasi tutti gli aeroporti nazionali, tendenza che d'altronde si registra anche a livello europeo e mondiale.
Il settore maggiormente colpito, in campo nazionale e locale, è quello delle merci; il fenomeno era previsto da tempo, infatti segnali a tal riguardo erano presenti e sono per la massima parte da attribuire, per quanto riguarda la scala nazionale, alla Compagnia di bandiera che ha soppresso quasi tutti i voli "tutto merci" non solo nel nostro aeroporto ma in tutti gli altri scali, con esclusione degli aeroporti di Roma e Milano dove viene accentrato il consolidamento delle merci provenienti dagli altri scali aerei, via gomma.
A tale situazione, a livello locale, è da aggiungere la mancanza di operatori specializzati nel consolidamento delle merci da spedire per via aerea. E' comunque certo che occorre modificare la tendenza in atto, ben individuando ciò che deve essere cambiato per rilanciare il settore anche in vista delle prospettive che saranno presenti con il costruendo centro merci intermodale di Orbassano.
Proprio per individuare le direttrici d' intervento più efficaci che permettano di procedere ad un effettivo sviluppo dell'attività aerea sia merci che passeggeri, gli azionisti della Sagat hanno deciso nell'ultima assemblea di procedere ad una serie di ricerche specifiche per i singoli settori.
I dati che ne seguiranno saranno preziosi per dimostrare agli Enti competenti la potenzialità del bacino di traffico dell'aeroporto di Torino Caselle, di cui noi siamo certi e quindi mettere in atto tutte quelle iniziative che ne consentano un effettivo rilancio.
Concludendo, mi preme ricordare che i problemi del settore aereo e aeroportuale sono più complessi di quello che possano apparire; gli investimenti e gli oneri finanziari necessari sono ingenti, la politica nazionale di tale settore rimane tuttora nel vago.
A tutt'oggi non esiste un piano organico degli aeroporti né del trasporto aereo; tutto ciò non contribuisce certo al rilancio ed allo sviluppo di tale settore, quale oggi deve avvenire.
Per quanto riguarda i collegamenti internazionali con l'Alitalia si stanno discutendo alcuni aspetti inerenti gli orari di partenza. Nei bollettini ufficiali risulta che il volo per Barcellona è stato inserito a partire dal 2 gennaio 1982; la frequenza sarà di tre collegamenti settimanali: il mercoledì, il giovedì e il sabato con partenza da Torino alle ore 12,30 e arrivo a Barcellona alle 14, il ritorno è previsto negli stessi giorni con partenza da Barcellona alle ore 14,50 e arrivo a Torino alle 16,10.
Il volo per Bruxelles è previsto nell'avanprogetto della pianificazione voli Alitalia con inizio dal 1 aprile. La frequenza è bisettimanale con partenza da Torino alle ore 17 e arrivo a Bruxelles alle 19,10 e arrivo a Torino alle 20,30. Con questi orari diventa difficile mantenere un effettivo pareggio tra la spesa e l'utilizzo dei collegamenti. E' ancora in discussione con l'Alitalia la possibilità di spostare al mattino i voli di andata e nel pomeriggio i voli di ritorno in quanto gli Enti locali non intendono ripianare per il 50 % un disavanzo che per la maggior parte deriva proprio dal tipo di orari che l'Alitalia intende imporre all'Aeroporto di Torino, solo perché vuole utilizzare gli areomobili in sosta che comunque non li utilizzerebbe fino al giorno dopo. Riteniamo che questa situazione possa essere migliorata tenendo conto che vogliamo operare una specie di drenaggio dei passeggeri che provengono a Caselle da Catania e da Napoli alle 10,05. Se si riuscisse a far coincidere la partenze verso queste due località potremmo contare su un maggior numero di passeggeri e su un servizio decisamente migliore.



PRESIDENTE

La parola all'interrogante Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Pur rendendomi conto della complessità degli argomenti da noi sollecitati e trattati dall'Assessore, cercherò nel breve spazio a disposizione di precisare la nostra posizione sia sui contenuti delle risposte sia su problemi generali.
Dobbiamo innanzitutto lamentare che su argomenti di così grande rilievo e di tale importanza si debba ricorrere allo strumento dell'interrogazione per riuscire ad avere delle informazioni che dovrebbero essere canalizzate al Consiglio regionale e alla comunità piemontese non solo attraverso comunicati stampa, ma anche attraverso strutture istituzionali.
In particolare riteniamo che la Regione abbia sprecato la sua partecipazione azionaria nella passata legislatura, non utilizzando quel potenziale di intervento, di programmazione e di coordinamento che solo la Regione può operare in un contesto di rapporti con la Compagnia di bandiera, con le altre Regioni, con il Governo e, al limite, per certi aspetti con Compagnie internazionali. Speriamo che la Giunta finalmente recuperi questa potenzialità. Solo in questa direzione è possibile correggere certi errori gestionali di impostazione assurdamente autarchici della passata legislatura e togliere l'aeroporto dalle secche dell'ineluttabile emarginazione a tutti nota. D'altra parte i dati sul bilancio lo dimostrano.
Venendo più precisamente alle risposte, prendiamo atto dell'affermazione categorica che i voli di decollo su Caselle non avverranno più. La mia esperienza, sia pure non settimanale, su questi decolli mi dice invece che questi continuano ad avvenire abbastanza costantemente, sia pure con autorizzazioni che sono legate a volte alle indisponibilità della testata, a volte all'indisponibilità da parte della pista.
Il dato preoccupante è proprio quello relativo alla conclusione dei lavori. Su questo argomento attendo la tabella per poterne comparare gli elementi con quelli a mia disposizione sulla situazione degli appalti delle revisioni dei prezzi, delle conclusioni dei lavori. Tuttavia, mi permetto di ricordare che negli anni '76 - '77, rispetto agli investimenti previsti dalla legge 825, si dava assicurazione categorica che gli investimenti sarebbero stati esaustivi di una funzionalità propria dell'aeroporto con proiezione agli anni '90. Oggi, invece indipendentemente dalle cifre ancora necessarie oltre agli stanziamenti già fatti (dei quali non ho notizia perché attendo la tabella) si parla di un complesso di investimenti di 55 miliardi, 15 urgenti e 40 a proiezione maggiore. Non è tanto la dimensione degli investimenti che ci preoccupa quanto il fatto che ancora non si siano affrontati i nodi sostanziali della struttura aeroportuale, che, come è ben noto, sono anche legati al problema di un'alternativa all'attuale unica pista che ha dei condizionamenti sugli abitati, ineluttabili, e che nonostante tutte le razionalizzazioni non possono essere rimossi.
Venendo al piano degli investimenti, ritengo che, a fronte dei dati che avremo a disposizione, sia opportuno che nell'apposita Commissione si faccia una valutazione complessiva degli investimenti e ci si faccia carico, nonostante le ristrettezze di bilancio, di fare un piano di investimenti regionali che consenta di avviare alcuni nodi. Prendo atto con soddisfazione del fatto che finalmente si avverte la necessità di un intervento coordinato che non riguardi solo l'Assessorato ai trasporti, ma il complesso della Giunta regionale, per esempio, in ordine al problema del trasporto merci. Questo è un aspetto di preoccupante stagnazione e di preoccupante decadimento di potenzialità, nonostante gli investimenti che sono stati fatti. Una aerostazione merci esiste. Purtroppo non è sufficientemente protetta e sufficientemente valorizzata anche perch mancano i collegamenti e le strutture a terra indispensabili per poter attivare questo tipo di trasporto. Se di fatto i collegamenti a terra concorrono tutti a portare le merci che devono transitare sul mezzo aereo alla Malpensa, non vi è dubbio che Caselle si trova nella situazione attuale, indipendentemente dalla presenza di operatori più o meno specializzati sulla piazza torinese.
Attendiamo che le ricerche settoriali affrontino nel merito e in profondità questi argomenti e chiediamo che sul discorso delle ricerche vi sia, nell'apposita Commissione, il giusto riferimento perché riteniamo, per l'esperienza delle cose già esplorate, di avere la possibilità di intervenire e di dare gli opportuni suggerimenti.
Voglio brevemente accennare al tema dei collegamenti internazionali. E' l'unica parte della risposta che ci lascia abbastanza soddisfatti.
Raccomandiamo però che questo argomento non venga lasciato all'ineluttabile decorso naturale perché se su queste cose la Regione non sarà tempestiva non saranno né l'amministrazione della Sagat, né la Città di Torino n altri Enti partecipanti alla gestione ad impegnarsi. Ricordo che in prospettiva vi è il problema del terzo livello, dell'attivazione cioè dei collegamenti con il sistema aeroportuale piemontese. Nonostante si dica che sia un discorso di là da venire a chissà quando, ritengo che se non viene predisposto un programma con investimenti e con prospettive coordinate e finalizzate, continuiamo anche in questo caso a buttare soldi sia su Verrone sia su Levaldigi. Mi rendo conto che non è un fatto legato solo alla domanda di trasporto, ma che è anche legato al problema della razionalizzazione e al perfezionamento dei mezzi di trasporto, ma, se non ci prepariamo a questo appuntamento, quando arriveranno gli aerei a decollo breve, gli aerei a numero limitato di passeggeri, che consentiranno di attivare il terzo livello, il Piemonte sarà completamente impreparato. La Lombardia su questo piano ha fatto passi avanti. L'aeroporto di Bergamo ci dà un riferimento e un indirizzo interessante anche solo rispetto ai collegamenti nazionali per i quali lo scalo di Caselle ha delle preclusioni, costantemente penalizzate dal fatto che bisogna passare su Roma.
Non ho sentito parlare del destino del famoso progetto di attivazione del collegamento ferroviario con lo scalo di Caselle. Questi investimenti tra l'altro, sono parte di un piano che la Regione avrebbe già dovuto presentare per completare il passaggio completo della ferrovia dallo Stato alle Regioni, problema che, nonostante tutte le sollecitazioni che abbiamo finora operato, non ha fatto nessun passo avanti dal 1975 ad oggi.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Relativamente al punto terzo all'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente" rendo noto che hanno chiesto congedo i Consiglieri: Ferraris Revelli e Villa.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: N. 161: "Interventi a favore degli handicappati", presentato dai Consiglieri Paganelli, Beltrami, Bergoglio, Devecchi, Lombardi, Martinetti e Ratti in data 4 novembre 1981 N. 162: "Disposizioni concernenti autorizzazioni di spesa per gli esercizi 1982 e 1983, nonché devoluzione di quote di assegnazioni statali nell'area di intervento agricoltura", presentato dalla Giunta regionale in data 9 novembre 1981.


Argomento:

c) Ritiro disegno di legge


PRESIDENTE

E' stato ritirato il disegno di legge n. 148 relativo al la disciplina delle consulenze e collaborazioni presso la Regione Piemonte, da parte del Presidente della Giunta regionale Ezio Enrietti, su segnalazione dell'Assessore Testa.


Argomento:

d) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Il Commissario del Governo ha apposto il visto: alla legge regionale 7 ottobre 1981: "Modifiche alla legge regionale 10 dicembre 1979, n. 72 'Contributo alle comunità Montane per le attività divulgative della cultura e dell'informazione televisiva" alla legge regionale del 7 ottobre 1981: "Adeguamento dei contributi in annualità a parziale modifica del dispositivo di cui alla legge regionale 16/5/1975 n. 28" alla legge regionale del 7 ottobre 1981: "Modifica dell'articolo 25 della legge regionale 19/12/1978, n. 78 per lo sviluppo delle strutture culturali locali".


Argomento:

e) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

Rendo note le deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nella seduta del 3 novembre 1981 in attuazione dell'art. 7, primo comma della legge regionale 6 novembre 1978, n. 65: 76 - Conferimento di incarico e consulenza per lo svolgimento di attività nell'ambito del settore socio-sanitario all'Istisss di Roma. Costo globale L. 24.416.000 di cui L. 6.104.000 sul cap. 10670/81; L. 18.312.000 sul corrispondente capitolo del bilancio pluriennale 81/83, anno 1982.
CERNETTI Elettra, BAJARDI 100 - Organizzazione e svolgimento di un corso di formazione professionale per taglio e confezione nel campo della sartoria su misura.
Convenzione con l'AMAS (Associazione Maestri Sarti e Sarte) di Torino.
Spesa totale prevista L. 78.000.000 (di cui L. 60.600.000 sul cap.



PRESIDENTE

11561/81).
FERRERO Giovanni 101 - Conferimento di incarico alla Soc. A.P. s.r.l. di effettuare ricerca e studi nel tessuto produttivo biellese per evidenziare ruoli e esigenze di formazione nel settore tessile. Spesa L. 25.857.000 (cap.
2250/1981).
FERRERO Giovanni 102 - Istituzione di un corso di formazione professionale rivolto a neodiplomati per la qualifica di addetti al controllo di gestione.
Convenzione con il Consorzio Alessandrino per il perfezionamento in discipline aziendali - CONSAZ - Spesa L. 125.000.000. Cap. 11550/82.
FERRERO Giovanni 130 - Legge regionale 5/12/1977 n. 56 e successive modifiche ed integrazioni. Comune di Villadossola (Novara). Integrazione della deliberazione della Giunta regionale n. 102-4745 in data 10/3/1981, di approvazione del primo programma pluriennale di attuazione.
SIMONELLI Claudio 132 - Conferimento di incarico di consulenza ad esperti per l'attività inerente alla formazione del secondo piano regionale di sviluppo. Spesa lire 36.000.000 più IVA 15% per un ammontare complessivo di lire 41.100.000. (Cap. 2200/81).
SIMONELLI Claudio 152 - Conferimento incarico a Marco Albini, Franca Helg e Antonio Piva architetti associati, per la progettazione delle opere e gli arredi necessari per la realizzazione di sale di ricevimento e di un servizio di buffet nel Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale. Spesa presunta L. 30.000.000 oneri fiscali compresi (cap. 1000/82).
TESTA Gianluigi 179 - Liquidazione di onorari all'Avv. Ugo Procopio a seguito di assistenza giuridica e rappresentanza dallo stesso prestata in ricorso avanti all'Autorità giudiziaria ordinaria del Piemonte. Spesa di L. 202.860 (Cap. 1080/ 1981).
TESTA Gianluigi 181 - Autorizzazione a resistere in giudizio avanti il T.A.R. Piemonte ed affidamento incarico legale al prof. avv. A. Comba. Ricorrente: Ferrero Rita avverso D.P.G.R. 3151 dell'8/4/1981. Spesa L. 300.000 (Cap.
1080/1981).
TESTA Gianluigi 182 - Annullamento dell'impegno di spesa di L. 4.013.960 (cap.
1080/1981) di cui alla deliberazione della Giunta regionale n. 185 del 2/6/1981.
TESTA Gianluigi 183 - Liquidazione onorari all'Avv. Andrea Comba a seguito di consulenza legale e di assistenza in giudizio avanti il T.A.R. Piemonte nelle cause Regione/Sacerdote e Regione/Clemente. Spesa L. 1.996.420 (Cap.
1080/1981).
TESTA Gianluigi 184 - Liquidazione onorari al Prof Avv. Andrea Comba a seguito di rappresentanza e consulenza nella vertenza T.A.R. Piemonte Giacomo Canavese. Spesa Lire 827.760. (Capitolo 1080/1981).
TESTA Gianluigi 185 - Liquidazione onorari all'avv. Ugo Procopio a seguito di consulenza legale e di assistenza in giudizio nelle cause avanti il Tribunale di Alessandria (Albano e Reiteri) e la Pretura di Serravalle (Bavastro ed altri). Spesa Lire 1.039.230. (Capitolo 1080/1981).
TESTA Gianluigi 186 - Integrazione deliberazioni della Giunta regionale n. 148 e 149 del 1 settembre 1981. Maggiore spesa di lire 600.000, da liquidarsi a favore dell'avv. Marco Casavecchia, sulle spettanze dovute in relazione alle cause T.A.R. Piemonte G. Sella/Regione Piemonte.
TESTA Gianluigi Le comunicazioni sono così terminate.


