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Dettaglio seduta n.5 del 11/09/80 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sui problemi occupazionali (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prosegue il dibattito sui problemi occupazionali. Ha chiesto di intervenire il Consigliere Mignone. Ne ha facoltà.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, colleghi, anche il mio intervento sarà breve, poich gran parte delle argomentazioni è già stata sviluppata nella mattinata.
La vicenda Fiat sta toccando in queste ore le punte più alte di drammaticità, con la svolta di ieri pomeriggio e la decisione di sospendere le trattative tra le parti; anche drammatica diventa quindi la situazione occupazionale, economica e sociale dell'intera Regione poiché la crisi Fiat è, inevitabilmente, la crisi del Piemonte. E non può essere altrimenti.
Come le scelte compiute dalla Fiat hanno determinato il volto industriale della Regione, così, oggi, quegli interventi di ristrutturazione resi necessari, non possono non incidere su tutto il tessuto produttivo piemontese. A maggior ragione, poi, se la questione Fiat, come in effetti è, ha dimensioni europee e mondiali. E' a questi livelli che occorre, a nostro avviso, guardare oggi quando si cercano linee programmatiche di soluzione.
Non si può pensare che tutto l'onere e la responsabilità debbano ricadere sulla collettività solo perché non si è mai saputo approntare un nucleo di politiche che limitassero la crescita concentrata e non diversificata sul territorio.
Sotto questo profilo, anche il nostro Gruppo ritiene non di secondo momento, e comunque legittima, un'azione delle istituzioni piemontesi, in particolare di questo consesso. Specie per il ruolo programmatico che pu svolgere, per la sua capacità di intervento, almeno a livello consultivo sui grandi strumenti che, pur a rilento, si vanno approntando in sede nazionale, come ad esempio le proposte del piano auto. E', a nostro avviso indispensabile la conoscenza più completa e più abbinata di dati e di notizie, di piani aziendali, di piani di sviluppo e di riconversione, di programmi di ricerca e ristrutturazione a medio termine che devono puntualmente essere forniti dall'azienda, qualora non l'abbia fatto, oltre a dati regionali che consentano una valutazione delle proiezioni attendibili sulla situazione dell'economia piemontese e del mondo del lavoro. Solo in questo modo si potrà intravvedere la scansione temporale del processo di ristrutturazione industriale.
Occorre, quindi, anche offrire questo quadro di riferimento e riconoscere che, in questo senso, la Regione si è sforzata al limite delle sue possibilità.
Si tratta di avere un panorama completo che consenta di valutare complessivamente possibilità di incontro, tra domanda e offerta di lavoro.
E' su questo ruolo programmatorio, con attenzione particolare al problema occupazionale, che la Regione ha titolo per intervenire nella vicenda. Ancor più la Regione può, partendo da essa e nell' ambito delle linee del piano di sviluppo regionale, approntare politiche, che non sono surrogati o fuori competenza, di investimenti e sviluppi diversificati che consentano il mantenimento, e l'aumento, dei livelli occupazionali e del tessuto produttivo piemontese, per noi socialdemocratici, di prioritaria importanza.
Ma, in questo momento, andare a ricercare le cause della crisi Fiat potrebbe anche non servire più. Certo ci deve essere utile per evitare gli errori del passato e per richiamare tutte le parti alle loro responsabilità, ma anche per una valutazione complessiva sull'andamento strutturale dell'industria in questo tipo di società. Valutazione da non farsi oggi, premuti dall'urgenza, ma che occorrerà anche in questa sede esaminare per vedere fino a che punto può spingersi il frazionamento,verso il basso, delle imprese, senza superare quella soglia di tollerabilità oltre la quale i vantaggi dell'elasticità economica sono vanificati da una frammentazione eccessiva, che blocca lo sviluppo culturale e tecnologico dell'azienda.
A nostro avviso, occorre una sintesi dei punti di crisi, per analizzare nel complesso lo stato del sistema industriale italiano e ritrovare le occasioni di rilancio competitivo in Europa ove,il Piemonte rappresenta per eccellenza, una regione europea proiettata verso i Paesi più industrializzati.
Per questo necessita una politica europea dell'automobile. In particolare, occorre agire in fretta, poiché la vicenda Fiat va analizzata in un contesto di un sistema in crisi che presenta dei punti di caduta, e non solo come conflitto interaziendale. Sistema nel quale questa vicenda costituisce un elemento di indebolimento dell'immagine dell'azienda automobilistica italiana e rappresenta un elemento di ritardo nell'approntamento di quelle politiche di sviluppo e di ricerca che altri Paesi hanno iniziato.
Ritornando alla vicenda di queste ultime ore, noi riteniamo che la sospensione delle trattative tra Fiat ed organizzazioni sindacali, richieda l'intervento urgente del Governo come sede di mediazione, con soluzioni alternative ai licenziamenti. Esistono, a nostro avviso, margini di mediazione che vanno con urgenza esplorati per evitare questo spettro. Su questo piano chiediamo che la Regione sia sentita dal Consiglio dei Ministri e che soprattutto il Governo si muova con maggiore sollecitudine perché in questi mesi ha perso troppo tempo, sottovalutando il problema che non è, come pareva, contingente.
Il Governo convochi con urgenza le parti e la sospensione delle trattative sia intesa come una pausa di riflessione che sfoci nella ripresa della trattativa e non nella rottura definitiva. Chiediamo al Governo che sollecitamente richiami la conclusione delle proposte della Commissione sul piano auto, sul piano di settore, strumento che se oggi fosse a disposizione, potrebbe anche essere di aiuto nella vicenda. Il Parlamento deve sollecitamente approvare quelle leggi per la regolamentazione della mobilità, per la concreta attuazione della legge 675.
A nostro avviso, a proposito della mobilità, ci pare troppo rigida la posizione delle organizzazioni sindacali. E' una proposta che va approfondita. Se dietro di essa si nascondessero processi di licenziamenti mascherati, il nostro "no" sarebbe deciso.
In questa fase ci pare che non si possa a priori, rifiutare il discorso sulla mobilità, purché sia contrattata e controllata, attraverso eventualmente, una revisione dei meccanismi della Commissione regionale sulla mobilità. Non sappiamo perché, e in quali termini, il sindacato la rifiuti. Certo, riconosciamo la difficoltà che il tessuto produttivo piemontese, legato all'auto, potrebbe avere nell'offrire sbocchi validi.
In questo quadro rivolgiamo un pressante invito alle parti interessate per la ripresa della trattativa e al Governo perché fornisca una sede di mediazione per avviare provvedimenti legislativi e tecnici che consentano soluzioni che non pregiudichino gli attuali livelli occupazionali, già incrinati da tante altre occasioni di crisi.
I momenti e i motivi di lavoro non mancano per il Governo, per l'azienda e per le organizzazioni sindacali. Di qui la speranza che la trattativa riprenda e allontani lo spettro dei licenziamenti e della diminuzione della capacità produttiva dell'azienda, fatti sui quali la posizione del nostro Gruppo è chiara.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bastianini, per il secondo intervento.



BASTIANINI Attilio

Presidente, Assessori e Consiglieri, il dibattito di questa mattina in Consiglio regionale è un dibattito reso sicuramente più difficile per tutte le parti dalle notizie non positive circa l'andamento delle trattative tra azienda e sindacati con la sospensione delle stesse; è reso ancora più difficile per le parti politiche presenti in questo Consiglio, dal timore che, oggi, proprio mentre stiamo parlando, si dia almeno formalmente inizio alle procedure previste dalle leggi e dai contratti di lavoro sui licenziamenti collettivi. Ci facevano temere un dibattito a forti contenuti demagogici, in cui anche con considerazioni legittime, ogni parte politica si arroccava più da vicino presso le componenti sociali che rappresenta o presso quella interpretazione ideologica dell'organizzazione della società che, malgrado i molti anni passati dalla nascita della nostra ideologia ognuno di noi si porta dietro. Devo dare atto al Presidente Enrietti e all'Assessore Alasia in primo luogo, di aver, invece, svolto delle relazioni documentate, pertinenti, attente anche a non generare un'attesa né nei poteri taumaturgici della Regione né in possibili diritti di veto che la Regione ha nei riguardi delle parti economiche e sociali coinvolte in questa vicenda.
E questo stesso tono mi sembra d'aver trovato negli interventi che mi hanno preceduto, nelle considerazioni appassionate di Viglione nell'intervento, documentato fino al punto di poter sembrare monotono (ma non lo era) del Consigliere Guasso; nell'intervento dei socialdemocratici.
Su questa stessa linea vorrei collocarmi, per capire fino in fondo qual è il male che abbiamo davanti (perché di male sicuramente si tratta) e per capire fino in fondo quale ruolo possa avere la Regione nel concorrere a superare nel modo migliore questo male. Voglio subito precisare all'Assessore Alasia, che ha voluto dedicare la parte introduttiva della sua relazione ad alcune considerazioni che come partito avevamo fatto, che non è certo dai liberali che si nega una doppia valenza della funzione regionale su questa materia; una valenza come ente sostanzialmente in grado di subordinare le condizioni di sviluppo e di intervento economico nella Regione, ma anche come ente che legittimamente si fa interprete e portavoce ed incide nella dinamica dei rapporti sociali. Non ci spaventa che il Consiglio regionale intervenga su questa materia. Ci avrebbe spaventato, ma il tono del dibattito ci ha sotto questo profilo, sicuramente tranquillizzati; non c'è stata una velleitaria assunzione di responsabilità che non ci competono o una pericolosa surrogazione di competenze che nel nostro ordinamento spettano ad altre istituzioni e ad altri organismi.
Per entrare nel merito del problema quindi, a me sembra che sia sfuggita alle analisi che sono state fatte finora, una considerazione di fondo, che è quella che ci deve rendere più preoccupati.
In una situazione economica sostanzialmente normale (non diciamo positiva) anche la crisi di un settore portante come l'auto, in un'area che da sempre abbiamo definito pericolosamente monoculturale, potrebbe non fare paura; potrebbe essere ritenuta dolorosa, certamente fonte di traumi sociali preoccupanti, ma sostanzialmente riassorbibile.
Oggi, il nodo di fondo è che la crisi del settore auto, che colpisce più da vicino l'economia piemontese, si inserisce in una situazione di crisi del sistema economico italiano. Se noi consideriamo le situazioni di crisi come una pelle con una quantità di pustole, anche soltanto nel sistema torinese dobbiamo capire che il problema Fiat è tanto più grave e tanto più preoccupante perché il sistema economico in cui viviamo è così snervato e così incapace di avere dei trends di sviluppo fisiologici, di tenere il passo con i trends di sviluppo delle economie con le quali siamo chiamati a confrontarci, che ogni difficoltà, ogni licenziato, diventa un problema sociale di cui tutti dobbiamo preoccuparci; di cui tutti dobbiamo farci carico, a cui non è possibile rispondere in modo unitario o semplicistico.
Non vorremmo, però, che di fronte ad una crisi così grave e così centrale come quella dell'auto, che si integra e si collega con la crisi più generale del "sistema Italia", si fornisse, ancora una volta, una risposta sostanzialmente ottimistica, come se il mondo potesse essere cambiato dai nostri desiderata. Noi vorremmo, invece, si approfittasse di questa difficoltà, per capire tutti insieme e fino in fondo, quali sono i nodi che dobbiamo sciogliere e risolvere per far sì che la nostra economia si possa sviluppare; che le nostre imprese possano avere competitività sui mercati nei quali sono chiamate a confrontarsi; che la crisi di un settore possa essere facilmente assorbita dalla ripresa o dagli andamenti positivi di altri settori; cioè ricreare condizioni normali di sviluppo economico.
Allora, al di là delle colpe della Fiat, che certamente ci sono in disinvolti comportamenti del vertice dell'azienda, in un management intermedio probabilmente insufficientemente stimolato a rendersi competitivo con l'analogo management di altri Paesi europei; con una classe operaia che ha avuto nell'ultimo decennio delle condizioni di progresso e di tenuta a cui non è corrisposta parallelamente una maturazione della responsabilità sul piano del lavoro; penso che dovremmo riflettere - ci che ancora non ho sentito in questa sede - su come possa reggere un'azienda, che produce auto in sistemi economici integrati, in presenza di una concorrenza internazionale che si fa ogni giorno più spietata, chiamata ad operare in un sistema che ha un differenziale di inflazione superiore al 10 % rispetto alla media dei Paesi concorrenti su questo settore.
Questo è il tema di fondo.
Di questo problema noi dobbiamo farci carico nella discussione. Noi potremmo anche tentare, con le buone o con le cattive, con la mobilità esterna o interna, da parte aziendale o da parte sindacale, con interventi di provvidenza o non di provvidenza, di far riprendere fiato all'azienda di rendere indolore questo travaglio, che dalla crisi dell'azienda si trasferisce sul sociale; ma, tra un anno o un anno e mezzo ci troveremo alle prese con gli stessi problemi: il "sistema Italia" non sarà capace di avvicinarsi, almeno per questo aspetto, ai Paesi con i quali è chiamato a confrontarsi.
Ancora una volta c'è una semplificazione dell'azienda, troppe volte portata a dire quello che la controparte sociale desiderava sentire, quando ha indicato nell'inflazione la strada per uscire dalle secche di una situazione economica difficile. Certo i conti sono fatti dagli esperti del settore, una svalutazione monetaria in un settore che ha un coefficiente di importazione pari allo 0,30/0,40 consente, in un sol colpo, di recuperare il 6/7% di competitività rispetto ai mercati dei concorrenti. Ma, se questo differenziale di inflazione si mantiene, e se questo differenziale di inflazione continua ad essere alimentato da una spesa pubblica parassitaria, da meccanismo di aggiornamento del costo del lavoro sostanzialmente non allineati a quelli dei Paesi d'Europa, questo problema ce lo ritroveremo sempre davanti.
Recentemente sono usciti dei dati terrificanti sull'effetto devastante che ha sull'economia integrata il differenziale d'inflazione. Noi non siamo il Brasile, che ha un'economia disintegrata, e quando è integrata è peggio per il Brasile. Noi abbiamo un'economia, fortunatamente, fortemente integrata. Un recente studio, che cito per breve memoria, indica come in un anno il differenziale di inflazione abbia consumato la competitività nella misura del 10% per le nostre aziende.
Farò un'altra considerazione su dati oggettivi su cui dobbiamo riflettere e ragionare, altrimenti, chiudiamo oggi una falla per ritrovarla aperta domani nella stessa misura. Quando, al di là delle strumentalizzazioni, delle forzature di queste cifre, si danno dei parametri sulla produttività di lavoro nelle aziende automobilistiche europee e si confrontano i dati della produttività italiana con i dati della produttività di altri Paesi e si scopre che c'è uno scostamento di produttività imputabile a ritardi tecnologici, ma anche imputabile a un diverso comportamento delle azioni sindacali all'interno dell'azienda; ad una diversa disponibilità sulla mobilità interna; ad una diversa disponibilità ad accettare l'assorbimento delle punte di mercato mediante l'impiego degli straordinari o di altre forme integrative del lavoro scopriamo un altro dato che troppo ci allontana dalla media delle economie.
Che questo dato sia vero, che sulla produttività del lavoro o meglio sul costo conseguente alla bassa produttività di lavoro si scarichi un insieme di oneri sociali, fortemente elevato e sperequato rispetto alla media dei Paesi concorrenti, è un dato storicamente esatto, inconfutabile, tanto è vero che i recenti provvedimenti di fiscalizzazione hanno tentato di recuperare su questa materia; cioè hanno tentato di ridare in un minor costo, in un rallentato aumento del costo del lavoro, a scapito delle entrate sostanzialmente paratributarie, un recupero di qualche per cento rispetto ai coefficienti parametrati su base europea.
Questa è la crisi del "sistema Italia" che, oltretutto, nel momento in cui si genera, alimenta se stessa: le aziende tendono a diventare parassitarie, poco inventive, certamente il management è meno stimolato al confronto permanente con gli altri settori, tende a ripiegare piuttosto nelle aree più sicure; ma, come tutti i fortini, anche le aree più sicure (in questo caso il mercato Italia) rischiano di saltare alla prima spallata che la concorrenza strozzata su altri mercati tende a dare e quindi a far esplodere nella totalità le conseguenze della crisi.
Aggiungiamo a questa situazione di crisi del "sistema Italia" alcune considerazioni sulla disinvolta, provinciale cultura con la quale sono stati affrontati nell'ultimo decennio i problemi del settore dell'auto. E in questo c'è stato il concorso dell'azienda ad accettare passivamente e supinamente l'ultimo grido della moda in materia dell'auto, certamente grave. Ero poco più alle prime armi del lavoro quando c'è stata la ventata proprio negli ambienti che frequentavo, nelle arancioni salette della Fondazione Agnelli - contro l'auto, quasi che la stessa azienda fosse la prima a volersi disfare di questo oggetto ingombrante, sotto le spinte di una cultura che diceva che l'auto era un prodotto obsoleto, superato mentre invece era un prodotto che si doveva riaffrontare e reinventare nel modificare la situazione energetica, nel modificare la situazione sociale ed aveva, come ha, una sua prospettiva e una sua validità.
La disaffezione che le parti sociali e politiche hanno dato al settore dell'auto in quel periodo, la disaffezione che la proprietà stessa ha dato al settore dell'auto in quel periodo, fa sì che oggi scopriamo come questo nostro sistema snervato e disarticolato abbia un costo del lavoro non confrontabile a quello dei Paesi concorrenti; abbia un differenziale di inflazione che lo penalizza fortemente rispetto ai Paesi concorrenti; abbia un aggiornamento tecnologico sulla materia che fa sì che i nostri modelli non siano mai up-to date ma siano sempre un passo indietro rispetto a quanto il mercato tende a richiedere.
Il Consigliere Guasso ha ricordato bene queste cifre. Sulle cifre della crisi, sui nuvoloni neri che la crisi ci mette davanti, che sono le avvisaglie di un autunno certamente preoccupante, siamo d'accordo. Si pu discutere se lo stoccaggio è stato dimensionato in modo corretto o scorretto, ma la sostanza delle valutazioni di mercato non vede delle cose diverse.
Bisogna dare atto al Partito Comunista, quando ha fatto la conferenza operaia sulla Fiat, di avere individuato gli elementi di contraddizione che vi erano all'interno di una certa situazione.
Certo non è il Consiglio regionale del Piemonte che può affrontare e discutere i nodi strutturali della crisi del "sistema Italia", ma anche dal Consiglio della Regione Piemonte deve venire chiara l'indicazione che non c'è provvedimento congiunturale; non c'è provvedimento strutturale; non c'è provvedimento di settore; non c'è provvedimento di finanziamento alla ricerca; non c'è sacrificio sociale; non c'è impegno del capitale; non c'è rinnovamento del management che regge in prospettiva, se non si modificano le condizioni di base per cui il sistema entrato in crisi ha perso competitività.
Il Consiglio regionale del Piemonte deve esprimere in un documento, che dalla crisi si esce con la responsabilità di tutti nel fatto contingente nell'aspetto congiunturale e strutturale dell'azienda, ma si esce in prospettiva solo se si è capaci di riportare nostro sistema a condizioni di reale competitività con i Paesi con i quali, di fatto, desideriamo rimanere integrati.
Se, quindi, sgombriamo il campo da queste considerazioni di scenario e se accettiamo la serie di dati che Guasso ha ricordato, che sono quelli della Commissione Prodi e quelli forniti dall'azienda, dobbiamo porci due domande precise e chiare per vedere quale giudizio dare, quale atteggiamento tenere, come Ente locale, per tentare di venire fuori da questa situazione di crisi.
Prima domanda: le previsioni di mercato della Fiat al 1981 sono in linea di massima, esatte o non esatte? Se non lo sono è evidente che si può trovare il modo di sopportare allo spasimo, con qualche sacrificio, un momento congiunturale, per riconsegnare all'azienda una pienezza di produzione a partire dall'81. Ma, se lo sono, o se addirittura rischiano persino di essere ottimistiche (e cercherò di spiegare perché l'azienda è ancora ottimistica nella valutazione della sua quota di mercato all'81), dobbiamo realisticamente prendere atto che strutturalmente è inevitabile una riduzione del personale.
Riflettiamo un momento sulle previsioni di mercato della Fiat. Credo che siano esatte in modo ottimistico perché abbiamo registrato in questi giorni cadute di quote di mercato anche da parte di produttori europei fino a ieri in una posizione sostanzialmente solida e questo ci deve preoccupare, perché è evidente, che queste aziende nel momento in cui perdono quote di mercato nell'ambito nazionale, tenderanno a diventare più aggressive sul mercato dell'esportazione; quindi, noi possiamo aspettarci ragionevolmente che la pressione di Volkswagen, di Renault, delle case che sono state più vitali in questa fase della crisi del settore dell'auto operanti in Paesi in cui il differenziale di inflazione è particolarmente favorevole rispetto all'Italia, tenderanno a penetrare più pesantemente sul mercato italiano.
Il nodo giapponese, questo Paese che ha un differenziale di inflazione spaventosamente divaricato rispetto ai nostri, che ha condizioni di lavoro inimitabili e probabilmente neppure augurabili, tenuto a bada attraverso un contingentamento che solo dalla solida alleanza dei Paesi europei ha potuto tenere, ma che guarda al mercato europeo come ad un'area di sfogo massiccia; la quota del mercato giapponese in Europa tenderà a dilatarsi ancora.
In questo senso, apro una parentesi, sulle nostre preoccupazioni per l'accordo Alfa-Nissan. Voi credete che un liberale possa improvvisamente scoprirsi protezionista? Ma nemmeno per idea! Se la Nissan accettasse di portare capitali di rischio in Italia e di correre i rischi dei produttori europei, noi saremmo i primi a desiderare questa presenza. Ma, c'è il sospetto che l'operazione Alfa-Nissan sia in realtà per la Nissan un'operazione di tipo commerciale, come quello che compera a 4/5 milioni al metro quadrato una bottega a Courmayeur perché desidera essere presente in quel mercato; di fatto la Nissan nei suoi giganteschi e consolidati bilanci sa che l'operazione Alfa-Nissan gli porta ogni anno qualche centinaio di miliardi di perdita, ma in compenso, gli apre una penetrazione sui mercati italiani ed europei. E' evidente che quando questo accordo venisse saldato di fatto, di fronte al ricatto giapponese di uscire da questa join venture per lasciare nuovamente l'Alfa Romeo nella sue contraddizioni, il Governo non potrebbe far altro che accettare le condizioni che la Nissan porrebbe.
Non c'è nei liberali un'improvvisa vocazione protezionistica, ma c'è la preoccupazione che dietro un'apparente operazione di partecipazione industriale si nasconda un'abile operazione di dumping sul piano commerciale, di penetrazione e di conquista di mercato. Si può conquistare un mercato vendendo le macchine a metà prezzo e si può conquistare un mercato sobbarcandosi le perdite di un'unità produttiva e acquisendo la rete commerciale, la possibilità di penetrare, di condizionare le politiche dell'auto del Paese in cui si è entrati.
Quindi, le previsioni della Fiat le abbiamo analizzate, ci siamo fatti dare i dati, li abbiamo studiati, li abbiamo confrontati con quelli della relazione Prodi; abbiamo scoperto che Guasso, di fatto, arriva più o meno alle stesse valutazioni e anche lui, di fatto, le accetta; dobbiamo tener conto che all'81 la quota di mercato della Fiat è, dal più al meno, la quota che oggi ci viene indicata.
Ma nella nostra analisi logica del problema ci siamo posti un dubbio ci siamo detti: "questa quota di mercato a cui è conciata in modo inevitabile la quantità di occupazione che il settore può assorbire, pu essere ampliata per effetto della ricerca, per effetto del piano auto, pu essere ampliata da un recupero di produttività all'interno dell'azienda?".
Le nostre risposte sono le seguenti.
La ricerca. Noi abbiamo l'impressione che oggi la Fiat non abbia bisogno di ricerca per acquistare nuove quote di mercato, ma abbia bisogno di una ricerca accelerata, intensa, per tenere le quote di mercato che ha.
I 1.000, 1.500 miliardi che, allineando le nostre politiche alle politiche CEE, metteremo a disposizione del settore e quindi per quota parte della Fiat, per alimentare la ricerca, servono a non far aprire un gap culturale sulla materia dell'auto, già oggi aperto, già oggi penalizzante, che già oggi spiega in gran parte, la caduta di competitività dell'azienda.
SANLORENZO Vicepresidente della Giunta regionale Forse, però, dipende da ciò che la ricerca trova.



