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Dettaglio seduta n.61 del 21/05/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Organi, strumenti e procedure della programmazione - Piani pluriennali

Provvedimenti di politica economica di pronto avvio. Anticipazioni del secondo piano di sviluppo regionale (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Proseguiamo con il punto terzo all'ordine del giorno: "Provvedimenti di politica economica di pronto avvio. Anticipazioni del secondo piano di sviluppo regionale".
La parola al collega Gastaldi.



GASTALDI Enrico

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, alle ampie e già esaurienti osservazioni della Capogruppo del PRI, voglio aggiungere alcune considerazioni semplici e pratiche sul documento dell'Assessorato all'agricoltura.
Alla prima lettura di questo documento sui progetti per il piano di emergenza si ha l'impressione che vi sia una scarsa inventiva ed ideazione.
Il documento infatti consiste in una elencazione di progetti già iniziati negli anni precedenti, già valutati in precedenti dibattiti e per i quali si promette una continuazione ed un completamento.
Però, a ben considerare, in agricoltura non può che essere così: l'agricoltura non concorre all'inflazione: l'aumento dei prezzi dei prodotti agricoli è stato mediamente della metà di quello dei prezzi in generale; tanto che si può benissimo dire che se in tutti i settori produttivi l'inflazione stesse nei termini del settore agricolo (10%) l'inflazione in Italia sarebbe accettabile.
Per l'agricoltura quindi non vi può essere l'inventiva per trovare correttivi, per combattere l'inflazione, ma quella di poter contenere i prezzi e la produzione, trovando però mezzi perché questo si concili con l'aumento del reddito per il settore agricolo, ciò che in pratica consiste in una diminuzione delle spese per la produzione.
E a questo veramente è sempre stata finalizzata la politica agricola regionale, sulla quale ci siamo di solito trovati (a parte alcuni particolari) in accordo. Il rifiuto dell'assistenzialismo, la politica delle strutture della programmazione, la spinta all'associazionismo e alla cooperazione anche nella fase di produzione come mezzi per aumentare il reddito, ci trovano consenzienti.
Però, se la politica agricola, come è voluta dalla Giunta è giusta nei suoi termini generali, essa va però perfezionata soprattutto nella parte per così dire, burocratica. Va cioè resa più agile l'erogazione degli interventi e una promessa in tale senso, anche se è nelle intenzioni dell'Assessore, manca nel documento.
Sappiamo che il rallentamento della spesa che rode con l'inflazione l'intervento stesso, non è colpa tanto degli uffici regionali, però essa va ugualmente analizzata nelle sue cause e nella identificazione dei punti di comparsa e poi corretto. Se però non vi può essere inventiva da parte dell'Assessorato all'Agricoltura, vi deve essere inventiva invece da parte degli assessorati competenti per i settori che hanno rapporti con l'agricoltura: il commercio ed il turismo. E mi riferisco agli allegati specie all'allegato 8, sull'iniziativa per la lotta al caro-vita.
Vengono in essi elencati vari progetti che vanno dall'educazione alimentare, all'analisi della formazione dei prezzi all'ingrosso e alla vendita diretta a mense ed ospedali. Mancano però, a mio modo di vedere, un progetto di studio e di analisi della formazione dei prezzi al consumo, dei prodotti alimentari. Un progetto di correzione del divario eccessivo tra prezzi e la produzione di consumo che si potrebbe realizzare, per esempio con un progetto per la vendita diretta al consumatore singolo, ben studiato, ben presentato nella sua parte legislativa ed attuativa.
Questi progetti, anche se di difficile realizzazione, a me paiono di estrema importanza per combattere l'inflazione. Si sa che la spesa per l'alimentazione è quella maggiore che una famiglia deve sostenere e si sa anche che come uno studio del Confcooperativa ha dimostrato, delle 20 mila lire che una famiglia di 4 persone sostiene mediamente per l'alimentazione giornaliera, 8 mila vanno al produttore, 12 mila al commerciante per i passaggi tra produttori e consumatori.
Correggere tale divario non giustificabile, unito ai mezzi per mantenere limitati i prezzi e la produzione, aumentando contemporaneamente l'utile per l'agricoltura sono progetti che debbono trovare collocazione tra quelli proposti dal documento perché completerebbero quelle iniziative utili ed indispensabili per ridurre il caro-vita, che è una delle cause più importanti dell'inflazione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, se fosse presente il collega Viglione comincerei il mio intervento dicendo che: "de minis non curatat" perché i suoi interventi svincolano la problematica che c'è sui nostri tavoli e tendono a farci riflettere dove si collocano i nostri interventi e i nostri problemi. Qualche volta un certo partito affronta con leggerezza i problemi e dà giudizi "trancianti" sul piano storico a vicende un po' difficili da ridurre in una battuta.
Giscard d'Estaing è uscito voltando le spalle alla cinepresa. Non l'ho visto, ma penso che anche Viglione abbia soltanto letto, come io l'ho letta, la vicenda francese. Dico peraltro che non c'è un'altra Francia che sta arrivando. C'è la Francia. Ricordiamoci che le grandi democrazie europee, a cui fa riferimento Viglione, hanno come caratteristica quasi fisiologica quella di rigettare i padri della patria. Churchill, l'eroe della II guerra mondiale perse le elezioni appena si è ripresentato, appena finita l'emergenza; Giscard d'Estaing, questo personaggio un po' ascetico sul piano estetico non era molto congeniale ai francesi, così sanguigni e tutto sommato, goderecci. Peraltro non si può non riconoscere che Giscard d'Estaing ha riportato nell'alveo liberal democratico la rivoluzione gollista. E, proprio il fatto che l'epoca gollista si chiude con una presidenza socialista sta ad indicare quanto abbia fatto questo periodo per riaprire il dialogo totale. Di che tipo è questa ventata? Andrei molto cauto a dirlo, perché lo scarto tra i due schieramenti è passato in 7 anni da 300 in più a un milione in più. Non c'è nessuna rivoluzione del corpo elettorale della Francia, c'è semplicemente la delusione di 1 milione di francesi. Se fossi un socialista francese rifletterei sui voti che hanno impedito a Giscard d'Estaing di ritornare in maggioranza.
Se fossi comunista rifletterei sul fatto storico. Gli amici democristiani direbbero che le vie della Provvidenza sono diverse numerose, imperscrutabili e imprevedibili, ma le vie della storia lo sono altrettanto. Osserviamo che il Partito Comunista Francese che in Europa sembrava il più lontano da ipotesi di governo per il gioco della sorte, dei risultati delle occasioni, probabilmente si trova ad essere una forza di governo che ci siano o non ci siano ministri comunisti. Andiamo molto cauti a immaginare una Francia diversa, un'Europa diversa, anche perché se il duello tra liberaldemocratici da una parte e socialisti dall'altra ci pu esaltare, dobbiamo anche dire che contemporaneamente a Berlino, non le forze del progresso alle quali si riferisce Viglione, ma altre forze, hanno vinto le elezioni in modo estremamente pesante: la storia è di colore così diverso come mi sembra abbastanza difficile voler vedere in questo dei segnali internazionali a cui riferirci.
Vengo al dibattito al quale siamo chiamati dal documento della Giunta.
Il nostro Gruppo farà più di un intervento e il nostro giudizio sarà quello finale che non potrà non considerare gli ulteriori interventi della maggioranza. Non si può preliminarmente non riconoscere che, comunque questo lavoro è probabilmente il primo lavoro serio che ha fatto la Giunta di questa legislatura, nel senso che ha provato a misurarsi con i problemi con la realtà, con gli interlocutori della collettività. Questa è una prova di autorità e non di debolezza di governo e noi, come partito di opposizione, non possiamo che apprezzare che la maggioranza e l'esecutivo vogliano fare la loro parte. La faranno bene o la faranno male sarà materia di dibattito.
Abbiamo una serie di approfondimenti nella società piemontese, una serie di chiamate in correo degli altri protagonisti che sono i cittadini in tutte le loro articolazioni. C'è una chiamata a responsabilità della classe politica piemontese. Questo atto di orgoglio della Giunta sul piano istituzionale deve essere apprezzato.
Indubbiamente i risultati e gli obiettivi non ci troveranno così consenzienti nel giudizio finale anche perché, malgrado le correzioni formali al documento, ci sembra che, come al solito, si dimentichi che l'emergenza è la dimensione del nostro tempo. Il nostro tempo, così veloce nei suoi rivolgimenti e sconvolgimenti, non permette al politico in una economia libera di mercato, di avere spazi così lunghi da poter programmare in serenità. Berlinguer nella relazione del 1974 faceva notare che un paese che allora era già al 20 % di inflazione, era destinato ai più grandi sconvolgimenti. Siamo abituati a vivere con una svalutazione del 20. Non ci siamo scannati tra noi, il quadro politico non è così disastrato come qualcuno vorrebbe dire, quindi questo fatto, insieme con le vicende del terrorismo, ci fa pensare che il Paese ha una capacità di sopportazione e di inventiva forse che sono il modo di governare l'emergenza, ma in definitiva, la capacità di governare sé stesso e il suo divenire. Quindi la concezione del documento legata a quelli che potrebbero essere gli interventi a tempi stretti rende difficile una sua armonizzazione con obiettivi più vasti e a tempi più riflessi e più meditati che sono quelli del secondo Piano di sviluppo.
Affronto alcuni problemi destinando la mia attenzione particolare a un problema di carattere istituzionale che ha già toccato la collega Vetrino.
La questione che seguo in modo particolare è quella dell'energia. Se va apprezzato il tentativo della Regione di andare a ricercare tutte le occasioni di intervento per privilegiare una minore dipendenza dal petrolio, devo dire che comincio ad avere una preoccupazione. Noto che anche l'Assessorato al Turismo indica tra i parametri prioritari dei suoi interventi l'adozione di strutture che tendano al risparmio energetico.
Non vorrei che questa possibilità del ricorso ad energie alternative sia enfatizzata oltre il limite giusto, in altri termini non vorrei che il problema energetico si trasformasse in bricolage nel senso che qualunque cosa diversa dal petrolio sia ritenuta una cosa che serve, una cosa utile.
Non so se sia vero, come questa mattina diceva il collega Montefalchesi, che con il biogas si può alimentare tutto il Piemonte. Se fosse vero, andremmo a impoverire il Piemonte di un'altra risorsa altrettanto importante: la fertilità del suolo. I pannelli solari vanno giudicati se hanno un ritorno economico adeguato e non tanto per il fatto che servono a fare dei depliants.
Non vorrei che questa rincorsa, abbastanza preminente sul piano dell'indagine dell'Assessorato, della Giunta e delle istituzioni trascurasse impegni precisi assunti in Consiglio. Nella relazione c'è un'espressione abbastanza curiosa. Si dice, confermando la disponibilità ad ospitare una centrale nucleare, che il Piemonte non ha "vocazione nucleare". Non penso che ci siano regioni che abbiano avocazione nucleare.
Neanche le steppe del Belucistan l'hanno la vocazione nucleare perché anche quelle terre sono dissodabili, irrigabili, suscettibili di insediamenti economici, civili. Può esserci la vocazione turistica, la vocazione musicale, la vocazione del missionario, ma non vedrei su questo piano la vocazione nucleare.
Devo peraltro dire all'Assessore che troppi tempi sono passati da quando si doveva istituire la Commissione congiunta Consiglio-Giunta, sul problema energetico; devo anche dire che molte iniziative sono assunte dall'Assessorato al di fuori dell'opportuna comunicazione ai membri della Commissione e ai Consiglieri. Quindi rivolgo un cordiale e anche fermo richiamo all'Assessore perché il taglio diverso della gestione che apprezziamo, si traduca in un rapporto migliore con tutti i Consiglieri.
Uno degli interventi meno curato nel piano della Giunta e che potrebbe trovare una soluzione più immediata, è quello delle centraline da recuperare. Sono risorse di tale entità e di così lungo ritorno economico che hanno la necessità che si porti finalmente a compimento quella vecchia idea ormai di tutti che la Finpiemonte sia il centro propulsore di una società finanziaria capace di intervenire o in termini diretti o in termini di garanzia sui finanziamenti di questo settore.
Il Consigliere Viglione si scandalizza per l'ammontare della spesa sanitaria in Italia. Anche in questo caso non dovremmo enfatizzare le cose: la spesa sanitaria in Italia è così bassa che per allinearsi a quella europea deve crescere del 40 % circa. E' una spesa mal distribuita e mal utilizzata, quindi non si tratta di ridurla, semmai di razionalizzare i meccanismi di pagamento delle spese e delle prestazioni sanitarie.
Molte considerazioni sono state fatte sul la problematica e sulla riconversione. Da molte parti veniamo richiamati non tanto a promuovere i fenomeni, ma a realizzare le condizioni per cui la riconversione possa trovare localizzazione. Il punto nodale è il sistema dei centri merci. A questo proposito, ricordo che in questi giorni è cruciale il problema del centro intermodale Orbassano-Susa. Non posso non rilevare con qualche preoccupazione che, mentre nel documento si parla di centro intermodale Orbassano-Susa, nella relazione del Presidente, forse per un lapsus, si parla soltanto più di Orbassano. Quindi richiamo la Giunta al massimo impegno e alla coerenza su questo problema poiché il centro intermodale Orbassano-Susa è una delle prime realizzazioni previste dalle legge 11/80.
Se la Regione non è più che presente, se non esercita la massima autorità di governo su questa prima sperimentazione, non pensi di poter essere protagonista delle fasi successive che, evidentemente, partiranno in condizioni estremamente difficili. Il mondo dell'imprenditoria e tutta la realtà piemontese guardano con molto interesse a questo nuovo modo di gestire il territorio e le grandi infrastrutture.
Molte interessanti considerazioni sembrano di carattere marginale e inserite episodicamente nel documento, quindi vorrete scusare se altrettanto episodica sarà la nostra considerazione. Non ho rilevato da parte dei colleghi intervenuti sufficiente attenzione al progetto Ignitor che, anche se collocato in altra sede, è probabilmente da attribuire all'intelligenza dell'Assessore alla Cultura. Si tratta di una serie di grandi e piccole macchine sperimentali per la ricerca sulla fusione nucleare. Questo progetto potrebbe dare un'immagine nuova della nostra Regione. Mi permetto di ricordare a questo proposito, che circa dieci anni fa si è persa un'occasione del genere non localizzando ad Alessandria, così come era stato proposto da un illustre studioso torinese, un centro di misure nucleari. Auguriamoci che questa possibilità che viene oggi offerta alla Regione da un illustre studioso torinese attualmente operante negli Stati Uniti, non venga nuovamente persa.
