Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.7 del 12/09/80 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Questioni internazionali

Dibattito sulla crisi in Polonia


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Riprende il dibattito sulla crisi in Polonia.
E' iscritto a parlare il Consigliere Mignone. Ne ha facoltà.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, anche se il Gruppo socialdemocratico ha espresso le proprie opinioni con l'ordine del giorno presentato questa mattina dal Presidente del Gruppo del P.S.I. riteniamo opportuno intervenire per ulteriormente arricchire la parole scritte nell'ordine del giorno che peraltro sono piuttosto schematiche. Abbiamo ascoltato gli interventi di questa mattina che sono stati qualificati appassionati, taluni anche passionali. Spesso il dibattito si è soffermato sulle vicende di fine agosto e dei primi di settembre, ossia sui punti concordati tra gli operai e il governo polacco, mentre sappiamo che in questo periodo la situazione è andata evolvendosi in modo incisivo con i mutamenti intervenuti al vertice del regime polacco. L'ordine del giorno da un lato sottolinea il valore democratico della lotta operaia e delle conquiste raggiunte e dall'altro chiede solidarietà per i lavoratori in lotta e una serie di iniziative concrete per sostenere la Polonia con una indicazione di rafforzamento della politica di distensione.
Da questa vicenda emergono indicazioni e spunti di riflessione per la società e le forze politiche italiane, in ordine agli aspetti sociali e politici, alla disputa sul rapporto tra socialismo e libertà e infine sui riflessi internazionali che la vicenda polacca può provocare. Certamente la strutturazione di classe all'interno della società polacca, dovuta all'effetto della mediazione istituzionale del potere prevalente nei regimi a socialismo di stato, ha provocato, con il crescere dello sviluppo economico, una maggiore articolazione della società polacca collegata ad aspetti di mobilità sia intragenerazionale che intergenerazionale, tale da far pensare che esiste un pluralismo di strati e di ceti, che poi possono collegarsi ed esprimersi attraverso gruppi di interessi o di pressione, e che comunque ritengono troppo strette le maglie del partito unico o del partito egemonico. Qui si potrebbe aprire una lunga disputa attorno a quella che è stata l'efficacia euristica della teoria della convergenza quando finì la guerra fredda parve una teoria predominante: ossia, nella misura in cui si va verso livelli sempre più elevati di industrializzazione, si procede sempre più verso articolazioni maggiori all'interno della società, quindi le società occidentali ed orientali convergerebbero verso problemi e strutturazioni di classe interne abbastanza simili. A nostro avviso i fatti polacchi sono la punta di un iceberg, sono il riflesso di come nella società polacca, che pur non era tra le società più avanzate dal punto di vista industriale nell'est europeo, ci sia un'articolazione di strati, di ceti e di raggruppamenti che chiedono maggiori spazi di espressione. L'arena consentita, il partito unico in Polonia, è un'arena che non consente una efficace espressione di queste tendenze e di queste linee. Ricordiamo che questa era una linea di evoluzione della situazione in Cecoslovacchia quando i membri del Comitato centrale del partito cecoslovacco nel programma d'azione puntualizzavano questo aspetto, facendolo diventare l'elemento centrale della loro proposta politica. Ma il discorso diventerebbe molto lungo, basti dire che anche questa fase travagliata della politica polacca può essere la rappresentazione speculare di una crescita più articolata della società polacca, che chiede maggiori spazi di espressione.
Per quanto riguarda gli aspetti contingenti abbiamo assistito alla impressionante prova di forza tra il proletariato ed il Partito Comunista polacco, controllata e consapevole dei limiti e delle conseguenze che potevano derivare. I tre gruppi di interesse fondamentali della vita polacca, la Chiesa, l'intellighenzia e la classe operaia hanno ottenuto una vittoria significativa. Il problema sta nel risvolto sul piano sociale politico ed economico. E' chiaro che questo non potrà non avere delle valenze di carattere politico. Giustamente è stata ricordata la frase di Bobbio che "una libertà tira l'altra". Qui occorre ricordare anche quanto diceva un secolo fa Guizot che i diritti non sono tali se non vi sono delle libertà, ma le libertà debbono essere anche poteri, diversamente non vi sono né diritti né libertà. La classe operaia dovrà vigilare a che il partito non vanifichi questi successi come è già successo nella travagliata storia polacca; sono stati ricordati i fatti del '56 quando sorsero consigli di fabbrica liberi conquistati dalla classe operaia e successivamente inglobati nel sindacato unico, e quelli del '70. Sappiamo che la classe operaia polacca ha dietro di sé una lunga storia e conoscenza degli errori che talora può aver commesso. Riconosciamo che non si è lasciata trascinare dalla tentazione dello scontro frontale, che sarebbe stato perdente, né ha ceduto di fronte a piatti di lenticchie più o meno promesse. Siamo di fronte ad un movimento che ha obiettivi concreti capacità di movimento e di collegamento su tutto il territorio nazionale quindi difficilmente isolabile. Questa classe operaia ha conseguito due vittorie importanti destinate forse anche ad assumere maggior importanza in futuro: la possibilità di trattare con il governo da una posizione di forza e il rimpasto al vertice del partito.
Dobbiamo però riconoscere che, al di là dei toni più o meno trionfalistici registrati in Italia, la situazione polacca si è ulteriormente complicata con i mutamenti che sono avvenuti al vertice politico. Qui subentrano quelle implicanze e quei riflessi internazionali di cui parlavo. La Polonia con Gierek aveva già conseguito dei legami e dei contatti con l'occidente, tanto che era diventato uno Stato di relazioni speciali. Non sappiamo se con Kania queste relazioni proseguiranno o se il discorso non sarà diverso; soprattutto ricordiamo come quest'uomo aveva cercato di inserire nella costituzione polacca un articolo che sancisce a chiare lettere il discorso della solidarietà con l'Unione Sovietica quindi, non sappiamo quanto questo sommovimento ai vertici polacchi possa avere delle conseguenze sul piano internazionale. Di sicuro, provocherà un rallentamento nella politica di distensione e difficoltà per l'Europa cancellando i primi passi compiuti e rendendo incerto il progetto tracciato da Willy Brandt e da Schmidt. La crisi polacca ci dimostra che la situazione internazionale diventa congestionata e senza sbocchi quando è in gioco un Paese europeo.
Dobbiamo riconoscere che la distensione ha contribuito alla rinascita del movimento operaio democratico polacco, ha suscitato stimoli di libertà attraverso l'intensificarsi dei contatti umani e la creazione di un clima di reciproca tolleranza, comunque ha fatto risorgere nei popoli dell'est la speranza di riconquistare spazi di autonomia nazionale e politica. La distensione, che non è equilibrio dei blocchi, ha creato all'interno dei Paesi dell'est dei gruppi di interesse o di pressione interessati alla cooperazione, ha creato delle interferenze che finiscono per allontanare il pericolo dello scontro, ha favorito la graduale evoluzione della società democratica.
Cambia il clima senza spargimenti di sangue, è stato autorevolmente detto che la libertà sta sulle braccia della classe operaia, ha attuato delle alleanze battendo la violenza interna ed esterna. La richiesta fondamentale è stata quella dei sindacati liberi, richiesta che finora era venuta dagli intellettuali, oggi è venuta dai bisogni dei lavoratori.
Questa lotta porterà certamente risultati positivi nella coscienza popolare e nei rapporti sociali. E' l'avvenimento più significativo verificatosi nell'Europa dell'est dalla fine della seconda guerra mondiale. Gli avvenimenti di Polonia introducono una nuova fase, aprono una breccia nell'Europa orientale, sia per quanto riguarda la coscienza popolare sia per quanto riguarda l'abbattimento del potere monopolistico del partito sulla società.
Su questi principi e su queste connotazioni si è sviluppato l'ordine del giorno che i Gruppi del P.S.I. e del P.S.D.I. del Consiglio regionale hanno sottoscritto, il quale è aperto ai contributi degli altri Gruppi posto che l'obiettivo è di una decisione unanime del Consiglio regionale che testimoni la solidarietà con i lavoratori polacchi, sottolinei le conquiste che sono state raggiunte e impegni le istituzioni perché questa evoluzione avvenga in senso pacifico, senza interferenze. Grazie.