BASTIANINI Attilio

Sono d'accordo, ma è evidente che dobbiamo fare i conti con la capacità dell'azienda di recuperare una capacità di invenzione Riguardo al livello europeo aprirei, poi, una parentesi perché su questo tema la mia parte politica si è espressa.
E' evidente che se i denari per la ricerca saranno dati ad un management e ad un ricercatore incapaci di individuare obiettivi in grado di aumentare la competitività dell'azienda, saranno soldi buttati al vento come saranno soldi buttati al vento se dovessero diventare una forma di finanziamento mascherato delle intrinseche debolezze aziendali.
Noi dobbiamo però ragionare nell'ipotesi che la Fiat riprenda, con l'aiuto dello Stato, una capacità di aggiornamento tecnologico.
Piano auto. La situazione qui è completamente diversa. Non credo che il piano auto possa modificare in alcunché i comportamenti effettivi. Questa è di fatto la diversità di valutazione tra me e Guasso. Guasso vede nel piano auto, il toccasana per tutto. Non abbiamo ancora capito bene che cos'è e abbiamo il forte timore che si tratti di una delle tante cose inutili che in questo Paese vengono fatte. Su questo il confronto potrà essere serrato.
La nostra impressione è che abbia ragione l'azienda quando afferma che è pronta a rinunciare fino all'ultima lira del piano auto se la condizione per ottenere i finanziamenti è il mantenimento di condizioni inefficienza di non produttività all'interno dell'azienda.
Sono due problemi di tipo completamente diverso: la ricerca deve servire a recuperare competitività tecnologica, l'efficienza e la produttività devono essere recuperate all'interno delle strutture produttive, il piano auto può essere elemento di riferimento e di inquadramento.
Certamente, non dobbiamo mantenere occupazione non produttiva mediante erogazioni che di fatto non sarebbero finalizzate alla messa a regime della ripresa dell'azienda.
Recupero della competitività. Terzo elemento su cui possiamo giocare per tentare di aumentare la quota di mercato all'81. Ma, qui, è il caso del cane che si morde la coda. Il recupero di produttività senza dubbio aumenta la competitività dell'azienda sui mercati internazionali perché diminuisce il costo dell'unità di prodotto, ma a sua volta, riduce la quantità di occupazione di cui, di fatto, c'è bisogno in quanto per unità lavorativa aumenta la qualità di prodotto: diminuisce il costo ma diminuisce la quantità di lavoro per unità prodotta.
Allo stato attuale delle cose, salvo l'attesa un po' fideistica (ma evidentemente rispettiamo il parere delle altre parti politiche sulla materia) del piano auto, non mi sembra che vi siano degli elementi per giudicare pessimista e restrittiva la previsione di mercato Fiat al 1981.
Abbiamo apprezzato e condiviso il riferimento che la Giunta ha fatto alle autorità europee in materia di politica dell'auto. Ricordo che su questa materia il deputato europeo Pininfarina ha presentato un apposito documento che mette in evidenza la necessità di concorrere, con una politica unitaria, per superare le strozzature che derivano dalla capacità di presenza del colosso giapponese da una parte e in prospettiva del colosso americano dall'altra. Malgrado queste indicazioni di scenario, le quote di mercato previste dalla Fiat nei dati a noi forniti, non sembrano nella sostanza contestabili e non mi sembra che siano stati contestati.
Se questo è vero, a questa quota di mercato corrisponde una quota di occupazione e quella che eccede a questa quota è da considerarsi improduttiva: può essere conservata nell'azienda ma di fatto rappresenta un costo a cui non corrisponde produzione , Occorre andare verso un dimensionamento strutturale dell'azienda rispetto alle quote di mercato che essa è in grado di occupare oggi, e che ci auguriamo possano servire domani.
Mi avvio alla conclusione affrontando l'altro nodo su cui c'è divisione tra la nostra posizione e quella delle forze politiche di maggioranza. Il primo nodo è: la quota di mercato che la Fiat si imputa all'81 non pu essere modificata di molto. L'altro nodo è il problema della mobilità.
Abbiamo una ricca collezione di dati. Se, come sembra, questa eccedenza strutturale di occupazione non può essere recuperata attraverso gli strumenti indolori della mobilità interna, del pre-pensionamento, del blocco del ricambio di manodopera, non c'è altra strada che il ricorso alla mobilità esterna. In fondo debbono essere previsti degli ammortizzatori sociali atti a non far pagare alle classi lavoratrici in prima istanza, le punte acute della crisi, ma atte a creare le condizioni per un fisiologico riassorbimento della crisi stessa.
I dati piemontesi sono preoccupanti: oggi la mobilità esterna, a cui tutti facciamo riferimento, è una maglia stretta. La mobilità esterna offre una previsione di ingresso in settori civilmente proponibili alla classe operaia torinese, che ha una sua tradizione professionale diversa da quella del passato, ma che senza dubbio non può essere negata, non può essere trasformata in una occupazione al new deal roosweltiano che mandava a fare grandi dighe nelle foreste interne dell'America: noi non possiamo mandare gli operai Fiat a fare i rimboschimenti; c'è un problema di tenuta del tessuto sociale a cui anche noi teniamo. Questa mobilità esterna è attorno ai 5/6 mila addetti all'anno, sempre nella speranza che la crisi del "sistema Italia" non indebolisca ancora di più questi dati. Questo prezzo verrebbe pagato dalle nuove leve che si affacciano sul mondo del lavoro perché,di fatto, una parte consistente dell'occupazione che verrebbe trasferita, taglierebbe le possibilità di occupazione alle nuove generazioni.
Essere più ottimisti è barare al tavolo. Oggi chi parlasse di mobilità esterna nell'ipotesi di facile e totale assorbimento della manodopera in eccedenza Fiat barerebbe al gioco, così come ha del gioco una visione limitata chi ritiene che ci possano essere altre strade per superare i nodi strutturali che abbiamo indicato.
Piaccia o non piaccia, questi sono i termini del problema.
Probabilmente avessimo responsabilità di Assessorato avremmo preoccupazioni pari o maggiori delle vostre. Però il civile confronto che si è svolto su questa materia, in quest'aula, ci fa dire che questi sono i termini del gioco. Possiamo cercare altre soluzioni; possiamo augurarci che nessuno assuma decisioni unilaterali; possiamo augurarci che cadano delle pregiudiziali da parte di tutti, per entrare nel merito dei problemi e delle cifre; ma molto spazio per dilatare il confronto non credo ci sia.
Il molo dell'Ente locale. Il taglio che ha dato la Giunta ci piace, lo consideriamo molto meno lontano da una nostra impostazione, di quanto avremmo potuto temere. C'è, senza dubbio una sorta di affiancamento preferenziale nei riguardi del sindacato; c'è l'impressione che alcune affermazioni della Giunta possano concorrere a rendere più difficile la comprensione, con realismo, dei temi del problema; ma c'è l'affermazione chiara, di quali sono gli spazi, al di là della testimonianza politico sociale, che la Giunta può, oggi, occupare, per concorrere positivamente al superamento di questa difficile fase dell'economia piemontese. C'è un'attiva partecipazione nella conoscenza delle condizioni reali del mercato del lavoro del Piemonte per opporre all'azienda, ove questa semplifichi troppo gli spazi stretti della mobilità esterna, ma anche - ci auguriamo - per far capire al sindacato che ove questi spazi, sia pur stretti, sono praticabili non è corretto e legittimo rifiutarli a priori c'è un impegno pieno della Giunta in materia di formazione professionale un impegno pieno della Giunta nell'accelerare e qualificare la spesa pubblica: noti perché questa possa dare una risposta immediata ai problemi occupazionali della Fiat, ma perché può operare come tonico di un'economia anemica e quindi come elemento di stimolo per i comparti produttivi più vicini al settore del mondo industriale.
Credo che non sia questo un tema su cui convenga aprire divaricazioni da parte nostra vi è piena consapevolezza della drammaticità sociale, di carattere generale e di carattere particolare, che la crisi Fiat porta con sé. Offriamo la nostra piena disponibilità a concorrere ad aiutare questa maggioranza, a creare le condizioni che migliorino la presenza dell'Ente locale su questa materia; nello stesso tempo, però, con precisa fermezza richiamiamo tutti a confrontarsi non con i sogni di un mondo che non è, ma con le cifre reali del settore dell'auto. Grazie.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Montefalchesi.
Ne ha facoltà.



