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Dettaglio seduta n.73 del 23/07/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO


Argomento: Industria (anche piccola e media)

Proposte della Giunta regionale per una politica industriale (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prosegue il dibattito su "Proposte della Giunta regionale per una politica industriale".
La parola al Consigliere Alasia.



ALASIA Giovanni

Il quadro che l'Assessore Sanlorenzo ci ha prospettato sulla crisi industriale è un quadro soprattutto preoccupante per la qualità della crisi e per la sua complessità. Noi abbiamo coscienza che non si tratta solo e in ogni caso di stagnazione. E' in atto un complesso di processi di ricomposizione e di assestamento a nuovi livelli, di ristrutturazioni, di riconversioni, di caduta di alcuni settori e di nascita di nuovi. Vi è, per esempio, l'esigenza di un rapporto fra i settori merceologici della fibra e della chimica; vi è l'esigenza del rapporto fra il primario, il secondario e il terziario i cui connotati e le cui definizioni tradizionali mutano rapidamente. Tutta questa trasformazione interviene in uno scenario mondiale.
Signori Consiglieri, se non vogliamo cercare il fuscello di paglia e non vedere il bosco, ci dobbiamo interrogare sul modo in cui l'economia industriale italiana attraversa questa fase. La attraversa nella stagnazione e nel perpetuarsi di regimi assistenzialistici o l'attraversa con innovazioni nella ricerca, nella progettazione, nel "nuovo prodotto" che il mercato richiede? In questo quadro come si riqualifica la nostra occupazione? Abbiamo detto che non si può galleggiare nella crisi. La nostra economia industriale deve sapere che rischia di essere sempre più sospinta ai margini di un processo internazionale fortemente caratterizzato da innovazioni tecnologiche produttive soprattutto nel campo dell'auto, della chimica e dell'elettronica. Per quanto riguarda l'auto è fuori di dubbio che reggeremo ad una enorme pressione mondiale che ha fatto investimenti giganteschi cambiando piani di azienda e interventi pubblici se andremo al rinnovo del prodotto e non alla semplice ristilizzazione. Lasciamo stare la storia dello statalismo. Di questo non si tratta, non credo che gli Stati Uniti d'America siano campioni di programmazione centralizzata alla Sovietica. E' singolare e preoccupante la dichiarazione che avrebbe fatto il Sen. Marcora all'Assessore Sanlorenzo secondo la quale dopo quattro anni, dopo un anno e mezzo dalla relazione Prodi, dopo 8/9 mesi dalla relazione Barattieri, mancherebbero i finanziamenti per applicare la deliberazione del Cipi. Quindi - ha aggiunto il Ministro - il problema non è più del Ministro, ma è del Governo nel complesso. Teniamo presente che nel Cipi ci sono 6 Ministri. Nel campo della chimica basterebbe confrontare la mole degli investimenti per la ricerca fatti su scala mondiale con i nostri investimenti e impallidiremmo.
Elettronica civile. Noi del PCI siamo reduci da due convegni, l'uno organizzato a Caserta, l'altro a Pinerolo. L'altra settimana i tecnici della Indesit denunciavano il fatto che la produzione nazionale copre soltanto il 30% del mercato italiano, mentre il 70% è coperto da prodotti stranieri. Sulla nostra proposta di costituzione di un consorzio, come ha detto il Vice Presidente Sanlorenzo ieri in una intervista, si apre uno spiraglio con l'incontro annunciato per martedì con Barattieri e Marcora: è uno spiraglio che abbiamo accolto positivamente, ma non è ancora una risposta.
In sostanza questi rapidi cenni ci dicono la qualità dei problemi e della crisi e ci dicono che nessuna situazione è superabile se non si combina un programma di aziende di gruppo con intervento pubblico variamente articolato che offra un quadro di riferimento e di sostegno della politica di settore: la legge 675, nell'intenzione del legislatore era nata per questo. Quando discutevamo in Consiglio i progetti della Giunta, manifestammo la nostra insofferenza per il fatto che la Confindustria tende a ridurre la questione della politica industriale ad una questione retributiva, volendo far credere che la politica industriale sia in sostanza una sommatoria di razionalizzazioni di singole aziende e buttando a mare quello che in questi anni si è affermato, sia pure con limiti e con fatica, nella cultura industriale del Paese e degli altri Paesi.
Signori Consiglieri, vorrei essere inteso nel modo giusto su quanto sto per dire perché - se mi passate la battuta - ogni stagione ha la sua fiera come ogni malattia ha la sua panacea.
Siamo passati dal polverone sulla mobilità dell'autunno e dal polverone sul costo del lavoro in primavera ad una grande speranza: il prepensionamento. E' uno strumento che abbiamo voluto, ma se ad esso non si accompagna nel tempo lo sblocco del turn over e l'ingresso di nuove generazioni, il nostro sarà sempre più un Paese assistito dal momento che gli esuberi che ci presentano da ogni parte non sono congiunturali utilizzabili e finalizzati alla ripresa, ma permanenti. Non vorrei che dopo i polveroni di autunno e di primavera si aprisse il polverone sulla terziarizzazione. Non c'è in quello che dico nessuna ripulsa schematica della mobilità, del costo del lavoro, della terziarizzazione: sono problemi esistenti che vanno trattati seriamente. Il Piemonte forse è l'unica Regione italiana che ha trattato sui problemi della mobilità. Non rifiutiamo questi problemi, ma la loro riduzione di volta in volta a formule taumaturgiche, propagandistiche, avulse dal contesto generale. In autunno, quando ero preposto all'Assessorato al lavoro, avevo elaborato una lunga e argomentata nota sul tema della mobilità e - scusate l'immodestia credo che abbia lasciato un segno se da parte dei nostri oppositori e dei critici non ho avuto alcuna risposta organica.
Credo che dobbiamo essere grati all'Assessore Testa per il modo in cui ha impostato la questione del terziario, della sua espansione e della sua qualificazione; è un tema ricorrente in questi tempi.
L'approccio al problema del terziario parte dai problemi occupazionali e dalle preoccupazioni occupazionali laddove, a nostro giudizio, dovrebbe partire dalle esigenze del sistema produttivo e sociale. Sorgono non poche perplessità sulla sua ipotizzabile estensione e sulla sua qualità. Il problema merita una riflessione non sbrigativa, così come i giornali di queste settimane l'hanno trattato. L'ing. Frignani, in sede di I e IV Commissione, ha trattato correttamente il problema, ha rilevato la necessità dell'espansione, ha fatto raffronti con altre situazioni ed ha sottolineato la complessità del terziario del Piemonte sia al servizio dell'attività produttiva, sia al servizio delle famiglie.
L'Assessore Testa ci ha fornito un saggio con una abbondante esposizione di dati e di comparazioni, è uno scritto totalmente diverso da quelle notizie sbrigative che abbiamo visto in alcuni fogli.
Nel ragionamento dell'Assessore Testa c'è una considerazione di fondo sostanzialmente valida sul divario fra il nostro Paese e gli altri Paesi industrializzati e sul rilievo che lo sviluppo del terziario diventa vitale per la stessa industria e l'economia più in generale che non potrebbe superare una certa soglia occupazionale. Ne siamo convinti, ma questo non ci mette la coscienza a posto. Il problema va affrontato evitando di settorializzarlo rispetto agli altri. Se non si ha coscienza della natura della crisi, delle innovazioni che debbono essere introdotte, c'è il rischio che anch'esso sia visto come uno sfogo dell'occupazione e come dilatazione degli organici del pubblico impiego e dei pubblici servizi, già tanto generici e farraginosi. In questi giorni il prof. De Caro scriveva delle notizie interessanti: "Il terziario per la cultura italiana è un concetto fondamentalmente residuale" e soggiungeva che: "non c'è da stupirsi se su queste basi il concetto di terziarizzazione si è portato dietro più equivoci che chiarezze". Concludeva: "Qualcuno intende la terziarizzazione come riduzione dell'importanza di agricoltura e di industria come se domani dovessimo mangiare progetti al posto di pane e abitare in castelli di schede perforate". L'analisi è molto acuta.
Quando richiamiamo la centralità dell'agricoltura e dell'industria non vogliamo affatto dire che l'espansione e la qualificazione del terziario debbano meccanicamente derivare e conseguire da industria e agricoltura.
Pensiamo, al contrario, che la qualificazione del terziario possa costituire un importante fattore propulsivo per l'economia complessiva. Ma a questo punto, ritorna l'esigenza di un quadro di riferimento della politica industriale perché lo sviluppo del terziario, a nostro modo di vedere, regge e si qualifica se è nella logica dello sviluppo complessivo: un conto è un terziario nello sviluppo, diverso è il terziario nella crisi e nella stagnazione.
Ma che cos'è il terziario oggi? Che cos'è per esempio la terziarizzazione all'interno dell'industria? Che si possono creare servizi interni, che si possono creare servizi esterni, che si possono creare sistemi misti (la legge sulla formazione professionale prevede la possibilità di convenzione)? c'é un terziario che ha un carattere produttivo? Ho posto al compagno Testa un quesito: i dati forniti per il Piemonte sono comprensivi della cosiddetta terziarizzazione interna oppure questa è conglobata nell'industria? Cos'è un centro di ricerca? Qual è lo stato del terziario superiore oggi? In che rapporto sta con l'industria? Il Centro ricerca Fiat è sempre più dequalificato, l'attività è parcellizzata per commesse e non per obiettivi precisi. Gli occupati sono scesi dai 1780 nel 1976 ai 1000 nel 1980 ed è prevista una ulteriore riduzione di 150 dipendenti. Non ci convince il discorso dell'ing. Magnaboschi in ordine al decentramento nelle altre sezioni. E' da questo pulpito che ci viene la predica del terziario e la promessa di un terziario superiore? Cosa succede al Centro di Castellanza della Montedison che da un anno non si discute delle proposte avanzate dai tecnici? La pressante richiesta dei grandi Gruppi è volta ai finanziamenti pubblici per la ricerca sul- fondo innovazione tecnologica e non sul fondo IMI, perché si vogliono evitare vincoli e finalizzazioni.
Mi pareva necessario porre queste questioni, che non sono avulse da altre, ma che bisogna considerare in una visione generale per spiegare il nostro giudizio sulle proposte che l'Assessore al lavoro ha avanzato il 9 luglio sui singoli punti di crisi.
Indesit. La Giunta con tempestività il 24 giugno, ha convocato aziende organizzazioni sindacali, Regioni interessate al progetto consorzio Indesit, Voxon, Emerson. Il PCI ha tenuto due convegni, uno a Caserta e l'altro a Pinerolo, la nostra è una posizione meditata. Devo dare atto che la DC, il PDUP, il PSI e il nostro Partito hanno già sottoscritto nel Convegno a Pinerolo proposte, considerazioni e richieste precise.
Rimarco rapidamente: 1) nell'elettronica di consumo, come sostengono anche i tecnici, non è possibile nessuna singola soluzione né dell'Indesit, né della Voxon, n dell'Emerson. Ho già ricordato che le aziende estere coprono il 70% del mercato italiano e hanno realizzato accordi di cartello 2) la forma consortile è prevista esplicitamente dal piano finalizzato che dice: "è auspicabile che emergano dal tessuto italiano una o più aziende che possano impostare autonomamente o con meccanismi consortili una efficace politica". Quindi non è una richiesta di parte 3) la questione della GEPI si pone solo in quest'ottica come integrazione produttiva con la ELCI, per evitare presenze assistenziali alle quali la GEPI ci ha abituato.
Infine, la Regione ha dichiarato la propria disponibilità per la parte formativa alla Indesit. La questione è rilevante per l'aspetto formativo ma lo è anche ai fini della definizione dei programmi produttivi quindi dell'organizzazione del lavoro, del rapporto fra qualifiche e mansioni degli organici e dell'occupazione. Anche qui vale la regola che per attivare il nostro impegno, vi debbano essere impegni corrispondenti delle parti. La Regione entro il 15 settembre deve inoltrare la prenotazione a Bruxelles per il primo semestre del 1982. Se si perde questa battuta, si perderà un altro anno, mentre a Bruxelles hanno già preannunciato i tagli sulla prenotazione che la Giunta ha fatto per i cento tecnici. L'intera questione deve essere esaminata tempestivamente tra le parti per non ripetere le esperienze rocambolesche FIAT dell'ottobre scorso.
Voglio infine raccomandare alla Giunta la situazione delle aziende fornitrici.
Nell'area campana sono 600 le aziende dell'indotto interessate. C'è la possibilità di un concordato (ho parlato con il prof. Treves e ho sentito le parti) che sarebbe un fatto importante di normalizzazione.
Questa mattina il Consigliere Gastaldi ha parlato di società di leasing, sia immobiliari che per macchinari, nell'ambito delle aziende minori, che credo si possa promuovere coinvolgendo la Finpiemonte e le banche così come già sta avvenendo nella Regione Lazio.
Sulla Fiat credo che il documento della I e IV Commissione, dopo l'incontro con la Fiat e la Federpiemonte, rappresenti il giudizio più meditato e preciso che sia stato dato. Noi lo sottoscriviamo totalmente e aggiungo: la deliberazione Cipi fissa criteri per accedere al sostegno del piano e chiede alle aziende la presentazione dei "progetti aziendali e dei programmi pluriennali." La Fiat ha dichiarato di essere interessata al fondo innovazione mentre non lo sarebbe per il fondo IMI. E' una questione di non poco conto perché fin dall'ottobre scorso il dott. Romiti aveva espresso l'orientamento di utilizzare quegli strumenti che comportano meno vincoli e condizioni. Qualunque siano le forme di accesso al piano di settore (oggi difficili in assenza di un piano aziendale), pensiamo che debbano valere controlli, condizioni pubbliche. La deliberazione Cipi ne richiama tre: occupazione, saldo attivo della bilancia commerciale e modelli che siano sostanzialmente nuovi. Questo vale tanto più quando lo stato della ricerca è quello che ricordavo.
Queste sono le vere questioni e non tanto la vecchia disputa, cari colleghi e caro Viglione, sulla diversificazione E' una questione vecchia perché già nell'esercizio del 1978 la Fiat dichiarava (e non a caso mi riferisco a quel documento) che, su un fatturato di 15 mila miliardi l'auto rappresentava circa un terzo (5,7): la Fiat è un complesso automobilistico molto diversificato sul piano mondiale. Allora non andiamo alla ricerca di farfalle sotto l'arco di Tito! Abbiamo dato un giudizio positivo all'accordo sindacale e l'abbiamo sottoscritto e poiché contiamo in fabbrica e nel sindacato e siamo tra le forze che più si sono impegnata per conseguire l'accordo e l'abbiamo caldeggiato nelle consultazioni, lo vogliamo veramente realizzare. Questo sia detto con chiarezza a chi vorrebbe dipingerci come barricadieri nel sindacato.
