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Dettaglio seduta n.50 del 19/03/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Bilanci preventivi

Esame bilancio di previsione per l'anno finanziario 1981 (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Proseguiamo con il punto quinto all'ordine del giorno: "Esame bilancio di previsione per l'anno finanziario 1981".
La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, signori Consiglieri, la discussione sul bilancio rappresenta un momento fondamentale nella vita di un ente pubblico, quanto la presentazione di un programma, perché è l'occasione per sviluppare il dibattito sugli orientamenti programmatici del governo regionale ed approfondire il confronto con gli Enti locali e le forze sociali, culturali e produttive i cui stanziamenti del bilancio sono maggiormente indirizzati.
Del resto, disporre un bilancio fin dai primi mesi dell'anno significa dare rapidamente avvio alle spese di investimento e quindi contenere i residui passivi.
Il bilancio 1981, la previsione che abbiamo oggi all'esame, è caratterizzato peraltro da una notevole limitazione delle risorse utilizzabili. Ma va anche considerato, a nostro avviso, come un bilancio ponte tra il primo programma regionale e la sua reimpostazione secondo il nuovo programma.
Certo, costituiscono limiti al bilancio il crescente costo del denaro l'inflazione e la notevole quantità di fondi mobilitati per le popolazioni terremotate del Mezzogiorno.
Altri limiti, più tecnici, sono dovuti alle entrate con vincolo di destinazione; basta pensare alla spesa socio-sanitaria che ammonta ad oltre metà delle risorse complessivamente disponibili e che le entrate libere da vincoli e quindi sottoposte ad attività discrezionali della Regione, sono soltanto circa il 20% del totale complessivo.
Del resto, l'ammontare e l'incremento delle risorse complessive del bilancio non si accompagna ad un corrispondente aumento dei fondi su cui la Regione ha potere di scelta. I disguidi attraverso l'emanazione di leggi finanziarie statali, talora parziali, talora ciclicamente ripetute, portano ad un irrigidimento delle decisioni di spesa che diventano ripetitive di quelle degli anni precedenti e hanno generato una difficoltà complessiva nel predisporre la previsione non riferita a flussi finanziari certi ed accertati.
In quest'ottica non si può non riconoscere che i principi informatori del bilancio 1981, sono il contenimento della spesa corrente e l'eliminazione per quanto possibile dei residui passivi, cioè una maggiore qualificazione della spesa, con interventi strutturali inseriti in un quadro programmatorio di iniziative concrete e rapidamente eseguibili e reali, ma soprattutto svolgendo un'azione di propulsione sapendo raccordare e promuovere le iniziative delle forze sociali, produttive e del credito.
Un'azione strategica cioè, che dà corpo e significato alle tattiche parziali, previste nei singoli settori.
Il processo di investimento che viene effettuato attraverso trasferimenti collegati ai comportamenti di spesa locale, viene, a nostro avviso, opportunamente nella previsione di bilancio, calibrato sulle possibilità dei Comuni di programmare, progettare e gestire gli interventi complessivi. Ora, poi, che anche i Comuni debbono predisporre il bilancio pluriennale e le previsioni di cassa, potremo avere una più profonda integrazione tra bilancio regionale e bilanci dei Comuni, dovute anche al fatto che il nuovo decreto legislativo prevede che il 40 % dei finanziamenti della Cassa Depositi e Prestiti per i Comuni e i loro Consorzi vanno attribuiti per investimenti coerenti con gli indirizzi del piano regionale di sviluppo. Questo fa sì che il metodo della programmazione coinvolga sempre più da vicino gli Enti locali che dovranno prestare sempre maggiore attenzione ai piani predisposti dagli organismi regionali, così come a loro volta, i piani regionali debbono essere il frutto degli apporti delle realtà locali secondo un metodo di programmazione partecipato e democratico. Le scarse risorse disponibili nel bilancio 1981, a nostro avviso, sono state il più possibile mobilitate per i programmi di progetti più significativi.
In particolare, partendo dai vincoli sopra ricordati, sia di ordine finanziario (l'assenza di un quadro certo dovuto alle traversie delle leggi finanziarie, le risorse destinate al dopo terremoto, ecc.), che di ordine gestionale con i rallentamenti non sempre giustificati, si è tentata una razionalizzazione che finalizza meglio gli interventi della politica di piano. Da ciò, allora, una politica di bilancio che sappia raccordarsi con le altre iniziative, non vista e considerata a se stante e, anzitutto migliorante i rapporti con gli enti strumentali.
Dalle consultazioni con questi ultimi è emerso da un lato il tentativo di usufruire della circostanza per illustrare iniziative e chiedere adeguate risorse ma, dall'altro, assai più seriamente, è emersa la necessità di un raccordo più stretto con la Regione per evitare frazionismi e duplicazioni pericolose, per limitare le iniziative episodiche di scarso significato, ma soprattutto perché questi enti possano fare quello che è il loro potere e il loro dovere: lavorare con tranquillità, ma in parallelo con la Regione per la realizzazione degli obiettivi indicati nel piano regionale. Date le diverse consultazioni, sono venute richieste di maggiori risorse nei diversi settori di intervento e questo può essere pur vero ed anche giustificato. Tuttavia i limiti e le rigidità già ricordate anche da numerosi altri interventi non consentono di andare oltre, né si può fare il gioco di togliere da una parte e mettere dall'altra, perché quando il lenzuolo è comunque corto lo si può tirare finché si vuole ma qualcosa rimane scoperto: l'importate è allora che scoperti non siano sempre i settori più deboli o più in crisi, non siano le aree più marginali o più intaccate nei livelli di vita e nelle risorse sia umane che naturali. Ma allora più importante è qualificare la spesa, ridurre gli oneri di gestione, snellire l'apparato, accelerare l'esecutività dei provvedimenti affinché l'inflazione non tagli ancor più le risorse a disposizione. Così come finalizzare le risorse a qualificate politiche regionali, che diano il segno di una Regione che si inserisce in una grande prospettiva del Piemonte, come Regione europea, con le iniziative poste in essere e per i rapporti che sa stabilire con la società civile e con tutte le sue articolazioni: una politica di grande respiro è significativo che si misuri e si rapporti con lo Stato, che dia prospettive, ma anche certezza di una comunità che da noi si attende atti concreti.
Decisivo allora e il metodo della programmazione, ma una programmazione indicativa e partecipata, in cui la partecipazione non sia mero rituale, ma significhi per chi partecipa, potere indicativo, capacità di incidere concretamente, strumenti per intervenire. Proprio oggi per un fatto culturale ormai consolidato nella nostra comunità che è patrimonio di tutte le forze politiche non solo di alcune, dagli stessi Enti locali viene avanzata l'esigenza di indicazioni programmatiche in un quadro di priorità.
Proprio dalle comunità locali viene avanti l'osservazione del non ripetere 1, 100, 1000 domande sulle più svariate iniziative o leggi a disposizione per così dire, ma di poter indicare anno per anno, priorità sicure di intervento che in un arco di tempo certo si traducano in opere, in realizzazioni in presenza di possibilità degli stessi Enti locali, reali sia finanziarie che tecniche, di concretizzare i progetti per evitare sprechi o soldi immobilizzati e con l'inflazione che mese dopo mese ne riduce il valore reale.
Ciò è necessario soprattutto nel settore delle opere pubbliche sia per le leggi che concernono opere realizzate direttamente dalla Regione, sia per quelle che riguardano interventi finanziati mediante la concessione di contributi e questo è emerso anche da alcune indicazioni delle consultazioni.
E' da rilevare che in un sistema come il nostro, caratterizzato da anni da alti tassi di inflazione la lentezza dei pagamenti si ripercuote sui costi delle opere in corso provocando aumenti d'aste e maggiori revisioni di prezzi, in definitiva, un maggiore impegno di risorse finanziarie per l'operatore pubblico.
In parallelo, occorre anche a nostro avviso realizzare un coordinamento degli interventi e delle iniziative degli Enti locali in materia di opere pubbliche, in modo che vi sia un coordinamento fra il complesso degli enti preposti, siano essi Enti locali, Province, o articolazioni statali, per evitare scollegamenti e dispersioni di risorse. In quest'ottica si colloca anche la revisione della legge 28, su cui l'Assessore Cerutti nel suo intervento in mattinata, ha avuto modo di soffermarsi. In quest'ottica certamente, il ruolo decisivo può e deve essere fatto giocare ai Comprensori che debbono diventare il punto di riferimento per la distribuzione delle risorse programmate da parte della Regione. E, al riguardo, voglio anche sottolineare i contributi positivi e seri dati in sede di consultazione, in particolare dal Comprensorio di Saluzzo e dal Comprensorio del Verbano.
Questo quadro non può non porsi l'esigenza di uno snellimento burocratico della qualificazione professionale del personale, specie per ciò che attiene alle funzioni di coordinamento e di programmazione, del potenziamento dei servizi e delle strutture tecniche, in particolare di quelle più operative a livello periferico, così come anche la necessità di procedere rapidamente alle deleghe che evitino i sensi di frustrazione da parte degli Enti locali e alleggeriscano gli uffici regionali da defatiganti procedimenti burocratici, in fondo di scarso significato rispetto alle grandi politiche su cui la Regione deve concentrarsi collegamenti con l'Europa, sforzo decisivo e complessivamente orientato sul nodo energetico, ora che vi è un quadro più certo e dal Consiglio regionale sono venute, proprio ieri, indicazioni e scelte precise.
In particolare, occorre, per il quadro programmatorio, realmente i provvedimenti che favoriscono per davvero il riequilibrio territoriale risollevando le zone marginali, pesantemente colpite; l'abbiamo rilevato e constatato l'altro giorno, nell'incontro fatto nel Verbano, lo registriamo nelle zone periferiche dell'Alessandrino.
La Regione deve trovare momento di confronto e collaborazione stretta e rapida con i Ministeri interessati. Sotto questo profilo, gli adeguamenti della legge 56 sono un punto sul quale occorre muoversi celermente, così come anche la politica della distribuzione degli insediamenti produttivi va rafforzata e rilanciata, tenendo presenti però le possibilità concrete e reali esistenti in loco, di concretizzazione in fatti produttivi, senza velleitarismi o volendo per forza generare processi non sostenuti poi dalla realtà economica e sociale. C'é allora l'esigenza di definire gli indirizzi di attuazione della legge 9 e soprattutto dei criteri di priorità che devono presiedere alla formulazione dei programmi di intervento anche in ordine all'indicazione di pianificazione territoriale elaborata a livello comprensoriale.
Certamente anche noi saremmo per sostenere una destinazione di maggiori risorse per il settore agricolo in un momento in cui questo segna da un lato pesanti cedenze per il comparto vitivinicolo e lattiero per il problema della montagna ma in un momento in cui l'occupazione segna un'inversione di tendenza: dalla documentazione che ci è stata fornita dall'Assessorato regionale all'agricoltura abbiamo visto che dal '75 in avanti vi è un'inversione di tendenze, addirittura il 1980 ha segnato 5.000 addetti in più per il settore agricolo, ma già l'ho ricordato, le risorse sono quelle che sono. Bisogna allora qualificare gli interventi ed accelerare, per quanto compatibile con gli accertamenti dovuti e necessari l'iter delle pratiche.
Lo stesso si può dire per il settore artigiano ma qui, accanto a quella che deve essere l'azione di sostegno e creditizia e per le aree da parte della Regione, occorre che anche il Governo non si metta a penalizzare questo settore con un decreto che mi pare, peraltro, in questi giorni stia per essere riconsiderato.
Certo, spingere per le aree attrezzate è occasione per favorire lo sviluppo di questo settore, ma con il settore creditizio bisogna arrivare alla regionalizzazione dell'Artigiancassa e maggiori rapporti tra tutti gli enti di credito che operano nel settore.
Bisogna anche attuare la legge regionale 64 nel senso di pervenire ad un trattamento normativo degli interventi di supporto regionale che risulti omogeneo rispetto a quello previsto per il riequilibrio del sistema industriale della legge 9 per favorire la costituzione di aree miste.
Ecco, allora, che l'affrontare in concreto i problemi della realtà politica economica e sociale, chiamando tutti a svolgere il proprio ruolo in positivo senza nascondersi dietro fumosi schemi di programmi realizzabili, è una scelta di fondo che abbiamo compiuto in passato e dobbiamo portare avanti con coerenza.
In quest'ottica riteniamo che più che un semplice strumento finanziario il bilancio sia un documento con un preciso significato politico ed economico al quale la struttura contabile deve adeguarsi.
E' nostra convinzione che una pubblica amministrazione che voglia operare in modo efficiente deve conoscere i bisogni della collettività e in base alle risorse disponibili individuare le strategie da seguire. Si potranno effettuare delle scelte adeguate nella misura in cui esse saranno frutto di approfonditi esami, cioè di adeguati valutazioni e comparazioni.
Le consultazioni della I Commissione hanno dimostrato una comunità attenta, aperta e desiderosa di contribuire a tutte le fasi dei processi decisionali regionali.
Sotto questo profilo va detto subito che si è tenuto conto già da ora delle principali e più significative osservazioni presentate.
Con umiltà e con onestà la Regione deve misurarsi con la società aperta, saperla ascoltare, saperne valorizzare la potenzialità. Emerge peraltro, dalle consultazioni la necessità di fornire per il futuro una eguale possibilità a tutti gli enti consultati di potersi esprimere allo stesso livello e nella stessa misura.
Sono questi specifici ordini di risultati che fanno sì che il bilancio regionale diventi un importante strumento di lavoro per la Regione, là dove essa è chiamata a svolgere il duplice ruolo di ente da un lato legislativo e quindi generatore di norme atte a favorire un armonico e complessivo e distribuito sviluppo socio-economico aperto in positivo e non in negativo e dall'altro di ente programmatore e coordinatore delle azioni e delle politiche degli enti.
Diremo che l'opportunità di un più stretto raccordo con le istituzioni pubbliche è sempre più evidente non solo in fase di elaborazione delle linee programmatiche ma, soprattutto, in sede di gestione, al fine di individuare procedure amministrative capaci di assicurare riferimenti temporali certi su cui impostare programmi di intervento.
Operare in modo razionale significa verificare in primo luogo l'utilizzo dei fondi da parte degli enti decentrati in modo che, nonostante la limitatezza delle risorse e l'impossibilità di raggiungere tutti gli obiettivi, si possa ottenere un utilizzo ottimale per tali fondi tra varie alternative.
Ci riferiamo, in particolare, alla complessa problematica di fatto esistente in materia urbanistica che, rispetto a specifici progetti di investimento, rende necessaria l'adozione di piani di coordinamento fra gli enti decentrati al fine di non vanificare gli obiettivi e gli indirizzi di quel riequilibrio dell'assetto territoriale che da tempo ci stiamo prefiggendo.
Ritengo perciò della massima importanza vagliare analiticamente le differenti aree di intervento proposte dal bilancio regionale per individuare le disponibilità recate per gli interventi di edilizia agevolata, di edilizia scolastica e per la concessione di contributi per l'ammodernamento degli impianti atti alla tutela delle acque dall'inquinamento.
Di rilevante importanza e da esaminare nel dettaglio sono altresì gli stanziamenti per la ristrutturazione ed il potenziamento dei trasporti, per il finanziamento dell'attività agricola, per la formazione professionale in genere.
Purtroppo dobbiamo lamentare la mancata conoscenza tempestiva degli stanziamenti di derivazione statale per cui, ancora una volta, l'esercizio provvisorio è diventato una necessità inderogabile.
Volendo dare un primo giudizio di carattere generale sulla situazione economica regionale del 1981, non si può che rilevare una situazione di particolare rigidità, anche rispetto alle gestioni degli anni precedenti.
Le previsioni evidenziano, infatti, l'avvio verso un periodo in cui la percentuale dei mutui contratti su quelli previsti è senz'altro destinata ad aumentare. Tutto questo significa rischiare di tornare alla vecchia criticata politica statale delle autonomie viste come soggetti protetti e tutelati, costretti ad operare con scarsa incisività per impossibilità di tempestivi reperimenti di fondi.
Si sono programmati efficienti piani di sviluppo del territorio. Si corre il rischio che ancora una volta vengano ad essere carenti le risorse necessarie alla loro realizzazione e che le stesse ipotesi di attuazione risultino velleitarie.
Concordiamo sull'incidenza in percentuale delle varie aree di intervento sul totale complessivo della spesa prevista in termini di competenza, descritta alla tabella riportata a pagina 55.
1 dati evidenziano lo sforzo che attraverso il bilancio 1981 la Regione Piemonte intende compiere per la qualificazione della spesa pubblica.
Purtroppo, atteso che le entrate proprie dell'ente costituiscono ben poca cosa rispetto al totale, che quelle derivanti da ripartizione dei fondi di cui alla legge 281 hanno incrementi solitamente limitati, che le entrate statali sono vincolate e che la contrazione dei mutui, a causa del crescente costo del denaro, subisce importanti limitazioni, il quadro generale riassuntivo incentiva poco l'ottimismo di chi vorrebbe poter significativamente corrispondere alle esigenze crescenti espresse dalla società.
Alternative? Rimedi? Possiamo impegnare intanto la nostra migliore capacità, prima di tutto con una lotta ai residui passivi portata avanti con un'attenta verifica dei tempi di impiego e dell'utilizzo che gli Enti locali fanno dei fondi assegnati; evitando ritardi che sicuramente in tempi di forte inflazione significano perdite annuali stimate nell'ordine del 20 .
Si tratta di un notevole sforzo programmatico e ricognitivo di cui intendiamo che la Regione si faccia seriamente carico al fine di operare agendo di concerto con Comprensori, Comuni, enti territoriali e con gli enti strumentali e del credito per realizzare una migliore integrazione tra finanze che, permettendo una più profonda simbiosi tra bilancio annuale e bilancio pluriennale, consente di portare avanti un discorso di ripartizione delle spese proiettato verso una sempre maggiore crescita economica e sociale delle collettività amministrate.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carletto.