PRESIDENTE

Prima di dare la parola al Consigliere Revelli, comunico che, conclusa la discussione sulla crisi polacca, l'Assessore Alasia illustrerà la situazione occupazionale dell'Indesit e di altre aziende in crisi.
La relazione della Giunta sul carovita sarà iscritta nell'ordine del giorno del 23 settembre.
Informo, inoltre, che il giorno 18, alle ore 11, si terrà la riunione dei Capigruppo e nel pomeriggio alle ore 15 ci, sarà l'insediamento delle Commissioni.
Proseguiamo il dibattito stilla crisi polacca. La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ringrazio il Presidente della Giunta per la sua relazione che noi del Gruppo comunista abbiamo accolto come relazione di "tutta" la Giunta e non soltanto del Presidente socialista Enrietti.
E' vero ciò che ha detto il Consigliere della D.C. Paganelli - di cui ho apprezzato l'intervento di questa mattina - e cioè che su questa questione sulla crisi polacca molto è già stato detto. Voglio solo ritornare su alcuni punti essenziali, per chiarire, se ancora ve ne fosse bisogno, la nostra posizione ed il senso del nostro ordine del giorno.
Non suscita stupore nel P.C.I. la crisi polacca. La riflessione critica che abbiamo avviata da tempo sulle realtà del socialismo così come finora si è realizzato nei Paesi dell'est, ne è testimonianza concreta.
D'altro canto il senso della scelta eurocomunista, della terza via della nostra strategia politica, scaturisce non soltanto da questo, ma anche, in gran parte, dalla consapevolezza dei problemi irrisolti che travagliano quei Paesi.
E' dunque una questione che ci tocca da vicino - "pane per i nostri denti, quelli dell'eurocomunismo" come si è scritto in questi giorni capire, andare a fondo dei contrasti, dei conflitti e di quelle crisi.
Vorremmo ricordare però che questo è un compito, un dovere di tutte le forze della democrazia italiana. In primo luogo perché vi sono delle questioni di principio, irrinunciabili. In secondo luogo perché ci pare che, al di là delle affermazioni di principio, nessuno - che abbia coscienza dei problemi che travagliano le società sviluppate - può pensare che oggi basti qualche formula di democrazia liberale come pretenderebbe di insegnarci il Consigliere Marchini - per risolvere i problemi, per mettere a posto tutto, né per altro sono sufficienti gli auspici di cui si pu apprezzare il pathos ma non il pessimismo /mostrato dalla collega Vetrino Nicola del P.R.I.
Certo, vi è una prima affermazione che facciamo come comunisti italiani, ormai nota e più volte ripetuta. Guardiamo ai Paesi socialisti dell'est senza avere gli occhi velati da falsi ideologismi. Sappiamo che grandi problemi storici sono stati affrontati e risolti in senso socialista in quei Paesi, ma non ci accontentiamo certo - come nel caso della Polonia di dire che vi è stato un grande progresso rispetto alla Polonia dei colonnelli. Vogliamo ribadire, come ricordava recentemente Berlinguer, con un giudizio più generale, "che rimane per noi inaccettabile un regime politico che non garantisce il pieno esercizio delle libertà. Il che non è una cosa da poco - aggiungeva - anzi è la cosa più grave ed è ciò che ci spinge a cercare una via al socialismo diversa". La democrazia e la libertà, ce lo dimostra la nostra esperienza di comunisti italiani, sono una conquista del movimento operaio e rispondono ad una scala di valori irrinunciabili, universale. Anche per questo le nostre prese di posizione non si sono mai richiamate ad "opportunismi" né a convenienze tattiche, del momento, magari per fare una maggioranza, per dialogare meglio con qualcuno, o in modo strumentale per perseguire dei fini soltanto nella politica nazionale. E parimenti ribadiamo - e questo è un punto altrettanto fermo ed importante quanto il primo - che non abbiamo ricette per quei Paesi e non pretendiamo di imporre i nostri giudizi. La nostra stessa concezione storicistica, non dogmatica, non ideologica del socialismo, lo esclude.
Ci pare quindi un po' semplicistico ripetere la "vecchia" lezione come molti hanno fatto nel dibattito che si è aperto sulla questione polacca in questi tempi - secondo la quale è impossibile il rapporto democrazia - socialismo, tra libertà, democrazia e socialismo, o quell'altra lezione, di altri, secondo i quali il modello alternativo di socialismo è già confezionato e vive nell'esempio delle socialdemocrazie europee - occidentali.
Non è nelle nostre intenzioni fare del facile propagandismo, conoscendo gli errori e le esagerazioni in cui - in passato ed in particolari circostanze - siamo caduti. Ma chiediamo: è davvero pensabile considerare anche sotto il profilo dei principi, che in questo ed in altri Paesi dell'est vi siano stati e vi siano solo buio ed oppressione? Il Presidente della Giunta parlava di eguaglianza e di giustizia senza la libertà, come caratteristica di quei Paesi. E' vero! E' anche vero che quelle società sono in crisi, lo dicono in molti e lo diciamo anche noi da tempo. Ma proprio su quel terreno dell'uguaglianza, della giustizia sociale, non vi sarebbe forse da cogliere in modo più "laico", oggettivo il messaggio che ci viene dai lavoratori polacchi, dalla Chiesa di quella nazione, dalle stesse istituzioni, dallo stesso partito, dallo Stato, che sono costretti a mutamenti profondi? E' davvero così semplice assimilare tutto al nostro modello, alla nostra gerarchia di valori? Non riflettere sulle modificazioni profonde che nuove condizioni di uguaglianza e di giustizia sociale hanno prodotto in quei Paesi, vorrebbe dire non cogliere nemmeno il peso che questi Paesi hanno avuto nel mutare gli equilibri del mondo, i rapporti di forza nel mondo.
Non guardando a fondo quindi, non cercando di capire di più forse rischiamo: di non cogliere i mutamenti nella stessa Chiesa polacca, della quale tanto si è parlato in questo dibattito, né che quei lavoratori in lotta vogliono un socialismo che superi i vecchi connotati.
Noi non crediamo che in Polonia tutto sia già risolto, che non vi siano pericoli, ma sappiamo anche che in queste settimane di tensione, in questo sommovimento vi sono aspirazioni profonde, germi per nuove riflessioni forse possibilità di nuove alleanze sociali, di sbocchi politici più avanzati.
D'altro canto se così non facessimo, se non prestassimo attenzione, se credessimo che i campi sono già delimitati a nostra immagine e somiglianza i problemi intorno a cui si svolge la crisi polacca non si porrebbero nemmeno e la lezione non ci farebbe fare passi avanti.
Noi guardiamo dunque a quella realtà, a quel movimento, a quella crisi avendo anche presente i problemi strutturali, le aspirazioni che animano gli uomini, le parti in causa, convinti che un simile sviluppo non pu rinchiudersi solo in un partito che tradizionalmente per la linea seguita in questi Paesi si fa Stato inglobando tutto dentro di sé.
Vi è una seconda questione che ci pare di grande attualità, perché più vicina a noi, ai nostri problemi, ed essa non è stata colta nel dibattito stamani se non in parte, soprattutto per le questioni dei rapporti di forza tra est ed ovest, dal compagno Viglione.
I Paesi socialisti non sono impermeabili alla crisi che travaglia il mondo occidentale. Nel dopoguerra, soprattutto in questo ultimo decennio si sono stabiliti rapporti sempre più stretti tra est ed ovest sul piano economico e commerciale. Il mondo, in qualche misura, su alcuni terreni, è più unito. Vi è un intreccio più fitto di relazioni che ci condizionano ormai profondamente, all'est come all'ovest.
Gli stessi rapporti con il Terzo Mondo, grazie alla battaglia antimperialista che ha segnato questo trentennio trascorso, sono ad un passaggio nuovo, caratterizzato dalla crisi delle vecchie ragioni di scambio ineguale, e di un modello di sviluppo che per anni ha contraddistinto l'occidente. Questa crisi, con i suoi connotati più generali, mondiali, entra anche nei Paesi dell'est, pone problemi nuovi. E' una situazione che è stata generata dalla politica di distensione, e che quindi giudichiamo in modo positivo, e ci dice che da questa crisi generale non è possibile uscire senza nuovi equilibri che tengano conto di questa interdipendenza difficilmente immaginabile fino a pochi decenni fa.
Sotto questo profilo la Polonia è certo il Paese socialista più esposto, per la politica svolta in questi anni di scambi con l'estero e di indebitamento ai fini dello sviluppo. Non voglio soffermarmi oltre su questo problema. Leggevo con grande interesse l'intervista, comparsa sulla "Repubblica" di oggi, rilasciata da un dirigente polacco di primo piano commentatore politico del giornale del partito "Trybuna Ludu", quale spiega lo sviluppo assunto in questi anni dall'economia polacca, i limiti e gli i errori, ma anche l'interesse con cui quel governo ha condotto tale politica rispetto ai Paesi occidentali. Voglio invece sottolineare che se questa interdipendenza maggiore tra ovest ed est è così profonda, come a me pare allora i temi - di cui tante volte il compagno Minucci ha discusso in questo Consiglio - e cioè quelli della ricomposizione tra economia e politica assumano una rilevanza grande anche in quei Paesi. Proprio perch noi ci siamo battuti e ci battiamo per quella ricomposizione, che significa impossibilità di mantenere (come la questione Fiat ci dimostra proprio in queste ore) estranei i momenti fondamentali dell'organizzazione economica dalle istituzioni che vogliamo siano punto di riferimento per una politica di programmazione, siamo critici, non solo a parole, ma con la nostra azione quotidiana, con le nostre lotte, con le battaglie del movimento operaio rispetto alla realtà polacca dove il distacco tra politica ed economia ha generato gran parte della crisi attuale. Proprio perché abbiamo una concezione particolare del ruolo del partito e di quello delle istituzioni, dello Stato, siamo critici verso quell'esperienza che ha permesso non solo di commettere gravi errori, ma anche di non capire ci che avveniva di nuovo nella società.
Per questo mi pare che il discorso sulla democrazia e il socialismo si riapra, in tutte quelli componenti sociali e politiche prima citate, nel Partito Comunista polacco e nei suoi rapporti con la classe operaia, con l'estate di Danzica in modo molto più radicale che nel passato.
Si pongono questioni per molti aspetti inedite - e non mi riferisco a quelle di principio - che non hanno trovato ancora soluzione neanche in altri Paesi, nemmeno là, in occidente, dove sono al governo partiti socialisti democratici, che pure hanno realizzato grandi riforme ed ai quali ci si richiama troppo sovente senza il sufficiente spirito critico.
Noi siamo convinti che quando grandi masse di lavoratori danno vita a lotte di questa portata - che sono sovente precedute da segnali, da elaborazioni culturali, e nel caso polacco non ne sono mancate anche in settori di intellettuali, non direttamente legati alla militanza del Partito Comunista quando i lavoratori parlano di nuovi sindacati, di un nuovo rapporto con la politica, allora sono nodi di fondo che vengono al pettine. Quando guardiamo a quegli accordi stipulati a Danzica e leggiamo che in essi si interviene su questioni che attengono cosi profondamente al rapporto tra partito e società, tra partito e Stato oltre che ai problemi della libertà di espressione; quando in essi si mette in discussione il vecchio rapporto tra le istituzioni e il governo dell'economia; quando si riportano in primo piano i problemi connessi ad un pluralismo sociale complesso; allora ci troviamo di fronte a qualche cosa che ci deve indurre ad una riflessione molto più approfondita. Sono questioni poste da un movimento che si richiama al socialismo e che si è comunque prodotto in un luogo fondamentale per il processo produttivo moderno: la fabbrica; laddove vi è un ruolo della classe operaia, che noi non mitizziamo certo, coscienti delle spinte corporative alle quali si riferiva poco fa il collega Mignone ma che pur tuttavia ci ripropongono quel terreno sul quale noi comunisti italiani da anni ci cimentiamo ed abbiamo fortemente caratterizzato la nostra azione politica. Ci rendiamo conto, proprio qui nel nostro Paese per esperienza dirette delle nostre lotte e delle nostre riflessioni, che la più diffusa partecipazione, le più articolate forme di democrazia di base hanno certo fatto compiere enormi passi avanti alla democrazia italiana, ma al tempo stesso sappiamo anche che tutto ciò non è sufficiente a risolvere i problemi del nostro Paese perché i conflitti di classe influenzano in modo ancora decisivo la direzione della società italiana. A maggior ragione dunque siamo critici sull'esperienza polacca poich crediamo che in un Paese come la Polonia. dove rilievo molto minore hanno i conflitti ed i contrasti di classe, la diffusione degli strumenti di democrazia, della partecipazione dovrebbero essere considerati mezzi efficaci per affrontare e risolvere i problemi posti dalle lotte dei lavoratori.
Credo, infine, che negli accordi di Danzica si ponga un tema più generale che riguarda tanto i Paesi dell'est come quelli dell'occidente europeo: il problema di come si governa in una situazione di crisi dello sviluppo.
Sono problemi che noi poniamo sul tappeto dicendo che se vogliamo dare solidarietà ed aiuto a quella realtà, bisogna che vi sia pure un punto di incontro, un terreno su cui incontrarci per capire quel tipo di esperienza e per non richiamarci soltanto, come molti hanno fatto in questo dibattito a qualche slogan, a qualche immagine che giustifichi le emozioni.
Vi è poi una terza questione, trattata da molti nei loro interventi. Vi è un connotato nuovo, di cui tener conto ed emerso con forza in Europa in questo ultimo decennio: mi riferisco a quella richiesta di una maggior autonomia presente nell'azione di alcuni governi dell'Europa occidentale in politica estera. E' una questione che riguarda anche la Polonia e cioè quella di sapere come è possibile svolgere un'azione autonoma un'iniziativa positiva per la distensione, la pace, per stabilire nuovi rapporti con i Paesi emergenti, stando all'interno di uno dei due blocchi contrapposti. Questo problema si pone in modo urgente per noi, per il nostro Paese. Quando noi comunisti diciamo di aver fatto la scelta di stare nella Nato non ci ispiriamo solo al realismo politico che vede due blocchi contrapposti, ma chiediamo un'azione positiva del nostro Paese con gli altri governi europei che favorisca la distensione e crei le condizioni per il superamento dei blocchi. Per questo condividiamo l'atteggiamento assunto dal Cancelliere Schmidt, dallo stesso Giscard d'Estaing, di fronte ai fatti polacchi, la scelta di non rompere il dialogo ed il confronto. E chiediamo di non rimanere passivi all'interno della nostra alleanza, di non far parte della Nato soltanto per tacere e dire di sì alla politica Usa, ma per assumere iniziative positive che facilitino il confronto. Anche questo è un terreno sul quale possiamo renderci conto, malgrado gli errori commessi dal Partito Comunista polacco, del ruolo svolto dalla Polonia quale interlocutore dell'occidente europeo, dallo sforzo compiuto dal governo di quel Paese per stabilire un rapporto nuovo tra est ed ovest che in molti casi ha salvato il dialogo tra le stesse due superpotenze. Anche qui vi è qualche cosa su cui riflettere attentamente, e che troppo facilmente dimenticano i colleghi democristiani, e cioè il fatto che per giudicare criticare gli errori altrui occorre anche essere in grado di riflettere sui limiti dell'iniziativa del governo del nostro Paese.
Certo questo complesso di problemi ha già portato, dobbiamo riconoscerlo, ad incrinare in molte forze politiche una vecchia sensibilità, tutta ideologica che ha sempre fatto considerare i Paesi dell'est europeo come entità totalmente diverse da noi, con le quali non ci può essere che una contrapposizione frontale. Per questo, e condividiamo tutta questa parte della relazione di Enrietti, la questione della crisi polacca è un momento delicato che rischia di mettere in discussione ciò ch già si è consolidato nel rapporto tra est ed ovest. Attraverso una soluzione positiva di questa crisi passa la ricucitura del dialogo mondiale, e noi dobbiamo fare la nostra parte.
A questo si richiama il nostro ordine del giorno.
Dobbiamo sentire tutti di più la responsabilità per un'evoluzione positiva della crisi polacca. Certo questo vale in primo luogo per il Partito Comunista di quel Paese che sino ad oggi ha saputo compiere scelte coraggiose; così come per i lavoratori polacchi, per la Chiesa, poiché sono questi protagonisti che devono garantire, insieme, il rispetto all'attuazione degli accordi. Ma se sottolineiamo l'azione decisa e coraggiosa del Partito Comunista polacco, lo spirito di responsabilità della Chiesa di quel Paese, vogliamo anche ricordare che vi è una responsabilità nuova per gli organismi sindacali che si danno i lavoratori per gli intellettuali, per gli stessi gruppi di opposizione. E' un'impresa ardua e non è affatto scontato che tutto sia già incanalato sulla strada giusta. Ecco perché nell'ordine del giorno ribadiamo anche le responsabilità dei governi dell'Europa occidentale, del nostro governo delle forze politiche e democratiche italiane e parliamo di un aiuto per quel Paese non solo a tutela delle relazioni economiche e commerciali stabilite in questi anni, bensì di un intervento che deve vedere protagonista il nostro governo nelle organizzazioni internazionali per un intervento che passi in primo luogo attraverso la CEE, come già avevano avuto modo di dichiarare il 22 agosto il Presidente e il Vicepresidente della Giunta.
Infine noi giudichiamo molto importante che si vadano aprendo spazi nuovi per il confronto nella sinistra europea ed italiana e tra questa e il mondo cattolico sui temi che sono stati richiamati in questo dibattito.
Se l'eurocomunismo ha una sua profonda ragione d'essere, se ha una sua peculiarità, è perché può parlare europeo, farsi intendere ad ovest come ad est, farsi interlocutore di tutti coloro che sanno che la portata dei problemi maturati in questo lungo e tormentato dopoguerra è di primaria importanza, decisiva forse anche per le sorti dell'umanità, cerchiamo il colloquio, l'unità con tutte quelle forze che in Italia ed in Europa richiamandosi al movimento dei lavoratori, si battono per affrontare e risolvere la crisi.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Reburdo.



