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Dettaglio seduta n.55 del 09/04/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Norme generali sull'agricoltura

Dibattito sui problemi dell'agricoltura (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Proseguiamo con il punto quarto all'ordine del giorno: "Dibattito sui problemi dell'agricoltura". La parola al Consigliere Gastaldi.



GASTALDI Enrico

Signor Presidente, signori Consiglieri, sentendo parlare di agricoltura il pensiero corre subito alle sue difficoltà. Dire che l'agricoltura è in difficoltà vuol dire che l'operatore del settore economico agricolo l'agricoltore, o guadagna troppo poco o non guadagna; vuol dire che la spesa si avvicina al ricavo o la supera.
I documenti consegnati dall'Assessorato ci danno un quadro dell'agricoltura piemontese: da essi è però difficile dedurre l'entità della difficoltà agricola, in Piemonte, in modo diretto: perché manca un'analisi delle spese. Essa è vero, è oltremodo difficile, perché le sue voci che comprendono i mezzi per le produzioni (concimi, ecc.) gli ammortamenti (macchine, ecc.), gli oneri previdenziali, sono difficilmente valutabili e riportabili su tabelle. Però gli stessi documenti, se analizzati comparativamente, ci danno una certa idea della crisi agricola in Piemonte.
Ad esempio: a) Se la produzione lorda vendibile era nel 1975 di 1200 miliardi nell'80, calcolando la svalutazione del 20% all'anno, dovrebbe essere di 2400 miliardi (5 anni dovrebbero portare ad un aumento del 100%). Essa è invece a prezzi '80, di soli 2000 miliardi: mancano 400 miliardi, anche se vi è stato un aumento del prodotto. La svalutazione quindi non si è scaricata sul prodotto in modo uguale.
b) Poi se le aziende in Piemonte, come si ricava da un altro documento sono 200.000, e pensando che in ogni azienda non basta un addetto, il ricavo per addetto viene ad essere dai 6 ai 7 milioni annuali: anche se è difficile come ho detto prima, quantificare la spesa; è però facile dedurre che i milioni annuali di guadagno sono pochi.
c) Ancora! sono stati presentati a tutto l'80 961 piani aziendali, come si ricava da un altro documento, su 200.000 aziende esistenti in Piemonte.
Questo cosa vuol dire? Vuol dire che di qui a 6 anni (durata dei piani) vi saranno in Piemonte 961 aziende che avranno un reddito comparabile o al 100% o al 70%, su 200.000 aziende (poco più dello 0,4%). E per le altre quale sarà il reddito? Se è vero che, come ho detto prima, la media dei redditi è ora insufficiente, quanti saranno a reddito insufficiente ancora nel futuro? Perché non è pensabile che abbiano presentato piani aziendali solo le aziende che non hanno il reddito comparabile: e che tutte le altre abbiano tale reddito.
d) in più: da un altro documento si ricava che il 76% dei piani sono stati presentati da aziende con dimensioni da 10 a 50 ettari che sono le migliori. Se è vero, in base al ragionamento di prima, che non vi è reddito comparabile nelle aziende migliori, quale sarà il reddito nelle 178 mila aziende con dimensioni al di sotto dei 10 ettari? Gli argomenti e le dimostrazioni precedenti sono basati su tabelle e statistiche che, si sa, non possono dare valori assoluti; però sono indicativi per lo stato del reddito delL'agricoltura in Piemonte e danno indirettamente il quadro della natura e dell'entità della crisi agricola, e del suo progressivo aggravamento.
L'entità della crisi è dimostrata in modo diretto dalle statistiche ISTAT e IRVAM; esse ci dicono che l'aumento dei prezzi agricoli (tra il 6 ed il 10%) è risultato inferiore all'aumento del tasso di inflazione (21%) che è stato tutto applicato invece sui mezzi di produzione. Le conseguenze di tutto questo spiegano la sfiducia e la disaffezione del mondo agricolo che, anche se non possono portare a scioperi, portano all'abbandono dell'agricoltura, al disinvestimento, con la scomparsa di aziende agricole e con il restringimento delle aree coltivate: a ridurre le spese, con ridotte concimazioni, minori lavorazioni dei terreni con riduzione del volume globale della produzione, portano cioè all'impossibilità, in Piemonte, di realizzare i presupposti del Piano di sviluppo che sono sempre stati identificati in aumento dell'occupazione e della produzione.
Ora: se vi è crisi occorre ricercarne le cause e individuarne i rimedi.
Dato che l'Italia agricola, dopo la conferenza di Stresa del '58, fa parte del Mercato Agricolo Europeo, le cause vanno ricercate nella CEE e in Italia. Nella CEE: è a tutti noto che per mantenere i presupposti fissati dalla politica agricola comune (mercato chiuso sostegno dei prezzi) sono state proposte ed imposte ai vari difetti che si sono manifestati negli anni, correzioni sempre dannose all'Italia (alla svalutazione della lira italiana i montanti compensativi e, ora, all'abbondanza dei prodotti eccedentari accumulati dal Feoga, la tassa di corresponsabilità). Alle cause CEE poi si aggiungono cause che si originano in Italia: sofisticazioni e frodi, mancanza o insufficienza di programmazione anomalie e storture nei mercati agricoli con troppe e non giuste intermediazioni; il tutto aggravato dal disinteresse e dalla scarsa considerazione e valutazione da parte dei responsabili. Non è il momento di cercare colpe e colpevoli, ma il momento di trovare i rimedi.
Nella CEE: a) Occorre modificare la PAC. Per far fronte alle esigenze di garantire un reddito adeguato ai produttori non è più possibile utilizzare in modo indiscriminato lo strumento "prezzi unici" ma è necessario adeguarlo alla realtà profondamente differenziata delle varie Regioni della comunità e delle varie aziende, del Nord e del Sud Europa, più o meno favorite.
b) E' necessario ancora fare un discorso nuovo a proposito della diversità dei tassi di inflazione all'interno della comunità e sugli effetti che questi hanno sull'andamento dei montanti compensativi.
c) Ed ora, occorre impedire che si instaurino i provvedimenti nuovi che sono stati proposti quali quello della corresponsabilità, perché una volta applicato non potrebbe più essere tolto. E' vero che il problema più grave dell'Europa verde, oggi, è quello delle eccedenze invendibili e delle relative spese: ma esso non può e non deve trovare una soluzione nella generalizzazione della corresponsabilità, così come è stata proposta, anche se non può essere rifiutata come principio. Perché è assurdo che l'Italia sia chiamata a pagare delle soprattasse per eccedenza di prodotti di cui è addirittura deficitaria ed è assurdo che essa vada ad applicarsi solo alle future eccedenze, permettendo che chi ha, nel passato, prodotto in modo eccedentario, possa continuare a farlo a spese della comunità, penalizzando e frenando chi vorrebbe invece produrre di più per ridurre il deficit alimentare e locale.
E' un momento delicato e importante: non si può permettere di lasciarsi imporre e di subire, rassegnati, come per il passato, provvedimenti che in Italia interesserebbero, in modo negativo, il 15% delle forze lavoro che trascina dietro di sé, attraverso le attività indotte in campo commerciale e nel settore della trasformazione, il 35% dell'intera occupazione italiana. E la delicatezza di tale momento esige il coinvolgimento di tutto il Governo esige che tutto il Governo dimostri una rinnovata sensibilità ai problemi dell'agricoltura, esige che tutto il Governo si faccia carico di studiare proposte organiche, anche attraverso contatti con tutte le forze sociali, organizzazioni professionali e sindacali. E, ad essere obiettivi sembra che l'Italia stia muovendosi in questa direzione: le proposte del piano triennale, le interrogazioni o interpellanze di tutte le parti politiche in Parlamento, gli interventi diretti ed indiretti certamente lodevoli della nostra Regione, che ci ha illustrato anche l'Assessore stamane, le manifestazioni di piazza concordate e che vengono realizzate in modo successivo dalle varie organizzazioni professionali, danno l'impressione che, stavolta, vi sia una coalizione governativa parlamentare, degli Enti locali, professionali e sindacali contro il pacchetto Dalsager e che si stia dando l'impressione ai nostri interlocutori europei che l'Italia stia facendo sul serio.
In Italia poi occorre combattere l'inflazione che è la causa prima del disagio agricolo. Le misure creditizie portano, aggiunte all'aumento dei prezzi CEE, quali vantaggi all'agricoltura italiana: la riduzione dell'importazione e la diminuzione dei montanti compensativi; essi per saranno di scarsa durata (2-3 mesi) se le misure restrittive mancheranno o saranno inadeguate a correggere l'inflazione.
b) In Italia ancora occorre programmare riprendendo, completando perfezionando finanziariamente, snellendone la procedura di attuazione, il piano agricolo alimentare e la legge Quadrifoglio, i due strumenti che hanno iniziato l'erogazione delle spese pubbliche in agricoltura per gli obiettivi e per piani di settore.
c) Occorre ancora modificare e perfezionare la politica del credito agrario e risolvere il problema dei patti agrari.
E in Regione? Si sa che la Regione può intervenire con provvedimenti di tipo economico o di tipo legislativo su tutti i momenti che portano al reddito e sul reddito stesso. Si sa anche che tali provvedimenti possono incidere sul reddito in modo diretto (accordi commerciali: latte e uva moscato, ad es.); premi di insediamento (crescita vitelli) o indiretto (spese per la produzione e programmazione) anche con l'analisi del modo di formazione dei prezzi di tale spesa con risultati a breve scadenza (prestiti sulla conduzione, acquisto vitelli, ecc.) e a lunga scadenza (mutui e prestiti sugli investimenti per macchine e strutture). E' difficile però prevedere quali saranno gli effetti dello scarso guadagno in agricoltura e dell'aumento del tasso di sconto imposto dallo Stato (che aumenta la parte che l'agricoltore deve pagare, perché la Regione, per legge, non può intervenire che per il 10% in pianura e il 12% in collina e in montagna) non sufficientemente compensati dall'aumento dei prezzi e dalla svalutazione della lira. Sembra logico prevedere che aumenteranno le richieste degli interventi diretti e che incidono in modo più rapido e a più breve scadenza sul reddito e che diminuiranno le richieste per gli interventi sugli investimenti per le strutture.
E' necessario quindi che la Regione si trovi preparata e pronta ad adeguarsi per recepire e soddisfare gli eventuali cambiamenti di richieste se non sarà possibile quello che proponeva l'Assessore stamane, di ottenere agevolazioni creditizie nazionali od estere migliori per l'agricoltura.
Occorre che dia priorità e presti maggior attenzione ai provvedimenti legislativi (leggi e regolamenti) che più direttamente incidono sul reddito; curando l'esatta e rapida attuazione di quelli esistenti o studiandone o proponendone dei nuovi specie nel campo della trasformazione e della commercializzazione, della cui esigenza avevo già parlato in occasione del dibattito sul programma dell'attuale Giunta per l'agricoltura e tramandando ad altri tempi quelli meno impegnativi per il reddito, che tante volte richiedono sia in Commissione che in Consiglio tempi più lunghi per le difficoltà di natura culturale e legislativa che presentano.