Abbiamo seguito con particolare attenzione il settore della formazione professionale. A parte i rilievi più specifici che andrò a leggere, ci sembra che l'Assessore Ferrero sia in ritardo rispetto a una problematica così fondamentale nella "storia" della nostra Regione. Ho riletto ne "La storia del Piemonte" quanto il Castronuovo scrive sulla crisi della seconda metà dell'800 dopo il trasferimento a Roma della capitale. Il dibattito che si tenne in quel momento ebbe come sbocco due decisioni: la promozione del recupero di energia la formazione professionale.
Questo vuol dire che un paese povero di risorse proprie come il nostro ha la necessità di cercare risorse energetiche e gente capace di trasformare le materie prime. Mi auguro che sul piano della formazione professionale oggi si faccia di più di quanto non si sia fatto allora sul piano dell'energia perché in conseguenza di questo piano che si era dato il Piemonte si erano recuperati soltanto 625 cavalli! Nel piano della formazione professionale a nostro avviso manca ancora la capacità di porre in essere una formazione professionale che sia coerente con le esigenze del mercato ma che, in qualche misura, riesca a precederlo riconoscendo la capacità di formazione professionale ai soggetti a ciò preposti ma soprattutto alla realtà economica imprenditoriale e artigianale della Regione.
L'altro argomento sul quale abbiamo ritenuto di dedicare una particolare attenzione è quello attinente alle deleghe.
Diversamente da quanto dice la collega Vetrino, non ci scandalizziamo del fatto che questo problema sia qui inserito perché ci sembra opportuno che, proprio nel momento in cui si ritiene di essere sommersi dal contingente, non si debbono chiudere gli occhi di fronte alla necessità di affrontare i problemi di tipo istituzionale, ma si debba cogliere la lezione dal presente e se il presente è la verifica del non funzionamento del meccanismo, può far emergere delle condizioni che ci possano aiutare ad impostare il problema in tempi di lungo periodo.
L'esame del ruolo degli enti locali e della funzione della delega nello specifico ci può essere utile per affrontare il problema di carattere generale.
La relazione introduce a pag. 67 il problema della delega con un linguaggio estremamente asettico e efficientista e suggerisce l'istituzione di una commissione mista, Giunta e Consiglio, che riferisca entro il mese di giugno: siamo ai documenti dei saggi.
Mi siano consentite alcune considerazioni. Il problema di carattere istituzionale sembra costretto negli spazi e nelle prospettive di un documento quale quello predisposto dalla Giunta e tendente in primo luogo ad essere di supporto ai problemi di carattere economico, di struttura e di congiuntura.
Si deve sottolineare la mancanza di ogni elemento che ci conforti nella valutazione della capacità della delega come istituto e degli enti locali come soggetti ad essere elementi e momenti di razionalizzazione del sistema nonché momenti ed elementi di flessibilità rispetto al quadro della programmazione e rispetto all'insorgere di situazioni specifiche. Ci sembra in altre parole che la relazione della Giunta manchi di un'indagine su quanto è avvenuto, da cui il singolo Consigliere o la Commissione qualora venga costituita (ma noi non lo auspichiamo) possa muovere i passi Piuttosto dell'enfasi degli obiettivi indicati alla pag. 67 sarebbe stato più opportuno e di maggiore utilità una tabella indicante, per esempio, i tempi e la capacità di spesa degli enti locali e dell'intero sistema enti locali Regione.
Se approfondissimo questo elemento forse scopriremmo che lo strumento della delega è interessante ma che l'incapacità di spesa degli enti locali è uno dei maggiori responsabili dei residui passivi della Regione. Quindi li potremmo chiamare come correi delle nostre insufficienze. Solo in questo modo il problema si sarebbe trasferito dalla sede speculativa al quale l'avete portato, alla sede operativa.
Ci lascia infine perplessi la proposta della Commissione mista, Giunta e Consiglio, per tutta una serie di considerazioni. In primo luogo non viene in alcun modo motivata la proposta commistione istituzionale.
Se si tratta di un problema istituzionale, i protagonisti dell'assemblea regionale, cioè le forze politiche, se ne debbono fare carico con conseguenti iniziative legislative ed operative. Al più si pu ipotizzare che la Giunta, quale sommatoria delle forze che la compongono la maggioranza, si faccia carico di una o più proposte che portino la loro firma.
Ci sembra significativa e velleitaria l'ipotesi che l'istituenda Commissione possa definire e riferire entro giugno.
Questa enfasi segnala, a nostro avviso, il ritardo politico quale fatto conoscitivo e culturale e quale fatto operativo di questa maggioranza e proprio questo ritardo, questa incertezza e questa non consonanza tra le componenti politiche della maggioranza fanno assumere alla scarna pag. 67 un significato ed un interrogativo politico di primaria importanza alla quale questa assemblea non può non dare l'opportuna attenzione, pena l'accentuarsi del processo di degrado delle autonomie locali, dello sviluppo delle stesse, del decentramento, del riassetto funzionale ed amministrativo del territorio in tutta la realtà regionale.
L'istituto della delega è in crisi in tutto il Paese e il relativo processo di attuazione è in via di progressivo rallentamento, per non dire che si sia ormai paralizzato. Infatti, gli ultimi provvedimenti della Toscana, dell'Umbria e del Lazio hanno carattere se non episodico certamente settoriale, intesi cioè al governo del territorio e dell'ambiente e certamente fuori del quadro organico e di indirizzo delineato dall'art. 118 della Costituzione che, ricordo per mia memoria indica come la gestione diretta da parte della Regione di qualcuna delle potestà conferite deve essere considerata del tutto eccezionale. Invece sta avvenendo esattamente il contrario e cioè le funzioni delegate sono strettamente eccezionali.
Fa eccezione la legge di carattere generale dell'Abruzzo della II legislatura che punta non tanto e non solo agli spetti funzionali attinenti quindi agli strumenti intesi a spostare le attività amministrative agli Enti locali ma soprattutto al dato strutturale, tendendo cioè ad utilizzare la delega come momento di riorganizzazione territoriale dell'amministrazione locale, tendendo ad una significazione delle entità territoriali e specificando le materie delegabili a ciascuna di esse.
E' interessante - e su questo richiamerei l'attenzione dei colleghi che nella legge abruzzese il tentativo di realizzare un sistema di autonomie altamente interessato sui suoi diversi livelli, qualificando ognuno dei livelli stessi con un ruolo peculiare nel processo di programmazione.
Osservo ancora come la stessa legge, pur non individuando ipotesi diverse dall'ente intermedio, non attribuisce funzioni gestionali alla provincia, ma le riserva ai Comuni, accorpati in comunità montane e non montane (ho reperito in questa legge l'individuazione della comunità al posto del consorzio di comuni) con conseguente avvio di una promozione di consorzi intercomunali estremamente flessibili e legati alle diverse realtà del territorio.
Quindi, un dato certo e consolidato è quello del ritardo e dell'assenza quasi totale di un processo legislativo regionale che regoli la materia organica e l'istituto della delega.
Questo fenomeno deve trovare attenta e sensibile la classe politica in generale e quella regionale, in particolare. E questo in qualche misura ha trovato il suo sbocco nella comunicazione del Presidente a proposito dei finanziamenti. Il DPR 616 da un lato allarga gli spazi delle deleghe, ma dall'altro, assegnando direttamente ai Comuni un ampio ambito di funzioni soprattutto di carattere gestionale, ha aggiunto problema a problema.
Il processo involutivo di individuazione quindi di spazi per la delega trova certo una piena spiegazione nella mancata soluzione del problema dell'ente intermedio soprattutto se consideriamo che le competenze nuove del DPR 616 richiedono per il loro dispiegarsi aree vaste di intervento che sono di certo diverse e superiori a quelle comunali.
Se questo vale in generale, non vale certamente per la nostra Regione che pure un ambito più proprio di quello comunale, il Comprensorio, l'aveva pure individuato. Questo ritardo nell'attuazione dell'istituto della delega nella nostra Regione trova, da questo punto di vista, la responsabilità politica delle forze di maggioranza che nel tema non hanno avviato quel dibattito concepito come processo.
Proprio sul terreno del Comprensorio il P.C.I. si trova a metà del guado nel senso che è in un momento di riflessione, la legge dell'Emilia Romagna infatti prevede l'abolizione del Comprensorio.
Questa incertezza del P.C.I. su questo problema non giova al superamento di un limite e di un ostacolo al pieno dispiegamento della potenzialità dell'istituto della delega.
Individuiamo, poi, quale limite al processo di attivazione dell'istituto della delega il complesso delle normative regionali attinenti allo sviluppo economico come normative più di contribuzione e di incentivazione che non come norme inserite in un processo di crescita degli spazi della Regione rispetto allo Stato e agli Enti locali.
Siamo in presenza di un processo a cascata in cui si tende a chiudere gli spazi a monte creando poi difficoltà per tradurre le nostre decisioni in leggi di delega adeguate a valle.
Se queste sono le implicazioni sull'efficienza e crescita del sistema a nostro avviso, la pag. 67 rivela tutta la precarietà, la superficialità ed il pressapochismo della proposta della Giunta e - mi si consenta - non soltanto della sola Giunta ma della stessa maggioranza.
Diceva Viglione stamattina che è una maggioranza al di là del nominalismo quella si identifica con l'accettazione di un comune modello a cui riferirsi, di un comune programma, di una comune filosofia. Noi diciamo anche che una maggioranza si fonda nel comune consenso sugli obiettivi sugli strumenti, sulle linee di fondo che sono il suo divenire. Il divenire della Regione è il divenire dell'istituzione.
Nella terza legislatura, al di là dei provvedimenti di intervento concreto, dovremmo andare a rileggere nelle leggi se siamo riusciti nelle due precedenti legislature a far crescere una realtà istituzionalmente corretta e non piuttosto un grosso Comune o un piccolo Stato.
Questa maggioranza, che è cresciuta sul filo degli equilibri politici ed è alimentata dalle alchimie del potere non ha ancora lo spazio e la libertà intellettuale di interrogarsi a sufficienza su questa problematica.
Faccio ancora una considerazione di tipo umoristico sui buoni propositi della Giunta che all'ultima pagina promette la riduzione delle spese per documentazione, per convegni, per le autovetture.
La politica dell'ex cicala e adesso della formica ci sta bene. Non vorrei che con questa enfatizzazione francescana della povertà regionale si vada oltre un certo limite. Non siamo per la politica fatta attraverso i convegni, ma, ricordo che i nostri interlocutori sono gli amministratori e i protagonisti sociali, non possiamo non avere con questi un rapporto accettabile e decoroso sul piano estetico.
Quindi copriamoci pure tutti il capo di cera mettiamo il saio e andiamo a piedi nudi, ma facciamolo nella misura in cui il non farlo significhi iattanza nei confronti di un problema economico che è attuale ma che non sia occasione di ritornare indietro rispetto a cose che abbiamo fatto.
Nelle pubblicazioni, e nei convegni, ci sono state iniziative non intelligenti e intelligenti, superflue e utili, quindi non mettiamoci a fare i ciclostilati perché costano meno delle pubblicazioni, non mettiamoci a fare riunioni in cantina perché i convegni alla Cassa di Risparmio sono troppo costosi: su questo invitiamo la Giunta a trovare un giusto mezzo col quale operare. Evidentemente anche su questo non mancherà la nostra attenzione critica e la nostra partecipazione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Genovese.



GENOVESE Piero Arturo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, a nome del Gruppo D.C., credo di dover premettere alle considerazioni sugli aspetti specifici e sul significato complessivo del documento presentato dalla Giunta, alcune osservazioni che hanno diretto riferimento al dibattito che si è svolto all'interno dell'assemblea.
Siamo consapevoli e coscienti delle dure difficoltà che si presentano per il governo del nostro Paese a tutti i livelli istituzionali e quindi riteniamo giusto e doveroso che ai diversi livelli di responsabilità e di competenza ci si interroghi e ci si confronti sulla parte che spetta a ciascuno fare direttamente o di concerto con il governo centrale soprattutto per quanto riguarda la politica industriale e la politica economica e cioè settori per i quali sono ridotte le competenze della Regione.
Il problema che sta a noi di fronte non è solo economico e non riguarda solo il pronto avvio di una politica di investimenti. Nel predisporre progetti di intervento della Regione è necessario avere presenti i mutamenti che sono intervenuti, è necessaria la rideterminazione degli obiettivi di carattere complessivo che devono tenere presenti i mutamenti in corso nel Paese e nei Paesi dell'Europa e che richiedono un aggiornamento anche di tipo culturale. Il nostro Gruppo si era preparato a discutere il documento della Giunta entrando nel merito delle proposte anche se lo abbiamo accolto fin dall'inizio con perplessità, come è stato dichiarato dal nostro capogruppo; perplessità che non sono state fugate dalla presentazione dei progetti di politica economica di pronto avvio.
Infatti ci chiediamo: come possiamo pronunciarci in via definitiva e consapevole di fronte ad una proposta che è in larga misura assorbente delle disponibilità e delle risorse della Regione per il prossimo triennio al di fuori di un quadro complessivo e aggiornato di linee, di proposte, di obiettivi e di azioni conseguenti? Come è possibile oggi valutare compiutamente le priorità, l'utilizzazione delle risorse disponibili della Regione e il collegamento con le indicazioni dei primi schemi di piano socio-economico e territoriale che stanno andando verso l'approvazione? Questa prima osservazione del nostro Gruppo si collega alle argomentazioni che il nostro Vice Capogruppo Brizio ha svolto in occasione della discussione sul bilancio. Abbiamo, cioè, in questa occasione la conferma che è stato un errore di grossa portata pensare ad un anno di transizione tra vecchio e nuovo piano di sviluppo; soprattutto perché ogni azione programmatica richiede una rimeditazione, una ridefinizione degli obiettivi a fronte di una realtà regionale che si è profondamente modificata nel corso degli ultimi anni e di mutamenti internazionali, in particolare europei, con cui dobbiamo confrontare e dai quali non possiamo prescindere. Ma non per questo siamo stati sfiorati per un attimo dalla tentazione di non entrare nel merito e di non pronunciarci sulle proposte concrete della Giunta; sarebbe troppo comodo rifugiarci dietro a schemi di carattere metodologico e non renderci conto che in momenti di così grave difficoltà, in momenti eccezionali della vita del Paese che toccano le sorti stesse delle istituzioni democratiche, è comunque necessario cercare di fare, possibilmente non scadendo ad un mero pragmatismo, la parte che a ciascuno compete e svolgere un'iniziativa politica rivolta a sollecitare le azioni concertate che possono essere messe in atto per frenare gli effetti negativi della crisi.