REBURDO Giuseppe

Ritengo di intervenire brevemente nel dibattito sulla crisi della Polonia, argomento delicato e ricco di sollecitazioni e spunti sull'onda delle grandi lotte operaie che hanno caratterizzato la vita di quel Paese anche in questi ultimi tempi.
Questo argomento va affrontato facendo un grande sforzo di onestà intellettuale e politica, uscendo da tentativi di speculazione e di strumentalizzazione perché l'esperienza della Polonia tocca tutte le parti politiche, sociali e culturali e può segnare un momento di svolta nei rapporti tra i popoli e di nuove esperienze e collaborazioni.
Chi in questi anni ha seguito con attenzione i problemi e le tensioni di tipo politico, sociale e religioso che quel Paese ha vissuto non si è stupito del fatto che le lotte operaie richiedevano un profondo cambiamento e un profondo rinnovamento dell'esperienza storica di quel Paese. I fatti di agosto quindi non possono costituire una sorpresa ma un momento di ulteriore approfondimento di un travaglio che dura da anni. Quel Paese ha vissuto un'esperienza ricca di articolazioni sociali, un'esperienza dove la Chiesa gioca un ruolo importante anche sul piano della rappresentatività dei credenti, La Polonia è un Paese ad economia mista, è un Paese in cui la ricca articolazione sociale ne ha, in qualche modo segnato la vita.
Vi sono, quindi, alcuni elementi che richiedono una riflessione e un confronto di carattere politico, culturale e ideale. Indubbiamente la crisi dei rapporti tra società, Stato e partito stimola a verificare e ad individuare esperienze nuove, rapporti nuovi. Va sottolineato in particolare un elemento, secondo me, rilevante e cioè che esiste in Polonia un'affermata autonomia della società civile come esperienza che tende ad essere valorizzata nel quadro di uno stato non totalizzante. L'elemento che più ha caratterizzato la vita di quel Paese nei recenti avvenimenti è il ruolo di protagonismo reale assunto dalla classe operaia, la quale è responsabile, è in grado di giudicare i rapporti di forza e di sviluppare iniziative di mobilitazione, di lotta che tendono ad affermare elementi di pluralismo, di autonomia sindacale, di sviluppo delle libertà civili e democratiche; insomma è un tentativo per avviare un'esperienza nuova, in un Paese socialista, tra partito e società civile che si organizza non in contestazione, ma per ritrovare insieme la strada del cambiamento e del progresso.
In questo quadro vanno sottolineati l'importanza e il ruolo che la Chiesa polacca ha svolto. E' una Chiesa aperta sul piano del rapporto politico con lo Stato socialista, che ha vissuto momenti difficili realizzando in tappe successive accordi concordatari estremamente importanti. Questo rapporto politico della Chiesa con lo Stato socialista si è sviluppato anche attraverso rapporti di forza, proprio perché la Chiesa esprime visivamente il suo legame con la società in un ruolo nazionale. E' indiscutibile il giudizio positivo sul valore profondo ed inalienabile delle lotte operaie, non soltanto come momento di lotta economica e sindacale, ma come momento per affermare rapporti nuovi tra società e Stato, per affermare momento di protagonismo reale, di coinvolgimento nei processi di costruzione di uno Stato democratico fondato sulla giustizia e su chiari elementi di libertà, di democrazia e di partecipazione. Va anche sottolineato il grande senso di responsabilità e di apertura che governo e partito hanno dimostrato. Se le lotte operaie non hanno avuto sbocchi drammatici è dovuto anche non solo al senso di responsabilità delle masse operaie, ma alla disponibilità, al confronto che governo e Partito Comunista polacco hanno assunto in questa esperienza.
L'episcopato polacco nel pieno della drammaticità della crisi ha elaborato un documento che va attentamente valutato e dibattuto da tutte le forze politiche. I Vescovi, dando prova di maturità civile e politica hanno espresso il loro apprezzamento agli operai in sciopero e alle autorità per aver saputo mantenere l'ordine pubblico. Il fatto poi che l'episcopato sottolinei la necessità di restaurare la fiducia nelle autorità e nella società polacca con uno sforzo comune assume di per sé un significato che travalica il contingente politico e che può saldare il socialismo con la democrazia. E' l'apertura di nuovi rapporti tra società civile e società religiosa attraverso una dialettica più fluida e più concreta che tiene conto della rappresentatività oggettiva di ciascun interlocutore. Pare prevalere nel cattolicesimo polacco una tendenza maggioritaria che vuole essere rappresentativa di una linea culturale, di una linea popolare, estremamente diffusa senza però mettere in discussione la struttura politica essenziale dello Stato polacco.
Per concludere voglio sottolineare che l'esperienza polacca ci fa constatare che neppure il socialismo reale riesce a ripararsi dagli effetti della crisi economica e sociale mondiale. Questo fatto deve far riflettere sia l'est che l'ovest. Secondo me, non c'è via d'uscita se non attraverso la ricerca che accomuna scienza, risorse e sapienza. In una situazione come questa non c'è spazio per la propaganda, c'è spazio solo per la ricerca onesta. Questa vicenda sollecita una riflessione anche attorno ai fatti italiani. Se un risultato è stato ottenuto all'interno del nostro Paese che gli operai polacchi hanno ottenuto, è che autorevoli esponenti del mondo politico che si sono da sempre caratterizzati e battuti per porre delle limitazioni al diritto di sciopero si sono improvvisamente convertiti alla difesa strenua delle libertà sindacali come elemento portante della democrazia politica. Questo è indubbiamente un notevole passo avanti. Le esperienze drammatiche della crisi economica italiana ci daranno certamente l'occasione per ricordare questo al momento opportuno.
La crisi polacca se ha oggi avuto sbocchi non drammatici va per seguita con particolare attenzione nei suoi sviluppi e nell'applicazione fattiva e costruttiva degli eventuali accordi. Se è stata superata una certa fase acuta rimane quindi incerta la prospettiva.
PRESIDENTE.
Ha ora la parola il Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Devo, innanzitutto fare una premessa. In Cile, nel settimo anniversario del golpe, è stato fatto ieri un referendum-farsa, pertanto ritengo che la Presidenza del Consiglio debba assumere una posizione su questo fatto.
Entrando nel merito dell'ordine del giorno mi sembra che le forze che sono intervenute con riferimento ai problemi della distensione hanno affrontato la situazione della Polonia sotto due aspetti: o dicendo "questo è il comunismo, queste sono le colpe del comunismo", oppure mettendo pesanti accenti sui pericoli che ancora sono presenti. Spesso in questi accenti c'è la preoccupazione che i lavoratori polacchi non mettano in discussione, con le loro lotte, la divisione del mondo in blocchi. Molti pensano che l'unico modo di intendere la pace sia quello di mantenere l'attuale divisione del mondo in blocchi, noi crediamo invece che la pace può essere mantenuta con il reciproco aiuto fra i Paesi, con la cooperazione fra i Paesi, con un ruolo attivo della classe operaia anche per risolvere problemi drammatici come la fame. In questo senso credo sia importante riaffermare la necessità di un ruolo autonomo dell'Europa, tale da non essere costretta a schierarsi all'interno dell'attuale divisione ma da essere di stimolo nei processi di pace e di rapporti con altri Paesi anche del Terzo Mondo.
Esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori polacchi, che sono impegnati in una battaglia che è insieme democratica e socialista. Vanno sottolineati i risultati raggiunti in sede di trattativa dopo dure settimane di lotta, il fatto saliente è il mutato rapporto fra Stato economia - società con un segno evidente di logoramento degli strumenti tradizionali di gestione del potere. Questo, a nostro avviso, è la spia di una crisi profonda del rapporto fra masse, Stato e potere.
Le rivendicazioni non sono più salariali, i lavoratori polacchi rivendicano il diritto ad un sindacato vero, la possibilità di espressione e di pensiero e di essere protagonisti nella politica economica. Già con le rivendicazioni degli anni '50 e '60 era venuto alla luce il malcontento diffuso e profondo delle masse operaie. A quelle richieste di cambiamento si è risposto sempre con il cambio del quadro dirigente però, non era sufficiente a garantire l'applicazione degli accordi, per garantire i quali è necessaria la vigilanza internazionale.
La gravità della situazione è data dall'esistenza di un malcontento diffuso. Non a caso la Federazione Cgil - Cisl - Uil ha ritenuto giuste le rivendicazioni avanzate dal Comitato di sciopero schierandosi a fianco dei lavoratori in lotta. A questa lotta i sindacati italiani hanno riconosciuto una valenza politica che va al di là delle rivendicazioni, pure importanti per un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Le richieste presentate nella piattaforma elaborata dagli operai del Baltico assumono grande importanza e significato politico.
Ne vogliamo ricordare alcune delle più significative: la garanzia del diritto di sciopero, il rispetto dei diritti garantiti dalla Costituzione la libertà di parola e di stampa, il rispetto della convenzione dell'organizzazione internazionale del lavoro concernente la libertà sindacale, l'adozione di misure concrete per fare uscire il Paese dalla crisi e l'informazione sulla situazione economica per permettere a tutti di partecipare alla discussione sulle riforme, la garanzia di aumenti salariali in senso egualitario ed il recupero rispetto all'aumento dei prezzi e alla svalutazione della moneta.
Su queste richieste si è aperto uno scontro fra i lavoratori, il sindacato ufficiale e i rappresentanti del partito operaio polacco.
A nostro avviso nessuna delle richieste avanzate dal comitato di sciopero ha il vago sospetto di essere estremista, anzi, c'è da stupirsi come, a 35 anni dalla instaurazione del potere popolare, ci si debba ancora battere per forme elementari di difesa della forza lavoro.
Dopo questi avvenimenti le forze politiche conservatrici del nostro Paese non sono andate al di là di condanne nei confronti delle democrazie popolari non riuscendo a cogliere quanto di nuovo si muova sia all'est che all'ovest. La svolta operata dagli operai polacchi sta a dimostrare la validità delle lotte e dei contenuti, che la classe lavoratrice italiana conduce da decenni al fine di superare in positivo la crisi del capitalismo. Le risposte del padronato e del governo sono la ristrutturazione selvaggia e i licenziamenti.
A nostro parere la lotta dei lavoratori polacchi ha messo a nudo la precarietà del rapporto instaurato tra masse ed istituzioni. Quelle lotte hanno messo al centro la conflittualità operaia e la sua capacità di essere egemone e motore di mutamento e di progresso. I lavoratori hanno manifestato la necessità e la volontà di essere soggetti determinanti nella programmazione dello sviluppo economico, nella costruzione di uno Stato socialista e la necessità di essere attenti controllori delle scelte istituzionali che in loro nome vengono compiute dal partito, dal sindacato e dallo Stato.
Questa è una valida lotta per conquistare autonomi strumenti di partecipazione e di democrazia in funzione di un ruolo protagonista delle masse popolari.
Nel nostro Paese troppe forze si sono sforzate ad ingigantire il rischio dell'intervento sovietico. Anche nel nostro Paese abbiamo il problema di quel che conta la classe operaia nella determinazione dello sviluppo e nella gestione delle risorse, anche nel nostro Paese la classe operaia deve rivendicare un ruolo attivo di programmazione. Certamente c'è la preoccupazione di molte forze che i lavoratori polacchi siano un punto di riferimento pericoloso anche per la classe operaia italiana. Quelle lotte hanno ancora più valore perché i lavoratori polacchi non hanno messo in discussione la società socialista, ma hanno messo in discussione la necessità che i lavoratori contino nella costruzione di una società socialista.
Noi siamo confortati perché le lotte dei lavoratori polacchi sono un punto di riferimento per i lavoratori italiani e i lavoratori della Fiat che gridano: "Danzica" ne sono una dimostrazione.
PRESIDENTE.
E' iscritto a parlare il Consigliere Cerchio. Né ha facoltà.