Sarebbe irresponsabile nasconderci che L'assenza di una adeguata legislazione in materia di mobilità, di occupazione e di collocamento (blocco della legge 760), comporterà seri problemi per l'applicazione dell'accordo. Questo lo ha detto il dott. Scollica a me personalmente all'Unione Industriale e alla Giunta. Ecco perché riteniamo che i previsti rientri dei lavoratori Fiat, la prevista mobilità esterna, il circuito dei 7500 debbano impegnare tutti seriamente. La Regione può essere impegnata (e nel documento presentato dalla Giunta, questo c'è) per attivare il circuito di mobilità e per la formazione professionale. A tutt'oggi le cose stanno in questi termini.
Per la mobilità esterna la Federpiemonte, a compimento delle indagini sulla domanda, si è impegnata a fornire valutazioni che potrebbero orientare la formazione professionale per parte nostra e dovrebbero garantire lo sbocco occupazionale. Diamo un giudizio positivo a questo atteggiamento e a questa disponibilità, chiediamo, però, che venga seriamente programmata per fasce di qualifiche e di mansioni e per ambiti territoriali affinché la Regione possa attivare la formazione professionale. Potrebbe essere questa l'occasione che Sanlorenzo richiamava nel documento, per realizzare quella esperienza di mobilità "non simulata ma concreta".
La Fiat ha dichiarato che per i previsti rientri non prevede per ora esigenze formative. Va da sé, dunque, che la Regione non potrà ripetere l'esperienza dei corsi monografici e deve ribadire che ogni eventuale attività formativa deve essere finalizzata. Va da sé che si devono accertare le disponibilità finanziarie premesse nel mese di ottobre dall'allora Ministro Foschi.
In conclusione, l'accordo va gestito attivamente, va gestito il più produttivamente possibile, non in forme assistenziali, sapendo che se non ci sarà la mobilità per qualifiche adeguate nel 1983, in base all'accordo ci dovranno essere i rientri in Fiat ed allora si sarà fatto un bel lavoro di ipocrisia assistenziale a spese della collettività! Olivetti. Diffusione delle tecniche informatiche (ricordo il duplice aspetto della questione: da una parte la riforma della pubblica amministrazione, dall'altra la committenza sull'industria). L'Assessore Rivalta rispondendo il 16 luglio ad una interrogazione sul CSI sottolineava la necessità di definire progetti coordinati attraverso cui sviluppare una domanda pubblica ordinata nei riguardi del comparto industriale. Questa questione rasenta lo scandalo. Dal dicembre 1979, dal momento dell'accordo Olivetti-Governo-Sindacati la questione del coordinamento si trascina da un Ministero all'altro, da un Governo all'altro: il Min. Foschi mi disse il 21 dicembre 1980, un anno dopo, che avevo ragione, ma che dovevo dirlo al Ministro La Malfa. Ministro mi rispose che era un problema di riforma e che competeva al Ministro del bilancio, sta di fatto che a marzo del 1981, 15 mesi dopo, siamo andati a ripetere tale e quale l'accordo del 1979.
Propongo di chiedere ai Ministri del bilancio, dell'Industria e del Lavoro di programmare, e di calendarizzare un lavoro sistematico sulla diffusione delle tecniche informatiche.
La legge 442 ha consentito alle Regioni di esprimere un parere. La Regione lo ha fatto puntualmente il 26 maggio. I Gruppi parlamentari comunisti hanno sostenuto la necessità di scioglimento della Gepi, ma questo non contraddice la sottolineata rivendicazione che la Gepi nelle situazioni in cui è presente assolva al suo mandato istituzionale di passare alla privatizzazione.
Verbano, Cusio-Ossola. Signori Consiglieri, ho ascoltato attentamente ciò che è stato detto in quest'aula e mi sono letto i documenti, uno dei quali è del 4 giugno, votato unanimemente dopo la presentazione di una nostra interrogazione. Abbiamo una lunga analisi della Commissione interministeriale che contiene importanti indicazioni. Abbiamo il documento del Comprensorio del 7 luglio che è preciso anche rispetto all'iter operativo. I processi reali però stanno andando in ben altra direzione. I documenti sono importanti, ma sono importanti anche i processi in atto.
Purtroppo di documenti si vive e si muore in questo Paese.
Sul piano operativo ci debbono essere da parte della Giunta due linee parallele e concomitanti: la verifica a livello di governo e non di singoli Ministeri per evitare quei palleggiamenti che in queste situazioni si determinano la diretta iniziativa della Regione sui singoli punti, per esempio per la Pietra. Occorre un rapporto con la Regione Lombardia per verificare quali possibilità ci sono presso l'Istituto San Paolo di Brescia. Per la Fibra di Pallanza bisogna verificare l'annunciata razionalizzazione delle fibre per vedere che cosa significa l'impegno nel poliesteri.
Mi pare di poter dire con coscienza tranquilla che di fronte ad una situazione tanto difficile e tanto complessa sono venute dalla Regione e dalla Giunta, idee, proposte, prese di posizione e pareri per quanto di competenza. Sono venuti disponibilità, atti concreti anche con uno sforzo originale che va al di là dei compiti di istituto.
E' difficile dire il contrario da qualsiasi parte. Vorremmo che questo sforzo trovasse analoga e coerente rispondenza da parte del governo e degli imprenditori, in quel caso questo sforzo avrà dei risultati.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Il dibattito sulla situazione dell'industria ci porta fatalmente alla situazione economica generale. E' un tema ricorrente perché la situazione economica si sta aggravando e la situazione produttiva si sta appesantendo.
Siamo in presenza di una crisi industriale di larga portata che tocca particolarmente la nostra Regione.
I palleggiamenti, le diversificazioni di atteggiamento nell'ambito della maggioranza della fine del 1980 sulla consistenza della crisi sono superati dai fatti.
Certo nessuno ha una ricetta: gli approcci sono diversi. Abbiamo notato anche oggi nell'ambito della maggioranza approcci e toni diversi fra l'intervento di Alasia e quello di Viglione. C'è una crisi mondiale le cui cause sono note, la cui gravità è ripresa anche dalle discussioni di Ottawa di questi giorni. C'è una specificità italiana che rende la crisi ancora più grave in un Paese trasformatore che ha portato avanti una conflittualità estremamente pesante. Non so se si può parlare di "incultura degli anni '70", come scrive Ferroni su "Il Sole - 24 ore", di questa mattina in un articolo, che può essere discutibile, ma che ha un titolo profondamente ammonitore; "rischio di eclissi per l'industria". Tuttavia l'Italia rimane fra i primi 7 paesi industriali dell'Occidente, fra i primi 10 del mondo, questo significa che il nostro Paese ha raggiunto dei traguardi significativi ed importanti. Si tratta di non perderli, si tratta di saper affrontare la fase nuova per l'industria, una fase in cui i processi produttivi e le strutture industriali si modificano, le tecnologie di processo mutano. Si tratta di uscire dalla crisi, certo, non con l'assistenzialismo.
Facciamo alcune considerazioni di carattere generale sulla linea politica della DC.
Il Piemonte è una Regione industriale, con il 49% degli occupati nell'industria contro il 37% delle altre regioni, con un tasso di occupazione del 5%, superiore alla media, e con una tradizione industriale significativa.
Nella storia del Piemonte scritta da Castronovo si legge che dal censimento degli opifici del 1911 risultava che il Piemonte aveva 342 mila occupati, era il momento in cui l'auto stava nascendo, era l'anno dell'Esposizione internazionale. Questa crisi, quindi, colpisce principalmente il Piemonte. Occorre innanzitutto ricreare le condizioni perché l'attività industriale possa rilanciarsi nel Paese. Questo tema lo possiamo trattare nel momento in cui ci rivolgiamo al Governo formulando proposte e dando indicazioni. Il primo punto è il contenimento dell'inflazione. Se non riusciamo a frenare il differenziale di inflazione la nostra industria non avrà la capacità di essere competitiva. Il contenimento della spesa pubblica è un discorso importantissimo ai fini del contenimento dell'inflazione. La spesa pubblica ha una rigidità di fondo che influisce sul costo del personale. Il Governo propone di questi giorni uno slittamento delle spese all'anno successivo: sui novemila miliardi di tagli, 1700 riguardano tagli effettivi e il residuo riguarda la proiezione delle spese al futuro. Siamo di fronte ad una spesa profondamente rigida: la spesa pubblica non è facilmente riducibile eppure occorre ridurla perché senza un intervento sulla spesa il differenziale di inflazione non decresce. C'è il problema del costo del lavoro. Non si tratta di fare dei polveroni, consigliere Alasia, la struttura del costo del lavoro va affrontata con serietà e con rigore; certo, spesa pubblica e costo del lavoro sono fattori che coincidono e che pesano sull'inflazione in modo intollerabile impedendo che si creino le premesse per la ripresa industriale del Paese e della Regione. Occorre realismo contrattuale da parte delle parti sociali e del sindacato. Il dibattito sindacale di questi giorni verte su questi temi. Alcune organizzazioni sindacali puntano su una contrattualità che dia dei risultati compatibili con lo sviluppo del sistema, che permetta nuovamente la formazione dell'accumulazione. Se le imprese non riprenderanno ad accumulare risorse non potranno essere ricapitalizzate, e non potranno avere mezzi per il rilancio della produzione. Occorre creare le condizioni perché il capitale di rischio, di cui parlava il Consigliere Alasia, torni alle imprese. Né possiamo scaricare tutte le colpe sulle banche. Alle banche si chiede di fare affidamenti alle imprese, si chiede di sostenere la borsa e di comperare le azioni che stanno crollando, in sostanza si attaccano le banche perché sono ancora in parte in mano alla DC (leggendo il riparto degli incarichi si pu valutare qual è il peso del Partito socialista nella conduzione del sistema creditizio italiano). Gli utili delle banche si ottengono soltanto con la differenza fra i tassi di raccolta e i tassi di erogazione, quindi gli Istituti di credito hanno tutto l'interesse, con le dovute garanzie, ad ampliare la loro attività. La formazione delle riserve non preclude la concessione di maggiori mezzi finanziari, semmai è un elemento che consente al sistema creditizio di avere delle disponibilità maggiori, purch naturalmente ci siano le condizioni per poter operare.
Il risparmio non si forma in un clima di inflazione oppure si indirizza verso forme più complesse di tesaurizzazione che non sono quelle produttive e verso altre vie che non alimentano lo sviluppo del Paese.
Nel 1980 il risparmio postale ha raggiunto nel primo semestre un incremento di oltre 1100 miliardi, nel 1981 siamo a 422 miliardi. Il risparmio pertanto non va verso forme che consentono l'intermediazione bancaria da parte degli istituti pubblici, sicché bisogna arrivare anche all'indicizzazione del risparmio postale, per far si che la Cassa Depositi e Prestiti non sia quanto prima bloccata nell'erogazione dei fondi. Certo occorre puntare all'economicità e quindi ad un ridimensionamento dell'assistenzialismo. Occorre arrivare alla collaborazione fra l'area pubblica e quella privata dell'industria. E' di questi giorni un accordo importante tra la Fiat e l'Iri; è in corso un'ipotesi di riprivatizzazione della Montedison: in sostanza è diverso il clima nei rapporti fra industria pubblica e industria privata, è un clima di collaborazione sul piano operativo industriale positivo che potrà farci uscire dalla crisi. Quanto avvenne non contraddice l'uscita dell'industria a partecipazione statale della Confindustria né la costituzione nel 1957 (in un altro clima) del Ministero delle partecipazioni statali e tutta l'azione di sostegno che l'industria pubblica ha esercitato per lo sviluppo del Paese, ma si colloca in un clima in cui tutte le risorse nazionali devono operare in collaborazione intensa per l'uscita dalla crisi perché le imprese ottengano lo spazio vitale necessario. Qualcuno ha detto che la DC riscopre il mercato e su questa linea indirizza la sua proposta di politica industriale.
Certamente, la DC come forza politica ha sempre considerato l'importanza del mercato e oggi lo considera punto di riferimento ancora essenziale, al quale, una comunità europea, che fa della libertà economica uno dei modi di essere e uno degli scopi della sua azione, deve guardare.
Per tutta l'industria deve vigere la regola che la vittoria del migliore costituisce in linea generale la migliore soluzione per il Paese.
(interruzione di Bastianini: sembri un liberale) Forse sembro un liberale ma sempre un po' meno di Viglione.
Per ciò che attiene specificatamente alle proposte di carattere legislativo contenute nel documento, possiamo in parte condividerle con qualche precisazione. La revisione del decreto 285 è un fatto importante ma non possiamo dire, come è stato detto stamattina, che esso ha bloccato il credito agevolato. Il credito agevolato era già bloccato; la mini riforma con il decreto 285 ha cercato di sbloccarlo avviando una soluzione che in fondo era stata richiesta anche dalla Banca d'Italia e dagli organi istituzionali, cioè lo sganciamento dei contributi del mutuo, cioè lo svincolo del contributo all'azienda dalla concessione del mutuo. Questo poteva avere una sua validità. Peraltro in un clima come questo ha delle grosse difficoltà. Le notizie di oggi sono che il 285 non sarà convertito probabilmente la mini riforma non si farà, ma questo non è che acceleri la ripresa dei mutui, perché il blocco dei mutuo è causato soprattutto dal tasso di riferimento. Ci sono solo due ipotesi. Il tasso di riferimento fisso lo si deve alzare notevolmente senza di che non c'è denaro da poter concedere all'azienda: o si punta sul tasso di riferimento variabile di fronte a tassi che si stanno aggiustando continuamente e naturalmente i costi per il tesoro divengono pesanti; in questo secondo caso il prezzo del rilancio del credito agevolato è un maggior costo, un maggior disavanzo pubblico. Quindi quello che si ottiene da una parte lo si perde dall'altra avendo presente che con tassi così elevati è la propensione dell'operatore economico ad indebitarsi a medio termine che si riduce fortemente.
L'operatore economico accetta il tasso elevato per l'operazione a breve mentre non accetta il tasso elevato per l'operazione a lungo perché lo valuta un rischio troppo pesante nella presunzione ottimistica di una flessione futura del tasso di inflazione. Quindi la via per sbloccare il credito agevolato non è così facile, La Commissione parlamentare ne sta discutendo ma non ha trovato ancora un'indicazione che consenta una rapida uscita su questo terreno. A mio avviso, occorre alzare il tasso di riferimento o renderlo variabile con tutti i rischi che ciò comporta.