L'andamento di questo ennesimo confronto ci impone però alcune osservazioni e alcune valutazioni che non intendevamo fare. Questo andamento ci preoccupa perché denota ancora una volta lo scadimento della nostra assemblea, ormai sempre più momento di dibattito generale e di supporto dell'esecutivo e sempre meno momento e sede di decisioni politiche corrette.
Ci preoccupa perché di questo scadimento sappiamo di essere partecipi e perché, a nostro modo di vedere, anch'esso contribuisce ad accrescere la crisi delle istituzioni. Pensiamo che vi siano responsabilità di tutti, ma alcune, specifiche e determinanti, sono dell'esecutivo, che ci pare oggi mancante di una definita progettualità politica, e di forze della maggioranza. Ogni dibattito è divenuto negli ultimi mesi occasione per riproporre il problema del rafforzamento o dell'ampliamento dell'area di governo regionale e per avanzare strumentalmente, di conseguenza, proposte di nuovi schieramenti.
Inoltre, ciò avviene, come in questo caso, in un clima di quasi totale estraneità sostanziale dei Consiglieri alle proposte che vengono avanzate su documenti e proposte che sono difficilmente valutabili, sovente confuse non sottoposte preliminarmente, come a noi parrebbe produttivo e corretto all'esame istruttorio e preparatorio delle competenti Commissioni consiliari. Di fronte al ripetersi di dibattiti generali su temi di grande rilievo crediamo che si debba soffermare l'attenzione sul funzionamento dell'Assemblea e sul rapporto complessivo tra Giunta e Consiglio e che si debbano configurare dei momenti tesi a superare l'estraneità dei Consiglieri regionali rispetto alle proposte della Giunta, attraverso un approfondimento puntuale e una conoscenza più documentata dei problemi che devono essere discussi. Si potrebbe obiettare che al di là del modo con cui questo "pacchetto" è stato presentato, i singoli provvedimenti avranno ulteriori momenti di approfondimento; questo me lo auguro, però a noi pare che un modo per rivalutare il confronto dell'assemblea possa essere quello di preoccuparsi da parte dell'esecutivo di creare le condizioni complessive di documentazione, di conoscenza, di approfondimento che consentano al Consiglio di partecipare ad un confronto più meditato e produttivo in ordine alle decisioni che devono essere assunte.
Quanto ho richiamato colpisce in termini negativi l'assemblea; in particolare, se la ricerca di assetti politici e di definizione di nuove egemonie, è politicamente non contestabile ad alcuno, sia però consentito a chi è all'opposizione di far notare che le modalità attraverso cui questa ricerca si manifesta in una sede non sempre propria, rendono sempre più difficile il rapporto tra esecutivo e assemblea e sono destinate a lasciare segni gravi e non facilmente rimarginabili nel funzionamento delle istituzioni.
Il discorso di questa mattina del Consigliere Viglione, interessante e condivisibile per molte valutazioni generali, è emblematico di questa situazione. Osservo solo che il Capogruppo di un importante partito della maggioranza, del partito aggregante della coalizione attuale, e probabilmente di quelle future o futuribili, non si è espresso nel merito né sul significato complessivo delle proposte della Giunta. Dopo un inquadramento generale dei problemi, che sembrava preludere ad un giudizio ha riproposto come il Presidente Enrietti nella parte conclusiva del discorso introduttivo del dibattito, il problema dell'area politica di governo della Regione e la costruzione di un'alternativa.
Cosa significa tutto ciò? Quale significato dobbiamo attribuire a queste modalità di svolgimento del confronto all'interno dell'assemblea? Non credo che spetti a noi una risposta in proposito. Ma quale significato è poi da attribuire al reiterato richiamo che il collega Viglione fa, e che noi condividiamo, ai valori della democrazia occidentale? E quale alla proposta di allargamento della Giunta ai partiti laici per realizzare l'alternativa? Qual è, in definitiva, il ruolo reale che il PSI intende svolgere all'interno di questa assemblea? Credo che un partito come la D.C., che ha compiuto scelte di carattere politico, discutibili ma chiare, che hanno portato alla ricostruzione di un rapporto di collaborazione a livello governativo con il PSI, abbia il dovere e il diritto di richiedere chiarezza per comprendere quali sono i ruoli che si intendono svolgere e per comprendere quali sono le prospettive, non futuribili, ma politiche di ciascun partito e delle forze politiche nel loro complesso nella nostra Regione.
Condividiamo, caro Viglione, tante cose che hai detto. Ma il richiamo reiterato che viene fatto ai valori della democrazia occidentale, alla realtà europea di cui facciamo parte, che cosa significa? E' forse a noi rivolto? Non lo pensiamo possibile. Ed allora, è rivolto all'interno della maggioranza per accrescere in una situazione contingente il peso specifico del PSI? Ci poniamo da mesi questi interrogativi e di fronte alla riproposizione che viene sollecitata puntualmente, abbiamo ormai il dovere, sapendo che le nostre scelte politiche ci hanno portato ad assegnare consapevolmente, come abbiamo già detto e ricordato in altra occasione, un ruolo centrale e determinante al PSI, di dire chiaramente che non intendiamo essere considerati come la "ruota di scorta" della governabilità e quindi delle possibilità di ricambio di governo ai diversi livelli del paese.
Il Presidente Enrietti si è riferito nella propria relazione al Gruppo della D.C. e ha detto che non esistono condizioni di collaborazione di governo regionale per la debolezza che la D.C. avrebbe in Piemonte.
Ebbene, noi e i rappresentanti di altri partiti sappiamo per lunga esperienza che il giorno in cui un Partito come il PSI, che oggi intende porsi come forza centrale e aggregante dello schieramento politico democratico del Paese, ritenesse necessario un cambiamento di alleanze sarebbe dimenticata immediatamente la presunta debolezza della D.C. La nostra debolezza, se vi è debolezza, nasce dalle scelte che il PSI sta compiendo; non è una debolezza reale di un partito, la D.C., che non pu essere liquidato facilmente in Piemonte come partito di potere, dato che la complessità delle esperienze degli ultimi anni lo hanno semmai caratterizzato come forza di opposizione che, con le proprie capacità e i propri limiti, svolge in modo non meno degno e incidente di altre forze politiche la propria iniziativa al servizio delle istituzioni e nella corrispondenza con gli interessi dell'elettorato e dei cittadini della Regione.
Noi apprezziamo il richiamo esplicito e a volte implicito che emerge dalle indicazioni politiche del collega Viglione.
Anche il nostro Partito crede che il funzionamento normale del sistema democratico possa e debba conoscere momenti di alternativa, determinati dalla volontà popolare e dalle scelte politiche dei partiti che questa volontà popolare esprimono ed interpretano; però dobbiamo aggiungere che il funzionamento corretto di una democrazia occidentale non consente neppure di pensare ad un "governo delle minoranze" e quindi riteniamo che ogni forza politica, qualunque sia il ruolo che vuole esercitare, debba fare scelte non ciniche ed opportunistiche e realizzare chiare alleanze all'interno delle istituzioni.
Quando sentivo gli interventi di Enrietti e di Viglione di questa mattina, ho ricordato l'intervento svolto dal Segretario regionale del PSI Trovati, all'ultimo Comitato Direttivo dopo il Congresso di Palermo, e mi è parso di capire che in disegno politico c'è e lo dico come mi pare di averlo compreso: la ricerca dell'allargamento della maggioranza ai partiti laici serve per l'egemonia socialista in una fase politica in cui non è pensabile di ritornare, così mi pare sia detto apertamente, a forme di collaborazione diretta con la D.C. negli Enti locali, laddove queste non siano giustificate da situazioni estreme di necessità. Non spetta a noi compiere le scelte che spettano ai partiti laici, bensì ricordare che queste cose sono state dette e che questo insistente richiamo all'allargamento ha tutto il significato di un'operazione volta solo a rafforzare l'egemonia socialista.
La D.C. ha cercato e cerca di sviluppare in termini positivi i rapporti con il PSI; ma non si può però pensare che siamo un Partito pronto ad accettare qualunque condizione di rapporti e di collaborazione.
Mi sono ricordato questa mattina di una lettura dell'infanzia, di un personaggio oggi poco noto, Bertoldo, che appartiene alla tradizione popolare. Bertoldo, in una situazione di difficoltà, aveva accettato che gli fosse messo il cappio al collo, ma si era riservato di scegliere la pianta dove avrebbe dovuto essere impiccato. Noi non abbiamo nessuna intenzione di trovare presto questa pianta: oggi svolgiamo serenamente il ruolo di opposizione in Regione, non preoccupandoci troppo di questa condizione, ma preoccupandoci invece molto della condizione generale che rischia di ripercuotersi negativamente sul funzionamento delle istituzioni.
Dopo questo lungo intervento che non pensavo di fare, e che mi è stato suggerito dalle cose che ho sentito, credo di dover entrare nel merito del documento per poter raggiungere alcune sintetiche osservazioni alle indicazioni e alle valutazioni che questa mattina ha già svolto il collega Petrini a nome del nostro Gruppo.
Rispetto a questo documento abbiamo avuto delle perplessità, perché non siamo stati informati esaurientemente né eravamo in possesso di tutta la documentazione che supporta la presentazione dei cosiddetti progetti, della ripartizione ai finanziamenti e delle scadenze temporali; ma soprattutto perché a noi pare che questo documento non rappresenti, come parrebbe invece dalle dichiarazioni che lo hanno accompagnato, un insieme integrato di progetti, una progettualità definita, collegata a linee di indirizzo ed a obiettivi che siano in grado di anticipare il secondo piano di sviluppo regionale. E ci siamo quindi chiesto quale significato avesse il documento ed anche quale significato gli venisse attribuito dalla Giunta.
Una parte della risposta mi è venuta più che dai documenti dall'intervista rilasciata dal Vice Presidente Dino Sanlorenzo e pubblicata su "Nuova Società". In essa si dicono alcune cose condivisibili richiamando le condizioni generali della Regione e ricordando che il Piemonte contribuisce, almeno per quanto riguarda il settore dell'energia ed il settore agroalimentare, al disavanzo della bilancia dei pagamenti del nostro Paese. Subito dopo, Sanlorenzo invita a leggere le proposte della Giunta in termini culturali più che di proposta tecnica, di definita progettualità, dicendo che è importante e necessario uscire dalla letteratura della programmazione o, come si diceva qualche anno fa, dai piani settoriali tenuti nel cassetto, per affrontare azioni progettuali concrete, definite nei tempi e nei finanziamenti e per passare conseguentemente ad una fase di programmazione operativa.
Condividiamo l'affermazione poiché questa è proprio una delle principali osservazioni che abbiamo fatto in occasione del dibattito del documento programmatico della Giunta, ma non ci pare che poi in realtà il "pacchetto" dei provvedimenti presentato dia una risposta coerente attraverso progetti capaci di far fare un salto di qualità sul piano operativo al processo di programmazione regionale. Il documento è confuso.
Assomma insieme progetti fattibili e di pronto avvio in quanto già coperti da finanziamento regionale e la riproposizione di meri programmi di attività dei singoli Assessorati, ripescando ad esempio nel settore socio assistenziale, deliberazioni del 1972 ed altre succedutesi nel tempo richiama ed indica progetti rispetto ai quali non risulta esistere per ora una definizione puntuale (per esempio i progetti aggiuntivi per la formazione professionale, ma potrei fare altri esempi), contiene importanti indicazioni di investimenti da realizzare con finanziamenti statali, per non definiti né in termini progettuali tecnici né in termini di fattibilità economica né in termini di scadenza temporale per la traduzione in interventi operativi. In sostanza, è un insieme di più cose difficilmente leggibile. Sarebbe stato di più facile comprensione e valutazione un documento che distinguesse progetti realmente avviabili e fattibili in tempi brevi, progetti che devono conoscere il vaglio del governo centrale e che devono far riferimento al programma triennale a medio termine, progetti che sono di mera esecuzione di decisioni assunte e che riguardano le competenze regionali nei diversi settori.
Tutto ciò non ci impedisce di condividere due aspetti: il richiamo ad un tipo diverso di programmazione, possibilmente per progetti integrati e territorialmente organici, per raggiungere o favorire il raggiungimento di obiettivi di riequilibrio territoriale, che rimane uno dei temi centrali della programmazione e che non può essere contrapposto al ruolo di Torino, che si gioca all'interno di integrazioni interregionali se non internazionali le osservazioni, che per altro avevamo avanzato in termini critici rispetto al programma della Giunta, sull'impossibilità di prevedere una ripresa del Piemonte basata essenzialmente sul terziario che è importante soprattutto il terziario superiore, ma che ha un significato solo se si accompagna ad un processo di ripresa attraverso una politica guidata e concertata del settore industriale che lo sviluppo di un terziario non parassitario o puramente assistenziale ma tecnologicamente avanzato, che crei occasioni di miglioramento sociale ed economico e di valorizzazione del settore primario stesso.
Un'altra chiave di lettura è data dalla conclusione dell'intervista che fa riferimento a 12 progetti specifici che coinvolgono principalmente se non esclusivamente il finanziamento dello Stato e attorno ai quali si gioca la possibilità reale di tradurre le indicazioni, per ora così difformi e così svariate, in un disegno organico di progetti integrati, e di incidere significativamente nel prossimo triennio attraverso una mole di investimenti che siano in grado di indurre effetti positivi sull'occupazione e di rilanciare il processo di crescita della nostra Regione.