CERCHIO Giuseppe

Mi è parso di capire che altre voci della Giunta si collocheranno su questa problematica, se così è, sarebbe più legittimo per l'interrogante replicare dopo aver uditi tutti i giudizi, le ipotesi e le proposte della Giunta regionale.
Gli accordi polacchi hanno posto formalmente la parola "fine", almeno per quanto riguarda il rapporto interno fra le forze sociali ed il regime alle drammatiche e travagliate settimane della Polonia che hanno segnato una svolta importante nell'evoluzione del sistema socialista. Ciò spiega la viva preoccupazione dell'opinione pubblica occidentale che si è sentita interamente coinvolta in questa drammatica vicenda, ciò spiega la motivazione dell'interrogazione presentata nel mese di agosto a nome della D.C. dal sottoscritto, ciò spiega la presa di posizione tempestiva dei sindacati e delle Acli torinesi, ciò spiega la disponibilità (e non l'immediatezza) della maggioranza socialcomunista della Regione Piemonte ad avviare su questa problematica un dibattito. L'avvio è stato lento come già era stato lento l'avvio, su sollecitazione della D.C., in ordine al problema dell'Afghanistan. Gli operai polacchi hanno offerto non soltanto prova di unità, di responsabilità e di forza, ma anche di senso di limite di coscienza del quadro generale in cui era indispensabile contenere le rivendicazioni. Concordo con le analisi che in questa chiave sono state fatte oggi, non concordo invece con coloro, come Reburdo poc'anzi, che hanno sostanzialmente detto che è da lodare il comportamento responsabile del governo polacco, che ha accolto l'invito a trattare con la delegazione magari in ritardo. Sarebbe stato irresponsabile quel governo, come irresponsabili sono stati i governi comunisti negli anni precedenti, in Polonia, in Cecoslovacchia, in Ungheria e in altre realtà, se non avesse trattato, perché se non avesse trattato avrebbe sparato così come quei governi negli anni precedenti hanno sparato sui lavoratori. Dai moti operai è affiorata un'altra Polonia rivelando quasi improvvisamente l'intreccio vitale dei molti rivoli in cui rivive l'antica Polonia indomabile. Quanto gli operai di Danzica hanno saputo testimoniare resta un patrimonio acquisito non soltanto per quel Paese, ma per l'intera area del socialismo reale e per l'intera Europa. Questo è il primo giudizio che i democratici cristiani danno concordando con quanti, da posizioni politiche ed ideologiche diverse dalla nostra, hanno indicato questa chiave di ragionamento. Questa in sostanza è la lezione secondo cui nessun modello di socialismo scientifico o dialettico, alla prova dei fatti, si è mostrato capace di comporre e risolvere i nodi, le contraddizioni, i problemi di cui si alimenta la vita di ogni società. Le imponenti manifestazioni popolari la forma con la quale queste manifestazioni si sono collocate, la piattaforma delle proposte, lo stesso spirito religioso ripetutamente richiamato, hanno messo in seria discussione un sistema e le sue dottrine sistema che, sorto per realizzare una società giusta ed uguale, ha invece ricomposto, proprio in Polonia, delle strutture castali. Un socialismo senza libertà ha prodotto in questi anni oppressioni, forme di autoritarismo e di burocraticismo.
In Italia e in Piemonte in questo dibattito abbiamo registrato dei silenzi e giudizi avanzati da parte di quei comunisti che all'indomani del fenomeno scoppiato in Polonia, dopo un primo maldestro tentativo di giustificare quegli scioperi in chiave economica, finalmente, si chiedevano come mai in una società socialista si ponga il problema delle libertà sindacali e soprattutto il problema della libertà e della democrazia. Il collega Revelli ha fatto in termini sommessi e quasi credibili un'analisi coraggiosa ed aperta della situazione, anche se le conclusioni si sono fermate alla soglia di una terza via ancora indistinta del modello socialista. Occorre fare qualcosa di più e di più approfondito in Italia e in Piemonte, anche in questa assemblea, per rifiutare fino in fondo certi rigori del regime comunista che vieta le libertà di stampa, di associazione politica, di associazione sindacale. Auspichiamo che queste aperture limitate, regionali, possano allargarsi a tutto il Paese e si dica con chiarezza che dalla Polonia non viene solamente il segnale di una rivolta contro un regime autoritario, ma vengono anche suggerimenti ed indicazioni per valutare con prudenza tante certezze e tanti miti che si sono rivelati fragili e spesso disumani.
E' possibile - si chiesto Revelli - che nei Paesi dell'est ci siano solo dei bui, solo delle ingiustizie? Alcune cose sono cambiate soprattutto per le spinte venute non dai regimi comunisti, ma dai cittadini, dagli operai, dai lavoratori. Sono mutamenti della Chiesa polacca o mutamenti dello Stato-partito nei confronti della Chiesa che in questi anni ha continuato correttamente a svolgere il suo ruolo all'interno della società polacca? Esiste una filosofia, una ratio, un'illusione di molti comunisti nostrani che parlano di un Paese reale contrapposto al Paese legale e che non si accolgono che questa divaricazione si verifica molto più macroscopicamente laddove il comunismo ha vinto. Ma ha vinto che cosa? In Polonia, non era in gioco, in questi giorni, il prezzo della carne (che i regimi comunisti - collega Revelli - non tanto comperano, ma vendono) o del vino ma il prezzo della libertà. Ecco il punto.
Gli operai di Danzica vogliono una libertà "borghese" sulla quale per anni hanno ironizzato i marxisti nostrani definendola formale. Con questo non diciamo che vogliamo una formula di democrazia liberale per risolvere tutto.
Se una graduale soluzione è stata possibile in Polonia il merito va al sapiente ruolo della Chiesa polacca, svolto negli anni passati e in queste settimane, e perché no, alle prières per rispondere all'invito del Papa a favore del suo Paese. Suonerà male, magari alimenterà il sorriso, quanto ho detto. Un illustre laico, mi pare Machiavelli, diceva che non si governa con "li pater nostri"; i governanti laici della Regione Piemonte devono prendete atto di quanto conti, nella complessità della situazione mondiale anche una "Ave Maria" recitata con accento slavo dalla Cattedra di Pietro.
Preoccupa ciò che verrà dopo, non sappiamo fino a che punto il regime accetterà i sindacati liberamente eletti, in alternativa ai sindacati imposti dal regime in questi anni.
E' auspicabile, ma non facilmente ipotizzabile, un graduale passaggio al modello delle democrazie occidentali. D'altra parte un esponente del Partito Comunista polacco all'inaugurazione del dibattito su questi problemi avviato a Bologna, all'apertura del Festival Nazionale dell'Unità diceva che questo incerto pluralismo sindacale non porterà mai ad un pluralismo politico. I disturbi coronarici di Gierek o di suoi collaboratori stretti sono un brutto segno per il futuro, che ci preoccupa fortemente. Contrariamente a quanto hanno affermato i Consiglieri Reburdo e Montefalchesi, non esiste alcuna simmetria con la situazione italiana, n sul piano economico né sul piano sociale,né sul piano politico soprattutto non esiste sul piano delle libertà democratiche. Non si pu dire che è stato saggio l'atteggiamento del governo polacco, e quello dell'Unione Sovietica che non è intervenuta militarmente in Polonia. Non c'è stata l'invasione russa non per bontà d'animo, ma perché l'operazione sarebbe stata in passivo, per la contemporaneità con le prossime elezioni in Germania e in America e per la contemporaneità dei fatti in Afghanistan.
Ha fatto bene l'occidente ad appoggiare un'evoluzione in senso democratico di questa vicenda. Bisogna smontare l'immagine elegante venuta da alcuni interventi di colleghi comunisti che in questa sede del Consiglio regionale hanno sviato l'obiettivo della problematica. Non si dimentichi che queste cose si dibattono, si confrontano, si sollecitano come protesta del mondo occidentale perché sono capitate, nonostante tutto, in un Paese a regime comunista.
La D.C. ha presentato una proposta di ordine del giorno e auspica di poter trovare una risposta unitaria e tale da sollecitare interventi giudizi e spinte per ulteriori conquiste, libertà sindacali, civili e democratiche.
PRESIDENTE.
La parola al Vicepresidente della Giunta regionale, Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Non avrei preso la parola perché il dibattito che si è sviluppato ha fornito tutti gli elementi utili al Consiglio regionale per assumere una posizione consapevole e seria. Il dibattito è stato anche elegante e non vedo perché dobbiamo dispiacerci del fatto che su temi di così grande portata prevalgano i toni del ragionamento e della riflessione anziché i toni dello scontro e delle asprezze.
Intendo soltanto riaffermare la correttezza della Giunta regionale nell'aver affrontato questo tema. E' del 22 agosto la presa di posizione della Giunta regionale che conteneva già gli elementi sui quali si è sviluppata l'introduzione del Presidente della Giunta di questa mattina che ha raccolto vasti consensi. Non abbiamo tardato a tradurre quella posizione in una proposta metodologicamente corretta che è la richiesta dell'iscrizione al primo punto dell'ordine del giorno della prossima seduta del Consiglio regionale dopo quella per l'elezione della Giunta. Non credo che sia da accogliere il rammarico per il fatto che la Giunta dà questa replica, pressoché istituzionale, perché nel momento in cui la Giunta chiede ed ottiene l'iscrizione al primo punto all'ordine del giorno, quel tema segue tutte le procedure del regolamento che prevede un ampio dibattito del Consiglio e la possibilità della Giunta di replicare.
Mi guarderò bene dal trasformare questa breve replica in una replica di contenuto a nome della Giunta sugli interventi che le forze politiche hanno fatto, perché qui deve venir fuori un ordine del giorno, espressione delle forze politiche del Consiglio. La Giunta ha detto quello che aveva da dire nell'introduzione del Presidente Enrietti.
Che cosa aggiungere? L'auspicio che le forze politiche trovino un'intesa che si muova lungo la linea che io reputo indispensabile in ogni circostanza e in ogni caso per definire con chiarezza l'ambito, l'ampiezza e anche i limiti dell'intervento di una assemblea regionale tu questi temi.
E' una questione che è già stata sollevata questa mattina dal Consigliere Paganelli, in precedenza dal Consigliere Bastianini, e che mi trova completamente d'accordo,sulla base di una prassi e di una faticosa scoperta nella prima e nella seconda legislatura del modo come rendere produttivi e utili questi confronti. Permettete quindi, che io accolga l'osservazione critica, esplicita da parte del Gruppo democristiano, implicita da parte del Gruppo comunista, sul fatto che la Giunta non era tutta presente almeno ad una parte del dibattito. E' evidente che gli Assessori che non erano presenti in quella mezz'ora stavano facendo altro. Ritengo che questa osservazione critica debba essere accolta e credo che la Giunta opererà in modo tale da non esserne più soggetta.
Qual è lo spazio che una assemblea regionale può avere nel discutere queste questioni? Lo spazio che deriva da una visione non restrittiva delle funzioni di una assemblea che è interprete della volontà politica di una comunità di 4 milioni e mezzo di cittadini, di una Regione della Repubblica che è più grande di una decina di Stati europei, di una Regione che ha alle spalle tradizioni, storia e cultura e persino movimenti, tensioni, fermenti ideali che le permettono di non poter vivere senza esprimere ciò che pensa nei singoli momenti, oggi come ieri, di fronte ad un mondo che cambia. Mi permetta un'osservazione, Consigliere Vetrino Nicola. In fondo c'è stato un mondo che ha diviso gli uomini, gli animi, le ideologie e gli Stati in campi contrapposti e, malgrado la pericolosità della situazione internazionale, che stiamo vivendo, qualche cosa di profondamente diverso è avvenuto in questi anni. Oggi possiamo parlare di policentrismo, di modificazione strutturale dei rapporti fra gli Stati e i popoli e questo deve permetterci di vedere le novità non con gli occhi del passato ma con gli occhi del presente. Possiamo chiudere gli occhi di fronte al colpo di Stato in Turchia? Abbiamo potuto dimenticare l'Afghanistan e Praga? Può un comunista dimenticare che nel 1956 ha incontrato Gomulka in Polonia e ha salutato il discorso della piramide come l'inizio di un processo di rinnovamento per il quale quel comunista, tanti altri comunisti e il Partito Comunista, si battevano? Può un comunista essere insensibile ad una problematica di questo genere che non nasce con gli articoli dell'"Unità" che non nasce per la dichiarazione di un dirigente o di un altro, ma nasce dalla sensibilità di questa Regione che questa mattina con il corteo degli operai innalzava ad un tempo il ritratto di Carlo Marx e il ritratto di Papa Wojtyla e sotto il ritratto del Papa c'era scritto: "Intercedi per noi"? E sotto il ritratto di Carlo Marx c'era l'aspirazione, la volontà e la consapevolezza che la battaglia non nasce oggi, ma ha una storia perch vuole avere un futuro diverso dal passato. Quindi la legittimità di trattare di questi temi nasce da tutto questo.
Dobbiamo tuttavia trovare un ambito e l'ambito mi pare possa essere quello trovato dal Governo italiano che ha avuto un atteggiamento responsabile e utile e che è stato sintetizzato nelle parole del Ministro degli esteri, Colombo, quando ha detto che "ci si è mossi nel convincimento che l'evoluzione della società polacca potrà essere tanto più proficua quanto più abbia autonoma realizzazione al riparo da ingerenze esterne".
Questo è importante non perché sia possibile una ingerenza esterna specifica, ma come idea guida nella situazione internazionale avendo presente ciò che può succedere in qualsiasi Paese. Se si vuol portare avanti un processo che sia basato sulla democrazia e sullo sviluppo pacifico dei rapporti fra i popoli dobbiamo far seguire alle parole la coerenza dei fatti.
Dovremmo ricavare da tutto questo, oltre all'invio di messaggi e di opportuni documenti, anche delle iniziative. Poco prima della fine della seconda legislatura ricevemmo una delegazione di artigiani polacchi, in visita in Piemonte, che ci hanno chiesto di allestire una mostra a Torino.
Questo fa parte della nostra attività; naturalmente, nel fare questo svolgiamo nel pieno rispetto delle competenze istituzionali un'azione che avvicina i popoli, che permette i confronti e che, alla fine, produce risultati: appunto la fine della barriera, la fine della cortina di ferro ha portato alla possibilità di salutare oggi, in Polonia conte in Ungheria come in Cina, dei processi di mutamento in società che non sono statiche ed immobili, e lo sono tanto di meno quanto più si aprono ai rapporti internazionali, alle idee, alla circolazione, agli scambi culturali e politici, alle collaborazioni. Non possiamo nasconderci dietro al fatto che la nostra Regione oggi è in gravi difficoltà economiche, ma parecchie fabbriche lo sarebbero anche di più se a questa elementare concezione della coesistenza pacifica non fosse seguita anche il principio della collaborazione economica e importanti commesse non aiutassero la Olivetti la Fiat e tante altre aziende a lavorare, a vivere e a produrre nell'interesse dell'Italia, della Polonia, dell'Unione Sovietica dell'Ungheria, di tutti i Paesi socialisti come dei Paesi degli Stati Uniti d'America e dei Paesi sud-americani. Questa concezione l'hanno da decenni industriali italiani e non possiamo dimenticare che un mondo può andare avanti se sviluppa una nuova collaborazione economica internazionale, in un quadro di distensione. Quindi momenti di riflessione profonda, forse più profonda, ideale, non politica, da sancire nel documento fra chi, malgrado tutto, con tutte le differenze, si batte tuttavia per una prospettiva socialista della società e chi persegue nobilmente altri obiettivi.
Consigliere Cerchio, tutto può essere di contributo reciproco alla costruzione del modello di società per cui ci battiamo dall'inizio dei nostri giorni di vita politica, sua non ci battiamo per lo stesso obiettivo finale. Allora, il dialogo serve a tutti. Non potete chiedere ai compagni Viglione, Revelli e a tutti quelli che hanno scritto nel loro programma e nella loro ragione di esistere l'obiettivo di una società che si chiama socialista, perché vuole essere socialista, di rinunciare al loro connotato, perché chiedereste qualche cosa che non si realizzerà; e nessuno di noi può chiedere agli altri partiti, che possono avere altri modelli ai quali guardare, di rinunciare ai motivi ispiratori essenziali per cui voi esistete, vi battete e portate avanti la vostra causa.
Il prodotto del dibattito culturale di questi ultimi anni è la caduta degli ideologismi, una ricerca più laica e più inquietante sugli avveniri dell'umanità e del mondo, il fatto che, dovunque si guardi, non esistono modelli da copiare, ma ci sono soltanto esperienze da meditare per inventare una soluzione ai problemi che appaiono sempre più gravi, sempre più difficili, persino il principio che ci ha guidato negli ultimi due secoli, cioè la sicurezza che si andasse comunque verso un ininterrotto progresso, la fiducia illuministica che nasce dalla rivoluzione francese che è alla base del nostro pensiero razionale, che è stata un'acquisizione culturale, anche del pensiero cattolico, persino questo principio oggi è messo in discussione. L'umanità non è più certa che il futuro sia basato su un ininterrotto progresso. Il convegno dei dieci ci ha detto che è possibile qualche cosa di profondamente diverso e che quel principio sia messo in discussione. Questo pone tutto il dialogo politico in termini nuovi. Naturalmente, guardandosi alle spalle, ognuno dovrà fare i conti con la propria esperienza, con la propria responsabilità, con quello che deve cambiare, ma non con la caratteristica di chi insegna agli altri modelli e persino principi. La parola democrazia che cosa vuol dire nell'esperienza di ciascuno di noi e nella prassi di milioni di uomini? Quelli che hanno fatto il colpo di stato in Turchia lo hanno fatto per impedire che le forze di destra e di sinistra, che i sindacati e i giovani rendessero il Paese ingovernabile. Probabilmente lo hanno fatto in nome della democrazia.
Chissà che cosa sono costoro. So soltanto che da oggi in Turchia ciascuno è meno libero di prima.
Dobbiamo avvertire la problematicità e la gravità di questi problemi.
Salutiamo come fatto positivo il fatto che forze così diverse, come quelle della Chiesa cattolica e quelle dei governanti attuali della Polonia riescono a trovare un punto di intesa sulla concezione dinamica dello sviluppo dello Stato e riescono a dare un contributo per offrire alla Nazione una prospettiva di soluzione. Ci sentiamo uniti con i lavoratori polacchi con l'animo di chi non si stupisce, non drammatizza il fatto che una grande lotta porti persino alle dimissioni di qualche Ministro, anche perché se nel nostro Paese qualche grande lotta operaia o contadina avesse convinto qualcuno di quelli che da 40 anni è Ministro a cambiare mestiere avremmo salutato questo fatto come prova di democrazia. Non ci sconvolge il fatto che molti hanno dato le dimissioni e altri le daranno, quello che ci sconvolgerebbe sarebbe la prospettiva che dall'esterno venisse qualcuno a far cambiare i dirigenti.
Mi pare che il dibattito abbia offerto motivi di convergenza piuttosto che di divisione. Se riusciamo a presentare oggi, meglio di ieri, un documento che riassuma tutto questo, l'inizio della terza legislatura pu essere segnato da un documento e da un momento significativo particolarmente utile per affrontare una situazione difficile come quella del Piemonte e risolvere i problemi economici di ieri e i problemi politici di oggi che sono assai meno divisibili di quanto qualcuno possa pensare giacché, diceva il collega Revelli, dobbiamo risolvere in modo nuovo il legame fra economia e politica.