MONTEFALCHESI Corrado

Ringrazio il compagno Alasia per la risposta alla mia interrogazione in ordine ad una posizione che ritengo corretta, rispetto al problema, da me sollevato, dei licenziamenti individuali all'interno della Fiat. Intendo manifestare la mia soddisfazione per gli sforzi che la Giunta ha fatto per arrivare ad una posizione corretta e per dare, nell'ambito delle sue competenze, un contributo al fine di arrivare alla soluzione del problema Fiat. Se questo problema si è drammatizzato ritengo che la responsabilità sia della Fiat, ma di fronte alla gravità della situazione, con l'avvio della procedura di licenziamento, credo sia legittimo che alcuni partiti esprimano indignazione. Ma, ognuno si assuma le proprie responsabilità della politica che conduce: è giustificata l'indignazione di coloro che si sono battuti per indirizzare le imprese all'interno di un quadro di programmazione; mentre non mi sembra giustificata l'indignazione di coloro (sono lacrime di coccodrillo) che hanno sostenuto e difeso la libertà di impresa e hanno fatto della gestione del governo un modo per negare qualsiasi ipotesi di programmazione. In particolare mi rivolgo alla D.C.
Questi sono i frutti della libertà d'impresa.
Non voglio dilungarmi sull'internazionalità della crisi, sul processo di ristrutturazione che il settore auto attraversa nelle aziende di altre nazioni, sulle migliaia di miliardi che vengono investiti dalle case automobilistiche, soprattutto americane, per la ricerca, per l'ammodernamento del prodotto, quindi sulla necessità di avere risposte adeguate per recuperare la competitività. Il dissenso è sulle risposte da dare a questi problemi. La Fiat parla di problemi congiunturali, ma noi vorremmo sapere che cosa succederà in futuro. La Fiat non sembra intenzionata a presentare un piano per affrontare la dimensione dei problemi, che sono strutturali e non congiunturali. Affrontare la strutturalità dei problemi significa dare una risposta attraverso un piano di azienda per la ricerca, per l'ammodernamento del prodotto, per eventuali alleanze con altre case automobilistiche rispetto alla componentistica, per la modifica dell'organizzazione del lavoro. Questo significa che in futuro quando il mercato sarà saturo, assisteremo ai licenziamenti e quando il mercato tirerà assisteremo alla chiamata dei lavoratori prima licenziati o di quelli del Meridione? Non mi sembra che questa possa essere una strada percorribile. Alla luce di questo, credo che l'Alfa Romeo abbia la sua legittimità di ricorrere a collaborazioni con altre case per far fronte ai suoi problemi. Rispetto alla strutturalità della crisi dell'auto, e alla dimensione del problema, il sindacato ha dato alcune risposte, avanzando delle proposte che sono di continuare a contare in fabbrica, per decidere anche sul modo di lavorare. I lavoratori e il sindacato hanno anche manifestato la preoccupazione di farsi carico della crisi aziendale, perch le fabbriche e i posti di lavoro sono beni sociali. I lavoratori, come ricordava il Presidente della Giunta, hanno difeso nel '43 le fabbriche e i posti di lavoro, appunto per questo non ci deve essere unilateralità di decisione da parte dei padroni e delle aziende: i lavoratori devono essere legittimati a discutere e devono poter contare nelle decisioni sui programmi delle aziende. Le proposte della Fiat per uscire dalla crisi sono completamente inadeguate alla gravità dei problemi e in questo senso il sindacato ha dato una lezione alla Fiat sollecitandola a definire un piano auto all'interno di un quadro di programmazione nazionale e a razionalizzare i modelli (ricordiamo che, appena uscita, la Delta è entrata in concorrenza con la Ritmo e allora si vendeva la Delta e non si vendeva più la Ritmo), oppure evitare la concorrenza tra modelli di case automobilistiche italiane, razionalizzare la componentistica attraverso accordi con altre case automobilistiche per evitare l'attuale polverizzazione e per permettere l'uso di componenti su più vetture. Il sindacato dice che è necessaria una modifica dell'organizzazione del lavoro per eliminare gradualmente il lavoro vincolato e il lavoro di linea; è migliorando le condizioni dei lavoratori che si recupera più produttività non solo, anche per aprire una prospettiva di lavoro ai giovani all'interno delle grandi aziende.
Perché molti giovani preferiscono il lavoro nero al lavoro di linea alla Fiat? Se non daremo una risposta a questo che è uno dei nodi centrali nei prossimi anni saranno sempre meno i giovani che andranno a lavorare nelle grandi fabbriche. Nei prossimi anni chi farà questi lavori? La Germania ha risolto questo problema: marocchini, iugoslavi e turchi vengono impiegati nel lavoro di linea. E' questa la strada che vuole percorrere anche la Fiat? Questi problemi riguardano anche lo Stato, la Regione e chi, poi, deve gestire la generalità del problema nella società. Il sindacato offre una risposta proponendo di sviluppare la ricerca, coinvolgendo gli istituti specifici su nuovi modelli, sull'ammodernamento del prodotto, sul risparmio energetico, sulla diversa organizzazione del lavoro.
Non ci scandalizziamo, se alla Fiat verranno dati contributi; siccome però,questi contributi sono pubblici, sono dei contribuenti, quindi in gran parte dei lavoratori dipendenti, è giusto chiedere che vengano dati a fronte di un piano predisposto dall'azienda e che quei soldi vengano investiti e utilizzati con il controllo del sindacato e dei consigli di fabbrica. Una risposta ai problemi immediati della Fiat può venire attraverso il turnover, pre-pensionamento, la mobilità interna, la cassa integrazione e guadagni.
La Fiat non è neanche entrata nel merito di queste ipotesi, è priva di un piano aziendale, dichiara che non le interessa il piano auto nazionale.
Consigliere Bastianini, questo è in funzione della libertà d'impresa perch vuole sfuggire da un quadro di programmazione. Noi rifiutiamo questo atteggiamento, questo è un attacco politico, non è un confronto. La Fiat dice: "basta con questo sindacato, basta con i consigli di fabbrica, basta con i lavoratori che controllano i ritmi, l'organizzazione del lavoro l'ambiente, le qualifiche, questa è materia che mi vedo io e i lavoratori e il sindacato non devono metterci il naso". Mira, quindi, alla sconfitta politica dei lavoratori, per andare, poi, a presentare il suo piano per uscire dalla crisi: o licenziamenti espliciti o licenziamenti camuffati attraverso la mobilità esterna. Che cosa significa la mobilità esterna quando ci sono 24.000 posti di lavoro in ballo all'Indesit, quando ai 12.000 della Fiat se ne aggiungono altrettanti dell'indotto? Che cosa significa dire mobilità esterna per Pininfarina quando l'Unione Industriale non è stata in grado di dare una soluzione attraverso la mobilità esterna a 500 posti della Singer? La cosa mi sembra estremamente chiara: un accordo da parte della Fiat scrivendo che l'Unione Industriale garantisce la riassumibilità in altre aziende per poi dire che la congiuntura è sfavorevole, c'è la crisi, non si può far fronte agli accordi. Dicendo licenziamenti si dice anche licenziamenti individuali. La stampa in questi giorni è uscita con titoli sulla riduzione dell'assenteismo alla Fiat e vediamo perché è diminuito l'assenteismo alla Fiat. Quando si incomincia a licenziare gli invalidi, gli inidonei, incomincia a serpeggiare la paura e i lavoratori vanno a lavorare anche quando sono ammalati, ma, anche qui essere ammalati non significa avere la febbre, significa anche avere l'esaurimento nervoso perché si è lavorato in posti come alle "Presse" a 110 decibel di rumore; significa avere la silicosi perché si è lavorato in fonderia. Certo, i lavoratori che sono in queste situazioni, oggi, vanno a lavorare preferendo mettere a repentaglio la loro salute piuttosto che perdere il posto di lavoro e non avere mezzi di sostentamento per la famiglia, lavoratori che muoiono come Loredana Melis delle "Presse" di Mirafiori. I licenziamenti individuali significano anche il rifiuto di intervenire sull'ambiente. I giornali mettono in risalto che c'è un dottore nuovo che cura gli ammalati: è il dott. Agnelli che li cura senza medicina che li fa guarire con la paura; i giornali non mettono in risalto che il dott. Agnelli, licenziando coloro che si ammalano sul posto di lavoro, non applica gli accordi che ha stipulato con le organizzazioni sindacali, non applica l'accordo che prevede l'entrata in fabbrica degli Enti locali delle U.L.S. per le rilevazioni ambientali, per la prevenzione e la cura.
Anche queste cose bisogna dire in merito all'assenteismo e ai licenziamenti individuali. Non mi sembra di aver letto sui giornali, al di fuori del "Manifesto", il licenziamento di Gianni Montani, lavoratore assunto dalla Fiat, licenziato, reintegrato dal Pretore, pagato facendolo stare a casa e di nuovo licenziato durante le ferie. Sapete perché ? Gli hanno mandato l'invito a presentarsi al lavoro durante il periodo feriale, dopo dieci giorni, visto che non si era presentato, l'hanno di nuovo licenziato. La colpa di Gianni Montani è di essere stato un redattore del "Manifesto" quindi non può lavorare in Fiat. Con questo atteggiamento, con questa cura la Fiat punta sostanzialmente a recuperare competitività attraverso l'aumento dello sfruttamento, licenziando una parte dei lavoratori e facendo fare a chi resta anche il lavoro di quelli che vengono licenziati.
Chi si ammala, poi, non essendo più sfruttabile, viene messo fuori dalla fabbrica.
Per quanto ci riguarda, rifiutare questo atteggiamento significa rifiutare i licenziamenti, espliciti o camuffati.
Se passa questa soluzione, il Governo con il piano auto che sta facendo, ci può tranquillamente andare al gabinetto, perché non serve più: la Fiat risolve i suoi problemi e, magari, i contributi che riceverà serviranno , probabilmente per qualche investimento in un altro Paese. Con questa strategia la Fiat non dà una risposta ai problemi strutturali di rinnovamento e di ricerca e punta unicamente a recuperare la produttività con la distruzione del potere dei lavoratori, non elaborando un piano.
Noi respingiamo queste posizioni della Fiat, riteniamo che si debba dire "no" ai licenziamenti, "no" alla mobilità extraziendale, imponendo alla Fiat una trattativa che tenga conto degli obiettivi del sindacato e dei lavoratori, del controllo del sindacato, dei lavoratori e delle istituzioni sulle scelte che fa l'azienda all'interno di un quadro di programmazione. Si dovrà fare una battaglia nei confronti del Governo che ha sempre rifiutato la politica programmatoria. Certamente la risposta a livello regionale e a livello nazionale deve rifiutare la centralità dell'auto e deve avviare lo sviluppo di altri settori alternativi e a questo riguardo saremo chiamati qui a dare una risposta all'elaborazione del programma della Giunta. Partiti, forze sociali e istituzioni dovranno schierarsi per evitare l'isolamento dei lavoratori e del sindacato, per intervenire nei confronti del Governo, per sconfiggere queste posizioni della Fiat che sono contro i lavoratori, ma, in prospettiva,anche contro l'azienda , l'apparato produttivo del Piemonte. Le forze politiche dovranno tenere assemblee con i lavoratori - come è stato fatto giustamente sul problema del terrorismo - per isolare la Fiat, per trovare una terza via per la soluzione dei problemi, la via che si individua nelle proposte del sindacato. Crediamo che il terrorismo e la violenza siano alimentati nella misura in cui c'è una progressiva degradazione sociale.
Ritengo che il Consiglio regionale debba uscire con una presa di posizione possibilmente unitaria e chiara nei contenuti.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Vetrino Nicola. Ne ha facoltà.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, signori Consiglieri, credo che tutti abbiamo apprezzato il senso di responsabilità del Presidente della Giunta per aver chiesto al Presidente del Consiglio di cancellare tutti i punti iscritti all'ordine del giorno di questa mattina per dibattere, in via prioritaria il problema della Fiat. Penso, però, che un modo corretto di porsi di fronte a questo problema, entrato ormai in una fase drammatica che temevamo e scongiuravamo, sia quello di superare la situazione traumatica nella quale siamo precipitati alla notizia della sospensione della trattativa e nella quale ancora ci costringe l'attesa spasmodica per gli ulteriori sviluppi nella sede romana. Occorre affrontare tutti i temi, forse con maggiore responsabilità e più consapevoli della drammaticità degli eventi ma anche con la necessaria freddezza, affinché questo dibattito produca un reale contributo alla soluzione che auspichiamo, fin d'ora, positiva.
Per inquadrare correttamente il problema non si può, a nostro avviso prescindere dalla considerazione che la crisi dell'auto non è fenomeno solo italiano, ma mondiale, e che tutti i Paesi del mondo avvertono situazioni di crisi, più o meno accentuata. Un fatto è certo: si tratta di un mercato non in grande progresso e con forti punte di concorrenzialità. Qualcuno ha detto che gli anni a venire saranno gli anni della guerra dell'auto! Per avere un'ulteriore idea della dimensione del fenomeno si voglia considerare che il settore auto è quello che nel mondo industriale mondiale impiega più grande numero di addetti, nell'ordine di decine di milioni, e che la crisi strutturale del settore sta creando problemi occupazionali generali.
Detto questo e riportando il problema nell'area italiana e più specificatamente nell'area piemontese, la crisi della Fiat si aggiunge ed aggrava la crisi occupazionale già in atto da mesi e che ha interessato ormai molte aziende in tanti differenti settori. Poiché l'attenzione regionale ai problemi occupazionali aziendali ha posto in questi giorni in discussione anche il ruolo che la Regione può e deve avere, noi riteniamo che la presenza attiva dell'Ente regionale, in questa situazione, risponda a precise responsabilità che l'Ente locale ha, come rappresentante politico della comunità e come interprete, oltre che come titolare delle esigenze anche economiche dei cittadini. Un ruolo riduttivo di tale responsabilità come da alcune parti si auspicherebbe, in questi giorni di acceso dibattito, non risponderebbe alla logica ed alla necessità del potere decentrato. Va detto subito che ciò non deve e non può significare una sovrapposizione di ruoli o l'adesione a facili schieramenti di posizioni pregiudiziali, ma deve piuttosto rappresentare una testimonianza di disponibilità ad attivare tutti gli strumenti e le risorse, al fine di contribuire ad una valida soluzione della crisi variegata, che sta vivendo il Piemonte.
Diremo di più. Bisogna ricordare l'assenza, in passato, da un lato delle Amministrazioni sui problemi occupazionali ed industriali (quando essi erano problemi di sviluppo e di crescita); assenza che era conseguenza del ruolo burocratico dell'Ente locale, non in grado quindi di intervenire e correggere i meccanismi dello sviluppo economico e sociale delle aree amministrate. Dall'altro lato la scelta dell'impresa di un ruolo avulso dal contesto sociale, non considerando sufficientemente che, essendo l'impresa nelle democrazie industriali il centro aggregatore delle risorse produttive e quindi l'esclusivo creatore della ricchezza, il livello economico di un Paese dipende in larghissima misura dal modo in cui l'azienda è gestita e dalle decisioni che in essa vengono prese. Questi due comportamenti entrambi anomali, hanno portato in Piemonte uno sviluppo caotico e disordinato, una espansione urbana incoerente ed incontrollata, lo scoppio dei problemi sociali che negli anni passati e tuttora pesano ancora sulla realtà sociale piemontese.
E' stata necessaria una grave minaccia all'occupazione per trovare tutti attenti e responsabili, innanzitutto il Governo, il quale per la prima volta, in modo coordinato e coinvolgendo tutte le responsabilità governative, ha saputo nella sua giusta autorevolezza di determinatore degli indirizzi di politica industriale, economica e sociale, riportare il problema occupazionale piemontese nella situazione in cui ci troviamo, che è grave certamente, ma forse, non ancora irreparabile. Ora, poiché il problema è del Piemonte, esso è anche problema di questo Consiglio regionale, che deve portare il suo contributo alle ipotesi di soluzione che tutti stiamo tentando.
Questo coinvolgimento generale non significa stravolgere le leggi della democrazia industriale; non si vuole sostituire la libera iniziativa dell'imprenditore con una forma di assemblearismo sulle principali decisioni aziendali, ma si vuole coerentemente condizionare l'unilateralità delle decisioni per problemi che involgono pesantemente gli interessi dell'impresa e di coloro che vi prestano la propria attività, oltre che della collettività, la quale dalle condizioni dell'impresa, attende una risposta alle istanze di progresso e di benessere.
Ecco, perché le aziende che nel passato hanno raccolto i frutti di una politica economica e sociale la quale ha consentito a tutti gli italiani di dotarsi dei beni di consumo da loro prodotti, oggi accedono alla conseguenza che il loro problema non è solo problema aziendale, ma problema sociale ,che va dibattuto con tutte le parti in causa.
A nostro avviso il problema Fiat non va considerato in termini referendari, di licenziamenti si o licenziamenti no, ma in termini di reali possibilità di recupero da parte delle aziende in crisi, di livelli di competitività autonoma, attraverso interventi fiscali e finanziari, onde porre le premesse per un rilancio economico del Piemonte utilizzando tutti gli strumenti che le aziende in crisi propongono, che le varie Commissioni di esperti hanno elaborato o stanno elaborando, che i sindacati hanno esaminato e continuano a proporre.
Questo significa abbandonare la logica del salvataggio pubblico ad attività non più competitive e che non possono essere rese tali attraverso un piano di risanamento. Questa logica, peraltro, è stata rifiutata, almeno fino a ieri, con molto senso di responsabilità dalla Fiat e gli esempi del passato dovrebbero insegnare che la logica dell'assistenzialismo non porta a nulla se non a sprechi di denaro pubblico.
Se è vero che non si possono nascondere le obiettive difficoltà delle aziende piemontesi, anche delle piccole, non possiamo non tenere conto di tante altre difficoltà che traggono la loro origine anche dal fatto che queste aziende sono inserite in un Paese in situazione di forte inflazione a sostenuta domanda interna, con una accentuata dinamica dei costi industriali, con un'alta dipendenza energetica, quindi in un Paese minacciato dalla progressiva perdita di competitività.
L'intervento regionale può e deve muoversi su due direttrici: quella della politica industriale regionale e quella della politica attiva del lavoro. Compito nostro è quello di definire come utilizzare al meglio gli strumenti istituzionali che abbiamo, per inserirci su queste due direttrici. La Regione Piemonte ha varato in passato leggi specifiche in favore degli insediamenti industriali, del riequilibrio industriale (la legge 9/80 e la convenzione-quadro per la rilocalizzazione industriale, che fu inserita nel piano regionale su nostra richiesta, sono atti importanti).
In futuro la Regione dovrà adeguare i suoi interventi anche alle necessità della mobilità, attraverso programmi di interventi integrati che la favoriscano; favorire la formazione professionale ma garantire anche che tutti gli altri servizi di cui i lavoratori hanno bisogno siano efficienti: casa, scuola, trasporti, salute.
Questo è l'intreccio e il coordinamento tra azienda ed Ente pubblico che è mancato nel passato, ma che in futuro sarà condizione irrinunciabile in assoluto.
Altre cose sono le strategie dei mercati: la strategia della politica aziendale deve inserirsi, confrontarsi, adeguarsi alla programmazione nazionale e alle previsioni di sviluppo regionale, ma le strategie di mercato in quanto tali restano un fatto aziendale, al management va riconosciuta questa sua prerogativa, al contrario andremo veramente verso la sovrapposizione dei ruoli e la confusione. Tenendo conto che il compito non è dei più facili. Strateghi economici di tutto il mondo, Commissioni mondiali internazionali stanno studiando il mercato dell'auto e le sue possibilità di sviluppo: in questo consesso regionale ci sono certamente degli ottimi politici, degli ottimi professionisti, ed io chiedo, per come è possibile pensare di inserirci come Consiglio regionale nella strategia imprenditoriale dell'azienda e fornire il toccasana per il superamento della crisi mondiale dell'auto. Noi dobbiamo chiedere alla Fiat i programmi, le verifiche costanti, anche a scadenze concordate: questo è il rapporto che dobbiamo avere con la Fiat. Nella contingenza attuale possiamo chiedere alle imprese di recuperare competitività e produttività di rinnovare gli impianti, di innovare i modelli, di riconvertire e reinvestire i capitali; dobbiamo chiedere al Governo di varare velocemente i programmi di settore previsti dal piano e alle Commissioni istituite di accelerare i lavori, di varare velocemente la legge sul pre-pensionamento e dobbiamo anche chiedere al sindacato di assumere un atteggiamento responsabile e di porsi di fronte ai problemi senza pregiudiziali, con l'obiettivo di gestire le esigenze dei lavoratori in maniera compatibile con quelle dell'azienda. Poiché si parla della situazione occupazionale del Piemonte è importante ricordare che già 15 mila sono i disoccupati e 59 mila sono coloro in attesa di primo impiego: queste cifre non si sono dileguate e quindi lo sforzo generale deve essere quello di ricreare le condizioni per un recupero tale da soddisfare anche le istanze di lavoro già presenti sul territorio.
La seconda direttrice sulla quale dobbiamo muoverci è quella della politica attiva del lavoro. I repubblicani pensano che la politica della programmazione non può più prescindere dalla necessità di creare nuovi strumenti di governo nel mercato del lavoro, più efficienti, più duttili e precisi di quelli fin qui adottati. Si tratta di definire un quadro di intervento complessivo sui problemi del collocamento, della mobilità, del sostegno dei redditi, della formazione professionale. Tale intervento dovrà farsi carico della composizione del contrasto degli interessi in campo garantendo il recupero di un certo margine di flessibilità nell'uso della forza lavoro, anche al fine di consentire, a chi ne è attualmente emarginato, un più facile ingresso nel sistema produttivo.
Questo consentirà probabilmente di trasformare la cassa integrazione guadagni in uno strumento a sostegno della mobilità orientata dei lavoratori, facendole definitivamente perdere il carattere assistenziale troppe volte assunto in passato con tutte le conseguenze che ne sono derivate, sia sul piano dello sperpero del denaro pubblico sia sul piano dell'incentivazione di fenomeni patologici quali il lavoro nero e l'evasione contributiva. Con il pre-pensionamento, il tournover le dimissioni spontanee, la mobilità interna, ma anche quella esterna, è forse possibile superare il problema Fiat; mobilità il cui primo carattere deve essere quello della gradualità per consentire un assorbimento morbido e controllato. Se non sapremo attuare questo strumento come condizione base della capacità del sistema a reggere in modo adeguato la concorrenza proveniente dagli altri Paesi, questa sarà una grave sconfitta per tutto il sistema industriale, politico e sindacale. Anche perché se è vero che il licenziamento non risolve il problema la mobilità però può rivelarsi il vero atto politico importante di questa stagione, atto coraggioso, ma responsabile: perché mobilità significa impegnare tutte le parti sociali a gestirla, a graduarla, a controllarla, a verificarla.
Formulo l'auspicio che l'azione mediatrice del Governo possa far evolvere la situazione, nel senso di far nuovamente sedere allo stesso tavolo le parti e che concordemente, si possa trovare un accordo. Qualunque altra soluzione unilaterale e impositiva , segnerebbe un grave passo indietro rispetto alla politica del confronto che è auspicabile in ogni sede e che riteniamo l'unica possibile in questa drammatica stagione piemontese.