Non vorremmo che l'operazione sia stata pensata come alibi di fronte alle difficoltà, con intenti di scarica-barile. Noi vogliamo credere che la nostra Regione esprima la responsabilità politica, rispetto a problemi maturi già ometto di disegni di legge presentati in Parlamento o già oggetto di piani specifici, anche di aziende speciali di porsi in termini corretti di concertazione di interventi di politica economica necessari non solo al Piemonte ma per tutto il Paese.
Ciò detto, va però precisato che il Gruppo della D.C. è interessato all'approfondimento dei problemi che sono stati avanzati e intende dare il proprio contributo perché sia possibile l'avvio rapido verso una nuova fase di programmazione per progetti.
Nel merito osserviamo che esistono alcune condizioni preliminari e che i programmi, le indicazioni di ricerca e i progetti devono essere singolarmente e diversamente valutati. Ci soffermiamo solo sul 1981 per brevità e per non tediare oltre i colleghi Consiglieri, augurandoci di poter approfondire, all'interno delle Commissioni, le proposte formulate dalla Giunta per il triennio. Per quanto riguarda i provvedimenti che possono essere affrontati con risorse regionali nel 1981, pochi a nostro avviso meritano una definizione progettuale precisa e un pronto avvio. Ci riferiamo ai progetti riguardanti l'edilizia residenziale, che assumono un carattere di eccezionale importanza e di urgenza per evitare la paralisi completa del settore; ai progetti indicati per il settore industriale, per il settore dell'artigianato e del commercio, che richiedono una considerazione complessiva, integrata ed articolata territorialmente, per definire il senso generale dell'intervento della Regione non solo in termini di investimenti complessivi ma anche in termini di corrispondenza ad obiettivi di riequilibrio del territorio della Regione.
Poco si deve dire invece per quanto riguarda l'agricoltura e i progetti relativi al settore socio-assistenziale perché ci paiono programmi di attuazione assessorile che hanno collegamento con una serie di decisioni già assunte che semmai richiedono un processo di accelerazione nella traduzione dei finanziamenti previsti in provvedimenti a favore delle categorie e degli operatori interessati. In questo senso occorre accelerare l'intervento regionale, snellire le procedure, trovare un più corretto e più efficiente funzionamento della macchina amministrativa regionale in rapporto e in collaborazione con le amministrazioni locali. Il problema non va visto solo in termini di efficienza della macchina amministrativa regionale ma deve essere visto in termini di capacità complessiva di favorire i raccordi tra l'amministrazione regionale e le amministrazioni locali e periferiche, onde consentire una rapida realizzazione sul territorio delle azioni e degli obiettivi che ci siamo prefissi.
Inoltre, emerge la necessità del collegamento dei progetti con il bilancio 1981. Tutti gli interventi che sono stati impostati - che prevedono una spesa regionale impegnata di 110 miliardi e da impegnare di ulteriori 152 miliardi, che rappresentano risorse da liberare o risorse aggiuntive da realizzare - richiedono una valutazione delle risorse realmente disponibili per il pronto avvio dei progetti e una valutazione del significato che queste previsioni di investimento assumono rispetto alle risorse complessive disponibili. Non sarà poi tollerabile che il bilancio 1981 registri una somma di residui passivi contrastanti con l'indirizzo di pronto avvio di interventi che la Giunta propone e che in linea di massima condividiamo, riservandoci, ovviamente, l'approfondimento dei singoli progetti da definire nella loro fattibilità economica e tecnica.
Dirò ancora una parola per quanto riguarda gli investimenti che richiedono un finanziamento statale.
Rileviamo che gli investimenti proposti hanno corrispondenza o con disegni di legge presentati al Parlamento o con piani già definiti (ANAS e FF.SS., ecc.); di alcuni investimenti non siamo riusciti a rintracciare atti legislativi o amministrativi che consentano di pensare ad una rapida traduzione sul territorio, per esempio per quanto riguarda gli aeroporti.
Anche rispetto ad alcune di queste indicazioni chiediamo un approfondimento perché in alcuni casi non si tratta solo di prevedere gli investimenti, ma di individuare e realizzare interventi che possono avere un significato qualitativo diverso rispetto allo sviluppo della Regione e rispetto all'integrazione del Piemonte con le Regioni vicine e con i Paesi della CEE. Sono i problemi delle grandi comunicazioni che interessano l'area pedemontana, il Piemonte sud e la Liguria e il Piemonte Nord, perch non possiamo approvare deliberazioni singole, come quella che l'Assessore ai Trasporti ha recentemente proposto e che interessa i rapporti Piemonte Liguria e la viabilità in provincia di Alessandria modificando il piano settoriale dei trasporti approvato dal Consiglio regionale.
Occorrono, poi, momenti di approfondimento in ordine all'edilizia scolastica, ai servizi sanitari, alle grandi infrastrutture in genere.
Sulle grandi infrastrutture si giocano alcuni degli obiettivi fondamentali della programmazione regionale.
Sui servizi sono in gioco altri aspetti. La nostra società regionale ormai si è assestata e pertanto, anche in relazione a questo mutamento, il tema dei servizi va ripensato e, se necessario, rideterminato nella qualità e negli obiettivi.
Sono aspetti qualitativi nuovi che dobbiamo considerare se vogliamo da una parte contrastare la crisi con interventi e azioni di sostegno alla produzione per combattere l'inflazione e dall'altra avviare interventi coerenti con indicazioni organiche di sviluppo a medio termine della comunità regionale.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Revelli. Ne ha facoltà.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, nel condividere molte delle osservazioni che sono state fatte nel corso del dibattito, desidero fare alcune sottolineature sul valore delle iniziative, senza alcun trionfalismo, semmai per richiamare la difficoltà in cui questo disegno si inserisce in questa fase della nostra vita economica e sociale.
Già il programma della Giunta ed il dibattito svoltosi in Consiglio con l'ampio contributo di tutte le forze politiche, aveva colto le tendenze ed i mutamenti più significativi che si sono prodotti in questi anni nel complesso della realtà socio-economica piemontese.
Il passaggio ad un nuovo Piano di sviluppo implica in qualche modo, un consuntivo delle cose valide, dei "progetti" (elaborati in parte nella passata legislatura, in parte nuovi) che possono essere subito attivati e che, in qualche misura, sono già elemento centrale del nuovo Piano di sviluppo.
In terzo luogo voglio sottolineare alcuni elementi sotto il profilo del metodo: a) la programmazione è un processo "culturalmente" acquisito nella comunità piemontese: lo dimostra la puntualità con cui le organizzazioni sociali e di categoria sono intervenute nella consultazione della Giunta; e lo stesso rapporto intercorso tra Giunta e Gruppi politici rappresentati in Consiglio b) la programmazione (come è stato più volte sottolineato dal Presidente dal Vice Presidente, dagli Assessori negli importanti dibattiti di settore svoltisi in Consiglio) e come scrive Simonelli nella prefazione alla relazione dell'Ires, "dovrà essere ulteriormente consolidata per 'progetti' per migliorare il livello complessivo di efficacia dell'operatore pubblico".
Giova ricordare che le Regioni hanno avviato negli ultimi tempi una serie di rapporti con le istituzioni comunitarie destinati a rafforzarsi intensamente ed anche il Piemonte ha allargato l'area di questi interessi.
E' chiaro ormai che rapporti nuovi devono intercorrere tra Regione e programmazione nazionale e tra Regione, Governo e CEE su questioni di vitale importanza delle quali vi è ampia eco nei "progetti" presentati.
Infine, giova sottolineare che già l'intervento del Presidente della Giunta (raccogliendo significative indicazioni dei dibattiti precedenti) ha indicato una gerarchia di questi "progetti". Prima di entrare nel merito delle questioni, mi rivolgo alla maggioranza in qualche misura per sottolineare le cose che sono venute dai Gruppi di opposizione e per fare due avvertenze.
Per dare veramente fondamento alla programmazione all'inizio degli anni '80 e per dare valore a queste anticipazioni del piano per progetti, non dovremmo incorrere nell'errore che, a nostro avviso, è rappresentato dalla tendenza ad assumere come tendenze generali fenomeni molto specifici perché si rischia di spiegare tutto dentro un'ottica molto parziale, che non corrisponde alla complessità della crisi piemontese, italiana ed europea. Basta guardare che cosa succede a Torino e che è riportato anche in questo volume: crisi dappertutto, un sacco di lavoratori e di operai in Cassa integrazione. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che sono in crisi attività marginali, che ci sono condizioni difficili di crediti, oppure che c'è una crisi strutturale.
La seconda avvertenza necessaria per le forze di maggioranza e cioè quella di capire che le forze le quali aspirano a modificazioni della realtà, procedono (e non possono non procedere) per assaggi, per tentativi per esperienze: e questi tentativi non sempre arrivano in porto, possono anche frammentarsi non solo nelle aspirazioni, ma nei progetti, nei programmi, nelle intenzionalità e nelle opere, per il fatto che questa è la cultura in cui viviamo, imboccando strade nuove, dobbiamo renderci conto che questi stessi progetti sorgono e non possono non sorgere in un modo diviso, in una cultura divisa che è quella della crisi, e che ha come compito primario quello di aggregare il più possibile tendenze che emergono all'interno della società e che sono state espresse da un'ampia parte della Comunità regionale, che per noi comunisti vuol dire anche prendere atto del nuovo.
L'affermarsi della politica unitaria delle forze democratiche e di sinistra è relativo alla capacità di soluzione delle questioni che hanno queste forze che si vogliono proporre come alternanza o alternativa in un sistema democratico.
Il problema della coesione di questa maggioranza non lo vedo tanto in queste cose che sono state evocate, e che pure lasciano degli spazi e dei margini di dibattito ad ogni forza politica che fa parte della maggioranza.
Lo vedo in un'altra questione. Gli sforzi di rinnovamento e di trasformazione devono coincidere con la maturità e il bisogno di cambiamento rispetto ad una situazione data e la capacità di queste forze di essere classe dirigente e di assumersi i compiti che vengono dalla maggioranza e dall'opposizione.
E' una considerazione non scontata nella situazione italiana e nella situazione piemontese perché, non per le scaramucce o per le relazioni che può fare un segretario di un partito o di un altro partito al suo comitato regionale, ma per qualcosa che è stato detto da Genovese, da Viglione e che nel dibattito di questi mesi è venuto sovente avanti. Cioè dal fatto che la cosa primaria è quella di capire, nel modo più unitario possibile, la realtà, e quindi di identificare una linea valida per affrontarla in termini di cambiamento, sia sul piano dei contenuti, sia su quello dei rapporti politici necessari.
Per me è una novità interessante e importante leggere quelle consultazioni perché vedo non solo mutamenti nostri, ma mutamenti di certezze di forze imprenditoriali, vedo difficoltà del sindacato.
E' necessario chiudere con il passato e pensare che tutto sia nuovo da domani, con il nuovo Piano di sviluppo? No.
Semmai vuol dire di non attardarsi nell'idea di uno sviluppo puramente quantitativo di cui vengano a mancare le basi strutturali. Rivendichiamo al nostro Partito di non attardarsi o di non rinunciare al coraggio di scelte alternative.
Lo sforzo unitario all'interno della sinistra - non voglio vietare a Viglione di dire bene di Mitterand, ma il mio programma è persino troppo rivoluzionario. Speriamo che non nazionalizzi tutto quello che dice, perch durerebbe poco! - passa attraverso una ridefinizione della prospettiva della sinistra, ma passa anche attraverso un impegno nell'immediato su questi progetti, senza cadere nel gioco di chi prospettive non ha ma punta solo alla restaurazione. Queste forze non sono sparite di colpo nella vita politica né nazionale né piemontese.
Stiamo in maggioranza per questo dando il nostro contributo col pieno rispetto delle altre forze.
Un'obiezione viene fatta al Partito comunista: quella di avere troppo finalismo che sarebbe un modo di imprimere alla storia una destinazione.
Ritengo che non sia così. Per noi comunisti non è un progetto di irrazionalistica scalata all'assoluto. Siamo storicisti non poniamo n limiti né fini alla storia. La nostra principale anomalia rispetto ad altri partiti comunisti sta proprio in questo: che vogliamo favorire ciò che nasce anche spontaneamente nella società e riteniamo che il metodo della democrazia non sia divisibile. Prendiamo le pietre di paragone che si vogliono, siano esse la Polonia, i regimi dell'Est o le questioni dell'Ovest. Siamo entrati in una nuova epoca. Chi si attarda, fa i conti male con il passato. Ma chiudiamo su questo, entriamo nel merito.
Dall'impostazione che è stata data ai progetti viene fuori anche la questione del confronto con il Governo. Nessuno nega che il P.C.I. è all'opposizione nazionalmente e fa il suo mestiere, come lo fa qui la DC e bisogna essergliene grati perché più c'è opposizione più c'è controllo.
Ma, noi diciamo anche che non può essere pregiudizialmente acritico il nostro atteggiamento verso il Governo, così come non siamo pregiudizialmente contro il piano triennale, che sovente ci ricorda la collega Vetrino. Vogliamo solo che le cose vengano fatte così come si ricorda a noi di farle.
Sull'energia abbiamo fatto uno sforzo che può essere condiviso e non condiviso. Chiedo a Pandolfi dov'è questo piano energetico. Noi litighiamo con Montefalchesi su questa questione però vogliamo anche sapere dov'è il piano energetico. A giugno, a luglio ci sarà? Questa è condizione fondamentale per fare delle scelte e per scegliere il sito. Non vogliamo trasformare questa assemblea e questa maggioranza in un pugno contro il Governo magari per far pressione sui compagni socialisti o su altre forze che nel governo ci stanno e credono di fare la loro parte e il loro dovere.
Certo, ci raccordiamo a delle questioni, che però sono sempre di merito e di contenuto.
La Regione non è contro il Governo, ma ha da dire la sua e qui all'interno del Consiglio io dico la mia sull'altra questione che è pregiudiziale rispetto a questi progetti messi tutti sullo stesso piano però con una gerarchia di valori e il Consiglio è chiamato a scegliere delle priorità.