PRESIDENTE

Il dibattito è concluso.
Sono pervenuti quattro ordini del giorno, che sono stati regolarmente protocollati e poi distribuiti ai Consiglieri.
Ordine del giorno presentato dai Consiglieri Viglione e Mignone: "I Gruppi consiliari del Partito Socialista Italiano e del Partito Socialista Democratico Italiano, a seguito degli avvenimenti nei cantieri di Danzica, Stettino ed in altre località della Polonia: rilevano come queste vicende abbiano rappresentato e rappresentino un fatto di enorme rilievo e significato democratico e come tutta l'opinione pubblica mondiale democratica abbia espresso solidarietà ai lavoratori polacchi in lotta per la conquista di più ampi spazi di libertà, dei diritti civili sindacali e politici constatano con soddisfazione che le forze operaie polacche hanno ottenuto risultati positivi, che nessun intervento di forze militari esterne è stato posto in essere, che la trattativa pacifica ha consentito il conseguimento di importanti risultati e che infine è stato eliminato un pericolo assai grave di tensione mondiale, rafforzando la validità della politica di distensione chiedono ed auspicano che tutte le forze politiche democratiche presenti nel Consiglio regionale esprimano piena solidarietà ai lavoratori polacchi, impegnandosi a quelle iniziative che agevolino il popolo polacco nella ricerca di libera espressione, riunione ed organizzazione (che essi in questo momento richiedono sulla base di una pluralistica articolazione della società polacca) e che tutto questo rappresenti per l'Europa intera un ulteriore contributo al rafforzamento della pace, della distensione internazionale e della operosa convivenza fra i popoli".
Ordine del giorno a firma dei Consiglieri Revelli, Reburdo, Bontempi e Ariotti: "Il Consiglio regionale del Piemonte saluta l'esito della lotta dei lavoratori polacchi prende atto con viva soddisfazione che gli accordi di Danzica e di Stettino hanno aperto una nuova fase nella vita dello Stato e della Nazione polacca sia per il modo come ad essi si è giunti, attraverso una lotta coraggiosa e disciplinata della classe operaia dove le parti hanno saputo far prevalere gli argomenti della riflessione critica e della ragione, sia per i contenuti poiché i nuovi orientamenti sindacali ripropongono i temi del pluralismo sociale, culturale e politico che costituiscono un patrimonio storico della Nazione polacca e la volontà di rendere protagoniste le masse nella soluzione dei problemi, di creare nuovi rapporti tra governanti e governati auspica che le coraggiose decisioni assunte in questi giorni al vertice dello Stato e del Partito Comunista polacco, il ruolo responsabile svolto dalla Chiesa, costituiscano la condizione per una piena applicazione degli accordi raggiunti ed il successo della faticosa ma ricca esperienza di rinnovamento e di profonde riforme ed altresì che l'autonomia della Polonia non abbia a subire interventi che blocchino il processo di democratizzazione in corso.
Il Consiglio regionale del Piemonte: valuta positivamente l'atteggiamento dei Governi europei che si sono astenuti dal prendere posizioni sugli avvenimenti polacchi invita tutte le forze democratiche a riflettere sui gravi condizionamenti che derivano anche per la Nazione polacca dall'attuale situazione di crisi economica a carattere mondiale auspica che il Governo italiano promuova ogni iniziativa possibile di solidarietà economica con la Polonia, anche attraverso le organizzazioni internazionali, in primo luogo la CEE, per favorire il processo di distensione e di cooperazione economica internazionale".
Ordine del giorno a firma del Consigliere Montefalchesi: "Il Consiglio regionale del Piemonte, in relazione ai recenti fatti di Polonia, cosciente della portata storica ed innovativa di tali avvenimenti: esprime la propria solidarietà ai lavoratori polacchi impegnati in una battaglia che è insieme democratica e socialista sottolinea come i contenuti degli accordi raggiunti aprano sviluppi positivi per il Movimento Operaio Internazionale, per la causa dell'indipendenza nazionale dei popoli e quindi per lo stesso processo di distensione mondiale individua nei fatti di Polonia la spia di una crisi profonda del rapporto Stato - economia - società, con un evidente logoramento degli strumenti tradizionali di gestione del potere; tale crisi, se è ormai manifesta nel blocco dell'est, dove, pur in presenza di una statalizzazione dell'economia, non è risolto il nodo del protagonismo e del potere di chi lavora sugli indirizzi di governo della produzione e dell'economia, non è meno evidente in Italia e nei Paesi occidentali. Non a caso nel nostro Paese, alla crisi del modello di sviluppo e alle risposte che offrono padronato e Governo corrisponde una crisi della stessa democrazia e del rapporto istituzioni e società. Anche in Italia ed in Europa una via d'uscita positiva da tale crisi passa dunque attraverso a riconoscimento del ruolo fondamentale della classe operaia, delle sue istanze di democrazia diretta e della sua capacità di lotta, non solo nella difesa di interessi immediati ma come motore della costruzione di un nuovo ordine economico e sociale.
Il Consiglio regionale si impegna, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, a sviluppare e favorire tutte quelle iniziative atte ad approfondire la conoscenza della realtà dei lavoratori polacchi, delle loro organizzazioni sindacali e dei problemi di sviluppo e programmazione economica.
Invita il Governo, gli Enti locali piemontesi, le forze politiche e sindacali a sviluppare tutte quelle iniziative capaci di approfondire l'amicizia e la solidarietà fra i lavoratori polacchi e quelli italiani".
Ordine del giorno presentato dai Consiglieri Paganelli, Cerchio e Brizio: "Il Consiglio regionale del Piemonte fa proprie le valutazioni già unitariamente espresse dal Consiglio comunale di Torino ed esprime il proprio plauso alla lotta dei lavoratori polacchi che, con il loro fermo coraggioso e disciplinato atteggiamento, sono riusciti ad ottenere dal Governo del loro Paese un accordo che, per la prima volta in un Paese dell'est europeo, contempla libertà di organizzazione sindacale e diritto di sciopero prende atto dei mutamenti che la lotta dei lavoratori polacchi ha provocato al vertice del Governo e del Partito Comunista polacchi auspicando che ciò preluda al mantenimento degli accordi raggiunti ed all'avvio del processo di liberalizzazione anche politica in Polonia, nel segno della indivisibilità e solidarietà delle libertà civili e politiche valuta positivamente il comportamento dei Governi europei che, per evitare possibili conseguenze negative per i lavoratori in lotta e per gli equilibri internazionali, si sono astenuti dal prendere posizione sugli avvenimenti polacchi e confida in comportamenti futuri che contribuiscano a rendere irreversibile il processo di liberalizzazione avviato auspica che le dichiarazioni di parte sovietica e di altri Governi dell'Europa orientale in merito a presunte 'tendenze antisocialiste' all'interno della lotta dei lavoratori polacchi, non preludano, come in passato, a interventi che blocchino il processo di democratizzazione iniziato con gli scioperi di Danzica sollecita il Governo italiano, le organizzazioni internazionali e le forze democratiche tutte ad esprimere concrete forme di solidarietà verso il popolo polacco, nell'ottica della difesa dei diritti fondamentali dell'uomo, dell'autodeterminazione dei popoli, della preservazione della pace mondiale e della cooperazione economica internazionale dà mandato alla Presidenza del Consiglio regionale di trasmettere il presente documento al Governo della Polonia ed al Consiglio Direttivo del Comitato Comune di sciopero di Danzica e Stettino".
La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Il Gruppo del P.C.I. ritira il proprio ordine del giorno riconoscendosi pienamente in quello presentato dai Gruppi del P.S.I. e del P.S.D.I.



MONTEFALCHESI Corrado

Il Gruppo del P.D.U.P. ritira il suo ordine del giorno intendendo presentare emendamenti all'ordine del giorno presentato dai Gruppi socialista e socialdemocratico.