Argomento: Industria (anche piccola e media) - Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sui problemi dell'occupazione e della politica industriale in Piemonte


PRESIDENTE

Il punto quarto all'ordine del giorno reca: Dibattito sui problemi dell'occupazione e della politica industriale in Piemonte.
La parola al Vice Presidente della Giunta regionale, Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Vice Presidente della Giunta regionale

L'obiettivo di questa introduzione al dibattito non è quello di ripetere le proposte specifiche e quelle generali già rivolte al Governo nell'incontro con il Presidente Spadolini e ripetute nell'incontro con Marcora a Roma ed ulteriormente illustrate alla presenza del Ministro dell'industria Marcora, a Torino, in occasione del Convegno della piccola e media impresa.
Diamo per lette ed acquisite dai Consiglieri tutte le questioni inerenti a questo aspetto del problema; credo sia presente nella consapevolezza dei Consiglieri l'informazione a suo tempo svolta ed i documenti recentemente consegnati ai Gruppi.
L'obiettivo della mia relazione consiste nel portare nuovi elementi di analisi sulla gravità della situazione che stiamo vivendo per ricavarne proposte politiche ed iniziative che siano adeguate e coerenti e tali da essere attuate rapidamente.
Esaminiamo prima di tutto il linguaggio delle cifre. Esso ci dice che al 31 ottobre 1981, ci sono 301 aziende in crisi dichiarate; di queste, 166 sono concentrate in provincia di Torino, 57 in provincia di Novara, 29 in Provincia di Alessandria, 21 in Provincia di Cuneo, 22 in Provincia di Vercelli e 6 in Provincia di Asti.
C'è un ordine decrescente di "quantità" di aziende in crisi che rispetta però anche la gerarchia di insediamenti fra la grande città e gli altri centri del Piemonte. La prima conclusione è quindi questa: si tratta di una crisi che interessa tutto il Piemonte. Tuttavia all'interno di questo dato occorrerà tenere presente che due terzi della cassa integrazione interessa aziende ed operai della provincia di Torino.
Rispetto all'idea corrente, che va tuttavia modificata, non si tratta solo della crisi Fiat e dell'indotto Fiat anche se questo elemento ha certamente un grande peso nei dati che ho riportato. Le aziende in crisi sono sì 118 metalmeccaniche, ma all'interno di queste ce ne sono molte collegate alla produzione Fiat ed altre no. Riguardano altri comparti della meccanica.
Ci sono 88 aziende tessili in crisi che difficilmente si possono collegare al problema Fiat. E 39 aziende chimiche, 31 del settore alimentare, 17 poligrafiche e cartarie. Abbiamo quindi un panorama che investe un po' tutti i settori produttivi ed industriali in Piemonte.
L'altro concetto che è vero ma che bisogna aggiornare e verificare è quello secondo cui si tratterebbe della crisi delle grandi aziende. Certo abbiamo in crisi il sistema delle grandi aziende: Fiat, Indesit Montedison, Montefibre, Sisma, etc. ma a richiedere la cassa integrazione dal 1 gennaio ad oggi sono state in provincia di Torino 1100 piccole e medie aziende. Fra le 301 aziende che abbiamo censito più di 230 sono piccole e medie. Quindi gli elementi di crisi del sistema delle grandi aziende esistono in scala italiana, europea e ci sono anche in Piemonte. Ma non è solo di questo che si tratta. Se dall'analisi dei dati sulle aziende passiamo all'analisi della quantità di lavoratori colpiti dalla crisi le novità da cogliere sono due: la prima è l'entità dei lavoratori in cassa integrazione e la seconda è il fatto che questo salto di quantità è avvenuto "tutto" in un arco di tempo assai breve. Si può dire dal primo gennaio 1981 ad oggi. Ma si può ancora meglio precisare che dal primo maggio ad oggi è avvenuto il salto di qualità negativo in un periodo assai breve.
Dal gennaio a settembre del 1981 le ore di cassa integrazione in Piemonte sono state 110 milioni 340 mila. Questo significa sette volte, ed anche più delle ore di cassa integrazione che si sono contate nel 1980.
Quale altro dato può essere confrontato con questo? Il dato nazionale. Ma il dato nazionale parla di una triplicazione rispetto al 1980. All'interno di questa cifra la componente essenziale non è la cassa integrazione ordinaria (che pure è un sintomo di malattia del sistema industriale perch anche qui c'è un aumento da 7 a 30 milioni di ore con un aumento di 3 volte e mezza), bensì la cassa integrazione straordinaria; quella a "0" ore.
Infatti qui siamo in presenza di un aumento da 761 mila ore nel 1980, a 89 milioni di ore al settembre 1981. E' questo il dato più preoccupante perch qui c'è un aumento di dieci volte, mentre la media nazionale è di 3 volte.
Cosa c'è di peculiare rispetto ad altre situazioni di crisi che possono essere in qualche modo paragonate alla nostra? Prendiamo la Lombardia. In provincia di Milano in dieci mesi si sono avute 23 milioni 640 mila 366 ore di cassa integrazione ordinaria e straordinaria; in provincia di Torino nello stesso periodo le ore sono state 89 milioni 672 mila. Tutti sanno inoltre che la provincia di Torino è cosa assai diversa dall'entità di popolazione e di struttura industriale della provincia di Milano.
Siamo di fronte quindi ad una situazione piemontese più grave di circa 3 volte rispetto a quella della Regione Lombardia.
Per quanto riguarda la massa di lavoratori in cassa integrazione nella provincia di Torino essi sono 33.532. Nella provincia di Milano sono 17.500. Oltre il dato numerico che appare evidente occorre rilevare che la cifra dei lavoratori in Cassa integrazione guadagni della provincia di Torino riguarda nuovamente la Cassa integrazione straordinaria, mentre i 17.500 della Provincia di Milano sono la somma dei lavoratori in Cassa integrazione ordinaria e straordinaria.
Anche da questo raffronto si vede l'enorme differenza fra le due situazioni.
Le novità della situazione piemontese vanno viste anche rispetto alle situazioni storicamente determinate del mercato del lavoro. I giovani in cerca di prima occupazione rappresentavano nel '61 l'1,3 %, delle forze lavoro, nel '71 la percentuale era del 2,7%, nell'81 è del 3,2%.
Ho preso tre dati a distanza di 10 anni, per valutare un elemento omogeneo da quando le forze giovanili sono considerate con gli stessi sistemi di statistica.
Rispetto alla disoccupazione globale il salto di quantità e qualità negativo è tutto dall'80 all'81, raggiungendo nel luglio dell'81 143.000 unità, cifra mai segnata nella storia della vita economica del Piemonte dal 1945 ad oggi. Se si vuole fare un paragone fra i dati della disoccupazione e della Cassa integrazione che è una disoccupazione mascherata con cifre di carattere europeo constatiamo che, in Piemonte la relativa percentuale (8,9%) è superiore sia alla media italiana sia alla media europea. Questo tasso era del tutto differente anche soltanto un anno fa. A comporre il tasso nazionale voi sapete che contribuiscono i tassi enormi del Mezzogiorno d' Italia; anche il Piemonte adesso ha un tasso lievemente superiore alla media italiana ed alla media europea.
Questi soli dati, hanno una loro eloquenza. Negli ultimi mesi però, ci indicano qualche cosa di nuovo. Abbiamo avuto in un mese 36 aziende che hanno, fatto richiesta di ricorso a Cassa integrazione speciale (ed è la cifra più rilevante da maggio ad oggi). In un solo mese inoltre abbiamo avuto un incremento di 3000 lavoratori a Cassa speciale, che è appunto l'incremento più rilevante.
Sono fuori dal calcolo di questa situazione sia i lavoratori della Ceat, un'azienda che è stata messa ad amministrazione controllata, sia la Pianelli e Traversa, due situazioni che interessano complessivamente 6.000 lavoratori.
E' evidentemente fuori da questi calcoli sul recente passato la previsione di cui si parla e (speriamo non sia vera) di nuova Cassa integrazione alla Fiat per 100.000 lavoratori nei mesi di gennaio e febbraio. Quali conclusioni trarre da questi elementi di analisi? E' un'analisi che va approfondita. I ragionamenti che si possono fare sui dati che abbiamo esposto vanno al di là del linguaggio più eloquente delle cifre. Essi pongono il problema del "perché" e delle "cause". Non solo di quelle di carattere generale che sono note, ma di quelle specifiche peculiari che riguardano la crisi piemontese. Forse questa è la sede non idonea per uno sviluppo di tutta questa tematica. Ma bisogna farlo e presto perché è indispensabile per poi capire che cosa dobbiamo fare. Non solo in termini di politica economica generale, ma in particolare di fronte alla nostra realtà che presenta questi elementi di novità.
Io credo si possa certamente dire senza esagerare, senza pessimismi ottimismi o catastrofismi, ma sulla base dei dati che ho citato, che siamo di fronte ad una crisi grave di tipo nuovo. Una crisi non congiunturale e nemmeno solo strutturale nel senso tradizionale come viene indicato nel linguaggio economico. Perché anche per quanto riguarda le crisi strutturali, c'è un'analisi da fare per vedere di che tipo di crisi strutturale si tratta; ce né una in Piemonte, ce n'è una in Italia, ce n'è una in Europa, ce né una nei sistemi industriali mondiali. Bisognerebbe andare più a fondo per capire di che cosa si tratta. Siamo sicuramente in una situazione di crisi dalla quale non si esce aspettando il fatidico, e io comincio a pensare all'ormai un po' mitico metà del 1982 o inizio del 1983, dato che da alcuni economisti vengono indicate come l'inizio del ciclo di ripresa. Da altri economisti quel periodo viene ormai guardato con crescente sospetto soprattutto dato che il linguaggio delle cifre continua ad essere sempre più duro delle previsioni. Mi riferisco in generale alle conclusioni del Convegno di Saint Vincent e in particolare alle analisi previsionali che parlano di una non volontà di investire della maggioranza dei piccoli e medi industriali. Occorrerebbe allora vedere le cause del perché non si sentono di investire nel 1982.
Naturalmente auspichiamo che le previsioni ottimistiche si confermino ma di soli auspici non si può né vivere né sopravvivere.
Dobbiamo avere coscienza però che due elementi ci mettono nella condizione di avere maggiori difficoltà a reinserirci in un eventuale ciclo che ricomincia a tirare sul piano economico europeo e mondiale.
Le due difficoltà sono 1) il persistente livello di inflazione che avremo anche a metà dell'82 qualunque decisione sia presa, qualunque intesa intercorra fra sindacati forze sociali, imprenditoriali e governative, qualunque taglio alla spesa pubblica venga fatto. Noi certamente a giugno-luglio '82 non avremo i tassi di inflazione che ci sono in Europa 2) la questione valutaria e cioè il problema del rapporto debole della nostra lira con le altre monete.
Tutti questi elementi sommari di analisi mi paiono tuttavia sufficienti per dare un'idea della situazione che abbiamo di fronte e del contesto dal quale non possiamo sottrarci. Il contesto europeo. Questo contesto oggi ci dice che sono 9 milioni di disoccupati in questo momento.
In questa situazione cosa occorre fare? Prima di tutto non si pu attendere. Se non si prendono decisioni urgenti di politica industriale ai diversi livelli, e cioè di investimenti selezionati ma rapidi, se non si sceglie rispetto alle opportunità di ogni genere più volte considerate e analizzate in vari tipi di convegni, da quello di Genova a quello di Saint Vincent, al dibattito in corso da mesi sulle riviste di politica economica e fra le forze politiche e sociali, se non si traggono da tutte queste discussioni e dagli approfondimenti che già sono stati avviati, le decisioni, io credo- come ha detto Lombardini - che il futuro dell'industria italiana dipende in senso negativo dalla mancanza di questa decisione.
Vi sono una serie di questioni che non si possono rinviare a febbraio a marzo o a giugno. Meno che mai questo può essere possibile per il Piemonte.
Buone o cattive, piacenti o spiacenti le decisioni da prendere diceva Lombardini, occorre prenderle con tutti i confronti naturalmente necessari legittimi fra i vari livelli di governo e le forze sociali.
E' partendo dalla novità, gravità e urgenza della situazione che la Giunta regionale propone di convocare, entro la prima decade di dicembre un incontro con i Gruppi dirigenti delle forze politiche regionali, con le forze sociali, imprenditoriali e dei sindacati, con categorie produttive con il sistema bancario per comporre assieme in un confronto serrato e concreto (non da conferenza economica tradizionale con 10 relazioni e 500 interventi), una mappa delle decisioni da assumere, delle iniziative da intraprendere e da proporre al Governo, alla stessa Regione, al sistema delle autonomie locali, al sistema bancario piemontese.
Con quale obiettivo? L'obiettivo immediato da perseguire, rispetto al quale chiediamo il contributo di tutte le forze sociali del Piemonte, è quello di fermare la caduta verticale del sistema industriale piemontese. Occorre impedire che il sistema produttivo si trasformi in una gigantesca fabbrica di assistenza, con effetti inflazionistici e con effetti sociali e culturali che possono incidere per decenni sulla nostra comunità.