Naturalmente è necessario il riesame della legge 675 e il suo rifinanziamento. Ci sta bene che venga portato avanti il disegno di legge sul risparmio energetico, naturalmente, con alcune indicazioni sulla politica dell'impiego.
Rivolgendosi al Governo, riteniamo che si debbano chiedere almeno tre provvedimenti: - l'approvazione della legge Visentini/bis di ricapitalizzazione delle imprese. E' una ricapitalizzazione nominalistica ma che ha i suoi vantaggi nella detassazione per le imprese nell'impossibilità di aumentare le quote di ammortamento, nella ricapitalizzazione sostanziale dell'attivo delle imprese e quindi nei benefici fiscali che ne conseguono. Si tratta di un provvedimento che di fronte all'inflazione è urgente, è importante e che in una regione industriale come la nostra avrebbe certamente positivi risultati la conversione in legge del decreto sull'esportazione, che scade il 28 giugno e che stanzia 2900 miliardi in 5 anni, in base alla legge Ossola.
Anche questo è un provvedimento che ha il suo peso per il rilancio industriale la legge sui fondi comuni di investimento che porta avanti la linea del ritorno dei capitali e del risparmio al capitale di rischio delle industrie. Esige delle detassazioni, ma su questo punto ci vuole coraggio.
Se per portare avanti la produzione occorrono mezzi finanziari, se questi mezzi finanziari devono essere convogliati verso l'industria, poich sono in gran parte risparmio dei cittadini, è opportuno offrano delle garanzie ed un allettamento perché il processo possa essere avviato.
Infine, sarebbe stato giusto aggiungere nelle richieste anche un accenno al piano energetico, proprio per gli impegni che in certa misura ci toccano direttamente.
Il Consigliere Alasia ha fatto un ampio cenno ai singoli casi nei quali è stato richiesto l'intervento del Governo a fronte di impegni da rispettare. E' il caso della Olivetti. Sono passati due anni, gli impegni non sono stati concretizzati e il discorso deve essere in qualche modo concluso. E' un discorso complesso. La committenza non può essere scissa dalla razionalità dell'intervento. Quando si impostò, il discorso dei registratori di cassa, non era maturo a livello di pubblica amministrazione. Non si tratta di scarico di responsabilità. Il problema riguarda fondamentalmente i Ministeri del Bilancio e delle Finanze e a quei livelli deve essere risolto perché ha delle ripercussioni sulla politica fiscale. Non possiamo creare della committenza artificiale: se la pubblica amministrazione non è pronta a emanare i provvedimenti si crea soltanto dell'assistenzialismo. Ci siamo schierati sulla linea del sostegno del Consorzio Voxon-Indesit Emerson. Anche in questo caso il problema è complesso sotto il profilo giuridico. Due aziende su tre sono in amministrazione controllata e l'altra ha definito un concordato preventivo: ci troviamo di fronte quindi ad una situazione preassistenziale. Dobbiamo verificare attentamente le prospettive del consorzio perché molti piani sono stesi in buona fede, talvolta vengono elaborati per l'assolvimento di compiti, ma poi la loro reale capacità di passare dalla fase della programmazione alla fase della realizzazione è pressoché inesistente.
Il Consigliere Viglione diceva che in Piemonte non ci sono presenze massicce di aziende pubbliche. D'accordo, però abbiamo avuto largamente bisogno di interventi di salvataggio. Siamo attenti e realisti perch parecchi settori maturi della nostra industria hanno subito, di fronte alla crisi industriale, delle scosse pesanti, soprattutto quelli nei quali è presente l'occupazione femminile. Per ciò che riguarda la Gepi occorre richiamare all'impegno le attività sostitutive che sono previste dalla legge 440 in quelle aziende in cui ancora è aperta la vertenza.
Situazione Fiat. Per anni la Fiat è stata il motore dello sviluppo industriale del Piemonte, la sua consistenza è elemento centrale anche per i collegamenti con la componentistica, quindi l'immagine dell'azienda quasi si identifica con l'industria piemontese.
Il piano auto deve essere portato avanti. Ne siamo stati convinti sin dall'inizio. Anche in questa sede abbiamo cercato di far sì che non venissero frapposti indugi e perdite di tempo nella realizzazione e nella concretizzazione di questo importante strumento. E' un piano-quadro approvato sul quale bisogna andare avanti con i provvedimenti successivi.
Diciamo sì al fondo di innovazione tecnologica, naturalmente finanziato. Il problema del reperimento dei fondi può essere superato, come è stato superato il problema del fondo di ricerca. Non ci sono dubbi.
Il problema è un altro. Il fondo di innovazione tecnologica deve essere utilizzato per quello che è, per l'innovazione tecnologica. Le dichiarazioni che ha fatto pubblicamente alla Stampa il Min. Marcora in questi giorni costituiscono la migliore garanzia che la DC e che il Governo vogliono: l'utilizzazione di questi fondi soprattutto in chiave produttiva e non certo come assistenzialismo. La Fiat è impegnata a presentare i piani, ha detto però, per obiettività, che li presenterà al momento in cui il provvedimento sarà concretato. Noi riteniamo che questo impegno sarà mantenuto, anche perché diversamente i mezzi finanziari non potranno essere facilmente erogati.
In ordine alla razionalizzazione della componentistica, ripresa dalla delibera Cipi allegata alla relazione Sanlorenzo, che prevede la formazione di un comitato di promozione, concordiamo pienamente nella richiesta di partecipazione della Regione Piemonte anche per il collegamento con uno dei progetti. Il problema della Fiat è un problema di rilancio dell'industria.
Forse dobbiamo avere il coraggio di finanziare questa azienda anche di più di quello che è stato previsto, naturalmente nella misura in cui ci siano delle indicazioni chiare sull'utilizzazione dei fondi: che i fondi vengano utilizzati effettivamente per l'innovazione tecnologica.
Parallelamente c'è il capitolo dell'accordo Fiat che contiene due elementi sostanziali: l'ipotesi produttiva e la mobilità. La Fiat in sede di I e IV Commissione ha dichiarato che l'accordo parte dall'ipotesi che nel 1982 e nel 1983 l'azienda produca un milione e 200 mila autovetture.
Dobbiamo pensare attentamente alle eventuali conseguenze ove dovesse verificarsi un'ipotesi diversa. Quindi tutti hanno interesse, non solo la Regione Piemonte, a collaborare al massimo affinché sul piano dell'innovazione quell'obiettivo possa essere raggiunto.
Dietro questa ipotesi c'è il problema occupazionale, c'è il problema centrale della mobilità.
Noi sin dall'inizio, abbiamo sostenuto che si doveva giungere ad accettare la mobilità esterna, per consentire la flessibilità aziendale e che occorreva puntare all'accordo con un approccio diverso. Nel predisporre il documento del mese di ottobre scorso ci siamo divisi in quest'aula solo su questo punto, non per voler ridurre i posti di lavoro, ma perché avevamo chiara e ben presente la necessità di rimettere in movimento il mercato del lavoro e la necessità di non appesantire l'azienda che, se vuole essere sana, se non vuole godere di solo assistenzialismo, non può caricarsi indefinitivamente di oneri che non le competono. Siamo arrivati ad un accordo che, in certa misura, abbiamo prefigurato, di cui vediamo gli aspetti positivi e gli aspetti negativi, perché per salvare il principio del rientro, che noi condividiamo, di una parte dei lavoratori si è pagato credo un prezzo notevole sul piano occupazionale, prezzo che continuerà ad essere pagato. I documenti della FLM e dell'azienda indicano un turn-over del 3% nel 1981 e del 1,5 %nel 1982 e nel 1983. A questi posti si accompagnerà l'uscita del turn-over quindi ci sarà realisticamente una caduta di occupazione abbastanza pesante.
Se l'occupazione industriale diminuisce occorrerà pensare a delle ipotesi alternative in Piemonte. Possiamo valutare positivamente l'accordo però esso apre problemi di gestione delle liste di collocamento abbinate per la mobilità. La richiesta della legge 760 fu depennata (col nostro dissenso) a suo tempo dal documento della Fiat perché ritenuta non necessaria, oggi invece tutti vorremmo che la garanzia della normativa della legge 760 fosse presente per gestire le liste di collocamento.
Gli interventi diretti della Regione sono limitati anche se la Regione cerca di fare la sua parte e abbiamo sempre visto impegnata la Regione nei casi di crisi. Sotto questo profilo, non vorrei che il decentramento delle vertenze portato avanti dall'Assessore Sanlorenzo, potesse creare degli equivoci e far pensare alla abdicazione ad un certo ruolo. Bisogna evitare che ciò succeda nel concreto. I Comuni, gli Enti locali hanno sempre avuto il primo impatto con la crisi industriale e con le vertenze e non sono mai sfuggiti a questo compiti e quindi è necessario che la Regione operi in stretta collaborazione con gli Enti locali senza che si abbia la sensazione di un possibile decentramento.
Sulla mobilità si sono fatti degli accordi, però la gestione di una lista così massiccia come sarà quella che uscirà dalla Fiat, a latere dalla lista ordinaria di collocamento, in mancanza di una legislazione nazionale porrà dei grossi problemi per cui credo che l'esperimento di mobilità da posto a posto debba essere attentamente valutato anche nella consistenza numerica se non vogliamo esporci con questo esperimento ad un risultato negativo pregiudizievole poi per ulteriori interventi.
Farò un accenno ancora alla legge 240. E' una legge di straordinaria importanza e di grosso peso. E' recentissima e prevede i consorzi fra imprese e consorzi misti soprattutto per la piccola e media azienda. E' un provvedimento che deve essere pubblicizzato. Gli artt. 17 e 18 danno alle Regioni uno spazio rilevante (anticipazione fino al 30%nel finanziamento delle opere previste dai consorzi misti): si tratta di consorzi misti che riguardano la ricerca tecnologica, quindi vanno nella linea del rinnovamento del sistema industriale e anche del sistema della piccola e media industria. Sono interventi che vanno verso l'acquisto delle aree attrezzate. Riteniamo che la politica regionale industriale, per quella parte che l'art. 117 e la legislazione consente, debba essere organicamente inserita nel Piano di sviluppo regionale. E' una parte del Piano di sviluppo, è un segmento tutt'altro che secondario del Piano di sviluppo.
Come forza di opposizione abbiamo da tempo giudicato negativamente la scelta secondo cui questo sarebbe un anno di transizione. Il ritardo del Piano di sviluppo lo sentiamo particolarmente in questa fase di difficoltà perché ad esso è connesso un problema tutt'altro che secondario, quello del riequilibrio territoriale. Stiamo approvando gli schemi dei piani comprensoriali però manca quello di Torino. Il Vice Presidente Sanlorenzo sostiene nella sua introduzione che la crisi è a Torino, è nel Comprensorio di Torino che è il più industrializzato e il più compito, e ammette che non abbiamo strumenti di pianificazione urbanistica. Questo è un fatto politico molto grave. Anche dopo le elezioni del giugno scorso, malgrado la DC sia presente nel Comprensorio con oltre il 40% degli amministratori, si è voluto formare una maggioranza come quella che negli anni dal '75 all'80 non è riuscita ad approvare lo schema di piano territoriale e di coordinamento. Si è voluto fare un gioco di lottizzazione, anzi, di spartizione, per richiamare al titolo del famoso romanzo di Chiara, si è voluto riconfermare quella maggioranza nonostante che da parte nostra si fosse elaborato un documento che cercava di sciogliere sul terreno dei contenuti i nodi della programmazione territoriale del Comprensorio di Torino. E questo non è un fatto secondario perché recentemente si sono distribuiti i fondi della legge 9 a tutto il Piemonte tranne che a Torino.
Come possiamo discutere della rilocalizzazione? Con che strumenti la facciamo? Quali dimensioni diamo alle aree industriali? Lo stesso può dirsi della rilocalizzazione commerciale per quello che riguarda il terziario.
C'è il problema dell'utilizzo delle risorse. Sono stati portati avanti gli 84 progetti che per la verità ci hanno lasciato in parte perplessi. Avevamo fatto la richiesta affinché venissero distribuiti entro il 30 giugno, con una procedura straordinaria, i fondi ai Comuni in modo che fossero in grado di presentare le domande alla Cassa Depositi e Prestiti e di avviare le opere. La nostra proposta è stata completamente ignorata. Nulla è stato deciso in ordine alla legge 28 i cui fondi sono da distribuire tramite i Comprensori. In realtà il riequilibrio territoriale lo concreta maggiormente la legge 153 sulla finanza locale, in quest'aula aspramente criticata, dal gruppo comunista, che con le nostre leggi regionali. Decine e decine di miliardi vengono al Piemonte che saranno rapidamente utilizzati e poiché distribuiscono risorse soprattutto ai Comuni più deboli costituiscono uno sforzo infrastrutturale di larga portata. Questo dovrebbe farci meditare, sull'utilizzo delle risorse, modeste ma pure importanti che abbiamo a disposizione, perché oltre a quello dell'equilibrio territoriale è centrale il problema del riequilibrio economico.
L'ing. Frignani, in sostanza, ci ha detto che il terziario va avanti da solo. Si sono formate 11 mila aziende, alcune certo sono atipiche, come le aziende di consulenza che molte volte rappresentano qualche cosa di organico, di professionale, di funzionale, ma altre volte ride di nascondersi facili espedienti. Non voglio esaltare completamente questo sviluppo, ma certamente, il terziario va avanti da solo. Questo squilibrio c'è, la mancanza di ottimismo da parte degli industriali che abbiamo avuto modo di leggere nella relazione Frignani, ci dice che a settembre la crisi sarà ancor più pesante, sarà una crisi che ci colpirà ancora di più.
Difficilmente potremo tenere il livello anomalo di occupazione nell'industria che abbiamo avuto finora e la terziarizzazione è un problema reale. Le forze di maggioranza devono fare un'autocritica per non aver portato avanti più marcatamente nel Piano di sviluppo questo progetto. Alla maggioranza diciamo che non è accettabile il tentativo di attribuire sempre la responsabilità agli altri.
Negli anni dal '70 al '75 si affermava che per Regione tutto era possibile. Nel '75 alla Conferenza dell'occupazione abbiamo sentito Libertini preconizzare un tipo di sviluppo, che poi è completamente mancato. Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione del Piemonte che esige un approccio diverso, tutti dobbiamo aprire gli occhi perché se è vero che l'industria deve razionalizzarsi e avanzare sul piano tecnologico è altrettanto vero che la nostra Regione ha bisogno di un riequilibrio anche nei settori economici se non vogliamo che vada avanti da solo con il rischio di portare il Piemonte ad un arretramento che noi non vogliamo e dobbiamo presumere, o sperare, non vogliate--neanche voi della maggioranza.