CARLETTO Mario

Signor Presidente, signori Consiglieri, l'esame del bilancio triennale della nostra Regione e del bilancio per il 1981 è un'occasione significativa per quelle verifiche politiche e di coerenza tra le parole che sono state scritte e dette durante la presentazione del programma di questa maggioranza e le volontà concrete di attuare e realizzare nei fatti i progetti enunciati.
E' un dibattito approfondito; mi pare di poter registrare che gli interventi che mi hanno preceduto, e quelli che seguiranno il mio, danno il segno di come la Regione Piemonte all'inizio della terza legislatura tenti di sfruttare l'occasione che ad essa viene offerta, quella di riscoprire il proprio ruolo.
La prima legislatura è stata una legislatura nella quale si è costituita la Regione, si sono costruite le sue strutture; la seconda è stata quella delle grandi leggi; la terza - quella iniziata pochi mesi fa può essere, a mio giudizio, la legislatura che ci consente di verificare lo stato di attuazione di queste leggi e lo stato di attuazione reale delle autonomie.
La Regione, è stato detto da più parti, amministra risorse notevoli tra le quote assegnate su leggi statali e quote autonome o, cosiddette libere da vincoli, sulle quali risorse non si indulge più in trionfalismi, come era stato fatto nella passata legislatura, ma sulle quali, se ben coordinate e ben gestite, credo si possa dare una valutazione interessante e le quali possono offrirci delle ipotesi di volano utile per l'economia piemontese, non tanto e non solo per le cifre in sé, per il loro valore e per il valore delle risorse messe a disposizione e per i settori sui quali si può intervenire, ma soprattutto - ed è un campo sul quale mi pare utile soffermarsi - per l'indotto che queste risorse possono generare e mettere in moto.
Si è parlato di un crescente grado di rigidità del nostro bilancio regionale, che preoccupa nel complesso tutte le forze politiche, per il rischio che comporta di trasformare il bilancio in un fatto puramente contabile piuttosto che in uno strumento per realizzare la politica economica e finanziaria regionale legata e supportata da una seria programmazione. Basta verificare la quota delle risorse autonome (o libere) che negli ultimi quattro anni si è più che dimezzata.
Sono impliciti in questi dati tre elementi fondamentali: 1) l'opportunità di essere una Regione trainante nel confronto fra le Regioni e lo Stato per ridefinire il quadro della finanza regionale con l'attuazione dello stato delle autonomie ed il decentramento amministrativo 2) l'esigenza di incentivare la capacità di spesa. Il collega Brizio ed altri che mi hanno preceduto, del mio Gruppo, credo che su questo terreno abbiano posto un accento preciso e fatto dei riferimenti specifici: il problema dei residui passivi, il problema dello snellimento delle procedure di spesa, sono fatti importanti e significativi, rispetto ai quali l'opinione pubblica guarda a noi con attenzione, per capire se realmente nel concreto, nella sostanza, l'esecutivo regionale - e più complessivamente il Consiglio regionale - sa recuperare spazi perduti 3) l'esigenza di qualificare la spesa - ed é stato detto da più parti attraverso progetti definiti che diano il senso delle scelte politiche che si intendono perseguire. Stanziamenti non fatti su scelte precise sono estremamente pericolosi. A noi pare che in questo bilancio si possa rilevare che le scelte a monte non siano state fatte in modo chiaro e preciso e che siano state dosate, queste risorse, con il bilancino tra i vari Assessorati per esigenze di equilibrio all'interno della maggioranza cosa che noi giudichiamo estremamente pericolosa e deleteria.
Prima di entrare nel merito del mio intervento - che vuole toccare un aspetto significativo, quello degli enti strumentali - vorrei fare alcune considerazioni su due settori che giudico importanti.
Il settore della formazione professionale, rispetto al quale si deve rilevare un'assoluta in adeguatezza degli stanziamenti, in un momento di crisi economica così profonda della nostra Regione. Definire con le organizzazioni di categoria le esigenze e venire incontro alle richieste del mercato del lavoro mi pare sia un dovere primario della nostra Regione.
Interventi non leggibili in questo settore, sui quali occorre innestare delle scelte, anche in preparazione ai fondi della Comunità Economica Europea che potranno essere consistenti e sui quali dovremo essere attenti per poter realizzare interventi che non siano di sola scolarizzazione o di assistenza, ma scelte qualificanti, legate alle linee di rilancio dell'economia regionale ed alla sua terziarizzazione più volte auspicata.
Mi pare sia questa una linea doverosa, soprattutto nei confronti di quelle organizzazioni più deboli, nei confronti del sindacato, di tutti quei giovani che aspettano un posto di lavoro.
L'Assessore Testa ha fatto recentemente delle affermazioni in questo settore, che noi condividiamo ma, al di là delle enunciazioni che spesso sentiamo in quest'aula e fuori, in dichiarazioni ai giornali, occorre passare alla fase più propriamente operativa; occorre predisporre corsi che siano finalizzati ad uno sbocco occupazionale serio, definendoli con le organizzazioni di categoria, con quell'autorità che compete alla Regione e che credo l'esecutivo debba far valere in questi confronti. Nel mese di ottobre ho avuto l'occasione, in un breve intervento che ho fatto in quest'aula, di soffermarmi su questa materia. Chiedevo in quell'intervento i risultati della riqualificazione professionale; chiedevo che il Consiglio fosse informato sulle offerte di manodopera qualificata e specializzata portavo dati dell'Unione Industriale sulle difficoltà di reperimento di questo tipo di manodopera qualificata e specializzata. Sono settori importanti , sui quali certamente l'Assessore Sanlorenzo vorrà ritornare in un futuro mi auguro prossimo, per poter dare, non tanto a noi come forza politica, ma complessivamente alla comunità regionale delle risposte precise.
Il secondo settore è quello dell'energia, che mi compete direttamente per l'impegno che ho nel mio Gruppo riguardo ad esso. Ho avuto occasione di intervenire nel dibattito che abbiamo recentemente svolto in aula; credo di poter riconfermare che gli stanziamenti proposti nel settore energetico che poi sono stanziamenti ripresi dal disegno di legge della maggioranza presentato in Quinta Commissione - sono assolutamente inadeguati.
La nostra proposta, il disegno di legge che faremo, per quanto attiene all'impegno di spesa non sarà certamente una proposta provocatoria, ma una reale individuazione delle risorse che noi riteniamo minime ed indispensabili per un intervento serio in questo settore. Se sono vere le necessità evidenziate nel dibattito svolto in questo settore, l'impegno della Regione nello studio di progetti finalizzati al conseguimento del risparmio energetico, al migliore utilizzo delle risorse alternative, alla progettazione ed alla realizzazione di impianti sperimentali per lo sfruttamento delle risorse rinnovabili ed il recupero dei rifiuti organici se sono vere le cose dette questo impegno va supportato da stanziamenti decisamente più consistenti. E' un settore vasto, e noi concordiamo con chi affermava in quel dibattito che la Regione non è sufficiente con le sue risorse per affrontare questa tematica. Allora occorre, accanto ai nostri stanziamenti e a quelli statali, incentivare i canali finanziari pubblici e privati perché sul territorio si senta realmente l'effetto delle nostre volontà politiche, se no si fa della retorica e continua ad essere questo un "libro dei sogni".
Queste ed altre considerazioni, sviluppate dai miei colleghi nel corso di questo dibattito, mi inducono a svolgere con un minimo di attenzione e di profondità un tema che vuole essere centrale del mio intervento: "gli enti strumentali". Mi pare sia un argomento interessante e, se mi consentite, anche nuovo, il nostro Gruppo ha ritenuto, affidandomi questo impegno, di offrire un'attenzione particolare a questi enti strumentali. Ci pare di dover registrare che anche durante le consultazioni, che con questi enti sono state approfondite (direi che sono gli enti che hanno risposto di più e meglio alla nostra sollecitazione), siano emerse delle valutazioni e delle considerazioni sulle quali vale la pena dare un giudizio politico, e la D.C. intende farlo. Esse si legano con puntualità al discorso della crisi economica e sociale della nostra comunità, considerando alcuni di questi enti canali di studio e di ricerca interessanti ed altri strumenti di gestione veri e propri, sulla cui attività oggi intendiamo offrire un contributo del nostro Gruppo. L'importanza degli enti strumentali della Regione non traspare dalle cifre stanziate in bilancio, seppur aspetto questo, significativo: ma dall'esame della loro attività concreta e da come essi si raccordano alla politica complessiva della nostra Regione.
Tali enti, creati dalla Regione all'inizio della seconda legislatura (la gran parte di essi) vengono ora considerati dalla medesima dei corpi estranei di cui disinteressarsi, essendo forse venuto meno il controllo diretto su di essi. L'importanza di tali enti impone, invece, la necessità che il Consiglio si interroghi periodicamente sulla loro attività e sulla rispondenza tra il loro operato e le finalità previste dalle leggi istitutive. L'occasione del bilancio che ci viene offerta mi pare non debba e non possa essere episodica. Nasce, quindi, l'esigenza di sviluppare un esame critico del ruolo assunto da tali enti, accanto ad alcune proposte che noi faremo ente per ente, tese a migliorare quel ruolo e collegandolo maggiormente all'attività regionale. Ci pare questo un intervento nuovo ancorché utile alla luce di un'esperienza ormai acquisita e consolidata almeno per la gran parte di questi enti. L'inizio della terza legislatura può essere anche un'occasione per una verifica rispetto a questo raccordo e per correggere eventuali storture che dovessimo evidenziare in questa sede.
Non si poteva fare in passato questa verifica. Oggi la si può fare nello spirito della verifica sullo stato di attuazione delle autonomie ed intendiamo entrare nel merito perché il Consiglio sia investito, come istituzione, di questi problemi e per stimolare un dibattito in ordine ad enti che la Regione ha creato e sui quali deve svolgere un ruolo costante di verifica.
Esaminando alcuni di questi enti, i principali, partirei con l'Ires anche per anzianità. E' un ente di ricerca che viene da lontano, con esperienza notevole alle spalle negli studi socio-economici del Piemonte e di pianificazione territoriale. Dobbiamo registrare con tristezza che la Regione si avvale solo episodicamente di tale istituto per l'attività di ricerca, preferendo ricorrere a consulenze esterne.
Il problema delle consulenze esterne è stato più volte ripreso in quest'aula, sul quale le forze politiche credo abbiano dato delle valutazioni precise che il nostro partito intende ribadire. Il clima che si respira all'Ires è un clima di gente sotto utilizzata, direi quasi un clima di tecnici frustrati. Gli studi sulla situazione economica e sociale del Piemonte, assai validi sul piano scientifico, sono stati quasi ignorati dalla Regione in sede di formazione del primo piano di sviluppo regionale.
Le analisi quantitative sulla realtà economica regionale, di competenza dell'IRES, sono svolte anche dal C.S.I., altro ente strumentale preposto alla gestione dell'informatica regionale, e ciò determina una duplicazione di iniziative, uno spreco di risorse ed una confusione di ruoli. Quindi dobbiamo registrare una mancanza di raccordo sui piani delle ricerche tra l'istituto e la Regione; esigenza, quindi, di verificare sulle iniziative per evitare scelte disorganiche ed antitetiche, come è avvenuto in passato attraverso un canale che è istituzionalmente corretto, cioè un confronto che può avvenire in aula.
Le nostre proposte, che faremo (avendo all'ordine del giorno della I Commissione un dibattito su questo ente), possono essere riprese succintamente su alcuni punti: 1) riteniamo che l'ente debba essere un istituto per l'analisi e la programmazione a medio e lungo termine e non sul contingente 2) riteniamo che debba essere ristrutturato, per rinforzarne il settore industriale e la finanza locale 3) riteniamo che debba essere un istituto aperto alla comunità regionale, in passato offriva contributi validi e seri ai Comuni, alle Province, alle Comunità montane. Riteniamo che non possa essere un ente chiuso in un rapporto limitato con l'Ente Regione.