La questione delle risorse e del razionale utilizzo di esse è preliminare e cruciale. Non voglio neanche sfiorare tutte le questioni di politica economica voglio solo pormi un obiettivo. C'è da ricostruire il Mezzogiorno, si stanno ammassando risorse per questo? Benissimo, costi quel che costi, al Mezzogiorno va dato tutto. E' un dato di priorità. Detto questo - e noi facciamo a Torino un discorso non diverso da quello che facciamo ad Avellino, Potenza, Napoli, vogliamo avere delle certezze e delle garanzie. Nella disposizione delle risorse in ordine alle priorità del Mezzogiorno, vogliamo distinguere attentamente tra spese correnti ed investimenti, tra gli investimenti con un diverso grado di produttività tra gli stanziamenti e le spese effettive. Senza questa distinzione si fa un altro torto al Mezzogiorno. 1600 miliardi sono residui passivi importanti al di là dell'incapacità di amministrare che ci può essere rimproverata. Se c'è da tagliare si tagli davvero sulle spese correnti improduttive, sui finanziamenti che possono essere rinviati; dopo di che ci esprimiamo unitariamente nella maggioranza e solo a un certo momento si potrà tagliare sulle opere di finanziamento di grandi infrastrutture che vengono ritenute incompatibili in una situazione così grave. Non si rende un servizio alle aree economicamente arretrate, in primo luogo a quelle del Mezzogiorno e ai problemi nazionali, senza porci il problema dell'ampiezza del reddito nazionale e del suo sviluppo. Non si uccide la gallina per dire avremo più uova. E questo lo constato qui. Perché lo devo dire in privato ad Enrietti, a Viglione o ai colleghi socialdemocratici, che poi magari possono non condividere, o a voi democristiani che volete non condividere la nostra opinione? E' affare del Governo non è affare di questa Giunta n di questa maggioranza. Noi diciamo che la ripartizione della ricchezza non può essere disgiunta da un ragionamento sul suo incremento. E' logico che la Regione Piemonte con il massimo di unità possibile, si ponga intorno a progetti che possono essere davvero capaci di risolvere i problemi e di ampliare l'incremento della ricchezza. Sulla questione del riequilibrio del Piemonte nessuno nega che debba esserci.
Intanto occorre dire che un certo riequilibrio c'è stato; in secondo luogo occorre una rivalutazione del riequilibrio esistente. Se realizziamo una parte almeno di ciò che abbiamo previsto in agricoltura riequilibriamo gran parte del Piemonte; il Piemonte ha lì la sua industria. E' indubbio si deve riequilibrare sul piano dei servizi, sul piano delle infrastrutture ma c'è il problema di Torino, così com'è oggi. Se si parla di decentrare da Torino, le condizioni oggi sono mutate rispetto a 5 anni fa. Forse qualche decentramento è ancora possibile, ma non è più questa la strada. C'è da rifondare una prospettiva nella stessa Torino rispetto alla crisi della grande impresa e rispetto alla crisi di una piccola e media impresa che non è in crisi vitale di per sé, ma è in crisi per ciò che non ha a monte e a valle. E il progetto della Regione sul commercio estero, per esempio, offre delle prospettive non solo di propaganda ma di governo di questo settore raccordandosi con il Governo.
Le risorse devono quindi vedere un rapporto diverso tra Regione ed Enti locali, tra Regione e Governo, tra Regione Governo e CEE e devono guardare alle risorse private.
A questo proposito ho sentito fare un discorso che invito a fare o la Giunta o il Presidente o il Vice Presidente comunque chi ha coordinato questo lavoro. Qui non c'entrano né Andreatta, né Reviglio, né La Malfa, n la Banca d'Italia: c'entrano le Banche piemontesi. Si è arrivati a un punto intollerabile. E' già tragico pensare che ci siano 20 punti di scarto, cosa che non succede in nessun paese capitalista (sono per il capitalismo, per il mercato e non per il lasciar fare tutto "protetto e garantito"). Il blocco dell'edilizia lo sta facendo la legge 56, oppure lo stanno facendo le Banche? Come operano le Banche? Quali scelte hanno fatto? Possono essere un elemento di governo estraneo, non collegato al governo complessivo regionale, pubblico o privato, dell'economia? Cosa sceglie la Federazione regionale delle Casse di Risparmio? Con quali criteri l'Istituto S. Paolo non dà i mutui per le strade del Frejus? Con criteri aziendali? Bisogna ricordargli in quel caso, che azienda non è, perché sta realizzando profitti enormi che divide in una categoria corporativa al suo interno corrompendo anche una parte della società. Certamente, non chiediamo alle Banche che non si impegnino su quei fatti essenziali che interessano i processi di trasformazione nell'industria, nell'agricoltura, in grandi opere infrastrutturali in cui c'è l'intervento e la garanzia pubblica.
Questo ragionamento è da fare alle Banche non soltanto per avere servizi ma per chiedere se sono un mondo chiuso in sé stesso, per conoscere quali limiti e quali prospettive hanno come enti privati o come enti pubblici o come enti governativi dei consigli di amministrazione attraverso le nomine di Comuni e Province.
Prego il Presidente della Giunta di fare la riunione con le Banche non solo per chiedere, ma per avere notizie anche sul rendiconto pubblico di queste questioni.
Ci presentiamo quindi al Governo per discutere di precise questioni all'interno di un progetto generale che è la base dell'idea precisa, o che si sta precisando, di ciò che intendiamo per sviluppo del Piemonte.
Ci sono le questioni di cui ha parlato Alasia in merito alla politica agraria. Le condivido pienamente e non le riprendo se non per un'osservazione connessa all'agricoltura che pongo a Ferraris: io sono perché la si pianti di andare in giro con le bottiglie di vino, bisogna affrontare questa questione dal punto di vista industriale. Si fanno dei vini stupendi in Piemonte che sono come le Rolls Royce, ma non tutti possono comperare il barolo, il nebbiolo, ecc.
Il Piemonte è in grado di produrre un vino pregiato di massa, unificato che rispetti la programmazione che valorizzi i produttori? Attraverso quali strutture? L'associazionismo, il consorzio, la cooperazione? No, non basta.
Ci raccontiamo delle storie. Dobbiamo affrontare questo tema in un rapporto serio con i grandi gruppi perché non possiamo limitarci a dire alla FIAT di fare in modo nuovo l'auto e poi non essere capaci di dire a Gancia Riccadonna, Cinzano, che potrebbero essere anche disponibili e che potrebbero anche ottenere dei finanziamenti a tassi di riferimento, di ingegnarsi in questo senso perché davvero si possa andare a New York a vendere un tipo di barbera. Se non si vince questa partita non ci sarà industria di trasformazione per l'agricoltura. Siccome qui l'agricoltura produce ed è valida, questa è la prima questione da affrontare. Certamente non vogliamo essere la Gepi delle aziende in crisi o malgestite, dobbiamo invece essere protagonisti e favorire tutto ciò che si può accorpare per creare una moderna industria.
Vi è la complessa questione dei trasporti e della collocazione "territoriale" del Piemonte.
La posta in gioco è il ruolo dell'Italia nella divisione internazionale del lavoro, ed in particolare rispetto allo sviluppo dei grandi flussi di traffico.
Noi dobbiamo decidere se accettare un destino che ci emargina all'interno della Cee, che marginalizza l'Italia rispetto allo sviluppo dei commerci mondiali, che ci conduce ad essere una nazione di secondo o di terzo rango, o se dobbiamo reagire, porre in opera politiche e mezzi adeguati per frenare il declino, invertire la tendenza, aprire una nuova prospettiva.
Il grande problema che noi intendiamo porre è quello del peso preponderante e crescente che i porti del versante nord-occidentale hanno nell'insieme del trasporto marittimo della Comunità europea della quale facciamo parte.
Già oggi i porti del versante nord-occidentale (Rotterdam, Le Havre Dunquerke, Anversa, Brema, Amburgo) detengono il 67,58 del trasporto marittimo della Cee, mentre ai porti del versante meridionale (Marsiglia Nizza, Imperia, Savona, Genova, La Spezia, Livorno, Ravenna, Venezia Trieste) compete solo il 32,58 . Ma si tratta non solo di una realtà in atto, bensì anche di un processo che continuamente rafforza i porti del versante Nord rispetto a quello del versante Sud.
Inoltre anche nella qualità e nel contenuto del trasporto si colgono segnali inquietanti. Ad esempio i porti del Nord-Europa detengono la schiacciante maggioranza (circa l'81 % ) del trasporto merci varie in containers.
La Francia tenta di rispondere a questa tendenza concentrando grandi sforzi intorno al sistema portuale di Marsiglia ed ai trasporti del suo retroterra. Sono in atto e vengono programmate opere imponenti investimenti massicci innovazioni, collegamenti viari e ferroviari. Se questa risposta francese avesse un qualche successo anch'essa si ripercuoterebbe negativamente sui porti italiani che sempre più diverrebbero il lato debole della Comunità.
E' bene ricordare, a questo proposito, che sono in fase di avanzata realizzazione le canalizzazioni tra il Reno e il Danubio, e tra il Rodano e il Reno: il nodo di Ratisbona collegherà due poderosi sistemi fluviali collegati ai grandi sistemi portuali che sono nella Cee per così dire i nostri concorrenti. Nello stesso tempo progrediscono i lavori per la grande autostrada che traverserà l'Europa da Ovest a Est, da Monaco all'Austria alla Jugoslavia e alla Grecia. Le ferrovie francesi e tedesche sono state profondamente riorganizzate e manifestano una nettissima superiorità sulle ferrovie italiane, in condizioni di degrado e per molti aspetti prossime al collasso. La rete dei canali che supporteranno l'interconnessione tra i due grandi sistemi fluviali europei dovrebbe essere compiuta nel 1985.
Se la risposta di Marsiglia e l'insieme di opere predisposte dai francesi - compresi i canali avranno successo, il sistema dei trasporti del nostro triangolo industriale ed i porti dell'Alto Tirreno risulteranno, per così dire, aggirati ed emarginati ancor di più oggi rispetto ai grandi flussi di traffico internazionale. Se non si ricrea, in termini di capacità portuali e di infrastrutture, di trasporti nel retroterra, un ruolo di Trieste verso l'Europa centro-occidentale, anche l'Alto Adriatico risulterà tagliato fuori dai grandi flussi di traffico est-ovest. E, infine, il Mezzogiorno d'Italia e i suoi porti - prima di tutto Napoli - saranno, per il trasporto marittimo, come recisi alla base, sterilizzati se non si riesce a inserirli in un ruolo specifico nei grandi circuiti commerciali internazionali. Ciò che voglio sottolineare è che si creano così, per molte vie, grandi flussi di traffico che emarginano l'Italia, e ne umiliano o ne cancellano la funzione, che la geografia sembrerebbe assegnarle, di ponte dell'Europa proteso verso i Paesi terzi oltremare. Del resto, la funzione internazionale dei nostri porti è assai limitata, perché gran parte del trasporto che vi giunge è destinato al mercato interno riceverà in misura crescente flussi di merci che provengono d'oltremare attraverso i porti di altri paesi europei. Nell'economia moderna non sono tanto le distanze fisiche in se stesse ad influenzare i flussi di traffico, quanto i costi l'efficienza e la competitività dei sistemi.
La questione ferroviaria è parte essenziale di questa strategia. Non averlo compreso è stato assai grave. Il costo del trasporto va misurato in termini globali, dall'origine alla destinazione delle merci; il tempo che si impiega nel trasporto è elemento integrale del costo, per queste due ragioni vincono il confronto internazionale quei sistemi portuali che non solo offrono al loro interno di un adeguato sistema di convenienze ma che dispongono nel retroterra sino ai centri di destinazione intermedia o ultima, dei servizi di trasporto terrestre più economici ed efficienti. La ferrovia è decisiva in questo senso. Ormai il costo del trasporto di una merce su rotaia è minore da tre a quattro volte del costo del trasporto su gomma, e i prezzi del carburante renderanno sempre più forte questo divario nel futuro (ma la stessa cosa accadrà per le tariffe autostradali).
Inoltre bisogna tener conto del fatto che le ferrovie possono ricorrere a fonti energetiche primarie diverse e alternative, mentre il trasporto su gomma è ancorato al petrolio.
Chi possiede un sistema ferroviario efficiente ha un'arma efficace nelle mani, una leva possente per lo sviluppo di un sistema integrato dei trasporti.
Bene, è stato approvato il piano integrativo delle ferrovie: si dia corso correttamente in Piemonte - secondo moduli organizzativi precisi facilitando in ogni modo da parte della Regione il compimento delle opere.
Questo vuol dire escludere il trasporto su gomma? Affatto! Partiamo dallo stato dei fatti. Abbiamo un ampio sistema autostradale incompleto però in alcuni punti essenziali; le ferrovie vicino al collasso la viabilità minore e di raccordo carente; i porti nelle condizioni che ci sono descritte; un sistema del trasporto aereo caratterizzato insieme da drastiche carenze e dallo sperpero insensato delle risorse. Dobbiamo dunque correggere le tendenze di sviluppo, e ricondurle in un quadro programmato.
Di ciò che è necessario per le ferrovie ed i porti, del carattere prioritario di questo impegno ho già detto. Nel comparto della grande viabilità si pongono alcune esigenze precise. Dobbiamo evitare ogni ulteriore sviluppo delle autostrade, e invece realizzare alcuni indispensabili completamenti del sistema; vanno del pari completati alcuni collegamenti stradali indispensabili; è necessario realizzare tutti i raccordi necessari per garantire la fluidità del traffico, l'intermodalità ed in particolare l'adattamento dei porti al sistema viario e all'insieme delle infrastrutture di trasporto.
Siamo al centro di due grandi questioni: quella della Valle di Susa e quella dell'Ossola, due questioni indispensabili per i porti liguri dell'alto Tirreno, quelli che permettono ancora un minimo spiraglio di tipo internazionale, che permetteranno che Napoli, il resto del Tirreno Trieste, l'Adriatico non vengano recisi alla radice (i porti italiani vanno portati a un livello minimo prima ancora di pensare al loro sviluppo).