Mi riferisco, ad esempio, agli ultimi provvedimenti che si discutono in Commissione sul regolamento per l'Albo professionale agricolo e sul regolamento alle leggi antisofisticazione. Mi sono limitato a considerazioni e proposte un po' generali, perché proposte per settori singoli, erano già state fatte in occasione di dibattiti relativi o potranno essere fatte in modo più dettagliato e preciso in altri dibattiti che si renderanno certamente necessari in futuro. Ma c'è ancora un altro obiettivo da raggiungere per ottenere il massimo risultato: è quello, che come avevo detto, si sta verificando, per l'agricoltura, in sede nazionale: quello della cooperazione di tutte le forze politiche e sociali indipendentemente dalle posizioni in cui si trovano. Per la gravità della crisi agricola, per le difficoltà che la sua soluzione presenta, non è più il tempo di discussioni teoriche e culturali accademiche o delle contrapposizioni preconcette e strumentalizzabili; ma è il tempo delle cose pratiche e reali e che realmente incidono sull'economia regionale correggendola e migliorandola. E' il tempo di realizzare un'atmosfera di collaborazione disinteressata ed obiettiva fra tutte le forze presenti in Consiglio, e fatta non solo di giudizi passivi, ma di proposte attive, di colloquio e di ragionamento. E, per questo, basta trasferire nelle sedute pubbliche e di consiglio quella atmosfera di famiglia che il più delle volte si realizza nel segreto delle sedute di Commissione. E basta estendere non solo l'invito, ma anche l'accettazione di quel modo di agire che si è verificato in occasione dei provvedimenti creditizi e di restrizione statali, del quale si è parlato nelL'ultima seduta di Consiglio, e sul quale si sono trovati tutti consenzienti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Acotto.



ACOTTO Ezio

Credo che non sfugga a nessuno la portata del tema su cui oggi ci confrontiamo: esso investe il versante economico della nostra realtà regionale non meno di quello territoriale e di quello sociale.
L'agricoltura vive una crisi specifica dai contorni economici è produttivi ben definiti, già delineati con ampiezza di analisi nell'introduzione del Presidente Enrietti e nella relazione dell'Assessore Ferraris e ulteriormente arricchiti dei contributi dei Consiglieri e per parte nostra dal collega Ferro che ha fatto riferimento ai contenuti della mozione presentata dal nostro Gruppo su cui ritornerà in termini complessivi il collega Revelli.
L'agricoltura vive la sua crisi specifica, dicevo, e la vive dentro la crisi più generale che colpisce la nostra società. Non voglio qui andare oltre questo dato che appare persino ovvio e registrare tutti i fattori di questa crisi generale: mi preme invece richiamare soltanto alcuni aspetti di quella che per certi versi è una questione sociale rispetto alla quale non vale come ricordava il capogruppo Viglione, il solo impiego della leva economica o produttivistica, intendo dire con ciò che noi dobbiamo guardare alla realtà agricola delle nostre campagne e montagne, peraltro investite dalla crisi in modo differenziato, senza lasciarci chiudere in una logica esclusivamente settoriale. Voglio portare l'attenzione del Consiglio in particolare, sul legame tra agricoltura e servizi socio-sanitari e specificatamente su quelli veterinari sollecitando una nostra riflessione su questi temi strettamente legati all'attività e alle competenze dell'Istituto regionale. La mozione presentata dal nostro Gruppo chiede un impegno della Giunta regionale che vada anche in questa direzione dentro un progetto complessivo di riorganizzazione delle funzioni e dell'intervento regionale in agricoltura.
Da questo punto di vista non va sottaciuta la relazione che è già in atto tra il decentramento socio-sanitario e la situazione delle nostre campagne. La potenzialità della riforma sanitaria, gli obiettivi fondamentali del piano socio-sanitario regionale, l'organizzazione e il potenziamento dei servizi di base a livello di ciascun distretto sono elementi fondamentali per garantire ai componenti della famiglia contadina quelle condizioni di vita anch'esse da compararsi come il reddito a quelle degli abitanti delle aree urbane. L'indice elevato di gravosità di certe operazioni agricole si è sempre accompagnato ad un indice molto basso di fruibilità di servizi e strutture sociali. Questi effetti, sommandosi agli elementi economici strutturali, rappresentano un forte disincentivo alla permanenza dell'uomo sul territorio agricolo soprattutto collinare e montano con quelle conseguenze che misuriamo regolarmente in occasione di ogni evento calamitoso.
Con queste facce della poliedrica "questione agricoltura" che qualcuno pretende di liquidare declassandola con pure esercitazioni sociologiche noi abbiamo voluto e vogliamo misurarci invitando ad una verifica dei fatti sia i sostenitori dell'efficientismo, sia delle passeggere mode culturali sia coloro i quali si illudono di risolvere i problemi con le chiusure corporative.
Per queste ragioni a chi ci chiede che cosa sta facendo e deve fare la Regione Piemonte per l'agricoltura, noi rispondiamo che insieme a tutto il resto, sta anche attuando la Riforma sanitaria. E dal momento che attraverso le USL e i Distretti, vogliamo promuovere la più ampia partecipazione, ecco che si apre uno spazio nuovo di iniziative e di presenza attiva per tutto il mondo agricolo piemontese chiamato a vivere da protagonista la costruzione di un nuovo sistema della salute, nelle nostre campagne.
Un sistema all'interno del quale non è fuor luogo né tanto meno facile ironia, parlare di tutela della salute degli animali a garantire la quale sono chiamati i servizi veterinari. Pensiamo anche qui al modo come si è evoluto il concetto stesso di "malattia degli animali"; con questo termine tradizionalmente si intendevano sintomi clinici conclamati e l'evenienza più temuta era la morte dell'animale. Oggi, invece, si intendono tutti quei fattori che, anche se non facilmente rilevabili, possono ridurre le produzioni animali e perciò il reddito dell'allevamento. L'Organizzazione mondiale della sanità ha fatto un'indagine sulle perdite economiche causate da malattie degli animali, arrivando alle seguenti conclusioni: "I risultati mostrano che nei paesi in cui le attività veterinarie sono in corso da molti anni, si segnalano perdite che variano dal 15 al 20% della produzione animale totale. In Paesi in cui i servizi veterinari sono poco sviluppati si segnalano perdite del 30-40%". Se vogliamo accettare la valutazione dell'Organizzazione mondiale della sanità, dobbiamo concludere che l'Italia, con un danno complessivo da malattie degli animali del 26 circa, potrebbe essere considerato un paese in cui "i servizi veterinari sono poco sviluppati o non sufficientemente qualificati".
Di questo fatto si dovrà tenere conto in futuro quando si tenterà una valutazione che per i servizi veterinari dovrà essere anche economica, dei risultati della Riforma Sanitaria.
Infatti nel 1979 si è calcolato che i danni derivanti da malattie degli animali sono stati in Italia pari a 2.530 miliardi e questa cifra corrisponde a circa 1/4 del reddito zootecnico nazionale lordo. Di contro la spesa pubblica veterinaria era di 75 miliardi corrispondente allo 0.5 della spesa sanitaria complessiva: di qui la proposta in discussione attualmente nell'ambito del piano socio-sanitario nazionale di portare detta spesa all'1% del fondo sanitario nazionale.
Questi dati che mettono in luce delle gravi carenze dal punto di vista quantitativo e che non ci esimono certo da valutazioni sulla quantità delle prestazioni oggi erogate, danno conto della dimensione economica che è sottesa al tema della ristrutturazione dei servizi veterinari in rapporto al reddito delle nostre aziende zootecniche.
Se a questi dati certamente significativi rispetto al dibattito odierno aggiungiamo altri aspetti quali quelli relativi alle malattie trasmissibili all'uomo (nel 1978 ci sono stati in Italia, per esempio, 2470 casi di brucellosi, 3941 casi di tubercolosi) e quelli relativi all'igiene degli alimenti di origine animale (pensiamo al caso clamoroso, degli estrogeni) e dell'igiene ambientale, cogliamo la dimensione complessiva dell'impegno col quale la Giunta ed il Consiglio sono chiamati ad operare in questo campo sia per le strutture regionali che per quelle delle USL.
A questo proposito la Giunta ha già approvato un disegno di legge che detta le prime norme sul riordino delle funzioni in materia di polizia e servizi veterinari, mentre riteniamo che in sintonia con l'elaborazione del piano socio-sanitario nazionale, il nostro piano regionale dovrà contenere un progetto specifico, altrimenti definito col termine di azione programmatica prioritaria, per la tutela della salute degli animali.
Tale strumento di programmazione credo renderà più agevole la puntuale definizione dei rapporti tra strutture e competenze di tipo sanitario con quelle di tipo agricolo, razionalizzando e dando impulso ad alcuni interventi già attivati quali la lotta contro la ipofecondità, il completamento del risanamento del bestiame specie delle province di Cuneo e di Torino dove il problema è più acuto, il miglioramento dei risultati delle prestazioni di fecondazione artificiale, il tutto nel quadro di una sempre maggiore qualificazione delle strutture di supporto tra le quali l'Istituto Zooprofilattico occupa un ruolo fondamentale, in collegamento con il campo della ricerca presso la facoltà di medicina veterinaria e di agraria.
Si entra, per questa via, nel campo della formazione e qualificazione degli operatori di sanità animale: si tratta di un vasto terreno di iniziativa politica e istituzionale che tocca il problema già affrontato ma non ancora in una fase operativa della rilocalizzazione delle facoltà universitarie, dei piani di studio attinenti il corso di laurea, degli insegnamenti post laurea. Ma accanto a questo insieme di fattori decisivi per il medio e il lungo periodo, credo sia indispensabile partire dal dato di fatto che l'attuazione della riforma sanitaria implica una penetrante riqualificazione degli attuali operatori. Si tratta di passare da un veterinario "tuttofare" quale era il veterinario condotto, ad un veterinario che si dedica a vari settori specialistici. Ciò implica la necessaria messa a punto di programmi di addestramento e di aggiornamento al fine di rinnovare il ruolo dei veterinari pubblici dipendenti.
A questo impegno complessivo sono chiamate a collaborare tutte le energie presenti nel settore: dai produttori agricoli che insieme ai consumatori sono i soggetti che danno vita alla domanda dei servizi, agli operatori di sanità animale cui spetta la funzione primaria di qualificare la produzione zootecnica come contributo non secondario alla fuoriuscita dalla crisi del settore, anche attraverso una loro riqualificazione funzionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, abbiamo avuto questa mattina il testo scritto della relazione introduttiva al dibattito: una relazione ampia, dettagliata, per molti aspetti anche interessante, che ci fa lamentare una sola cosa, cioè il ritardo con il quale è stata portata a nostra conoscenza.
E' questo un modo di agire assolutamente inaccettabile, perch impedisce ai Consiglieri specie a quelli che, come nel caso nostro, non hanno una specifica competenza nella materia e non sono mossi da tanto dinamismo quale, ad esempio, quello dimostrato dal Consigliere Viglione che si alza alle 5 del mattino per controllare l'andamento dei mercati generali di prepararci adeguatamente.
Non avendo avuto il tempo materiale di leggere il documento predisposto ed invece avendo ascoltato soltanto l'esposizione verbale fatta dall'Assessore Ferraris, noi saremo costretti, nostro malgrado, a formulare unicamente osservazioni di carattere generale, così come pensavamo di dover fare, allorquando e cioè, lo ripetiamo, sino a questa mattina non avevamo ancora ricevuto la relazione. In realtà questo dibattito sull'agricoltura era stato programmato in origine come momento di partecipazione e di sostegno alla protesta che saliva dalla gente dei campi nella "vertenza Europa" contro i prezzi agricoli iniquamente proposti; e contro il principio di corresponsabilità finanziaria generalizzata dei produttori anche in settori non strutturalmente eccedentari.