PRESIDENTE

Prima delle repliche degli Assessori Simonelli e Rivalta, la parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Signori Consiglieri, siamo all'ultimo intervento di rappresentanza delle singole forze politiche in Consiglio regionale, quindi di fronte ad una presa di posizione che mi esime dal dover affrontare aspetti che sono già stati ampiamente trattati dai colleghi ai quali, però, forse un riferimento, anche sintetico, può riassumere la posizione del nostro Gruppo.
Riteniamo che se è vero che siamo di fronte, come già qualcuno ha detto, ad una dimensione di licenziamenti minacciati che è senza precedenti rispetto a problemi gravi già presentatisi alla nostra realtà piemontese in passato, dobbiamo considerare come responsabilmente necessaria da parte nostra un'analisi, sì, delle terapie che sono, state suggerite ma anche un ritorno con l'accettazione di alcune componenti delle diagnosi che sono state affacciate. Riteniamo che rispetto alle diagnosi affacciate soprattutto per quanto concerne le difficoltà di mercato e la competitività, si debbano riconsiderare con attenzione le posizioni responsabili e critiche che si sono espresse sul tema della mancanza di competitività della Fiat, sul mercato internazionale soprattutto. Sono posizioni che comprendono da un lato, responsabilmente, una critica su come l'azienda ha potuto agire in termini di aumento della produttività (questa parola, comunemente impropria, riflette però, tutte le condizioni che sono proprie della situazione finanziaria, economica, della nostra moneta e quindi delle nostre difficoltà anche ad operare in termini di competitività) e di conseguenza le difficoltà - dicono all'azienda - di potere prefigurare una redditività degli investimenti necessari così come la concorrenza internazionale richiederebbe.
Crediamo che su questo piano si debbano considerare con consapevolezza le critiche che sono state espresse che - è ben noto - investono aspetti di governabilità interna dell'azienda ed aspetti di politica industriale nazionale con responsabilità che fanno riferimento al Governo. Dobbiamo però, anche considerare l'altra faccia della medaglia e cioè le posizioni che riteniamo altrettanto responsabili da parte dei sindacati, da parte di alcune forze politiche, rispetto alle quali anche noi, ovviamente, ci collochiamo, non in allineamento assoluto, solo giustificativo rispetto a quello che è stato finora fatto in termini di conduzione e quindi in termini anche di programmazione aziendale, quando si lamenta la mancanza di un aggiornamento soprattutto della programmazione aziendale quand'anche un difetto di politiche precise a livello nazionale; quando si lamenta l'applicazione - per andare ad un problema più specifico - di alcuni provvedimenti di carattere generale che sono stati avviati sul piano legislativo, con la legge 675 nel settore auto.
Però, dobbiamo anche con coscienza dire che rispetto a queste posizioni responsabili bisogna decidersi a considerare come, di fatto, l'occupazione oggi, se vogliamo mirare a quest'obiettivo prioritario rispetto alla gestione della realtà sociale, si salva solo con una seria programmazione e solo operando in termini di investimenti. Crediamo di doverlo affermare con molta sicurezza, rispetto ad una serie di nodi che rimangono ancora si analizzati, ma rispetto ai quali le soluzioni ancora non sono state delineate con precisione.
Mi esime l'accettazione che anche alcune, forze politiche, a noi opposte come visione politica generale, hanno fatto delle conclusioni della Commissione Prodi. Una di queste, credo, vada richiamata, quando la Commissione sostiene che "la dimensione della struttura produttiva non sia da ritenere comunque tale da essere di per sé contestabile nella realtà produttiva nostra nazionale e che non sia la dimensione quindi, la causa della debolezza produttiva ed organizzativa a porre in situazioni critiche l'industria dell'automobile in Italia". La Commissione ritiene, inoltre che sia "l'assenza di chiare filosofie aziendali che non abbia permesso la formulazione di strategie a medio e a lungo termine e lo sviluppo di aggressive politiche per rendere efficiente e profittevole la gestione" e ricorda - la Commissione - come sulla produttività, sull'innovazione e sulla capacità gestionale vi sono i pilastri sui quali si debba fondare la ripresa dell'industria automobilistica italiana. Credo che il riferimento a queste conclusioni ci debba trovare certamente allineati, anche con altre posizioni assunte da altre forze politiche, anche se partendo da queste conclusioni non si offre riconoscimento di una certa libertà per esercitare quella capacità manageriale, quella capacità di invenzione rispetto ai provvedimenti che devono essere presi.
In primo luogo dobbiamo sottolineare come, rispetto alla produttività e all'innovazione, vi debbano essere degli obiettivi precisi che, oggi, sono purtroppo irrisolti considerando la valutazione di alcuni nodi. Li ricordo brevemente, Ad esempio, il nodo della riduzione degli stocks di auto invendute che è pure un nodo che deve essere comunque, affrontato e risolto; il nodo della diminuzione del costo unitario del prodotto per evitare perdite che, ormai, possono divenire irreparabili, non tanto e solo in termini di gestione, quanto sui riflessi di penalizzazione che queste perdite finiscono per avere sugli investimenti necessari.
Rimane un grosso nodo irrisolto: il problema della ricapitalizzazione sul quale, per noi, esistono lunghe ombre,sia rispetto agli impegni esterni sia rispetto agli impegni del credito interno dell'azienda. Nodo che per dobbiamo riconoscere - ha bisogno di sbocchi di credibilità in termini di conduzione dell'azienda, per far sì che vi sia una fiducia sul piano azionario e sul piano dell'impegno di capitale, da parte della stessa proprietà che, oggi, potrebbe sembrare avere dei momenti d'incertezza e di dubbio. Rimangono, e qui lo ricordo (non vorremmo che fosse oggetto solo di un ricordo ricorrente rispetto all'habitat che è sopravvissuto a lunghe vicende di conduzione aziendale), i problemi delle condizioni interne e dei rapporti interni alle aziende, per una produttività che sia elasticamente programmabile in funzione di quelle che sono le esigenze, non solo di stretta politica aziendale, ma esigenze che hanno ormai dei raccordi con la programmazione e la competitività anche esterna. Contemporaneamente abbiamo il nodo relativo ai provvedimenti in atto che, non vi è dubbio, gettano lunghe ombre - da noi condivise - sui timori che una riduzione tout court della capacità produttiva e professionale all'interno dell'azienda riducano la capacità di presenza della Fiat sui mercati europei, anche se non credo vi siano grandi velleità di conquista di nuovi mercati sul piano mondiale.
L'ultimo nodo che voglio ricordare, è il problema della ristrutturazione, rispetto al quale o ci si colloca congiuntamente all'obiettivo dell'innovazione tecnologica e del modo rispetto al quale si sono aggregati gli impianti; si sono concentrate le unità produttive; si sono distribuiti i compiti di produzione di parti di auto rispetto a locazioni che non hanno investito solo il nostro Paese, ma si vanno ormai allargando anche a Paesi europei dell'est e dell'ovest; oppure il significato delle innovazioni finisce per perdere qualsiasi prospettiva di contenuto e quindi divenire una semplice alea giustificativa per fare degli investimenti-ricerca che rischiano di non essere, a mio avviso finalizzati.
A questo punto ricordo come vi sia l'ultimo nodo, tra l'altro molto ben analizzato dal rapporto Prodi, quello della componentistica che rappresenta il nodo di prospettiva più determinante per ricreare delle condizioni di tipo veramente nuovo, sia per quanto concerne il problema delle modificazioni dei rapporti tra le aziende concorrenti all'interno di uno stesso sistema nazionale di produzione auto, sia per quanto riguarda i rapporti internazionali di queste stesse aziende quand'anche concorrenziali tra loro. Dobbiamo renderci conto - come è giustamente analizzato nel rapporto Prodi - come la componentistica sia la prospettiva che permette facendo degli opportuni investimenti finalizzati, ricreare delle effettive condizioni che vadano ad interessare non solo il settore auto italiano in senso stretto, ma il settore meccanico italiano in senso lato, cosi come gli obiettivi della diversificazione, da tempo hanno identificato e rispetto ai quali dobbiamo muoverci.
Anche i provvedimenti invocati relativi alla ricerca, a nostro avviso dovranno indirizzarsi in questa direzione: e bisognerà finalizzarli verso la ricerca per il prototipo, quel prototipo che, come qui è stato ricordato, ha, rispetto alla domanda internazionale, ormai delle componenti fisse rispetto ai consumi, ai tagli e alle cadenze di innovazione dei modelli stessi richiesti dal mercato per ragioni economiche ma nello stesso tempo presentano riflessi sociali, rispetto ai quali, credo, la produzione di questo grosso prodotto di consumo debba necessariamente collocarsi sul piano internazionale. Vorremmo che alla luce di tutte queste considerazioni, quando si parla di allargamento della base produttiva fossimo attenti a valutare le difficoltà e ad avanzare proposte effettivamente credibili. In questa ottica vorremmo si considerasse quindi, la difficoltà, anche da parte dell'azienda, a dare una serie di garanzie nella trattativa verso quelli che sono i problemi di riconosciuta ormai, esigenza di mobilità, non solo interna ma anche esterna. Mobilità orientata, quando possibile, su settori trainanti nel sistema produttivo interno della Fiat; mentre è da trasferirsi a settori esterni quando risulta eccedente rispetto alla collocazione interna. Vorremmo che questo allargamento della base produttiva continuasse ad essere l'obiettivo rispetto al quale si muove l'azione della Regione, così come è stato ricordato sta mane dall'Assessore Alasia durante l'esposizione del documento consuntivo dell'attività '75-'80 dell'Assessorato. Varrebbe la pena fare delle considerazioni su tutto ciò che è stato attivato positivamente nella direzione di una possibile collocazione in alternativa ad aziende che cessavano l'attività o che avevano esigenze di riconversione, ma rispetto alle quali, purtroppo, troppe eccedenze rimangono ancora collocate nella prospettiva asfittica della cassa integrazione. Non stiamo qui a ricordarle perché rischieremmo di attivare una polemica da un lato per come le forze politiche hanno sostenuto ad oltranza la cassa integrazione, dall'altro per l'atteggiamento della parte sindacale.
Mi preme, appunto, ricordare come, al di là dell'azione positiva di ricerca esasperata fatta nell'ambito delle competenze dell'Assessorato al lavoro, esista la necessità di un'opera di attivazione, di promozione e di impegno da parte dell'imprenditoria privata, a riassumere forze di lavoro eccedenti in settori in crisi e vi sia l'esigenza di un'azione della Regione che miri ad una posizione in prospettiva che non faccia ricadere tutti questi problemi solo sulle spalle di un povero Cireneo quale pu essere l'Assessore Alasia. In questo modo, al di là delle delusioni che provocheremmo, finiremmo per svilire sempre di più la credibilità del ruolo dell'Ente pubblico, soprattutto della Regione, sulla capacità di poter intervenire sui grossi sistemi o sui micro sistemi che riescono a muovere le rotelle della macchina sociale ed economica.
Riteniamo che sia possibile, da parte della Regione, arricchire proprio in queste fasi congiunturali difficili, i contenuti della programmazione. Purtroppo dobbiamo lamentare che, sia nelle dichiarazioni del Presidente della Giunta, sia nei silenzi, che riteniamo ingiustificati in questo dibattito si è registrata una carenza di valutazioni sulle prospettive immediate rispetto a eccedenze occupazionali (che ci auguriamo pochissime, ma che certamente si verificheranno rispetto alla contrazione del turnover nell'indotto e non solo del settore auto), e sulle incidenze che potrebbero avere le attivazioni possibili nel meccanico, nell'indotto a livello regionale che notoriamente sappiamo essere non già in crisi ma alla vigilia di una profonda crisi. Crisi che si ribalterebbe anche sulla nostra realtà sociale con riflessi gravi, perché le piccole imprese non mi pare abbiano delle possibilità di tenuta, sia per quanto riguarda i provvedimenti para-assistenziali sia per le possibilità di indebitamento molto più ridotte in confronto alle grandi aziende.
Quindi riteniamo che la pervicacia con la quale l'Amministrazione regionale si è voluta collocare ripetitivamente rispetto alle posizioni dei sindacati non sia accettabile oppure sia accettabile solo se accompagnata da precise smentite su certe ineluttabilità rispetto a quote di mobilità esterna.
Non sono state fatte delle valutazioni convincenti della Regione, al di là della negazione e della repulsa di questo accesso alla mobilità esterna.
Non conosciamo, ad esempio, un aspetto importante che riguarda l'ultima proposta fatta dall'azienda circa la progressività di applicazione dei provvedimenti ed alla limitata estensione dei provvedimenti stessi indicando delle dimensioni temporali, anche quantitative, che potevano essere oggetto .di contrattazione. Non so se il ribaltamento tout court a Roma di questa trattativa possa essere di per sé dirimente. Riteniamo che su questo aspetto vi debba essere non un allineamento ripetitivo della posizione che hanno assunto le forze politiche in Consiglio comunale, ma una posizione della Giunta e del Consiglio regionale molto più responsabile rispetto agli strumenti che sono stati proposti; impregiudicate le condizioni, le modalità e la dimensione dell'applicazione di questi provvedimenti.
Abbiamo la consapevolezza, quindi, che a questo tipo di atteggiamento si debba accompagnare un aggiornamento degli obiettivi del piano di sviluppo e ci attendevamo stamattina una comunicazione dell'Assessore Simonelli in proposito. Lamentiamo quest'assenza; avremmo preferito l'intervento dell'Assessore Simonelli in premessa alla discussione.
Vorremmo che l'aggiornamento del piano di sviluppo non riperpetuasse gli errori di miopia politica e anche di rigidezza ideologica che avevano già caratterizzato la stesura del primo documento. Non sto qui a ricordarli tutti.
Gli interventi critici che la D.C. aveva mosso al piano di sviluppo, di fatto comunque, riguardavano proprio i nodi sull'assoluta immodificabilità del rapporto occupazionale all'interno del secondario. Si era voluto giurare che, comunque, quello era un obiettivo politico e che quel tipo di rapporto occupazionale doveva essere mantenuto ad ogni costo, quando sappiamo benissimo come altri Paesi europei si stiano muovendo su prospettive totalmente diverse. Altrettanto bene sappiamo come non siano ricollocabili nel primario, i posti di lavoro che si vanno rendendo costantemente eccedenti nel secondario. I Paesi più avanzati dal punto di vista di una variabilità, di una capacità di assorbire le modificazioni economiche, hanno attivato proprio nel terziario una serie di iniziative e di possibilità occupazionali del tutto diverse dal come, qui, vorremmo concepire questo tipo di ruolo nella nostra realtà sociale.
Ci domandiamo, appunto, come sarà possibile rendere credibile l'azione della Regione in assenza di una verifica di queste variabili economiche non acquisite finora non solo per insufficienza di tempi di formazione della Giunta regionale, ma perché già negli anni '75-'80, cioè nell'ultima fase della seconda legislatura, non si è provveduto, come sarebbe stato impegno delle forze politiche di maggioranza, ad un costante aggiornamento della situazione, per poter pervenire, in apertura della terza legislatura ad una prospettiva di proposte politiche effettivamente credibili.
Mi avvio, quindi, alla conclusione, per dire come ci troviamo di fronte ad un quadro della situazione produttiva e di prospettive di mercato che non permettono di credere che l'iniziativa della Fiat sia esemplificativa cioè uno dei tanti modi per ottenere altri obiettivi mettendo in atto certe minacce. Il gran numero dei posti di lavoro in pericolo, ci deve convincere che è giunta l'ora, ormai, di assumere decisioni incidenti sulle difficoltà strutturali e quindi, non solo, su quelle contingenti. Il salvaguardare i soli posti di lavoro di per sé, in un quadro di cassa integrazione più o meno dilatata, sarebbe una prospettiva che si colloca solo ad affrontare situazioni contingenti. Dobbiamo ricercare risposte precise e responsabili non anticipando atteggiamenti verso i problemi da affrontare che di per s rendano nulla la ricerca di soluzioni. Ricordo che i nodi delle condizioni interne ed esterne riguardo alle quali oggi si può ipotizzare un rilancio di una produttività competitiva e che quindi offra margini di redditività per nuovi investimenti, non sono immediatamente e facilmente affrontabili nella loro globalità.
Credo che di questo siano coscienti anche le parti imprenditoriali oltre che le parti sindacali. Ma occorrono modificazioni graduali che siano costantemente ed irrinunciabilmente perseguibili per tre obiettivi: la riduzione dei costi unitari del prodotto; la riduzione delle eccedenze di produzione per i modelli che hanno minori profitti di gestione (non siamo certo noi a sostenere che si deve operare una riduzione della capacità produttiva che di fatto ponga la Fiat ad essere un'industria di secondo piano in campo internazionale); una riduzione delle perdite che, per finiscono per penalizzare i nuovi investimenti.
Riaffermiamo che i soli licenziamenti, per quanto giustificati, e la sola cassa integrazione non rappresentano soluzioni credibili per un risanamento duraturo. I timori che la semplice riduzione della capacità produttiva, espressa questa mattina dal Consigliere Guasso, possa riflettersi negativamente sulla competitività soprattutto europea, ci trova pienamente consenzienti. Per questo eserciteremo tutta la pressione affinché non vengano operati dei tagli incidenti sull'immagine e sulla possibilità di conservare quella presenza che non solo per un orgoglio nazionale, ma per un'esigenza di carattere anche economico, riteniamo fondamentale Però occorre, a nostro avviso, concordare un'applicazione graduale e sperimentale dei provvedimenti che sono necessari, sia la cassa integrazione, sia la mobilità interna, sia quella esterna, la più ridotta possibile, verificando passo a passo i risultati acquisibili in un quadro di rapporti sociali che siano distesi, collaborativi. Ecco perch auspichiamo che il rinvio a Roma della trattativa sia qualcosa di più di una mediazione sociale; vorremmo fosse l'avvio di un processo di partecipazione anche delle istituzioni a questa vicenda, a questa grossa vertenza e che non si collochi solo come mediazione rispetto ad una determinata componente, ad un determinato problema, ma che sia l'inizio di una costruzione di linea e di proposta politica, sia in termini di politica di programmazione regionale, sia per concorrere a determinare una vera politica di settore nazionale. In questo modo si determinerebbero quelle linee di programmazione nazionale di cui lamentiamo l'assenza, che ci permetterebbero di impostare i nostri piani regionali con più chiarezza.
L'atteggiamento che gli Enti locali devono assumere su questi problemi è quello di un ruolo autonomo verso le parti sociali in causa e dobbiamo denunciare, sia il comunicato emesso dalla Giunta regionale in data 10 settembre, sia le dichiarazioni del Presidente della Giunta come non allineate e non consone a tale ruolo. Il rifiuto a considerare e a verificare quelle proposte di mobilità che erano sul tavolo delle trattative noi riteniamo sia una posizione da parte della Giunta regionale che ha finito solo per irrigidire ulteriormente le posizioni precostituite dando oggi atto a quelle minacce, che speriamo non iniziate, dell'avvio delle procedure di licenziamento. Ma ancora più grave,a nostro avviso è la mancanza di una proiezione politica della Regione sulla situazione economica ed occupazionale, per i pericoli di recessione che possono avere e per le iniziative correttive possibili da parte della Regione per costruire una programmazione degli investimenti pubblici che sono utili alla congiuntura in atto. Non minimizziamo questo ruolo, non collochiamoci in un atteggiamento riduttivo rispetto a queste possibilità, non tanto e solo per gli attuali pesi occupazionali in atto, ma per le prospettive dei giovani, per quelli che verranno, cioè, per i posti di lavoro che dovremo costruire domani. Su queste cose non v'è dubbio che l'attivazione degli investimenti pubblici è non solo utile ma necessaria. Quindi, rifiutiamo questa visione riduttiva dei problemi economici regionali, visione solo attenta al nodo occupazionale di per sé, che per quanto importante, oggi è in pericolo. Pertanto richiediamo vi sia un impegno per prospettive di diversificazione che abbiano una reale incidenza sull'assetto, che abbiano una reale possibilità di creare un avvenire economico per la nostra Regione. Ricordo, quindi, come anche le richieste di politica comunitaria si debbano collocare in questa visione; cioè non solo in atteggiamenti di richiesta assistenziale - mi si permetta Vicepresidente Sanlorenzo - quali l'erogazione di fondi della Comunità Europea....