Occorre che la Regione si avvalga in modo sistematico dell'attività dell'IRES per lo svolgimento dei propri programmi di ricerca opportunamente e chiaramente definiti. Le analisi quantitative sulla realtà economica regionale devono rientrare fra le competenze dell'IRES, eliminando così inutili e costose concorrenze con il C.S.I. Utilizzarlo vuol dire anche ridurre drasticamente delle consulenze che appaiono inutili e costose.
Un altro ente sul quale gli amici della Coltivatori Diretti spesso hanno occasione di intervenire in modo anche polemico, talvolta, è l'ESAP.
Durante le consultazioni abbiamo dovuto registrare l'assoluta mancanza di programmazione - ci hanno detto i rappresentanti dell'ESAP - causata sostanzialmente da due fatti: la mancanza degli organi collegiali e la diminuzione delle risorse disponibili. I rappresentanti dell'ESAP hanno giudicato il loro bilancio puramente tecnico, lamentando la mancanza di uno stanziamento nell'ordine del miliardo. Tra le attività interessanti di questo ente, quali l'assistenza alla cooperazione, attività promozionali dobbiamo registrare grosse carenze, che provocano indebitamento e che creano perplessità. La politica di avvio dei piani agricoli zonali dobbiamo dircelo con franchezza, è quasi nulla, con costi, però, per il personale, per le strutture e per impiantare questa organizzazione e per la sua gestione, estremamente onerosi - come diceva la collega Vetrino Nicola senza che si sia potuto accedere a finanziamenti utili. La mancanza di rapporto con la politica agricola dell'Assessorato e del Consiglio, e quindi la mancanza di collegamento con la III Commissione, che si occupa dei problemi dell'agricoltura, è un fatto negativo, che ci fa dire che la politica dell'ESAP e una politica del giorno per giorno. Gli interventi che l'ESAP fa non hanno precisi riferimenti nei vari comparti e l'esempio più clamoroso è quello nel settore lattiero-caseario, con l'acquisto di strutture decotte ed indebitate. L'esempio di Passera, di Crescentino, è emblematico; su di esso ritorneremo perché ritengo che si debba in questo settore entrare nel merito e dare anche delle valutazioni politiche sugli interventi scelti. Interventi, quindi, senza logica programmatoria e addirittura, interventi fatti nel fondiario, come ad Alessandria, con un impegno di 2 miliardi senza capire né vedere lo sbocco di essi. Allora quali sono le proposte che la D.C. fa rispetto a questo ente? Noi riteniamo che debba essere essenzialmente al servizio dell'agricoltura, quindi con una maggiore incidenza nel mondo agricolo, non solo nella gestione, ma soprattutto nelle linee di intervento che devono ispirare la sua attività. Un maggiore collegamento con la Regione, con l'Assessorato e con il Consiglio, evitando una politica avulsa e con un rendiconto sul quale credo si debba svolgere in aula un ampio dibattito.
Il Centro di Calcolo, altro ente importante, sul quale credo sia utile fare chiarezza e capire come la Regione intende portare avanti questo consorzio con l'Università ed il Politecnico per il trattamento automatico dell'informazione. Noi lo avevamo inteso - quando è stato costituito - come una struttura che non doveva diventare elefantiaca; doveva avviare la sua attività verso i Comuni, nel senso di svolgere attività promozionali verso i grossi Comuni od i Consorzi di Comuni, per attrezzarli all'autogestione dell'informatica. Oggi, invece, dobbiamo registrare che questo ente ha accentrato le contabilità degli Enti locali, risolvendo sì un problema contingente, ma di fatto impedendo una loro crescita autonoma in questo settore.
E' chiaro che su queste scelte si è innestata l'esigenza di acquistare impianti costosi e di grossa portata, come l'Olivetti-Itaki, macchina di grande prestazione, sottoutilizzata, i cui costi di manutenzione sono notevolissimi e, peraltro, non conteggiati nel bilancio dell'ente, così come non viene conteggiato l'ammortamento degli stabili nei quali questo Consorzio ha sede. Dobbiamo quindi dire che esso tende a gestire in modo esclusivo ed interessato i servizi che svolge per gli Enti locali, oltre che svolgere ricerche che non rientrano nelle sue competenze - e l'accenno che ho fatto prima all'intreccio con l'IRES mi pare fosse chiaro l'accesso ai servizi del Centro di Calcolo da parte della Regione, dei singoli Assessorati è del tutto scoordinato ed episodico: quindi riteniamo che su questo ente si debbano definire chiaramente le modalità di accesso degli Assessorati ai servizi, attraverso precisi programmi che prevedano la necessaria preparazione del personale preposto alla loro attuazione.
Credo sia altrettanto utile sviluppare - e lo chiedo ufficialmente al Presidente della Giunta - all'interno del Consiglio un dibattito sul programma regionale di informatica che il Centro di Calcolo è tenuto a presentare e che non è stato mai fino ad ora realizzato. Definire chiaramente, quindi, gli ambiti di competenza del Centro di Calcolo nel campo delle ricerche, alla luce delle decisioni che il Consiglio vorrà assumere nel prossimo futuro rispetto all'IRES.
Un altro ente al quale vorrei dedicare alcuni minuti è la "Mandria". La lettura del bilancio previsionale per il 1981 e pluriennale dell'azienda non può che essere fatta attraverso le finalità per le quali l'azienda stessa è stata costruita ed il parco regionale, del quale la tenuta costituisce l'area attrezzata. Le finalità erano: la manutenzione ed il risanamento dei valori immobili di notevole valore storico-ambientale, la fruibilità pubblica, a fini didattici, sociali e culturali dei beni dell'azienda e dell'area inserita nel parco, la gestione a fini produttivi e sperimentali delle aziende agricole presenti. Allora, la domanda che ci poniamo è come risponde l'organizzazione della spesa del bilancio 1981 dell'ente agli obiettivi di miglioramento della gestione e di produttività previsti. Pare, leggendo i capitoli del bilancio, che gli interventi finanziari siano organizzati sulla base di progetti che noi riteniamo errati. L'area di attività del personale, per esempio, non chiarisce alcune difficoltà di fondo: il personale è dal 1978 in attesa di definizione di organico e di sistemazione giuridica o nel ruolo regionale, o con contratto dell'agricoltura; la vicenda della nomina del direttore di questo ente; la gestione speciale zootecnica, che presenta una previsione di perdita di 150 milioni e nella quale dobbiamo registrare non esiste programmazione alcuna.
A tempo abbastanza breve pare che l'Università presenti lo studio sulle capacità di allevamento di bestiame bovino quale primo contributo alla ricerca sulle potenzialità dell'azienda. Ma siamo a cinque anni dalla sua istituzione! Così come non esiste un piano di miglioramento delle strutture che nel giro di qualche anno recuperi all'uso la grande totalità degli immobili. Gli interventi pregevoli su alcune strutture sono stati slegati da ogni programma di utilizzo talché è oggi una disputa profonda quella per l'utilizzo, della cascina Brero che, mentre noi riteniamo che debba essere usata al servizio delle scuole piemontesi per l'allestimento di settimane verdi, la maggioranza vuole metterla a disposizione del Comune di Torino con la scusa che non esistono le cucine.
Concludendo su questa azienda, l'incapacità organizzativa dell'Amministrazione sembra essere la causa prima della mancata produttività dell'azienda, che potrebbe facilmente auto sovvenzionarsi al fine di realizzare con il provento delle attività produttive gli obiettivi del miglioramento ambientale e della fruibilità pubblica. L'avanzo di amministrazione di 800 milioni, che è pari al contributo regionale, che ormai si trascina da anni e che rappresenta un terzo del bilancio, è un ulteriore elemento di non chiarezza in questo settore.
La Finpiemonte è il braccio della Regione. E' il braccio finanziario una società nella quale la Regione ha profuso risorse, capacità ed impegno.
Dobbiamo registrare su questo ente una totale assenza di dibattito in Consiglio regionale sui suoi programmi presenti e futuri. Dobbiamo registrare la mancanza di coordinamento fra l'attività della Regione e quella della sua finanziaria e, come su altri enti, un sostanziale disinteresse della Regione rispetto alla sua attività.
La nostra valutazione, rispetto a questa che pare essere una scelta politica, è quella che in aula si debba svolgere un dibattito tra le forze politiche per fare chiarezza. Pare quasi che non ci si fidi più di questo ente o che, comunque, non lo si possa più controllare. E' utile fare una verifica sulla lentezza dell'avanzamento dei lavori e degli interventi in atto, sullo stato della rilocalizzazione industriale, che pare essersi sgonfiata, cioè sulle 14 aziende che dovevano essere rilocalizzate all'esterno della città. Pare che ci siano inadempienze da parte di alcuni Comuni, allora ci chiediamo perché la Regione non è intervenuta su questi Comuni per agevolare la rilocalizzazione.
Ribadiamo la necessità che sulla Finpiemonte sia utile sviluppare periodici dibattiti in aula, per verificarne l'attività e per definire l'atteggiamento che la Regione intende assumere nei suoi confronti. Un dibattito dovrebbe avvenire almeno in occasione della presentazione da parte dell'ente del proprio rendiconto consuntivo e del proprio bilancio preventivo. Ci pare utile individuare, all'interno del bilancio regionale programmi di intervento la cui esecuzione potrebbe essere affidata alla Finpiemonte, la quale è in grado, a nostro giudizio, anche di convogliare su di essi risorse private. La scelta di tali programmi dovrebbe avvenire in sintonia con l'attività di ricerca e di studio che la Finpiemonte svolge autonomamente, come, ad esempio, nel campo dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Non debbono rientrare, in ogni modo, tra le competenze della Finpiemonte - perché la ricerca di nuovi spazi di intervento da parte della Regione può portare a queste scelte - le attività di assistenza tecnica e tecnologica alle piccole e medie imprese e gli interventi di salvataggio delle aziende in crisi. In questi due settori gli interventi operati dalle finanziarie regionali in altre Regioni sono risultati fallimentari ed hanno prodotto dei guasti.
Tentare di raccordarsi su questi argomenti, sull'attività dell'IPLA sulla quale non mi soffermo - sull'attività della Promark mi pare sia un dovere del Consiglio regionale. Abbiamo voluto entrare nel merito di questi enti non per spirito di polemica (né il mio intervento intendeva esaurirsi su questo compito), ma per due ragioni fondamentali: per sensibilizzare il Consiglio su questi enti più di quanto già non lo sia e per tentare di dimostrare che è indispensabile in questa materia mettere ordine, evitando il proliferarsi di intrecci e di competenze e razionalizzando la loro presenza sul territorio. Quindi, l'invito che faccio, a nome della Democrazia Cristiana, alle altre forze politiche, è per un più stretto raccordo con i nostri rappresentanti nei vari enti (impegno che noi intendiamo assumere in questo senso) ed una richiesta precisa al Consiglio regionale ed all'esecutivo perché il Consiglio venga investito periodicamente, attraverso relazioni, attraverso dibattiti, attraverso periodici confronti sull'attività che essi svolgono. Evidenti scollegamenti abbiamo registrato in questi enti: disorganicità negli interventi sottoutilizzazione per alcuni di essi, megalomania, forse, in altri, ma complessivamente abbiamo registrato un buon livello professionale che, se ben incanalato e ben utilizzato, può offrire veramente al Consiglio regionale ed alla Giunta un braccio di intervento, di studio e di gestione significativo.
Un dibattito complessivo sugli enti strumentali - e mi richiamo anche a quanto diceva la collega Vetrino Nicola - che mi paiono in declino è, a nostro giudizio, indispensabile. Non ci vuole molta perspicacia per capire che dopo dieci anni di vita regionale gli enti paralleli stanno esaurendo il loro ciclo e stanno lasciando spazio libero al ritorno della Regione ministeriale, quella delle responsabilità e delle strutture centrali. E' un bene o un male il fenomeno che sommariamente ho tentato di descrivere? Temo che il declino di questi enti viene soprattutto dai nemici che essi hanno sia all'interno che all'esterno della struttura regionale: gli stessi Assessori, che preferiscono consulenti di fiducia; i funzionari regionali a volte, che temono di essere esautorati; le opposizioni che vi hanno visto la sede di formazione e consolidamento di interessi clientelari e di rapporti privilegiati con le categorie sociali. Ma l'esigenza di una Regione capace di essere soggetto attivo ed operativo nello sviluppo del Paese è proprio superata? Certamente, a mio giudizio, no. La Democrazia Cristiana è disponibile, dai banchi dell'opposizione, con serietà, con pacatezza ma con grande severità, a contribuire nel dibattito che, mi auguro, questo Consiglio vorrà affrontare su questi temi nei prossimi mesi per fare chiarezza in una materia nella quale, per la verità, chiarezza ne ho riscontrata ben poca.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il mio non sarà un intervento "tecnicistico" sulle cifre: del resto credo che sarebbe un'esercitazione inutile, in assenza dell'emanazione della legge finanziaria da parte del Governo che porta all'incertezza sulle risorse disponibili.