PRESIDENTE

E' ancora iscritto a parlare il Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Cercherò di mantenere tempi da Parlamento europeo, non tanto per un atto di buona volontà, ma perché penso che se avessimo mantenuto questi ritmi probabilmente avremmo avuto modo di vedere crescere questa curiosa diatriba tra il nostro collega yankee, quello che nella seconda legislatura ci parlava di Roosevelt e che adesso ci parla di Reagan, e le battute che ne sono conseguite dall'esperto di questi problemi del Gruppo comunista Alasia, il quale mi pare lo accusasse di andare a raccogliere mosche sotto l'arco di Tito. Questi dibattiti debbono far capire queste cose alle forze politiche e a far crescere nella società i consensi, i dissensi, le differenze. Fin quando queste restano dissertazioni più o meno approfondite su tematiche più o meno digerite, non si fa politica, ma si fa soltanto attività di rappresentanza che di politico non ha molto. Mi auguro comunque che le esplicite enunciazioni del nostro collega reaganiano portino a uno sbocco di questa vicenda, poi vedremo chi raccoglierà le mosche sotto l'arco di Tito e chi invece farà politica.
Limito il mio intervento ad una disamina del documento senza avere la pretesa di dare una mia interpretazione di una tematica già tanto complessa.
Come forza di opposizione, quindi di tipo critico, mi pare già un contributo sufficientemente difficile ed articolato quello di andare a riprendere nelle specificazioni il documento che la maggioranza propone. E' un documento di difficile collocazione e di lettura proprio perché si pone in un momento di faticosa interpretazione nella sua ragion d'essere. Ci riesce in altri termini difficile capire perché questo documento debba anticipare la discussione del Piano di sviluppo quando si dà già atto che parecchie delle finalità da perseguire con il Piano di sviluppo sono state già individuate nei cosiddetti 84 progetti. Questo sta già ad indicare che manca una cadenza dei tempi su questa tematica e riteniamo di doverlo sottolineare con forza.
Il documento ci sembra di difficile lettura nella sua articolazione in quanto tende ad assumere tematiche diverse e difficilmente conciliabili. Ci sono considerazioni di tipo storico (si risale al 1975) e si parla della crisi della borsa: mettere tra i fattori di crisi l'inflazione e la crisi della borsa, sta ad indicare che qualcuno crede, che la borsa sia ancora molto rappresentativa di un fenomeno economico. La borsa ci preoccupa perché, al di là delle rovine di qualche speculatore poco prudente, ha il problema della ricapitalizzazione dei capitali che vanno a scadenza.
Cerchiamo anche di capire a che cosa tenda questo documento, al di là delle proposte specifiche, perché sia pure in modo camuffato, sotto vesti di tipo istituzionale, di fatto, è un documento politico che attacca il Governo nelle sue responsabilità e che, richiamando aulicamente l'art. 117 della Costituzione, rivendica competenze che l'art. 117 non indica, non cogliendo l'occasione per approfondire nella sostanza in che cosa la Regione può fare politica industriale. C'è la difesa di una certa maggioranza e di un certo governo e c'è l'attacco ad un'altra maggioranza e ad un altro governo.
A pag. 5 si cerca di recuperare il concetto lavoro come valore autonomo, anche qui, con un richiamo estremamente aulico alla Costituzione si difende il lavoro come strumento di promozione civile, sociale ed umana in questo senso, secondo la dizione prosaica dell'art. 1 della Costituzione, ma il concetto è messo in termini tali che ci sembra ridare spazio e credibilità ad un concetto del costo del lavoro come variabile indipendente del processo produttivo.



SANLORENZO Dino, Vice Presidente della Giunta

Non c'è scritto questo. C'è la valorizzazione dell'art. 1 della Costituzione.



MARCHINI Sergio

C'è stata una "volgarizzazione" dell'art. 1 della Costituzione. Sono d'accordo quando sì dice che la Repubblica è fondata sul lavoro, ma questo non vuol dire che la Repubblica sia fatta in corso Polonia. Nel documento si prende atto che negli anni '50/'60 c'è stato un processo produttivo distorto, interpretazione alla quale siamo abituati, vorremmo però sapere qual è il processo "rettilineo" dato che non ci viene mai descritto.
Evidentemente è nel regno della fantasia. Ciò che mi sembra estremamente più significativo è che da un lato si identifica la realtà produttiva piemontese e dall'altro si dice che il motore del Piemonte è stato un fatto congestionante.
Che questa grande entità produttiva abbia creato dei problemi sul piano dei servizi e della qualità della vita sono d'accordo, tuttavia non si pu fare un affrettato "de profundis" a questo tipo di realtà che, bene o male è stato un fenomeno di crescita, di recupero di libertà dal bisogno, di libertà dall'ignoranza, di libertà dall'emigrazione. Sono argomenti di colore, non certamente argomenti politici. La politica, a mio avviso, è un'arte che deve servirci a capire che cosa dice la gente, al di là delle parole, che cosa ha in testa e quale tipo di segno politico stia portando avanti. Questo documento, è marcato da alcuni vizi capitali di una parte di questa maggioranza, il velleitarismo esasperato e la contestazione al sistema.
Anche in questo sono stato preceduto dal Capogruppo socialista che vi rimprovera esattamente quanto vi rimprovero io.
E' stato detto che il passato non ritorna, che è necessario un nuovo tipo di sviluppo. Ricordo di aver sentito molte volte questa frase. Questo era il linguaggio degli ultimi anni '60 e dei primi anni '70, quando si diceva che bisognava arrivare alla produzione dei servizi e non alla produzione dei beni, e quando si ipotizzava il nuovo modello di sviluppo.
Dei limiti di questo documento prendo alcuni esempi. In buona parte mi rifaccio a quanto ha detto l'esponente democristiano sui suggerimenti dati al Governo. Egli ha rilevato l'assenza di impegni sul piano energetico.
Infatti nel documento si richiama lo Stato alle sue molte responsabilità ma, guarda caso, non si menziona il Piano energetico nazionale. In effetti la presentazione del piano energetico nazionale, cari colleghi impegnerebbe questa maggioranza, al di là delle iper Commissioni costituite, dei molti viaggi a Roma e all'estero, sul piano dell'energia.
Il Vice Presidente Sanlorenzo per risolvere la crisi, sollecita il Governo a partire sulle iniziative che hanno per oggetto le energie rinnovabili.
Mi permetto di dire al Vice Presidente Sanlorenzo e alla Giunta che il problema dell'energia nell'anno 1981 non sta nelle energie rinnovabili perché con le energie rinnovabili non si risolve il problema energetico.
L'eventuale licenziamento del PEM, cosa che ci auguriamo al più presto metterà la Giunta finalmente nella necessità di prendere le decisioni che sono di sua competenza.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta

La Giunta sollecita il Governo da quattro mesi in tutte le forme. In questo documento non c'è questo sollecito, ma c'è in tutti i documenti votati e varati qui e approvati anche da lei.



MARCHINI Sergio

Visto che questo documento ha la dignità di un documento di programmazione regionale queste cose era bene sottolinearle, e, visto che si dice questo, aggiungo che il Governo ha già fatto sapere, nelle forme debite e attraverso gli enti ad hoc delegati, che il Piemonte dovrà essere localizzazione di una centrale nucleare o di una centrale a carbone o di tutte e due. L'unico personaggio piemontese che si è platealmente scandalizzato di un'ipotesi del genere è stato un giornalista, non un politico (quindi mi metto anch'io con quelli che non fanno la loro parte).
Pensiamo veramente che il Governo debba andare avanti su queste scelte a sua discrezione dopodiché noi, con le nostre responsabilità, garantiti dai nostri fratelli maggiori in Parlamento potremmo andare a recepire la scelta definitiva? Su questo non si dice niente. Che cosa significa una centrale a carbone in Piemonte? Il collega Brizio (mi scuso con lui se troppe volte mi rifaccio alle sue argomentazioni) diceva che la crisi del nostro Paese e la crisi mondiale non si batte se non si batte l'inflazione. E' pur vero che l'Italia è nel gruppo dei sette, ma questo settimo vi si trova, in relazione ai temi dell'energia, in una posizione particolare e precisa.
L'inflazione ha tra le sue componenti il costo dell'energia, ma questo costo ha al proprio interno delle sottocomponenti ossia i costi delle diversi voci che fanno il paniere energia. L'energia che ci sta illuminando è il risultato di un paniere di componenti energetiche. Si tratterà di capire se peserà di più l'energia che costa di più, cioè il petrolio, o peserà di più l'energia che costa di meno, quella nucleare. Il nostro Paese nel proprio paniere ha molta energia da petrolio, che porta inflazione, e poca energia di tipo nucleare o da carbone, che costa di meno e che non porta inflazione. E diciamoci anche chiaramente che quando l'inflazione del nostro Paese sarà scesa dal 24% al 14%, contemporaneamente, quella degli altri Paesi sarà scesa all'1% e, evidentemente il problema delle nostre industrie sarà esattamente lo stesso.
A me pare che si debba giocare più sui fattori della svalutazione e dell'inflazione, che sono diversi rispetto ai nostri partner europei, che non sugli argomenti comuni. Per esempio, sul costo del lavoro non c'è da disputare, perché sta diventando un tema comune e omogeneo sul piano dei partner europei. Non è così per l'energia.
Non mi pare poi opportuno in un documento della Regione Piemonte chiamare "inadempienza" la mancata adozione della misura fiscale dei registratori di cassa, rapportando meccanicamente, quasi geometricamente questo fatto ai 500 lavoratori di Pozzuoli in cassa integrazione. Non credo che si possa garantire l'occupazione di 500 lavoratori con un provvedimento di tipo fiscale. Il sistema produttivo italiano, soprattutto quello di tecnologia d'avanguardia, dovrà avere i suoi sbocchi a prescindere dall'interpretazione più o meno buona. Non penso che la fabbrica di Pozzuoli sia stata costruita in previsione dei registratori di cassa per cui non essendosi fatti i registratori di cassa i lavoratori devono essere disoccupati. Questa riflessione mi pare troppo limitativa e troppo partigiana.
Sul terziario il collega Alasia ha già detto sufficientemente dicendo come esso stia diventando articolato e complesso. Non apprezzo il linguaggio che viene usato nel documento. Si prende atto che il Piemonte ha avuto il più alto tasso di realizzazioni e di presenze terziarie nel nostro Paese, non se ne ricercano le cause e si dice che questo processo rischia di diventare incontrollabile e incoerente, e che quindi c'è bisogno di un intervento. Voglio chiedere al Consigliere Viglione se ritiene che sia in linea con il suo intervento di tipo neoliberista, il dire che il terziario richiede un - nostro intervento altrimenti rischia di diventare incontrollato, incoerente e magari di produrre un altro sviluppo distorto nella nostra Regione. Sono "perle" che si possono cogliere qua e là e che indicano la logica e il taglio politico della Giunta. Questi documenti finiscono alla fine per dare alla nostra istituzione un'immagine velleitaria, impotente e soprattutto pietente maggiori competenze, maggiori funzioni, che non l'accettazione dei suoi limiti di intervento in un settore così significativo. La formazione professionale e il territorio sono due aree sulle quali un intervento approfondito e specifico, anche se non risolverebbe il problema, certamente farebbero fare alla Regione una parte significativa e non così distorcente sul piano dei rapporti tra le diverse istituzioni. Rimprovero peraltro alla Giunta di aver utilizzato sempre ed esclusivamente rilevatori della realtà di tipo sindacale e questo indica una certa cultura che è tipica della nostra classe di governo. Per esempio, non si è data alcuna indicazione sul valore aggiunto che nel frattempo si è realizzato, non si sono fatti riferimenti di investimenti di livelli di occupazione, non si sono fatti riferimenti ai consumi. Non si è fatta una serena disamina di quanto è avvenuto negli anni trascorsi.
L'impostazione del problema pare estremamente riduttiva. A pag. 5 si fa coincidere, guarda caso, la fine di uno sviluppo di espansione con l'inizio delle giunte rosse: questo è un infortunio, ma la storia ogni tanto fa di questi scherzi, fare coincidere l'inizio di un'era di progresso con un'era di regresso. Non è colpa di nessuno: la peste e altre vicende avvengono, a prescindere da chi regna. Su questo fatto per lo meno si doveva dire qualche cosa di più.
Il problema del terziario è stato affrontato senza andarne ad individuare le grandi implicazioni. Soprattutto è insufficiente la disamina dell'incidenza su questi risultati del movimento demografico.
Tutto questo forse ci avrebbe aiutato a leggere il Piemonte degli anni '80 e '81 in modo diverso. E qui incomincia ad emergere uno degli argomenti di fondo che ci differenziano, così come si differenzia il collega Viglione, dalla relazione della Giunta.
Dire che la nostra è una crisi strutturale è abbastanza avventato, la crisi in grandissima parte è congiunturale.
Se tutto il mondo è in crisi non si può improvvisamente riconvertire tutto il mondo. Vuol dire che le economie libere o non libere hanno strutturalmente un certo tipo di realizzazione e a questo tipo di realizzazione si è innestata una crisi congiunturale che mette alla porta come sempre avviene nei liberi mercati, la realtà strutturalmente più debole Insistere che siamo in crisi strutturale significa continuare a vedere la realtà della nostra Regione con un occhio che non è ancora l'occhio della classe di partito. Ci auguriamo che la Giunta con il nostro contributo critico incominci a vedere questi fenomeni. Apprezzo i sorrisi che vengono da sinistra, sorrisi che hanno difficoltà a capire come la classe di governo sia una cosa diversa dalla classe di partito.
Il documento rivela improvvisamente la caduta dell'importanza economica del Piemonte. Per quello che ci riguarda, nel nostro programma elettorale per l'anno '80 era indicato che ci sarebbe stata una caduta nell'apporto del Piemonte al reddito nazionale, ma questi argomenti a suo tempo non si sono voluti considerare.
Farò alcune considerazioni che attengono alla valutazione politica che diamo di questo documento. E' interessante l'intervento proposto dalla Giunta sul piano di Verbano-Cusio-Ossola, ma si dimentica la necessità di intervento sul piano delle grandi infrastrutture. Ci rendiamo tutti conto che le grandi infrastrutture vanno fatte, che le centrali nucleari o a carbone si faranno, ma qui si preferisce non dirlo perché probabilmente questo documento andrà anche letto da chi preferisce che queste cose non si dicano.
Riteniamo che questo problema debba essere risolto in armonia con la tradizione e la collocazione naturale del Piemonte, così come a suo tempo avevamo ipotizzato un terziario qualificato di tipo europeo. Ricordo che nell'illustrazione di uno dei tanti documenti programmatici proposti dalla Giunta nella seconda legislatura l'Assessore Rivalta raccomandava di fare molta attenzione alle implicazioni del terziario indotto dal Frejus. Il mio intervento trae la sua origine da fatti antichi. L'Assessore scrive che l'attuale indotto, l'attuale terziario è nato spontaneamente, ma non per causa della disoccupazione, ma perché il Piemonte aveva il terziario più arretrato delle Regioni sviluppate d'Italia. E' stata un'evoluzione naturale dei confronti della quale, però dobbiamo smettere di preoccuparci che porti di nuovo fenomeni distorcenti, stravolgenti e congestionanti. La rivoluzione industriale, la realtà industriale e la realtà postindustriale nella quale viviamo non è fatta di cattivi grassi che cercano di mangiare i piccoli magri. Nel documento illustrato dalla Giunta desta preoccupazioni il discorso che attiene alla mobilità. Riteniamo che in luogo della mobilità contrattata debba avere priorità la mobilità contrattuale.
Mi aspetto nelle dichiarazioni di voto del Partito socialista una puntualizzazione (in questo siamo colleghi di governo) sugli attacchi che vengono fatti dall'istituzione Regione. Molte parti del documento sono ambigue, nel senso che non si capisce se trattasi di rivendicazioni dell'istituzione Regione nei confronti dell'istituzione Governo o se si tratta di una rivendicazione di questo governo regionale al governo nazionale. Questo andrebbe chiarito anche per capire il tono e il taglio di molti interventi. Se questo documento fosse stato centrato, come altre volte è avvenuto con il collega Alasia, sulla specifica analisi e individuazione di realtà precise, il nostro giudizio si sarebbe articolato sulle diverse analisi e sulle diverse proposte di soluzione e probabilmente ci avrebbe trovati, se non consenzienti, non molto distanti. Al contrario il documento nelle sue valenze politico-programmatiche postula un giudizio politico, che è negativo, ma anche preoccupato sulle implicazioni che dall'azione della Giunta, se condotta sulle linee di questo documento, ne potrebbero derivare alla complessa tematica sulla quale ci muoviamo soprattutto nei suoi aspetti di comportamento da parte delle diverse componenti sociali. Il discorso fatto dalla Giunta sulla mobilità rimette in discussione molte cose che nella Regione Piemonte, in particolare a Torino, venivano date come acquisite e scontate. Nel documento c'è scritto che il passato non ritorna. Certamente non torneranno i telefoni bianchi non torneranno i bagni nella fontana di Trevi, non tornerà il 1975, non tornerà l'insofferenza e la rivolta culturale politica ed elettorale verso le satrapie politiche, soprattutto sono tramontate le massianiche aspettative sulle capacità demiurgiche degli gnomi, prodi, buoni ed efficienti che avrebbero dovuto uscire da via Chiesa della Salute. Il passato non torna e la politica è l'arte del presente e soprattutto del futuro e del divenire.
Il presente ed il futuro sono il rifiuto delle ideologie. Le culture anticipano molte volte il nostro muoversi. Il dibattito sulle ideologie è un dibattito che si è aperto alcuni anni fa. C'è il rifiuto delle ideologie totalizzanti e semplificatrici, e c'è la riscoperta del razionale e dell'operativo, quindi del pluralismo e del pluralistico, in una parola, il presente e il futuro sono del laico. Questa e la nostra impressione: non torna il passato, non torna il 1975, non tornano la satrapie, probabilmente il futuro appartiene ai laici, non ai partiti laici, che sono cosa abbastanza diversa.
In questo rifiuto di modelli precostituiti si giustifica la Presidenza laica al Consiglio nazionale. E' la riscoperta dell'empirismo che è alla base della cultura moderna. E' significativo che dopo molti secoli si riproponga l'empirismo come componente della nostra cultura, anche industriale e anche politica, visto che tutto sommato l'empirismo è a monte di tutte le nostre conquiste. Governare, e noi vogliamo essere forza di governo, non è essere maggioranza e non è essere componenti di Giunta, ma governare insieme (mi riferisco ai laici) è per noi approfondire insieme nella società i temi e le aspettative, affrontare soluzioni e prevedere provvedimenti. Per esempio, non è governare e non è essere maggioranza il non portare il Consiglio il progetto di legge, che è stato licenziato in Commissione, sui laboratori privati; non è essere maggioranza e non è essere forza di governo (checché ne dicano gli scanni, così come sono distribuiti) continuare a non rispondere sull'annoso problema del gesso dove esistono una risorsa energetica e delle risorse finanziarie sulle quali il parere della Regione continua a non arrivare: questo non è governare, questo significa quindi non essere maggioranza, significa quindi venir meno anche al mio compito.
Questo documento nel linguaggio e nel modo di approfondire i problemi dimostra che il PCI e i suoi laboratori fanno molti passi all'indietro. Il PCI sempre più tende ad essere un partito che ha difficoltà a convivere con la società post-industriale, sempre più trova difficoltà a governare questa realtà nella quale è protagonista come forza popolare, come forza lavoratrice. Questa forbice che si è aperta del modo d'essere del PCI e questa società tenderà ad allargarsi e noi pensiamo che sia la camicia di nesso di questa maggioranza, che gli impedisce di governare e probabilmente è la spada di Damocle sulla sua stessa possibilità di persistere nel tempo.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