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Non li richiediamo, anzi, parleremo per escludere queste ipotesi.



PICCO Giovanni

Riteniamo che la sola richiesta di attivazione o di erogazione da fondi, siano essi regionali o di sviluppo sociale, non è, di per sé, la sanatoria dei nostri problemi. Dobbiamo considerare il nostro sistema produttivo come un sistema che purtroppo, per lo scomodo che ci dà e per i problemi che ci crea, non è immodificabile. E' un sistema per il quale si deve accettare e gestire una mobilità occupazionale, una prospettiva di competitività della nostra produzione e per la quale dobbiamo creare non solo forme di assistenzialità e di mortificazione, ma un'effettiva prospettiva di sviluppo.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola l'Assessore Simonelli. Ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione

Colleghi del Consiglio, l'ampio dibattito sui problemi della Fiat e dell'occupazione in Piemonte, ha consentito di mettere a fuoco molti problemi e di motivare le preoccupazioni di noi tutti in ordine al nodo dei nodi dell'economia e della situazione sociale del Piemonte.
E' vero, il problema va collocato nell'ambito della crisi generale dell'auto, anche se, a nostro avviso, siamo in presenza anche di una crisi della Fiat all'interno della crisi generale che le industrie automobilistiche sopportano in questi mesi. E' caduta la domanda, Sono modificate le caratteristiche della domanda e non sempre i produttori sono stati in grado di far fronte alle modificazioni nei tempi necessari.
Teniamo però conto che la caduta della domanda, che avrà la sua punta maggiore alla fine dell'80, non è stata così drammatica: nel '79 è stata dell'1 e 2 % a livello mondiale, mentre in Europa la domanda è aumentata dello 0,3%. Le previsioni peggiori riguardano l'80 e l'81, ma tutti gli indicatori prevedono nell'81 il punto di svolta verso un'ulteriore ripresa della domanda, seppure a ritmi meno sostenuti di quelli del passato.
La crisi Fiat in questa situazione è una crisi particolare. La Fiat è arrivata a coprire sul mercato italiano circa i 3/4 della domanda, il dato del '70 dava una produzione Fiat del 72,3% della domanda interna, nel '79 è calata intorno al 51%.
In verità la Fiat, nell'incontro della settimana scorsa, ci ha dato un dato del 47 % di mercato interno, mentre i dati ufficiali riportati anche dalla Commissione Barattieri parlano del 51% (può darsi che ci sia una considerazione di Autobianchi e di altre aziende collegate), comunque il dato non cambia molto.
Oltre alla caduta di mercato interno, un altro fenomeno negli ultimi anni ha reso più grave e più acuta la crisi: il fatto che la Fiat si sta trasformando progressivamente da azienda europea ad azienda italiana. Sui mercati esteri la sua quota di mercato cade continuamente: tra il '70 e il '79 passiamo da una quota in Europa del 6,5% al 4,1%; nella CEE dal 18,2 al 14%. In tutti i Paesi europei, ad eccezione della Gran Bretagna (che sta peggio di noi), la Fiat ha perduto quote di mercato.
Queste difficoltà sono campanelli d'allarme assai preoccupanti, tenendo conto di altri elementi che hanno reso la Fiat privilegiata rispetto ai suoi concorrenti; intanto il fatto che la Fiat è un produttore forte sul mercato interno, più di quanto siano i produttori stranieri sui loro mercati: la Fiat ha la quota più alta, intorno al 50%, mentre all'estero mediamente il produttore leader del suo mercato non copre più del 30%. In più, il mercato italiano, tra quelli europei, è stato l'unico a tirare, è l'unico che ancora oggi presenta una domanda crescente, nonostante vada declinando questo incremento.
I primi mesi dell'80 hanno visto la domanda tirare fortemente sul mercato italiano. Inoltre il mercato italiano è l'unico sul quale non siano presenti i produttori giapponesi.
Il '79 ha visto vendute in Italia 1.600 macchine giapponesi, pari allo 0,1 % della domanda quando in Germania e nel Regno Unito la quota è di 175 mila macchine.
Dobbiamo ritenere che questa situazione di difficoltà che si è venuta aggravando sia dovuta soltanto all'eccedenza di forza lavoro? Certo ci sono i differenziali di inflazione, ma non valgono per il mercato interno o valgono molto poco. Certo, spiegano la caduta sui mercati tedeschi, dove i giapponesi hanno coperto le quote di mercato che in precedenza erano tenute dalla Fiat, perché in tempi di costi crescenti hanno ridotto i costi dei loro prodotti, ma non spiegano completamente perché la Fiat su questi mercati stranieri perda di più di quanto perdano i suoi concorrenti europei (caduta media dell'industria europea dell'automobile fuori dai propri mercati del 20 %, caduta dell'export Fiat fuori del suo mercato nazionale del 24%). Certo, ci sono i livelli di produttività che non sono adeguati che sono carenti, sui quali devono essere operati interventi; del resto il sindacato per primo, lo riconosce.
Ma c'è dell'altro. Le cause vanno individuate in una caduta della strategia e della capacità imprenditoriale della Fiat che risale ad anni addietro, se è vero come è vero" che il rapporto Barattieri, il primo rapporto della Commissione che sta redigendo il piano dell'auto, ricorda opportunamente come la penetrazione dei concorrenti stranieri, specie dei francesi, sul mercato italiano sia cominciata sul finire degli anni '60 proprio sul mercato nel quale la Fiat era l'industria leader, il segmento delle utilitarie nella quali la Fiat non ha colto un mutamento profondo della domanda. La Fiat era dominante sul mercato delle utilitarie, auto di bassa cilindrata, di dimensioni discrete e poco sofisticate, che avevano caratterizzato il primo boom dell'automobile nel nostro Paese. A questa domanda si è venuta progressivamente sostituendo nello stesso segmento, una domanda di auto più brillanti, più giovani, più sofisticate, il mercato della seconda auto al quale la Fiat non ha saputo rispondere adeguatamente tanto che i concorrenti stranieri hanno conquistato quella fetta di mercato nel nostro Paese.
La Fiat è arrivata alla crisi del Kippur, alla svolta del '73, già in fase calante,sia per la quota coperta sul mercato interno sia per la quota dei mercati internazionali.
In queste condizioni la crisi generale che ha investito l'auto ha trovato un produttore che era già in perdita di velocità sui mercati. A questo punto dobbiamo dire che si sono sovrapposte e confuse strategie e linee di uscite diverse dalla crisi.
Negli intensi confronti che abbiamo avuto con la Fiat in questi ultimi dieci anni, l'interlocutore ha proposto soluzioni diverse, talora contraddittorie, aderendo, in un primo tempo, al luogo comune degli anni immediatamente successivi alla crisi del Kippur e cioè che l'industria dell'auto era destinata a finire, con la facile, demagogica, superficiale individuazione della riconversione che non teneva conto della realtà di tutti i Paesi industriali avanzati; in un secondo tempo con l'illusione di poter sostituire i produttori dei Paesi ad economia industriale più avanzata facendo dell'Italia l'ultimo dei Paesi industriali avanzati quello capace di sostituire la Germania e la Francia che avrebbero dovuto riconvertire le loro economie verso la chimica fine e la meccanica più sofisticata.
Oggi si scontano gli errori compiuti negli anni passati e mi riferisco tra tanti, a quello della dispersione di modelli e di componenti, mentre l'industria del mondo si sta orientando in una concentrazione di modelli e di componenti e mentre uno degli elementi più decisivi per reggere alla concorrenza, anche sotto il profilo del costo, diventa quello della concentrazione dell'economia di scala per la produzione di componenti e di modelli in numero adeguato. Persino gli studi giapponesi, dove questa operazione è stata compiuta ad un livello molto ampio, indicano la carenza di concentrazione ed indirizzano l'industria giapponese ad una maggiore concentrazione della produzione di componenti e di modelli.
La Fiat ha disperso in modo estremamente disorganico la produzione rispetto ai suoi concorrenti. Gli esperti di marketing lo chiamano il fenomeno della cannibalizzazione, cioè della concorrenza che si fanno diversi prodotti della stessa marca. La Fiat ha sette famiglie diverse di motori; mentre il leader europeo, Volkswagen, ne ha tre; la Fiat ha undici famiglie di cambi contro i sette della Volkswagen, ha tredici famiglie di sospensioni anteriori, contro la quattro della Volkswagen, e così via.
La frammentazione del processo produttivo è uno degli elementi dei ritardi e dell'aumento dei costi, quindi della difficoltà a rimanere nel mercato.
Di tutti i modelli Fiat l'unico modello che abbia una dimensione di massa adeguata, nei diversi segmenti, è il 127, che ha una produzione più o meno pari a quella dei concorrenti europei. Le indicazioni per i prossimi anni sono di un'evoluzione ulteriore del mercato.
Si va esaurendo il mercato della prima macchina, il '77 è stato l'anno di svolta in cui le immatricolazioni per sostituzione sono state superiori alle immatricolazioni per la prima macchina. Le sostituzioni erano nel '66 il 12 % del totale della domanda, oggi si va verso 1'80%, questo significa che la domanda viene modificandosi profondamente. Tra l'altro, questa domanda non è più condizionata da fenomeni particolari come quelli che hanno caratterizzato gli aumenti e le cadute degli anni passati, è una domanda più razionale.
E' in corso di progettazione e di produzione in tutto il mondo un tipo di "macchina mondiale" che dovrebbe avere caratteristiche largamente comuni per tutti i mercati e che si distinguerebbe per consumi più bassi, per una maggiore sicurezza, per un minore inquinamento; è un'auto più semplice, più povera nelle rifiniture, ma più sofisticata nelle apparecchiature elettroniche e di controllo. Non dobbiamo però cullarci nel mito che deriva dalle difficoltà di oggi e che i prossimi siano anni di caduta, in quanto le previsioni per il quinquennio '80-'85 danno un incremento medio del 3,8 e del 3,2% nel quinquennio '85-'90. L'Europa occidentale in questo contesto si colloca con una quota più bassa rispetto alla media del mercato mondiale, ma con incrementi che sono rispettivamente del 2,9 e del 2%.
Recentemente il Presidente della Volkswagen in una intervista ha evidenziato come "nel '73-'74 ci fu una paralisi traumatica e molti consumatori si ritirarono dal mercato. Oggi la razionalità domina la scena l'acquirente non si domanda più se deve o no acquistare l'auto, ma piuttosto quale tipo adeguandosi in questo modo alle nuove tendenze".
Il problema è, dunque, di attrezzarsi e di adeguarsi per fare fronte a questa domanda che in qualche modo è garantita. Questo è il problema della Fiat, questo è il dato, Consigliere Picco, del quale ci preoccupiamo, altro che "visione unilaterale e nevrotica in ordine ai problemi dell'occupazione". Di queste cose ci preoccupiamo, queste cose abbiamo contestato alla Fiat, abbiamo chiesto alla Fiat di darci la sua strategia su questi problemi ed è questa risposta che non ci è venuta. Rispetto a questa evoluzione del mercato gli altri produttori stanno adeguando le loro strategie e la crisi mondiale dell'auto ha cause diverse, ma anche risposte diverse nelle varie parti del mondo.
I produttori americani non hanno patito una crisi di produttività e forse neppure di prezzo, rispetto ai giapponesi, ma hanno registrato una crisi di prodotto, perché non si sono resi adeguatamente conto del mutare della domanda e hanno continuato a produrre grandi macchine, grandi cilindrate di grande consumo di benzina, inquinanti e poco maneggevoli lasciandosi prendere dalla concorrenza giapponese che oggi occupa quasi il 25 % del mercato americano. Tuttavia la Ford, la General Motors e la Crysler si stanno attrezzando e i giapponesi idem, di fronte alla necessità di esportare perché il foro mercato è relativamente ristretto; pur tenendo conto che i loro mercati potenziali sono del Terzo Mondo emergente, sanno che il mercato americano non gli consentirà di mantenere i ritmi del passato, vuoi perché gli americani si attrezzano, vuoi perché stanno predisponendo misure di contenimento della penetrazione commerciale giapponese.
La strategia giapponese è quella di arrivare con una forte azione commerciale sui mercati europei e, in previsione di misure della CEE contro l'importazione, stanno insediando in Europa attività di produzione o quanto meno di montaggio di autovetture giapponesi (la Toyota in Spagna, la Nissan che cerca di fare l'accordo con l'Alfa Romeo e c'è la join venture della British Leyland).
I produttori europei si stanno attrezzando in questo modo attraverso concentrazioni, fusioni, join venture di vario genere e predisposizione di modelli adeguati, tra l'altro, in un contesto nel quale il dibattito su queste prospettive e su queste strategie avviene pubblicamente, non solo nel confronto tra le aziende e gli uffici interessati al piano. Abbiamo chiesto alla Fiat di indicare a noi, al sindacato, all'opinione pubblica la strategia con la quale pensa di affrontare i nodi della crisi. Non credo che la Fiat non abbia questa strategia, non credo che la Fiat si muova alla cieca, credo piuttosto che abbia nel suo management e nella sua strategia dei nodi non risolti; che abbia strategie diverse e problemi interni da sciogliere; che abbia delle difficoltà anche in ordine alla ricapitalizzazione. La Fiat non può pensare che l'accento possa cadere soltanto sull'occupazione.
Abbiamo il diritto e il dovere di chiedere come si vuole uscire dalla crisi e ho la convinzione che la Fiat la stia predisponendo, questa strategia. Il piano dell'auto ha un senso se in esso si collocano i piani di impresa. Non credo che saranno il dr. Barattieri e i suoi esperti a dire come dovranno essere fatte le automobili e come si possa uscire dalla crisi del settore. Quando il piano dell'auto avrà indicato la diagnosi dei mali dell'automobile, quando avrà messo a nudo le caratteristiche e i nodi che il mercato presenta, toccherà al Governo e al Parlamento prendere delle determinazioni di politica industriale. Gli interlocutori devono per essere le imprese, private e pubbliche, chiamate a rispondere con le loro forze, con le loro strategie, con i loro programmi e anche con i loro capitali alle necessità che il piano mette in luce Certo, vogliamo un'impresa efficiente, capace di stare sul mercato e lamentiamo una carenza di imprenditorialità di fronte ad una crisi che viene da lontano e che la Fiat non ha dimostrato di sapere risolvere.
L'Assessore Alasia ha dichiarato che sui passaggi di unità lavorativa da un'azienda ad un'altra siamo favorevoli e su questo terreno ci siamo impegnati a realizzare dei risultati; non accettiamo l'impostazione della Fiat che affida tutte le ricette soltanto allo strumento della mobilità esterna, come pregiudiziale, per discutere tutto il resto.
Non è tempo di polemiche inutili, né di elzeviri; questo è tempo di fermezza e di durezza. Dobbiamo respingere il modo con cui è stato fatto il discorso, perché è riduttivo, perché è mistificatorio, perché tende a separare il momento delle scelte e delle decisioni dell'azienda dal momento della programmazione e del controllo pubblico. Non pensiamo di dover dire ai tecnici della Fiat come devono progettare i motori, ma, nel momento in cui siamo chiamati a fare la nostra parte, nel momento in cui si giocano le sorti di decine e centinaia di migliaia di lavoratori e le sorti dell'economia del Piemonte e del Paese, chiediamo di confrontarci.
L'altro dato al quale si richiamava l'Assessore Alasia e che ci preoccupa, è la tendenza della Fiat a sottrarsi a qualunque tipo di verifica in ordine al piano di impresa, anche rinunciando ad accedere ai fondi della 675; dice la Fiat: "non vogliamo i fondi se questi non sono condizionati ad un intervento di tipo assistenziale".
Ma noi vogliamo sapere a che cosa servono quei fondi, noi chiediamo di collocare gli investimenti dentro la logica complessiva della politica industriale del Paese. Questa è la verifica che si vuole fare. Nessuno vuole trasformare la Fiat in una Sir, perché sarebbe la peggiore sciagura per il Paese e per i lavoratori. Stiamo predisponendo l'aggiornamento del piano di sviluppo, ma questo richiede la conoscenza di quello che sta succedendo. Cosa scriviamo nel piano di sviluppo? I 24.000 posti di lavoro in meno?