Discutere in Consiglio il bilancio preventivo è un atto fondamentale per tutta l'attività dell'istituzione, ma al tempo stesso per le difficoltà di comprensione del bilancio stesso, per la sua limitatezza temporale riferita ai tempi di attuazione della spesa di investimento, rende questo atto di alto valore politico una manifestazione per schieramenti preconcetti. Mi spiego: si può e si deve criticare, come faremo più avanti la presenza di residui passivi, ma si possono considerare passivi dei fondi già stanziati, già impegnati, che non sono stati erogati solo in quanto la realizzazione di opere richiede tempi di gran lunga superiori all'anno stesso? Per questo, e per rendere più vero, più centrato e di merito il dibattito in Consiglio crediamo si debba dare più organicità al bilancio pluriennale, superando in positivo l'esperienza del bilancio pluriennale 1978/1980, del piano di sviluppo, dove non si è riscontrata una sufficiente programmazione della spesa, legando cioè al dato più generale di programmazione degli interventi un opportuno coordinamento a questo della spesa.
Inserire un intervento programmato in un arco temporale sufficiente alla sua attuazione e legarlo ad una copertura finanziaria articolata e coordinata con i tempi di realizzazione, permette di equilibrare meglio la spesa, superare in larga misura i residui, in ultima analisi permette di razionalizzare al meglio le risorse disponibili e trarne il massimo beneficio e la razionalizzazione delle risorse appare oggi un compito prioritario, vista la "parsimonia" della ripartizione dei fondi che lo Stato dà alle Regioni. "Parsimonia" non giustificata certo dalla tragedia del terremoto che ha colpito le regioni meridionali, ma piuttosto frutto di una precisa scelta politica centralizzatrice del Governo.
E qui ci pare doveroso invitare i compagni socialisti ad un più preciso intervento nell'ambito del loro partito sul governo centrale, per un superamento di questa logica che porta ad un esaurirsi della carica innovativa che la costituzione delle Regioni aveva in sé; sono ormai passati dieci anni e siamo al "dunque"; decollo o crisi delegittimante di questo istituto che è il frutto di una lunga battaglia delle sinistre nel Parlamento e nel Paese.
Un altro invito rivolgiamo ai colleghi dell'opposizione democristiana di definire in questa sede, ma non solo, anche nella pratica della loro opposizione, le loro posizioni su questo tema, la loro critica ad un governo centrale che strangola le Regioni.
La scelta centralizzatrice del Governo che taglia i fondi alle Regioni ed agli Enti locali, che ripartisce le scarse risorse vincolandole rigidamente (siamo a marzo e il Governo non ha ancora emanato la legge finanziaria rendendo incerta l'elaborazione del bilancio delle Regioni) fa il paio con un quadro di politica economica nazionale chiaramente deflazionistico da crescita zero. Con l'80 % del bilancio vincolato in presenza delle scelte sopra richiamate che creano disoccupazione, le Regioni si trovano ad operare in una situazione di impotenza rispetto alla necessità di dare risposte positive alle tensioni sociali. In questa situazione il loro ruolo politico viene grandemente sminuito.
Ma torniamo al bilancio 1981. Anche quest'anno siamo ben lontani dall'obiettivo della trasparenza e della facile lettura. Sarà necessario fare di più e meglio in futuro, come ha affermato lo stesso Assessore Testa nella relazione. In futuro sarà anche necessario, a nostro avviso coinvolgere maggiormente i Comprensori costruendo la spesa con la capacità programmatoria degli stessi, il ruolo che dovranno giocare i Comprensori dovrà essere costruito da oggi attraverso il loro potenziamento e la rivalutazione del loro ruolo programmatorio, in modo che diventino l'asse portante del secondo piano di sviluppo. In questo modo sarà possibile un reale coinvolgimento dei Comprensori nell'elaborazione del bilancio e nella riduzione della spesa.
Sui residui passivi a noi sembra, al contrario di quanto ha affermato il Consigliere Brizio, che la situazione della Regione non sia drammatica.
Certo, vi sono dei residui passivi e non sempre la Regione riesce a spendere come sarebbe opportuno. Le somme non spese, in periodo di inflazione, si traducono in distruzione di ricchezza quando sarebbero possibili investimenti sociali. Vanno quindi combattuti i riflessi negativi di questa politica e ogni sforzo deve essere fatto in questo senso. Non ci dobbiamo accontentare di essere tra le Regioni che hanno minori residui passivi, anche se è un dato importante e non trascurabile, l'obiettivo per è quello di ridurli al minimo.
Su questo obiettivo, mi sembra, concordiamo tutti, ma deve essere affrontato in termini di reale volontà politica e modo di governare a tutti i livelli non può essere il modo strumentale con il quale si coprono scelte di schieramento.
Certamente, collega Brizio saresti stato più convincente su questo punto, se la foga con la quale contrasti l'esistenza dei residui passivi nella Regione Piemonte, tu e il tuo partito la usaste anche nei confronti delle Regioni da voi amministrate, ad esempio nel sud, lì i residui passivi sono ben altra cosa, ben maggiori del Piemonte, e la capacità di quelle amministrazione è ben altra cosa tenendo conto della dimensione dei residui e della situazione sociale che imporrebbero oltre alla completa capacità di spesa interventi straordinari non assistenziali.
Dicevo prima, non possiamo cullarci sul fatto che i nostri residui siano relativamente pochi, vanno ridotti, e messe in atto tutte le iniziative opportune a tale proposito.
Va fatta funzionare meglio la macchina della Regione, in questo senso un ruolo determinante assume il personale, la sua gestione, la professionalità, il modo con il quale viene organizzato il lavoro, per questo momento importante sarà il dibattito sul personale che fra breve faremo qui in Consiglio.
Lunedì sentiremo le organizzazioni sindacali, convinti che anche come Consiglio sia necessario giocare un ruolo sulla risoluzione dei problemi posti dalle stesse, alle quali certamente va riconosciuto il merito di aver posto un problema che investe non solo i problemi del personale ma anche il modo di funzionare della Regione.
E' anche necessario che la Giunta faccia uno sforzo di verifica delle leggi che a volte non raggiungono il loro obiettivo, per analizzare le cause e rimuoverle.
E' necessario stimolare la capacità di spesa delle Comunità montane dei Comprensori, dei Comuni, anche fornendo strumenti tecnici per elaborare piani e progetti.
Ultimo aspetto da considerare per migliorare la situazione dei residui passivi e di dare più trasparenza al bilancio, è come accennato all'inizio l'adozione del bilancio pluriennale legato al secondo piano di sviluppo.
Guardando l'esperienza del passato ci pare necessario coordinare di più l'aspetto programmatorio con la programmazione della spesa e la sua gestione attraverso i bilanci annuali.
La diminuzione delle risorse disponibili impone una razionalizzazione della spesa e finalizzarla per scelte di sviluppo in settori che permettano un allargamento dell'occupazione, ribaltando la linea di sviluppo "zero" del Governo.
In questo senso il secondo piano di sviluppo non solo è essenziale ma è la condizione per discutere e valutare il bilancio pluriennale e la sua aderenza al piano di sviluppo: è questo che vogliamo discutere ed in quella sede portare il nostro contributo.
In questo quadro riteniamo che gli obiettivi da privilegiare nell'ambito delle risorse disponibili nel bilancio di previsione 1981 e nel bilancio pluriennale 1981/1983, ci riconducono alla necessità di un intervento in misura massiccia e crescente su alcuni settori quali la casa l'energia, la formazione professionale, la cooperazione in agricoltura e sull'assetto del territorio.
Entrando nel merito degli obiettivi sopra elencati noi riteniamo indispensabile che la Regione Piemonte aumenti gli stanziamenti in questi settori di primaria importanza, al fine di dare prime risposte concrete ai problemi posti dalla crisi economica che investe la nostra Regione in tutti i settori produttivi che hanno trainato lo sviluppo dell'economia locale.
In questo senso rispetto al problema "casa", come partito abbiamo presentato in Consiglio una proposta di legge affinché venga avviato un piano di investimenti straordinari nel settore e la regionalizzazione degli I.A.C.P. in applicazione del D.P.R. 616 non solo per dare una risposta in positivo alla sempre crescente domanda del bene "casa", non in termini di proprietà della stessa, ma bensì come bene sociale e nello stesso tempo dare fiato al mercato delle locazioni con il fine di soddisfare la crescente richiesta da parte dei ceti meno abbienti.
Altro settore di intervento proposto è la questione del reperimento di fondi energia e del risparmio di questa, già per altro affrontato nella seduta di ieri dal Consiglio, e sul quale noi abbiamo evidenziato la nostra scelta di opposizione alle proposte nucleari, che certamente non attenuerà la nostra dipendenza dai Paesi produttori di materie prime. Estremamente inadeguate sono le risorse destinate allo sfruttamento di fonti rinnovabili. Su questa partita, che noi riteniamo fondamentale per la nostra Regione, si giocherà il futuro sviluppo dell'economia locale e nazionale, ed indubbiamente modificherà in parte i rapporti di forza esistenti nel sociale, cioè se passerà una scelta nucleare e centralizzatrice introdurrà dei meccanismi neo autoritari nel rapporto con i cittadini, cioè fra Stato e società e nei rapporti di produzione.
Sulla formazione professionale è necessario uscire da un ruolo di mero servizio subalterno alla domanda delle aziende, ma collegare la formazione professionale allo sviluppo di alcuni settori fondamentali, tale che sia da supporto ad una trasformazione dello sviluppo.
Per finire, sull'agricoltura è necessario ricordare tre aspetti chiave che devono guidare l'intervento della Regione. La produzione nell'80 è stata minore che nel ' 79, in particolare nei settori chiave dell'economia piemontese: 1) nel corso dell'80 non si sono avviati piani di sviluppo tali da poter capovolgere la tendenza in atto.
2) Vi è l'esigenza di riscoprire un ruolo dell'agricoltura in un'economia regionale sempre più avviata verso il collasso.
3) E' necessaria una riqualificazione del ruolo dell'agricoltura piemontese nell'ambito del MEC.
Il bilancio riflette una inadeguatezza ad affrontare a fondo questi problemi in termini programmati, lasciando alla inadeguatezza del momento il ruolo da giocare nei singoli interventi. In particolare ci sembra negativo: l'assenza di un piano di riqualificazione la prevalenza di interventi su aree di mero consolidamento e di pura difesa dell'esistente l'inadeguatezza dei fondi per l'assistenza tecnica produttiva e la sperimentazione, per favorire nuovi insediamenti agricoli.
Non esistono capitoli in merito alla ricerca ed allo studio di alternative produttive, tecniche e di commercializzazione.
L'intervento sulle cooperative, pur essendo discreto, non pone basi di generalizzazione di esperienze "complete".
Al di là quindi delle stesse cifre, bisogna marcare l'insufficienza delle risorse e dell'intervento della Regione per dirottare le risorse disponibili verso aree di intervento che pongono le basi future per una ripresa dell'economia agricola piemontese.
Certamente, questi aspetti non sono scindibili, ma piuttosto mi sembrano profondamente legati ad una battaglia a fondo che modifichi le norme CEE che penalizzano la nostra agricoltura.
In conclusione, si tratta di fare delle scelte all'interno della limitatezza delle risorse disponibili, di razionalizzare e programmare la spesa.
Ma si tratta anche di non fare demagogia, di prendere atto che non si cambia la politica del Governo, se non si trasforma il ruolo delle Regioni da ufficio decentrato del Governo, ad ente realmente in grado di programmare, ribaltando la proporzione oggi esistente tra risorse vincolate e libere ben poche cose saremo in grado di decidere in quest'aula.
Le scelte passeranno altrove.
Ecco, in questo sta la strumentalità dei vostri interventi, colleghi democristiani, nell'assenza di precisi impegni a dare una battaglia nei confronti del Governo su questi problemi. Grazie.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Borando.