Poiché sono iscritti ancora tre Consiglieri convoco i Capigruppo per stabilire l'ordine dei lavori.



(La seduta sospesa alle ore 17,30 riprende alle ore 17,50)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
I Capigruppo hanno stabilito di terminare il dibattito sulla politica industriale e di esaminare il disegno di legge regionale sulla seconda variante al bilancio 1981. Nella seduta di domani mattina esamineremo gli altri punti all'ordine del giorno.
Ha ora la parola il Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, iniziando il mio intervento richiamo una considerazione del Vice Presidente Sanlorenzo secondo cui l'industria piemontese potrà uscire dalla crisi se sarà in grado di sostenere la sfida tecnologica e commerciale dell'Europa e del mondo. Quale ruolo la Regione Piemonte deve svolgere? Quali sono le nostre scelte? A me sembra che si debba partire dalle scelte che le aziende e il padronato italiano stanno compiendo. Certamente non possono essere in antitesi le scelte delle imprese e le scelte della Regione. A noi pare che il padronato subisca la crisi e la stagnazione, che si attesti sugli attuali spazi di mercato e che non aggredisce il mercato per conquistare nuove quote con l'innovazione del prodotto, con la ricerca e con la specializzazione. Tutto questo scaricandone i costi sui lavoratori, e manovrando sull'unica variabile possibile, cioè il costo del lavoro e facendo degli esuberi di manodopera non un problema contingente e finalizzato alla ripresa produttiva, ma una scelta strutturale e strategica a lungo periodo.
Questa scelta non condividiamo perché prefigura un apparato produttivo tecnologicamente arretrato, non competitivo, assistito attraverso la Cassa integrazione. Il Governo stesso non sembra agevolare quelle iniziative aziendali che vorrebbero rispondere in termini di innovazione tecnologica: emblematiche sono le difficoltà sovrapposte alla costituzione del consorzio Indesit.
L'innovazione tecnologica delle aziende italiane è soprattutto tesa al risparmio di manodopera e alla sostituzione della manodopera con la tecnologia. Il Min. dell'industria, Marcora, ha affermato che non darà una lira per rifare il trucco alle auto, la cosiddetta ristilizzazione, e che i soldi dovranno servire solo per nuovi prodotti. Condividiamo questa affermazione del Governo.
Una politica attiva delle imprese in ordine all'innovazione, alla competitività, ad una politica di non passiva rassegnazione, non può fare a meno di un quadro generale di programmazione settoriale ed intersettoriale.
Va inoltre analizzato il rapporto tra la Regione e le aziende. Alla Regione è sufficiente conoscere i dati degli organici, gestire il mercato del lavoro e gli eccedenti? Oppure deve conoscere i piani pluriennali delle aziende nei quali si giocano migliaia di posti di lavoro? Brizio richiamava la necessità di collaborazione, ma non può esserci una collaborazione a senso unico, non è possibile che le aziende ricevano i soldi della collettività e che ne facciano un uso a piacimento in mancanza di piani aziendali. Questo è il nodo centrale della questione.
La Regione potrà elaborare il secondo piano di sviluppo se non conoscerà una variabile di questo tipo che riguarda decine e decine di migliaia di posti di lavoro in più o in meno? Questo lo dobbiamo dire in modo chiaro alle aziende.
I segnali che sono venuti dalla Giunta non sono stati incoraggianti anzi, alcuni non li condividiamo. Condividiamo le proposte contenute nel documento che il Vice Presidente Sanlorenzo ci ha esposto due settimane fa ma non condividiamo il giudizio che è stato dato dalla Giunta all'indomani dall'incontro con la Fiat. La Fiat ha detto che non ha il piano aziendale né ci ha detto che intende presentarlo. Dare un giudizio positivo su questo significa in qualche modo essere disponibili rispetto alla politica che la Fiat porta avanti. Questa è la critica che facciamo all'operato della Giunta.
Se riusciamo a individuare il tipo di sviluppo, di qualificazione, di innovazione e di ricerca delle aziende, riusciremo a individuare anche il ruolo del terziario, un ruolo che non sia sostitutivo dello sviluppo industriale, ma qualificato e di supporto all'industria, in termini di ricerca, innovazione tecnologica. Se così si intende il terziario di cui si parla, dobbiamo dire che siamo d'accordo.
Riaffermo la validità del documento delle Regioni per la delega di maggiori e più specifiche competenze in materia di politica industriale per la revisione della legge 675, per l'attuazione di progetti orizzontali in particolare quello sul risparmio dell'energia.
Non condivido le affermazioni del Consigliere Marchini quando dice che le fonti rinnovabili non risolvono i problemi. Se il problema è così urgente che si pone per il 1985, allora ci spieghino il collega Marchini ed altri, la contraddizione tra l'urgenza dei tempi e la scelta delle centrali nucleari visto che per costituirle ci vogliono 12 anni. Non ritiene che fra 12 anni la nostra economia avrà un distacco tale da quella europea e di altri paesi da essere ai livelli dell'economia del Terzo Mondo? E' importante che in questo documento ci siano sollecitazioni in ordine al disegno di legge sulle fonti rinnovabili. E' anche importante che la Giunta e l'Assessorato all'energia predispongano un piano per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili. E' troppo facile dire che le fonti rinnovabili non risolvono il problema. Nessuno nella comunità piemontese è in grado di dire qualche cosa sulla potenzialità di tali fonti. Sarebbe interessante avviare una valutazione in questo senso, valutando i benefici che ne verrebbero all'occupazione.
Sulla mobilità ci sono delle novità rispetto a quanto Sanlorenzo ci disse due settimane fa. La lista di mobilità interesserà 7500 lavoratori.
Una domanda si pone subito: dove? I posti di lavoro non abbondano. A questa domanda la Federpiemonte nell'incontro con le Commissioni I e IV ha risposto che bisogna attendere i risultati dell'indagine promossa dalla Regione e dalla Federpiemonte. Mi auguro che coloro che hanno auspicato la mobilità siano altrettanto solleciti ad intervenire presso le aziende e presso l'Unione industriale per individuare le aziende e le occasioni di lavoro disponibili.
A fronte della carenza legislativa, i lavoratori verranno presi dalle liste di collocamento o dalle liste di mobilità? Abbiamo detto che non è giusto che le Regioni non abbiano la presidenza delle Commissioni regionali, in tutte le prese di posizioni della Regione e della maggioranza abbiamo auspicato un iter veloce della legge 760.
Qualcuno dice che la soluzione è nell'ufficio regionale del lavoro. Le aziende facciano presenti le occasioni di lavori per favorire il passaggio dei lavoratori da posto a posto. Le aziende non sono però disponibili bisogna discutere con le associazioni industriali e con le aziende se non vogliamo che la mobilità si scarichi completamente sugli enti pubblici.
Il nostro Gruppo si è opposto alla mobilità, ma non siamo contrari alla mobilità come principio, noi siamo contrari alla mobilità non finalizzata.
Dicemmo ad ottobre in occasione del dibattito sulla vertenza Fiat che la mobilità non era possibile perché non c'erano i posti di lavoro.
Che cosa vuol dire il Partito liberale che parla di mobilità "non contrattata, ma contrattuale?" Il documento delle Commissioni I e IV elaborato nell'incontro con la Federpiemonte e con la Fiat ha permesso una larga unità, lo condividiamo quindi, mi esimo dal fare altre valutazioni sul piano auto. E' grave per che manchino i soldi per il piano auto, se si approva una legge, allo stesso momento, bisogna trovare le disponibilità finanziarie. E' inaccettabile che nel 1980 siano state importate 240 mila vetture dagli stabilimenti esteri della Fiat e che questo ritmo si manterrà nei prossimi anni, la Fiat cerca così di recuperare sugli errori di previsione che ha fatto. Dobbiamo intervenire sul Governo perché faccia pressione nei confronti della Fiat perché questa tendenza venga invertita.
L'atteggiamento della Fiat nei confronti dei lavoratori è ricattatorio è falso, perch minaccia i licenziamenti per chiamarli poi dimissioni spontanee. Questo atteggiamento crea tensione e odio tra i lavoratori.
Per quanto riguarda l'Olivetti il problema non è tecnico, ma è politico. Il Governo prende la decisione sui registratori di cassa scontando la perdita di una parte dei voti, oppure questi voti sono più importanti del pagamento delle tasse da parte di alcuni strati sociali? Questo è il nodo che va sciolto.
Per quanto riguarda la Indesit concordo con ciò che è nel documento in ordine alla costituzione del Consorzio superando le difficoltà e gli impedimenti posti dal Governo.
Rispetto alla Montedison e alla Montefibre sono contrario alla privatizzazione del complesso anche se non pretendo che tutto quello che è privato diventi pubblico, ma, visto che il passaggio ai privati è avvenuto e visto che il Governo ha deliberato un finanziamento di circa 800 miliardi, sarà opportuno che i privati presentino un piano di riorganizzazione e di sviluppo delle aziende con l'indicazione esplicita del tipo di divisione tra pubblico e privato che viene fatta anche in ordine alle ripercussioni sull'occupazione.
Per quanto riguarda il Verbano-Cusio-Ossola il documento della Commissione interministeriale è molto chiaro rispetto alle infrastrutture al terziario e al turismo ed è vago sulla politica industriale. O si chiariscono le richieste in modo preciso tenendo conto delle osservazioni delle organizzazioni sindacali, oppure c'è il rischio che le raccomandazioni restino tali e vadano avanti le infrastrutture, dopo di che avremo le autostrade, ma non avremo più nel Verbano-Cusio-Ossola le aziende alle quali le autostrade dovrebbero servire.
Per quanto riguarda la Pietra, l'azienda ha detto un mese fa che aspetta i provvedimenti del Governo. Bisogna allora dire chiaramente ai padroni dell'azienda e a chi ha la maggioranza del capitale azionario (l'Istituto San Paolo di Brescia) che non si può stare alla finestra e che occorre andare al più presto ad un, confronto.
In ordine alle piccole e medie aziende concordo sulle proposte contenute nel documento sull'applicazione della legge dei consorzi.
Propongo che la Regione si faccia coordinatrice degli istituti pubblici di ricerca e sia un punto di riferimento per le piccole e medie aziende che non sono in grado di dotarsi di centri di ricerca.
Mercato del lavoro. Il problema del mercato del lavoro deve essere risolto all'interno della legge 760. In quella proposta di legge c'è già la possibilità di chiamata nominativa. Non sono però d'accordo di elevare sino a 50 dipendenti la chiamata nominativa. Ricordiamoci che la lista unica e la chiamata numerica è stata una grande conquista democratica sul terreno della parità uomo e donna. Quando si è istituita la chiamata numerica e non nominativa c'erano 400 donne in testa alle liste che, secondo i criteri dell'Ufficio di collocamento, sino allora erano state discriminate. Se passasse l'elevamento della chiamata nominativa a 50 dipendenti, senza una normazione completa del problema, si andrebbe di nuovo alle discriminazioni dei soggetti più deboli.
Abbiamo espresso alcune riserve rispetto al ruolo politico della Regione nei confronti delle aziende. Su questo occorre fare una riflessione. Riteniamo che la Regione debba avere un ruolo più autorevole perché le aziende non siano libere di fare quello che vogliono per scaricare sulla Regione le eccedenze in ordine alla gestione delle liste di mobilità. Le stesse aziende devono essere ancorate a vincoli di programmazione in modo che la Regione non sia costretta a gestire giorno per giorno, ma possa programmare gli interventi.
Su questo ci sono state delle carenze da parte della Giunta che devono essere discusse e chiarite.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