Occorre, per questa via sostenere la produzione e l'occupazione come condizione perché il secondo Piano di sviluppo non risulti un'esercitazione letteraria, qualcosa che, qualunque siano i suoi obiettivi, sarebbe messo in discussione subito dai processi reali che andrebbero avanti. Questi processi hanno ora una qualità negativa tale da far apparire urgente la definizione di nuovo sviluppo. Piano di sviluppo che noi ci impegnamo a presentare entro la fine dell'anno all'attenzione delle forze regionali e sarà preceduto dal dibattito sul bilancio per determinare le nostre scelte in relazione a questa situazione.
La Giunta si muove, quindi, per perseguire gli stessi obiettivi di quanto presentó con il consenso di un vasto arco di forze politiche e sociali della comunità piemontese la linea degli 84 progetti di pronto avvio che erano ispirati alla necessità di "combattere l'inflazione e sostenere l'occupazione" secondo una scelta politica e culturale che fu compiuta ancor prima della stessa costituzione del Governo Spadolini.
Oggi del Presidente Spadolini raccogliamo in quest'aula l'appello.
Appello che - come ha detto lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri nasce dall'analisi di un panorama economico di una gravità senza precedenti e che forse ancora sfugge a taluni settori della Nazione.
Condividiamo questo giudizio e cerchiamo con la nostra proposta e la nostra iniziativa di essere coerenti nel solco di questo appello.
Naturalmente, se il Consiglio consentirà,la Giunta non intende attendere e non può, nemmeno se lo volesse, la prima decade di dicembre per fare ciò che può e deve essere indicato nella nota consegnata ai Consiglieri. Se vi fosse un'intesa sulle proposte che sono lì contenute è chiaro che su queste proposte noi procederemmo senza aspettare neanche il tempo sufficiente necessario per verificare le indicazioni e le iniziative che si possono assumere.
Le decisioni urgenti che già vogliamo ottenere dal Governo anche prima del 10 dicembre, sono quelle che concernono l'Alto Novarese. Sui problemi di questa zona ci siamo incontrati ancora ieri con le organizzazioni sindacali, e chiediamo che sia prossima la data in cui il Ministro Aniasi a nome di tutto il Governo,si presenterà alle Autonomie locali del Verbano Cusio-Ossola per dare concrete risposte alle proposte operative avanzate dalla Commissione Interministeriale. Crediamo che quest'incontro sia prossimo. Diciamo anzi, che è tempo che "sia" prossimo. Bisogna fissare la data, perché già siamo in ritardo. Chiediamo decisioni urgenti per quanto riguarda il piano auto, perché le istruttorie non si concludono e non si decide. Il perché sta in quei quattro o seimila, e speriamo 8 mila miliardi, del fondo previsto dalla legge finanziaria che sono stati promessi in varie direzioni e sul quale non c'è il coraggio politico di fare scelte.
Chiediamo decisioni per quanto riguarda il compatto elettronico e dell'Indesit per il quale c'è un'istruttoria che dura ormai da mesi; è tempo che si decida per decreto o con altro strumento legislativo su questo comparto da cui dipendono in Piemonte milioni di posti di lavoro. E' tempo che si decida per il settore siderurgico. Le trattative sono in corso.
Abbiamo per la prossima settimana l'impegno di avere la verifica con la Teksid-Piombino. Certo non faremo mancare l'appuntamento che è stato promesso e faremo anche in modo che alla verifica seguano assunzioni precise di responsabilità.
Vogliamo una risposta globale, prima del 10 dicembre, agli 84 progetti e abbiamo qui la fondata speranza che la risposta sia positiva. In queste settimane si è lavorato con la Presidenza del Consiglio per arrivare a questo giudizio. Abbiamo ragione di sperare che sia confermata la linea che veniva espressa in quei progetti ed anche le scelte di fondo che sono state indicate, dal che devono derivare decisioni concrete ed operative.
Vogliamo che tutto questo dia la possibilità di preparare l'incontro di dicembre in un quadro di certezza da cui partire.
Vogliamo dire ancora alcune cose per quanto riguarda la politica verso i grandi gruppi. Qualche suggestione si fa strada e ritornano ad accusare la cultura politica ed industriale del Piemonte di voler uscire da questa crisi con un atteggiamento autarchico o con un atteggiamento nordista, io penso che in tutto ciò che noi stiamo proponendo e proporremo, non c'è nulla di autarchico, nulla di piemontese in senso deteriore, né un oscuramento della centralità della questione meridionale.
Dalle decisioni che ci attendiamo sulla questione Olivetti dipende sì un settore importante dell'informatica e, quindi, di un settore strategico dell'industria italiana, ma dipende il mantenimento in funzione, nello stabilimento di Pozzuoli, dove ci sono 440 operai che non fanno niente perché non si decide. Dalle commesse pubbliche dipendono, oltre che questioni di giustizia fiscale, la valorizzazione del sistema industriale che l'Olivetti ha non soltanto al Nord, ma anche al Sud. Dalle decisioni del settore auto dipendono anche gli investimenti che la Fiat dice di voler fare (e sono il 51% dei 1.400 miliardi previsti) nel Sud. Per la questione della Ceat, che abbiamo ancora questa mattina esaminato, dipende non soltanto la sorte degli stabilimenti piemontesi, ma di quelli collegati ad Anagni ed Ascoli Piceno.
Per quanto riguarda il settore dell'elettronica civile, quando difendiamo e proponiamo il problema del polo elettronico, certo pensiamo all'Indesit e alla zona del Piemonte, ma non ci dimentichiamo della Emerson, della Voxon e quindi non ci dimentichiamo degli stabilimenti che sono situati al Sud. Non verrà mai un parere della Regione Piemonte che dica "no" al Sud perché dobbiamo mantenere l'occupazione al Nord. Noi vogliamo mantenere l'occupazione al Nord e al Sud e vogliamo portare avanti una politica diversa, ma non c'è nelle nostre proposizioni qualcosa che possa essere imputato ad un cambiamento di linea. Riconosciamo ed avvertiamo la centralità della questione meridionale. Nel momento stesso in cui indichiamo l'entità delle cifre della disoccupazione giovanile o generale che tocca il Piemonte, non ci dimentichiamo per un minuto che in Campania, in Lucania e Basilicata le cifre sono di ben altra natura. Stiamo diventando una Regione meridionale. Stiamo diventando ciò che non vogliamo: una Regione assistita. Questo no, non lo vogliamo, ma non è che con questo si smarriscano i termini del confronto fra la nostra Regioni e le altre Regioni d'Italia e anche le linee che dobbiamo portare avanti per uscirne fuori.
Non mi soffermerò più sulle altre proposte concrete che la Regione avanza perché sono contenute dettagliatamente nella sintesi già fornita.
Dirò soltanto che per quanto riguarda il credito le proposte avanzate dalle Regioni devono decidersi rapidamente. Se non si sblocca attraverso una selezione accurata del credito la situazione, essa è tale che nel giro di due - tre - quattro mesi altre centinaia di aziende chiuderanno.
Io sono per la centralità della lotta all'inflazione, ma sono anche per evitare che ci sia contestualmente l'inflazione galoppante e la recessione galoppante. Se si persegue questo brillante obiettivo solo perché non si decide, allora non siamo più d'accordo.
Il credito va sbloccato, selezionato, finalizzato, dato tempestivamente. La Malfa ha detto qualcosa di questo genere nel convegno sulla piccola e media Industria. Se ci sono idee intelligenti per arrivare rapidamente a questo bisogna attuarle. Altrimenti non si può rispondere a questo problema dicendo: "bisogna avere la garanzia che il tetto dell'inflazione non superi il 16%." Siamo tutti d'accordo su questo ma bisogna fare attenzione ai tempi dell'iniziativa. Salutiamo questo inizio di accordo fra le organizzazioni sindacali per il costo del lavoro, su cui non possiamo incidere come Regioni, ma dobbiamo fare attenzione che le azioni siano contestuali se non vogliamo aggravare la precipitazione concreta della gravità della situazione.
Per quanto riguarda le iniziative più specifiche che portiamo avanti con i nostri mezzi e le nostre forze, ricordiamo fra le altre quelle nei confronti dei Consorzi fra piccole e medie imprese. C'è in questo campo una legge recente, che abbiamo discusso con le categorie imprenditoriali e su cui c'è un giudizio positivo, anche se c'è scarsezza di mezzi. Lavoriamo per costituire i Consorzi, in Piemonte, combattendo una battaglia assieme alle piccole e medie aziende. E' una battaglia anche culturale che deve portare la nostra Regione a darsi una struttura diversa da quella attuale.
Ciascuna piccola impresa non esce dalla crisi da sola. Se non c'è una visione diversa tante imprese saranno costrette a chiudere, per cause diverse da quelle di carattere generale. Se l'uomo da solo è una facile preda, anche l'impresa da sola è una facile preda in una guerra commerciale quale quella che si sviluppa quando la domanda si restringe e quando la crisi ha i caratteri che abbiamo descritto prima.
Per quanto riguarda la promozione Export, noi siamo una Regione che come è stato ricordato in questi giorni, esporta il 15% sul totale nazionale. Tuttavia dobbiamo fare un altro salto di qualità in piena collaborazione con la Camera di Commercio, con tutti gli istituti che si occupano di questo settore, con la Promark, con gli enti strumentali della Regione. Dobbiamo allargare l'orizzonte. I grandi gruppi in Piemonte hanno un orizzonte che non nasce da oggi, che ha una storia alle spalle di conquista dei mercati anche se oggi sono in grave difficoltà. Ma c'è anche un'industria che tirava quando il mercato era facile, quando la domanda era ricca, mentre adesso ci vuole fantasia, iniziativa e sostegno.
Si spendono troppi pochi soldi per il sostegno della piccola e media industria per le esportazioni. Mi pare di ricordare che si spende l miliardo e mezzo all'anno. Dobbiamo allora avere un orizzonte che vada al di là di Nichelino, Moncalieri o dell'economia del quartiere, del piccolo Comune. Dobbiamo fare un salto di qualità. Se dobbiamo farlo, anche nei nostri bilanci facciamolo, perché si tratta di una questione fondamentale.
Ma anche questo non basta. Salutiamo le iniziative che sono state prese in questi giorni da Fidipiemonte con la Fiat e con altri istituti di ricerca per facilitare il contributo tecnico-scientifico che si può dare alle piccole e medie aziende per il loro aggiornamento. E' questo un altro settore di fondo di intervento perché è chiaro che una delle grandi cause della crisi è appunto la rivoluzione tecnologica che è in corso in tutto il mondo e che è in corso anche in Italia, ma con gradi di arretratezza che sono una delle palle al piede da cui bisogna liberarsi. Ogni iniziativa che va in questa direzione non può che essere sostenuta, appoggiata con mezzi e con le possibilità della Regione.
Portiamo avanti la politica delle aree industriali attrezzate: 14 sono decise, altre ne abbiamo previste. Qui è del tutto legittima la discussione che può aprirsi anche oggi, se c'è qualcosa da modificare rispetto alle scelte del passato, perché proprio le novità che sono state introdotte dall'attuale situazione possono anche suggerire altre scelte e altre ipotesi.
Sia il dibattito su questo, molto libero, molto spregiudicato anche rispetto a decisioni che abbiamo assunte tutti quanti insieme. Noi siamo i primi ad essere convinti che usciremo dalla crisi non difendendo tutto quello che c'è, ma caso mai andando avanti verso un assetto del tutto diverso.
Dalla crisi si esce se si cambia molto nella struttura industriale del Piemonte. Non se si difende qualsiasi aspetto della struttura così come è.
Le aree industriali cominciano a decollare; in certe zone vanno bene, ma vanno bene dappertutto? Per quanto riguarda il mercato del lavoro sapete che siamo ad una conclusione positiva dell'incarico che abbiamo ottenuto dal Governo di fare una sperimentazione in Piemonte. Auspichiamo che nella prossima riunione siano superate ostilità e incomprensioni pregiudiziali che francamente non comprendiamo. Il 25 novembre daremo i risultati dell'indagine conoscitiva che abbiamo compiuto sui lavoratori a cassa integrazione: ma vi posso già assicurare che la disponibilità dei volontari, a lavorare e a fare, persino prescindendo da questioni di salario, c'è, malgrado tutti i guasti sociali e morali portati da tanti ed eterogenei fattori.
La gente che lavora qui è ancora guidata dalla cultura del lavoro abbiamo ricevuto da centinaia di lavoratori una risposta di questo genere: "dateci delle cose da fare, piuttosto che stare a casa, piuttosto che litigare con la moglie, piuttosto che essere avvilito, diteci che cosa si può fare".
Crediamo di avere la possibilità insieme, Comune, Provincia, Regione forze politiche e sociali diverse, di presentare qualche cosa che serva al Piemonte, ma serva anche come indicazione ad altre Regioni che sono nelle nostre condizioni.
Non tratto il tema della formazione professionale, non perché non sia una questione di grande rilievo e portata, ma perché è talmente di rilievo e talmente di grande portata che ha una connessione con tutto il problema che abbiamo discusso. Proprio per questo va trattata a parte, messa specificamente all'ordine del giorno per essere discussa compiutamente con la presentazione di un piano specifico. Cosa che la Giunta è disposta a fare e L'Assessorato competente non tarderà a fare quando i Capigruppo e la Giunta insieme, decideranno di iscriverla all'ordine del giorno.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