BORANDO Carlo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, fino a stamattina non era nelle mie intenzioni intervenire, perché così dotte e così ampie sono state le relazioni di coloro che mi hanno preceduto. Poi, sono stato spinto a farlo, avendo sentito qualche intervento che toccava qualche problema particolare e, allora, mi sono detto che è vero che il silenzio è la migliore virtù ma dopo la parola.
Volendo aggiungere qualcosa a tutto quanto è stato detto, desidero precisare subito che è mia intenzione non diffondermi su tutto l'arco degli interessi che il bilancio regionale prevede, perché sarebbe pretesa eccessiva sia per il tempo che richiamerebbe sia perché non ho difficoltà a dirlo, non so tutto su tutto.
Mi si consenta solamente di puntualizzare alcune cose suggerite da una visuale di osservazione obiettiva e credo dettata dal buon senso.
Avendo scorso e valutato il bilancio nelle su cifre e per la verità nella sua rigidità, vien da fare le seguenti considerazioni: i soldi a disposizione sono pochi l'Assessore Testa, con questo bilancio sta manipolando un osso talmente spolpato, intorno al quale sia al di là che al di qua del banco si stanno affannando in molti per vedere di strappare ognuno qualche cosa in più di conseguenza i troppi soldi che ci sono vanno spesi al meglio individuando i settori che per importanza ed urgenza, richiedono in misura maggiore ed urgente, gli interventi della Regione.
E' superfluo aggiungere che anche la politica della spesa corrente amministrativa, va impostata con il massimo rigore riducendo al massimo riducibile, senza ovviamente penalizzare la funzionalità dell'istituto tutto ciò che non è strettamente necessario: pubblicazioni, propaganda viaggi, telefoni, automobili, spese di rappresentanza sia di tutti gli amministratori e soprattutto anche di funzionari.
Quando dico questo, non intendo fare delle accuse specifiche, si sa che quando si vive in un mondo che non è strettamente personale le cose vengono considerate con un'ottica diversa e quindi chi si muove quando sente "l'asso nella bocca, il morso" come dice il poeta, finisce come un cavallo senza guida ad estemporaneizzarsi sempre più. Voglio dire che le briglie le deve tirare chi le ha in mano. Questa non è una mentalità ristretta questo, a mio giudizio, è solo rigore, stile e onestà nei confronti dei cittadini e soprattutto della precarietà in cui si trova la comunità nazionale e regionale.
D'altro canto ognuno a casa propria questi conti li fa. E più specificatamente, nelle scelte operative e quindi negli interventi, va detto che queste scelte vanno valutate anche qui con il massimo rigore e con il massimo di intuizione possibile. Per esempio, come stamattina, il Vicepresidente diceva, non siamo qui per ricevere indicazioni, consigli tutti i supporti che volete dare.faccio un esempio di alcuni Comuni della provincia di Novara, potrei farli del Cuneese, del Torinese dell'Astigiano. A Borgoticino, in provincia di Novara, si sono spesi qualche anno fa circa 300 milioni per fare un asilo nido, il cui costo di esercizio è notevole. Mi pare ci siano 5-6 persone addette, per accogliere due decine di bambini, in compenso, c'é il vecchio asilo frequentato da un'ottantina di bambini che va avanti con un paio di suore ed un paio di donnette che aiutano.
Con questo non sono qui a dire che non bisogna fare gli asili nido bisogna valutarle queste cose: era strettamente necessario farlo? Ci sono invece altri settori tipo la legge urbanistica che prevede il piano regolatore per ogni Comune, anche per quelli di 300 abitanti e per moltissimi di essi prevede anche il cosiddetto piano di attuazione. Voi capite che tutti questi sono progetti; consulenze, carte che puzzano di ammoniaca, che si accatastano nei soffitti o nelle cantine dei Comuni e che invaderanno tutto l'ambiente ieri di Astengo oggi di Simonelli.
Non è forse sufficiente per questi Comuni un piano di edificazione più sommario? Vogliamo fare il conto dei costi professionali di tutti gli strumenti urbanistici di almeno 500 Comuni su 1.200 della Regione Piemonte dove non è assolutamente necessario fare ciò che si fa, limitandosi naturalmente a far rispettare alcune regole ed indirizzi! Il carico di queste spese sui Comuni si rifletterà inevitabilmente sulla Regione, o per i contributi che chiedono ad hoc o perché spendendoli così non possono destinarli d'altra parte.
Queste sono proprie spese produttive o lo sono solo per gruppi o cooperative di professionisti uniti sotto l'insegna di sigle che sovente assomigliano di più alla targa di un'automobile straniera che altro.
Intendo dire che anche se moltissime sono le cose da fare, ve ne sono alcune che sono più importanti e più urgenti e quindi più necessarie. E a queste va data la prevalenza. Allora, l'insufficiente disponibilità, non può essere ripartita tra i vari Assessorati, tanto per dare a tutti da fare qualche cosa. Certo, tutti hanno da fare qualche cosa, perché le loro funzioni toccano tutti i temi della vita dei cittadini. Ma ci sono dei temi che hanno le caratteristiche di farci sopravvivere sia in senso fisico che in senso economico. E allora, mi riferisco ancora al Vicepresidente che stamattina richiedeva queste cose e che è dotato di un notevole senso pratico.
Ecco le osservazioni.
Ecologia: settore che richiede, a mio avviso, interventi primari, e non su delle cose di poco conto. Ci sono settori produttivi nel campo dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura che con la tecnologia moderna e il progresso hanno inquinato e inquineranno sempre più l'ambiente, l'aria, le strade, le acque. Il disinquinamento o gli impianti depurativi hanno costi notevolissimi che condizionano la capacità delle imprese a provvedervi e che nel contempo influiranno sul rialzo dei costi di produzione. Vogliamo intervenire e in quale misura? Con contributi, con mutui; nella misura in cui si crede più opportuno, ma questo secondo me è uno dei settori da privilegiare.
Energia: vi è stato un lungo dibattito fatto qui la settimana scorsa e conclusosi l'altro giorno. Si è giunti alla scelta del nucleare nonostante, caro Montefalchesi, la tua opposizione e forse quella a metà di Reburdo. E' evidente che con le sole forze che la natura ci mette a disposizione e con i mezzi tradizionali, non ce la faremo, perché con il prezzo sempre in rialzo degli sceicchi, sempre riferito al petrolio e con i costi di produzione che dal petrolio derivano, è evidente che rispetto ai prezzi del nucleare, sia pure con tutte le caratteristiche di previdenza e di saggezza possibile, noi saremo sempre in un rapporto di 1:2 o di 1:3. E allora, caro Montefalchesi, vedrai che il problema della cassa integrazione o del fermo impianti diventerà uno di quei problemi scottanti ben più di tutte le preoccupazioni che possono anche giustamente dare questa tecnologia avanzata che proviene dal nucleare.
Ma si vuol fare il censimento di tutte le vecchie fonti di energia idraulica ed aiutare tutti coloro che vogliono ripristinare tali impianti purché anche qui l'operazione venga fatta in termini economici? Attrezzature di aree per insediamenti industriali, ecco il punto. E' più giusto che l'Assessore Enrietti oggi finanziasse un asilo nido non strettamente necessario come quello di Borgoticino oppure che l'Assessore Rivalta aiuti il Comune di Pombia a potenziare le aree attrezzate del PIP per favorire il sorgere di unità produttive? Questi sono i quesiti che ci dobbiamo porre.
Agricoltura: Qui so di non essere in perfetta sintonia con tutte le rivendicazioni corporative di tutte le rivendicazioni sindacali di categoria, sono in sintonia solo con alcune di esse. Mi spiego. Mi si trova d'accordo laddove si tratta di esaltare lo spirito d'iniziativa del produttore agricolo limitando al massimo il condizionamento (vedi piani agricoli di zona che pretenderebbero di programmare tutto, ivi compreso il sole e la pioggia), non è un'accusa; non lo sono quando nell'impostazione della politica regionale si esaspera il concetto protettivo dei soggetti operanti nell'agricoltura, a scapito dell'agricoltura stessa intesa come fattore di massima produzione possibile al minor costo possibile.
Cioè, detto in parole più semplici, bisogna proteggere i coltivatori diretti, i mezzadri là dove ci sono, bisogna proteggerli perché sono una classe sociale in cui ciascuno ha bisogno di un qualche cosa. Non bisogna esasperare questo concetto, perché se questo concetto porta a penalizzare la produttività, allora noi non lavoriamo per l'agricoltura.
Noi facciamo anche qui come in tanti altri settori dell'assistenza, e l'assistenza non paga o quanto meno paga a lungo.
Bisogna privilegiare l'irrigazione di ogni tipo, irrigazione e scorrimento, irrigazione e pioggia, ivi compresa la creazione di bacini acquedotti, perché la massima produzione la si ottiene con i terreni irrigui, e quando con i terreni irrigui si ottengono produzioni unitarie di 70-80 quintali ad ettaro, con una produzione lorda di circa 1 milione 700 800 di produzione lorda vendibile per ogni Ha. Intendo dire che se ci sono dei terreni irrigui e si ottengono queste produzioni, il disinvestimento non ci sarà, se poi si producono i 190 quintali ad Ha, come dice il Consigliere Viglione, diventeremmo tutti ricchi e ne avremmo da esportare.
Zootecnia: A mano a mano che vengono a mancare i vecchi agricoltori più nessuno si dedica al bestiame. Questa attività infatti costa fatica sudore, sacrificio, elevati costi di investimento e a determinate condizioni non è remunerativo; lascia poco tempo libero, particolare importantissimo questo, perché la gente preferisce andare in banca a fare le 7 ore ed avere il sabato a disposizione. Ormai, non bisogna più farsi illusioni, perché anche qui come in molte altre cose, l'unico sistema per non rimanere delusi è quello di non cercare di creare le premesse per farsi delle illusioni. Solo con degli impianti razionali moderni e sufficientemente ampi, si può fare della zootecnia oggi. Impianti da un uomo ogni 70 capi bovini da latte, da un uomo ogni 150 bovini d'allevamento, da un uomo ogni 1.000 suini di varietà e tipo, solo così è possibile fare della zootecnia competitiva, perché consente oltre che all'economicità del processo produttivo, una condizione più umana anche per gli addetti perché là dove ci sono impianti di questo genere ci sono 5-6-7 8 addetti che hanno la possibilità di darci il turno, di poter fare la festa, di poter avere anch'essi un po' di tempo libero. S e non si fa così noi non troveremmo più gente disposta a lavorare.