Ha ora la parola il Vicepresidente Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

C'è una certa sproporzione fra l'importanza dell'argomento in discussione e l'attenzione che viene dedicata nei dibattiti del Consiglio.
Forse una riflessione sui modi della discussione e sulle conseguenze concrete che dobbiamo trarre è necessaria; è stata richiamata da più parti in parecchie occasioni. Mi associo anch'io.
Quale può essere l'utilità di un dibattito in un'assemblea come questa? Quella di verificare le posizioni, arrivare a superiori punti di convergenza, oppure di divisione, ma con chiarezza di posizioni, e di trarre poi delle conseguenze di linea, di attenzione, di iniziativa specialmente in una materia come questa, che su un punto ha trovato tutti consenzienti: su quanto ha detto il Consigliere Brizio quando dice che siamo in presenza di una crisi industriale di vasta portata, se così è siamo di fronte a qualche cosa che tocca l'essenza stessa della Regione, di qualsiasi politica di programmazione, di qualsiasi condizione umana di una popolazione che in gran parte è impegnata in attività industriali o da esse derivate, in qualche cosa che pone problemi gravi adesso e ne porrà ancora nel prossimo divenire, quindi ha un'importanza determinante per il nostro modo di agire amministrativo, politico, programmatorio.
Qualche volta c'è uno squilibrio fra questa portata e la consapevolezza pratica di quello che deve derivare.
Le cose vanno anche peggio di quanto avevamo previsto quando abbiamo presentato quella relazione. Al 1° maggio le aziende in crisi dichiarate erano 167, a metà giugno erano 186, questa mattina erano 201, oggi sono 203. In realtà sono 204 perché dobbiamo considerare anche la "Gazzetta del Popolo". L'O.C.S.E. prevede nel suo rapporto per la fine del 1986, 26 milioni di disoccupati nei Paesi facenti parte di quella organizzazione. Di fronte a questa cifra - consigliere Marchini - al di là delle polemiche come fa lei a fare un distinguo fra crisi congiunturale e crisi strutturale? Siamo di fronte a una crisi epocale, non perché l'ho detto io, non perché l'ha detto Galbraith, o perché l'ha detto Robinson o perché l'ha detto Friedman, o perché l'ha detto Reagan, ma perché è la verità. Ci sono aspetti congiunturali, che forse possiamo dominare teoricamente meglio, ci sono aspetti strutturali che sono all'evidenza generale. E tutto ciò non ha niente a che fare con l'antica polemica fra liberisti e dirigisti, fra la tendenza del capitalismo ad entrare in crisi cicliche, che facevano parte della cultura marxista, di cui bisogna misurare le verità in epoche diverse. Tutto questo va ricondotto ad un'analisi fredda, lucida della soluzione per capire come possiamo intervenire. Non dobbiamo ritornare ad antiche polemiche di principio che non hanno alcun valore.
La gravità non è soltanto del Piemonte. Il Ministro Marcora è totalmente d'accordo con noi, con la Regione Liguria su questo apprezzamento della situazione e sul ritardo culturale a prendere coscienza delle conseguenze che da questo derivano. Marcora ha detto esplicitamente che metà del Governo non è ancora convinto di questa questione e che si batte per darle consapevolezza delle cose, anche perché non vuole fare il ministro dell'aumento delle tasse, ma il ministro dell'industria e del suo risanamento. E' talmente d'accordo con la nostra proposizione che ha proposto sulla base della richiesta delle Regioni, di realizzare ai primi di settembre un convegno delle Regioni settentrionali dove tutto questo venga messo in discussione e tutto il Paese ne tragga le conseguenze.
Tutto questo era nel documento accompagnato con una relazione di fiducia ragionata e ragionevole sulla possibilità di uscirne. Alla domanda posta dal Consigliere Brizio e da altri su come si colloca questo documento nei confronti della politica generale che stiamo portando avanti, rispondo che esso è un tentativo di individuare alcuni elementi di politica industriale di carattere generale e specifico cercando di rispondere alla duplice osservazione critica che viene fatta nei confronti di questa o di altre giunte secondo cui, volta per volta, ci si rivolgeva solo al generale e al Governo, altre volte si cadeva solo nel particolare: in questo documento ci sono aspetti di carattere generale, aspetti che riguardano la Regione, aspetti di cose pratiche da fare e aspetti che non dipendono solo da noi, come può fare una Regione, specialmente in una situazione nella quale i fondi che può decidere o investire sono modesti e viene per forza esaltata la sua funzione politica e la sua funzione programmatoria.
Voglio quindi dare alcune notizie rassicuranti dei passi in avanti che stiamo compiendo con altre Regioni.
Che cosa abbiamo ottenuto nel rapporto positivo stabilito con il Governo? Stiamo raccogliendo qualche primo parziale esito di questo confronto avendo trovato con il Governo un atteggiamento positivo. Perché allora studiare un marchingegno attraverso il quale il documento sarebbe un sotterfugio per attaccare il Governo? L'approccio positivo consiste nel fatto che abbiamo ottenuto per martedì un incontro per l'Indesit che minaccia di licenziare 3 mila lavoratori. Non è grande, ma l'incontro c'è, ed è un incontro tecnico per verificare se la proposta di consorzio si farà o non si farà. E l'incontro non è soltanto tecnico perché il Ministro Marcora si è impegnato ad incontrarci subito dopo per verificare un possibile orientamento per il Governo. Questo apre uno spiraglio.
La seconda cosa positiva è che per martedì siamo impegnati a presentare al Governo le nostre richieste di finanziamenti per quanto riguarda la riqualificazione e formazione professionale inerente non solo l'aspetto Fiat, ma l'aspetto generale che concerne un processo di ristrutturazione.
Questo ci permette di accelerare i processi di elaborazione delle richieste. C'è già una dichiarazione positiva del Governo di facilitarci sia nel dare contributi specifici in questo campo sia nell'appoggiare i progetti presentati alla CEE.
Terzo elemento. C'è la convergenza di posizioni nei confronti dell'utilizzazione dei fondi per il Piano Fiat.
Che senso ha il cercare di mutare le posizioni già acquisite di ciascuno di noi per cercare di avere un argomento pseudopolemico? Qualcuno può anche registrare qualche frase e pubblicarla sui giornali domani. Ma si costruisce una politica in questo modo? Voglio capire se c'è un qualunque documento della Giunta regionale, una frase che possa in qualche modo metterci dalla parte di coloro che non sono interessati a uno sviluppo, a un risanamento dell'azienda Fiat. Nel documento abbiamo scritto cose precise su questo e non capisco come si possa imbastire una polemica ideologica su questa questione. Noi siamo perché la deliberazione del Cipi sia applicata il più presto possibile perché i fondi siano dati. Abbiamo saputo che il Governo è preoccupato perché i soldi non ci sono e allora - permettetemi di dire - la maggioranza trovi i soldi e li metta lì. La questione è un'altra, la questione è che l'utilizzazione dei fondi della 675 che stanzia 1500 miliardi oggi disponibili, è appetita da tutto il sistema industriale e non soltanto dalle grandi, dalle medie e dalle piccole aziende e dall'artigianato.
Bisogna far decollare questo sistema e riaprire i rubinetti, altrimenti si chiude tutto e c'è la precipitazione della crisi.
Non so se tutto il Governo è d'accordo su questo. Il Ministro dell'industria lo è di sicuro e credo che lo siano tutte le parti progressive e che ci possa essere qualche sblocco. Naturalmente noi siamo perché i fondi del piano auto siano dati a chi di dovere e entrino in circuito.
L'altro aspetto positivo di questo confronto è che i fondi sull'innovazione tecnologica sono disponibili. C'è però il guaio che su questi fondi convergono tante richieste e anche qui c'è un divario fra i fondi a disposizione e le tante richieste, ma anche qui c'è la convergenza sul fatto che, rispettando le condizioni della delibera del Cipi emessa da questo Governo, i fondi per l'innovazione tecnologica siano assegnati e possano intervenire per superare la crisi.
Il Ministro Marcora è d'accordo che si faccia al più presto possibile una riunione fra i ministri interessati per quanto riguarda l'Olivetti. Il contratto fra i lavoratori, i sindacati e il governo per quanto riguarda le commesse pubbliche dei registratori di cassa non è stato realizzato in nessuno dei punti per responsabilità dei vari Governi che su questa questione si sono misurati. Oggi è partita la lettera al ministro La Malfa con la richiesta di una riunione anche perché per il 15 settembre abbiamo un incontro con l'Olivetti e per quel momento vorremmo poter sapere quante commesse pubbliche possono essere ordinate dal Governo. Il fatto che i lavoratori di Pozzuoli siano stati messi in Cassa integrazione perch questo capitolo non è andato avanti non è un'accusa, ma è un fatto.
Non voglio ridurre tutto ad un conflitto di merito sui particolari.
I Consiglieri Carazzoni e Marchini dicono "indietro non si torna, ma non siete precisi". Io voglio essere molto preciso. Non c'è la frase "nuovo modello di sviluppo". Tengo sempre a dichiarare con nettezza la distinzione che passa fra un programma di Giunta e la posizione di un partito. Non c'è scritto in nessuna parte del documento "nuovo modello di sviluppo". Dico soltanto che non si può pensare allo sviluppo di prima. Bisogna pensare a uno sviluppo nuovo. La questione del modello può essere patrimonio di una cultura politica, di un partito politico. Non è stata la posizione della Giunta regionale.
Che ci sia bisogno di un nuovo sviluppo e che non si possa tornare indietro mi pare una cosa evidente. La Nebiolo non tornerà alla situazione di prima, così la Fiat, la Ceat. Nessuno può star fermo e nessuno pu rimettere in moto i meccanismi conosciuti fino adesso. Quando dico questo non voglio dire che bisogna stravolgere il sistema economico mondiale. Il discorso sarebbe molto affascinante, ma non siamo né teorici del pauperismo, del ritorno all'agricoltura come prospettiva per il mondo.
Siamo in un mondo dove continuano a morire a decine di milioni per la fame e come si può pensare di risolvere questo se non c'è un nuovo sviluppo industriale nel mondo? Comunque non è questo il programma della Giunta. Né il documento è onnicomprensivo di tutti gli aspetti della politica industriale ed economica perché il tentativo della Giunta è invece di arrivare a dei confronti precisi, possibili e concreti . Non capisco poi come questa politica possa essere contrastata da chi anche persegue come forza politica convergenze diverse, ampie. La linea auspicata da tutti dovrebbe essere di promuovere confronti specifici su argomenti di carattere generale per vedere i punti di avvicinamento.
Questo lo vedo come interesse generale, ma altri potrebbero vederlo come interesse particolare, quindi da portare avanti.
Consigliere Marchini, non c'è stata una polemica fra Viglione e Alasia il primo reaganiano e l'altro roosweltiano. Non ho sentito nell'intervento di Alasia qualche cosa che abbia a che fare con la politica del "new deal" che fu imperniato essenzialmente in grandi investimenti pubblici per superare la crisi economica del '29 ed ebbe successo.
Non di questo si tratta. Parliamo della politica industriale del nostro Paese. Mi pare difficile assimilare Viglione ad una politica reaganiana, ma vorrei capire che cosa vuol dire questo. Il conflitto di battute è avvenuto su una questione che è pacifica e cioè sul fatto se bisogna evitare alla Fiat di diversificare o non diversificare. La questione da questa Giunta è stata pacificamente risolta e, nello stesso tempo, è stata ignorata. La questione è risolta. Ci mancherebbe altro che in un momento di crisi auto della Fiat ci mettessimo a dire che deve distrarre l'attenzione dall'auto per diversificare! Ci rendiamo conto di che cos'è la Fiat oggi? La Fiat è l'azienda multinazionale più diversificata che esista al mondo e, senza leggervi le cifre, voglio dire che il settore dei veicoli industriali ha 30 unità produttive di cui 14 in Italia e il settore trattori agricoli ha 11 unità produttive di cui cinque in Italia e ha 12 mila dipendenti. Il settore macchine movimento terra ha 12 unità produttive (5 in Italia) 11 mila dipendenti; il settore siderurgico ha 29 unità produttive, due all'estero e 31 mila dipendenti; il settore dei componenti ha 61 unità produttive, 29 società licenziatarie, 37 mila dipendenti; il settore macchine utensili del sistema di produzione ha 10 unità produttive, 5 società licenziatarie, una di società collegata e 5.811 dipendenti. Vi leggerei anche i dati che riguardano la diversificazione produttiva della Fiat se volessi tediarvi.
Quando si parla di nuovo tipo di sviluppo si parla di qualche cosa che va ricercato assieme. Altro che con la contrapposizione fra categorie economiche e persino contrapposizione in termini di politica economica fra classi sociali (non mi permetto di parlare di patto sociali e neanche di patti contro l'inflazione). L'On. Berlinguer nel 1976/77 disse questo e cioè che la lotta contro l'inflazione è il primo obiettivo del movimento operaio. Il discorso diventa come si fa la lotta all'inflazione.
Giustamente il Consigliere Brizio dice che uno dei modi per condurre la lotta all'inflazione è quello della riduzione della spesa pubblica. Non so se il Consigliere Brizio ha letto l'intervista di Andreatta sul "Corriere della Sera". La, leggo perché può essere utile a far finire una volta per sempre il dibattito in aula sui residui passivi.
La domanda è: "è vero che i residui passivi della pubblica amministrazione arriveranno quest'anno a 70 mila miliardi? ". Risposta: "Lo spero proprio. Sinora i residui passivi sono stati considerati una colpa.
E' tempo invece che la pubblica amministrazione capisca che i residui passivi sono un suo dovere, altrimenti quest'anno invece di 40 mila miliardi di debiti ne avremo 100/110 mila. Chi farebbe più credito allo Stato? ".