PAGANELLI Ettore

L'ordine del giorno presentato dal Gruppo D.C. è esattamente quello che è stato approvato da tutte le forze politiche nel Consiglio comunale di Torino. Non voglio ricopiare integralmente quell'ordine del giorno, ma voglio significare la disponibilità del Gruppo della D.C. su un ordine dei giorno unitario.
Non ci riconosciamo sugli altri ordini del giorno avendone presentato uno nostro e autonomo che pure ha già una visione unitaria. C'è la nostra disponibilità a trovare l'accordo per una valutazione unica.
PRESIDENTE.
Propongo di sospendere la seduta e convoco i Capigruppo per arrivare ad un documento unitario.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 17.20 riprende alle ore 17.50)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Dopo ampia discussione i Gruppi P.C.I., D.C., P.S.I., P.S.D.I., P.L.I.
e P.R.I. hanno stilato un documento unitario che non è stato firmato dal Gruppo M.S.I. Il Consigliere Montefalchesi ha ritirato l'ordine del giorno del P.D.U.P.
Vi do lettura dell'ordine del giorno: "Il Consiglio regionale a seguito delle lotte dei lavoratori polacchi nei cantieri di Danzica e Stettino ed in altre località della Polonia rileva come questi avvenimenti rappresentino un fatto di enorme rilievo e significato democratica ; come tutta l'opinione pubblica democratica abbia espresso solidarietà ai lavoratori polacchi in lotta per la conquista di più ampi spazi di libertà, dei diritti civili, sindacali e politici constata con soddisfazione che le forze operaie polacche hanno ottenuto con gli accordi risultati importanti; che nella trattativa sono prevalsi la riflessione critica e la ragione; il ruolo positivo svolto dalla Chiesa constata infine che nessun intervento di forze militari esterne è stato posto in essere e che è stato eliminato un pericolo assai grave di tensione mondiale, rafforzando la politica di distensione esprime piena solidarietà ai lavoratori polacchi, impegnandosi a quelle iniziative che agevolino il popolo polacco nella ricerca di libera espressione, riunione ed organizzazione che essi chiedono sulla base di una pluralistica articolazione della società polacca rileva come tutto ciò rappresenti per l'Europa un ulteriore contributo al rafforzamento della pace, della distensione internazionale e della operosa convivenza fra i popoli dà mandato alla Presidenza del Consiglio regionale di trasmettere il presente documento al Governo della Polonia ed al Consiglio Direttivo del Comitato di sciopero di Danzica e Stettino".
Chiede la parola il Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Comunico la nostra astensione su questo documento.



MONTEFALCHESI Corrado

Non sono contrario al documento. Lo ritengo carente in due parti sulle quali, in verità, non è stato possibile discutere nella riunione dei Capigruppo. Per questo motivo mi astengo dalla votazione. Chiedo, inoltre più correttezza nelle riunioni dei Capigruppo.



PRESIDENTE

Pongo in votazione, dopo le dichiarazioni di voto, l'ordine del giorno.
E' approvato a maggioranza con l'astensione dei Gruppi del M.S.I. e del P.D.U.P.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sulla situazione occupazionale dell'Indesit


PRESIDENTE

Prosegue la discussione sulla situazione occupazionale dell'Indesit che ha in forza 12 mila dipendenti, e di altre aziende ad essa collegate che interessano 7/8 mila lavoratori. Un gruppo di piccole e medie aziende ha, poi, sollecitato l'intervento del Consiglio regionale documentando crediti per circa 20 miliardi, la cui non riscossione potrebbe aggravare ulteriormente la situazione.
La parola all'Assessore Alasia per illustrarci la situazione.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Nella seduta del 28 luglio, su sollecitazione e grazie alla sensibilità del Presidente del Consiglio, la Giunta aveva fornito una relazione che aggiornava la situazione delle nostre iniziative. Quindi do per acquisite quelle informazioni, richiamando solo i punti essenziali.
Nell'incontro del 17 giugno con l'Indesit e in quello successivo in Prefettura, abbiamo posto all'azienda il problema di dotarsi e di dotare noi, per i nostri compiti di carattere istituzionale sulla legge di riconversione, ed il Governo di un progetto per i settori dell'elettronica del bianco, caldo e freddo, ciò per poter partire dall'esame dei problemi produttivi, dalle condizioni di mercato, dalle condizioni tecnologiche dalle previsioni e dai necessari investimenti e per dare su questa base delle risposte in positivo ai problemi occupazionali. L'Indesit in quel primo incontro si dichiarò disposta a presentare una sua progettualità e a discuterla con la Regione e con le organizzazioni sindacali. Mentre la Regione, in particolare il Presidente Viglione, si adoperava con gli Istituti di credito per far fronte alle esigenze immediate, l'Indesit l'11 luglio presentò un primo progetto per l'elettronica, il freddo e il caldo nell'incontro che abbiamo avuto a Roma il 17 luglio con il Sottosegretario al lavoro, Zito, l'Indesit ha integrato il suo progetto con una situazione finanziaria per la ripresa produttiva. L'Indesit lamenta una situazione di crisi per mancanza di liquidità e aggiunge che le cause di essa sono dovute a ragioni di ordine strutturale e congiunturale. Va peraltro ricordata quanto opportunamente il Presidente del Consiglio richiamava, cioè una situazione pesantissima nei confronti dei creditori. Noi ci siamo fatti premura di tenere il 15 luglio una riunione con un gruppo di aziende associate all'API ed è previsto un altro incontro la prossima settimana.
Sono una sessantina di aziende con circa 7/8 mila occupati con un carico di commesse dall'Indesit che va dal 35 al 40%; c'è un sub- indotto notevolissimo di altre 3/4 mila unità. A queste aziende vanno poi aggiunte le aziende non associate all'API. anche di grandi dimensioni, che vantano forti crediti. Lo stesso fenomeno si presenta nel Casertano, dove le aziende hanno commesse dall'Indesit fino al 95/100% del fatturato. Stessa situazione lamenta la società di autolinee Ricca che gestisce il trasporto degli operai, che impiega 40 pullman ora bloccati, che minaccia i licenziamenti e che vanta 697 milioni di credito.
Ho voluto fare questi accenni non per fornire semplicemente una documentazione, ma per dire come intendiamo attivarci anche su questa questione. Se ci fosse stato possibile sbloccare il problema relativo all'apertura di credito, nel mese di luglio, saremmo andati ad un primo piano di riparto Inoltre, abbiamo avviato con l'Indesit fin dal mese di luglio, un rapporto esplorativo, attraverso il Centro di formazione professionale di Orbassano, per far fronte all'eventuale riqualificazione di mano d'opera che si rendesse necessaria per i progetti di ripresa produttiva.
La Regione ha sempre garantito la formazione professionale, laddove un raggiunto accordo sulle prospettive produttive o su un nuovo assetto proprietario, assicurava lo sbocco occupazionale.
Nella riunione a Roma del 5 agosto si era convenuto sull'importanza pregiudiziale della questione dello sbocco del credito che, se non risolveva il problema dell'Indesit, consentiva comunque una ripresa. In quella riunione abbiamo avuto l'assicurazione formale dai Sottosegretari all'industria e al lavoro che il Governo avrebbe fatto un "a fondo"sul socio di maggioranza, per chiedere garanzie extra aziendali, dal momento che le banche non si sentivano garantite dalle ipoteche sugli stabilimenti di None e di Tetti Francesi; inoltre avrebbe assunto un impegno di massima e insisto su questo termine "di massima" - per attivare la 675 in relazione ai progetti presentati. Questi due spezzoni di garanzie forse avrebbero consentito di sbloccare la situazione nei rapporti con le banche.
Il Presidente Enrietti può dire quanti reiterati passi abbiamo fatto in questa direzione senza peraltro ricevere una parola di riscontro. C'era l'impegno formale del Governo di dare una risposta entro la prima decade di agosto, ma fino ad oggi abbiamo atteso invano.
Qualcuno ci ha rimproverato che facciamo una polemica pretestuosa.
Conosciamo la complessità delle cose perché le viviamo tutti i giorni e per questi problemi non c'è una bacchetta magica. Diciamo ancora una volta che non rincorriamo il vecchio detto: "piove governo ladro". Ricordiamo che quel coordinamento, quelle unicità di comportamenti (che non a caso avevamo richiesto avendo constatato in precedenza divaricazioni di posizioni fra chi voleva andate al commissariamento e chi voleva altre soluzioni), in realtà, non ci sono stati. Non voglio essere profeta di sventure, però ho il diritto di temere che si vada ad uno scorporo fra il nord e il sud azione che respingiamo decisamente. Essendo mancata quell'azione siamo andati diritti alle decisioni dei Consiglio di amministrazione che si era riunito il 28 agosto e che aveva deciso di richiedere la nomina del Commissario, sulla base della legge Prodi. Questa decisione è stata appena differita di qualche settimana, per consentire di esaminare, cosa che è in corso, la possibilità di ingresso di capitale fresco conseguente ad una trattativa con un partner estero. In questo momento la situazione si profila in questi termini: 1) la trattativa è in corso con una finanziaria estera e, da quanto ho potuto appurare, questo non comporterebbe l'ingresso di concorrenti italiani 2) la finanziaria estera ha differito la scadenza, che pareva posta in termini perentori, segno di interesse da parte della finanziaria, segno anche, probabilmente, di difficoltà e di nodi ancora da risolvere. La discussione, da quanto ho saputo questa mattina, procede ora sul piano tecnico e legale per verificare queste cose 3) l'Indesit ha per ora accantonato la decisione di andare al commissariamento perché teme (come mi è stato dichiarato esplicitamente) e temiamo anche noi, che possa aprire manovre andando allo scorporo fra nord e sud. Un'altra grande azienda che opera nel settore in Italia sarebbe interessata esclusivamente alla parte del sud anche in relazione ai mercati mediterranei 4) a fronte delle istanze di fallimento l'Indesit chiede l'amministrazione controllata. Non sono in grado di esprimere un giudizio su questo. Comprendo che da una parte c'è l'esigenza di bloccare la procedura di fallimento, dall'altra il pericolo per i fornitori e per gli operai di una soluzione del genere che, con l'intervento del Commissario potrebbe sì aprire la ripresa lavorativa ed avviare i primi pagamenti per le operazioni che verranno fatte in futuro, ma potrebbe anche congelare la situazione di decine e decine di miliardi preesistenti.
Se si verificano le condizioni che ho richiamato, l'Indesit sarebbe orientata ad una parziale ripresa produttiva negli stabilimenti 2 e 7 di None, in parte nello stabilimento 5 della componentistica e nel n. 12 di Tevorola nel Casertano, specificando che, sia che vada in porto l'operazione con la finanziaria sia che la trattativa si risolva negativamente, restano comunque aperti i problemi di accesso alla 675 e le richieste di credito agevolato. Per rendere più facile l'ingresso della finanziaria, il Presidente Enrietti ha sollecitato al Governo l'incontro promesso del 10 agosto, che finora, non solo non ci ha dato, ma al quale non ha nemmeno risposto. Per domani era fissato un incontro con il Sottosegretario all'industria per le vertenze della Gimac e della Venchi Unica, ma ci è stato comunicato che in questo momento il Governo non pu venire a Torino a discutere altre questioni, avendo sul tappeto il grosso problema della Fiat; verrà comunque un funzionario.
PRESIDENTE.
Speriamo che non mandino un usciere!



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Venga anche un usciere purché sia in grado di decidere. La Regione sta facendo pienamente la sua parte, spesso fa mestieri che non le competono: ognuno cerchi di corrispondere, perché in ballo ci siamo tutti.
Spero che non si apra un nuovo problema di mobilità esterna, lo dico senza alcun intento polemico. Guardiamo ai fatti, e i fatti sono questi: tutti gli imprenditori parlano di mobilità esterna e io sarò costretto a mettere un cartello in Piazza Castello "Ricevesi imprenditori che vogliono offrire la mobilità"! Nel pomeriggio avremo un incontro per la Gimac (300 operai altamente specializzati), E' un'azienda per la quale abbiamo avuto una lunga trattativa. L'ipotesi che era stata prospettata è caduta dopo la vicenda Fiat, ora spero che qualcuno venga a dirmi che c'è la mobilità all'ingresso. Lunedì riprenderemo il discorso con la Olivetti alla quale mesi addietro abbiamo dichiarato la nostra piena disponibilità ad attivare corsi di formazione professionale. Aspetto che mi specifichino per quali profili, per quali qualifiche, in quali tempi e con quali modalità. Mi hanno risposto: "Si accomodi, la faccia polivalente, 'aperta', perché tanto noi li licenziamo!".Devo fare la formazione professionale per dei licenziati? Dove va questa mobilità? Forse alla Montefibre che propone di licenziare all'ex Chatillon 350 persone? Signori Consiglieri, non intendo continuare questo elenco e tanto meno di fare dell'ironia, voglio solo trarre una conclusione: stiamo attenti a fronte di questi casi che ho elencato e di quelli che potrei aggiungere di non crearci dei feticci illusori. Se i grandi gruppi per primi non danno delle risposte ai problemi occupazionali, i rischi sono gravi anche per l'indotto.
Scusatemi per questa parentesi che ho voluto aprire parlando del problema Indesit. Non sono problemi separabili. La Regione opera su queste linee e con questi intendimenti pronta a fare tutta la parte istituzionale che le compete, sono però interventi che, per i nostri limiti in politica industriale, saranno attivabili solo a fronte di risposte e di programmi aziendali e nazionali.