REVELLI Francesco

Di questo quadro, sinceramente, un'azienda diretto-coltivatrice, cosa direbbe?



BORANDO Carlo

L'azienda diretto-coltivatrice deve associarsi, altrimenti fino a quando c'è il vecchio disposto ad alzarsi tutte le mattine presto e andare a dormire tutte le sere tardi stanco, l'azienda diretto-coltivatrice resiste. Quando questo non c'è più l'azienda diretto-coltivatrice è liquidata.
Queste cose le possono fare i singoli, gli associati e chiunque le faccia, va aiutato, purché producano, perché gli associati, mi riferisco alle cooperative, sono un gruppo di più persone che lavorano a livello di soci; i singoli, invece, possono anche essere un solo imprenditore o una famiglia di imprenditori che associano alla propria impresa altre persone qualificate, specializzate, ben retribuite che sono orgogliosi e consapevoli di svolgere un ruolo molto importante nella società.
Molti altri sono i settori dove intervenire, dall'agricoltura di montagna, che è importante (lo dicevamo a Verbania l'altro giorno) soprattutto per conservare la gente in montagna ed evitare il degrado dell'ambiente, alla cerealicoltura, ad allevamenti zootecnici di altra natura, all'ammodernamento in generale, alle strutture per la conservazione e la commercializzazione dei prodotti, ma i due da privilegiare a mio giudizio sono quelli che ho detto prima: irrigazione e zootecnia.
Ci sarà certamente occasione per parlare d'altro e non è poco: vedi alcuni settori economici delle nostre vallate di montagna, dove oltre al turismo e all'industria della neve, ci sono attività artigianali e industriali notevoli, dove il greggio non costa nulla o pochissimo, tranne che la lavorazione e mi riferisco alla lavorazione della pietra; so che l'Assessore Marchesotti ha organizzato per il giorno 28 una riunione di questo genere.
Ricordo che qualche anno fa ho avuto occasione di partecipare a riunioni di artigiani di quel settore i quali dicevano che commesse anche consistenti erano andate perdute per mancanza di manodopera, per incapacità di produrre. Questo è uno dei lavori più pesanti, più anti-igienici che ci siano, ciò non di meno è un fattore di economia utilissimo anche per l'esportazione e allora l'impegno deve essere di intervenire per acquistare impianti, per creare condizioni di igienicità, per consentire che ritorni entusiasmo e vocazione a svolgere un'attività di questo genere.
Queste sono solo alcune indicazioni sul tipo di ottica da usare per la destinazione delle risorse del bilancio.
La colpa di tutto questo di chi é? Quando mancano i soldi, come nel nostro caso, i Comuni se la prendono con la Regione; la Regione se la prende con lo Stato e lo Stato con chi se la prende? Si potrebbe anche cambiare lo Stato, qualcuno direbbe. E poi una volta cambiato, chi farebbe la moltiplicazione dei pani e dei pesci? In Polonia come in altri posti dove c'è un altro Stato, perché sono in difficoltà? Perché ci saranno delle condizioni obiettive dove non essendo capace nessuno di moltiplicare i pani e i pesci si trovano...