A questi particolari problemi si richiamava, infatti, il documento elaborato dalle Regioni, e in particolare dal Piemonte, che le Regioni hanno fatto proprio il 20 marzo; e a questi problemi si riferivano principalmente le mozioni e gli ordini del giorno presentati qui dai diversi Gruppi politici. Ma noi, giunti in ritardo rispetto a quella originaria impostazione, notiamo adesso che la discussione viene ad assumere caratteristiche e contenuti diversi e cade in uh quadro che, non è certamente così drammaticamente teso, come lo era alla vigilia dell'accordo di Bruxelles, a proposito del quale, dobbiamo subito esprimere un giudizio di merito, un giudizio che ci porta a dire senza difficoltà che l'Italia ha ottenuto, tutto sommato, un risultato meno catastrofico di quanto si poteva temere allorquando erano state avanzate le proposte primarie: un aumento cioè del 7,8%, aumento che era addirittura umiliante per i produttori italiani, alle prese con un'inflazione galoppante sul ritmo di un tasso annuale del 22%. Si è giunti invece, a strappare oltre al rigetto dell'ingiusto principio di corresponsabilità finanziaria generalizzata un aumento medio dei prezzi CEE pari al 9,50%, che diventa poi 15,50% con la svalutazione della lira verde del 6%. 11 che è già qualcosa, rappresentando un riconoscimento indubbio alle difficoltà dei nostri agricoltori; e possiamo in questo essere quindi d'accordo con il giudizio anche parzialmente benevolo che ci dava stamane il collega Lombardi. Notiamo per che, pur essendo qualcosa, non ci sembra essere ancora tutto, vale a dire che lo riteniamo oggi un accordo insoddisfacente per fronteggiare le attese e le necessità della categoria agricola, che si trova ancora a dover colmare con i nuovi prezzi e malgrado i nuovi prezzi un divario riguardo al tasso inflattivo di 7 o 8 punti almeno.
Comunque, i provvedimenti adottati, anche se sono venuti ad attenuare le preoccupazioni della vigilia, hanno dato la prova che nella politica agricola del Mercato Comune è l'agricoltura del Nord ancora una volta sono le agricolture forti, che si affermano rispetto alle agricolture Mediterranee. Allora, prendendo lo spunto da questa constatazione senza stare a ripetere le denunce già più volte pronunciate in precedenti legislature, sulle responsabilità politiche che hanno condotto all'attuale situazione del mondo agricolo noi dicevamo, parlando dei problemi di fondo dell'agricoltura italiana, è qui che poniamo l'accento come primo problema come prima necessità inderogabile; sull'opportunità di rivedere, per quanto riguarda il nostro Paese, tutta la politica agricola comunitaria.
Intendiamoci: noi abbiamo sempre affermato, e qui lo ripetiamo, che crediamo fondamentalmente che il futuro dell'Italia sia nell'Europa. Per questo motivo il Movimento Sociale Italiano si è battuto e continuerà a battersi per l'integrazione europea. Ma questa posizione di principio adesso ripetuta, non contraddice alla necessità di un'azione incisiva che miri a tutelate meglio di quanto fatto nel passato, gli interessi dell'agricoltura italiana, nel caso specifico chiedendo decisamente ai partners europei dell'Italia, di voler aderire al principio dei prezzi differenziati, che tengano conto delle differenze economiche fra i singoli Stati e tra le singole Regioni; e, quindi, di accettare di rivedere i regolamenti comunitari, a suo tempo approvati senza preciso riferimento alla peculiarità dell'agricoltura italiana.
Noi pensiamo che questa problematica possa venire utilmente affrontata almeno sul piano del principio in quella Conferenza Nazionale dell'agricoltura che abbiamo sentito annunciare questa mattina dal Presidente Enrietti e per la quale esprimiamo il nostro assenso. Se questo come dicevamo, è il problema prioritario per la nostra agricoltura sul fronte "esterno", sul fronte europeo, quanto invece al "fronte interno" poniamo l'accento sull'urgenza, secondo il nostro giudizio ormai indifferibile, di dare al settore agricolo un'effettiva politica delle strutture, il che vale anche per il Piemonte: perché è vero che si sono recepite le direttive comunitarie per l'ammodernamento; ma nella realtà esse trovano ancora scarsa applicazione e molto spesso notiamo che questa politica porta ad indulgere a forme ormai inaccettabili di assistenzialismo. In altre parole, riteniamo giunto il momento di affrontare in agricoltura i problemi produttivi in termini economici e di efficienza delle imprese agricole. Ciò significa esattamente, anzitutto favorire l'evoluzione dell'azienda attuale verso nuove maggiori dimensioni in un contesto di libertà che tenga conto degli obiettivi fissati a livello regionale; poi, accelerare e qualificare l'esodo agricolo; infine perseguire la formazione professionale degli occupati in agricoltura.
Sono tutti questi, indirizzi già approvati dall'Europa comunitaria ed anche dall'Italia: con la differenza che mentre negli altri Paesi europei hanno trovato pratica applicazione da noi sono ancora in largo ritardo quando non si limitano ad essere mere enunciazioni di principio. Eppure bisogna convincersi che il solo modello di un'agricoltura moderna è questo ed è questo che va privilegiato: pertanto, i maggiori incentivi, secondo noi, devono essere destinati alla creazione di imprese efficienti, senza disperdere le modeste risorse disponibili, che poi alla lunga finiscono frazionate, divise, disperse in innumerevoli interventi di scarso valore produttivistico. Insistere in una politica agraria così come si continua a favore in Italia ed anche in Piemonte, in una politica agraria che ha molti aspetti delL'assistenzialismo, che non sa distinguere cioè gli interventi sociali da quelli produttivi, vuol dire rassegnarsi a portare avanti un'agricoltura assistita, obbligata a compensare i maggiori costi di aziende poco produttive con la presenza pubblica. Certo, i problemi che travagliano l'agricoltura italiana, quella nazionale e quella regionale non sono pochi e non sono neanche di poco conto, primi fra tutti l'inflazione e la stretta creditizia.
L'inflazione, già l'abbiamo rilevato, galoppa al ritmo del 22% annuo con un tasso inflattivo che è il doppio di quello registrato negli altri Paesi europei, e ciò è alla base del sostanziale e crescente disimpegno da un'attività, appunto quella agricola, che non potendo scaricare sui prezzi i vertiginosi aumenti delle materie prime e della produzione diventa sempre più un'attività non redditizia.
Se non si riuscirà a risanare la situazione del Paese contenendo e riducendo l'inflazione, anche l'agricoltura è destinata a non poter superare la crisi. Poi, la stretta creditizia, che è stata accentuata ancor più negli ultimi tempi dai recenti provvedimenti del governo, che rendono praticamente impossibile, o comunque estremamente difficile, l'accesso al credito; e di conseguenza, minacciano di annullare gli investimenti che vanno fatti in agricoltura, vanificando così ogni programma di ammodernamento delle strutture agricole, che invece si è detto, essere condizione determinante per una politica efficiente del settore. Anche qui senza adeguate contro-misure da assumere immediatamente, la situazione è destinata a peggiorare rapidamente, sino al collasso. Si collocano entro questo quadro non confortante in massima parte la responsabilità precisa della situazione che si ha a livello nazionale, dipende da errate scelte da scarsa previdenza e, talvolta, persino da interventi di carattere punitivo dei governi che si sono succeduti in questi anni; si collocano in questo quadro, dicevamo, i problemi peculiari dell'agricoltura piemontese.
Se ne è già parlato stamane facendo cenno alla crisi che ha investito i comparti produttivi primari della nostra Regione, quelli della zootecnia della viticoltura, della frutticoltura, a proposito della quale dobbiamo francamente dire che almeno sino a quando non ci è stato consegnato il documento dell'Assessore, avevamo fondati dubbi circa la strategia che la Regione in questi diversi settori colpiti da crisi, intendeva perseguire.
Oltre ai problemi della crisi nei settori che abbiamo citato (vitivinicolo, zootecnico, frutticolo) ricordiamo la mancata definizione di una appropriata politica per la collina dove, a nostro avviso, sempre più si renderebbe necessario, consigliabile almeno lo sviluppo intensivo di colture altamente specializzate; ricordiamo la totale assenza di un piano per la montagna, circa la quale è puramente velleitario pretendere di assicurare il presidio umano sul territorio, unicamente con provvidenze di carattere assistenziale e non partendo invece dal riordino fondiario; per non dire poi, passando ad altro ordine di problemi e sempre interessanti il mondo agricolo piemontese, alla definizione dei rapporti tra agricoltura e assetto del territorio, tra i problemi riguardanti la stretta interconnessione esistente tra produttori e consumatori, cioè tra produzione agricola e commercializzazione e infine problemi riguardanti la situazione del credito agrario. Qui l'Assessore Ferraris ha già risposto nella sua relazione, se non abbiamo letto male, dando dei risultati, delle cifre, dei dati per dimostrare che, malgrado tutto, in Piemonte si sono avuti risultati anche migliori di quelli ottenuti nelle altre Regioni.
Questo è pur vero e non lo vogliamo contestare e ne diamo atto; ma diciamo che non è comunque una risposta che basta a soddisfarci. Se è vero che il Piemonte non è in situazione così grave quale quella di altre Regioni, è pur sempre vero che troppe sono ancora le difficoltà che costringono le aziende agricole a ricorrere a prestiti ed a mutui ad elevato tasso di interesse, oppure il che avviene più spesso a rinunciare tranquillamente ai loro programmi di investimento nel settore.
Emerge da queste constatazioni obiettive e da un rapido accenno quale quello che abbiamo fatto ai problemi tuttora lasciati irrisolti, il giudizio negativo che diamo alL'azione sinora svolta dall'Assessorato all'agricoltura. Crediamo di poter dire anzitutto che non è stata compresa nella sua effettiva portata la dimensione effettiva della crisi agricola piemontese e che poi non si è saputo ancora predisporre un programma di interventi precisi, prioritari soprattutto, che, dando attuazione agli impegni tante volte assunti ed alle promesse tante volte ripetute consideri veramente l'agricoltura del Piemonte quale soggetto primo della politica regionale.
Il bilancio 1981 che abbiamo di recente esaminato, con la riduzione degli stanziamenti nel settore, è una conferma ed una dimostrazione di questa nostra affermazione. Occorre, a nostro avviso, recuperare il tempo perduto, certo a livello nazionale, innanzitutto; ma per quanto riguarda il livello regionale, anche impegnando la Regione a fare la sua parte, cioè a qualificare la spesa pubblica in agricoltura; a facilitare l'accesso al credito, se è necessario disponendo ulteriori altri stanziamenti; ad intervenire nei settori in crisi. In una parola, perché siano salvaguardati i livelli occupazionali, perché siano sviluppati i redditi, perché siano incrementate le produzioni.
Sono questi gli obiettivi che indichiamo quali traguardi da raggiungere da parte della politica agricola regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, signori Consiglieri, mi sembra di estrema importanza questo dibattito in un momento così drammatico di conflitti sociali.
Siamo in un momento in cui il settore agricolo è uno delle cause fondamentali della crisi del Paese, e tale crisi viene affrontata in modo non adeguato da parte del Governo.
Credo sia necessario partire dal deficit agro-alimentare che nell'80 ha raggiunto i 6.500 miliardi e dal fatto che l'agricoltura è al secondo posto nel bilancio passivo dei pagamenti dopo il settore energetico.
Riaffermare questi concetti non è superfluo, vuol dire richiamarci con la memoria alle cause dell'inflazione, vuol dire non illuderci che l'inflazione si possa rimuovere intervenendo sulla scala mobile.
E' necessario affrontare il problema delL'agricoltura e non limitarci a provvedimenti tampone. Affermare la centralità dell'agricoltura significa affrontare i problemi di questo settore in modo programmato formulando un piano nazionale, significa affrontare il problema dell'invecchiamento degli addetti.