PRESIDENTE

Ringrazio l'Assessore Alasia per la precisa esposizione e per la sensibilità dimostrata nei confronti di questi problemi.
Apro pertanto la discussione. La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Ringrazio innanzitutto l'Assessore Alasia per l'impegno preciso e puntuale. Mi spiace che la relazione, che riguarda un settore tanto importante della vita economica ed occupazionale della nostra Regione e di altre Regioni, cada in un'aula quasi deserta sia sui banchi della Giunta che sui banchi del Consiglio.
Proprio perché ho trattato per lunghi mesi con l'Assessore Alasia questa vicenda, ho incontrato la proprietà, ho sollecitato le banche ritengo che i problemi siano giustamente posti e che gli obiettivi debbano essere perseguiti con tenacia.
L'azienda è sana e ha una capacità di ripresa sul mercato, i suoi stabilimenti sono recenti e sufficientemente attrezzati. Ricordo le lotte che abbiamo fatto per lo stabilimento che doveva sorgere a Cavallermaggiore e che invece venne collocato nella regione campana. La causa di questa crisi risale alla crisi economica generale che flagella con maggiore intensità questo tipo di aziende. La crisi si è abbattuta in un momento in cui l'azienda aveva in corso ingenti investimenti ed aveva impegnato moltissime risorse. Si è anche parlato di alcune scelte sbagliate, ma di questo non posso dire nulla non avendo alcuna competenza tecnica n capacità in materia per determinare se in effetti le scelte fatte siano state giuste o sbagliate. Sta di fatto che sono oltre 10 mila i lavoratori che vedono minacciato il posto di lavoro, dei quali 6 mila nell'area torinese, senza contare tutti i riflessi sull'indotto.
L'Assessore Alasia ha inquadrato alcuni problemi: no al fallimento e no allo scorporo.
Nel corso delle assemblee da alcuni settori della proprietà era venuta l'opinione che la crisi potesse essere risolta comprovendendo, o attraverso le finanziarie o attraverso altre società, gli stabilimenti che si trovano nella nostra area e in altre regioni, quindi operando uno scorporo che avrebbe provocato la cattura degli stabilimenti principali e non avrebbe favorito la riassunzione generale della fabbrica, unitariamente intesa come momento importante del nostro Paese.
L'altro punto che la Regione ha affrontato è la ripresa produttiva la quale si può ottenere soltanto attraverso l'immissione di capitali o con un intervento di società o di finanziarie che acquisiscano parte della proprietà e che intervengano direttamente nell'azienda attraverso una ricapitalizzazione oppure attraverso incentivi sia sotto l'aspetto dello studio e della ricerca, sia sotto l'aspetto del credito agevolato.
Livelli occupazionali. Nelle aziende in crisi compare sempre il taglio dei livelli occupazionali, quasi fosse l'unico momento risolutivo dei problemi. Lo vediamo anche per la Fiat.
In ultimo, Alasia ha parlato di un raccordo tra le Regioni e gli Enti locali dove sono collocate le unità produttive, per fare il massimo sforzo verso il Governo, verso la proprietà o verso chi si indurrà ad entrare nell'azienda, affinché si giunga rapidamente alla soluzione del problema e si eviti la caduta del mercato. Esaurita la merce che si trova nelle filiali sparse in Italia e in Paesi europei ed extraeuropei, proprio la "non aggressione", termine ormai usato dalle forze economiche (ed anche dai giapponesi), si arriverebbe alla caduta di questo mercato, che comporterebbe la non soluzione del problema Indesit.
Ringrazio ancora l'Assessore Alasia per il lavoro che ha svolto e per il suo impegno. Per cinque anni abbiamo discusso insieme di problemi occupazionali, anche di domenica e nelle giornate festive; il Natale del 1979 lo abbiamo passato a Verbania, in una fabbrica, con il Vescovo di Novara che ha celebrato la Messa ai 2 mila operai in lotta. Spesso perdevamo ogni speranza ma poi, attraverso l'opera attenta, puntuale e rigorosa delle autonomie locali, vedevamo il rilancio produttivo. Quindi non bisogna mai darsi alla disperazione, mai pensare che tutto sia perduto ma bisogna lottare per riannodare il filo produttivo, per ricapitalizzare l'azienda e, attraverso una buona tecnologia e meccanismi di vendita efficaci, ridare vita alla produzione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Nell'affrontare il problema dell'Indesit si deve intanto dire che questa azienda è sana in quanto anche nei mesi di difficoltà produttive luglio e agosto, ha continuato a vendere soprattutto nelle filiali estere addirittura è cresciuta la quota di prodotto venduto. Non solo, ma l'azienda, che già esporta il 60% della sua produzione, ha conquistato recentemente nuovi mercati nel nord-Africa.
Alla luce di questi risultati bisogna rivendicare l'integrità del gruppo e respingerne lo scorporo. E' positivo il fatto che finora è stato accantonato il ricorso al commissariamento. Integrità del gruppo e non scorporo significano reperimento finanziario che permette una ricapitalizzazione dell'azienda. A questo punto dobbiamo fare i conti con la volontà politica del Governo e del Ministro Bisaglia e fare i conti con il Governo significa fare i conti con un Ministro che fin dall'inizio ha puntato allo scorporo dell'azienda, ha puntato alla vendita degli stabilimenti del meridione alla Zanussi e allo smantellamento di quelli del nord razionalizzando, in questo modo, il mercato degli elettrodomestici sulla pelle dei lavoratori. Chi dice che questa è una polemica pretestuosa e scorretto.
Se l'amministratore delegato della Indesit rifiuta il commissariamento e sembra orientato verso l'amministrazione controllata dell'azienda è perché, evidentemente, anche la proprietà dell'Indesit che punta - e questo è positivo - a mantenere l'integrità del gruppo, non si fida di un Commissario controllato dal Ministro Bisaglia; per non parlare poi del modo scandaloso in cui si comporta il Ministro, il quale si era impegnato a convocare entro il 10 agosto una riunione con l'azienda e gli istituti finanziari per trovare una soluzione in ordine ai 54 miliardi necessari alla ripresa produttiva e che invece non l'ha convocata; c'era l'impegno di convocare i sindacati entro agosto, non li ha ancora convocati nonostante le ripetute sollecitazioni. Anche l'azienda ha richiesto più volte l'incontro con il Ministro, ma il Governo rifiuta questi incontri. Le forze politiche che siedono al Governo e i Consiglieri che appartengono a quelle forze politiche e che siedono in questi banchi devono assumersi le responsabilità nei confronti del Governo perché è scandaloso che un Governo abbia Ministri che fanno quello che gli pare. Questo non è un Governo, non è neanche un malgoverno: è lo sbando, alla faccia della governabilità! L'incontro del sindacato con il Governo è necessario anche perché i lavoratori e il sindacato devono controllare le soluzioni che si prospettano. Il ricorso alla 675 è giusto nella misura in cui ci sia un piano aziendale concordato con i lavoratori e con i sindacati. Su questi punti devono impegnarsi le forze politiche, in particolare quelle che fanno parte del Governo.
E vengo brevemente al problema della mobilità. Ebbene, si incominci a verificare se è possibile il ricorso alla mobilità esterna per gli operai della Fiat, si incominci a verificare questa possibilità per quelli dell'Indesit, della Olivetti, della Montefibre e di tutte le altre aziende.
La Mobilità è scritta nei documenti, è scritto anche che, finita la cassa integrazione speciale, l'Unione Industriale si impegna a riassumere i lavoratori in altre aziende, ma alla fine, di fronte ad una crisi sempre più grave per le maggiori aziende dell'apparato produttivo piemontese, i lavoratori meridionali o se ne ritornano al loro paese o comunque rimangono senza un posto di lavoro. Ebbene, alla luce di questo tutti si assumano le proprie responsabilità.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

In questi mesi si sta consumando una vicenda che è drammatica, oltre che per il merito (7 mila posti di lavoro in discussione), anche per il modo in cui si è sviluppata la vicenda. Credo di poter condividere lo spirito e la rabbia del compagno, Assessore Alasia, nel dare la sua informazione. La rabbia perché questo è un caso in cui hanno trovato spazio la commedia, gli equivoci, il ritirarsi indietro da parte dei massimi livelli, Ministero e banche, a mano a mano che si facevano più urgenti e più drammatici i tempi del chiarimento e delle risposte. A proposito dei finanziamenti, sempre meno i protagonisti di una risoluzione positiva erano al loro posto e sempre meno erano in grado di corrispondere alla gravità e all'urgenza del problema.
Di fronte agli spiragli e alle notizie che ci dà oggi Alasia, credo non sia opportuno coltivare alcun ottimismo. Certo, il lavoro di questi mesi la straordinaria tenuta della lotta dei lavoratori dell'Indesit (chi passa davanti allo stabilimento vede gli operai che da mesi presidiano lo stabilimento, e lo hanno fatto anche nei giorni delle ferie), la lotta e la testimonianza quotidiana dei lavoratori, sono elementi che in questa vicenda, triste per il modo in cui si è sviluppata, e grave per il merito ci deve indurre ad aumentare, se possibile, gli sforzi. Capisco che non è possibile fare più di quanto l'Assessore ha fatto, più di quanto Consiglio e istituzionali locali della zona hanno fatto, però in questa stretta finale è quanto mai opportuno fare seguire a questa fase di informazione e di dibattito anche le iniziative che, sulla base delle indicazioni della Giunta, si dovranno assumere. Gli sforzi che sono stati compiuti devono cercare di coinvolgere la proprietà e chi per molti anni non ha fatto correttamente il suo mestiere. E' una triste constatazione che dà forza alle argomentazioni di questi giorni, di fronte alle gravi decisioni padronali relative all'occupazione. Il caso Indesit è emblematico: si è arrivati alla proposizione della cassa integrazione a zero ore senza la benché minima traccia di un programma di ripresa produttiva, di riconversione, di ristrutturazione, senza la minima indicazione di orientamento per lo sviluppo. In poche parole, venivano chiesti interventi a fronte di nessuna offerta concreta di azione, di movimento, di iniziativa. Se è stato possibile ottenere delle linee di programma proprio per legittimare la richiesta della 675 per il piano dell'elettronica e per la parte del bianco, questo è dovuto all'azione dei lavoratori e delle istituzioni.
Le ipotesi che si stanno verificando in questi giorni, i rapporti con la finanziaria, sono elementi da valutare positivamente.
Le organizzazioni sindacali avevano timori per la presenza dell'azienda sul mercato, ecco allora che la ripresa della produzione è un'esigenza primaria.
La crisi dell'Indesit, specie per la zona del Pinerolese, ha conseguenze gravi che vengono accumulandosi con perdita di posti di lavoro non violenta, ma continua, storia comune questa anche in altre zone della Regione e per altri comparti, come il tessile. Ma la preoccupazione maggiore nella zona è costituita dalla disoccupazione femminile.
I lavoratori hanno chiesto atti concreti di solidarietà alle istituzioni locali in ordine al futuro sviluppo del Pinerolese secondo i criteri contenuti nella bozza del piano territoriale.
Credo, infine, che sia opportuno il richiamo che è stato fatto sulla questione della mobilità, la cui delicatezza è fuor di dubbio. Occorre verificare le volontà, le garanzie e gli strumenti legislativi.
Le fughe dalle responsabilità, le assenze e i silenzi sono elementi che ti devono rafforzare nel collegare il nostro giudizio alle proposte in merito alla mobilità.
Anche l'ultima fase della vicenda Indesit attende una verifica. Credo vada riconosciuto l'intelligente impegno e la strenua fatica con cui la Giunta ha seguito questa vicenda.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Prendiamo atto come Gruppo D.C. dell'informativa che ci viene data dall'Assessore Alasia, il cui impegno, d'altro canto io conosco, avendo ricoperto fino a poco tempo fa la carica di Sindaco di un Comune sito in zona colpita da crisi occupazionale. Quindi, non sono in discussione la passione e l'impegno dell'Assessore Alasia. I problemi occupazionali sono notevolissimi. La crisi dell'Indesit confermi che anche un'area forte, come quella torinese, non è indenne da problemi occupazionali.
E' positivo che sia stato evitato il fallimento, è positivo che si sia soprasseduto in ordine al commissariamento che, così come è previsto dalla legge Prodi, costituisce una misura estrema da adottarsi quando non ci siano altre soluzioni. E' stato chiesto il commissariamento per gli stabilimenti della Liquichimica, quando il fallimento era già dichiarato e c'era stata l'iniziativa delle amministrazioni democratico cristiane come correttivo di un provvedimento troppo grave; quindi sotto il profilo della difesa dei posti occupazionali, quando essa è necessaria e quando è giusta noi ci siamo sempre impegnati. In merito a questo profilo non possiamo tollerare attacchi o dichiarazioni ambigue.



MONTEFALCHESI Corrado

E' la realtà.