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

E' molto più grave la situazione in Polonia. Io sono più liberale di lei e forse un po' troppo comunista.



BORANDO Carlo

Intendo dire che bisogna andarci piano in queste cose, perché se si creano eccessive illusioni, diventa poi difficile per chiunque fare marcia indietro.
Adesso vorrei dire alcune cose all'Assessore Testa. La Regione ha già largamente impegnato i mutui e i debiti di varia natura, come del resto quasi tutti gli Enti locali. Anche qui è raccomandabile di procedere con un certo giudizio; non vorrei fare la fine di quel contadino, Consigliere comunale di un paesino del Cuneese, il quale partecipando ad un'assemblea deliberativa del suo Comune, ad un certo punto, di fronte alla prospettiva di votare una serie di mutui che impegnavano le scarsissime risorse di quel Comune non so per quanti anni, il Consigliere si è ribellato dicendo: "Voto contro, perché non voglio impegnare così pesantemente il bilancio futuro dei miei antenati". Intendeva dire i posteri. Ma comunque nel suo concetto non aveva visto male, perché si riferiva a quelli che non erano ancora nati, per i posteri che fossero venuti.
Con tanti auguri, per la definizione di questo bilancio soprattutto per l'attività futura della Regione, termino il mio intervento. Grazie.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bruciamacchie.



BRUCIAMACCHIE Mario

Sappiamo, dopo le ultime note di variazione che ci ha fornito ieri l'Assessore Testa, che la nostra Regione può disporre, per governare, di 2.700 miliardi di lire. Nonostante i vincoli di destinazione di queste risorse, esse rappresentano un'occasione importante di intervento in settori vitali dell'economia e, soprattutto, per l'organizzazione della società civile. Anche se poche sono le risorse su cui possiamo decidere autonomamente la destinazione, è nostra convinzione che il complesso delle disponibilità ci permetterà comunque una politica di interventi programmati e finalizzati. Questo è stato ed è il nostro modo di governare.
Certo, è difficile riuscire a programmare in queste condizioni. Una programmazione concordata, così come noi la intendiamo, ha bisogno di risorse pubbliche e private da impegnare in settori e in zone, che riteniamo necessarie per una ripresa organica ed equilibrata dello sviluppo.
La "tenuta" che abbiamo avuto a livello nazionale e a livello regionale è indubbiamente merito della piccola e media industria e dell'artigianato.
Ma noi sappiamo benissimo che il persistere della crisi dei grandi complessi provoca inevitabilmente, in tempi più o meno brevi, una crisi anche di questa piccola e media imprenditorialità.
Programmare, allora, significa avere chiare le linee di sviluppo dei vari settori e di crescita complessiva della società. Significa risanare e ridare efficienza ai grandi gruppi pubblici e privati, significa interventi verso la piccola e media industria nella ricerca, e così via. Significa anche promuovere l'imprenditorialità, far funzionare il credito, la promozione industriale, l'incentivazione, operare in modo concordato tra Governo e Regioni, ma significa anche fiducia nell'avvenire, credere in un disegno di società e questo oggi non c'é.
La programmazione, quindi, diventa una necessità obiettiva, nazionale.
Conosciamo tutti i dati sull'apparato produttivo regionale, le fabbriche in crisi ed i settori che vivono una vita stentata. Alto rimane il numero delle aziende in difficoltà, il numero degli operai messi in cassa integrazione guadagni, e qui il Vicepresidente Sanlorenzo periodicamente ci fornisce dati aggiornati. Sono dati che dimostrano come decisamente sono peggiorate le previsioni che facevano sperare in una lenta ripresa nel corso della primavera-estate 1981.
Sempre più urgente diventa, quindi, da parte di tutta l'economia nazionale, l'approvazione dei piani di settore. La domanda alla quale dobbiamo tendere a rispondere è come uscire da questa situazione. Il compito che la maggioranza si è dato è quello di costruire un Piemonte economicamente forte e competitivo verso le aree dell'Europa comunitaria un Piemonte capace di dialogare con i Paesi mediterranei e di dare il proprio apporto allo sviluppo del sud. Per fare questo è necessario avere industrie trainanti, con produzioni ad alto contenuto tecnologico ed un tessuto industriale diffuso nel territorio che elimini gli attuali squilibri.
Il tema del riequilibrio, che si pone in termini diversi rispetto ad alcuni anni fa, rimane uno degli obiettivi principali di questa maggioranza di sinistra. Oggi pensare al riequilibrio regionale dello sviluppo significa più che nel passato fare i conti con tutta la molteplicità di soggetti economici, dal rilancio e da una nuova produttività in agricoltura, all'industria grande e piccola, all'artigianato, al settore terziario. Ma, proprio perché la crisi investe grandi complessi ed i centri di massima concentrazione industriale, si trovano in difficoltà ad assicurare l'occupazione esistente, è sempre più difficile pensare al decentramento di attività produttive. Il riequilibrio regionale va allora inteso sempre più come valorizzazione delle forze economiche esistenti nelle varie località, vanno create le condizioni economiche, finanziarie ed associative per stimolare le capacità imprenditoriali esistenti.
L'Ente locale, la Regione, le associazioni di categoria dovranno, più che nel passato, essere artefici di uno sforzo concorde, teso a creare le condizioni di crescita economica che poggi prima di tutto sulle risorse e competenze locali. Non è credibile, in una situazione come questa ipotizzare uno sviluppo di una zona, attendendo che da chissà dove arrivino industrie pronte ad insediarsi e così risolvere il problema.
Il piano regionale di sviluppo, che nel corso dell'81 verrà elaborato preciserà obiettivi, linee e modi di intervento. A me pare che la nostra realtà piemontese, assieme agli obiettivi prima ricordati, non possa trascurare l'estesa presenza di medie e piccole industrie e dell'artigianato, che in termini di capacità produttiva, investimenti ed occupati, rappresentano una quota grandissima dell'apparato produttivo regionale. Molto, per la tenuta del nostro sistema economico, ha significato l'iniziativa, la capacità di migliorare la qualità dei prodotti e, conseguentemente, la competitività di tanti piccoli e medi imprenditori.
Di cosa ha bisogno la piccola e media industria oggi? Ha bisogno di un quadro di programmazione che non è un quadro di vincoli, ma di certezze; un quadro di "servizi" che devono essere resi per aiutarla a consolidarsi.
Questa politica si può fare stimolando l'acquisizione di nuove tecnologie e la loro diffusione; si può fare aiutando l'impresa minore nella fase della commercializzazione dei prodotti, si può e si deve far e sul terreno del risparmio energetico, ecc. Noi vogliamo sostenere un reale processo di sviluppo della piccola e media impresa, che è oggi un settore vitale e che ha bisogno oggi non di demagogiche esaltazioni ma di una politica attiva di sostegno. In questo ambito si muove la legge regionale n. 9 del marzo dell'anno scorso. Essa agisce nella direzione del riequilibrio territoriale e del sistema industriale, favorendo la diffusione dello sviluppo ed una sua qualificazione. E sono proprio i Comuni, i loro Consorzi e le Comunità montane i soggetti a cui viene riconosciuto il contributo in conto capitale per l'acquisizione dei terreni e la loro urbanizzazione, per farne aree industriali attrezzate. L'esperienza compiuta in questo senso è positiva in termini di unità insediate, di capitali investiti, di occupati. Quando i livelli statuali periferici, anche se non hanno competenze precise in materia, sono mossi da precisa volontà politica, trovano in generale pronta rispondenza da parte delle categorie interessate, assolvendo ad un ruolo di programmazione, di forza propulsiva dello sviluppo economico di primaria grandezza. La presenza nella nostra regione di 122 mila imprese artigiane con oltre 350 mila addetti, pongono la nostra regione al quarto posto nella graduatoria nazionale.
Il ruolo di questo settore nell'economia regionale è tutt'altro che marginale. Esso occupa il 18,4% della manodopera impiegata in Piemonte ed il 50% di quella delle imprese con meno di 50 addetti.
Un ruolo molto importante, questo settore lo esplica nella formazione di giovani operai: infatti, su 92.500 apprendisti in Piemonte ben 58 mila sono alle dipendenze delle imprese artigiane. Qui è evidente la necessità di affrontare adeguatamente, con norme legislative, il problema dell'apprendistato, che sia capace di salvaguardare i diritti dei giovani lavoratori e riconosca, contemporaneamente, all'imprenditore il ruolo che esso ha nella formazione di nuove leve di lavoratori.
Nell'ambito della programmazione regionale l'impresa artigiana va inserita a pieno titolo, essa è soggetto economico importante che, in seno al piano regionale 1981-1985, dovrà trovare una giusta collocazione prevedendo uno specifico progetto diretto alla sua qualificazione, in quanto soggetto che contribuisce autonomamente allo sviluppo dell'economia del Piemonte, con precise e proprie finalità.
Esso ha dimostrato in questi anni tutta la sua specifica funzione e capacità. E' stato capace di superare i molteplici ostacoli che gli si sono parati di fronte, agendo con prontezza e flessibilità, dando un contributo notevole a tutto il sistema economico. Sappiamo come, nonostante le cose dette, esso oggi soffra pesantemente di una molteplicità di problemi.
Intanto vige ancora la legge 860 del 1956, ormai vecchia e superata. Anche qui i ritardi governativi sono enormi, c'è solo da sperare che il testo unificato della legge di principi di riforma vada avanti rapidamente assieme alla piena regionalizzazione dell'Artigiancasse. Ma anche qui non si può attendere, occorre esercitare il massimo della pressione politica perché il testo concordato dal Comitato ristretto alla Camera venga licenziato dalla Commissione in tempi più rapidi possibili. Io credo che a questo proposito dovremo vedere quale iniziativa intraprendere come Consiglio. Ma i problemi degli imprenditori artigiani si possono sinteticamente individuare in quelli relativi al credito; le localizzazioni, organizzazione aziendale e del lavoro; il mercato e la promozione commerciale.
Su questi problemi intensa è stata l'azione legislativa regionale che a partire dal 1974, ha operato con efficienza giungendo a definire con la legge 47 e con quella 64 un organico complesso di interventi nel settore.
Gli stanziamenti a bilancio hanno subito dal '74 al '79 un incremento del 315% e questa tendenza si è accentuata nel 1980 e stabilizzata nel 1981. La legge 47, vorrei ricordare, prevede essenzialmente quattro tipi di intervento: l'abbassamento dei tassi di interesse a carico degli artigiani contributi che riducono l'onerosità di canoni d'affitto per le operazioni di leasing interventi a favore delle cooperative di garanzia, sostenendole nella fase di impianto, di gestione e di avviamento favorisce la nascita di forme associative (cooperative, consorzi, e così via).
Essa ha avuto effetti molto positivi. Oggi, però, ci troviamo di fronte al decreto del Consiglio dei Ministri del 30 dicembre 1980 che, di fatto annulla l'efficacia di questa legge. Ciò è un atto di estrema gravità che va rimosso al più presto. Questo decreto, emanato senza nessuna consultazione con le Regioni e le categorie interessate, vanifica l'intervento positivo delle Regioni sul piano del credito, proprio mentre di fronte all'aumento dei tassi di interesse sui mutui ed al restringimento del credito, la categoria artigiana si trova nella maggiore difficoltà. Si vuole così dare un ulteriore colpo ad un settore economico che investe e che, senza un'adeguata politica di abbattimento parziale dei tassi di interesse tenuti, verrebbe chiuso in una morsa soffocante.
Vi è da rilevare ancora che proprio nei giorni scorsi, durante la discussione sulla legge finanziaria, il Governo, ponendo la questione di fiducia, ha respinto la proposta comunista di elevare al 33% del salario medio dell'industria le pensioni che riguardano anche gli artigiani, i commercianti, i coltivatori diretti e così via. Vi é, in sede di Commissione, un ordine del giorno unitario che tende a modificare (ed invita il Governo a ciò) il decreto prima ricordato. Su questo ritengo che dobbiamo esercitare un'adeguata pressione. Intanto, però, questo decreto opera con conseguenze estremamente negative. Le Regioni ne hanno chiesto l'annullamento attraverso il ricorso al TAR. Occorre però ritornare su questo con urgenza, perché il tempo passa e gli effetti negativi si fanno sentire. Credo che il Consiglio dovrà ancora fare quanto è nelle sue possibilità (pensiamo ad un ordine del giorno unitario) per respingere un attentato alla sua autonomia e difendere una categoria vitale per tutta l'economia del Paese. Ciò si è richiesto, proprio in sede di consultazione dalle stesse associazioni di categoria. Se ciò non avvenisse, gran parte delle somme stanziate a bilancio non verrebbero spese.
Questa volontà antiregionalista di questo Governo noi la denunciamo invitiamo a respingerla.
Se la discussione sul bilancio è anche verifica dell'efficacia delle leggi regionali, oltreché di volontà politica da parte della maggioranza che governa, occorre esaminare brevemente anche lo stato di attuazione della legge n. 64 del '79.
E' questo un punto di notevole interesse, che dimostra come con questa legge, certo perfettibile, sia possibile avviare un processo di crescita economica importante. Il combinarsi felice di volontà da parte della Regione, dei Comuni e delle associazioni artigiane, ha permesso la creazione di sei aree artigianali attrezzate, che hanno assorbito tutto lo stanziamento previsto nel bilancio 1980, 3 miliardi, non riuscendo, fra l'altro, a finanziarle completamente. Operazione che sarà portata a termine nel 1981 per un importo di 1 miliardo e 787 milioni di lire.
Ma già un discreto numero di Comuni ha manifestato, attraverso domande o segnalazioni, l'intenzione di approntare aree attrezzate per l'artigianato. Se gli stanziamenti a bilancio '81 si riducono per questa specifica voce, ciò è dovuto al fatto che le domande oggi accoglibili e finanziabili non superano la cifra messa a bilancio. E' però da prevedere nella seconda metà del 1981 e, in specie, per il 1982, un sensibile incremento dovuto al perfezionamento delle pratiche in corso da parte dei Comuni ed all'elaborazione dei piani territoriali per insediamenti produttivi. Per fare un solo esempio, ricordo che i consorzi per aree attrezzate nell'Alessandrino associano ben 236 aziende artigiane, per un investimento di 51 miliardi, aumentando in modo sensibile i livelli occupazionali. Anche da questo dato parziale si evidenzia la bontà di una politica tesa alla valorizzazione di questo settore produttivo, favorendone l'associazione, accrescendone la forza economica, aumentandone la capacità di acquisto delle materie prime e la forza nel mercato, attraverso tutta una serie di iniziative promozionali, nazionali ed internazionali.
Qualcuno, per dimostrare che in effetti non vi è volontà da parte di questa maggioranza di intervenire nei settori produttivi, in sede di Commissione, ha cominciato a fare le percentuali stanziate per questo settore rapportate ai 2.700 miliardi del bilancio. La stessa osservazione fu fatta al bilancio 1980. L'Assessore Simonelli, ancora in una recente conferenza, quella dell'artigianato, giustamente rispondeva che rapportare le cifre previste per questo settore alla cifra globale di bilancio è profondamente sbagliato e che, più correttamente, tale cifra va rapportata alle effettive disponibilità regionali non vincolate e che, comunque quelle stanziate corrispondono al fabbisogno attuale delle richieste. Credo che nessuno voglia aumentare i residui passivi.
Nel corso delle consultazioni sul bilancio sono stati fatti dalle associazioni di categoria apprezzamenti positivi ed anche rilievi critici.
I rilievi riguardano i tempi di pagamento da parte della Regione.
Sulla necessità di eliminare i tempi lunghi siamo perfettamente d'accordo. Vi è da rilevare che la convenzione firmata dalla Regione con le banche in questi giorni sicuramente apporterà un grande beneficio snellendo tempi e procedure. Ma da subito occorre mettere mano ad un'altra questione, quella delle deleghe. In questo campo sollecitiamo ancora la Giunta a far sì che sull'artigianato ed anche in altri settori si proceda in tempi rapidi, onde sgravare la Regione di funzioni amministrative che non le competono. L'ente destinatario della delega è indubbiamente il Comune, in forma singola od associata, ma occorrerà esaminare per particolari funzioni di carattere programmatico la possibilità di assegnarle alle Province.
Nel bilancio trovo un capitolo di nuova istituzione che ritengo molto importante: è quello che si riferisce ad un'idea già lanciata dall'Assessore Marchesotti alla conferenza artigiana dell'anno scorso, cioè la costituzione dell'osservatorio regionale dell'artigianato. Si tratta egli diceva, di costituire uno strumento di indagine, al fine di comporre un quadro conoscitivo sempre più preciso, completo ed aggiornato del settore. Esso serve per lo svolgimento delle funzioni pubbliche programmatiche, di bilancio della Regione, dei Comuni, delle Province e della stessa categoria. Procedere anche in questa direzione è molto importante perché, conoscendo con precisione il settore, sarà possibile affinare la nostra capacità di intervento, modificando o facendo nuove leggi (artigianato artistico) qualificando il ruolo della Regione.
Per questo insieme di interventi, inseribili in una precisa linea di valorizzazione dell'impresa artigiana, a tutti gli effetti considerata parte importante di un sistema economico che vogliamo sempre più efficiente e capace di assolvere ad una funzione sociale, consideriamo positiva la parte di bilancio ad essa riferita.
L'attenzione ai problemi occupazionali, per la loro difesa e sviluppo comportano una politica dinamica che favorisca una crescita di nuove attività produttive, in un quadro di programmazione non vincolistica, ma fortemente finalizzata al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio regionale, per un Piemonte in grado di competere con i Paesi europei economicamente forti, capace di guardare ai Paesi del Mediterraneo, dando il suo contributo alla rinascita ed allo sviluppo del sud.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Devecchi.