PICCO Giovanni

Queste cose si conoscono dalle conseguenze esterne che ne derivano.
SIMONELLI, Assessore alla programmazione Noi rifiutiamo di fare per un verso i notai dei licenziamenti e per l'altro verso i farmacisti della crisi; cioè di prendere atto che i posti di lavoro diminuiscono e di calcolare che cosa succede via via, attraverso l'indotto primario e secondario nel Piemonte. Se il nostro ruolo fosse quello di lenire con balsami più o meno improvvisati le conseguenze delle scelte sbagliate delle imprese, non solo le istituzioni sarebbero a rimorchio delle imprese, ma farebbero i servigi di bassa cucina alle imprese. Altra cosa è individuare nel complesso dell'economia piemontese gli effetti occupazionali che possono derivare dalla mole di investimenti pubblici che la Regione e forse gli Enti locali sono in grado di produrre e di alimentare. Questo faremo, senza sparare cifre, con calma e molta cautela; dimostreremo quale impatto sull'economia piemontese potranno avere gli investimenti mossi dal piano di sviluppo e dal bilancio regionale, in termini di cantieri aperti e di posti di lavoro nuovi, ma con quell'avvertenza che è già stata richiamata.
Sono due cose diverse, sono due segmenti del mercato del lavoro che non si sovrappongono, sono due aspetti della realtà socio-economica piemontese che non si possono sommare e sottrarre reciprocamente. L'operaio Fiat non va a fare lo specializzato e neppure il generico nell'edilizia. Semmai i problemi trovano una composizione nel quadro generale del mercato del lavoro dove, per esempio, il blocco del turn over che avrebbe conseguenze sull'immissione al lavoro delle nuove leve può essere compensato dall'apertura di nuove occasioni alternative da altre parti. Qui siamo nell'ambito di fenomeni controllabili come è il blocco del tournover, non di fenomeni di massa incontrollabili come sono i licenziamenti.
Se è vero che i produttori mondiali di automobili stanno giocando la carta delle dimensioni e cioè se è vero che l'economia di scala, le fusioni, le contrazioni, per prodotto e per componente, sono una ricetta attraverso la quale ci si rafforza sui mercati, allora l'ipotesi che faccia perno soltanto sulla riduzione di manodopera (cioè su un obiettivo rimpicciolimento dell'azienda e su una sua contrazione complessiva) come si giustifica con la necessità di concentrazione e di sviluppo quando l'economia richiede oggi maggiore produzione, maggiori dimensioni di gruppo (non di singola azienda)? Non è antagonista, non è contraddittoria con queste linee di evoluzione che presenta il mercato dell'automobile? Ecco la domanda finale che inchioda ad una contraddizione insanabile il comportamento dell'azienda e che giustifica il nostro rifiuto. Credo che il Consiglio inviterà la Giunta a fare una sollecitazione al Governo perch assumendosi responsabilità in questa questione, riporti la Fiat alla discussione e al confronto e perché la trattativa continui e conduca all'unico sbocco possibile che è il rilancio, la ripresa di efficienza di produttività, che non sia pagata dai lavoratori e che non passi attraverso il ridimensionamento dell'occupazione a Torino ed in Piemonte.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

La decisione presa dalla Fiat, poche ore fa, di dare avvio alle pratiche di licenziamento, sta mostrando senza equivoco la veridicità delle impressioni e delle interpretazioni che venivano tratte dall'andamento degli incontri tra azienda e sindacati. Non avevamo voluto dare completo peso a quelle previsioni, nella convinzione che la trattativa potesse modificare l'atteggiamento della Fiat. Oggi è in evidenza, senza equivoco la determinazione della Fiat di seguire la linea dura. Nostro compito comunque, è quello di continuare ad operare per impedire che questa linea e l'operazione di licenziamento che è stata avviata non trovino sbocchi.
Dobbiamo farlo senza velleità, senza assumerci responsabilità che non abbiamo; il dibattito ha già fatto giustizia delle interpretazioni e delle supposizioni che in questo senso tendevano a caratterizzare l'intervento della Regione.
Dobbiamo continuare ad operare nell'ambito delle competenze che la Regione ha; ciò non toglie che attraverso ad esse si sviluppi l'azione politica che una Regione deve svolgere in una situazione come questa in cui sono presenti problemi che hanno grande incidenza sullo sviluppo economico e sociale della nostra Regione e grande incidenza sullo sviluppo economico e sociale del nostro Paese. Proprio per questa incidenza nazionale oltre che regionale, la crisi del settore e la crisi della Fiat non solo ci preoccupa ma ci fa anche paura; consideriamo che possa non essere facile venire fuori bene da questa situazione, stante il peso che il settore dell'auto ha assunto nello sviluppo economico del nostro Paese (un peso anche deformato ed esasperato come abbiamo più volte nel corso di questi decenni denunciato) e in ragione della funzione trainante che questo settore, nel bene e nel male, ha svolto. Non ci farebbe paura, e potremmo accedere all'ipotesi e alle valutazioni che faceva il Consigliere Bastianini, se ci trovassimo di fronte ad un'economia italiana già diversamente impostata e diversificata, se ci trovassimo cioè di fronte concretamente, a processi avviati in nuovi settori strategici, come quelli della chimica e dell'elettronica, dove invece in questi anni abbiamo perso anche le potenzialità e le possibilità che esistevano.
Ci preoccupa e ci indigna anche l'atteggiamento che la Fiat ha assunto nei confronti della convocazione del suo Amministratore delegato Romiti da parte del Ministro, per un colloquio che avrebbe dovuto aver luogo oggi a Roma. L'atteggiamento della Fiat è esplicitamente di rifiuto alla continuazione del colloquio al massimo livello: un atteggiamento, se vogliamo, anche provocatorio.
Certo, l'industria dell'auto ora non, è più trainante; è in una situazione di stagnazione, nessuno lo nega, anzi, noi l'abbiamo affermato con anticipo rispetto ad altri ed alle stesse indicazioni che ci fornisce la Fiat. Rimane tuttavia un settore importante della nostra economia: ha raggiunto un assetto industriale maturo, sta stabilizzando il proprio processo di produzione verso una crescita più contenuta, con previsione di espansione del mercato più limitata rispetto al passato. E' chiaro che non si sono sviluppati mercati a cui l'industria dell'auto faceva riferimento cinque o dieci anni fa, i Mercati, cioè, del Terzo Mondo. In gran parte del mondo, dove si pensava che lo sviluppo capitalistico occidentale e i modelli di sviluppo delle nostre aree avrebbero dilagato, sono ancora aperti e lontani da soluzioni, problemi primari di sopravvivenza.
Quello dell'auto è un settore che, per forza, si sta orientando verso un consumo più serio e stabile, direi anche culturalmente più commisurato alle disponibilità ed alle risorse che le nostre società posseggono. E' in crisi; ha bisogno di un nuovo assetto, ma non è finito.
Proprio per tutte queste ragioni noi riteniamo che a questo settore dobbiamo fare ancora riferimento per lo sviluppo della nostra economia nei prossimi anni. Siamo buoni costruttori di auto, diceva Agnelli, qualche collega se lo ricorderà, durante gli incontri con la Regione, anni fa: sosteneva che l'Italia doveva produrre auto per comprare carne, ma le previsioni che davano con sicurezza grandi sviluppi ,all'azienda torinese si sono dimostrate sbagliate. E' tuttavia vero che la Fiat è stata buona costruttrice di auto; dobbiamo quindi far leva su queste esperienze per non tradurre la crisi in atto in un disastro economico dell'intero Paese.
Utilizzando il settore di cui disponiamo dobbiamo impostare una politica economica fondata su altri settori con potenzialità strategiche per il futuro; difendendo il settore dell'auto, non pensiamo di delineare una prospettiva strategica dello sviluppo economico del nostro Paese; riteniamo però che l'auto possa costituire un settore importante da utilizzare appieno per la sopravvivenza della nostra economia, mentre contemporaneamente dobbiamo impostare una nuova politica economica fondata su nuovi settori strategici per il futuro: settori ove gli apporti tecnologici siano molto elevati, e che quindi corrispondano maggiormente alla situazione di un Paese come il nostro privo di risorse e di materie prime.
La struttura imprenditoriale produttiva del nostro Paese non ci offre altre alternative. Non la struttura industriale pubblica (partecipazioni statali) che è stata fortemente destrutturata dalle cattive conduzioni e anche dagli scandali che sono emersi in questi anni; troppi ritardi si sono accumulati: si pensi al settore della chimica, dove non si è stati capaci di trovare una via nuova che consentisse alla chimica italiana di essere presente in funzione strategica. Non la restante struttura imprenditoriale industriale privata che si presenta debole, divisa e parcellizzata ed operante in settori maturi (sono manifesti i casi di obsolescenza e comunque dove anche presenta elementi di vivacità è condizionata da un frazionamento in entità limitate); manca, cioè, nel nostro Paese, una cultura collettiva imprenditoriale nazionale; non si è creata una interconnessione fra i vari settori produttivi; non si può riconoscere al di fuori di alcuni pochi settori e fra questo, in primo luogo, quello dell'auto, una caratterizzazione nazionale complessiva della nostra struttura imprenditoriale. E' mancata sotto questo profilo una funzione pubblica statale di politica economica e di programmazione; dovremmo dire che c'è stato davvero troppo liberismo che non ha consentito i consolidamenti necessari verso strutture più organizzate della nostra attività produttiva industriale. Il settore dell'auto però oltre , una sua presenza consolidata, una sua forza, un accumulo di know how, di risorse di esperienze, di possibilità; è quindi un riferimento economico importante; un riferimento ponte per un nuovo corso economico che a fianco dell'auto faccia affermare nuovi settori strategici e trainanti.
Di qui il nostro atteggiamento nei confronti del settore dell'auto, nei confronti della crisi della Fiat, nei confronti delle prospettive che consentano di uscire da questa situazione di crisi.
Oggi, e non ieri, come i risultati negativi conseguenti alla monocultura dell'auto dimostrano, una politica di sviluppo del nostro Paese è costretta a passare attraverso una permanenza e qualificazione del settore dell'auto. Questo richiede che il settore dell'auto sia assunto in una logica di sviluppo, e non di ripiegamento come invece la Fiat sta mostrando di assumere.
Questa posizione che vede il settore dell'auto conte un settore che deve essere portante ancora per anni, su cui fondare potenzialità di sviluppo e diversificazione della nostra economia è ormai unanime: è espressa da più parti, dal Governo, ai sindacati, alle forze politiche. A me pare che si sia creato, e non soltanto per un atto di speranza e di fiducia, ma come primo momento di creazione di una coscienza e di una cultura unitaria, le condizioni per un impegno collettivo. Dobbiamo lavorare a partire dalle risorse produttive di cui disponiamo, e quindi dal settore dell'auto, per ottenere nuove risorse e individuare linee di sviluppo nuovo. Su questa linea gli imprenditori più qualificati devono svolgere un ruolo, essere partecipi in prima persona.
Questo significa che il nostro Paese deve darsi una politica economica adeguata: deve darsi una politica di settore, per l'auto; deve darsi una politica dell'intero comparto industriale, e dell'intera nostra economia in modo da affrontare i problemi, richiamati da Bastianini, del divario di inflazione che il nostro Paese subisce rispetto agli altri, ed eliminare quel tarlo che sta rodendo gli sforzi compiuti.
Ciò significa anche che nessuna struttura imprenditoriale che presenta delle potenzialità di ripresa deve tirarsi indietro. Riteniamo che superare la crisi significhi porre le condizioni per una politica di sviluppo del settore dell'auto, proponendosi di assorbire quote delle potenzialità che noi crediamo esistano. E' stato richiamato da più parti nel dibattito di oggi, che a partire dall'82 è prevista una ripresa del mercato europeo mediamente del 2,5% annuo. Questa ripresa dovrebbe portare ad assestare la produzione delle vetture in Europa al livello di circa 13 milioni di vetture all'anno. Esiste una prospettiva, indicata da varie parti, in modo pressoché unitario, di una ripresa anche leggermente più accentuata per il mercato italiano. Si tratta, quindi, di sfruttare, lo richiamava stamattina il Consigliere Guasso, quelle condizioni di mercato che, in Italia paradossalmente, partendo da situazioni di maggior difficoltà e ritardi, si presentano almeno in un primo momento, come favorevoli per un'espansione del mercato. Questa stessa inflazione che determina anticipazioni d'acquisto, il fatto che il parco automobile è molto vecchio, consentono di operare nella direzione di riconquistare le quote di mercato interno che la Fiat ha perso, e andare anche oltre. Credo che questo sia l'obiettivo che ci dobbiamo collettivamente porre, e che si devono porre gli imprenditori.
Le condizioni per non solo riprendere le quote di mercato perse, ma conquistarne aliquote maggiori, si possono e si debbono anche creare. Il Consigliere Sanlorenzo, in una interruzione al Consigliere Picco, lo faceva notare; il mercato dell'auto futuro pone il problema dell'auto nuova carica di nuovi contenuti tecnologici. Dipenderà quindi dalla capacità di promuovere la presenza di nuovi tipi, di nuove tipologie di auto e di vetture, la possibilità di conquistare nuovi mercati. Partire da questa concezione è estremamente importante (il rifiuto di questa prospettiva è portatore di effetti negativi gravi) perché dalla promozione e rinnovamento del settore verso tipi nuovi di auto capaci di competere sul mercato possono provenire effetti positivi diretti e indiretti su tutta l'economia del nostro Paese. Si pensi agli argomenti che sono stati introdotti anche in questo dibattito con riferimento alle tecnologie di cui deve essere caricata quella che è chiamata l'auto nuova. Quelle tecnologie, portatrici del rinnovamento e delle innovazioni del settore dell'auto, sono tali da promuovere uno sviluppo in settori importanti e strategici verso i quali dobbiamo rivolgere il futuro della nostra economia, come l'elettronica e come la chimica. Inserirsi in una produzione nuova significa, inoltre affrontare problemi nuovi, come quelli di natura ambientale e della sicurezza, e quindi aprire nuovi orizzonti di ricerca e di produzione.
Per tutto questo noi diciamo che la scelta che oggi deve essere fatta è una scelta di sviluppo e non di recessione. Ecco quindi la ragione non solo sociale, solidaristica, umanitaristica nei confronti di possibili licenziati, ma anche economica del nostro "no" ai licenziamenti; diciamo che bisogna impostare l'uscita dalla crisi in una linea e in una prospettiva di sviluppo. Se si considera il peso percentuale dell'industria dell'auto rispetto all'intero settore dell'industria manifatturiera nel nostro Paese, se si considera che nella nostra regione l'industria dell'auto ed il suo indotto hanno un peso pari al 40 % dell'industria manifatturiera, ci si rende conto dell'importanza che viene ad assumere sull'intera economia il promuovere una linea di risanamento complessivo del settore dell'auto. Di grande portata possono essere gli effetti cumulativi che una politica di sviluppo del settore dell'auto, se ben avviata, pu determinare nell'intero settore industriale del nostro Paese, sia sul piano economico e sia sul piano etico-culturale. E' un'occasione per costruire cioè quella mentalità, quella caratterizzazione, unitaria e programmata della struttura imprenditoriale nazionale del settore industriale che oggi manca. Per questo noi mettiamo in discussione i parametri assunti dalla Fiat. Gli stessi confronti con le organizzazioni sindacali hanno messo in evidenza che alcuni di questi parametri, che alcune delle cifre indicate erano anche errate. Li mettiamo in discussione anche perché troppo spesso la Fiat, in questi ultimi armi, ci ha mostrato incertezze e contraddizioni nella definizione delle stesse cifre di politica aziendale; basterebbe che qualche collega andasse a leggere i verbali delle riunioni che a partire dal 1973 in avanti abbiamo avuto, Consiglio regionale- Commissione, con i rappresentati della Fiat per cogliere una serie continua di contraddizioni e smentite, susseguentesi a tempi anche ristretti. E questo certo non ci dà fiducia sulle cifre che la Fiat ci pone in evidenza. La Fiat, per ragioni cautelative - e non la rimproveriamo di questo, ma la rimproveriamo di non voler discutere però i risultati di questo suo atteggiamento cautelativo ha assunto, nel formulare le sue ipotesi i dati estremi: l'eccedenza della produzione di automobili e lo stoccaggio è stato calcolato facendo riferimento alla produzione massima che la Fiat ha avuto nel 1973, in una situazione tra l'altro molto diversa dall'attuale (in una situazione in cui le tipologie e i tipi di automobili erano meno differenziate e meno sofisticate di oggi) e quindi non assolutamente comparabile con la situazione odierna; ha assunto, per altri versi, i dati di mercato più basso. Si è posta, cioè, nella posizione di maggior difesa: è proprio quello che noi gli contestiamo. Abbiamo bisogno che in un settore importante per l'economia del nostro Paese, come quello dell'auto, la prospettiva di uscita dalla crisi sia affrontata in un'ottica di sviluppo cercando, certo con attenzione e non in modo avventuristico, di collocarsi al di fuori delle posizioni minime; è oggi necessario che l'attività imprenditoriale assuma appieno gli impegni e i rischi che gli competono nell'ambito di una ragionevole prospettiva di sviluppo.