La sinistra dovrebbe aprire una battaglia culturale su questi temi con riferimento allo sviluppo in generale. Per troppo tempo si è diffusa una cultura che vede nell'industria il progresso e la civilizzazione e nell'agricoltura l'arretratezza e la povertà. Questa cultura va ribaltata e la sinistra deve farsene carico di questo ribaltamento. La causa principale di questa cultura è in chi ha gestito il Governo in questi anni. La sinistra deve farsene carico passando dal concetto di quantità di beni prodotti, come unico indice di progresso, alla qualità dello sviluppo.
Progresso non si identifica necessariamente sempre e solo con la quantità di prodotti e di beni di consumo prodotti. Il parametro di riferimento pu essere anche lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse naturali e dell'agricoltura.
Che cosa dobbiamo e possiamo fare per ridurre l'inflazione e il passivo della bilancia dei pagamenti? Come possiamo intervenire in ordine al problema centrale e determinante del credito? E' necessaria una selezione a tutti i livelli: a livello nazionale occorre ribadire la necessità di una radicale modifica dei provvedimenti governativi che non corrispondono a criteri di selettività nei settori strategici. E' improcrastinabile la presentazione di un piano agricolo nazionale con precisi obiettivi e finalità.
Perché la proposta di piano agricolo del '77 è rimasta nei cassetti? Probabilmente il fatto che tale realizzazione imponeva una rinegoziazione delle norme comunitarie è stato decisivo per il non decollo.
Non si può conclamare la centralità delL'agricoltura se contemporaneamente non si toglie il Paese da un ruolo di sudditanza all'interno della CEE. E' certo che in futuro non potrà andare meglio se non si porrà il problema della revisione degli accordi e delle norme. E' anche necessaria una profonda revisione di alcune strutture nazionali carrozzoni clientelari come la Federconsorzi non hanno senso. E' necessaria una profonda democratizzazione, un decentramento e una gestione a livello locale che sappiano rispondere ai bisogni effettivi. Affrontare i problemi dei costi dell'agricoltura significa anche smantellare accordi come quello della Federconsorzi e della Fiat che permette alla Federconsorzi l'esclusività della commercializzazione dei trattori con uno sconto che supera il 25% che non va a beneficio dei produttori ma finisce nelle casse della Federconsorzi. La liberalizzazione del commercio dei trattori permetterebbe alla singola azienda agricola di acquisire attrezzature con questo sconto.
Sono aspetti che non investono solo il problema agricolo, ma investono livelli sociali e sindacali. E' necessario un collegamento tra le categorie agricole e quelle industriali che unifichi il mondo contadino con il mondo industriale, i produttori agricoli con i consumatori che poi sono laboratori dell'industria. Ma occorre prendere provvedimenti anche a livello regionale.
La Regione sta muovendo i suoi passi con la predisposizione di un piano di emergenza. Gli istituti di credito devono farsi carico del problema del credito e della sua selettività.
Nella relazione dell'Assessore Ferraris ci sono indicazioni importanti in ordine allo sviluppo dell'associazionismo, alle fonti di energia, alla ricerca ed alla sperimentazione. Si tratta di attuare questi interventi nell'ambito di un piano regionale programmatico.
Si deve favorire e sviluppare l'associazionismo, sviluppare le stalle sociali e strutture per la produzione di mangimi, privilegiare le cooperative di produzione, trasformazione e commercializzazione.
Il Piano regionale non può prescindere dal censimento delle terre incolte e da un programma organico per il loro recupero attraverso i piani zonali. Bisogna passare dalle parole e dai documenti scritti ai fatti.
L'utilizzo delle fonti di energia, del biogas, l'utilizzo plurimo delle acque non possono essere attuati che attraverso un intervento coordinato degli Assessorati all'agricoltura ed all'energia.
Sul problema dell'energia deve operare un organismo regionale di programmazione e di coordinamento degli interventi degli Assessorati e dei diversi settori e gli interventi devono essere raccordati alla battaglia generale da condurre per realizzare un piano organico nazionale e le modifiche delle norme CEE.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Turbiglio.



TURBIGLIO Antonio

Signor Presidente, signori Consiglieri, il quadro della situazione attuale dell'agricoltura è ormai stato pennellato in ogni suo particolare per cui mi pare inutile tornare su questo argomento. Forse ci troveremo discordi su soluzioni da prendere, su incentivi da decidere, comunque siamo tutti pienamente d'accordo che siamo alla resa dei conti anche per l'agricoltura.
Vorrei sottolineare alcuni argomenti abbastanza contraddittori. Ci risulta che il valore della produzione in agricoltura, realizzato in questo ultimo anno, sia aumentato in termini reali anche del 2% malgrado gli inconvenienti climatici. E' un risultato che può lasciare soddisfatti anche considerando che negli anni 1978 e 1979 c'era stato un considerevole aumento della produttività in agricoltura che aveva raggiunto il 4,5 all'anno. Gli agricoltori, dunque, hanno fatto il loro dovere: forse meritavano qualche cosa di più. Invece si è verificato che i ricavi che sono aumentati in percentuale in funzione dell'aumento della produttività (si parla di un 13% in più) sono diminuiti in termini di utile (si parla del 16,17%) a causa di una continua lievitazione dei costi.
Ci troviamo di fronte ad una crisi strutturale profonda che ci fa temere per il futuro nel campo dell'agricoltura e nel campo delL'occupazione che, nell'ultimo anno, è diminuita di 80/90 mila unità.
Non si può pensare che l'agricoltura possa aumentare la produzione di un regime di perdita o di sottocosto. Questa mattina il Consigliere Viglione ha posto con estremo vigore l'attenzione sul divario fra i prezzi all'origine ed i prezzi finali. Effettivamente è un nodo sul quale dobbiamo soffermarci con estrema attenzione. Ci sono anche 10 punti di divario fra origine, ingrosso e consumo; divario che evidenzia la disfunzionalità del sistema. Naturalmente non possiamo dimenticare che, anche in questo particolare, si innesta la difficoltà del costo del denaro. La commercializzazione naturalmente ha un costo indotto sul sistema: rapporti di pronta cassa, rateizzazione, pagamenti a scadenza portano ad un aumento tra origine e consumo.
Quest'aumento non è del tutto dovuto al costo del denaro, ma in buona parte è dovuto anche a questo. Se il settore primario potesse godere di agevolazioni per rimediare a questi inconvenienti tra il sistema di consegna e il sistema di incasso, si abbatterebbero questi costi indotti che, tutti insieme, consideriamo di peso considerevole ed inaccettabile.
Qualche iniziativa forse è proponibile per la formazione di cooperative di ritiro, immagazzinamento e distribuzione, soprattutto per i prodotti ortofrutticoli che sono di rapida deperibilità.
In ordine al disavanzo tra importazione ed esportazione del settore agro-alimentare, che ha raggiunto 6000 miliardi con un aumento del 30 rispetto allo scorso anno, indubbiamente qualche meccanismo non funziona se pensiamo che negli ultimi 30 anni l'agricoltura ha raddoppiato la produzione e che le importazioni hanno raggiunto un livello altissimo.
Forse dipende dalla presentazione, dalla puntualità di consegna del prodotto e qui si innesta il tema dei trasporti. Le forniture debbono essere adeguate alle esigenze di grandi imprese commerciali per poter andare all'estero. Forse si dovrebbe inventare qualche marchingegno, per esempio il marchio del Piemonte, sui prodotti che verrebbero qualificati sul mercato interno e sul mercato esterno. Forse la Regione potrebbe contribuire dando dei premi a chi produce merci altamente apprezzate e qualificate. Non si potrebbe tornare ai tempi in cui i prodotti avevano la scritta Made in Italy o Made in Piemonte? L'Assessore ha sottolineato le difficoltà che a tempi brevi incontreremo per quanto si riferisce al credito agevolato. Invitato dalla Giunta a partecipare al colloquio con le banche piemontesi, posso dire che la Regione non dovrebbe trovarsi immediatamente di fronte a sbarramenti di finanziamento, infatti, fino ad oggi, le banche non hanno negato i finanziamenti fino a 20/30 milioni alle aziende sane.
Le difficoltà derivano anche dal riferimento al TAS. In questi giorni dovrebbe esserci la riunione presso L'A.B.I. per discutere anche di questo.
Le banche, dopo la riunione, sono disponibili ad un ulteriore colloquio non nascondono quanto poche possano essere le possibilità tenendo conto del 16% che deve essere depositato, del 50% che deve essere fisso, del 40% che è vincolato sotto altre forme e che quindi le decisioni autonome delle banche sono ristrette. Certamente il credito dovrà essere selezionato anche perché in molti casi il credito non ha dato alcun risultato. Alle banche potremmo chiedere di ridurre le spese generali, che nei loro bilanci sono indicate con cifre astronomiche. Potremmo anche sentirci rispondere che le spese generali degli Istituti di credito sono originate dall'inefficienza del sistema nazionale: un tempo la vigilanza era assicurata dai carabinieri o dalla polizia, oggi c'è la Mondialpol o gli Istituti privati, una volta la corrispondenza era spedita per posta, oggi è spedita per mezzo di camion blindati: tutti oneri che dovrebbero gravare sulle attività nazionali e che invece gravano sulla singola azienda assottigliando le possibilità di manovra.
Con il ricorso al credito estero si ottengono i finanziamenti finalizzati al 13%, per i quali occorre le copertura del tasso. Anche su questa strada la Regione può seguire certe indicazioni e ottenere qualche aumento. La disponibilità degli Istituti bancari per il credito agrario non dovrebbe mancare proprio per la filosofia dell'attività degli Istituti bancari stessi. Non dobbiamo dimenticare che l'agricoltore è ancora l'unico risparmiatore del nostro Paese, quindi gli istituti bancari stessi hanno interesse a venire incontro alle richieste, che vengono dall'agricoltura.
Il Gruppo liberale ha presentato una proposta di ordine del giorno, che si muove sulle considerazioni che, forse un po' disordinatamente, sto elencando, ordine del giorno che racchiude delle considerazioni che non sono solo liberali. Una volta ai liberali era più facile parlare di efficienza, di stato assistenziale che manda tutto in rovina, di altri sistemi, oggi, questo discorso viene fatto da altre forze politiche e questa mattina lo ha fatto il Consigliere Viglione.
Il nostro ordine del giorno è centrato soprattutto sulla necessità di nuova efficienza, di razionalità, di imprenditorialità, che non deve essere espressa solo a parole, ma che deve essere espressa con un rispetto particolare verso l'iniziativa privata e verso l'importanza che l'iniziativa privata e l'impresa hanno nel sistema di mercato, che oggi pare piaccia a tutti, anche al Consigliere Viglione.
Nell'ordine del giorno si inseriscono i problemi che riguardano la zootecnia, il latte, il vino. E' fuori discussione l'importanza del settore zootecnico del Piemonte e in modo particolare quello della Provincia di Cuneo. La produzione del latte assume aspetti di particolare rilievo nella Regione, che conta un patrimonio di 350 mila lattifere e una produzione giornaliera stimata attorno ai 12/15 mila quintali al giorno per un valore approssimato di 150 miliardi l'anno. La Provincia di Cuneo, rappresenta il 40% della produzione regionale. Il problema del latte ha molteplici facce perché interessa la produzione, l'elevato numero delle aziende di dimensioni ridotte e spesso antieconomiche, l'igiene delle stalle, il risanamento del bestiame, ecc. Vi è poi la fase di trasformazione della materia prima e della commercializzazione dei derivati, i cui costi di raccolta sono polverizzati a causa delle numerose unità produttive, causa che incide sul prodotto; spesso troviamo il latte annacquato, presenza di antibiotici in conseguenza di malattie del bestiame.