DEVECCHI Armando

La relazione del Presidente Viglione, che ha introdotto ieri il bilancio di previsione 1981, pur così puntuale in alcuni momenti, non ha accennato, e forse non a caso, al settore della sanità e dell'assistenza, a quello cioè che normalmente viene definito il settore dei problemi socio sanitari.
Eppure è un settore, un'area nei cui capitoli sono iscritti oltre 1.700 miliardi, cioè circa il 63% dell'intero bilancio della Regione.
Il programma n. 2 dell'area d'intervento n. 4, relativo agli interventi per l'esercizio delle funzioni connesse all'attuazione del servizio sanitario nazionale, dispone complessivamente per l'esercizio 1981 di risorse finanziarie per l'ammontare di 1.729 miliardi e 97 milioni con un incremento, rispetto all'esercizio 1980, di 494 miliardi e 210 milioni pari al 40%.
I residui passivi presunti al 31 dicembre 1980 ammontano a 44 miliardi e 391 milioni, somma che, essendo per la quasi totalità relativa a spese di natura corrente, potrebbe trovare estinzione in breve periodo di tempo.
Lo stanziamento complessivo di cassa poi ammonta a 1.479 miliardi e 807 milioni ed è pari all'83,44% della somma dello stanziamento complessivo di competenza e dei residui passivi presunti al 31 dicembre 1980.
Agli enti che gestiscono le funzioni sanitarie vengono destinati come quota di competenza 1981 e maggiore assegnazione di fondi per l'esercizio 1980, 1.681 miliardi e 718 milioni per sostenere spese correnti.
Per le spese d'investimento che i suddetti enti devono sostenere relativamente alla manutenzione straordinaria ed all'adeguamento tecnologico, sono previste erogazioni ai medesimi enti per 9 miliardi e 821 milioni, mentre 2 miliardi sono ancora da spendere nella gestione dei residui passivi.
Un nuovo stanziamento di 2 miliardi e 967 milioni riguarda gli investimenti che gli enti che gestiscono la funzione sanitaria effettuano in presidi multinazionali con funzione interregionale.
Ho constatato poi che nell'esercizio 1981 non è più stata stanziata alcuna somma a favore degli Enti locali per le funzioni in materia di assistenza sanitaria che essi svolgono. Lo stanziamento di 2 miliardi circa dell'esercizio 1980 a favore delle Province è passato integralmente nella gestione dei residui passivi ed è stato suddiviso in parti uguali tra Comuni e Province.
La spesa per i rimborsi di quote di degenza per l'assistenza ospedaliera in forma indiretta anche con ricovero in Case di cure non convenzionate è prevista in 170 milioni ed altri 100 milioni sono spendibili sulla gestione dei residui passivi.
Per gli oneri derivanti dalle anticipazioni connesse all'erogazione delle spese trasferite è previsto poi lo stanziamento di 554 milioni.
L'art. 69 della legge dello Stato n. 833/79 prevede un versamento al fondo sanitario nazionale che per l'esercizio 1981 è iscritto a bilancio nella stessa misura dell'esercizio 1980 di 6 miliardi e 386 milioni. In relazione all'impianto, trasformazione e ammodernamento degli ospedali escluse le opere edilizie, ed all'adeguamento delle loro attrezzature sanitarie, pur non essendo stata stanziata nell'esercizio 1981, alcuna somma a favore degli enti ospedalieri, oppure nel caso di Torino, quali enti strumentali dei Comune, questi possono usufruire degli 11 miliardi e 227 milioni che sono a ciò destinati nella gestione dei residui passivi un'ulteriore disponibilità di 1 miliardo e 444 milioni, tra competenza e residui, deriva da assegnazioni dello Stato con vincolo alla suddetta destinazione.
Per l'acquisto di attrezzature i presidi ospedalieri possono invece usufruire di 1 miliardo e 147 milioni giacenti anch'essi nel conto dei residui passivi.
Agli stessi spettano poi ancora quote di riparto del fondo sanitario regionale per 3 miliardi e 650 milioni per l'assistenza ospedaliera prestata negli anni 1975 e 1976.
Infine per altre spese d'investimento è previsto a favore degli enti che gestiscono funzioni sanitarie uno stanziamento di 22 miliardi e 883 milioni cui si aggiungono ulteriori 2 miliardi e 400 milioni circa che si trovano nel conto dei residui passivi.
Sarebbe interessante che l'Assessore, se vorrà rispondere, indichi le probabili destinazioni.
Se quello cui ho accennato è il quadro sommario che riguarda il settore socio-sanitario, è pur vero che gran parte della somma prevista in bilancio per l'area 4 è in lista di trasferimento, perché deve dare consistenza ai bilanci delle U.S.L., ma è altrettanto vero che l'indirizzo di fondo, anche in materia socio-sanitaria, deriva dall'impostazione del bilancio regionale e dalle scelte che attraverso di esso vengono operate.
Ecco perché noi riteniamo di dover puntualizzare, pur dopo l'ampio dibattito che in materia si è svolto in Consiglio regionale l'ottobre scorso, le nostre posizioni in ordine a problemi che investono gran parte del nostro operare.
Ora, le aride cifre a cui in parte ci siamo riferiti e alle quali d'ora innanzi non faremo troppi riferimenti, ma dalle quali proprio in questa sede non possiamo prescindere, le cifre, dicevo, ci ripropongono validi motivi di riflessione.
Desidero innanzitutto dire che, pur nell'enormità delle somme globali noi troviamo carente il bilancio su alcuni aspetti, perché riteniamo che all'interno di esse somme iscritte a bilancio, altre scelte si potessero fare.
Mi riferisco ad esempio all'esiguità degli stanziamenti per l'assistenza, all'insufficienza globale delle spese di investimento (pur dopo la terza nota di variazione del bilancio '81) al non aver previsto in termini concreti una somma precisa per l'attuazione della legge di riordino dei servizi socio-assistenziali, pur previsti dal disegno di legge della Giunta n. 54 (a proposito del quale avremo a suo tempo occasione di approfondimento stante la delicatezza della materia). Ora, se tale legge deve trovare attuazione, dovrà pur essere finanziata con apposito capitolo di bilancio e non con somme derivate unicamente dalla soppressione di altri capitoli. Mi riferisco infine alla carenza di indicazioni circa il riordino, urgente ed indifferibile su tutto il territorio regionale, dei servizi di recupero riabilitativo delle persone che sono state ospitate in presidi psichiatrici.
Ma, sforzandomi di procedere con un certo ordine, mi soffermer innanzitutto su un tema che mi sta a cuore e che ritengo porti con s grossi punti interrogativi: quello dei rapporti tra il pubblico ed il privato. Già se ne è parlato in sede di Consiglio. Conosciamo in proposito il pensiero della Giunta espresso attraverso gli Assessori più direttamente interessati. L'Assessore Bajardi è stato più volte di una chiarezza inequivocabile, infatti anche nella sua relazione del 16 ottobre u.s. ha affermato che debbono comunque essere privilegiate le attività pubbliche.
Su questo siamo tutti d'accordo, o quasi. Ha poi aggiunto che "il ricorso alle attività della cosiddetta area privatistica non possono essere considerate che come subordinate e temporaneamente surrogatorie e vicarianti". Su questa ultima affermazione invece, non mi trovo totalmente d'accordo.
Obiettività vuole si ricordi che nei fatti, il privato spesso, molto spesso, ha anticipato e talvolta sostituito molto egregiamente le strutture ed i servizi del settore pubblico. Oggi, forse, è sin troppo comodo demonizzare in materia socio-sanitaria il privato e si capisce anche il perché, specie quando attorno a noi si profilano le ombre di alcuni laboratori di analisi, di alcuni gabinetti radiologici, di qualche casa di cura che nel profitto ed unicamente in esso vedono la loro ragion d'essere.
Non per questo dobbiamo però generalizzare o dimenticare ed abbandonare tutta quell'altra serie di presidi socio - sanitari - assistenziali che sono oggi come lo sono stati ieri: un modo cristiano ed umano di testimoniare l'amore verso il prossimo.
Tali presidi sono inoltre la concreta manifestazione di una libertà che garantiscono nei fatti e nella scelta stessa dell'individuo.
Siamo d'accordo, ribadisco per non essere frainteso, che occorre costruire e privilegiare le strutture pubbliche, ma facciamo attenzione a non lasciar perire per asfissia istituzioni che tanto hanno offerto e tanto possono offrire ancora alla società (handicappati, ciechi, ecc.).
Non vorrei che il mito della pubblicizzazione, da perseguire sempre e comunque ad ogni costo, producesse conseguenze gravi e difficilmente riparabili. Mi sembra che l'esempio delle recenti disavventure della cardiochirurgia torinese (Blalock), che hanno avuto un'eco anche in questo Consiglio, ci inviti alla riflessione, così come ci invitano alla riflessione i recenti disagi provocati dalle agitazioni in corso.
Del resto le società, anche le più efficienti e le più moderne, le più organizzate ed avanzate, lasciano ed offrono giustamente ampi campi d'azione al settore privato. Ci sembra sia oltretutto una salutare norma di prudenza che aiuta a far fronte all'imprevisto nei momenti più drammatici.
Scendendo sul piano delle piccole cose, desidero ricordare il problema dei rimborsi, delle spese di trasporto dei malati, quello delle prestazioni e dei ricoveri presso strutture private in Italia o dei ricoveri all'estero. Sta bene che non si debba favorire la moda che vuole all'estero la garanzia della propria salute, ma in epoca di politica comunitaria, non sembra nemmeno opportuno chiudersi in forme autarchiche o di campanilismo che ci sembrano superate dai tempi e comunque non aderenti alla realtà.
Più dettagliatamente ancora riteniamo che i 3 miliardi e 800 milioni circa stanziati per i consultori familiari siano insufficienti, se vogliamo (come noi riteniamo) che i consultori debbano perdere sempre più l'attuale connotazione di presidio sanitario specialistico, per diventare un supporto per la famiglia e per la coppia e non solo un supporto ostetrico ginecologico. Per questo vorremmo che somme più consistenti servissero per sviluppare maggiormente i supporti psicologici, sociali, giuridici di educazione sanitaria, al fine di evidenziare la funzione eminentemente preventiva dei consultori stessi.
Che dire poi degli asili nido? Come pensiamo poi di utilizzarli o di trasformarli? Si è detto, e ribadiamo che avremmo desiderato una più chiara indicazione in favore della cosiddetta assistenza psichiatrica. So che è un tema, questo, particolarmente scottante, intorno al quale la polemica, le prese di posizione, le convinzioni ed i pareri sono molto discordi. Io per ritengo che non basti una direttiva generica e generale, occorre un impegno preciso della Regione, occorre un disegno organico, che trovi il necessario corrispettivo in apposito capitolo di bilancio, per l'attuazione di strutture idonee ed efficienti su tutto il territorio piemontese perfezionando la presenza organica delle equipe specialistiche entro congrui bacini di utenza.
Altrove è stata ipotizzata la costituzione di un centro residenziale riabilitativo per ogni U.S.L. capace di ospitare 50, 60 persone, con le debite protezioni, senza per questo riproporre le vecchie strutture. E' un suggerimento che ci permettiamo di indicare. Infatti ci pare fuori dubbio che ormai occorre prevedere come gestire la parte post ospedalizzazione degli ex malati di mente. E' stato indispensabile ed utile abbattere le vecchie barriere ma occorre ora iniziare la parte costruttiva. Quanti sono ancora i malati di mente? Il discorso ci porterebbe lontano. Una cosa vogliamo dire subito. Occorre che del problema si appropri L'U.S.L. è vero ma non possiamo noi Regione sottovalutarlo. Ecco perché avremmo preferito stanziamenti in proposito ben definiti e finalizzati.
Infatti è ben lungi da noi l'idea di esprimere sfiducia negli amministratori delle U.S.L. testé eletti, ma poiché il problema psichiatrico è stato fino ad ora appannaggio quasi esclusivo delle Province, v'é il fondato timore che la sensibilizzazione non sia in proposito sufficientemente diffusa.
Mi pare significativa la lettera circolare del Coordinamento Sanità ed Assistenza fra i Movimenti di Base del 12 marzo u.s. e che molti di noi avranno certamente ricevuto; mi permetto di leggerne alcuni squarci, perch si tratta di una testimonianza drammatica: "Questo Coordinamento segnala l'intollerabile situazione in cui si trovano 1.000 adulti ed anziani già internati in strutture manicomiali ed attualmente ricoverati in case di riposo e istituti similari.
Com'è noto dal 1° gennaio scorso tutto il personale addetto ai servizi psichiatrici è stato trasferito dalle Province e dalle Opere Pie Ospedali psichiatrici alle Unità Locali.
Inspiegabilmente sono rimasti di competenza della Provincia di Torino le 1.000 persone di cui sopra.
La Provincia di Torino non dispone quindi di alcun operatore per vigilare sulle loro condizioni di vita; tanto meno può provvedere al loro reinserimento sociale.
Affinché per queste persone non si determini una situazione di totale abbandono e di segregazione a vita, questo Coordinamento chiede che la Regione Piemonte e la Provincia di Torino approvino al più presto i provvedimenti necessari per il trasferimento delle competenze di intervento nei confronti delle suddette 1.000 persone alle Unità Locali, trasferimento da intendersi, così come previsto dalla legge di riforma sanitaria, come primo indispensabile atto per la ricerca nelle zone di competenza di adeguate soluzioni alternative al ricovero.
Si chiede inoltre che la Regione Piemonte estenda l'iniziativa alle altre Unità Locali e Province del Piemonte".
E', ripeto, per me una testimonianza drammatica.
Mi si consenta, parlando di Torino, una breve digressione. A me che vengo dalla periferia, viene ancora una volta da pensare che anche in campo socio-sanitario, e che anche dopo l'inizio della riforma sanitaria, siamo in presenza di una realtà che ha due facce in campo sanitario, come in campo economico: da una parte sta Torino, e dall'altra il resto del Piemonte. Talvolta sfogliando le cronache cittadine ho l'impressione di essere in presenza di due realtà ben distinte, di due distinte regioni perché mi viene da pensare che vi sia un Assessore alla sanità di nome Olivieri che sovrintende alla salute dei torinesi, ed un Assessore alla sanità di nome Bajardi che sovrintende alla salute dei cittadini del resto del Piemonte.
Ma, per ritornare al nostro bilancio, che dire del problema anziani? Ci sembra obiettivamente che se il prevedere una progressiva riduzione delle case di riposo con relativo incremento delle case protette e delle comunità alloggio può essere cosa teoricamente lodevole, dall'altra non sembra realistico prevedere la riduzione dei posti letto in ospedale, perch l'invecchiamento della popolazione piemontese comporta una maggiore "fascia di rischio" ed in definitiva un maggiore ricorso al ricovero ospedaliero.
Di qui la necessità di prevedere spese più consistenti di investimento certamente molto maggiori di quante ne siano state previste ed iscritte a bilancio.
Del resto anche sul problema delle case di riposo già il collega Beltrami, con la sua ben nota intelligente arguzia, notava come in proposito le scelte regionali passino all'interno degli stessi schieramenti politici, talché il bianco Veneto si sposa con la rossa Emilia Romagna e la non meno rossa Toscana, mentre sull'altro versante paiono concordare pienamente le Giunte regionali del Piemonte e della Lombardia.
E' un problema su cui occorre andare molto cauti. Del resto non è ben chiaro se l'anziano tocchi maggiormente la sfera della sanità o quella dell'assistenza, se è vero com'é vero che nella passata legislatura circa 8 miliardi del capitolo della sanità sono finiti nel settore dell'assistenza per "elargizioni a case di riposo" senza tener conto per altro di alcuna seria programmazione e, talvolta, prescindendo dalla presentazione di dettagliati programmi. Ecco perché anche in questo settore vorremmo maggiore chiarezza e maggiori certezze. Anche in questo settore saremmo lieti se ci venissero ulteriori precisazioni.
Il discorso a questo punto da un lato ritorna al tema degli investimenti in senso lato (di cui si è pure parlato in data 12 marzo u.s.
in sede di interrogazione del Consigliere Viglione) e dall'altro si lega al tema dell'assistenza. Perché, così stando le cose, per ora gli investimenti interessano sia l'uno che l'altro settore.
Noi riteniamo che le somme stanziate a bilancio siano scarse, lo ribadiamo, siano decisamente insufficienti perché 25 + 36 miliardi circa portano il totale a 61 miliardi, di fronte a richieste di qualche mese fa che superavano già di gran lunga gli stanziamenti previsti.
Erano stati allora censiti tutti i bisogni? Riteniamo di no. Si è tenuto conto dei costi? Si è tenuto conto delle previsioni del piano regionale in itinere? La stessa legge 28 in questa fase di bilancio per quanto riguarda lo specifico settore socio-sanitario non pare proponga finanziamenti adeguati, anzi sembrerebbe non essere stato stanziato nulla nel campo dell'assistenza.
Si dice che non dovranno essere finanziate nuove spese edilizie ospedaliere, ma solo opere ambulatoriali poliambulatoriali ecc., e sta bene forse, ma la manutenzione e la conservazione, l'aggiornamento, la revisione prezzi, il completamento delle spese in corso è comunque assicurato con le somme a disposizione? Noi ce lo auguriamo, ma riteniamo modestamente di no.
Vorremmo essere smentiti.
Se poi la Cassa Depositi e Prestiti accoglierà la nostra tesi, allora vi sarà necessità di aumentare i nostri contributi per la costruzione delle case albergo. Quindi ancora una volta ritorna il tema: gli stanziamenti sono esigui.
Che dire poi della formazione del personale? Sia esso medico paramedico o amministrativo? Siamo tutti fermamente convinti che le fortune della riforma socio-sanitaria passino in gran parte attraverso una seria solida e moderna preparazione del personale.
Per questo chiediamo severità nei corsi di preparazione (e in tal senso ci siamo espressi in sede di Commissione nei riguardi della delibera ad hoc), ma chiediamo anche la loro estensione ad un costante aggiornamento a tutti i livelli. Per questo occorrono somme maggiori.
Prima di finire vorrei porre una domanda. Ed è questa: si è forse voluto far compiere un ulteriore anno di noviziato nelle vesti di Assessore all'assistenza alla signora Cernetti Bertozzi? Se dobbiamo basarci principalmente sulle cifre che sono state messe globalmente a disposizione dal suo Assessorato parrebbe proprio di sì. In tutto non raggiungono i 50 miliardi. Sinceramente siamo sconcertati. Sappiamo e conosciamo quali e quante siano le esigenze dell'intera Regione; sappiamo e conosciamo tutti quali e quante nubi si siano addensate sui nostri cieli specie in questi ultimi mesi; sappiamo e conosciamo tutti, perché tutti quotidianamente dobbiamo declinare inviti pressanti ad intervenire in casi e situazioni drammatiche; l'elenco potrebbe continuare di fronte a tutto ciò: 50 miliardi di cui il 10 % già impegnato in favore dei cittadini con redditi insufficienti per sostenere il rincaro del costo del riscaldamento. Non sono pochi? Se fossimo cattivi oseremmo pensare che nel prosieguo dell'esercizio finanziario, se l'Assessore se lo sarà meritato, qualche suo collega potrà fare il bel gesto di mettere a disposizione un ulteriore bel mucchietto di miliardi. E' già avvenuto (come si è detto) durante la scorsa legislatura; l'episodio potrebbe riproporsi. Inutile aggiungere che tutto questo non ci trova per nulla consenzienti.
Se si ritiene che l'Assessorato all'assistenza sia inutile o pleonastico si sopprima e le sue competenze vengano inglobate in quello della sanità. Se è utile deve essere messo opportunamente in condizioni di operare.
Abbiamo recentemente appreso, verso la fine di febbraio, durante un convegno tenuto in questa stessa aula, che la sola Provincia di Torino per l'esercizio 1981 in materia di assistenza dispone di 27 miliardi, più della metà di quanto la signora Cernetti Bertozzi disponga per tutto il Piemonte.
Per l'anno dell'handicappato, mentre l'Assessorato all'assistenza della Regione Piemonte potrà disporre della favolosa cifra di ben 3 miliardi, la Provincia di Torino ne dispone di 11.
Ogni commento a questo punto pare superfluo. Ma verremmo meno ad un nostro preciso dovere se non denunciassimo dai banchi dell'opposizione questo stato di cose e non chiedessimo di porvi rimedio.
Infine desidero fare un breve accenno al problema del personale che si occupa dell'attività socio-sanitaria.
Richiediamo che si faccia sentire a tutti i livelli tutto il peso politico della Regione. Dobbiamo essere fermi nel richiedere una "normativa" nazionale che sia in grado di evitare sperequazioni o fughe in avanti. Un settore così importante della vita nazionale che interessa alcune centinaia di migliaia di persone, per la maggior parte molto qualificate, tutte comunque addette ad un servizio tra i più delicati, se non il più delicato, un settore così importante non può essere lasciato in balia a tentazioni o a spinte di carattere corporativo.
Perché, anche accettando o seguendo certe richieste possano essere accelerati i tanto deprecati processi inflattivi. Certi contratti, certe soluzioni solo apparenti od illusorie di problemi economici concernenti categorie limitate di persone ancorché meritorie vanno, a nostro avviso decisamente ricondotti in un alveo più ampio ed inquadrati in un disegno nazionale, razionale e funzionale.
Queste considerazioni, forse slegate, che abbiamo voluto riproporre anche in sede di discussione di bilancio, vogliono infine avere la funzione di sottolineare, con la critica, la ferma determinazione del Gruppo della D.C., di dare sempre e comunque il proprio convinto contributo - come per il passato - perché il disegno riformatore dei servizi socio-sanitari, che faticosamente sta muovendo i primi passi, abbia a registrare, anche nella nostra Regione, il migliore successo.



PRESIDENTE

La Giunta risponderà, ma dati gli interventi, è bene che la stessa mediti le varie proposte, richieste e critiche.
Stamattina, d'accordo con i Capigruppo, abbiamo deciso di riconvocarci lunedì prossimo alle ore 9,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18)



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