Il dibattito è aperto.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Viglione. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Signori Consiglieri, il Gruppo socialista è stato coautore della richiesta di un dibattito per l'occupazione e conseguentemente per il rapporto che l'occupazione ha con il fenomeno produttivo.
Il Gruppo socialista è consapevole che la situazione attuale ha origini antiche. La formazione industriale, più propria in questa città che in altre parti del Piemonte, è stata di monocultura. In altre Regioni il processo industriale era già diffuso e ripartito per settori. Il Piemonte nasce in questo rapporto industriale ai primi del secolo su un elemento caratterizzante: l'automobile. In un primo tempo erano venticinque società che, via via sono andate riunendosi e unificandosi in un unico grande complesso che si definisce Fiat. Non dimentichiamolo che lo sviluppo di questa grande industria partì dai primi del secolo (1911) con la guerra di Libia e proseguì con la prima e la seconda guerra mondiale. Alcuni sviluppi furono distorti. Lo sviluppo del Piemonte, specialmente dell'area torinese è stato caratterizzato dal fenomeno dell'automobile. Lo sviluppo delle grandi aziende dell'elettronica, della chimica, degli elettrodomestici e del tessile è stato sì importante, ma non è stato elemento caratterizzante e decisivo in Piemonte e tanto meno nell'area urbana.
L'area torinese è passata dai 700 mila abitanti nella città di Torino dai 5000-6000 di Nichelino, dai circa 10.000 di Rivoli ad oltre 2 milioni di abitanti: la prima, la seconda e la terza cintura di Torino raggiungono i 4 milioni e 500 mila abitanti, la metà della popolazione del Piemonte.
In questo sviluppo mancò un "programma nazionale" e mancò, nei decenni scorsi, un programma regionale. Lo sviluppo della grande industria avvenne in modo selvaggio, furono chiamati dal Sud nell'area torinese e piemontese oltre 700 mila cittadini, quasi strappati alle loro terre con il miraggio che questa industrializzazione selvaggia e prorompente avrebbe dato dei risultati positivi. I risultati sperati non sono venuti per cui l'impoverimento oggi minaccia di diventare generale e di trasformarsi in un maggiore impoverimento delle zone meridionali.
Mancò anche una classe imprenditoriale lungimirante nell'utilizzazione del territorio. L'originalità del Piemonte è che quasi il 50% della popolazione è accentrata nell'area torinese: una testa enorme su piccoli piedi rappresentati da circa 25.000 kmq che vanno dal confine della Svizzera al confine della Francia. Il caso dell'area torinese tanto originale - non fu così per la Liguria, per la Lombardia, per il Veneto per l'Emilia - resta l'unico esempio in cui la popolazione è andata aumentando in misura enorme e diventando elemento traente, però fintantoch l'industria poteva essere quella che la classe industriale disegnava. Si disse che Valletta aveva creato delle possibilità industriali nuove e questo lo sentii dire in Paesi dell'Est. Certo, Valletta non aveva avuto la lungimiranza di creare rapporti esterni meno ingarbugliati, meno selvaggi sostanzialmente più identificabili in realtà economiche possibili. Se la concezione vallettiana andò avanti fino al 1969, dal 1969 in poi lo stallo fu più evidente e più marcato.
Ma, non siamo qui per fare questa dissertazione storica, anche se questa evoluzione la dobbiamo esaminare e valutare; siamo invece qui per trovare i rimedi. Concordo con il Vice Presidente Sanlorenzo. Abbiamo avuto alcune polemiche, tuttavia dobbiamo dargli atto che in molti punti del suo rapporto egli identifica esattamente i rimedi. Intanto bisogna dire che nessuno ha la chiave per uscire da questo problema. Se ci fosse un grimaldello che potesse aprire la porta chiusa della disoccupazione l'avremmo già usato. Non c'è una chiave sola, non c'è una idea luminosa l'invenzione di qualche cosa. Si deve determinare esattamente la società nella quale viviamo, che resta una società di mercato inserita nell'Europa e, a questo punto, si deve decidere quale potrà essere la carta vincente della politica complessiva da condurre. Non ci sono né santoni n guaritori, c'è una politica complessiva che va portata avanti. La classe operaia, questo lo sa molto bene e se oggi è qui così numerosa a seguire il dibattito è perché anch'essa vuol "dire", vuole essere partecipe del processo nuovo di sviluppo.
Il Piemonte non è una regione povera. I depositi bancari sono di 33 mila miliardi. I B.O.T. per circa 7/8 mila miliardi vengono continuamente rinnovati. L'altra sera quando discutevo di questo, si diceva: chi saranno i depositanti di questi soldi? Io chiedevo: chi ha preso questi soldi dai risparmiatori e come li ha investiti? Saranno le grandi finanziarie? Saranno quelle che fanno i grandi movimenti dei pacchetti azionari? Oppure le vere industrie che producono e che creano ricchezza? Ci sono immense possibilità in questa Regione. Il terreno sul quale le forze politiche, sindacali, imprenditoriali possono trovare un comune denominatore esiste, se si va al di là del sogno che un mattino qualcuno apra quella famosa porta con un grimaldello e trovi occupazione. Abbiamo già pronunciato più volte il termine aggregazione. Su questo terreno vogliamo andare con tutta la nostra diversità. L'anno scorso, in occasione della discussione del bilancio, abbiamo parlato di mobilitazione delle risorse finanziarie.
Mobilitazione delle risorse finanziarie del Piemonte vuol dire 33 mila miliardi di depositi bancari unitamente all'altra ricchezza non presente ai nostri occhi, la cosiddetta economia sommersa. Se uniamo attraverso un sistema misto l'intervento politico, l'intervento sindacale, la capacità che la forza operaia del Piemonte ha sempre avuto nei momenti estremamente difficili, troviamo la porta di uscita dalla crisi.
La Regione non ha, né per Statuto né per Costituzione, la competenza in campo industriale nonostante l'avessimo richiesta in mille occasioni. La competenza dell'industria ce l'ha il Ministro Marcora e il Governo Spadolini. La Regione vuole avere la competenza che le deriva dall'essere un'istituzione così importante come è quella piemontese. Queste parole siano interpretate nel giusto senso, perché la Regione non è in grado di erogare miliardi alla Fiat, alla Pianelli, alla Nebiolo, alla Ceat. Solo per la Pianelli, per la Nebiolo e per la Ceat occorrevano 100 miliardi: si pensi che la Cassa integrazione ne spende quest'anno 500! Attraverso questo processo distorto non si finanziano le aziende che potrebbero dare lavoro la macchia d'olio si allarga, la Regione diventa inevitabilmente assistita portando una frustrazione per chi è in Cassa integrazione peggiore di quella del disoccupato, perché il disoccupato sa che deve cercare un lavoro, mentre il lavoratore in Cassa integrazione non sa più se ha ancora un lavoro e se deve cercarne un altro, non sa quando e come finirà la Cassa integrazione, dove lo manderanno, dove si appiglierà.
Dobbiamo andare alla grande aggregazione: è il tema che proporremo con il bilancio di previsione del 1982. Proporremo che siano chiamate tutte le forze presenti in Piemonte che possano dare un contributo. Quei 33 mila miliardi depositati nelle banche chi li prende? Li prendono le grandi finanziarie muovendo i pacchetti azionari e facendo oscillare la borsa a piacimento o li prendono gli industriali e gli imprenditori veri che investono, che producono e che danno lavoro? Un'indagine in tal senso è opportuna.
Il Piano di sviluppo regionale 1977/1980 aveva indicato che la grande area torinese, che interessa la metà della popolazione del Piemonte, non può ancora ulteriormente accrescersi comportando altri fatti distorcenti: nell'area torinese non è più possibile localizzare. E' possibile un processo di diversificazione industriale e la Regione si è già mossa in questa direzione creando le aree a Mondovì, Vercelli, Casale, Borgosesia Verbano-Cusio-Ossola che stanno per essere attrezzate. Quando vedo i pendolari che da Ceva vengono a lavorare alla Fiat di Mirafiori mi chiedo se non siano vittime di un processo distorto.
Parlare di aggregazione vuol dire che vi è consapevolezza della gravità della situazione economica e solo attraverso un grande dialogo tra le forze sindacali dei lavoratori, le forze politiche, le forze industriali e le forze finanziarie, si potrà dar luogo a un processo di ricambio produttivo e ad un processo che veda assegnare il finanziamento a quelle industrie che si impegnano.
La Cassa integrazione mentre da un lato sorregge il lavoratore, spesso dall'altro sostiene le aziende con il finanziamento. La Fiat dice che non vuole l'intervento pubblico ma la realtà è che attraverso la Cassa integrazione per 70 mila lavoratori riceve un corrispettivo che verserà con una piccola integrazione ai lavoratori, quindi, è una azienda assistita.
Quando si presenta il piano auto per creare l'automobile del futuro per essere competitivi con i giapponesi e con gli americani bisogna dire che il denaro viene dato a condizione che non ci siano licenziamenti e Cassa integrazione, viene dato per sorreggere l'occupazione e gli investimenti Nel dichiarare la disponibilità del P.S.I. ad ogni incontro che si voglia promuovere in tale direzione, aggiungo ancora alcune osservazioni. La Regione deve andare verso l'integrazione territoriale. Non si può parlare unicamente di occupazione, ma si devono valutare i modi per avere la piena occupazione. C'è la questione dell'integrazione con l'agricoltura, con il terziario e poi, finalmente, facciamo seriamente il discorso dell'industria del terziario produttivo.
Si è detto: l'industria cade, quindi, puntiamo tutto sul terziario.
Questa opinione, a mio giudizio, non è del tutto giusta. Intanto occorre distinguere tra terziario dei servizi (ma non a questo ci riferiamo) e terziario superiore che riguarda le intelligenze dell'elettronica dell'informatica. Questo terziario, cari signori, può esserci alla sola condizione che esista un'industria, perché il terziario da solo non servirebbe a nessuno.
Termino con due questioni che forse ci dividono: il collocamento e il rapporto tra grande azienda e piccola e media azienda. Sulla prima questione auspichiamo la modifica del collocamento. Se è vero che la lista numerica garantisce il lavoratore è anche vero che in molti casi il lavoratore deve avere il diritto di scegliere l'azienda.
Il rapporto fra grande azienda, media e piccola azienda sta diventando conflittuale. Il Vice Presidente Sanlorenzo introduce l'argomento del consorziamento che - come sapete - è molto difficile da realizzare per la particolarità delle industrie nate per l'impegno di imprenditori che sono cresciuti con le proprie forze. Si incontrano qui le stesse difficoltà che si sono incontrate in agricoltura quando si sono costituite le cooperative agricole.
La conflittualità nei rapporti tra le grandi e le piccole industrie rischia di fare cadere le medie e le piccole aziende.
Tutte le istituzioni pubbliche, dalla Regione ai Comuni devono muoversi rapidamente. La Regione non ha grandi risorse, avrà probabilmente 200 miliardi da spendere in investimenti per 4 milioni e mezzo di abitanti. Non è molto, ma se sapremo unirli alle risorse del Comune di Torino, a quelle dei grandi e dei piccoli Comuni, a quelle delle Province, otterremo una massa di risorse che potranno generare investimento nella casa, nei settori produttivi, nell'agricoltura, nell'artigianato, che da solo raggruppa quasi 500 mila addetti. Soprattutto non lasciamoci prendere dalla disperazione.
Chi come me ha fatto la guerra partigiana ha vissuto momenti drammatici in cui non c'era speranza; non c'era scampo, eppure i partigiani sono riusciti a giungere vittoriosi a Torino e a Milano. Dobbiamo stare vicini ai lavoratori nel senso vero della parola, non abbandoniamo mai nessuna situazione, anche se minima, il lavoratore deve sentire le istituzioni al suo fianco pronte a dargli la garanzia: magari dovrà soffrire per la situazione attuale ma per domani deve esserci la speranza di uscita speranza di occupazione che è la scelta primaria dell'uomo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carletto.