E' a partire da questa nostra posizione che ritiene appunto necessario che collettivamente, dall'imprenditore, dallo Stato e dall'Ente pubblico il settore dell'auto venga visto come uno dei settori su cui è necessario puntare per lo sviluppo economico, che noi diciamo "no" ai licenziamenti? Cercheremo di evitare che i licenziamenti ci siano. Di qui deriviamo il nostro atteggiamento nei riguardi del problema della mobilità. Non è mai stata rifiutata dalla Regione Piemonte la mobilità, anzi, lo diceva così esplicitamente l'Assessore Alasia questa mattina, possiamo dire che la Regione Piemonte ha ricercato costantemente la linea della mobilità extra aziendale per la soluzione dei problemi occupazionali che ci sono stati nella nostra Regione. In questi anni è stata applicata ove possibile.
L'Assessore Alasia, a questo proposito, mi ha lasciato degli appunti che lui non ha letto e che neanch'io posso leggere perchè impiegheremmo troppo tempo; cito soltanto il fatto che la mobilità è stata affrontata e si è cercato di imporla nel caso della Montefibre, a Vercelli e a Verbania; se non c'è stato un accordo generale, certo questo non è per responsabilità della Regione; va detto che sono state, da un lato, le politiche della Montefibre che hanno impedito di trovare uno sbocco e, dall'altro, le stesse incertezze dell'Unione regionale degli industriali, e quindi degli imprenditori, ad impedire una politica reale di mobilità. Ma si possono citare però anche degli esempi positivi, come quelli della Mossi Ghisolfi quello del CVS di Collegno, del CVS di Rivarolo, della Singer, della Merco di Asti, e il lavoro svolto per la Gimac. Certo, queste esperienze sono estremamente limitate; sono tutte esperienze in cui la mobilità è stata esercitata cercando sbocchi occupazionali verso la Fiat. Il caso frustrante della Montefibre, Vercelli e Verbania, all'interno delle organizzazioni sindacali, nel mondo del lavoro, nelle Amministrazioni pubbliche che si sono impegnate a fondo per attuare la mobilità, ha lasciato una scarsa credibilità; quando il problema assume una certa consistenza, nel caso della Montefibre, si è visto che le difficoltà, le opposizioni, l'intralcio di una politica vera di gestione della mobilità" diventano spesso insormontabili. Era venuto a Torino il Sottosegretario Pomiglia, da parte del Governo, ma non ha trovato uno sbocco.
Ecco allora le ragioni per cui prioritariamente noi non possiamo accettare che il discorso della mobilità sia assunto in modo pregiudiziale.
Riteniamo che intanto vada assunto il problema della Fiat nell'ottica di una politica di sviluppo; d'altra parte diciamo che la mobilità, così come è stata esercitata ed applicata sino ad oggi lascia tali e tante incertezze che davvero non è accettabile la pregiudiziale della Fiat di assumere senza verifiche reali,la mobilità.
Aggiungo, poi che lo stesso modo con cui la Fiat ha espresso la propria posizione nei confronti della mobilità, durante un incontro con la Giunta regionale, non dà credibilità, e ci lascia davvero dubbiosi ed incerti sulle intenzioni. Nell'incontro con la Giunta regionale, l'amministratore delegato della Fiat, ha dato un'interpretazione della mobilità che non è altro che quella di un licenziamento scaglionato nel tempo: di fronte ad una nostra precisa domanda circa il fatto che la mobilità doveva essere accompagnata dall'impegno Fiat che nell'82, scadenza che è individuata come momento di ripresa del mercato dell'auto, tutti coloro che non avessero trovato sbocchi fuori sarebbero rientrati alla Fiat, ci è stato chiaramente detto che ciò dipenderà esclusivamente dalle condizioni di mercato e di lavoro di allora. Si sfugge cioè ad una delle norme che possono caratterizzare positivamente il meccanismo della mobilità: vedere quali sbocchi positivi possono esserci al di fuori dell'azienda rimanendo fermo l'impegno dell'azienda per recuperare l'occupazione, pur nei tempi che saranno necessari, nel momento in cui al di fuori dell'azienda non si trovano sbocchi occupazionali.
Ecco quindi che mancano le garanzie per dar vita effettivamente da parte della Fiat al meccanismo della mobilità, secondo le norme per cui le organizzazioni sindacali (F.L.M.) hanno firmato un contratto, e secondo i criteri di cui si è parlato da parte del Ministro Scotti per la nuova legge sulla mobilità.
Aggiungo poi che la mobilità oggi non è reale: l'ha richiamato qualche altro Consigliere Non leggo le note, per non portare via troppo tempo, ma basta rifarsi, per avere coscienza di cosa significhi la mobilità extra aziendale o i nella nostra Regione, ai dati che ci vengono dagli stessi uffici di collocamento. E' bensì vero che nel '79 c'è stato un significativo movimento: sono circa 38.000 gli avviati dal collocamento ordinario al lavoro, e sono più di 9.000 i passaggi interaziendali del collocamento obbligatorio; ma la situazione oggi è completamente cambiata non c'è più la Fiat ad assumere che pure aveva assunto una parte significativa di questi collocamenti (è questo un esempio di contraddittorio indirizzo aziendale: nel volgere di un anno la Fiat è passata da una politica di assunzione a quella di licenziamento). Ci sono anzi, situazioni attorno alla Fiat in particolare nel suo indotto, di aperta recessione: la generalità dei fornitori ha già ricevuto dalla Fiat l'annuncio di una riduzione delle commesse mediamente del 20-30 % con punte anche più elevate del 60-70 % ; nel settore dell'autocarrozzeria (Bertone Pininfarina) è già stata annunciata una diminuzione dei volumi produttivi e il ricorso alla cassa integrazione; nel settore pneumatico, i grandi gruppi si stanno apprestando a compiete riduzioni; nel settore dell'accessoristica, le riduzioni sono mediamente del 30 % e non ci sono commesse per il periodo che va da ottobre in avanti.
Quindi, non c'è una possibilità reale di esercitare una mobilità dalla Fiat verso le altre industrie minori. D'altra parte la mobilità verrebbe a bloccare il collocamento ordinario e straordinario e quindi sostanzialmente, se venisse esercitata in questa situazione, potrebbe forse dare qualche sbocco per qualche licenziato Fiat, ma certamente impedirebbe a nuove leve che richiedono e affrontano per la prima volta il lavoro, di avere uno sbocco e un accesso.
Ecco allora che vengono a coincidere due ragioni per il "no" ai licenziamenti e alla acritica accettazione della mobilità. Quest'ultimo atteggiamento non è un rifiuto di principio alla mobilità, ma una realistica valutazione sulle possibilità della mobilità, che ci avverte che essa non può essere vista come una via di scampo ai problemi Fiat.
Bisogna certamente farsi carico dei problemi aziendali: questi esistono. Si potrebbe, d'altra parte, continuare a richiamare, come ha fatto il collega Simonelli, le stesse responsabilità aziendali, però mi pare che non sia questo , oggi , il problema. Bisogna farsi carico dei problemi aziendali assumendo una linea di azione che risponda ai problemi sia economici, sia sociali. Si possono scaricare gli oneri dell'azienda attraverso la cassa integrazione guadagni, ed in questo senso c'è un impegno governativo e l'adesione delle organizzazioni sindacali. Decisioni in questa direzione, con scarico dell'azienda di oneri, possono essere prese in tempi brevi. Si possono creare così le condizioni per procedere davvero, con i tempi necessari, e sulla base dell'evoluzione della situazione, alle verifiche della situazione aziendale. I dati ora assunti dalla Fiat per i propri ragionamenti sono di previsione; sono dati su cui bisogna lavorare, affinché possano modificarsi in meglio, collocarsi non sulle soglie più negative delle ipotesi fatte. Nel corso di questo cammino la politica che noi abbiamo proposto alla Fiat, e mi pare sotto questi profili, coincidente con le stesse posizioni delle organizzazioni sindacali dà sbocchi al problema occupazionale dell'azienda senza ricorrere ai licenziamenti: oltre alla cassa integrazione, intanto si opera il blocco del tournover e il pre-pensionamento; tutto questo può ridurre, anche per questa via, il carico occupazionale, non solo in termini congiunturali, ma anche in termini strutturali.
Riteniamo, quindi, che al momento attuale davvero manchino le condizioni per una piena definizione della politica della mobilità, che la Fiat ha assunto invece come pregiudiziale, non verificandola e non fornendo garanzie, nell'attesa che intanto il Governo, secondo l'impegno assunto discuta nei tempi dovuti e necessari, certo ristretti, il piano di settore introducendo al suo interno il problema della componentistica. Attraverso questa politica di riorganizzazione del settore sarà possibile anche promuovere un aumento della produttività. Voglio qui richiamare la posizione assunta dal Ministero dell'industria ove dice che l'andamento della produttività, in particolare quella della manodopera, dipende in realtà da diversi fattori, quali la dotazione del capitale, la dimensione della produzione, il grado di saturazione delle linee e fattori socio politici legati alle condizioni di lavoro e allo stato di conflittualità.
Mi sembra che la Fiat scelga la linea sbagliata anche ai fini di migliorare la produttività: il problema della produttività va visto nei suoi aspetti complessivi e non soltanto in quello della manodopera; di qui l'esigenza di affrontarla nell'ambito del piano di settore.
Per la ripresa del settore dell'auto è in fine determinante, direi prioritario, il problema della ricerca: l'auto nuova, l'auto che deve caricarsi proprio per poter stare sul mercato di nuove tecnologie, di nuovi materiali, che deve essere portatrice di nuove caratteristiche di sicurezza e di non inquinamento, richiede evidentemente una ricerca elevata, e richiede sulla base di questa n uova impostazione investimenti elevati per la riorganizzazione produttiva. Noi crediamo che proprio per questo, e perché la politica deve essere di sviluppo e non riduttiva, ci debba essere un intervento dello Stato. Il ricorso alla legge 675 non può essere eluso.
Non può essere elusa una prospettiva di integrazione europea delle case produttrici. Il fatto che in Europa dieci case producano 9 milioni di vetture, mentre in America due case ne producono 10, ci dice quale livello di riorganizzazione produttiva, di concentrazione, di scala, di ripartizione di compiti debba essere operata nel nostro continente.
Anche qui, il problema della ricerca per la riorganizzazione produttiva assume grande rilievo; esso non può non rientrare nel piano di settore nazionale che veda il nostro Stato impegnato in prima persona. Al tempo stesso deve svilupparsi una politica degli Stati europei a sostegno del ruolo che l'auto deve avere per la Comunità Europea: non assistenza n protezionismo, ma una vera politica economica che abbia al suo interno in posizione rilevante il ruolo del settore dell'auto e, all'interno di questo ruolo, io credo, anche una corretta ripartizione produttiva che affronti gli squilibri territoriali, derivando da ciò un ruolo particolare dell'industria nazionale italiana nelle aree del sud, lo credo che la Fiat non debba sfuggire a questa prospettiva di sviluppo, a questa prospettiva di confronto in sede nazionale ed in sede europea; non debba soprattutto sfuggire ad una prospettiva di nuovo modo di governare l'economia. La scelta del licenziamento, rispetto alle caratteristiche, alla dimensione che pone i problemi della crisi del settore dell'auto, rispetto ai problemi che devono essere affrontati per una politica di sviluppo, ai problemi della ricerca e della riorganizzazione produttiva, dell'integrazione tra le varie case europee, è davvero miope. E' necessario oggi ben altro respiro ben altra capacità anche di tipo manageriale. La scelta dei licenziamenti è davvero una scelta arretrata rispetto ai compiti che il settore dell'auto deve svolgere nel nostro Paese, nell'ambito di una politica europea.
Diceva, all'inizio, il Presidente Enrietti che la Fiat è anche il frutto di un lavoro collettivo e richiamava tappe importanti del lavoro e della presenza del mondo operaio nello sviluppo dell'azienda, lo voglio aggiungere che la storia della Fiat è una storia costellata da impegni pubblici e da costi sociali. Basti pensare all'esasperato, al deformato ruolo che ha assunto nell'economia italiana questo settore negli anni in cui è divenuto trainante nello sviluppo del nostro Paese; a tutti i problemi sociali determinati dalle migrazioni; agli ingenti investimenti che sono stati per esso necessari e che hanno tolto risorse in altri settori (non consentendoci di introdurci in settori strategici per il futuro). Voglio qui richiamare anche il peso e i costi di una caratterizzazione culturale che si è determinata nella nostra società in funzione del modello di vita e di consumo, "esasperato", che la produzione dell'auto ha determinato. Tutte queste questioni insieme all'impegno di lavoro, alla maturazione, allo sviluppo, all'accumulazione di esperienze di tecnici e di operai, fanno dire che il problema della Fiat, come peraltro il problema di qualsiasi struttura produttiva, non può più essere un problema soltanto aziendale. E' in gioco, con la ripresa della Fiat e del settore dell'auto, uno dei parametri importanti della ripresa economica del nostro Paese. Non è questo mio dire, una conversione e un ribaltamento di atteggiamento nei confronti del settore dell'auto; tutti gli aspetti negativi che l'auto ha determinato nel nostro Paese rimangono e i fatti dimostrano che avevamo ragione ad essere critici. La mia è una constatazione reale, oggettiva della questione. Di qui partiamo, allora per una programmazione economica nazionale che tenga conto del ruolo importante che il settore dell'auto deve ancora avere, dell'esigenza di utilizzare questo settore in una condizione di più corretta definizione e stabilità di mercato, per consentirci l'accumulo di economie e per recuperare attenzioni e impegni di ricerca e di produzione in settori strategici come quello dell'elettronica e della chimica. Questo settore quindi, non è estraneo alle possibilità e alle capacità di rinnovamento dell'intero sistema economico nazionale. Ha un'incidenza sulle stesse istituzioni comunitarie europee. Paradossalmente questa situazione di crisi dell'auto mette per la prima volta un problema concreto sul tavolo di tutti i Governi europei; un problema concreto da affrontare solidalmente. Questo può essere il primo passo per una politica reale di integrazione europea.
Se gestito bene, questo problema potrà consentire di superare il puro confronto dialettico a cui è ridotto oggi , il Parlamento europeo. Dal modo con cui affronteremo questo settore potrà emergere una nuova dimensione culturale del consumo e della vita in una società occidentale; un nuovo rapporto tra pubblico e privato, in cui l'impegno privato e pubblico siano coordinati in una politica di programmazione economica, nazionale ed europea.
Sotto questo profilo io credo che si debba davvero cogliere l'indicazione che ci dava Guasso in una parte del suo intervento: la crisi che investe la struttura industriale dell'occidente, è anche una crisi di classi dirigenti, è una crisi dei meccanismi statuali. Noi crediamo che sia così, è un ciclo che si è concluso; esistono, insieme a molti aspetti negativi, anche delle potenzialità presenti nelle stesse eredità che questo ciclo ci dà; bisogna però saperle sfruttare e partendo da esse, saper orientare la struttura produttiva industriale in altre direzioni. Bisogna sapere contemporaneamente modificare gli atteggiamenti manageriali privati e modificare gli atteggiamenti dello Stato. Ci pare che la Fiat non si stia muovendo in questa direzione. Lo richiamava Simonelli poco fa: quando discutendo con l'amministratore delegato e i suoi collaboratori sulla linea che noi indichiamo (cassa integrazione per alleggerire immediatamente di oneri l'azienda, blocco del tournover, pre-pensionamento, piano dell'auto della Fiat, piano del settore), nel tentativo di ricercare una linea di uscita dalla situazione, possibilmente senza licenziamenti; quando, senza pregiudizi e preconcetti, abbiamo delineato un atteggiamento pubblico favorevole alla mobilità come già ha manifestato dal Governo e dalla Regione, ma verificandone le reali possibilità; quando ci siamo dichiarati favorevoli ad una politica economica di sostegno al settore, con apporti finanziari per la ricerca, per la riconversione e la ristrutturazione ribadendo però, contemporaneamente, che è venuto a maturazione il momento in cui la gestione manageriale privata e aziendale, pur nelle libertà che deve avere, deve però rispettare il confronto ed anche alcuni vincoli che la programmazione e l'economia nazionale, che la società gli pongono ebbene, il dottor Romiti ha risposto: "se qualcuno vuol guardare all'interno dell'azienda, allora, l'azienda fa anche a meno dell'uso della 675, fa anche a meno dei finanziamenti per la ricerca".
Io credo che da questi atteggiamenti, così come dall'avvio del meccanismo dei licenziamenti, dobbiamo davvero trarre la considerazione che la posizione della Fiat non corrisponde né alle esigenze dello sviluppo economico del nostro Paese, n alle stesse esigenze e al ruolo della Fiat nel settore dell'auto, nell'industria italiana, nell'industria europea.
E' una chiusura, è una linea dura che non può portarci lontano; credo non possa portare neppure lontano l'azienda: è una linea di chiusura, se portata avanti, che metterà l'azienda al di fuori del giro delle grandi aziende produttrici dell'auto, che metterà l'azienda in una situazione marginale, di ruolo secondario nella struttura produttiva del settore.
Probabilmente ci farà segnare, se verrà portata avanti, ancora altri momenti di riduzione e di regressione. Penso che, nonostante l'atteggiamento della Fiat, il nostro impegno debba essere quello di lavorare in concreto, positivamente, come il dibattito di oggi ha mostrato di voler fare, perché questa linea non vada avanti e venga assunta davvero in una collaborazione fra pubblico e privato in cui possa collocarsi positivamente una linea di sviluppo del settore dell'auto.