Su questa realtà si innesta la legge n. 306 Bertolani-Bardelli che ha affrontato la questione in modo del tutto parziale, evitando di toccare le cause del problema e dimenticando del tutto il contesto in cui si trova ad operare l'industria trasformatrice, il mercato e la concorrenza estera. In effetti, questa legge si è limitata a favorire la fissazione di un prezzo minimo regionale, considerando come unico parametro i costi di produzione senza peraltro prevedere misure volte a favorire migliori e più economiche conduzioni produttive.
Conformemente all'indirizzo di questa legge c'è la politica della Regione nel settore lattiero-caseario che si è esplicata agendo nelle direzioni indicate da quella legge. Non facciamo delle critiche, Assessore Ferraris, ma di queste incongruenze dobbiamo tenere conto. Forse bisognerebbe ottenere il prezzo più alto possibile del latte alla stalla.
Bisognerebbe poi intervenire finanziariamente per agevolare la nascita di cooperative di produttori e per colmare la passività di gestione di quelle esistenti.
In questa legge viene introdotto tra l'altro il concetto del pagamento del latte a qualità, concetto in sé giusto, che è applicato generalmente in tutti i Paesi europei ad alta vocazione lattiera, ma che è volto a favorire un garantismo esasperato nei confronti dei produttori. Per questo motivo qui è inapplicabile. Nel Cuneese molti tentativi sono stati fatti per cercare di reimpostare su basi ragionevoli il pagamento del latte secondo qualità con risultati che, per il momento, sono deludenti data la rigidità del dettato legislativo e la scarsa sensibilità ai problemi dell'industria casearia dell'Ente regionale e delle controparti agricole.
In effetti è previsto uno standard merceologico minimo del latte sul quale applicare maggiorazioni a seconda delle diverse destinazioni del latte, tenendo conto del contenuto in grasso e in proteine, del valore batteriologico, delle condizioni igienico-sanitarie del bestiame, della refrigerazione del latte nella stalla. Affrontiamo il problema del latte in modo da dare maggiorazioni e defalchi a seconda che il latte non raggiunga o superi i livelli che verranno fissati. Ciò per evitare che l'allevatore possa trovare convenienza a produrre latte di qualità scadente, che comunque verrebbe remunerato al prezzo regionale fissato, piuttosto che produrre latte di elevate caratteristiche qualitative, dal momento che questo gli comporterebbe maggiori cure alimentari, di stabulazione, di mungitura, con maggiori costi.
Se riuscissimo a fare qualcosa in questa direzione potremmo metterci nelle condizioni di affrontare le fatiche che si presenteranno fra non molto tempo. Ricordo che relativamente alla questione della qualità del latte occorre l'assenso della CEE. Sono già state pronunciate delle sentenze in merito, nelle quali viene chiarito che la determinazione in via diretta o indiretta del prezzo del latte alla produzione, è incompatibile con certe norme del regolamento italiano.
Il discorso del latte vale anche per il vino, per il quale non c'è prezzo fisso. In questo campo potremo ottenere qualche risultato soltanto se riusciremo a colpire le sofisticazioni e le frodi e se riusciremo a qualificare i tipi di vino, soprattutto se riusciremo a dare al barbera un taglio tale che possa essere recepito dal mercato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Abbiamo accolto con soddisfazione l'opportunità di questo dibattito perché dei problemi dell'agricoltura si continua a trattare in modo marginale e con risultati scarsi e magari con qualche polemica. Finalmente le forze politiche possono esprimersi compiutamente e concretamente. Sono stati presentati dai Gruppi P.S.I., P.C.I. e D.C., mozioni e ordini del giorno che toccano tutti i problemi inerenti l'agricoltura.
La D.C. nel suo documento chiede la difesa dell'impresa familiare diretto-coltivatrice, che pare essere sottovalutata o messa in secondo ordine rispetto ad altre iniziative, il sostegno ai settori portanti della zootecnia, della viticoltura, che sono in crisi, il rilancio delle strutture e delle infrastrutture come l'irrigazione e la funzionalità degli Uffici delL'agricoltura.
Oggi si è parlato della vertenza Europa che si è conclusa con l'aumento dei prezzi del 9,50% che, con la svalutazione, porta a quel 15,50% circa richiesto dalle organizzazioni agricole. Questo aumento dei prezzi in effetti ha due difetti: intanto perché i costi sono aumentati del 18% e non del 15% e poi questo aumento non favorirà soltanto l'Italia, ma favorirà tutte le altre agricolture, quindi porterà altra acqua a mulini più potenti del nostro. La tassa sulla sovrapproduzione è rimasta ferma al 2.4 circa e per il latte non è stata applicata la supertassa (che avrebbe portato danni molto grossi). Gli importi compensativi sono stati ridotti di molto e resta poco a favore della Germania.
La politica agraria comune è un problema che non possiamo risolvere oggi. Purtroppo non sono convinto che la rinegoziazione porti risultati ottimi per noi. Comunque faremo tutto il possibile. Accettiamo la proposta del Presidente della Giunta di tenere una conferenza a Torino.
Il problema di fondo è costituito dalla svalutazione e dalla stretta creditizia conseguente, due elementi che condizionano i prezzi agricoli e il mercato. Questa condizione colpisce in modo drastico l'agricoltura nei settori essenziali, nelle entrate date dal ricavo dei prodotti che non sono più remunerativi e dagli aiuti e nei prestiti o nelle sovvenzioni che sono bloccati o ridotti. Dicono gli economisti che per frenare l'inflazione occorre ridurre la spesa pubblica corrente e favorire gli investimenti e la Regione può fare qualcosa in questa direzione, riducendo le spese correnti e non produttive (o per lo meno produttive per qualcuno o in parte), spese per la cultura, per stampa di riviste, per manifestazioni che si sono fatte in passato con abbondanza di mezzi che, invece, potrebbero essere trasferiti sull'agricoltura. Risulta che la Regione debba versare agli istituti bancari alcuni miliardi per interessi arretrati che, se versati potrebbero essere riciclati e ridati all'agricoltura.
Il secondo punto fondamentale riguarda la gestione delle leggi agrarie.
Il Consigliere Rossi nella passata legislatura aveva predisposto un documento che trattava la riduzione delle procedure. Purtroppo né quel documento né altre sollecitazioni venute dalla nostra parte, dalle cooperative, dai giornali, hanno avuto un seguito.
A questo proposito desidero fare delle proposte concrete per ridurre i tempi delle concessioni degli aiuti: provvedimenti di carattere eccezionale e transitorio in questo particolare momento.
L'Assessore nella sua relazione ha parlato di supposte disfunzioni, io toglierei quell'aggettivo e lo inviterei ad adottare qualche provvedimento preliminare. Posso citare casi di grossi ritardi: agricoltori che, dopo quattro anni dalla domanda, ricevono una lettera in cui si dice che mancano i requisiti per ottenere i contributi. E' chiaro che questo se è detto subito è accettato, se è detto dopo quattro anni, aggrava la situazione. Ci sono poi i casi di aziende che aspettano da 6-7 anni di incassare i contributi.
Per suffragare quanto sto dicendo, leggo un articolo di un giornale non democristiano "La Sentinella del Canavese" che dice: "Oltre alle difficoltà creditizie di questo momento si aggiungono le difficoltà impastoiate da una burocrazia che ha raggiunto livelli allucinanti e da un'amministrazione che sa solo di improvvisazione e di poca capacità. Non vi è azienda agricola che intenda rinnovare le proprie strutture, che possa prescindere dal credito agevolato, ma ora quegli agricoltori che, volendo realizzare nuove stalle o nuove attrezzature, si sono fidati delle promesse degli organi amministrativi regionali, si trovano in angustie notevoli. Chi ha iniziato lavori con denaro proprio fidando nel mutuo promesso si vede spesso negato il mutuo per mancanza di disponibilità 1 chi fidando nel contributo, a lavori ultimati, deve chiudere i buchi, ecc." e conclude: "L'attesa di tre o quattro anni significa, in molti casi, forze giovani che abbandonano l'attività agricola".
Credo di poter partire da una situazione che merita di essere esaminata e non faccio solo un discorso di soldi, faccio un discorso che prescinde dalle disponibilità finanziarie e che vale proprio nel momento di stretta creditizia e di scarsità di fondi.
La relazione dell'Assessore è stata ricca di spunti positivi ma forse è stata troppo ampia perché non si è soffermata dettagliatamente, come ha detto il Consigliere Viglione, su alcuni problemi che meritano maggiore attenzione.
In merito alla gestione possiamo accettare alcune valutazioni dell'Assessore, a parte le "presunte disfunzioni".



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Assessore all'agricoltura e foreste. Ho detto "vero o presunte disfunzioni".



CHIABRANDO Mauro

D'accordo. L'Assessore dice: "questo male non colpisce soltanto l'agricoltura, ma anche gli altri Assessorati". E ha ragione perché dalle ultime notizie ho saputo che esiste una situazione di caos, di disagio, di non produttività in molti altri Assessorati". Quindi capisco che l'Assessore si difenda dicendo questo. Con questo, però, non risolve il problema. E' vero che ci sono tante domande; anche in passato, ai tempi dei piani verdi e della prima fase regionale, domande ce n'erano tante; forse non erano molte quelle per danni alluvionali. Si dice che i rapporti ed i meccanismi con l'Assessorato alle Finanze debbono essere rivisti.
Signori della Giunta, rivedete questi meccanismi! Credo che i 25 miliardi che aspetta il Federagrario siano proprio dovuti a questi meccanismi.
L'Assessore, nel citare le insufficienze esterne elenca i privati, i tecnici, le imprese, k banche e riporta un dato che mi pare giusto ma che non conoscevo: richieste di proroga attorno al 30%. La Giunta ha il coltello dalla parte del manico e non tocca a me, che sono all'opposizione dire come deve manovrare questo coltello. Le proroghe si possono dare in certi casi e non in altri. Se la proroga c'è, tutti ne approfittano, se la proroga non c'è, tutti si danno da fare e in questo modo premiamo le iniziative più tempestive, quelle che sono realizzabili subito e vengono scartate immediatamente le iniziative non pronte che fanno perdere tempo che lasciano i residui passivi, ma questo è un discorso governativo, non è un discorso di opposizione.
Anche il malcontento e la frustrazione del personale è un argomento che riguarda tutti gli Assessorati. Non ripeto i discorsi che ho fatto anche nel recente passato quando abbiamo discusso il bilancio, quando evidenziavo gli errori delle leggi sul personale e le situazioni di ingovernabilità, di non produttività. L'Assessore al personale ha promesso provvedimenti in questa direzione. Li aspettiamo, perché non si può continuare a dire che il personale è malcontento ed è frustrato e a non risolvere i problemi.
L'Assessore Ferraris ha dimenticato, non so se volutamente o meno altri problemi.
Le leggi così come sono strutturate non sono rispettate e creano disfunzioni nella loro attuazione. Quando in Commissione abbiamo esaminato le norme di attuazione si sono citati i punti salienti non rispettati dagli uffici.
C'è poi l'aspetto che riguarda le leggi mal fatte ed è compito della Giunta e anche del Consiglio provvedervi. Intendiamo partecipare costruttivamente, sempre che la Giunta accetti la nostra collaborazione: non siamo qui soltanto per criticare e il taglio che abbiamo dato ai nostri discorsi lo dimostra.
Abbiamo preparato una legge che dobbiamo ancora valutare, ma che anticipo a grandi linee, per offrire materiale di meditazione alla Giunta e che discuteremo nella sede legislativa. I punti principali di questa proposta sono: 1) Dare certezza del diritto delle agevolazioni. Nel momento in cui approviamo un provvedimento dobbiamo poter dire chi avrà diritto, chi non avrà diritto e quando eventualmente avrà diritto.