CARLETTO Mario

Signor Presidente, signori Consiglieri, la disoccupazione è diventata negli anni settanta un problema cruciale, parametro di riferimento per valutare la politica economica e industriale di un paese. Questa coscienza sociale si è affermata in tutti i paesi europei a fronte di un fenomeno che ha assunto dimensioni e caratteri di particolare gravità.
Dal 1974 al 1980 il tasso di disoccupazione è passato nei paesi della CEE dal 3,1 % al 7,2% e analogamente nell'area OCSE dal 3,5 % al 7%; nello stesso periodo il numero dei disoccupati è più che raddoppiato. Questi dati forniscono una misura sintetica, ma significativa, della gravità del problema.
Gli strumenti tradizionali di "governo dell'economia" imperniati secondo lo schema Kejnesiano - sulla regolazione della domanda, si sono manifestati inadeguati a combattere la disoccupazione nel contesto economico degli anni settanta, caratterizzato da recessione produttiva ed alta inflazione.
I dati che l'Assessore Sanlorenzo ci ha forniti, le oltre 3.000 aziende in Cassa integrazione; 45.000 lavoratori in Cassa integrazione; oltre 110 milioni di ore di Cassa erogati; 119 metalmeccaniche - 88 tessili - 39 chimiche - 31 alimentari; danno il segno di una crisi intersettoriale e sono la dimostrazione della gravità della situazione e del dramma che incide sulla Regione Piemonte.
Nei paesi della Comunità Europea si assiste quindi ad un ampio processo di espulsione di forza lavoro dalle imprese, a una difficile gestione della mobilità e ad una diffusa difficoltà dei giovani ad inserirsi nel mondo del lavoro.
Due sono i fattori che determinano questa crisi del mercato del lavoro: la crisi delle monete europee da una parte, e la crisi di riconversione produttiva dall'altra. La sovranità nazionale sulla moneta è, oggi,solo un'illusione nei paesi europei ove qualsiasi comportamento del dollaro e del prezzo del petrolio sottopone a tensione le parità, le bilance dei pagamenti, la disponibilità del credito interno.
Nonostante la realizzazione dello SME, le economie dei Paesi CEE pagano il mancato trasferimento di sovranità monetaria al livello europeo in termini di politiche deflazionistiche che comprimono lo sviluppo.
A questo, che già costituisce un gravissimo fattore di crisi economica si aggiungono le trasformazioni produttive indotte dal progresso tecnologico. Gli anni settanta sono stati caratterizzati da profonde innovazioni nella struttura produttiva dei paesi industrializzati e dall'affacciarsi sui mercati mondiali di nuovi paesi industriali. Molte attività sono entrate in crisi in Europa e le imprese si sono trovate di fronte alla scelta di ristrutturarsi e di riconvertirsi per fronteggiare la concorrenza internazionale.
In questa crisi europea, direi mondiale, esistono delle particolarità che riguardano specificatamente l'Italia. Mi riferisco alla situazione per la quale l'Italia si avvia ad avere il disavanzo di parte corrente più elevato tra tutti i paesi dell'OCSE; all'inflazione che ha superato i livelli di guardia (20%); al disavanzo pubblico che supera abbondantemente i 50 mila miliardi; alla crisi del sistema industriale che, a mio giudizio non è una crisi congiunturale, ma strutturale in volumi e in qualità; alla crisi sociale che abbiamo nella nostra realtà piemontese con tensioni particolarmente gravi.
E' stato portato il confronto tra i disoccupati e i lavoratori in Cassa integrazione. Non è migliore né peggiore la situazione degli uni o quella degli altri. La valutazione della Democrazia Cristiana è che si tratta di una situazione grave e difficile sia per gli uni che per gli altri. Vanno risolti sia gli uni che gli altri problemi.
Debbono essere date delle risposte precise ai problemi della realtà occupazionale piemontese perché i penalizzati sono i più deboli, gli indifesi, quelli che non hanno una professionalità tale che gli consenta di trovare una ricollocazione rapida.
Il nostro Gruppo dà un giudizio positivo alle iniziative assunte dal Governo Spadolini in questi mesi. Il Governo Spadolini ha il pieno appoggio della D.C. La collaborazione che intendiamo dare per l'attuazione del programma nasce da tre valutazioni: la lotta all'inflazione perché il fattore inflazionistico è uno degli elementi cardine che impediscono la soluzione dei problemi occupazionali l'impegno per ridare competitività al sistema industriale e produttivo l'impegno per ridurre il disavanzo pubblico.
Vi è l'esigenza di non gestire una situazione in regressione senza formazione di risorse, da Paese in via di sottosviluppo,ma occorre seriamente pensare ad alcune proposte drastiche, pienamente giustificate per uscire dalla crisi.
E' quindi necessario un vigoroso sostegno da parte delle forze politiche a questo sforzo, un consenso delle parti sociali e in generale una presa di coscienza e di responsabilità di tutte le forze vive del nostro paese, di tutte le forze produttive per rispettare lo sforzo che il Governo sta compiendo.
L'impegno del Ministro Marcora è per una politica industriale coraggiosa per il contenimento dei prezzi, con l'accordo con la Confcommercio. Marcora non è un Ministro latitante, come spesso si è sentito dire dei Ministri democristiani. Questo Ministro come altri suoi colleghi del mio partito e di altri partiti, sono venuti a Torino ripetutamente per affrontare i problemi dell'occupazione.
Gli sforzi del Ministro Marcora, l'impegno del Ministro Di Giesi che ha fatto una proposta fantasiosa per l'utilizzo delle forze lavoro con strumenti articolati, l'impegno del Ministro Altissimo per razionalizzare il sistema sanitario, con una impostazione che condividiamo per la parte che premia la qualità del servizio, la produttività e la professionalità l'impegno del Ministro Formica il quale tenta di dare ossigeno alle imprese attraverso la rivalutazione del patrimonio investito, ci fanno dare un giudizio positivo a questo Governo.
Sulla politica del credito che il Governo sta conducendo si devono dire alcune cose.
Condividiamo la valutazione del Consigliere Viglione che il credito deve essere aperto alle aziende e non a chi specula. Aggiungiamo però che il credito deve essere aperto alle aziende sane e che hanno una prospettiva. Condividiamo le affermazioni del Ministro Demichelis, quando ha detto che è necessario eliminare le sacche di parassitismo e di assistenzialismo.
Che cosa fa la Regione Piemonte per combattere la crisi? La Regione Piemonte propone 84 progetti, sui quali il Gruppo D.C. ha fatto le sue valutazioni. Riprendo una frase che il collega Petrini aveva affermato in quel dibattito e cioè che gli 84 progetti non sono un disegno programmatorio che potrà incidere nel contesto socio-economico della Regione e che non trovano impostazione concreta né nel bilancio annuale n in quello pluriennale. Non impegnano tanto la Regione, quanto lo Stato al quale si demanda l'impegno finanziario per affrontarli: è uno spostamento di responsabilità dal livello regionale al livello statale.
La Regione propone una politica del credito, propone i consorzi tra le imprese, propone la promozione dell'export, l'integrazione tra piccole e medie aziende: impegni che dimostrano buona volontà, applicazione, ma sono proposte velleitarie perché non dipendono direttamente dalla capacità di incidere della Regione Piemonte.
All'Assessorato al lavoro si registrano le situazioni di crisi, si catalogano per settori produttivi, quasi che la Regione fosse un ente statistico che presenta poi il pacchetto dei problemi sul tavolo del Governo. La crisi viene subìta quasi passivamente, senza fantasia n capacità di penetrarvi dentro le maglie per capirla e guidarla verso soluzioni positive. Nell'incontro di ieri a Villanova pareva di capire: "con i problemi gravissimi e terribili che tutti conosciamo, della Pianelli, della Ceat, forse non possiamo occuparci di un' azienda con 145 dipendenti".



SANLORENZO Dino, Vice Presidente della Giunta regionale

Lei dice il falso. Non è consentito raccontare storie.