Quando parliamo del Frejus, offriamo un modello organizzativo chiaro e semplice. Ci direte che i comunisti erano contrari. Però dal momento in cui quella scelta è stata fatta, noi abbiamo contribuito, anche per gli eventi della sorte, a gestirla. Oggi è uno spreco di risorse se lo lasciamo in quello stato. Da due anni marcisce in Parlamento un provvedimento che era stato presentato, dalla Regione Piemonte e dal Ministro Nicolazzi, in modo disgiunto da quello delle autostrade, nel quale c'era il problema importante dell'Ossola e dell'autostrada Vercelli-Invorio. E' stato unificato e qui c'è una responsabilità precisa, e un accordo di fazioni e nessuno mi può vietare di dirlo. La questione del Frejus è una questione che si inserisce in un programma internazionale a cui il governo deve far fede, per il quale non chiediamo neanche tutte le risorse, ma, secondo un nuovo modello organizzativo a fondo perduto, chiediamo la disponibilità della BEI la presenza ANAS per gestirlo. Tutti sono d'accordo. Perché non si fa? C'è un gioco di potere all'interno delle banche. Se qualcuno si vuol prendere quella società, vengano avanti perché non è certamente lasciando marcire la questione in Parlamento che si risolve. E' un progetto prioritario rispetto a quelle popolazioni, rispetto agli accordi, rispetto al disegno generale, rispetto allo sviluppo dei porti liguri e all'inserimento corretto del Piemonte in Europa, rivedendo parte delle nostre posizioni, dopo che altri hanno rivisto le loro perché le condizioni sono mutate.
Lo stesso vale per la questione dell'Ossola. Siamo favorevoli a un modello organizzativo che risani le gestioni autostradali. Se c'è buona volontà e non ci sono solo questioni di potere, queste cose si possono fare. C'è una responsabilità che compete al Governo e alle forze politiche presenti in Parlamento, E' opportuno che tutti, uscendo di qui, ne parlino ai rispettivi deputati che siedono a Roma. Quello che è certo è che noi come partito di opposizione al Governo non possiamo firmare da soli la legislativa nella commissione alla Camera se poi i partiti di Governo non la firmano, o la firmano solo qualcuno, PSI, PSDI, e una parte della DC. Si mettano d'accordo i responsabili dichiarando nome e cognome oltre al governo, che in qualche misura è sempre responsabile.
Ha ragione Marchini di chiedermi se siamo in grado di gestire l'autoporto di Susa con le risorse nostre e di fare quello di Orbassano.
Qui ci misuriamo tutti e se è vero che c'è la responsabilità della maggioranza, del Consiglio regionale, degli Enti locali, degli azionisti della Finpiemonte, è altrettanto vero che ci sono amministrazioni unitarie e concordi all'interno.
Se si facessero queste cose in 5 anni, sarebbe una grande novità e un grande successo di governo.
L'altra priorità che richiamiamo è l'irrigazione, il piccolo sistema del Moiola, la questione del Tanaro. L'Enel non ha soldi. C'è la disponibilità della legge Quadrifoglio in vigore da sei anni. Poiché non si può finanziare tutto, si chieda l'istituto della concessione parziale, il Governo dia un contributo a fondo perduto, il resto lo si realizzi facendo funzionare la Finpiemonte, si emettano cartelle, si trovino quelle forme che trovano tutti gli Stati. Si mobilitino anche le risorse della gente che è contenta di pagarsi i qualche modo la diga o una parte del programma.
Infine, perché è in crisi l'intervento pubblico? C'è il problema della macchina amministrativa. Si è parlato molto delle deleghe e di quella formulazione che a molti non piace. Il PCI uscirà con un documento. Se si vuole che la maggioranza, indipendentemente da chi la governa, sia divisa in ministeri, ogni Assessore agisce per conto proprio, se invece si vuole una Regione che decide e si vuole alimentare il Consiglio per progetti come è stato detto nella programmazione, bisogna affrontare il nodo delle deleghe, per gordiano che sia, con tutti i rischi e gli errori che si possono commettere, senza aspettare la riforma nazionale e la panacea generale. Bisogna affrontare questo tema nel dettaglio e subito, tenendo fermo il timore di quella prospettiva, anzi, dobbiamo lavorare anche in questo senso perché si realizzi. In quel caso gli Assessori o altri Ferraris o Ferrero non avranno più mandati da pagare, ma avranno degli uffici politici. E qui c'è il processo di formazione del personale e il processo di rimobilitazione di tutte le risorse umane e materiali all'interno della Regione.
Agli enti strumentali bisogna chiedere di fare gli enti strumentali.
Forse abbiamo sbagliato a fare delle s.p.a.: però dal momento che ci sono devono fare i loro programmi, devono rischiare, non devono stare come il pulcino sotto la chioccia. La Finanziaria si muova e affronti in campo aperto le questioni così come stanno facendo in parte l'Ipla e altre società che dipendono dalla Regione.
L'altra questione prioritaria è quella inerente alla casa secondo le scadenze indicate dalla Giunta. Anche in questo caso il discorso torna alle banche.
E chiudo con un'ultima osservazione in ordine ai ceti più deboli. Ho letto sulla Stampa che la Giunta chiederà un incontro con il Governo. Mi pare che questa sia la cosa migliore da fare per valutare le cose compatibili e quelle incompatibili: bisogna avere l'ordine di grandezza e capire ciò che è importante e ciò che non lo è. Il "taglio" indiscriminato è l'inizio della decadenza, del non governo. Mi spiace di doverlo ribadire: noi dobbiamo tentare di funzionare qui come governo: queste sono le carte in regola verso il governo nazionale. Dopo di che ogni forza politica ha autonomia per dire alla gente ciò che ritiene opportuno anche se evidentemente, quando si è in una Giunta, in una maggioranza, si è anche in dovere di dare il proprio contributo e di non esimersi dalle responsabilità che ci si assume.
Questo è il nostro comportamento quello a livello nazionale è ampiamente noto: siamo all'opposizione e restiamo all'opposizione.



PRESIDENTE

Ha la parola il Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Ottantaquattro progetti e due frasi del presidente Enrietti sono il tema di cui dobbiamo discutere.
Gli ottantaquattro progetti sono diligentemente contenuti, ripartiti nei diversi settori dell'azione regionale, nel documento sui provvedimenti di politica economica di pronto avvio, in anticipazione del secondo piano di sviluppo regionale. Il documento ha un sottotitolo meno felice, progetti per combattere le cause strutturali dell'inflazione e sostenere l'occupazione, ma di questo parlerò in seguito.
Le due fasi del presidente Enrietti riguardano, la prima, l'invito al Partito Repubblicano ed al Partito Liberale per un appoggio ed un sostegno lasciando a questi partiti di determinare le forme, il metodo ed i tempi ma sollecitando risposte. La seconda riguarda l'affermazione che nei nove mesi dalla legislatura, nel Consiglio regionale tra le forze politiche, tra le forze sociali non è emerso sino ad oggi una proposta alternativa a queste maggioranze, né sul piano politico, né sul piano organizzativo, n sul piano programmatico.
Il PLI non intende sottrarsi al confronto con il progetto presentato dalla Giunta, e intende, approfittando del dibattito in aula, dare risposte chiare ai problemi di quadro politico posti dal presidente Enrietti, per trasferire nell'Assemblea regionale un dibattito rimasto finora confinato negli ammiccamenti a distanza, nelle pagine dei giornali.
Saldare questi due giudizi è l'unico modo per fare lievitare un dibattito, sottraendo il confronto sul programma di progetti dalla riduttiva tentazione di una valutazione isolata sui singoli provvedimenti.
Il Partito Liberale crede che affermare, come fa il presidente, che non esiste una proposta politica di alternanza a questa maggioranza, sia una semplificazione pericolosa, così come sarebbe pericoloso affermare senza incertezze il contrario. Questi atteggiamenti e schematismi contrapposti giovano solo a chi, nel PCI, nasconde le proprie incertezze e si arrocca in una schematizzazione di schieramento e a chi, nella DC, può ancora credere che si possa tornare ad un rapporto di egemonia battuto dai tempi. Ma in un anno molte cose sono cambiate nel quadro politico, si è messo in moto un processo di trasformazione nelle relazioni tra le forze politiche che non può non aver investito lo stesso Piemonte.
Ma non è solo un astratto richiamo al quadro politico che ci deve convincere che è bene non avere certezze. E' l'applicazione di questi rapporti politici all'azione legislativa ed amministrativa in una grande Regione che sta cambiando. La linea del cambiamento, la certezza dell'innovazione, la capacità che deve essere lealmente riconosciuta, di introdurre temi e procedure nuove nel governo delle Regioni e degli Enti locali, che aveva accompagnato, come un vento inarrestabile, la formazione delle giunte di sinistra dopo il 1975, sembra essersi logorato.
Questo fatto non è occasionale, e, a nostro avviso, non è reversibile.
Non dipende da fatti locali o personali, ma risponde ad un momento di evoluzione politica, culturale ed amministrativa delle linee dei partiti e dei rapporti di forze.
Sul piano politico, oggi, vi è una latente divaricazione tra PCI e PSI.
Vi sono due strategie divaricate, che si aprono e si apriranno sempre più in rapporto all'atto di orgoglio dei socialisti, che hanno preso coscienza di cosa essi rappresentano nelle responsabilità di governo nell'Europa delle libertà e che intendono svolgere, assumendosi anche pesanti e impopolari responsabilità di governo, fino in fondo questo ruolo anche in Italia.
Ai socialisti giova anche la certezza di poter proporre modelli collaudati per la trasformazione della società in senso socialmente più giusto, ma nel potenziamento e nel rilancio delle libertà individuali e collettive. Ai comunisti non giova dover fare riferimento ad una terza via pericolosamente inserita anche se culturalmente affascinante, tra il magnete di un "socialismo" reale che essi stessi coraggiosamente condannano e osservano con timore e il rifiuto sprezzante delle esperienze, dei successi e degli insuccessi delle grandi socialdemocrazie riformiste.
La partita è grossa. Si gioca la leadership a sinistra, ma più ancora i modelli di evoluzione della democrazia italiana, che nei prossimi anni proprio sull'esito di questa partita, saprà se dovrà stagnare nell'attuale stallo o se potrà praticare una reale alternanza di indirizzi politici e di classi dirigenti. La partita è grossa. Lo scontro nel sindacato ne è lo specchio, per una divisione che non può non preoccupare, in quanto dovuta più che ad una reale divaricazione sulla necessità di modificare incisivamente la scala mobile in un quadro programmato di rientro dell'inflazione, ma alla riemergente tentazione di creare, nel sindacato l'eco rinforzata delle tattiche e delle strategie di partito.
Questa tensione a sinistra non può non riflettersi in qualche modo, sul governo della Regione Piemonte. L'atteggiamento di fronte ai grandi conflitti sociali, le difficoltà a chiudere un bilancio con finanze regionali meno ricche del passato, l'esigenza di fare scelte, il permanente conflitto tra chi, nel governo regionale, deve collegarsi alle politiche nazionali, di cui ha responsabilità, e chi può essere tentato di scaricare comunque sul governo ogni colpa, per allontanare dalla Regione responsabilità per le cose che non vanno e per concorrere, anche dalla Tribuna regionale, ad accrescere la pressione sugli equilibri nazionali.
Ma queste sono ancora cose lontane. Nel concreto dell'azione amministrativa vi è il segno del malessere che attraversa questo governo.
Più volte abbiamo denunciato, come nostra valutazione, la tendenza dell'intervento regionale ad essere incentrato in un'azione per settori abbandonando quello che è stato, giustamente, l'orgoglioso fiore all'occhiello delle maggioranze nate dal voto del 1975, la capacità di coinvolgere il mondo sociale ed economico esterno all'amministrazione della Regione. Questo influsso non è occasionale: dipende da una scelta inconscia forse, ma presente nei fatti, del PCI, che di fronte alle difficoltà, alla diminuita spinta elettorale, si sente meno sicuro in un impegno di modernizzazione della società, che di fatto si distaccava dai riferimenti ideologici, culturali ed organizzativi propri alle esperienze del PCI, per ripiegare in un'azione di settore, dove più forte è la tenuta organizzativa del partito, più sicuri sono i vantaggi della gestione del potere, più certo è il progressivo controllo della società piemontese.
E' una linea logica e da rispettare, ma è conflittuale alle attuali impostazioni del PSI, che proprio nella rottura delle egemonie di settore nell'impegno di innovazione trova spazi al proprio rivendicato ruolo di centralità.
Il PSI non è solo in questo disegno. I laici contano di più, crescono elettoralmente, sentono di pesare, nella società piemontese, più dei voti raccolti. Nascono, nei fatti, occasioni di raccordo e di impegno su temi di grande importanza che sempre meno possono sembrare occasionali, ma prefigurano disegni di intervento di maggiore respiro.
Alla DC inoltre non sembra sufficiente il riconoscimento formale tributato da Enrietti. Questa DC, in questa regione, con questo gruppo, con questa direzione, ha una rilanciata dignità (come conferma anche il recente impegno di proposta legislativa). Sembra aver compreso che non pu assolvere al suo compito di grande forza popolare solo coltivando in modo più o meno palese, rapporti di fatto per la partecipazione alla gestione di alcuni settori od operando, in aula, una opposizione formalmente intransigente. Sembra aver compreso di dover riprendere una funzione propositiva centrale e di dover soprattutto mettere a disposizione la propria forza elettorale per un disegno di cambiamento, più moderno, più rispettoso della funzione degli altri partiti.
Non è vero, Presidente, che nel Piemonte non sia presente una linea di governo alternativa, sul piano politico, sul piano organizzativo, sul piano programmatico. E' vero che questa linea non è forse ancora matura, ma è anche vero che l'attuale linea è stanca.
Affermare che questa linea non è ancora matura è un segno di responsabile lealtà, che da e chiede rispetto all'impegno politico. Con analoga responsabile lealtà si deve riconoscere che questa linea è stanca che la sua forza è più in un diritto di voto esterno all'istituto regionale.
Certo cambiare non è facile. Il Piemonte ha struttura sociale, realtà produttiva e preoccupanti stadi di crisi che non è facile associare ad un governo regionale che trovi pregiudizi ed incomprensioni da parte di importanti comparti nel campo sociale.