2) Immediata risposta tecnica.
3) Risposta finanziaria, non appena c'è la copertura finanziaria.
4) Tempestiva risposta ai ricorsi. Secondo le informazioni dell'Assessore i ricorsi sono evasi dopo un anno, mentre la legge stabilisce il termine di 60 giorni.
5) Definizione e comunicazione della quantità degli aiuti. Pochi soldi possono dare grandi benefici, ecco perché non poniamo la quantità come prima condizione.
Se queste poche regole non saranno rispettate, ammesso che si possano dare rilevanti contributi, non si avrà nessun beneficio, anzi si avranno dei danni, come oggi sta capitando.
Un "no" detto subito non produce conseguenze negative ed è accettato un "si" detto dopo tre o quattro anni non è più accettato e provoca delle conseguenze negative.
Ricordo il caso di un giovane agricoltore che, quando il 27 marzo una delegazione era stata ricevuta dalla Giunta, raccontava di aver atteso 3 anni il finanziamento regionale e che se lo stesso finanziamento lo avesse chiesto tre anni prima alla banca lo avrebbe ottenuto al tasso del 20% e avrebbe eseguito le opere a quell'epoca con un risparmio economico.
Purtroppo solo una minima parte dei fondi che stanzia la Regione producono immediatamente investimenti e benefici positivi mentre la parte maggiore va a costituire un'elemosina finale.
Le proposte che presentiamo sì muovono nel rispetto della programmazione regionale e nazionale, quindi non mettono in discussione questo programma.
Intendiamo: dare una portata quinquennale alla legge in modo che gli operatori sappiano regolarsi, da oggi al prossimo quinquennio, quali sono le prospettive prendere atto che finalmente c'è un Albo professionale e questo è un aspetto che non abbiamo sufficientemente valutato. Gli imprenditori agricoli iscritti all'Albo hanno diritto agli aiuti. Se consideriamo come punto fermo l'imprenditore agricolo che è iscritto all'Albo, siamo facilitati nell'iter delle procedure, così come avviene in Olanda dove le direttive comunitarie sono attuate e le procedure molto semplici riordinare la legge 63, troppo completata e troppo diluita nei tipi di intervento. Sarebbe utile unificare gli articoli adeguare la legge agricola regionale alle altre leggi che sono state approvate nel frattempo (la legge sulla tutela e l'uso del suolo che vincola per 20 anni i fabbricati rurali) valorizzare i funzionari dando ad essi una funzione tecnica produttiva, creativa e non soltanto una funzione burocratica e penalizzante come è oggi, con la possibilità di andare in azienda, di proporre, di discutere, di valutare dal punto di vista tecnico ed economico le iniziative.
Il tema del decentramento lo affrontiamo, per la verità, timidamente per ora prevediamo un decentramento che si avvale delle strutture esistenti, un decentramento funzionale e burocratico sulla base degli uffici esistenti che potrebbero però operare a livello zonale o comprensoriale o di altra dimensione da valutare. I funzionari avrebbero responsabilità di firma e di pagamento al fine di evitare la procedura a livello provinciale che è dispersiva e troppo lunga. Siamo disposti ad affrontare il problema delle Province. C'è l'ipotesi, che non scartiamo, di dare la delega alla provincia; questo ha però delle conseguenze. Come resterebbe in piedi la struttura funzionariale attuale? A nostro parere dovrebbe essere trasferita dagli uffici regionali agli uffici provinciali.
In ogni caso tale delega alla Provincia o ad altro Ente destinatario non potrà costituire accelerazione delle procedure se la Regione non interverrà con legge o con disposizioni regionali.
Ripeto, è importante che l'Assessorato dia immediatamente la risposta alle domande pervenute, sia nel caso in cui manchino i requisiti sia nel caso in cui ci sia la disponibilità finanziaria dando la facoltà ai funzionari delegati periferici di emettere il nullaosta al pagamento. Anche il contributo in conto capitale dovrebbe essere pagato in anticipo (almeno per il 50 o il 60%).
Proponiamo di ridurre le priorità. Considerato punto fermo l'imprenditore agricolo, cadono molte priorità.
Vi è poi un grosso problema, che non abbiamo ancora affrontato e che io pongo oggi: la legge urbanistica prevede che nelle zone residenziali artigianali, industriali non debbano più esistere aziende agricole. Questo trasferimento, più o meno forzato a seconda dei casi, sarà molto oneroso e riguarderà un numero altissimo di aziende piemontesi, quindi dovrà avere la priorità assoluta e aiuti eccezionali. In merito alla questione dei sopralluoghi, dei collaudi, del personale insufficiente, ripeto il mio suggerimento dì un'istruttoria iniziale corretta tecnicamente ed economicamente, annullando il collaudo finale.
Per i ricorsi chiediamo il rispetto di una legge già operante.
In merito alle varie Commissioni riteniamo di mantenere quella regionale e quelle comunali e di eliminare quelle comprensoriali che sono di notevole intralcio in questo momento.
Ovviamente la Regione dovrà garantirsi e non pota non fare a posteriori dei controlli molto severi sull'iter della procedura e sullo sviluppo del finanziamento dato. Nel caso eventuale di infrazione, al di là del carattere penale, si dovrà esigere il rimborso del finanziamento con gli interessi relativi da chi abbia disatteso le norme. Sono proposte concrete che possono produrre effetti immediati.
Siamo d'accordo sulla proposta di una conferenza nazionale sulla politica agricola comunitaria, sulla proposta di istituire una Consulta regionale, sull'attuazione dei piani agricoli zonali. Siamo concordi nel ritenere che il riordino del settore commerciale è un'altra chiave di volta. Siamo disponibili operativamente a dare il nostro contributo su tutti questi problemi. D'altra parte, le richieste di finanziamento per 500 miliardi dimostrano la grande vitalità del settore dell'agricoltura, sia sotto l'aspetto umano che sotto l'aspetto economico-finanziario. Non dobbiamo disattendere questo slancio che dimostra che i produttori credono ancora nella loro attività; aiutiamoli a mantenere questa fiducia e questa speranza.
Su queste basi misureremo la volontà della Giunta di attuare non solo a parole, ma negli atti, l'invocata centralità dell'agricoltura nella politica regionale. Noi siamo disposti a fare la nostra parte.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, sentendo gli interventi che mi hanno preceduto, in particolare l'ultimo del Consigliere Chiabrando sul quale dirò alcune cose, e leggendo la relazione dell'Assessore Ferraris, mi sono convinto (come per altro accennano un interessante saggio del Sottosegretario all'agricoltura comparso sull'Avanti il 26 marzo, e molte interviste rilasciate da Lobianco) che qualche passo avanti va fatto nella cultura della crisi e nel considerare il ruolo e il peso dell'agricoltura nel complesso della crisi economica, politica ed istituzionale che travaglia il Paese e l'Europa.
Non da oggi affrontiamo questo argomento, ma credo che proprio qui in Piemonte, emblema e cuore dello sviluppo industriale, si imponga una visione unitaria e complessiva dei processi economici, sia cioè necessario come peraltro sottolineavano nella loro relazione Enrietti, Ferraris e Viglione vedere come la questione agraria sta nell'insieme della questione della crisi.
Bisogna pur rendersi conto che questa crisi ha caratteri inediti. Cito alcuni titoli su cui dovremmo riflettere: la durata organica: entriamo nel settimo anno e non si accennano affatto dei miglioramenti; quelli che abbiamo ottenuto nell'arco del ciclo sono dovuti davvero a profusione di capitali enormi da parte dei vari governi europei, che, tra l'altro, hanno seguito tutti la stessa politica questa crisi è davvero eccezionale ed inedita perché si caratterizza per il rialzo costante dei prezzi. Non è paragonabile con la crisi del '29 e con le crisi, anche meno strategiche, degli anni '30, perché in quei momenti le manovre imponevano il calo dei prezzi. Imponevano inoltre con una vasta disoccupazione, il calo dell'inflazione in ultimo, lo sbilancio dei pagamenti.
Questa analisi non la faccio io, ma l'ho letta in un numero eccezionale di Le Monde, di cui mi pregerò di fare omaggio al Presidente del Consiglio perché questo dibattito non resti solo nelle parole. E' il bilancio economico e sociale del 1980 dedicato all'agricoltura mondiale e contiene le analisi che vanno dai monetaristi, agli strutturalisti, ai marxisti tradizionali, ai socialisti occidentali, fino al Capo del Governo francese Barre, professore di economia. Tutte queste analisi contengono questo giudizio: è una crisi inedita.
Allora penso che molte delle cose dette, anche dal Consigliere Chiabrando, al di là del fatto che siano accettabili o meno nel merito pongono un altro elemento: probabilmente questa crisi non dovremmo chiamarla così; dovremmo dire che è forse la fine di un'epoca che assume anche la caratteristica di crisi tra società ed istituzione, tra sistema organizzativo di governo, esercizio vero della democrazia, e riordino e ristrutturazione economica.
Allora per un partito come il nostro, e per il movimento operaio è urgente, ancor più che in passato, fare il discorso sullo sviluppo, porsi la domanda: quale democrazia? per quale sviluppo? Preciso che cosa intendo per democrazia. Questa congiunzione dei due termini vuol dire che la trasformazione della struttura della nostra economia impone una riflessione a fondo sulla struttura del governo, sul modo in cui si governa, sulle tecniche e sugli interventi di governo e sul come invece questo governo ha corrisposto a un determinato sviluppo.
L'agricoltura è una cartina di tornasole eccezionale sotto questo profilo soprattutto nel nostro Paese e in una Regione come la nostra che è stata al centro di scontri enormi, a volte conclamati, a volte meno, di profondi interessi economici, sociali e politici decisivi per la democrazia italiana.
La sfida che si pone per questo settore nel contesto generale, negli anni '80, è di sapere quale sviluppo, quali fini dello sviluppo regionale nazionale ed europeo, quali tecniche organizzative si rendono necessarie per governare con i fini.
Penso che il salto culturale in qualche misura è stato fatto da parte nostra, non solo perché siamo sempre stati accusati di ruralismo nel passato. Anche in una città, così operaista nella sua tradizione come è Torino, in un movimento operaio così aristocratico, prima ancora che popolare nelle sue manifestazioni e nelle sue organizzazioni, si sono sempre realizzati grandi momenti di difesa di questo comparto e si sono avute negli ultimi anni grandi lotte, non soltanto a sostegno dell'agricoltura in generale, ma anche dei processi di trasformazione.
Mi pare sia dovere di un partito politico rappresentativo e di governo quale è il nostro, porsi questi problemi.
Voglio anch'io pervenire alla concretezza, senza eccessi però. Attenti! Lo dico per me, non per la mozione che abbiamo presentato e che aveva fini paralleli, ma in altri campi non paralleli, per gli argomenti che volevamo sottolineare come ha già accennato Ferro, e bene hanno sottolineato altri Gruppi politici.
Attenti: concretezza ma non un pragmatismo senza principi. L'abbiamo già detto sul bilancio regionale. Sarebbe quello che vuole Carli tutte le volte che fa l'articolo su Repubblica per farci accettare il liberismo più sfrenato gestito dal P.C.I.
Questa è una contraddizione nei termini, forse riportabile solo al problema del diavolo e dell'acqua santa di quarantottesca memoria.
Partiamo dal concreto, da un fatto regionale. Quando critichiamo la politica CEE e facciamo delle proposte, ritengo sia giusto che tutti richiedano, e noi per primi, di forzare le istituzioni regionali in funzione del governo e di questa critica che facciamo alla politica CEE proprio per ritornare alla filosofia strutturale della politica CEE; quindi realizzare il più possibile qui, pur nei limiti che ci sono concessi, una nuova politica comunitaria. Non è una contraddizione nei termini o un'eresia. Voglio dire che c'è tutta una serie di interventi che stanno a testimoniare questo fatto.