CARLETTO Mario

Certamente l'atteggiamento dell'Assessorato, al di là degli impegni personali lodevoli, è un atteggiamento passivo, di rinuncia, tendente solo a confezionare ipotesi di provvedimenti che altri dovranno assumere.
Questa la chiamiamo incapacità politica di governo della Giunta regionale.
Quando Sanlorenzo comunica di non riuscire ad ottenere i dati dalla Federpiemonte rispetto alla formazione professionale, devo rispondere che forse è sufficiente che legga sui quotidiani le richieste di collaboratori da parte delle aziende, ma mi rendo conto che è un'osservazione provocatoria ed allora formulo un giudizio politico al riguardo: debbo ritenere che non vi è da parte della Regione Piemonte, probabilmente sufficiente autorevolezza per ottenere questi dati, e se le cose sono in questi termini è evidente che le soluzioni alla crisi del Piemonte tarderanno a venire a galla, fatto grave sul quale ritengo ogni forza politica debba, al proprio interno, fare un'analisi profonda. Ha ragione il collega Viglione a dire che santoni non ce ne sono.
La crisi occupazionale e industriale del Piemonte non si risolve con un toccasana, ma con il concorso di tutti. La crisi possiamo e dobbiamo superarla.
La D.C. formula tre ipotesi di lavoro. La prima riguarda le risorse regionali. Il sistema delle risorse regionali e degli Enti locali è scarsamente destinato a spese d'investimento. Scarsa capacità di spesa della Regione, che ancora oggi raggiunge complessivamente il tetto del 40 escludendo le spese sanitarie, con un assestamento su livelli molto bassi.
Grande rigidità del bilancio regionale, che con gli impegni assunti vede condizionati pesantemente già i bilanci del 1982 e del 1983, con scarsissima capacità di adeguarsi alle esigenze reali del momento in cui si interviene,a fronte di una esigenza di flessibilità che noi riteniamo indispensabile per affrontare la crisi in atto.
L'area torinese, in particolare, è oggi al centro dell'attenzione.
Le ragioni sono note: la città risente infatti, in misura rilevante della sfavorevole congiuntura nazionale ed internazionale, ma soprattutto appare priva di una reale prospettiva di sviluppo. Le politiche di blocco perseguite nel recente passato hanno infatti comportato un arretramento dell'area torinese rispetto al Nord d'Italia e soprattutto rispetto alle altre aree industriali d'Europa.
In questa situazione, diventa quindi indispensabile concordare su una prospettiva di sviluppo dell'area torinese; soprattutto bisogna riuscire a non avere paura di una scelta per lo sviluppo, bisogna sentirla, bisogna maturarla al nostro interno per tradurla in atti concreti ed operativi.
Una politica per l'area torinese che si ispiri ad una scelta di sviluppo deve innanzitutto favorire la crescita del settore terziario ed in particolare del terziario superiore, partendo dai servizi dell'industria ma pensando anche alle principali scelte del terziario pubblico, in particolare quello più avanzato (ricerca, Università).
Pur in assenza di una politica di settore, in provincia di Torino gli occupati nei servizi sono cresciuti, dal 1977 ad oggi di oltre 42.000 unità; nonostante ciò, la quota di occupazione nei servizi, pari al 43% del totale, è inferiore non solo a quella delle Regioni più sviluppate dell'Italia settentrionale, ma anche a quella media nazionale (48%), per non parlare delle altre economie (USA 68%, Inghilterra 57%, Francia 53%).
Esistono le potenzialità per fare di Torino un "centro di servizi" di rango europeo, ma spetta soprattutto all'operatore pubblico creare gli spazi per soddisfare i crescenti fabbisogni di uffici e di direzionalità indotti dallo sviluppo del settore terziario: si veda, ad esempio, che cosa è stato realizzato - fisicamente - a Milano ed a Lione.
Assegnare a Torino il ruolo di "centro di servizi" di rango almeno regionale non significa congelare altri settori quali l'industria (e il documento presentato dal Gruppo regionale della D.C., come contributo per il secondo Piano di sviluppo va in questo senso), ma attraverso una politica di interventi integrati, la creazione di spazi per l'industria recuperarne altri per servizi pubblici, avviando processi di recupero del tessuto cittadino e di completamento e riqualificazione di quello metropolitano, qualificando e migliorando il settore primario, là dove esistono le condizioni sociali e storiche.
L'inventario dei possibili interventi è ricco: dalle nuove sedi universitarie, ai trasporti metropolitani e cittadini, dall'ammodernamento delle ferrovie all'uso razionale del traforo del Frejus con il collegamento stradale ed i centri merci di Susa e Orbassano, dalla rilocalizzazione della dogana e del mercato ortofrutticolo alla realizzazione di volumi significativi di edilizia residenziale nell'area metropolitana, all'avvio di poli integrati di sviluppo alla predisposizione di rinnovate strutture fieristiche.
I volumi, le risorse, gli impegni non sono trascurabili, ma una scelta di sviluppo in questa direzione, purché sollecita e certa, trascinerebbe sia la dinamica del terziario, sia la rivitalizzazione del quadro produttivo industriale; in definitiva produrrebbe in gran parte le risorse necessarie per finanziarla.
Un valido contributo alla soluzione dei problemi occupazionali dell'area torinese, più che da provvedimenti straordinari di difficile ed incerta definizione e dai contenuti sempre, in definitiva assistenziali può derivare quindi solo da una rinnovata scelta per lo sviluppo.
Secondo stime recenti dell'Unione Industriale, solo dall'attivazione di investimenti in edilizia ed opere pubbliche, già finanziabili e potenzialmente operativi, deriverebbe un'occupazione aggiuntiva, non transitoria, di circa 15.000 unità nella Provincia di Torino e 20.000 complessivamente in tutta la Regione Piemonte.
Queste opportunità occupazionali potrebbero essere equamente ripartite fra disoccupati e lavoratori in Cassa integrazione, come reale soluzione dei problemi personali, sociali ed economici, derivanti dall'attuale situazione di troppo estesa assistenza.
Il secondo punto sul quale volevo soffermarmi, riguarda la flessibilità della forza lavoro.
L'esigenza di attuare rapidamente l'accordo sulla mobilità è già stata ribadita anche dal Vice Presidente Sanlorenzo. Su questo tema interverrà il collega Brizio con dati più puntuali. Sulla riforma del collocamento i colleghi Viglione e Bastianini in un dibattito televisivo hanno fatto la proposta coraggiosa; che la Regione si faccia carico di una proposta di legge sulla riforma del collocamento. Può sembrare una proposta provocatoria e velleitaria, ma, secondo me, non lo è.
Si parla dell'agenzia de l lavoro. Ne ha parlato il Ministro di Giesi.
Una politica attiva del lavoro deve proporsi di evitare taluni facili sbocchi. Deve evitare di creare vincoli addizionali alle imprese. Infatti la possibilità delle imprese di creare occupazione è legata alla capacità di competere sui mercati, in ragione di alti livelli di produttività: condizioni che non consentono l'apposizione di oneri e rigidità, ma devono invece essere promosse da una politica di sostegno ai necessari processi di riconversione, ristrutturazione e sviluppo. Deve evitare di irrigidire ulteriormente il mercato del lavoro.
Infatti, le esigenze di elasticità delle imprese e dei lavoratori devono trovare uno spazio istituzionalizzato per realizzarsi.
Vi è una proposta del Ministro Di Giesi e vi sono altre proposte. Vi è una proposta a livello di Parlamento Europeo per una politica comunitaria di mobilità del lavoro. Si tratta di creare un'agenzia del lavoro organismo che accorpa tutte le funzioni di una politica attiva del lavoro.
In particolare,l'agenzia assume la gestione della manodopera coinvolta in processi di riconversione, a tutti i livelli: sul piano della titolarità del rapporto di lavoro, delle prestazioni economiche, delle attività di formazione e riqualificazione, dell'impiego anche temporaneo in servizi di pubblico interesse, dell'avvio ad una nuova occupazione. Il Piemonte pu essere anche sotto questo profilo una Regione pilota.
Un terzo problema è la formazione professionale. Assolutamente ignorato questo problema dalla relazione Sanlorenzo perché lo si rimanda ad apposito dibattito.
Noi riteniamo di fondamentale importanza il problema, in quanto un campo d'intervento decisivo è costituito dall'orientamento e formazione professionale, nell'obiettivo di esercitare una valida mediazione tra la domanda e l'offerta di lavoro. Infatti, gli scollamenti rilevanti tra le due componenti del mercato sottolineano l'urgenza di misure di questo tipo che, partendo dalla conoscenza approfondita delle caratteristiche e delle tendenze della domanda e dell'offerta, siano in grado di ridurne le discrepanze.
Sanlorenzo ed il suo Assessorato sono a conoscenza di questi dati.
Per fare la formazione professionale di primo livello occorre questo quadro e poi la si realizzi rapidamente. Non è più tempo di corsi di alfabetizzazione ma di formazione seria.
Formazione di secondo livello decisiva per la terziarizzazione del Piemonte e di Torino in particolare. Preparare giovani ai settori qualificati dell'informatica, elettronica, ricerca, servizi superiori.
Occorre ridare credibilità al sistema Italia. Dare certezze ai giovani alle donne, ai disoccupati. Smettiamo di fare demagogia, si facciano proposte concrete per stare realmente al fianco dei lavoratori. L'Ente pubblico può giocare un ruolo decisivo.
Il Piemonte può essere una Regione all'avanguardia, ci dicono le interviste del Presidente della Giunta e degli Assessori perché si raccorda con la programmazione nazionale, come Regione modello. Ma la programmazione regionale dove si trova, nei fascicoli dell'Assessorato al lavoro, stante la sua ben nota vocazione anche alla programmazione? In realtà ci troveremo un Piemonte diverso dopo la crisi. Bisogna intendersi su come lo vogliamo. Noi lo vogliamo cresciuto, più adulto, come più adulti si diventa dopo avere superato delle difficoltà, più robusto nelle sue strutture produttive, più fiducioso nella sua gente, più credibile nelle sue istituzioni. Rifiutiamo di accettare un Piemonte dimesso, bastonato, chiuso in se stesso, incapace di confrontarsi con le altre realtà industriali europee.
In quest'aula siamo tutti d'accordo che questi sono gli obiettivi? Se si, lavoriamo seriamente per conseguirli; se ci sono dei dubbi da parte di qualcuno vengano fuori e ci si confronti seriamente e fino in fondo.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Il PDUP, insieme con i colleghi socialisti e comunisti, ha chiesto di porre all'ordine del giorno del Consiglio questo dibattito, perch riteniamo i problemi dell'industria centrali e vitali per lo sviluppo del Piemonte nei prossimi anni.
Nel mio intervento porrò alcuni problemi e farò proposte concrete le quali, però, non debbono avere come interlocutore soltanto la Giunta, ma debbono impegnare in un confronto costruttivo tutti i partiti: questo è l'unico modo per non fare demagogia, per impegnarsi nel concreto da parte di tutti. Dobbiamo riconoscere che la Giunta ha svolto una notevole attività sui problemi dell'industria, ha seguito le aziende in crisi attraverso innumerevoli incontri; tuttavia questa notevole attività non corrisponde ancora pienamente alle esigenze, in quanto a questa attività non corrisponde ancora una capacità di proposta che permetta di individuare settori produttivi e priorità in grado di fermare la caduta dell'apparato industriale.
E' questa carenza di capacità propositiva che porta la Regione a ricoprire un ruolo che favorisca l'incontro ed il confronto fra le parti ma stenta ad individuare con la necessaria chiarezza interlocutori e controparti, condizione indispensabile per svolgere un ruolo politico di direzione dei processi in atto.
Per questo è necessario recuperare un dato di forte capacità propositiva da parte della Regione e su questo fondare il rapporto con le parti sociali, rispetto alle quali i vincoli non possono riguardare solo i lavoratori (tetto del 16%), ma anche la scelta delle aziende in modo da renderle coerenti con le priorità di sviluppo sulle quali fondare una linea di resistenza alla deindustrializzazione ed alla caduta dell'occupazione e rilanciare lo sviluppo attraverso l'individuazione dei settori industriali prioritari che devono qualificare il secondo Piano di sviluppo, ed in questa logica inquadrare il lavoro del giorno per giorno.
Per essere credibili è necessario individuare alcune priorità rispetto alle quali ottenere subito dei risultati, in particolare è necessario individuare quei settori non in crisi nei quali è possibile garantire i posti di lavoro e sviluppare l'occupazione, per i quali occorrerà individuare nel Piano di sviluppo proposte concrete che ne permettano lo sviluppo. Dico questo perché in Piemonte si rischia di perdere posti di lavoro in settori che non sono in crisi, mi riferisco alla Nebiolo, alla Pianelli e Traversa di un settore non in crisi quale la meccanica strumentale.
In questo settore non si devono perdere posti di lavoro, se errori ci sono stati bisogna recuperare al più presto. Ritengo che il settore della meccanica strumentale è un settore prioritario non in crisi ed il Piano di sviluppo deve comprendere provvedimenti che ne favoriscano lo sviluppo.
Vanno inoltre individuati, quali settori prioritari di intervento, quei settori rispetto ai quali siamo dipendenti dall'estero, rispetto ai quali vanno individuate iniziative politiche ed azioni concrete per recuperare attraverso piani di settore che abbiano in un'ottica espansiva quote di mercato. Per esempio è inaccettabile che,mentre stiamo importando acciaio dall'estero, nel frattempo sta andando avanti un piano di riassetto della siderurgia che chiude gli impianti e taglia ulteriormente l'occupazione in particolare nella nostra Regione.
Va impedita la chiusura di quelle aziende o reparti che producono prodotti che importiamo, in questo senso la chiusura del reparto carburo della Montedison di Villadossola non solo è inaccettabile per i tagli occupazionali, ma è inaccettabile perché chiudendo quelle aziende dovremo importare i prodotti relativi. Lo stesso discorso vale per la Nebiolo e per altre aziende.
Occorre anche un intervento concreto sulla piccola e media impresa, in quanto ci sono aziende, che non sono legate al ciclo produttivo delle grandi imprese in crisi, che hanno capacità autonoma di progettazione, di commercializzazione, quindi di collocazione del prodotto sul mercato, e che hanno potenziali prospettive di sviluppo e di mercato ma che sono in crisi per carenza di finanziamenti. In questi casi è di notevole importanza il rapporto con le banche per fare arrivare a queste aziende finanziamenti a tasso agevolato. E' inammissibile, a mio avviso, che si continui a dire che occorre uscire dalla crisi e nello stesso tempo si lasciano andare in crisi, si perdono posti di lavoro in altre aziende che hanno possibilità di sviluppo, che hanno un mercato, che potrebbero garantire l'occupazione e allargarla.
Ci sono responsabilità gravi non certo dei lavoratori, quanto delle aziende e del governo sulle quali dobbiamo esprimerci in termini politici.
La crisi che attraversa la nostra regione è grave e difficile da risolvere, è quindi giusto coinvolgere le forze politiche, le forze sociali e le forze economiche; condividiamo quindi la proposta della Giunta di una conferenza regionale sui problemi della crisi, proposta che del resto avevamo già avanzato la settimana scorsa nella riunione sulla mobilità.
Questa iniziativa è importante anche se la Regione non ha competenze nel campo dell'industria, ha però il dovere di esprimersi e di assumere politiche chiare sulle scelte prioritarie.
Voglio qui fare alcune valutazioni rispetto ad alcuni settori anche per sottolineare il compito che spetta alle istituzioni in ordine al problema degli acciai, la Regione non ha ancora preso una posizione così come non si è espressa sul trasferimento di alcune produzioni dalla Teksid alla Finsider, soluzione che sta andando avanti non si capisce come, ma che comunque provocherà un'eccedenza di circa 4.000 posti di lavoro, con la chiusura di alcuni impianti della Teksid di Torino.
La Teksid ha chiesto i fondi della legge 675, ebbene, si pongano quali vincoli all'accesso dei fondi della 685, una discussione nel merito dei processi di ristrutturazione e dei livelli occupazionali. Non vogliamo mettere in contrapposizione i lavoratori della Teksid di Torino con quelli della Finsider di Piombino e di Terni dove dovrebbe andare la produzione della Teksid ; noi riteniamo necessario un piano della siderurgia che abbia un'ottica espansiva, si ponga l'obiettivo di recuperare quote di mercato garantendo l'occupazione a Piombino, Terni e a Torino. In merito al piano Finsider la Regione non ha nemmeno ricevuto il piano, ebbene, noi riteniamo che il governo non può approvare piani di settore senza coinvolgere le Regioni, riteniamo che i pareri delle Regioni debbano essere vincolanti e non consultivi.
Per quanto riguarda l'Indesit, la Giunta ha avviato un'iniziativa concreta e positiva a sostegno del secondo polo dell'elettronica. Bisogna continuare su questa strada, cercando di capire come le forze politiche che continuano a ricordarci che in termini elettorali rappresentano un terzo del Piemonte ed hanno responsabilità di governo nazionale, intendono intervenire presso il governo stesso.
In merito al settore auto, la Fiat ha chiesto i finanziamenti della legge 675. E' inutile ripetere la necessità di porre un vincolo per l'accesso ai fondi, in ordine alla qualità del prodotto, al recupero delle quote di mercato, alla garanzia dell'occupazione, come previsto nella deliberazione Cipi, sul piano auto; mi risulta però che il Senato recentemente ha approvato un D.D.L. "Interventi in settori di rilevanza nazionale" con 3500 miliardi di stanziamenti per gli anni 81/83 nel quale non si tiene conto degli obiettivi previsti dai piani di settore. Ci sono delle gravi responsabilità politiche su questo. Il Consigliere Viglione ha parlato della macchina del futuro, ciononostante al centro ricerche Fiat continua a calare l'occupazione, un certo numero di tecnici viene utilizzato prevalentemente nella verifica, nel controllo dei propulsori attuali. Non si capisce che cosa si stia facendo per i motori sovralimentati, i turbo compressori decisivi in futuro per tenere la concorrenza.
Per quanto riguarda i problemi dell'Alto Novarese, spero che la Giunta nell'incontro di ieri con le organizzazioni sindacali abbia definito gli interventi complessivi che concernono le materie di competenza della Regione e che è possibile attivare subito.
Vorrei fare inoltre alcune valutazioni sulla S.p.A. Nebiolo. E' un'azienda che appartiene ad un settore non in crisi, che la mia parte politica ritiene prioritario e tale da poter qualificare il Piano di sviluppo regionale. Tuttavia questa società è in crisi per la miopia e l'incapacità dei suoi dirigenti. A me sembra che si parli troppo da parte imprenditoriale della necessità di licenziare i lavoratori, io credo invece che bisogna avere il coraggio di licenziare i dirigenti incapaci.
Si è parlato della mobilità, tema sul quale dobbiamo chiarirci le idee.
Ritengo che la Regione deve chiedere alla Federpiemonte quali e quanti sono i posti di lavoro disponibili. Non dimentichiamo che sul tema della mobilità ci siamo scontrati in quest'aula. Non è accettabile il fatto che le aziende scarichino sulla Regione gli esuberi defilandosi dalle responsabilità. Le difficoltà frapposte dalla Federpiemonte in sede di Commissione regionale sulla mobilità, dimostrano che, se l'accordo sulla mobilità non si fa, la responsabilità è della Federpiemonte.
I processi di mobilità devono tener conto sia delle assunzioni numeriche, che delle assunzioni nominative. Siamo inoltre contrari a qualsiasi ipotesi di regionalizzazione della Cassa integrazione in quanto questo porterebbe alla deresponsabilizzazione delle aziende rispetto ai lavoratori scaricando gli esuberanti sulla collettività.