Questo deve rendere prudenti, deve spingere, ancora più che nel passato, a non isolare mai e umiliare forze politiche, deve portare a costruire, su grandi temi del piano di sviluppo, una convergenza che sia patrimonio dell'intera realtà piemontese e che veda impegnate indipendentemente dalla collocazione in maggioranza o all'opposizione, ogni forza politica. Il disegno di alternanza, che è nell'evoluzione politica ma che è sicuramente fragile nei numeri del consiglio e che è sicuramente esposta alla pressione, anche strumentale delle tensioni sociali; pu trovare spazio se e solo se si costruisce su un disegno di governo limitato ed incisivo, che trovi nella compattezza dei partiti di democrazia laica socialista e liberale, un elemento certo di cambiamento.
Su questo metro, che è la chiave della nostra lettura politica, che introduce le novità politiche come uno dei dati di cui tener conto, senza porre problemi di schieramento, deve essere esaminato il documento presentato dalla Giunta.
Una prima osservazione ci porta a considerare che, nel provvedimento ancora troppo incerto è il confine tra l'azione ordinaria della Regione nei diversi settori e l'impegno di iniziative strategiche, capaci di dare corpo ed un ruolo diverso e rinnovato dell'amministrazione e di costruire, in un momento di difficoltà nello sviluppo economico e produttivo, occasioni di rilancio concretamente praticabili nelle Regioni.
Una seconda considerazione riguarda un collegamento troppo blando tra le scelte compiute e le indicazioni, spesso più mature, del piano di sviluppo e dei piani comprensoriali. L'azione della Giunta anche in questa fase, sembra risentire del ritardo e delle difficoltà oggettive che pone la saldatura di una complessa azione di programmazione allo sviluppo di un'azione amministrativa continuo e concentrato.
Una terza considerazione critica rileva lo sforzo di voler, in qualche modo, coinvolgere in un'azione straordinaria la totalità dell'azione regionale; questa linea è, evidentemente, contraddittoria con l'incisività richiesta a provvedimenti finalizzati e spiega l'evidente disomogeneità tra le indicazioni operative contenute nel documento.
Convince, invece, l'impegno ad anticipare, a carico della Regione, ogni necessaria verifica di fattibilità anche indipendentemente dalla certa disponibilità di risorse, per rimuovere i nodi che, nella pratica ordinaria dell'amministrazione, ritardano ed a volte vanificano interventi di grande rilievo. Creare questo anello di saldatura tra l'individuazione di programmi ed il passaggio alle fasi operative sembra, ai liberali, una convincente innovazione.
Ai liberali sembra, come indicato nel documento presentato dalla Giunta, che debba essere più incisivamente ritagliato il programma riconducendo ad una rilanciata attività ordinaria, l'azione ordinaria di corretto e tempestivo intervento nei diversi settori.
Il programma straordinario che la Regione deve predisporre deve risolversi in pochi ed incisivi atti, di grande rilevanza strategica.
L'azione regionale deve non solo puntare a stimolare risposte dalla società ma essere prioritariamente rivolta agli Enti locali ed all'azione della Regione stessa. La Regione deve recuperare, ma non è azione straordinaria la propria originale capacità di operare per programmi, superando la tendenza a settorializzare i propri interventi. Se questa capacità non si fosse sbiadita, non vi sarebbe ora necessità di un programma straordinario o sarebbe comunque più facile individuare campi di azione concreti ed immediati.
Per l'energia, accanto ai progetti presentati, deve essere, proprio in questa sede ed in questa occasione, ribadita con chiarezza la scelta per il nucleare, ponendo precise scadenze per l'avvio delle procedure attuative. I liberali chiedono che queste decisioni siano prese entro tre mesi, in quanto solo il rispetto di questa scadenza può consentire un avvio di lavori a due anni e l'entrata in esercizio a otto-dieci anni. Convince, nel programma, lo sforzo di operare una selezione degli interventi avviabili nel campo della difesa ambientale e di concentrare su tali interventi sforzi amministrativi e risorse economiche.
Ma vi sono altri due campi su cui costruire, nell'occasione di un impegno straordinario, una politica per incrociare in modo forte (alto direbbe Bontempi) i bisogni della collettività piemontese; sono la casa e la funzione territoriale.
Per la casa meglio essere chiari. Non si trattava solo di aprire più cantieri, di superare le strozzature che oggi umiliano l'iniziativa dei privati e condizionano pesantemente gli stessi programmi pubblici. Si tratta di creare le condizioni di una nuova civiltà urbana, che accompagni le trasformazioni territoriali e produca, nel territorio regionale, forme funzionali ed equilibrate di insediamento. E' l'integrazione tra politiche di insediamento industriale e terziario, politiche di sviluppo urbano e recupero dei centri esistenti, politiche per la mobilità di massa che deve ancora trovare una reale risposta in questa Regione. Questa è una sfida centrale per i prossimi anni, per trasformare gli investimenti di settore in uno strumento per soddisfare alla domanda sociale di lavorare, abitare muoversi in un modello urbano di alta qualificazione. Il tema porta ad affrontare i nodi del riequilibrio regionale e della riorganizzazione metropolitana, facendo emergere che l'investimento nelle ferrovie in concessione e per la mobilità nelle città non è uno dei progetti per il Piemonte negli anni '80 ma il "progetto" per dare senso e portanza alla politica per la città e per la casa.
Per questo non siamo soddisfatti delle sezioni dedicate alla casa ed all'urbanistica, pur dando atto del tempestivo ed anzi anticipato impiego di fondi disponibili e della disponibilità di affrontare, in modo incisivo i nodi di una legislazione urbanistica tanto meritoria sul piano degli obiettivi, quanto inadatta ai modi e ai tempi di decisione di una società in trasformazione.
Il nodo delle aree richiede risposte straordinarie, specie nell'area torinese. Il PLI chiede che nel programma si inseriscano una chiara indicazione per l'individuazione e la realizzazione di nuclei di sviluppo urbano integrato, integrato nella connessione all'armatura urbana esistente, integrato al sistema per la mobilità di massa, integrato per la composizione sociale degli insediamenti.
Su questa materia il gruppo liberale ritiene di assumere un'iniziativa forte, presentando nella prossima settimana un pacchetto di quattro provvedimenti, per la modifica della 56, per la modifica della convenzione quadro, per la disponibilità delle aree, con particolare riferimento alla formazione di nuclei urbani integrati, per la costituzione di una finanziaria per realizzare case da affittare.
La formazione professionale è la seconda grande area di progetto per il Piemonte degli anni '80. Siamo convinti che in questo settore non si faccia abbastanza. Siamo convinti che il Piemonte sarà al riparo da ogni crisi congiunturale se costituirà il suo futuro su una classe di lavoratori modernamente specializzati. Il Piemonte può, nell'accordo tra forze politiche e categorie economiche, mettere in piedi un modello di formazione, anche in rottura con i ritardi della realtà regionale, che faccia leva sulle attività forti e caratterizzanti nella Regione. Un trasferimento di risorse a favore della formazione professionale, che esca dall'interpretazione riduttiva di interventi per far fronte alla riqualificazione di manodopera per specifici punti di crisi, per assumere invece il significato di sforzo strategico per cambiare i caratteri dell'istruzione in Piemonte, troverà ogni appoggio dei liberali.
Richiamati così i punti centrali delle osservazioni liberali al documento della Giunta, restano molte osservazioni che svilupper tralasciando i punti di consenso, che sono molti, per far emergere meglio le diversità di valutazione del gruppo liberale.
Manca un'attenzione ai gravi ritardi di spesa che continuano a permanere nel settore agricolo, e riformuliamo la nostra richiesta di un rapporto conoscitivo del consiglio e l'impegno a tre mesi, di predisporre ed approvare una radicale legge di semplificazione, che consenta di dare seguito tempestivo all'impiego di fondi.
Manca un esplicito riferimento alla necessità di dare seguito, nella Valle di Susa, ad una struttura autostradale, come unica soluzione tecnica ed economica per la fattibilità di un progetto centrale per la funzionalità di un collegamento all'Europa.
Manca un chiaro impegno a considerare prioritario, tra i progetti della viabilità, l'avvio della realizzazione dell'anello pedemontano, come infrastruttura portante del riequilibrio regionale.
Manca un impegno, non generico, ma specifico, per l'avvio di aree artigiane, con affidamento, come da nostra richiesta, a Finpiemonte di predisporre verifiche di fattibilità tecnico-economiche per almeno 5-6 interventi, nella Regione, con l'impegno di giungere all'aggiudicazione dei lavori entro la fine del corrente anno.
Non concordiamo su alcune linee del progetto presentato (studi e ricerche nel settore della componentistica).
Non concordiamo con l'indicazione di un finanziamento per l'avvio di operazioni di leasing industriale.
Ma si tratta di indicazioni puntuali che meglio potranno essere sviluppate man mano che si entrerà nel merito dei problemi.
Di maggior respiro il problema del bilancio. Avevamo posto alla Giunta una richiesta: una variazione che sposti il 10 % delle risorse manovrabili dalle spese di funzionamento e dall'area delle attività socio-assistenziali all'area degli investimenti e del sostegno alle attività economiche. Il vento della stretta imposto dalle condizioni economiche generali sposta, in termini ben più drammatici, il nodo della destinazione di impiego delle risorse. Chiediamo alla Giunta, proprio per dare totale serietà al nostro dibattito, di fornire a tempi stretti, sulla base di ipotesi formulate, gli indirizzi per una ricalibratura di un bilancio, che sembra morto ancor prima di poter essere applicato.
Su questo tema e, più ancora sulle linee per il secondo piano di sviluppo, attendiamo Giunta e forze politiche per un nuovo appuntamento.
Mi rimane da rispondere, ed è la terza parte del mio intervento, alla domanda, quasi all'invito, al PLI ed al PRI di Enrietti per un maggior raccordo a questa maggioranza, lasciando a noi di proporre poi tempi, modi e forme.
Anche in politica la chiarezza serve. A noi sembra che ci sia più desiderio da parte della maggioranza di coinvolgerci, rispetto al nostro desiderio di essere coinvolti.
Chiariamo fin d'ora, in modo non equivoco, che noi non intendiamo usare gli altri come strumento, ma non vogliamo essere usati da altri come strumento. Deve essere certo quindi che il giudizio liberale sulle situazioni politiche non può dipendere da fatti e valutazioni di ordine personale e che quindi non vi è, presso di noi, alcun desiderio di essere punti di appoggio per cambiamenti che non corrispondano a chiarire ed esprimere indicazioni politiche.
Chiarisco fin d'ora, di nuovo in modo non equivoco, che non è cambiato e non cambia il giudizio su questa maggioranza, di cui rispettiamo il lavoro, ma che vediamo inadatta ad esprimere, oggi, nell'attuale situazione, le spinte più positive presenti nella società piemontese. Né il nostro partito, né Turbiglio, Marchini ed io abbiamo la presunzione di pensare che una nostra partecipazione alla Giunta o ancor meno in maggioranza possa salvare quanto di questo governo funziona e di modificare quanto invece sembra a noi insufficiente.
Esiste una maggioranza, numericamente sufficiente, cui non intendiamo tirare imboscate, che lavora. Rispettarla e non prestarsi ad operazioni confuse che indebolirebbero la funzione di controllo e di proposte alternative all'opposizione, senza rilanciare il governo, è il solo modo che, come liberali, conosciamo per chiedere agli altri attenzione e rispetto.
Questa posizione non significa isolamento. Noi intendiamo partecipare fino in fondo all'iniziativa socialista, affermata dal segretario regionale, da autorevoli assessori, dallo stesso Presidente della Giunta di sondare le convergenze programmatiche sulle grandi linee del governo del Piemonte. Crediamo che questa fase possa prescindere da preoccupazioni di schieramento ed abbia anzi trovato maggiore importanza perché rispetta la collocazione, nell'attuale fase, al governo ed all'opposizione e perché non isola e umilia alcuna forza politica.
Vi è un'ampia area di confronto, che noi intendiamo esplorare senza riserve perché molto all'azione della Giunta non è esclusiva della Giunta ma patrimonio della comunità piemontese, in cui noi siamo radicati e di cui rappresentiamo qualcosa.
E' quindi possibile creare un maggior raccordo tra i partiti di democrazia laica, socialista e liberale. Queste parti si impegnano, nel rispetto della collocazione al governo ed all'opposizione, a presentare consultazioni sui grandi temi del governo regionale.
Ma alla maggioranza chiediamo se comprende ed apprezza la chiarezza della posizione liberale, che non abdica alle proprie ambizioni, che non cede alla tentazione di trovare giustificazioni qualsiasi all'avvicinamento al potere, di aprirsi di più, non solo sul piano della disponibilità alle indicazioni programmatiche e di disegno generale, ma anche riguardo alla condizione delle politiche nei diversi settori, dove prevale invece una chiusura netta alle indicazioni delle opposizioni.
Chiediamo alla maggioranza di rinunciare ad usare del potere per esercitare i propri egoismi di partito e per risolvere, nell'uso del potere, nella sua dilatazione, i problemi tra i partiti di governo e entro i partiti del governo.
Questa è la posizione liberale che non è, presidente Enrietti chiuderci la porta in faccia, ma sapere che in politica i partiti devono saper aspettare ed entrare, se gli equilibri politici lo consentono, dalla porta principale. La "stanza dei bottoni" ha per i liberali, una porta sola e non molte, come nella commedia di goldoniana memoria.



PRESIDENTE

La parola ora al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Le possibilità di azione della Regione nell'attuale situazione di crisi, al fine di predisporre una prima serie di interventi attivabili nel breve periodo, non debbono, a nostro avviso, essere disgiunte per un verso dalle politiche monetarie ed economiche assunte dal Governo e, per altro verso, dall'impostazione del secondo piano di sviluppo regionale per gli anni 1982-85.
Anzitutto occorre riconoscere come sostanzialmente positive - ma per certi versi, ormai inevitabili - le misure di stretta creditizia e di revisione della parità valutaria adottate dal Governo: esse infatti prendono atto di una situazione di fatto, grave e pesante, rapportabile allo squilibrio della bilancia dei pagamenti, ad uno sviluppo crescente della domanda interna per consumi, ad un livello della spesa pubblica per certi versi non compatibile, almeno nei suoi elementi di spesa corrente improduttiva.