BRIZIO Gian Paolo

Non è assolutamente la realtà e pregherei di non essere interrotto come non ho interrotto gli altri.
Se ci sono possibilità di funzionamento dell'azienda, anche in amministrazione controllata, tale provvedimento è certo positivo.
Se ci sono iniziative da parte di un nuovo socio, di un nuovo partner interventi di capitale sostanziali, che portino mezzi di rilevante entità e di sostegno manageriale, probabilmente l'Indesit, che sostanzialmente è un'industria sana, potrà essere avviata verso una soluzione positiva. Credo che questa possa essere la strada nella quale ci si deve muovete. Pertanto no allo scorporo anche se, in questo caso, dobbiamo essere molto realisti.
Nella crisi economica odierna è in crisi anche l'efficienza e la produttività della grande impresa; dopo il periodo delle concentrazioni dei grandi complessi, delle economie di scala, si punta in determinati settori sull'impresa più agile, a misura dell'imprenditore: l'imprenditorialità riesce ancora a dare qualche cosa di positivo, i rapporti umani sono tali da generare una maggior corrispondenza e, in definitiva, una maggiore soddisfazione anche per lavoratori. Dico questo non con lo specifico riferimento al fatto, ma con riferimento a un discorso più complesso.
Teniamo conto che nella situazione del mercato del lavoro piemontese, per quello che riguarda la mobilità, molto potrà venire dall'attivazione delle imprese medie e piccole, dove l'imprenditorialità ha ancora capacità di muoversi, sempre che il sistema lo consenta.
Il discorso dell'intervento delle banche e dello Stato è positivo certamente, ma se esso è soltanto un intervento assistenziale (cassa integrazione a zero ore, mancanza di piani) finisce per procrastinare il problema, finisce per allargare l'area pubblica e per abbassare il tenore dell'economia, portandola via via, verso una soluzione di economia non libera, di economia statalizzata, scelta di campo questa, che noi respingiamo totalmente anche per quello che riguarda la produzione del reddito nazionale, le conseguenze economiche e altrettanto importanti le conseguenze sulla libertà di tutti.
A questo proposito dissento dalle indicazioni che altri hanno voluto dare nel dibattito.
Non abbiamo difficoltà a riconoscere che c'è stata lentezza nell'intervento del Governo, ma qui vediamo anche sottolineata la mancanza di interesse del Ministro in prima persona. Bisogna fare alcune valutazioni. Il collega Alasia sa che non sempre si può essere presenti personalmente. A lui ho dato atto del massimo impegno, ma ci siamo trovati anche in riunioni operative nelle quali vi era un funzionario, per questo non ci siamo scandalizzati anzi abbiamo operato e abbiamo lavorato come se ci fosse stato l'Assessore. Quindi mi auguro che l'incontro di domani possa dare qualche risultato, anche in assenza di un responsabile diretto.
Non hanno significato tutte queste personalizzazioni! In fondo, c'è un Sottosegretario all'industria, che è torinese, che appartiene ad un partito che fa parte della maggioranza che esprime questa Giunta. Perché non attiviamo l'on. Magnani Noya affinché si occupi di questo problema? I Sottosegretari e i Ministri torinesi della D.C. sulle questioni di lavoro non avevano pace; allora, impegnamo anche i Sottosegretari all'industria che appartengono ai partiti della maggioranza e non personalizziamo tutto sulla Democrazia Cristiana, questo demone del bene e del male sul quale si scaricano tutte le polemiche.
Nel mercato del lavoro c'è il grosso problema della mobilità. Noi non abbiamo detto di essere pregiudizialmente favorevoli all'utilizzo della mobilità, senza garanzia, noi diciamo che più si fa rigido il mercato del lavoro, più sostanzialmente l'economia arretra: la perdita di elasticità e di movimento del mercato del lavoro, è un arretramento economico. Non a caso torna in discussione il discorso sui salvataggi, discorso che in termini aprioristici non tiene conto della sanità reale, della possibilità di ripresa e d'incidenza, in un mercato libero, delle imprese italiane.
Anche noi intendiamo la mobilità come un processo che porti da un posto di lavoro all'altro ma, in una trattativa di grande importanza, non si possono porre, né da una parte né dall'altra, delle pregiudiziali che vadano al di fuori del merito, come è scritto con chiarezza nel documento, che abbiamo proposto al Consiglio ieri in ordine alla questione Fiat e che abbiamo votato assieme al P.R.I. e al P.L.I.
Ci rendiamo conto che nella realtà torinese è difficile realizzare una mobilità in senso positivo, però su questo terreno dobbiamo operare attivando non soltanto l'iniziativa imprenditoriale, ma anche tutti i mezzi della programmazione regionale per stimolare un mercato del lavoro attivo non rigido, una mobilità corretta nell'interesse di tutti, anche della classe lavoratrice che non ha alcun giovamento da un appiattimento di posizione individuale che finisce per essere elemento di arretramento e di avanzata, non solo in senso economico, ma in senso culturale.
In questo senso noi intendiamo la mobilità: questo processo può essere una via d'uscita per tante altre situazioni.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Cerutti.



CERUTTI Giuseppe

E' doveroso rivolgere un ringraziamento all'Assessore Alasia per l'impegno, la capacità e la dedizione profusi a titolo personale e a nome della Giunta.
Al di là del problema Indesit, l'Assessore ci ha delineato un quadro veramente preoccupante, di cui conosciamo alcuni aspetti periferici di situazioni che sembrano attualmente composte, ma che riservano o possono riservare purtroppo grosse sorprese.
E' garbata l'accusa che l'Assessore Alasia ha rivolto ai rappresentanti di Governo. Infatti è un vero peccato che di fronte all'impegno costante che l'Ente Regione attua nel merito del problema occupazionale non ci sia soprattutto nel caso Indesit, un riscontro concreto da parte del Governo.
Non ci formalizziamo: che la colpa sia del Ministro o del Sottosegretario o di chi per esso, diciamo che il problema, che riguarda 6 mila e più lavoratori, deve per forza far capo al Governo.
Sappiamo che l'Indesit costituisce un'eccezione nei diversi problemi occupazionali perché è un'azienda sana, che ha tutte le caratteristiche per riprendere l'attività nel contesto europeo e mondiale.
Ci sembra di capire che con un finanziamento si possono risolvere immediatamente certe situazioni di produttività, ma ci sembra anche di scorgere in tutto questo un tentativo di monopolio al di fuori dell'azienda e sulla testa dei lavoratori.
Già in passato la Giunta si è trovata in condizioni disperate di fronte a casi importanti, come quello della Montefibre, che attualmente è in una situazione non risolta, che potrebbe riesplodere e coinvolgere tutto il sistema occupazionale del nord, della provincia di Novara. Di fronte alla drammaticità dei problemi, in un contesto economico difficile, sarebbero gravi queste manovre speculative in un momento già drammatico. Non possiamo tranquillamente aspettare che tutto si risolva da solo, pertanto rinnoviamo il mandato all'Assessore e alla Giunta perché proseguano con la pressione tanto più che la Regione, pur non avendo competenza, è diventata il punto di riferimento in queste situazioni e di questo dobbiamo farcene carico in momenti particolarmente difficili.
Di front e a problemi occupazionali ci si scordi la colorazione politica e si uniscano gli sforzi proprio per raggiungere gli obiettivi.
Siamo a disposizione, per quanto possibile, e rinnoviamo il nostro ringraziamento alla Giunta e all'Assessore.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Non sono in grado di entrare nel merito dell'argomento anche perché la relazione è fresca di battuta. Mi pare comunque di dover sottoscrivere le indicazioni che ha dato il collega Viglione: scongiuriamo che sparisca la controparte, che all'impresa si sostituisca il Commissario, che all'impresa si sostituisca il curatore fallimentare, perché di qui si innescherebbero i fenomeni che con la Venchi Unita abbiamo visto.
Vanno fatte peraltro alcune considerazioni che nascono non tanto dalla relazione quanto dai commenti di qualche collega su temi di carattere generale. Mi sembra di capire che manca un apporto di denaro freno. Ci troviamo di fronte ad un'impresa efficiente, anche sul mercato internazionale, che improvvisamente non riesce più a perseguire il risultato di produrre un utile, di produrre un profitto e di remunerare il capitale. Mi preoccupa l'improvvisa invasione nel nostro Paese dei "nouveaux économistes" secondo i quali bisogna dare la mano libera all'impresa. Questo lo sentiamo dire anche dai democristiani; Bisaglia dopo essere andato a spasso con Tina, è stato folgorato sulla via di Damasco ed è diventato liberale; non si capiscono queste cose, come vorrei capire perché il Governo continua a rifinanziare la SIR, che è come mettere l'acqua nel colapasta. Rifinanziare la SIR. cari amici, significa aumentare il costo del denaro perché la risorsa che si mette a disposizione delle aziende assistite viene o dall'inflazione o dal sistema bancario: se viene dall'inflazione significa che le risorse finanziarie delle aziende sane sono decurtate, se viene dal sistema bancario significa aumento del costo del denaro per le aziende sane. Quindi la mobilità esterna va recuperata nel recupero del sistema, che significa partire con un minimo di serietà e rileggere questo "sistema Italia" che non funziona. Certamente, c'è il problema della mobilità, ma nei contratti sindacali si deve anche riconoscere che la funzione dell'impresa è quella di produrre la remunerazione e il rifinanziamento dell'impresa, il che non è soltanto distribuire gli incassi ai fornitori e ai dipendenti. Quindi il rilancio neoliberista nel nostro Paese non va enfatizzato; certamente, una maggiore consapevolezza dei problemi può farci pensare che le cose possono cambiare ma non vorremmo essere accusati di essere portatori di una filosofia politica ed economica che si rivelasse non premiante a tempi stretti: come i disastri si sono preparati a tempi lunghi, i tempi per rimediare alle vicende economiche saranno indubbiamente di lunga mano.
E' comprensibile la preoccupazione dell'Assessore Alasia per l'uscita continua di risorse, per queste porte che hanno i battenti che funzionano solo in un senso. Ci rendiamo anche conto dei limiti oggettivi dell'azione regionale, pur riconoscendo la capacità d'inventiva, di iniziativa e di presenza dell'Assessore Alasia (forse sarebbe il caso di cambiare il titolo del suo Assessorato: chiamarlo "Assessorato all'occupazione", porta male).
Tutte queste vicende dovrebbero far riflettere soprattutto i colleghi della seconda legislatura per la sicumera con cui hanno portato avanti non tanto il piano di sviluppo, ma la legge urbanistica e le previsioni di sviluppo su cui ipotizzare gli standards insediativi, sia abitativi che industriali: strumenti urbanistici, piani territoriali, piani comprensoriali, Comprensori che elaborano i piani di sviluppo, che a loro volta devono aspettare quelli delle Comunità montane, le quali a loro volta devono aspettare le previsioni dei Comuni, tutti argomenti sui quali, a Dio piacendo, qualcuno ha incominciato ad astenersi. Questa lezione, che preferiremmo non aver avuto, ci insegna che le realtà economiche ci presentano i conti proprio nei momenti più impensati e inattesi. Il Capogruppo Viglione diceva che, come uomo della strada o come Presidente della Regione uscente, non riesce a capire perché si assumono, 12 mila persone in un settore che ne espelle 24 mila nel giro di sei mesi.
Ricreare l'imprenditorialità, come capacità di operare, è probabilmente la scommessa delle nuove generazioni politiche, è l'obiettivo degli anni '80 e '90. Evidentemente, non possiamo aspettarci questo soltanto dalla classe imprenditoriale, ma, come si è detto giustamente ieri, deve esserci il recupero di una cultura che riconosce nell'impresa la capacità di realizzare e di produrre nelle sue diverse espressioni, avendo capito una volta per tutte che le, masse cattoliche e quelle laiche hanno grossi risultati, ma che la manna sul deserto è scesa una volta sola e non è più ritornata.
PRESIDENTE.
Agli intervenuti, replica l'Assessore Alasia.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Nel dire al collega Brizio che è lungi da me l'intenzione di personalizzare i fatti, desidero rinnovargli il mio vivo, personale ringraziamento per l'aiuto che mi ha dato, sia quando era Sindaco sia quando non lo era più, per risolvere la situazione delicata delle dieci aziende Gepi e per strappare qualcosa di più di quello che si pensava di poter ottenere.
Ero assente quando il collega Brizio è venuto in Regione e ha seguito con i funzionari dell'Assessorato la fase successiva della vertenza. Voglio ricordare che in tutte le riunioni che si tengono presso il mio Assessorato sono ben accolti i Consiglieri di tutte le parti politiche. Non ci sono paratie, salvo differenze di ruolo fra la Giunta ed il Consiglio. Assicuro di aver interessato anche il Sottosegretario Magnani Noya, quindi non c'è alcuna difficoltà da parte nostra ad investire tutti (mi piacerebbe anche investire un Ministro comunista per stabilire un rapporto dialettico con i miei compagni, ma per ora non c'è).
Nella mia lunga vicenda di Assessore ho avuto modo, e ne ho dato largamente atto al Consiglio, di aver atto incontri con i Ministri Donat Cattin, Nicolazzi, decine di volte, ho incontrato Nicolazzi e Prodi a Torino, parecchie volte, ma non ho mai avuto il piacere di conoscere Bisaglia, malgrado vi fossero parecchie questioni in comune. Ad alcuni appuntamenti fissati non si è presentato. So che un Ministro non può essere dappertutto, io stesso a volte non posso coprire tutti gli impegni.
Con il Sindaco democristiano di Pinerolo è stata sollecitata la presenza del Governo, o .nella persona del Ministro o in una rappresentanza il Governo. Venga anche a dire che non è d'accordo, soprattutto, ma venga a dire una posizione univoca perché dal Sottosegretario Zito abbiamo avuto un certo orientamento in ordine allo sblocco del credito e, nello stesso giorno, dal Ministero dell'industria è partita un'iniziativa che era esattamente il contrario.
Siamo di fronte ad una duplica posizione del Governo e chiediamo un chiarimento. Mi permetto anche di rivolgere un caldo invito alla D.C.
perché l'impegno del mese: di agosto venga comunque mantenuto e perché la discussione venga risolta in base ad una sola linea e una sola parola, come dice la Bibbia.



PRESIDENTE

Il dibattito è concluso.
L'esame del progetto di legge n. 2 di cui al punto nono all'ordine del giorno viene rinviato alla seduta del 23 settembre 1980.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19.30)



< torna indietro