Vi sono altre questioni prioritarie che vanno affrontate rapidamente.
Il credito. E' un settore che ha responsabilità e fini sociali, non solo di profitto; dobbiamo rilevare che il destino di molte aziende in crisi sono in mano alle banche (Ceat - CMB di Bra - Pianelli). La Regione deve intervenire in modo chiaro con un coinvolgimento delle banche perch oltre gli stipendi, come è avvenuto alla Pianelli, garantiscano con flussi di finanziamento anche il futuro delle aziende se non vogliamo il fallimento. Quindi occorre una decisa iniziativa politica della Regione nei confronti degli istituti di credito e del governo. L'altro problema sul quale deve agire la Regione riguarda l'omologazione, dei prodotti. E' stato sottolineato dall'API nel suo recente convegno, in quanto molti prodotti italiani non possono essere collocati all'estero perché non sono omologati da nessun ente italiano, mentre i prodotti esteri sono tutti omologati quindi, vengono importati in Italia. Dobbiamo discutere le iniziative che la Regione può assumere in questa direzione chiedendo un coinvolgimento ad esempio del Politecnico ed al Governo di intervenire quanto prima per quanto di sua competenza in ordine alla collocazione dei prodotti italiani all'estero.
Rispetto alle piccole aziende bisogna rilevare che i fondi della legge 240 sui consorzi sono insufficienti. E' necessario favorire la costituzione di consorzi tra le piccole aziende che hanno bisogno di quelle strutture di progettazione, di ricerca di mercato, di commercializzazione, che singolarmente non riescono a darsi. Poniamo questi obiettivi in modo propositivo, non in modo rivendicativo e chiediamo alle altre forze politiche se intendono impegnarsi su questo e se ritengono, come noi riteniamo, lo sviluppo industriale centrale nella formulazione del secondo Piano di sviluppo.
Per questo riteniamo che quando si parla di secondo Piano di sviluppo non si può far riferimento unicamente agli 84 progetti, importanti, sì, ma insufficienti perché in quei progetti lo sviluppo industriale è trattato in modo marginale. In questo senso non siamo d'accordo con quanti ritengono che lo sviluppo industriale sia fatalmente in declino e che si debba ricorrere a tutte le occasioni che si presentano nel campo del terziario assistenziale e delle infrastrutture. Non siamo pregiudizialmente contrari alle infrastrutture: per esempio, riconosciamo che nell'Alto Novarese sono un'esigenza; però riteniamo che lo sviluppo industriale sia il nodo centrale della nostra regione perché la caduta dell'industria provocherebbe anche l'arresto dello sviluppo del terziario.
Rispetto al terziario noi siamo contrari ad uno sviluppo del terziario assistenziale. Il Gruppo D.C. auspica la nascita a Torino di un centro di servizi di rango europeo. E' credibile questo a 150 chilometri da Milano? Ritengo di no e non lo ritengo solo io, lo ritiene anche l'API come ha affermato nel suo recente convegno. Quindi, il terziario è certo un settore importante, se è un terziario qualificato, di supporto allo sviluppo industriale, ma dobbiamo essere coerenti, non possiamo fare il discorso del terziario avanzato di supporto alle aziende, se nel contempo permettiamo alla Fiat ed alla Montedison di ridimensionare i loro centri ricerche. Su questo si debbono assumere posizioni chiare e nette.
In conclusione, auspichiamo che questo dibattito non si concluda soltanto con la replica della Giunta, ma che continui con impegni precisi per la Giunta e per le forze politiche calendarizzando intanto una serie di incontri sui problemi più urgenti.
Tutte le forze politiche devono dare il loro contributo, assumersi responsabilità e impegni, non solo perché ogni forza politica deve rispondere ai propri elettori, ma soprattutto perché la situazione non consente a nessuno di scaricare le responsabilità agli altri.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Il Vice Presidente Sanlorenzo ha introdotto questo dibattito, la cui importanza è cresciuta di giorno in giorno dal momento in cui è stato programmato, con una introduzione che il Gruppo liberale giudica apprezzabile, soprattutto perché si è trattato di una presentazione "asciutta", costruita sui dati della crisi e sulle possibili linee di azione del governo regionale.
Questo consente di sviluppare riflessioni non in un clima esagitato come pure le dimensioni della crisi potevano far temere, ma in un clima costruttivo per costruire insieme proposte d'azioni, per concorrere, da parte nostra, ad aiutare il Piemonte a superare questo momento difficile che non ha precedenti.
Che le cifre della crisi in Piemonte siano gravi, in particolare nell'area torinese, non devono stupire.
In Piemonte, in particolare nell'area torinese, si cumulano, con un effetto moltiplicatore e quindi con risultati devastanti, due elementi: le cause generali della crisi dell'industria italiana e le cause particolari della crisi del settore dell'auto, che in larga misura piega l'economia industriale di Torino e che ha comunque riflessi sull'intero comparto piemontese.
Vorrei aggiungere una considerazione per cercare di analizzare le cause per cui molte tra le più significative aziende piemontesi sono entrate in crisi.
In Piemonte vi sono zone di tradizionale specializzazione produttiva in cui i cicli congiunturali seguono tempi in qualche misura indipendenti dagli andamenti generali dell'economia italiana. Il settore tessile, ad esempio, ha incontrato momenti di crisi quando gli altri settori industriali tiravano e, paradossalmente, momenti di minor crisi quando le altre industrie sono state in difficoltà.
L'area torinese, invece, ha centrato gli elementi di dinamica negli anni più recenti su un solo settore, ha conservato a fianco strutture imprenditoriali in settori prevalentemente obsoleti, comunque incapaci di tenere il passo per intensità di investimento, per apertura sui mercati per cambiamenti nel prodotto, con quanto negli stessi settori veniva fatto da altre parti. E' stato, nel sistema torinese, uno sviluppo che si è accompagnato con elementi di distorsione e di obsolescenza non solo delle strutture produttive, ma anche nella mentalità industriale del Piemonte. Il Piemonte si è sentito per lungo tratto protetto dal gigantismo dell'auto settore trainante e ha visto invecchiare anche la voglia di fare impresa.
Certo la crisi è grave. Questo dibattito, se non vuole vendere certezze destinate a cadere, se non vuole alimentare illusioni, tanto più pericolose perché destinate a dissolversi, imporle in primo luogo di capire due problemi fondamentali.
Il Paese, nel suo insieme, non può più fare a meno di una politica per l'industria. L'Italia si è industrializzata in assenza di una politica per l'industria; la ventata della crisi dimostra che serve una politica per l'industria di respiro europeo.
Voglio essere chiaro: cosa intende il P.L.I. quando parla di questo problema? Intende affermare che la politica dell'industria non può ridursi alla politica dell'industria a partecipazione statale, né a quella del credito agevolato, non finalizzato. Inversamente il P.L.I. intende affermare che una politica per l'industria non può indurre alcuna forza sociale ed alcuna parte politica a ricercare, attraverso piani vincolanti una trasformazione sostanziale delle regole del libero mercato nel settore industriale.
La politica dell'industria in Italia non si è fatta, forse perch anche nell'industria, si vive quanto capita anche in altri settori: i conservatori sono troppo reazionari ed i riformatori troppo massimalisti.
Da un lato si pretende una politica per l'industria a misura dei comodi dei grandi feudi dell'apparato pubblico. La nostra parte politica è fra le poche che ha, su questa materia, diritto di critica, perché da sempre si è opposta al gigantismo dell'apparato pubblico, allo Stato impegnato a fare siderurgia pesante e panettoni. D'altro lato si pretende invece una politica per l'industria che, attraverso il meccanismo seducente dei piani dei contropiani e dei sottopiani, delle verifiche, dei comitati, uccide di fatto l'aria forte della competizione e del confronto sul mercato. L'aria dell'impresa, come sola risposta del singolo, come imprenditore e come lavoratore, di dimostrare capacità di produrre e di distribuire ricchezza.
Quest'aria può a volte, dare alla testa, ma è la sola aria sana in un'economia sana.
La convinzione della necessità di una politica per l'industria di questo genere, nel paese non è ancora maturata.
Non sono ancora stati battuti i desideri di usare delle leggi e dei soldi pubblici per coprire i feudi dell'industria pubblica; ma non è ancora cresciuta, nella classe operaia, nelle sue rappresentanze a livello politico, nelle organizzazioni sindacali, la coscienza che, se si vuole un'economia radicata all'Europa, la politica per l'industria non è la politica dei piani rigidi e vincolanti, dei piani che propongono certezze assolute: è invece la politica degli strumenti flessibili e dei contributi finalizzati, che lasciano all'impresa il rischio del mercato. Non è la fine del mondo se su cento lire distribuite, dieci sono usate male, a condizione però che il meccanismo che si mette in moto consenta che le altre novanta siano impiegate bene. Non si devono dimenticare i controlli, ma stimolare le qualità proprie di un sistema industriale.
Il secondo elemento su cui si deve riflettere è il ruolo delle Regioni nella politica per l'industria. I liberali sono stati per lunghi anni contro l'istituzione delle Regioni, con gli errori che ne accompagnarono la nascita, ma oggi i liberali sono più regionalisti di molti regionalisti di allora. Affermano però che queste Regioni non servono né a se stesse, n allo Stato. E uno dei campi in cui deve essere meglio definito il ruolo della Regione, è il campo della politica industriale.
Credo che l'Assessore Sanlorenzo abbia una personale vocazione a immergersi fino al collo nei problemi dell'industria. Io personalmente, ne avrei di meno, anche nell'interesse dell'industria. Devo però riconoscere che, quando in una regione si scatenano tali e tanti punti di crisi, è inevitabile che al di là di un proprio piacere più o meno masochista, chi ha responsabilità nel governo della Regione, sia coinvolto in un'azione pesante. E' costretto quindi ad occuparsi di problemi per i quali ha competenze marginali, spesso strappate o contestate ad altri soggetti problemi in cui si corre sempre il rischio di essere un passo indietro o come accade sempre a Sanlorenzo, un passo avanti.
Un intervento e una funzione più chiara delle Regioni, che non pretenda di sostituirsi allo Stato nelle grandi scelte di indirizzo, ma che individui spazi certi e garantiti per la collaborazione al governo della politica con l'industria, migliorerebbe le possibilità di azione degli Assessori, di qualunque parte siano, ed aumenterebbe la concretezza dei nostri dibattiti che altrimenti rischiano di divagare su troppi temi.
Per tornare al Piemonte e per fare ancora una riflessione di ordine generale, la crisi che non dipende da cattiverie particolari, ma che ha radici profonde, ha anche qualche causa locale. A distanza di soli tre anni è cambiato il tono, la "mira" nei dibattiti delle assemblee elettive.
Per anni abbiamo vissuto la cultura della "povertà". Abbiamo avuto timore che il sistema piemontese diventasse troppo ricco, diventasse troppo capitalista; vi erano certo anche volgarità nei segni di trasformazione del capitalismo italiano, ma vi erano, nella tendenza al continuo sviluppo che si è registrato negli anni '50/60 e per buona metà degli anni '70, grandi forze che abbiamo lasciato cadere.
La falsa contrapposizione Nord-Sud, come se il blocco del Nord e del Piemonte in particolare, potesse risolvere i problemi del Mezzogiorno; la mitica contrapposizione tra area centrale torinese e poli di riequilibrio come se le opportunità, possibili nella concentrazione metropolitana fossero deportabili in altre realtà; la cultura della "povertà" hanno fatto perdere in quegli anni, anni in cui vi era una capacità di accumulazione del sistema industriale piemontese, molte occasioni. In quegli anni si potevano scatenare possibilità di diversificazione del sistema produttivo si poteva favorire il decollo del settore terziario che - ha ragione Viglione - solo i superficiali possono pensare possa generarsi in una struttura industriale cedente.
Non ha ragione invece Montefalchesi, che sembra considerare la sfida terziaria persa a priori per Torino, perché se è vero che non è facile far nascere un terziario alternativo, che non sia parassitario e di soli servizi nell'area torinese, è anche vero che spesso si è fatto di tutto per impedire che i "germi" di possibili iniziative venissero lasciati cadere con politiche urbanistiche discutibili, con scelte rinunciatarie, con fatti su cui ora sarebbe facile tornare per trovare precise responsabilità.
Questo richiamo ai dibattiti passati per il Piemonte, non viene dal P.L.I. sviluppato per spirito di polemica, anche se devo ricordare che sono stato uno di quelli che più accanitamente ho sostenuto che il riequilibrio Nord-Sud e la riorganizzazione del Piemonte non potessero passare attraverso politiche miopi, come pure sono state fatte, di contenimento, di penalizzazione, di umiliazione delle potenzialità economiche e produttive esistenti. Il P.L.I. richiama questi temi per dire che le forze politiche debbono sempre riflettere nei dibattiti toni problematici, perché non crediamo sia possibile ad alcuno avere certezze.
Vi è un disegno politico di fondo in questo intervento, su cui chiedo rispetto, così come io ho rispetto per quanto la Giunta ha detto e ha fatto su questo tema. Serve far credere o non far nulla per non far credere che la Regione possa essere risolutiva nell'attuale situazione? Non vorremmo che l'attivismo dell'Assessore Sanlorenzo, l'attenzione della Giunta, la somma di tanti provvedimenti proposti, sicuramente utili ma marginali facessero passare sotto silenzio o lasciassero l'impressione che da questa crisi si possa uscire senza affrontare i nodi di fondo della realtà dei settori produttivi nel nostro Paese.
L'atteggiamento della Regione nel suo complesso desta preoccupazioni.
Concorre a creare l'illusione che un centro di decisione pubblica abbia poteri risolutivi in un settore come quello dell'economia e della produzione industriale; tende a scaricare su Roma, sul governo centrale colpe che a Roma non competono. Ho la preoccupazione che si dica: se l'economia industriale non riprende, malgrado la Regione promuova incontri riunioni, documenti, statistiche, elaborati, tabulati, proposte, 84 progetti, la colpa non è da ricercare nel comportamento delle parti sociali, ma nell'azione o di questo o di quel Ministro, di questo o di quel ritardo, di questo o di quell'atteggiamento.
I margini sono stretti e questo atteggiamento, anche per la fragilità di competenze che prima ricordavo, può far correre gravi rischi al Piemonte.
Credo invece che la Regione debba fare la sua parte, negli ambiti che le competono istituzionalmente e debba quindi concorrere a mantenere elevata la domanda pubblica ed a garantire la sua qualificazione.
Anche su questo tema non dobbiamo coltivare illusioni, il Piemonte non ha la possibilità, territoriale e finanziaria, di uscire da un momento di crisi con progetti giganteschi di trasformazione territoriale. La nostra è una realtà diversa. I nostri lavoratori hanno caratteristiche e qualità diverse, il nostro territorio ha esigenze di intervento diverso. La domanda pubblica quindi deve essere qualificata.
Credo si possa fare insieme una riflessione: vi sembra possibile che un Paese che ha, nel settore dei trasporti, tecnologie, capacità imprenditoriali e lavoratori di prim'ordine, che ha, nel settore delle costruzioni, imprese che realizzano infrastrutture nel mondo, vi sembra possibile, dicevo che questo Paese non sia stato capace di mettere a punto una qualificata domanda per il trasporto pubblico di massa nelle aree metropolitane? Questa capacità di qualificare la domanda pubblica è la politica che, a tempi lunghi, sostiene le economie industriali. Il "fare case" tolti alcuni settori, non sostiene l'economia industriale. Non è più vero che quando l'edilizia va, tutto va. L'effetto indiretto che ricade sulle industrie da un investimento non finalizzato e non qualificato nel settore delle opere pubbliche, è molto ridotto. E' quindi la qualità dell'intervento pubblico che può cercare di saldare l'industria all'investimento pubblico. Così è nel settore del disinquinamento, dove le tecnologie di intervento sono sofisticate e concorrono a stimolare, con la domanda pubblica, la produzione industriale.
Ecco perché bisogna cambiare il modo di governo, negli enti locali. Se è vero, ad esempio, che i governi centrali che si sono succeduti hanno segnato gravi ritardi, non possiamo nemmeno dimenticare che dal 1969 con successivi finanziamenti, centinaia e centinaia di miliardi sono a disposizione per le politiche del settore dei trasporti pubblici di massa e che il ritardo nella spesa di questi denari è responsabilità degli enti locali, con colpe che sono divise tra ogni parte politica, perché vi sono amministrazioni rosse e non rosse. E in primo luogo una responsabilità culturale precisa, è l'incapacità, in questo Paese, di capire che il governo dei sistemi metropolitani non può passare attraverso lo sviluppo delle strutture territoriali, esistenti, ma richiede progetti di più radicale trasformazione, senza i quali anche la domanda pubblica, rischia di fatto, di restare un elemento da effetto congiunturale, ma non ad effetto strutturale, capace di modificare il sistema industriale italiano.
Con attenzione e con interesse guardiamo quindi agli 84 progetti.
Potremmo fare su questi progetti malignità o concedere fiducie. Le malignità ce le riserviamo per le dichiarazioni pubbliche e, per operare in positivo, diamo in questa sede fiducia.
Ma, nel chiedere al Governo di fare la sua parte, di verificare nelle compatibilità generali del Paese quali e quanti dei progetti del Piemonte possono avere seguito, il P.L.I. deve anche chiedere al sistema del governo locale in Piemonte di fare la sua parte. Credo allora che questa Giunta avrà qualche imbarazzo, quando nel sostenere alcuni progetti le sarà chiesto dal Governo perché, ad un anno di distanza da adempimenti regionali assunti nel settembre scorso per la realizzazione di 5.000 alloggi, i cantieri non si siano ancora aperti.
Questo è colpa del Governo centrale o non è piuttosto responsabilità degli Assessori, delle forze politiche, dei Consigli comunali, che non danno le aree e che non votano le convenzioni, che non rilasciano le concessioni? Ho citato questo settore perché ne conosco la situazione meglio che in altri, ma potrei fare considerazioni non diverse in materia di agricoltura o di altre aree di competenza regionale. Più volte ho riconosciuto che Rivalta è stato uno dei pochi, se non il solo Assessore regionale in Italia, ad avere provveduto tempestivamente ai decreti di localizzazione degli interventi e di individuazione degli operatori; ma l'azione di governo non si risolve nel pezzo di carta, ma si risolve nel verificare che nella Regione vi siano le condizioni per cui, il giorno dopo i decreti, si aprano i cantieri.
Voglio ancora fare una considerazione. La domanda regionale e di gran parte degli enti locali è concentrata nel settore delle opere pubbliche gli altri settori di investimento e d'iniziativa, su cui ora mi soffermer hanno ritardi occupazionali a tempi lunghi.
Nel campo della politica del credito non si possono pensare a miracoli.
Il mio partito ed io personalmente non abbiamo nessuna simpatia per il sistema di potere delle banche, anche perché al S. Paolo ed alla Cassa di Risparmio non abbiamo Consiglieri di amministrazione.