E' però altrettanto evidente che queste manovre, tipicamente monetarie non possono continuare ad essere le uniche poste in essere dagli organismi politici, né possono giustificarsi se non come "straordinarie", o nel brevissimo periodo.
Occorre, quindi, che il Governo ponga rapidamente in essere politiche strutturali e di investimento, Certo, faide, logge, attentati e referendum ci fanno sembrare sempre più lontane quelle fasi "2" e "3" che erano state promesse, come di rapido e pronto avvio.
Noi diciamo che la fase "2" e la fase "3" sono indispensabili per vanificare gli effetti deleteri che a lungo hanno le misure creditizie restrittive su livelli di produzione, di occupazione e sulle potenzialità di investimento. In questo quadro non si può non riconoscere la validità dell'iniziativa di agganciare le politiche governative al "piano triennale", che non va vanificato né deve diventare mero terreno di scontro per questo o quel "taglio" contestato. Va cioè promosso lo sviluppo di una politica di programmazione economica generale (articolata nei piani settoriali ormai indilazionabili e decisivi per lo sviluppo energetico agro-alimentare; per l'auto, la chimica, la siderurgia, l'elettronica, le telecomunicazioni e la ricerca) che con le parti sociali trovi un punto d'incontro nella lotta all'inflazione e nel rilancio della competitività delle produzioni nazionali.
In questo processo riteniamo che la Regione possa e debba svolgere un ruolo importante nella definizione di obiettivi, nell'indicazione di strategie, nella predisposizione di strumenti attuativi, coordinata con le politiche nazionali e degli altri enti esistenti sul territorio.
Per fare ciò occorre anche che in questi mesi del 1981 la Regione Piemonte avvii le procedure e predisponga i primi schemi per l'approntamento del piano di sviluppo 1982-85, che, partendo da un bilancio del primo piano, individui le linee strategiche, obiettivi e strumenti per un rilancio del Piemonte negli anni '80, per farne una Regione a "dimensione europea", inserita nell'Europa Occidentale, agganciata alle tradizioni e alle esperienze delle socialdemocrazie più avanzate.
Il Gruppo PSDI apprezza e valuta positivamente l'iniziativa di consultazione avviata dalla Giunta regionale, in questa situazione straordinaria, sia con le parti sociali che con le forze politiche.
Entrambe le realtà hanno risposto con contributi significativi e qualificati, che già costituiscono utile materia di valutazione e di confronto. Certamente non ha voluto significare mero coinvolgimento formale, né confusione di ruoli, ma volontà di dare corpo ad una programmazione partecipata ed indicativa, che trovi nelle pluralità delle parti sociali e negli Enti soggetti attivi e responsabilizzati.
Si tratta cioè di rilanciare una politica di sviluppo, che sfoci nel progresso economico e sociale, e che si connoti anche per certi versi come sviluppo qualitativamente diverso da quello precedente, nel senso di dare peso all'elemento "umano", di favorire processi di riequilibrio territoriale, di rivedere i pesi relativi dei settori industriali nei confronti di altri settori, quali l'artigianato e il terziario "qualificato".
La Regione deve porsi come punto di riferimento con un ampio progetto culturale, qualitativo, non meramente ancorato a risorse che già nella discussione del bilancio abbiamo visto essere comunque scarse e mere opere pubbliche.
Nell'immediato - ma senza dimenticare questi necessari elementi di riferimento che facciano uscire ogni decisione dall'episodico e dal meramente contingente e strumentale - occorre che la Regione definisca alcuni obiettivi ed alcune politiche, magari limitate, ma rapidamente attivabili, per il rilancio e il sostegno della produzione e la qualificazione della spesa pubblica, al fine di contribuire al superamento di questo difficile momento tenendo conto dei progetti avviati (che sono pronti e per i quali manca soltanto il via) anche affinando i nostri strumenti analitici e di conoscenza della realtà. Crediamo che se tutti assieme ci sforziamo di trovare punti comuni di esame si possa tra maggioranza e opposizione individuare linee di intervento comuni e concordate.
Anzitutto nel settore agricolo, oggi tra i più colpiti, anche per cause di carattere internazionale e per motivi strutturali, ma che rappresenta un elemento portante nell'economia piemontese. In particolare debbono essere avviati progetti - anche con contributi CEE - per il settore forestazione (verificando il possibile ruolo dell'IPLA), per il settore irrigazione, per il settore vitivinicolo (attuando rapidamente il catasto vigneti e promuovendo la concretizzazione delle strutture per i consorzi di II grado rilanciando le attività di commercializzazione dei prodotti). Ma soprattutto si tratta, in questo settore, di accelerare le procedure e ridurre i tempi di corresponsione dei contributi, problema legato a quello più generale dello snellimento della macchina burocratica regionale.
Nel settore industriale, stante l'ambito attuale di competenza regionale, occorre svolgere in particolare un'azione di rapporto col Governo, chiedendo l'attuazione dei piani di settore che hanno una particolare rilevanza per l'economia piemontese. La Regione potrebbe favorire anzitutto la creazione di consorzi per l'export, per la ricerca o per gli acquisti, avvalendosi anche degli enti strumentali competenti.
Soprattutto a favore di aziende artigiane e di piccole e medie imprese e comunque in presenza di un'adeguata partecipazione delle aziende stesse.
Per le politiche delle infrastrutture noi siamo d'accordo con quanto è stato ricordato: il collegamento con l'Europa, il punto di riferimento fra i porti del Mediterraneo e l'Europa, le grandi infrastrutture di viabilità i centri intermodali che sono stati ricordati. Siamo d'accordo per il loro rilancio definitivo e la loro attuazione (Orbassano, Susa) avvalendosi anche di questa esperienza di collaborazione tra pubblico e privato.
Per il settore energetico crediamo che si tratti di dare attuazione all'ordine del giorno che approvammo dopo un dibattito, ampio e interessante, in Consiglio regionale e sul quale avrò modo di ritornare.
Nel settore della promozione occorre complessivamente trovare un momento di raccordo e di coordinamento tra gli enti interessati al fine di evitare sovrapposizioni e duplicazioni che si risolvono in definitiva in spreco di risorse e di energie.
In questo quadro noi riteniamo che la Promark possa svolgere un preciso ruolo promozionale e di coordinamento da rivalutare.
Riteniamo infine, che anche nel settore della formazione professionale si possa svolgere un ruolo attivo anche se - noi lo riconosciamo - di meno nel breve periodo ma di più nel lungo periodo. Ciò impone, ovviamente, la revisione di un certo tipo di formazione professionale inficiata da aree di parcheggio o da aspetti assistenziali. Anche qui occorre seriamente porre la questione della possibile attuazione o meno, della legge regionale relativa e puntando sull'alternanza scuola-lavoro, attraverso esempi già concretizzati nella Regione Piemonte con esperienze da allargare ad altre realtà piemontesi.
Ciò comporta anche la massima efficienza del sistema burocratico amministrativo regionale, l'accelerazione degli impegni di spesa mettendo subito a disposizione le risorse del bilancio regionale, la qualificazione della spesa, privilegiando gli interventi produttivi e per investimenti ragionando e agendo per progetti, gerarchicamente programmatici, che individuino obiettivi, strumenti attuativi, enti che intervengono e costi curando quindi la relativa revisione legislativa necessaria per uno snellimento burocratico, perché le leggi non siano gabbie ma strumenti per un'armonica crescita economica e sociale.
Con questi progetti, credo che la Regione voglia rafforzare anche la sua credibilità. Questo dibattito, non deve essere un'ennesima dichiarazione di principi, ma un momento a cui deve seguire la verifica concreta e la messa in opera delle indicazioni.
La Regione deve impegnarsi sulle cose fattibili, facendo le riforme che non costano (revisione legislativa, snellimento burocratico), ponendosi come momento di governo che valorizzi in particolare l'economia produttiva.
Certo, in un momento anche pesante, ma che rivela anche degli aspetti di possibili soluzioni con il rilancio delle esportazioni, con il sostegno alle produzioni qualificanti e che danno immagine al Piemonte.
Qui certamente si pone anche il nodo energetico, per il quale chiediamo che il Governo faccia fino in fondo la sua parte, che la Regione si impegni per le cose che sono state dette in quell'ordine del giorno che riguarda la diversificazione delle fonti energetiche, il discorso del risparmio, della lotta agli sprechi.
Approviamo il programma dell'Assessore in merito all'autoproduzione attraverso le fonti idroelettriche. Va fatto anche un salto culturale perché i dibattiti che si fanno nella comunità locale siano seri e non come quello che si è tenuto nel Consiglio provinciale aperto ad Alessandria durante il quale un sindaco ebbe a dire che i Consiglieri regionali erano i cavalieri dell'Apocalisse e la Regione aveva effettuato una specie di blitz.
Gli enti pubblici, la Regione, gli enti coinvolti, devono avere capacità di governo e avviare attorno a queste cose dibattiti seri approfonditi e produttivi, senza demagogia.
Crediamo che attraverso questi progetti si possa rilanciare il riequilibrio regionale al quale noi puntiamo e che abbiamo posto fra gli obiettivi prioritari del programma per questo quinquennio.
Vogliamo che si concretizzi il discorso del Piemonte nell'Europa.
Vogliamo discutere e confrontarci sul progetto pilota del sistema porti liguri. Potremmo suggerire l'attivazione di un comitato permanente che si riunisca a scadenze fisse e che verifichi la fattibilità e l'impatto che il sistema portuale può avere sull'economia regionale piemontese.
Parallelamente alla discussione sui provvedimenti economici si è sviluppata la discussione, a seguito di notizie apparse sui giornali, sulla situazione politica della Regione Piemonte. Proposte modificative della composizione e dei programmi dell'attuale maggioranza sono possibili purché siano chiari e dichiarati gli obiettivi e le finalità; diversamente l'unico risultato sarebbe uno stato di disagio, di incertezza e di rallentamento delle attività in un momento in cui tutti riconosciamo l'esigenza di una maggiore accelerazione dell'impegno, e di un maggior coordinamento delle iniziative.
Il Gruppo socialdemocratico ritiene valida la proposta del rafforzamento dei momenti di collegamento delle forze laiche e progressiste secondo una proposta che ne veda esaltata l'autonomia e la capacità innovativa rispetto ai due maggiori partiti. Un polo quindi dal grande significato storico e culturale. Sotto questo aspetto, ci trova consenzienti la proposta contenuta nel documento illustrata dal Presidente della Giunta e rivolta in particolare ai Partiti repubblicano e liberale.
Ci sia consentita soltanto una precisazione là dove il Presidente letteralmente dice: "l'associazione alla maggioranza del PSDI". Al fine di evitare varietà di interpretazione, ci sia permesso ribadire che questa maggioranza per noi è nata autonomamente rispetto ad altre esperienze: è quindi una nuova e, per certi versi diversa, maggioranza. Certamente ha ricuperato metodi di lavoro, obiettivi, indicazioni acquisite nella passata esperienza, ma nasce attraverso l'autonomo apporto e di pari dignità delle forze politiche che hanno ritenuto di convergere su un programma frutto di un apporto complessivo di ciascuna componente.
L'elemento nuovo, che non è stato forse sufficientemente colto - e noi siamo per ribadirlo - è il diverso, maggiormente coordinato rapporto delle forze socialiste presenti nel paese. Noi da questa condizione, e da questa affermazione siamo partiti anche nell'individuazione di questa maggioranza come di una maggioranza in grado di dare risposte politiche e programmatiche alle situazioni gravi che avevamo di fronte a noi in Piemonte.
Rispetto quindi all'attuale dibattito, la proposta di allargamento agli altri partiti laici ci trova pienamente consenzienti perché era la nostra proposta originaria del luglio scorso, ma a patto che non sia svilita o "bruciata" soltanto per aspetti particolari o per momenti contingenti.
Ci va bene se questa proposta significa anche non soltanto isolamento della DC (la quale avrà quei problemi locali che sono stati ricordati, ma non per questo potrà essere trascurata come forza in grado di costituire e delineare politiche di intervento regionale).
Sono necessari apporti e sostegni da tutte le parti politiche, sociali ed economiche nel rispetto dei ruoli e delle iniziative autonome.
Il dibattito politico, in parallelo con l'esame dei provvedimenti predisposti dalla Giunta regionale, è stato un utile momento di riflessione, ma oggi, fatti i chiarimenti che si dovevano fare, si passi davvero alla fase attuativa, si riprenda slancio ed entusiasmo, si pongano in essere concrete azioni e flussi finanziari che consentano ai piemontesi specie a quelli dei ceti più deboli e delle campagne, di superare la crisi.
Come consigliere regionale della Provincia di Alessandria farò a questo punto una breve precisazione che riguarda i progetti di irrigazione e l'indicazione di stornare 6 miliardi previsti per la realizzazione dell'invaso in Val Borbera per il potenziamento delle rogge tortonesi e lo sviluppo dell'irrigazione nella Valle Scrivia.
A parte la valutazione sul metodo attraverso il quale si è giunti all'ultima verifica, della quale non faccio carico all'Assessore regionale ma agli elementi di estrazione locale, noi crediamo che occorra tenere conto delle indicazioni contenute nel piano comprensoriale, soprattutto i questo momento in cui si fa tanto parlare del rilancio dell'irrigazione e dello sviluppo delle colture specializzate.
Crediamo, al riguardo, che occorra fare un'ulteriore riflessione che veda la possibilità di studiare soluzioni alternative all'interno del progetto finanziato al Comune di Tortona, per far sì che l'area della Valle Scrivia (che ha bisogno di potenziamento) non abbia a subire una indicazione delle popolazioni locali, che non sappiamo quanto sia spontanea, e non invece suggerito da questa o quella parte. Come consigliere della provincia di Alessandria chiederei lo stralcio di questa parte, e un ulteriore momento di verifica su un progetto alternativo che offra la possibilità di realizzare un'opera che consenta il potenziamento dell'irrigazione nella Valle Scrivia.



PRESIDENTE

Gli interventi della Giunta sono rinviati a domani, così come era stato concordato.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,15)



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