BASTIANINI Attilio

E' una provocazione.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

E' una provocazione fino ad un certo punto. E' lo stesso che un anno fa rimproverava le Regioni di essere elemento di residuo passivo più alto di tutte le parti dello Stato. Noi contestavamo anche allora il fatto dicendo che le Regioni rispetto alle altre parti dello Stato erano sempre in vantaggio.
Ma la differenza è ancora più raffinata di quanto non sia la lotta contro l'inflazione, la lotta per contenere la spesa pubblica. Se questa è una provocazione, la linea deve essere indicata con maggior precisione e allora bisogna tornare alla grande divisione fra gli investimenti che sono consentiti, giusti, necessari anche in periodo di inflazione e quelli che vanno ristretti, soprattutto le spese correnti che sono generatrici di inflazione. Questa grande distinzione esige ulteriori specificazioni che porterebbero lontano.
Tutto questo lo dico perché siamo di fronte a una definizione di una strada nuova da imboccare che deve impegnare culturalmente tutti in maniera nuova perché, davvero, la crisi è epocale, quindi suscita non tanto la felicità del fatto che le ideologie sono in crisi, quanto la ricerca anche di ideologie (non credo che il mondo andrebbe meglio se non ci fossero ideologie reali alle quali ispirarci).
La mia affermazione polemica nei suoi confronti, Consigliere Marchini per quanto riguarda la lettura della frase sulla difesa dell'art. 1 della Costituzione, in polemica con un'altra Italia che sta avanzando, quella della Cassa integrazione, avrebbe dovuto essere da lei apprezzata. Lungi dall'essere un'affermazione del lavoro come variabile indipendente, era ben altra cosa.
Mio fratello, che era elettromeccanico, era guardato con un certo distacco da mio padre perché "a lera nen bastansa ruscun", il sottoscritto poi che studiava era quasi assimilabile ai capitalisti, ai parassiti ancorché i voti a scuola non fossero brutti. Mi diceva Marcora che nei suoi paesi c'era la stessa filosofia: uno che non lavorava era additato a disprezzo dell'opinione pubblica. Quella che governa il Piemonte, la Lombardia, la Liguria da sempre per cause che sono strutturali e poi sovrastrutturali è la cultura del lavoro. Io sono preoccupato, e credo che debbano esserlo tutti, quando in una Regione ci sono 40 mila persone in Cassa integrazione per due/tre mesi, un anno, due anni. Quali sono le conseguenze sul piano culturale delle famiglie, nei consumi, negli atteggiamenti, nei comportamenti? Se questo diventa un sistema, quante generazioni sono necessarie per ricuperare una situazione, anche perché un diverso rifiuto della cultura del lavoro viene avanti per altri stimoli per altre spinte dalla società? Questo è un grande tema che deve impegnare tutte le forze politiche soprattutto quelle che hanno grandi rapporti con le masse lavoratrici, con le masse sociali.
Noi la dobbiamo sentire come una questione piemontese. Quindi lo pongo e lo ripropongo come problema non risolto. Dobbiamo studiare qualcosa per impegnare queste energie in una direzione che sia utile alla società e non soltanto per ragioni economiche, ma per ragioni culturali e politiche.
L'ultima questione posta dagli interventi è quella del terziario.
Ribadisco ciò che è contenuto nel documento della Giunta e cioè che non consideriamo lo sviluppo del terziario né una sciagura né qualche cosa che subiamo, ma consideriamo che un possibile nuovo sviluppo può vedere nel terziario incrementi e anche un indirizzo. Altrimenti, con quale filosofia faremmo i Piani di sviluppo? Siamo di fronte a un fenomeno nuovo rispetto agli ultimi trent'anni.
Qualcuno ha parlato di Valerio Castronovo. E' l'unico che ha scritto una storia del Piemonte. Ho qual- che opinione non tutta felice su quello che è stato scritto. Vorrei leggervi che cosa è successo in Piemonte tanti anni fa sul terziario. Siamo agli anni '30. "Di fronte ai progressi del settore terziario e alle conseguenze della crisi economica sulle attività industriali si giunse anzi a ipotizzare che Torino avrebbe dovuto in avvenire abbandonare le strade troppo battute, gli schemi troppo logori e cercare le ragioni della sua vita in soluzioni affatto differenti da quelle che la realtà e l'esperienza hanno dimostrato illusorio. Il turismo, lo sviluppo di alberghi, le attrezzature per gli sport invernali delle vicine valli alpine, la valorizzazione di castelli e santuari, la moda femminile la rinascita di tradizionali ateliers, gli spettacoli d'arte, la radio, il cinema, l'industria alimentare di lusso, una nuova banca di diritto pubblico che raccogliesse e convogliasse i capitali verso i nuovi settori avrebbero dovuto essere gli ingredienti della rinascita della città, stando allo stesso federale fascista Gastaldi.
L'industrializzazione per il podestà Thaon di Revel doveva spostarsi ai centri vicini. Oltretutto l'industrialismo, ed era il messaggio su cui batteva periodicamente Mussolini con periodici messaggi a prefetti e giornali, aveva reso Torino la città con la più bassa natalità d'Europa.
Non era la prima volta né sarà l'ultima che questi umori antindustrialisti affioravano fra gli ambienti politici. Se ne preoccupava giustamente Agnelli il quale replicava che la prosperità 'è oggi arrestata dalla crisi'. Ma la crisi, che è di tutto il mondo non può distruggere la ragion d'essere profonda di produzioni che sono essenziali al progresso della civiltà e nella quale Torino ha saputo affermarsi con successo".
Questo vuol dire che non c'è mai nulla che sia totalmente nuovo, anche se bisogna guardarsi da analogie troppo facili.
La filosofia del documento è appunto che noi vogliamo guardare a uno sviluppo nuovo senza liquidare ciò che in ogni caso sarà centrale negli sviluppi dei decenni di fronte a noi, cioè sistema industriale piemontese.
Senza un risanamento e nuovi indirizzi in questo sistema industriale, il tentativo, l'ipotesi, la speranza di indirizzare lo sviluppo del terziario in una direzione che sia di trasferimento tra un settore e l'altro di quelli fondamentali dell'economia può risultare soltanto un sogno.
Le conclusioni pratiche del dibattito possono essere soltanto quelle di avere scambiato le nostre opinioni e le nostre idee, mentre le conseguenze di più ampio respiro sono invece quelle di considerare questa discussione una di quelle che facciamo in preparazione del secondo Piano di sviluppo.
Il fatto che in questo dibattito non siano contenute altre proposizioni discusse in altri momenti aveva questa scelta culturale e metodologica. Non si è parlato diffusamente dell'energia perché ne abbiamo già parlato, c'è stato un dibattito, delle conclusioni che la Giunta non rinnega e sulle quali lavora per attuare sia per quanto riguarda i progetti presentati alla CEE sia per quanto riguarda la risposta che attende dal Governo circa il piano energetico nazionale.
Non abbiamo parlato dell'edilizia per una scelta di metodo, non perch l'edilizia non sia in qualche modo una industria. E' un settore che merita una trattazione particolare per la sua dimensione e per i suoi problemi.
Abbiamo voluto limitare per non sconfinare in argomenti che non toccano l'Assessore all'industria e al lavoro.
Le conclusioni non sono state scritte dalla maggioranza o da questa Giunta o da qualche comunista, ma sono parole desunte dai documenti votati da tutte le Regioni. Non mi sono permesso di inserire nessuna proposizione o frase che non derivasse da documenti che fanno parte del patrimonio di politica industriale.
Al termine del primo anno di questa legislatura, determinati risultati con gli strumenti che abbiamo e con la capacità programmatoria di cui disponiamo, non sono del tutto ignobili. Dal giugno 1980 al giugno 1981 la Giunta regionale ha seguito 110 aziende in crisi, provocando incontri fra le parti, tentando di trovare una soluzione che sia coerente con gli obiettivi generali del programma della Giunta e del Piano di sviluppo che deve tener conto anche dell'evoluzione della situazione.
Nelle aree industriali attrezzate stiamo già conseguendo dei risultati importanti: sono 56 le aziende interessate alle quattro aree. I posti di lavoro aggiuntivi sono 1690 (forse pochi rispetto alla dimensione del problema, ma questo è frutto della politica industriale della Regione).
Abbiamo assunto quest'anno 209 deliberazioni per pareti per quanto riguarda investimenti industriali che sottintendevano 96 miliardi di impegno. Siamo in un anno in cui, malgrado la crisi, gli investimenti non si sono fermati.
In questo c'è la legittimazione del contrasto fra i grandi compiti che vengono affidati alla Regione in materia e i poteri piccoli; tuttavia i poteri piccoli possono diventare anche più grandi se esercitiamo la funzione di programmazione e di raccordo che in questo campo possiamo avere.
Questione della mobilità. Voglio informare il Consiglio regionale che non soltanto abbiamo risposto alla sollecitazione critica del prof.
Lombardini che ci invitava ad assumere un ruolo come Regione. La Regione ha assunto un suo ruolo quando ha intravisto la possibilità di arrivare a una mobilità che possa essere gestita attraverso l'intesa tra le parti sociali.
E' difficile gestire la mobilità in assenza della legge 760 non ancora approvata dal Parlamento e nella complessività delle questioni che ci troviamo di fronte in ordine ai 7.000 lavoratori Fiat messi in mobilità.
Abbiamo avuto un incontro con gli industriali, un incontro con i sindacati, un secondo incontro con gli industriali. Lunedì forse ne avremo un altro. Qualche spiraglio si incomincia a vedere. Mi pare di capire che siamo tutti d'accordo sulla necessità di usare la commissione per l'impiego come la sede e lo strumento per governare la mobilità.
La seconda questione sulla quale c'è l'intesa è che venga considerato l'art. 4 della legge dei metalmeccanici come guida dei principi della gestione della mobilità. La terza questione riguarda l'unificazione della lista di mobilità. Ci sono poi altri punti sui quali la discussione è aperta.
Credo che domani potremo rendere pubblica la domanda di lavoro in Piemonte con un'approssimazione del 20/30 per cento. Saremo in grado di offrire le offerte di lavoro che enti pubblici, comuni, province, Regione banche, aziende municipalizzate negli anni '81, '82 e '83, ancorché si risolvano questioni giuridiche complesse relative ai concorsi per le assunzioni e all'età.
Rivolgo un appello a tutte le forze politiche del Consiglio. La dimensione dei problemi che abbiamo di fronte in questo campo esige uno sforzo convergente: le cose che ha detto Carletto davanti alla Ceat erano le cose che abbiamo detto noi; a Cirié non credo che Brizio abbia detto cose opposte a quelle dette da Alasia. Con questo non voglio ridurre le diversità, che sono il sale della vita politica, voglio dire che la gravità dei problemi ci obbliga a uno sforzo convergente.
Persino il Consigliere Carazzoni, con il suo richiamo alla bandiera voleva fare un appello unitario. Questa è la parte del suo intervento che seppure l'ho apprezzato, non raccolgo. La canzone che ha citato non conteneva parole becere. Sono andato a vedere che cosa dicevano quelle parole: "Signor padrone dalle belle braghe bianche - fuori i soldi che andiamo a casa - scusi signor padrone se l'abbiamo fatto tribolare - erano le prime volte e non sapevamo come fare - prima lo legavamo alla radice (parlavano dei fuscelli delle piante del riso) - poi dopo la rompevamo - e adesso che l'abbiamo tolto via - salutiamo e poi andiamo via".
E' una canzone che si cantava nelle risaie novaresi e vercellesi nel '36, ma che probabilmente era nata attorno agli anni '31/32, periodo nel quale i salari delle mondine furono particolarmente falcidiati e questa canzone oltre alla protesta contiene qualche bonaria ironia. C'è poi il riferimento ai 40 giorni di lavoro. Dopo venti giorni incominciavano a sognare il momento che tornavano a casa e il momento in cui il padrone avrebbe dato le palanche: è una canzone piena di ironia, di sentimento, di speranza. Quindi non parole becere.
Per quanto riguarda la questione della bandiera nazionale, sono d'accordo con il Consigliere Carazzoni se quello che ha detto vuol dire quello che diceva Donat Cattin prima che inventasse il 'preambolo'. Quando Donat Cattin era ministro del lavoro diceva nei confronti di certi settori industriali che avevano tre bandiere, quella svizzera che usavano quanto mandavano i capitali all'estero; quella panamense che usavano quando bisognava mettere la bandiera alla barca; quella nazionale che agitavano quando c'era da salvare la patria! Il fatto che lei abbia fatto questo riferimento e appartenga a una parte politica - permetta che le dica - che la nostra concezione di salvare la patria non è quella che fu usata per tanti anni dietro quella bandiera dietro la quale si nascosero interessi tutt'altro che nobili e nazionali.
In questo senso non possiamo accogliere la sua frase.