Il richiamo a questa impostazione, a questa politica mi è parso di coglierlo anche negli altri interventi vuol dire non ripetere le stesse cose, non attardarci per essere magari smentiti dalla realtà sulle vecchie questioni, ma cercare di capire com'è mutata come vive una sua crisi di trasformazione, anche positiva, quella grande fabbrica, quel cervello sociale possente che è l'agricoltura piemontese.
Quando ci si attarda ad analizzare sin nel dettaglio, nel più piccolo pelo le vicende della questione Fiat o della piccola e della media azienda non si può dimenticare che l'altra Fiat, il rovescio della medaglia, la base formidabile di questo secolo, l'accumulazione delL'esperienza industriale, perde. Forse, di fronte alla portata della crisi, in una Regione cardine per l'avvenire del Paese qual è il Piemonte, per la responsabilità che abbiamo nei confronti e per i rapporti con l'Europa credo che non sia affatto sufficiente e che non sia più il tempo di parlare di centralità della questione agraria. Bisogna porla in qualche misura in un altro termine. E' ancora un modo per coprire con un velo strano una separatezza che non è accettabile: l'agricoltura non è solo un settore primario: è il complesso dell'economia che abbiamo di fronte.
Mi pare giusto, partendo anche da questa manifestazione, ma non solo da questa, ma dalle cose che chiedono le organizzazioni professionali dei produttori agricoli ripercorrere al rovescio queste rivendicazioni per cogliere intanto i mutamenti profondi che sono avvenuti e stanno avvenendo in questo complesso sistema di piccole e medie imprese che caratterizza in modo così peculiare l'agricoltura piemontese rispetto a quella italiana nella nostra Regione e i mutamenti che sono avvenuti nella cultura, nelle condizioni di vita e di lavoro della famiglia diretto-coltivatrice, per capire come queste stesse rivendicazioni sono maturate, in un moto possente che ha caratterizzato l'ultimo decennio, in merito all'emancipazione sociale, alla qualità della vita ed anche ai mutamenti politici che sono avvenuti nel mondo agricolo.
Quindi non mi pare più sufficiente guardare alla realtà agraria, in crisi ma per molti aspetti avanzata, quale è la nostra, soltanto come al settore tradizionalmente primario. Ci sono responsabilità gravissime dell'intellighenzia piemontese ed universitaria su questo piano, a volte ci sono anche uomini come Maspoli, ed altri, inascoltati, su certi settori.
Occorre capire che cosa si muove intorno all'agricoltura, quali domande essa genera nel complesso dell'economia piemontese e come interviene nell'equilibrio generale, nella formazione delle risorse nell'accumulazione e quindi anche nella distribuzione del reddito. Quando chiediamo una conferenza economica regionale che abbia al centro la questione dell'agricoltura (non una Conferenza nazionale sull'agricoltura) vogliamo indicare una direttrice di lavoro che affronti il tema delL'agricoltura nei suoi rapporti con il territorio, con l'industria, con il terziario, con la ricerca, con la crisi e la necessaria trasformazione che colpisce l'intervento pubblico. Sentiamo il bisogno di una "conferenza Fiat" per l'agricoltura per affrontare la questione dello sviluppo di questo settore con il complesso delle forze produttive; comunque questa impostazione culturale non la rivendichiamo noi comunisti, poich rileggendo molti atti e i punti salienti del dibattito di questi ultimi 10 anni, non è nient'altro che la logica deduzione di quel complesso di equilibri culturali e di convergente che si sono realizzate con funzioni diverse per i vari partiti nella scorsa legislatura in modo particolare.
L'agricoltura piemontese non è fatta soltanto di arretratezze come l'ha descritta in qualche misura poeticamente Nuto Revelli e tanto meno come qualcuno vorrebbe far credere.
Certo, ci sono stati grandi disastri nella concentrazione dello sviluppo economico, ma questa è un'agricoltura strutturalmente forte, che ha già buoni livelli di organizzazione, che ha permesso quella accumulazione industriale, che noi abbiamo definita distorta, che comunque ha fatto diventare questa Regione il cuore più palpitante dello sviluppo in un dato periodo e che oggi lo vede in crisi.
Come guardare alla crisi strutturale della Fiat senza guardare a questo retroterra? A questa scissione non credo. Quindi noi, forze politiche e sociali, movimento operaio e contadino, università, centri di ricerca dobbiamo guardare l'agricoltura, come un processo complessivo che, partendo dalla Regione, in quanto istituzione, e trovando in essa un punto di riferimento certo in tutte le questioni procedurali, pratiche, ma anche di prospettiva, cammini sulle gambe dei protagonisti, di quel sistema corposo di piccole e medie aziende, molto spesso anche tecnologicamente avanzate.
Questa è la questione essenziale posta alla fine della nostra mozione. Non chiedo all'Assessore all'agricoltura una conferenza agraria: non mi interessa. Chiedo una conferenza di questo tipo. Voglio che ci sia Romiti voglio che ci siano tutti i personaggi dell'economia per discutere anche le questioni a cui accennava il Consigliere Ferro. Si tratta di realizzare un grande moto unitario di intenti e di andare ad un governo democratico di questi fattori economici diverso rispetto al passato.
Quando Ferraris dice, e lo confermano le organizzazioni professionali che gli agricoltori chiedono all'incirca 500 miliardi, mi viene subito da pensare a tre cose: la grande vitalità delle aziende, il grande dramma dell'inflazione quanto vada districato l'intreccio tra assistenza vera e propria e intervento strutturale che assistenza non è, anche se si presenta sotto questo fatto; cercando di definire nei limiti del possibile che cosa significa oggi nel nostro Paese "assistere l'agricoltura"dando per scontato che in nessun Paese del mondo esiste un'agricoltura che non sia assistita e in qualche misura programmata (a partire dagli Stati Uniti d'America) che l'intervento pubblico è in crisi strutturalmente.
Certo, in momenti di inflazione bisogna spendere in fretta tutto quello che si ha, d'accordo. Possiamo anche trovare procedure eccezionali per certe fasi nella revisione legislativa. Non discuto su questo, ma discuto sul governo di questo intervento pubblico.
Forse qui è il primo nodo. Non si parla più di programmazione e non se ne vuole parlare in tanti settori per gli accenni neoliberisti che sono stati detti in tutti gli interventi di oggi. C'è però un dato oggettivo.
Non capisco come si possa non parlare di programmazione in agricoltura, che ci può legare ad una "filosofia europea" che non sia soltanto assistenziale, dei prezzi, né radicale (o giacobina in alcuni casi). Oggi l'unica politica comunitaria agricola è quella libero-scambista che non regge più neanche alle scuole liberali. C'è ragione di dire che informare è assistere, sapere, conoscere, è già programmare: lo dimostrano le vicende dei piani di zona. Significa legare investimenti propri delle aziende all'intervento pubblico, significa porre le basi di un diverso coordinamento, anche pubblico, tra credito, banche, aziende commercializzazione e trasformazione della produzione. Dove è stato scritto che qui si debbano produrre solo macchine per beni strumentali o macchine utensili? Chi ha mai scritto che qui, nel cuore del bene terra, tra i più preziosi che abbiamo nella pianura padana, non ci debba essere un'industria di trasformazione? Chi ha mai detto che le produzioni mediterranee, Visto che si fanno in serra (e bisogna essere un po' spregiudicati nell'affrontare questo) debbano essere soltanto da una certa latitudine in giù quando invece l'Olanda è il più grosso esportatore di pomodori? Allora diventa tutto artificioso questo sistema di protezioni e sempre più è messo in crisi soprattutto per le produzioni mediterranee. Allora davvero c'è da prendere in mano questa questione e da stare attenti alle cose che vengono dal mondo rurale, da quella esperienza, così complessa e variegata. D'altro canto il privilegio per il pomodoro è stato dato all'Olanda nella divisione del "si salvi chi può" di 4 anni fa all'interno della CEE, che di fatto non esiste più.
Cari colleghi, credo non si debba inventare molto, perché nella coscienza media comune non solo del Consiglio regionale, ma delle forze politiche che qui stanno (quando non ci sono delle vischiosità ideologiche) operando, ci sia un punto abbastanza chiaro e unitario su questi problemi.
E' già evidente una serie di interventi strutturali che vanno per riorganizzati e ricondotti ad un motore centrale che è la collegialità della Giunta. Questo è un punto fondamentale, è anche la premessa della riforma amministrativa e del funzionamento degli apparati regionali.
Se si impone il tema della programmazione è perché si vuole superare lo scetticismo che c'è intorno all'idea della programmazione. Le cause sono anche abbastanza note, le ricordavano Ferro e Ferraris: inadempienze governative rispetto alle leggi di programmazione. Avete citato la legge Quadrifoglio, ma la Quadrifoglio è niente, cari Colleghi. La Quadrifoglio come ce lo sottolineava l'amico Tamietto e la Confagricoltura, doveva andare con il piano agricolo alimentare. C'era un programma ambizioso, per quantità, di andare se non al 90% dell'auto-approvvigionamento, ad una quota certamente superiore a quella di oggi.
Sono d'accordo: questo piano agricolo-alimentare bisogna tirarlo fuori non è solo una rivendicazione che si possa fare sposando tutto contro il governo; è un fatto al quale dobbiamo concorrere noi, governando anche da un'assemblea legislativa come questa. L'avevo scritto proprio così Consigliere Chiabrando: "la certezza del diritto nel disegno della rappresentanza" cioè chi deve avere gli interventi, ma la certezza del diritto va stabilita anche dalla legge nazionale. Ci sono tante leggi di fronte al Parlamento, comprese quelle dei patti agrari: leggi che hanno avuto degli effetti che oggi vengono esauriti.
Che cosa faremo con le leggi 63 e 15, di fronte alla crisi regionale nazionale ed europea? Abbiamo degli strumenti che non dobbiamo buttar via, che sono la carta riassuntiva, con interventi che il mio partito non sempre può condividere sono gli schemi di piano territoriale-comprensoriale e quelli socio economici, all'interno dei quali ci sono le premesse dei piani di zona.
Gli interventi territoriali, il rapporto agricoltura-territorio sono importanti si o no? L'agricoltura ha bisogno di ordine e di selezione delle risorse. La risorsa terra non è un bene ripetibile. Va salvaguardato ed amministrato con grande attenzione, sapendo, come dimostrano le carte del suolo realizzate dalL'IPLA (ed oggetto di grande attenzione da parte dell'Office Nationale des forêts ) che si mettono in discussione grandi risorse energetiche e che si condizionano tutti gli insediamenti umani e sociali in agricoltura. La politica regionale deve uniformarsi a questa realtà ed in qualche modo riconoscere anche "ufficialmente" con suoi provvedimenti amministrativi e di legge la realtà che la conoscenza del suolo ha fatto emergere.
Il piano irriguo regionale sarà molto complesso. Cominciamo da una serie di interventi; perché a Novara, a Vercelli, tutti gli interventi che si fanno sul piano delle acque vanno sempre bene? Perché sono gli unici che hanno sempre avuto i finanziamenti? Perché c'è il riso, ma c'è anche una cultura su questa questione. Questa cultura va affermata. Bisogna che ci mettiamo d'accordo. Per esempio, nel Cuneese dove c'è una maggioranza D.C.
bisogna che non si cincischi più. Per il Mojola si dia immediatamente avvio agli incartamenti necessari ed ai progetti esecutivi. Ma intanto usufruiamo del Tanaro e dei suoi affluenti, perché quando viene un'alluvione, siamo colpevoli tutti, senza pensare di regimare le acque, di utilizzare l'agricoltura, risorsa fondamentale, anche a scopi energetici. Ma dico di più, Ferraris, tu hai detto giustamente che è lo Stato che deve provvedere.