VIGLIONE Aldo

Avete avuto Jona per 20 anni.



BASTIANINI Attilio

Stiamo però parlando dei problemi di oggi, non di quelli di 20 anni fa quando alle industrie i finanziamenti pervenivano. Non possiamo per pensare che il denaro non affluisca alle industrie perché vi sono nelle banche "untori", il denaro non affluisce alle industrie, perché le industrie alle attuali condizioni di costo del denaro non sono in grado di assorbire i prestiti.
Questa è la ragione di fondo con la quale dobbiamo fare i conti.



VIGLIONE Aldo

Questo avviene perché gli speculatori hanno comprato il titolo SAI a 1000 che ora vale 30.000. Pertanto chiunque si sia fatto prestare dalla Banca 100 milioni, adesso ha 3 miliardi!



BASTIANINI Attilio

Quando un paese ha un'inflazione che passa abbondantemente il 20-22 annuo, il denaro, tenendo conto di una ricarica ordinaria delle banche costa attorno al 25-26%. A questi tassi le industrie non bevono. Quale industria, in un settore di bassa congiuntura, con una capacità di presenza sui mercati esteri che è condizionata da tanti elementi, ma anche dalla ridotta concorrenzialità di troppi nostri prodotti, può oggi pensare di fare investimenti a quei tassi, quando sa benissimo che i piani di ammortamento di fatto non sono sopportabili? Non mi dissocio dall'orientamento della Giunta, di verificare più a fondo la possibilità di influire sul comportamento del credito, specie a sostegno di situazioni aziendali particolari, ma non ci illudiamo che la caccia agli "untori" nelle banche sia la soluzione del problema del credito all'industria.
Analogamente non attendiamo miracoli dai consorzi di imprese. La struttura consortile è una prospettiva di lunga gettata. E' evidente che dobbiamo fare sforzi e passi per favorire l'organizzazione in consorzi, ma più ancora che l'azione regionale sarà la stessa legge del mercato, che farà sì che quelli che restino le conducano con un'attitudine imprenditoriale più moderna e più disposta al collegamento. Favorire il sorgere di consorzi è un'iniziativa giusta, per la quale la Regione ha qualche competenza, ma è un'iniziativa ancora marginale rispetto alle cause generali della crisi e tale da dare comunque risultati a più lunga prospettiva.
Non attendiamo miracoli neppure dal sostegno dell'export; né dalle proposte per l'omologazione dei progetti.
Ho seguito con attenzione l'intervento di Montefalchesi; la critica che formulo ad interventi così costruiti è che è pericoloso far credere che per la crisi in Piemonte, siano risolutive iniziative indicate senza gerarchia di importanza. L'opinione pubblica può credere che, dalla crisi il Piemonte possa uscirne formando consorzi di produzione, prevedendo l'omologazione dei prodotti, istituendo il consorzio per l'export. La mia parte politica vuole essere chiara. Dalla crisi con queste iniziative non si esce: si tratta di iniziative di cornice, di prospettiva, di razionalizzazione, alle quali non viene meno il nostro consenso, ma dobbiamo essere convinti che con queste iniziative non si recupera molto.
Toccherò altri tre punti delle proposte della Giunta: le aree attrezzate, la mobilità ed i progetti di impiego della mano d'opera in cassa integrazione, nei progetti di investimento in opere pubbliche.
Aree attrezzate. Sono uno strumento importante. La Regione su questa materia ha fatto un'opportuna correzione di rotta. Dal vecchio convegno della piccola industria sono venuti altri stimoli. Ad esempio, l'"habitat" più naturale per le piccole industrie non è all'interno di un rigido sistema di localizzazione, ma è nella dispersione territoriale, che riproduce condizioni di economicità di gestione, di rapporto con il lavoratore più adatte alle capacità della piccola industria.
Si deve quindi fare attenzione a non usare lo strumento giusto al momento sbagliato. Le aree industriali attrezzate sono state trascurate dalla culturale e dalla pratica amministrativa nell'Italia negli anni '50 e '60, quando nella periferia di Torino, ad esempio, si creavano "ghetti" industriali. In quegli anni si poteva saldare lo sviluppo del settore produttivo con un'immagine urbana forte, qualificata, funzionale, che non avesse al suo interno elementi di diseconomicità che oggi riscontriamo.
Oggi, di fronte ad una domanda di localizzazione industriale che è bassa, che è cedente, le aree industriali attrezzate sono strumento opportuno in determinate situazioni, ma non sono la ricetta per risolvere ogni problema. Deve essere invece reimpostata, anche nelle normative urbanistiche, una diversa attenzione ai problemi del settore industriale.
Per il Piemonte di oggi è preferibile avere dieci fabbriche mal localizzate sul territorio, piuttosto che non avere dieci fabbriche. Sono convinto che con normative adatte, si possano avere dieci fabbriche ben localizzate nel territorio, ma con le attuali norme, si rischia di perdere possibili iniziative.
La scelta dei liberali è, in questa fase, di sciogliere i nodi, di cogliere tutte le occasioni, di scatenare nella nostra Regione tutte le opportunità. Ricordo che, negli anni passati, si impedì ad un'azienda di localizzarsi nel Cuneese, in un Comune che disponeva di un'area a destinazione industriale, perché questa azienda non intendeva andare nell'area industriale attrezzata di Mondovì, che peraltro non era ancora disponibile.
Mobilità. Partecipo, come membro supplente, alla Commissione per la mobilità che si è costituita nella nostra Regione e me ne sono fatto un'idea personale. Non credo che la colpa dei ritardi nell'intesa debba ricadere sulla Federpiemonte o sulle organizzazioni sindacali, la colpa in realtà è della macchinosità della Commissione. Nulla può essere deciso in una Commissione in cui si è in sessanta attorno ad un tavolo, salvo non far finta che si discuta e decidere poi da un'altra parte. Lo strumento della mobilità è innovativo e delicato; occorre trovare soluzioni che siano in rottura con gli atteggiamenti consolidati. Se si cerca di mettere a punto lo strumento della mobilità nel rispetto di tutti i documenti firmati e controfirmati nell'ultimo decennio, non se ne viene fuori. Occorre che le parti sociali abbiano una disponibilità diversa; imprenditori da un lato e sindacati dall'altro devono correre rischi, altrimenti lo strumento della mobilità non si mette in moto.
Progetti per l'impiego dei lavoratori in Cassa integrazione. Il P.L.I.
è scettico sulla possibilità di avviare un recupero dei lavoratori in Cassa integrazione e guadagni, mediante il loro impiego in interventi in opere pubbliche. Intanto mi sembra che, nella realtà piemontese, non esista una capacità progettuale delle amministrazioni degli Enti locali capace di produrre una domanda aggiuntiva di investimenti pubblici. Questa specie di opere che siano funzionali e di sostegno alle esigenze dell'industria nella Regione; in altre parole opere con qualche sofisticazione tecnologica nel campo dell'edilizia.
In secondo luogo credo che per i lavoratori sia umiliante l'attuale situazione di falsa occupazione, ma ostacoli non minori incontreremmo in una massiccia deportazione all'edilizia, dove maggiore è la domanda pubblica. In terzo luogo, il passaggio dei lavoratori alla produzione o avviene per opere di grande semplicità, o deve avvenire attraverso il filtro delle organizzazioni produttive, cioè delle imprese, le quali hanno evidenti e gravi difficoltà nel ricalibrare il proprio passo, di ordine gestionale, finanziario ed operativo, per assorbire nuovi lavoratori.
Invito chi ha responsabilità di governo a parlare su questi temi con maggiore responsabilità di quanto finora è avvenuto.
E' grave che il Sindaco della Città di Torino, a cui mi legano dieci anni di milizia in Consiglio comunale, sia incappato in un atteggiamento affrettato, che non gli è abituale, facendo credere, su quattro colonne del principale giornale cittadino, che vi erano concrete possibilità di recupero al lavoro dei dipendenti in Cassa integrazione. Queste posizioni non producono altro che l'aumento delle frustrazioni, delle attese e delle delusioni nel caso, purtroppo probabile, che questi programmi non abbiano seguito.
Che cosa pensano i liberali sulle cause della crisi? I liberali dicono con molta franchezza che vi è una causa centrale della crisi: l'inflazione: a questa e solo a questa si deve riconoscere la responsabilità dello stato di disagio in cui si trova il Paese. Certo, concorrono anche altri fatti altri fattori, altre distorsioni, altri errori commessi, ma tutti questi confluiscono nell'inflazione. Nessuna economia industriale (e la nostra è un'economia industriale) che voglia avere il suo presente e il suo futuro non in termini di autarchia, ma in termini di competizione sui mercati internazionali, può permettersi di avere per anni un tasso di inflazione doppio rispetto a quello dei paesi concorrenti. E dobbiamo essere convinti che dalla crisi si uscirà, come sistema e quindi come singole aziende, solo se sapremo rientrare dall'inflazione.
Vi sono due gruppi di problemi: il raccordo all'azione del Governo centrale e il completamento della diagnosi politica che qui, in questa sede, la Giunta ci ha proposto per il settore della crisi industriale.
Raccordo all'azione del Governo centrale. Siamo convinti che di fronte alla gravità dei problemi piemontesi nessuno cavalchi la diversità di collocazione politica a Roma ed a Torino, per creare in Torino problemi per Roma. In questa sede il P.L.I. esprimerà con forza il consenso di fondo al disegno che guida le azioni di questo Governo. E' il primo governo, e non a caso è un governo a direzione laica, che ha avuto il coraggio di mettere sul tappeto, davanti alle forze economiche, alle parti sociali ed ai singoli cittadini, che battere l'inflazione è obiettivo centrale per il risanamento del Paese. Il Governo afferma anche, con forza, che dall'inflazione si rientra se si verificano due condizioni: il contenimento della spesa pubblica e l'allineamento sulle posizioni europee per i meccanismi che aggiornano il costo del lavoro.
Ma questo consenso al disegno di fondo che esprimo in questa sede non appiattisce la posizione del P.L.I. nei riguardi del Governo. Siamo in allarme per ritardi che, malgrado la volontà, questo Governo sta incontrando nello sviluppare il programma concordato. Siamo in allarme perché sul versante della spesa pubblica sembra che, ancora una volta sotto la spinta delle corporazioni e delle categorie organizzate, più che contenere la spesa pubblica si manovri per aumentare le tasse.
Noi porremo con forza, a livello centrale, il nostro dissenso per ribadire che questo Governo non è nato per aumentare le tasse: chi le paga e la caccia all'evasione è un problema di altra natura, che ci vede concordi e impegnati - ne paga già troppe, in cambio di quello che ottiene dallo Stato. Bisogna invece abbattere i parassitismi e gli sprechi, che ci sono a tutti i livelli, centrale e locale.
Tarda inoltre ad emergere una nuova politica per l'industria e la difformità di comportamento dell'Italia rispetto agli altri paesi europei pone la nostra industria in gravi difficoltà. Non si può imputare ai lavoratori della Fiat un loro maggiore assenteismo rispetto ai lavoratori d'Europa: imputare ai progettisti della Fiat una loro minore capacità di invenzione rispetto a quelli della Volswagen; non si può imputare ai dirigenti della Fiat una loro minore managerialità rispetto a quella di altri dirigenti di industrie in altri Paesi, se contemporaneamente non si imputa ai nostri governatori l'incapacità di formare leggi per il sostegno del settore industriale che mettano alla pari la nostra industria con i concorrenti europei.
E' certo che da parte del P.L.I. vi sarà qualche segno di insofferenza per i ritardi. Con questo spirito prendo l'impegno di informare immediatamente i nostri parlamentari sui dati della crisi del Piemonte perché assumano iniziative non specifiche e particolari, ma di ordine generale.
In ultimo sembra al P.L.I. che la diagnosi che la Regione sviluppa sui motivi della crisi manchi di coraggio politico. La Giunta parli anche del problema del costo del lavoro, parli del problema della riforma del collocamento, parli della necessità di modificare le norme che allontanano l'Italia dai concorrenti. La Giunta completi la rassegna sulle cause particolari della crisi con questi elementi generali che non sono irrilevanti.
Se questa Regione saprà sviluppare queste diagnosi complete e saprà premere sul livello centrale perché i nodi di fondo vengano sciolti, vi è speranza per un domani diverso per le nostre industrie. Questo domani diverso non è certo garantito dalle iniziative, utili ma di basso respiro che possiamo assumere a livello regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Il dibattito si sta sviluppando in modo estremamente interessante e siccome devono intervenire ancora i Consiglieri Guasso, Alasia, Brizio Vetrino ed altri sarebbe opportuno rinviarlo a oggi pomeriggio



PRESIDENTE

Se non vi sono dichiarazioni, io sono d'accordo.
La seduta è tolta.
I lavori riprenderanno alle ore 15.



(La seduta ha termine alle ore 13,10)



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