Argomento: Variazioni di bilancio

Progetto di legge n. 127: "Seconda variazione al bilancio per l'anno 1981"


PRESIDENTE

Secondo quanto concordato nella riunione dei Capigruppo, propongo di iscrivere all'ordine del giorno il disegno di legge n. 127: "Seconda variazione al bilancio per l'anno 1981".
La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Se non è stata apportata una modifica all'ordine del giorno è opportuno che questo disegno di legge non passi, perché contiene alcune modifiche al bilancio che si fanno in via eccezionale, anche per tener conto della legge del personale dei Gruppi e degli adeguamenti finanziari conseguenti.
Ho appreso che questi adeguamenti sono solo parziali, ragion per cui è opportuno che diventino totali in modo da poter votare il disegno di legge nella sua completezza.



PRESIDENTE

E' stata portata la variazione di 60 milioni al cap. 50 del bilancio.
La parola al Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Mi dolgo che in sede di riunione dei Capigruppo mi sia stata data un'informazione imprecisa. Alla mia domanda in ordine al finanziamento, mi è stato risposto che si faceva fronte alla totalità dell'impegno.



PAGANELLI Ettore

Noi ci asteniamo in quanto si tratta di un adempimento tecnico. Voglio dire al collega Bastianini (non per fare le difese dell'Assessore Testa che solitamente è oggetto dei miei strali) che probabilmente c'è stato un malinteso tra la Presidenza del Consiglio regionale e l'Assessore, il quale riteneva di coprire tutto con 37 milioni. Chiarita la questione, si è modificato il provvedimento.



VIGLIONE Aldo

Il problema nasce dal fatto che la legge non definisce i rapporti all'interno del personale. La legge fissa alcuni ammontati da destinare ai Gruppi. Questi sono stati introdotti.
Alcuni Gruppi hanno poi comunicato il riferimento a personale esterno al Consiglio, personale che la legge prevede sia pagato dal bilancio del Consiglio regionale. Poiché alcuni Gruppi non hanno comunicato questo fatto, era difficile poterlo prevedere nell'ambito degli uffici finanziari.
Si è inteso sorreggere questa somma attraverso indicazioni di larga massima. Ancora oggi, per esempio, non conosciamo se i Gruppi intendono avvalersi, e in quale misura, del personale estraneo alla Regione, oppure se traggono dalla Regione il personale per far funzionare i propri uffici.
I Gruppi hanno ora determinato l'ammontare del personale esterno che poteva essere cognito né agli uffici finanziari né tanto meno all'Assessore.
Probabilmente nella riunione non ci siamo chiariti. L'Assessore pensava di aver adempiuto alla somma prefissata a favore dei Gruppi ma non quella relativa al personale in servizio esterno.



PRESIDENTE

Poiché l'argomento non è iscritto all'ordine del giorno, chiedo, per alzata di mano, se il Consiglio è d'accordo per l'iscrizione.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'iscrizione è approvata all'unanimità dei 38 Consiglieri presenti.
Fatta questa correzione, il Consiglio può passare alla votazione dell'articolato.
Art. 1 "Nello stato di previsione dell'entrata del bilancio per l'anno 1981 sono introdotte le variazioni di cui alla tabella A), annessa alla presente legge.
Il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 1 è approvato.
Art. 2 "Nello stato di previsione della spesa del bilancio per l'anno 1981 sono introdotte le variazioni di cui alla tabella B), annessa alla presente legge.
Il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 2 è approvato.
Art. 3 "Sono approvate le variazioni al bilancio per l'anno 1981 dell'Azienda regionale tenuta La Mandria, riportate nella tabella C) annessa alla presente legge". Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 3 è approvato.
Art. 4 "E' autorizzato il prelievo dal fondo di riserva di cassa di L.
3.904.597.689".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 4 è approvato.
Art. 5 "A parziale modifica dell'art. 12 della legge regionale 27/4/1981, n.
13, i mutui saranno stipulati ad un tasso massimo del 19,50% annuo, oneri fiscali esclusi, e per la durata massima dell'ammortamento di 35 anni.
Agli oneri derivanti dall'ammortamento dei mutui di cui al presente articolo, previsti in L. 15.436.000.000 per l'anno finanziario 1981 e in L.
35.000.000.000 per l'anno 1982 e successivi si provvede per l'anno 1981 con le disponibilità iscritte in corrispondenza dei capitoli n. 13.050 e 13.060 del bilancio per l'anno finanziario 1981 nella rispettiva misura di L.
15.172.000.000 e L. 264.500.000 e per gli anni finanziari 1982 e successivi con le somme che sono iscritte nell'ambito delle disponibilità esistenti alla voce 'Oneri non ripartibili' del bilancio pluriennale 1981-1983".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 5 è approvato.
Art. 6 "Le sottospecificate autorizzazioni di spesa, stabilite dall'art. 20 della legge regionale 27 aprile 1981, n. 13, ed iscritte ai capitoli sotto elencati sono modificate come a fianca di ciascun capitolo indicato: Capitolo 2680 ridotto di L. 200.000.000 Capitolo 2720 150.000.000 Capitolo 3140 100.000.000 Capitolo 3170 600.000.000 Capitolo 3260 50.000.000 Capitolo 3450 50.000.000 Capitolo 3586 100.000.000 Capitolo 3630 150.000.000 Capitolo 3645 50.000.000 Capitolo 3650 700.000.000 Capitolo 3670 40.782.500" Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 6 è approvato.
Art. 7 "Le autorizzazioni di spesa stabilite dall'art. 22 della legge' regionale 27/4/1981, n. 13, sono così modificate: L. 1.350.000.000, per gli oneri correnti di cui agli artt. 2, ultimo comma, 4, 6, lettere f), h), i) ed l), iscritte al capitolo 3310 L. 450.000.000, per le spese di cui agli artt, n. 3 e 6, lettere a) b), c), d), e), g) ed L), iscritte al capitolo n. 3320 L. 5.000.000, per i contributi di cui all'art. 8, iscritte al capitolo n. 3350". Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 7 è approvato.
Art. 8 "A parziale modifica dell'art. 27 della legge regionale 27/4/1981, n.
13, la spesa per la concessione dei contributi di cui all'art. 1 della legge regionale 9 aprile 1975, n. 21, integrato dalla legge regionale 11/8/1978, n. 50, è determinata per l'anno finanziario 1981 in L.
1.609.579.500 ed è iscritto al capitolo n. 5010. La spesa per la concessione di contributi di cui alla legge regionale 25/2/1980, n. 9, è determinata per l'anno finanziario 1981 in L. 5.209.000.000 ed è iscritta al capitolo 5025".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 8 è approvato.
Art. 9 "Ai sensi di quanto disposto dall'art. 54 della legge regionale 12/10/1978, n. 63, nello stato di previsione della spesa del bilancio per l'anno 1981 - è istituito il capitolo n. 3885 con la seguente denominazione: 'Spesa a carico del bilancio regionale per il ripristino delle strade interpoderali danneggiate da eccezionali avversità atmosferiche' e con la dotazione di L. 523.000.000 in termini di competenza e di cassa".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 9 è approvato.
Art. 10 "L'autorizzazione di spesa stabilita dall'art. 37, secondo comma, della legge regionale 27 aprile 1981, n. 13, ed iscritta al capitolo n. 5855, è ridotta di 2.000 milioni".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 10 è approvato.
Art. 11 "L'autorizzazione di spesa stabilita dall'art. 43, secondo comma, della legge regionale 27 aprile 1981, n. 13 ed iscritta al capitolo n. 6020, è aumentata di 1000 milioni".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 11 è approvato.
Art. 12 "L'autorizzazione di spesa stabilita dall'art. 66, primo comma, della legge regionale 27 aprile 1981, n. 13 ed iscritta al capitolo n. 9300, è aumentata di 1.000 milioni".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 12 è approvato.
Art. 13 "L'autorizzazione di spesa stabilita dall'art. 51, primo comma, della legge regionale 27 aprile 1981, n. 13, ed iscritta al capitolo n. 7930 è aumentata di 13 milioni".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 13 è approvato.
Art. 14 "La spesa per la concessione dei contributi negli interessi di cui all'art. 3, lettera d) della legge regionale 16 maggio 1975, n. 28 è determinata per l'anno finanziario 1981 in L. 39.798.000, ed è iscritta al capitolo 5475".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 14 è approvato.
Art. 15 "La presente legge è dichiarata urgente ed entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri L'art. 15 è approvato.
Si passi alla votazione sull'intero testo della legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 25 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri Il testo della legge è approvato.


Argomento: USSL: Piante organiche

Esame deliberazione relativa a: "Determinazione piante organiche provvisorie delle Unità Sanitarie Locali della Regione, ex art. 1, D.L. 28/5/81 n. 247"


PRESIDENTE

Propongo di iscrivere all'ordine del giorno la deliberazione relativa alla "Determinazione piante organiche provvisorie delle Unità Sanitarie Locali della Regione, ex art. 1, D.L. 28/5/81 n. 247".
Chi approva è pregato di alzare la mano. E' approvata all'unanimità dei 38 Consiglieri presenti in aula.
Vi dò lettura della deliberazione: "Il Consiglio regionale vista la deliberazione della Giunta regionale n. 258-9045 del 21/7/1981 sentito il parere espresso dalla V Commissione consiliare permanente delibera di approvare le piante organiche provvisorie, così come risultanti dalle tabelle relative alle singole Unità Sanitarie Locali costituenti parte integrante e sostanziale del presente provvedimento, in attuazione del dettato dell'art. 1 del D.L. 28 maggio 1981 n. 247, dando atto che il numero complessivo dei posti è di n. 49.926, così suddiviso: U.S.L. n. 1-23 n. 16.138 U.S.L. n. 24 n. 1.263 U.S.L. n. 25 n. 531 U.S.L. n. 26 n. 386 U.S.L. n. 27 n. 488 U.S.L. n. 28 n. 113 U.S.L. n. 29 n. 63 U.S.L. n. 30 n. 462 U.S.L. n. 31 n. 452 U.S.L. n. 32 n. 601 U.S.L. n. 33 n. 94 U.S.L. n. 34 n. 1.270 U.S.L. n. 35 n. 243 U.S.L. n. 36 n. 540 U.S.L. n. 37 n. 193 U.S.L. n. 38 n. 383 U.S.L. n. 39 n. 535 U.S.L. n. 40 n. 1.282 U.S.L. n. 41 n. 210 U.S.L. n. 42 n. 211 U.S.L. n. 43 n. 67 U.S.L. n. 44 n. 892 U.S.L. n. 45 n. 1.682 U.S.L. n. 46 n. 253 U.S.L. n. 47 n. 1.546 U.S.L. n. 48 n. 255 U.S.L. n. 49 n. 583 U.S.L. n. 50 n. 331 U.S.L. n. 51 n. 2.242 U.S.L. n. 52 n. 230 U.S.L. n. 53 n. 331 U.S.L. n. 54 n. 578 U.S.L. n. 55 n. 743 U.S.L. n. 56 n. 635 U.S.L. n. 57 n. 344 U.S.L. n. 58 n. 1.895 U.S.L. n. 59 n. 92 U.S.L. n. 60 n. 199 U.S.L. n. 61 n. 1.048 U.S.L. n. 62 n. 338 U.S.L. n. 63 n. 452 U.S.L. n. 64 n. 401 U.S.L. n. 65 n. 664 U.S.L. n. 66 n. 488 U.S.L. n. 67 n. 273 U.S.L. n. 68 n. 1.448 U.S.L. n. 69 n. 499 U.S.L. n. 70 n. 2.727 U.S.L. n. 71 n. 68 U.S.L. n. 72 n. 696 U.S.L. n. 73 n. 781 U.S.L. n. 74 n. 197 U.S.L. n. 75 n. 483 U.S.L. n. 76 n. 1.007 di demandare: a) all'U.S.L. n. 1-23 di Torino la distribuzione per le strutture in cui si articolerà in via definitiva la gestione delle attività sanitarie sul territorio metropolitano, delle piante organiche provvisorie relative al personale non impegnato nell'assistenza ospedaliera complessivamente determinato con il presente provvedimento, dando atto che, fino al trasferimento delle funzioni attualmente di competenza degli enti ospedalieri alla stessa U.S.L., i relativi organici sono indisponibili per quest' ultima, perdurando, in ogni caso, in capo ai primi le limitazioni ed i divieti previsti dalla normativa in vigore b) a tutte le UU.SS.LL. L'adozione, nel rispetto delle normative in materia, degli atti necessari: per eliminare eventuali errori conseguenti all'acquisizione di dati non esatti o non esattamente interpretati per la ridefinizione delle "qualifiche" in relazione all'emanazione dei provvedimenti previsti dagli artt. 12 e 63 del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, nonché all'inserimento del personale nel ruolo nominativo regionale del personale del servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle tabelle di equiparazione, di cui all'allegato n. 2 del decreto stesso per provvedere alle variazioni ed integrazioni dovute a nuovi trasferimenti di funzione e personale (es. Ispettorati del Lavoro) di invitare tutte le UU.SS.LL.: - ad uniformarsi agli indirizzi di carattere generale per la gestione, a breve termine, delle piante organiche provvisorie, dettagliatamente enunciati nella premessa che qui, all'uopo vengono richiamate nella loro interezza a dare la massima diffusione al presente provvedimento, portandolo in ogni caso a conoscenza di tutte le Organizzazioni sindacali del personale impegnato nel servizio sanitario di dichiarare il presente provvedimento immediatamente eseguibile, ai sensi del disposto dell'art. 49 della legge 10 febbraio 1953 n. 62, dando atto che lo stesso verrà pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte ai sensi dell'art. 65 dello Statuto".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dai 38 Consiglieri presenti in aula.
I lavori riprenderanno domani mattina con la discussione sui piani territoriali.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,30)



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