Benissimo. Io dico che sarebbe necessario instaurare qui un altro metodo.
Chiediamo allo Stato l'80%del contributo, mettiamo insieme gli investimenti anche minimi della Regione, delle Province, dei Comuni. La Finpiemonte pu servire a rastrellare fondi sul mercato finanziario, magari con obbligazioni. Quante dighe, quanti interventi irrigui si sono fatti! Certo c'è a monte la questione dei rapporti di potere sulle utenze irrigue, ma su questo l'ESAP ci può lavorare correttamente, anche con la stessa Regione e gli Enti locali.
Allargherei poi l'azione a quel programma speciale per le Comunità montane a cui accennava l'Assessore Moretti. Cominciamo ad uscire dall'orizzonte che la montagna debba essere soltanto agricoltura. In molti terreni, prati a pascolo non recuperabili o non accorpabili con i cosiddetti alpeggi funzionali, c'è bisogno di forestazione, non è detto che l'uomo non trasformi ciò che è stato fatto nei secoli in altre forme di energia. Ma su questo bisogna discutere e probabilmente bisognerà fare l'azienda delle foreste per avere questa operatività e per dare compiti di autogoverno più vasti. Credo che si siano presi contatti anche per questo con i francesi. Anche il "telefono verde" è produttivo in alcuni casi purché anche gli Enti locali si rendano conto, al di là della questione di Torino, che i pini non li regaliamo per portarli a casa a rinseccare perché la questione dei semi e delle specie implica dei costi notevoli.
il secondo ordine di interventi deve essere rivolto alle imprese non solo per sostenere nella congiuntura il reddito contadino, ma per svolgere un'azione alla CEE in rapporto al credito (chiedendo per lo meno lo sconto sui tassi di interesse). Poi bisognerà anche capire che il credito di conduzione è strutturale quanto l'acqua per le imprese. Perché le imprese agricole medie o singole, diretto-coltivatrici o meno, debbono essere diverse dalle altre? il bene terra è organizzato in altro modo e, sotto questo aspetto, io sono felicissimo che venga smentito Carlo Marx. Il problema è che il credito a questa gente va dato e va dato come fatto strutturale di intervento della CEE. Così come si chiedono interventi strutturali tramite la BEI per strade, autostrade, trafori, è altrettanto giusto chiedere interventi che sono altrettanto strutturali per la vita delle imprese a garantirle presso le banche italiane e invogliarle su questo discorso, il vecchio discorso è questo: rende alla banca avere il risparmio, anche forzoso in alcuni casi, del contadino? Quali sono i fini sociali di certe banche? Infine, credo che si debbano stabilire gli uffici pubblici, almeno di secondo livello per l'assistenza tecnica tenendo conto che l'imprenditore singolo che investe ha bisogno di qualcuno di fiducia, ma poi ha bisogno di quell'intervento che è complesso, articolato e di grande portata pubblica.
Ecco allora che dobbiamo mutare i CATA, studiando una socio-informazione migliore e l'insieme delle questioni. E questo lo si può realizzare con il contributo delle organizzazioni dei produttori.
Sono d'accordo con Borando sul controllo perché se è vero che la cooperazione è stata un grande fatto, è altrettanto vero che tanta gente ha chiesto i soldi solo per approfittare del contributo regionale. La cooperazione ha bisogno di controllo e di selettività perché non ha ancora una sua cultura come invece esiste nelle zone rosse dell'Emilia o nelle zone bianche del Veneto.
Quando il Consigliere Lombardi chiede il premio di natalità, pone un problema vero come è vero il problema delle tasse e dell'INPS. Andate voi a fare gli agricoltori in quelle situazioni! Non c'è milione che paghi! Ci sono delle questioni che sono legate alla strutturazione della presenza dell'impresa diretto-coltivatrice sul territorio, che hanno implicato la separatezza, la solitudine, la vita di isolamento che solo la televisione e altre cose hanno rimediato in parte. Ma ci sono condizioni ed occasioni di vita per diventare degli agricoltori bravi e capaci che gli stessi figli degli agricoltori non colgono in questa realtà.
Allora ci vuole una programmazione dei servizi. Ma a chi predica il neoliberismo e vuol ridurre tutti i costi della spesa pubblica dico che non si può ridurre su queste cose né in città né in campagna. Guai diminuire la rete dei servizi pubblici! In questo senso è importante che si faccia di più.
Sulla delega agli Enti locali sono d'accordo solo in parte. E' una valorizzazione della politica degli Enti locali, ma attenti! Se non diamo queste deleghe, pur sapendo che qualche rischio lo possiamo correre, le autonomie locali non faranno il loro dovere. La disubbidienza alle leggi al di là delle responsabilità imputate a questa maggioranza e nello specifico all'Assessorato all'agricoltura è circa del 70%. Se fossero dei precetti come il quinto comandamento, oppure delle imposizioni come quelle del codice penale, tutta l'Italia sarebbe un assassinio senza il bisogno dei brigatisti rossi! Bisogna allora vedere come facciamo le leggi, ma bisogna anche vedere chi sono i protagonisti, che cos'è la parcellizzazione della vita pubblica ed amministrativa nella Regione.
Allora occorre accorpare le Comunità montane che sono fatti stabili e reali. Cominciamo. Non è detto che delega non debba essere anche sperimentazione. Non è detto che le Province non debbano essere protagoniste nell'organizzare e nell'aiutare i Comuni più piccoli. Non è detto che le questioni della programmazione, che potrebbero essere date alle Province in correlazione ai Comprensori, debbano corrispondere a deleghe di tipo speciale.
Queste cose dobbiamo studiarle (non tra due anni o tre) anche con le forze sociali, con il sindacato interno della Regione e con i sindacati esterni. Quando si parla di pubblica amministrazione e di professionalità non si tratta di licenziare Tizio, Caio o Sempronio, ma di discutere di problemi reali che vanno rivendicati per noi e per le imprese. La professionalità non è solo un fatto dell'Assessorato o degli Assessori è un fatto che riguarda la Giunta, questa Amministrazione, e comporta la responsabilità collegiale.
Sono d'accordo sulla revisione legislativa, sull'accorpamento. Sono d'accordo di esaminare tutte le proposte che presenterete, il più rapidamente possibile. Alcune sono ampiamente accettabili, altre pongono qualche problema. Lobianco nella relazione che ha tenuto alla 25^ assemblea della Coldiretti citando Moro (ma forse a miglior ragione avrebbe potuto citare uno qualsiasi dei classici del marxismo) diceva: "Occorre scegliere non ciò che esiste ed è moribondo, ma ciò che è nuovo". Il nostro giudizio sull'impresa diretto-coltivatrice non è così pessimistico.
Certo, poniamo anche la questione del part-time.
Che cosa si farà ad Asti fra 5 o 6 anni? E' chiaro che potranno agire solo le imprese piccolo e medio-coltivatrici. La senilizzazione, i guasti tutte le cose che dite saranno dovute ai ritardi dell'Assessore Ferraris impiccheremo lui! ma dopodiché chi andrà in quelle campagne? Ci andrà Gancia? E quando il moscato abbasserà le ali sul mercato ed i prezzi non terranno, dove andremo? Si farà la fine del barbera? Discutiamone. Anche la struttura occupazionale di chi lavora la terra è importante. Non saremmo programmatori se non affrontassimo queste questioni.
Dobbiamo affrontare la questione del part-time in modo spregiudicato.
E' inutile piangere o nasconderci dietro un dito. Qual è la forza in campo? Apprezziamo le questioni che stanno venendo avanti all'interno della Coldiretti. Siamo convinti che si sia aperto un fatto storico, una battaglia non tanto politica, quanto culturale, che può portare probabilmente alla rottura delle vecchie "confintese" ed alla creazione di un momento unitario notevole, pur nella diversità, e questo può avvenire in modo interessante ed intelligente anche in Piemonte per tutte le questioni strutturali, che dobbiamo affrontare. La Coldiretti è molto abile nel cogliere al volo il cambiamento, la trasformazione, i mutamenti di umore all'interno del mondo contadino e non lo dico con una battuta irriverente.
Si pensi a Bonomi, alla sua capacità pluridecennale di coniugare le più roventi rivendicazioni con il freno tutto schiacciato sulla politica.
Lobianco parla della continuità e del rinnovamento. Chi di voi, che governate in gran parte l'agricoltura, può disconoscere questa rappresentanza? Da questo travaglio e da questo dibattito culturale pu venire la strada di nuove alleanze sociali in cui ognuno faccia la propria parte all'interno delle assemblee elettive e non invece nuove rotture che ci vorrebbero decenni a rimediare e che sarebbero esiziali per l'economia e la democrazia italiana.
Permettetemi una sola frase sulla questione dell'Europa Pisanì simpatico personaggio gollista di cui mi fido (e vi garantiamo che in politica europea non faremmo i Marchais, ma vi chiederemmo di non continuare a fare gli Chirac per certi aspetti) dice che l'Europa è povera perché basterebbe qualche scrollone in campo mondiale nel rapporto Est Ovest per far venire fuori il green power: è ben più dei missili, degli euromissili, dell'invasione della Polonia o dell'Afghanistan. Gli europei credono che quest'arma possa essere facilmente usata dalla CEE, magari contro i Paesi dell'Est o contro gli emiri. No. Sulla distensione preme di più il grilletto l'Argentina, per la sua produzione agraria, che non l'Europa.
Ci sono tante eccedenze, comprese quelle del latte, che sono anche artificiose. C'è un solo Paese che usa questo come arma strategica ed è il Nord America. Siccome non stracciamo i trattati e non li riteniamo dei fatti di carta né sui missili, né su questo, dobbiamo sapere che siamo così poveri di mangimi, di mais, di soia, che bastano alcuni scossoni, che migliaia e migliaia di imprese dei Paesi anche più forti dell'Europa che sono totalmente alimentate dall'esterno, scomparirebbero in un baleno. Il problema è in questo.
Quando chiediamo la revisione alla CEE, colleghi democristiani (lo diciamo perché questa esperienza massimalista e giacobina l'abbiamo fatta troppo sovente anche noi) non si tratta solo e sempre di chiedere il riequilibrio al Sud con qualche compenso, ma si tratta di porsi il problema della crisi, che non è solo agricola, e quindi di superare i termini vecchi libero-scambisti nella politica agraria e di dare quelle forme di solidarietà strutturali (che cominciano ad esserci per l'acciaio e l'energia) e, soprattutto, di essere in grado di intervenire sulla crisi generale della CEE.
La tendenza storica di questo ultimo secolo è stata quella di aggregarsi a certe aree economiche. Sarebbe un guaio non capire il danno che ne deriverebbe a tutti da una crisi definitiva o irreversibile della CEE. Questo non va visto come fatto di ricatto. Va visto come fatto di promozione. Ho accennato a questi fatti perché penso sia giusto porre a livello CEE quelle domande in modo più ampio. Certo, che qui siamo in un punto più forte dello sviluppo industriale, malgrado la crisi, e dello sviluppo agricolo equilibrato.
Riteniamo che un Paese come il nostro non possa essere assente in questo campo di trasformazione, ma soprattutto sarebbe un guaio non ricordarsi che Strasburgo è in Europa e non in Kenya.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

Vista l'ora tarda, la seduta è tolta. I lavori riprendono domani mattina.



(La seduta ha termine alle ore 18,20)



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