PRESIDENTE

Il dibattito sui problemi occupazioni Fiat è concluso Al fine di poter presentare un documento unitario sull'argomento, sospendo la seduta per alcuni minuti.



PAGANELLI Ettore

Nessuno ha richiesto di partecipare a riunioni per discutere documenti unitari. La D.C. ha stilato un suo documento che desidera illustrare.



PRESIDENTE

Convoco i Capigruppo. La seduta è sospesa per dieci minuti.



(La seduta, sospesa alle ore 18.30 riprende alle ore 19.05)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
C'è stato un tentativo per unificare gli ordini del giorno predisposti dai vari Gruppi, il risultato è stato discreto, non completamente obiettivo.
Poiché c'era l'intesa che le varie forze politiche avrebbero potuto illustrare i propri ordini del giorno, invito il Consigliere Brizio ad illustrare l'ordine del giorno della D.C.



BRIZIO Gian Paolo

Intanto desidero esprimere soddisfazione per questa ripresa di discussione sull'argomento che consente al Gruppo della D.C. di illustrare dopo le dichiarazioni della Giunta, la propria posizione in merito al dibattito che c'è stato e conseguentemente di proporre un proprio documento, anche perché fino al momento in cui la discussione è stata aperta nessun documento era stato presentato né illustrato.
Il Gruppo della D.C. presenta questo documento che esprime i punti centrali della sua posizione e che illustrerò. Riprendo, inoltre, alcuni aspetti delle dichiarazioni che la Giunta ha fatto tramite l'Assessore Simonelli e che non ci convincono.
Chiediamo come primo punto all'azienda di evitare il ricorso a qualunque iniziativa unilaterale di licenziamento e, qualora queste procedure siano state avviate, chiediamo che vengano revocate immediatamente. Quindi ci schieriamo contro i licenziamenti e contro ogni soluzione unilaterale. Siamo dell'opinione che ci siano ancora dei margini per una trattativa e che questi debbano essere esplorati. Un avvio ai licenziamenti unilaterale costituirebbe un aggravamento inaccettabile della situazione. La nostra non è una posizione che si allinea a quella della Fiat, anzi è una posizione del tutto autonoma.
Negli incontri con l'azienda anche noi abbiamo fatto presente le nostre posizioni con chiarezza, e così la nostra contrarietà ai licenziamenti, le nostre perplessità rispetto certe linee di conduzione del passato. Noi ci siamo posti in posizione critica verso il centro direzionale Fiat, e vorremmo conoscere oggi che possibilità concrete abbia di fronte ad una situazione aziendale di questo genere, una soluzione che pure ha avuto l'avallo delle forze che siedono in maggioranza.
Abbiamo una posizione nettamente autonoma come partito e la portiamo avanti con tutta tranquillità. Questa posizione autonoma ci consente di dire "no" ai licenziamenti e ci consente anche di chiedere dei chiarimenti circa le prospettive aziendali; le abbiamo chieste anche in ordine agli investimenti previsti in 5.400 milioni per i prossimi anni. Abbiamo chiesto con quali fonti finanziarie questi investimenti avrebbero potuto essere coperti.
Certo, anche noi abbiamo delle perplessità perché gli investimenti possono essere coperti o con l'autofinanziamento o con l'indebitamento o con capitale proprio, non ci sono altre vie. Conosciamo tutti il livello dell'indebitamento Fiat e le difficoltà che deriverebbero al conto economico da un ampliamento dell'indebitamento.
Conosciamo tutti la situazione del capitale Fiat, non più aumentato da diciassette anni e che deve correttamente essere adeguato, sappiamo che gli autofinanziamenti sono in diminuzione perché il cash-flow relativo che nasce dagli ammortamenti e dagli utili è in una situazione di costante diminuzione. Quindi abbiamo delle perplessità sui modi di copertura. Anche noi abbiamo chiesto il "come", per dirla con l'Assessore Simonelli, e non abbiamo avuto la totale soddisfazione. Credevamo che l'informativa della Giunta fosse più completa e vediamo invece che ciò non è.
Chiediamo al Governo di operare immediatamente sulle parti sociali per riaprire al massimo livello le trattative affrontando nella sostanza e nel merito tutte le questioni aperte.
Vogliamo anche ricordare che se la trattativa si è riaperta è stato per iniziativa del Governo. Lo stesso Pio Galli della F.L.M., intervenendo ieri a TG3, poco prima della riunione dei sindacati con la Giunta (per un disguido non ho potuto parlare a nome del Gruppo con la Giunta) diceva con chiarezza che il tentativo di portare a Torino la trattativa sindacale era sostanzialmente fallito e che quindi dagli stessi sindacati si richiedeva al Governo un intervento per consentire una soluzione. Questo punto deve essere chiarito.
Noi, spingendo per una iniziativa del Governo, siamo consci che il Governo ha già preso questa iniziativa una volta, siamo sicuri, come ha dimostrato l'intervento dell'on. Foschi, che gli incontri ci saranno e che la trattativa potrà essere avviata. La trattativa dovrà essere avviata nella sostanza e nel merito. Il discorso delle pregiudiziali che nella sede torinese ha bloccato le trattative, deve essere superato, perché, se rimane, è difficile che si possa risolvere il problema.
Questa è la posizione assunta anche dal Partito Comunista nell'ambito del Consiglio comunale di Torino nell'ordine del giorno votato ieri sera.
Si deve verificare se nella sostanza ci sono possibilità alternative alle proroghe dell'azienda e giungere ad un reale accordo sindacale, il quale certamente, tuteli al massimo i livelli occupazionali. Siamo per la difesa dei livelli occupazionali ma siamo anche per interventi governativi che garantiscano il permanere di una economia di mercato, cioè la necessaria libertà di azione dell'impresa.
Non so come si possa conciliare l'intervento del Consigliere Montefalchesi con gli interventi della Giunta (e il suo voto sarà certamente favorevole! ) c'è stato un costante attacco alla libertà d'impresa; il suo è un discorso favorevole all'economia di Stato all'economia collettivistica. Naturalmente, date le - posizioni, il fatto non ci stupisce.
Sollecitiamo inoltre al Governo e al Parlamento la rapida approvazione dei decreti economici e delle leggi (pre-pensionamento, mobilità) necessarie ad affrontare le situazioni in crisi. Noi riconosciamo che queste norme possono essere migliorate in sede parlamentare da tutte le forze purché ci sia la volontà di approvarle. I disegni di legge necessitano anche dell'approvazione parlamentare; deve essere chiarito il discorso sulla responsabilità che è di tutti.
Chiediamo la definizione di un piano di settore che, a latere di strumenti finanziari, introduca elementi che salvaguardino ed orientino io sviluppo dell'industria automobilistica nazionale. Il piano di settore deve prevedete interventi finanziari, ma tali interventi non devono essere assistenziali perché l'area dell'industria assistita è già troppo grande; è un'area che rende rigido il mercato del lavoro ma anche tutta l'economia nazionale.
L'intervento del Governo sul piano finanziario deve andare solo nella direzione che è stata indicata dal rapporto Prodi (e che il collega Picco ha citato) e quindi soprattutto nel campo dell'innovazione.
Ci sta bene la modifica dei decreti economici ; l'introduzione del fondo di 1.500 milioni per l'auto anche se non abbiamo mancato di far presente in alcuni interventi al Senato di colleghi di partito che avremmo visto meglio una modifica della legge 675. Le garanzie perché i fondi vengano usati in un certo modo per ciò che riguarda l'innovazione tecnica sono necessarie, tra l'altro la legge 675 capovolgeva il discorso prevedendo prima dell'intervento la verifica finanziaria degli Istituti di credito autorizzati quindi a richiedere tutti i dati relativi alla situazione aziendale, alle prospettive e ai piani di sviluppo.
La nostra posizione è di assoluta autonomia e poiché parliamo di sviluppo, la nostra non è una posizione di arretratezza o di riduzione.
Tutti conosciamo la realtà odierna; né possiamo eluderla con l'andamento della Borsa come ha fatto stamane il Presidente della Giunta: "Se capitalizziamo oggi la Fiat a 2 mila lire per azione si arriva ad una capitalizzazione complessiva di 600 miliardi, mentre se capitalizziamo a prezzo di mercato la Banca Popolare di Novara si toccano i 1.000 miliardi" quindi questo discorso è privo di qualunque significato perché l'andamento del mercato finanziario ha radici molto complesse. La ricapitalizzazione della Fiat è un grosso problema e noi non abbiamo visto con piacere il distacco della proprietà dal management, come qui è stato più volte ripetuto.
In proposito, invece, abbiamo avuto entusiastiche dichiarazioni anche da parte del Sindaco di Torino e abbiamo visto immediatamente i risultati.
In un'azienda nella quale un gruppo familiare ha il 30 % del capitale o lo controlla; la sua uscita dalla guida della società sottende sempre un'ipotesi di disimpegno, al di là delle posizioni tattiche che possiamo tutti avere sott'occhio.
Anche sotto questo profilo noi chiediamo una linea di sviluppo, ma dobbiamo tener conto della realtà di oggi. La Fiat ha bisogno di un momento di attenzione e la situazione del momento è una situazione difficile.
Il miglioramento del mercato ci sarà indubbiamente; se è vero che la Fiat sta perdendo quote di mercato a livello europeo e ha una forte presenza sul mercato nazionale, questo rende il problema vero, attuale quindi il discorso dello sviluppo è un discorso di adeguamento di modelli di prodotto, è un discorso di presenza commerciale, di immagine societaria di superamento di qualcuno dei vincoli del sistema Italia, che citava Bastianini Peraltro non devono essere enfatizzati questi vincoli.
Il differenziale di inflazione non può essere un elemento per il cambio della parità dei cambi, che sarebbe disastroso e non avrebbe il supporto nella realtà economica attuale del Paese considerata la consistenza delle riserve ed il tasso di sviluppo, perché l'Italia, malgrado tutto, e pur nel difficile frangente presente ha uno sviluppo economico e produttivo superiore a quello di molti Paesi della Comunità Economica Europea.
Nella parte finale del nostro ordine del giorno diciamo: il Consiglio regionale si impegna, nell'ambito delle proprie competenze e delle funzioni degli organi regionali, Giunta, Consiglio e Commissioni consiliari, ad avviare una serie di interventi allo scopo di utilizzare ed indirizzare le capacità e le risorse della Regione per rafforzare il mercato del lavoro piemontese.
Condividiamo parte di quanto ha detto l'Assessore Simonelli ma non la sua dichiarazione di impotenza della Regione "che non può fare nulla sul piano della programmazione" e dipende unicamente dalle in formazioni della Fiat. E' una .conferma che in questi anni il discorso programmatorio è stato buttato, come, d'altra parte, si evince dal piano di sviluppo, la cui impostazione non ha tenuto conto della prevedibile crisi della Fiat e dell'auto. Le ipotesi occupazionali e le ipotesi del piano di sviluppo sono ottimistiche rispetto alla situazione attuale.
Se è vero che la Fiat ha cambiato più volte opinione, le forze di maggioranza l'hanno cambiata costantemente e più volte ed il P.C.I. ha spesso anticipato la stessa Fiat. Il P.C.I. è stato tra i primi a parlare dell'auto come prodotto maturo, salvo poi nel '75 con la conferenza dell'occupazione ipotizzare il, suo rilancio e, nel '76, fare l'ipotesi opposta.
Sottoscriviamo il discorso che ha fatto Viglione quando ha detto: "occorre che ci muoviamo rapidamente vedendo il modo con cui si possa attivate il mercato del lavoro". Questo discorso sottende una critica alla realizzazione del piano di sviluppo della passata legislatura.
Infine, nell'ordine del giorno chiediamo di operare per la costituzione ed il funzionamento della Commissione regionale sulla mobilità operando nell'ambito della legge 675.
Il nostro ordine del giorno si fa carico di tutti i problemi, richiede un'attivazione operativa da parte degli Enti locali, e della Regione in particolare.
Naturalmente chiediamo la votazione di questo ordine del giorno, ma siamo disponibili a confrontarci se si ritiene di tentare la stesura di un documento comune. Sugli altri ordini del giorno ci esprimeremo dopo aver sentito le relative illustrazioni.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi



BONTEMPI Rinaldo

Mi limito a leggere l'ordine del giorno sottoscritto dal P.S.I. e dal P.C.I., nel quale sono contenute le affermazioni e gli obiettivi che sono stati già illustrati stamane dalla Giunta e nel corso degli interventi del compagno Guasso per il mio Gruppo e del compagno Viglione per il Gruppo socialista.
"Il Consiglio regionale del Piemonte, esaminata la grave crisi dell'auto ed in particolare della Fiat preso atto della sospensione delle trattative tra l'azienda torinese e le organizzazioni sindacali nonché la decisione dell'azienda di avviare le procedure per i licenziamenti per oltre 14.000 lavoratori esprime la sua solidarietà con tutti i lavoratori della Fiat rilevato che questi fatti creano una gravissima situazione per la città di Torino, per la Regione piemontese e per tutto il Paese invita il Governo ad affrontare decisamente e con la massima urgenza tale situazione convocando le parti per una immediata ripresa delle trattative richiede inoltre all'azienda Fiat di sospendere la procedura di licenziamento in atto.
Il Consiglio regionale del Piemonte, ritiene indispensabile la rapida definizione da parte del Governo del piano auto e la presentazione da parte della Fiat di un piano di sviluppo aziendale impegna la Giunta regionale ed il Consiglio stesso a verificare e sostenere nei rapporti con il Governo il programma che si presenti coerente con la programmazione nazionale.
Il Consiglio regionale del Piemonte, ritiene che i problemi dell'occupazione debbano essere affrontati nel seguente ambito: i problemi attuali di eccedenza di manodopera e quelli che saranno conseguenti ai processi di riorganizzazione della Fiat, andranno affrontati con misure di mobilità interna, con le forme del pre-pensionamento, con l'utilizzo del tournover, il ricorso alla cassa integrazione, al fine di consentire un alleggerimento di fronte alla crisi senza per altro pregiudicare le complessive potenzialità dell'azienda e le condizioni per la ripresa e lo sviluppo. Sul punto che appare discriminante, nella fase attuale, e cioè quello relativo alla mobilità esterna richiesta dall'azienda Il Consiglio regionale ritiene che essa non possa essere accolta come pregiudiziale condizionante il merito del confronto osserva inoltre che la situazione attuale dell'area torinese e piemontese che vede minacciati migliaia di posti di lavoro nei grandi gruppi e nelle aziende dell'indotto, rischia di rendere illusorio l'eventuale ricorso alla mobilità esterna.
Il Consiglio regionale ritiene che la mobilità interaziendale possa essere anche uno degli strumenti idonei a conseguire i necessari processi di ristrutturazione e riconversione industriale e dell'apparato produttivo, solo in un quadro di sviluppo che attivando nuovi settori permetta un allargamento dell'occupazione, ricordando come essa sia stata concretamente intrapresa da questa Regione negli ultimi anni, pur nella esiguità dei risultati conseguiti ravvisa come condizione irrinunciabile, però, che la mobilità interaziendale non si tradisca con una forma di licenziamento mascherato.
Il Consiglio regionale impegna la Giunta a presentare nel suo programma un quadro urgente di interventi atto a sostenere l'economia piemontese in coerenza con il piano di sviluppo e raccordandolo con le iniziative degli Enti locali, degli Istituti finanziari e delle forze economiche imprenditoriali, e ad operare per attivare la Commissione regionale dell'impiego ex legge 675.
Il Consiglio regionale impegna la Giunta a compiere tutti i possibili interventi perché siano attuati i progettati incontri con la Commissione Economica e monetaria del Parlamento Europeo e con la Commissione Esecutiva della CEE ed indica la necessità di un incontro da promuovere con tutte le Regioni italiane interessate ai problemi dell'auto sotto il profilo occupazionale produttivo".
Chiedo se è possibile, al termine dell'illustrazione degli ordini del giorno, tenere una riunione per confrontare le posizioni per il raggiungimento di un documento unitario.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi per l'esposizione dell'ordine del giorno del P.D.U.P.



MONTEFALCHESI Corrado

E' necessario rimarcare un dato inoppugnabile sul quale la maggioranza degli interventi, almeno dei partiti di sinistra, è d'accordo, e cioè che nell'attuale situazione del mercato del lavoro, la mobilità extra-aziendale significa, di fatto, licenziamenti. L'ordine del giorno illustrato non risponde a questa esigenza.
Siamo disponibili a ricercare un'intesa unitaria ma qui non si gioca soltanto una votazione perché domani - i giornali usciranno con scritto che la Regione è per la mobilità allora i compagni del P.C.I. e del P.S.I.
devono rendersi conto che si gioca l'isolamento del sindacato con tutte le conseguenze che questo comporta. E' una responsabilità gravissima.
"Il Consiglio regionale del Piemonte, a seguito dell'interruzione della trattativa tra la Fiat e la F.L.M. sulla soluzione da dare alla crisi che attraversa il settore auto, ed alla decisione Fiat di avviare la procedura per i licenziamenti collettivi.
Valuta di estrema gravità la decisione Fiat per le ripercussioni 'che questa decisione provoca nella nostra comunità in termini occupazionali e nell'economia tutta.
Ritiene che le responsabilità di questa situazione vanno ricercate nell'atteggiamento della Fiat teso a perseguire l'obiettivo dei licenziamenti collettivi espliciti o comunque mascherati attraverso la mobilità extra-aziendale, che nell'attuale situazione economica e produttiva piemontese non avrebbe sbocco.
Esprime la propria solidarietà ed adesione alle iniziative di lotta che i lavoratori e le organizzazioni sindacali intraprenderanno.
Ribadisce il ruolo fondamentale della Regione nella definizione degli interventi programmatori.
Invita il Governo ad intervenire per ricercare una soluzione ché individui nel piano di settore, dentro un quadro di programmazione nazionale, l'unica condizione per affrontare le difficoltà che il settore auto attraversa e che consenta di evitare licenziamenti espliciti o comunque mascherati".



PRESIDENTE

Gli ordini del giorno presentati sono tre. Convoco i Capigruppo e sospendo la seduta per dieci minuti.



(La seduta, sospesa alle ore 19.35 riprende alle ore 20.35)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Informo i colleghi che nella riunione dei Capigruppo non si è raggiunta nessuna intesa sugli ordini del giorno presentati. A norma di Regolamento sarà osservato l'ordine di presentazione. Il primo ordine del giorno presentato è quello del P.C.I. - P.S.I.



PAGANELLI Ettore

Per primo è stato presentato il nostro ordine del giorno.



BRIZIO Gian Paolo

Tant'è vero che abbiamo illustrato per primo l'ordine del giorno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente, non poniamo nessuna questione, e come presentatore del secondo ordine del giorno dichiaro, fin d'ora, che il Gruppo P.S.I.
darà voto contrario all'ordine del giorno presentato dalla D.C.



CARAZZONI Nino

La votazione su un ordine del giorno non preclude eventuali votazioni su altri successivi ordini del giorno?



PRESIDENTE

Il Regolamento stabilisce che i documenti siano discussi a seconda della presentazione e quando si entra in votazione non possono essere ripresentati altri ordini del giorno.
La parola al Vicepresidente della Giunta regionale, Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Quando dobbiamo considerare presentato un ordine del giorno? Quando un Consigliere usufruendo del suo diritto, intende illustrarlo? Mi pare più corretto, che quando un gruppo di Consiglieri intende presentare un ordine del giorno lo consegni al Presidente del Consiglio il quale darà la parola al Consigliere che ne fa richiesta per l'illustrazione. Si presume che l'ordine del giorno debba avere il consenso della maggioranza o di una parte dell'assemblea, quindi, il Presidente non è ininfluente rispetto all'esame degli ordini del giorno dato che fra i suoi compiti c'è anche quello di accomunare ordini del giorno e di lavorare per fare in modo che l'assemblea possa esaminarli nella produttività più ampia e anche in tempi rapidi. Consegno questa questione alla Commissione Regolamento e alla nostra prassi. L'ho voluta trattare prendendo lo spunto da quanto è successo senza pronunciarmi sul merito. Credo, peraltro, che per la Giunta sia del tutto ininfluente che si voti prima un ordine del giorno piuttosto di un altro.



PRESIDENTE

Dopo queste dispute procedurali procedo alla lettura dell'ordine del giorno presentato dalla D.C.
"Il Consiglio regionale del Piemonte, a fronte dell'interruzione intervenuta nelle trattative che erano state riprese ha l'azienda ed i sindacati a seguito dell'invito del Governo sulla crisi Fiat, ritiene necessario che tale interruzione non si trasformi in una rottura che avrebbe conseguenze .gravissime per l'area torinese, per l'intera regione e per a Paese.
Chiede 1) all'azienda di evitare il ricorso a qualunque iniziativa unilaterale di licenziamento 2) al Governo di operare immediatamente sulle parti sociali per riaprire al massimo livello le trattative affrontando nella sostanza e nel merito tutte le questioni aperte sollecita al Governo ed al Parlamento: a) la rapida approvazione dei decreti economici e delle leggi (pre pensionamento, mobilità) necessari ad affrontare le situazioni in crisi b) la definizione di un piano di settore che, a latere di strumenti finanziari, introduca elementi che salvaguardino ed orientino lo sviluppo dell'industria automobilistica nazionale si impegna nell'ambito delle proprie competenze e delle funzioni degli organi regionali Giunta - Consiglio (anche attraverso le Commissioni consiliari): 1) ad avviare una serie di interventi allo scopo di utilizzare ed indirizzare la capacità e le risorse della Regione per rafforzare il mercato del lavoro piemontese 2) ad operare per la costituzione ed il funzionamento della Commissione regionale sulla mobilità operante nell'ambito della legge 675".
A questo punto non resta che esprimere le dichiarazioni di voto sull'ordine del giorno testè enunciato.
La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Votiamo contro quest'ordine del giorno.



CARAZZONI Nino

Ci asteniamo dal votare quest'ordine del giorno.



MONTEFALCHESI Corrado

Votiamo contro quest'ordine del giorno.



BASTIANINI Attilio

Esprimo il voto favorevole del P.L.I.



MIGNONE Andrea

Esprimo il voto contrario del P.S.D.I.



VETRINO Bianca

Esprimo il voto favorevole del P.R.I.



PRESIDENTE

Pongo ai voti l'ordine del giorno del Gruppo D.C. Chi approva è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è respinto con il seguente esito: presenti e votanti 54 favorevoli 21 Consiglieri contrari 31 Consiglieri astenuti 2 Consiglieri Sull'ordine del giorno presentato dalla maggioranza chiede la parola il Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Propongo di sostituire le parole: "rischia di rendere illusorio" con le parole: "rende illusorio per il ricorso alla mobilità esterna".



BASTIANINI Attilio

Chiediamo la votazione dell'ordine del giorno per punti separati affinché si possano presentare degli emendamenti di volta in volta mentre vengono votati i singoli punti.



CARAZZONI Nino

Poiché l'ordine del giorno è composto in sei paragrafi, chiediamo che i primi due e gli ultimi due siano messi in votazione per parti distinte, e anticipiamo fin d'ora che, se non saranno stravolti dagli emendamenti li approveremo, mentre ci asterremo sui due paragrafi centrali. Chiediamo infine che questa posizione un po' complicata abbia a risultare con chiarezza nel verbale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Pur comprendendo la motivazione della richiesta del P.D.U.P. e poich non c'è una reale differenza tra il testo che abbiamo presentato e discusso e quello che propone il Consigliere Montefalchesi, riteniamo sia preferibile mantenere il testo proposto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Concordo con il Vicepresidente Sanlorenzo che chiede di fissare le modalità di presentazione degli ordini del giorno. Qualsiasi modalità però, presuppone che non si sospenda una seduta e che i Consiglieri siano in grado di svolgere, in un modo o nell'altro, il loro lavoro.
Per quanto riguarda gli ordini del giorno, nel corso del secondo incontro tra i Capigruppo, abbiamo verificato molte assonanze tra quello presentato dalla D.C. e quello presentato dai Gruppi comunista e socialista, che è addirittura più ampio e più esteso del nostro. Vi è un punto però che non ha consentito alla nostra forza politica di aderire perché si presta a più interpretazioni. Nel momento in cui il vostro e il nostro ordine del giorno invocano l'intervento del Governo e la ripresa delle trattative, riteniamo che non ci debbano essere degli elementi di ostacolo o delle pregiudiziali. Questo punto ci ha sostanzialmente divisi Nulla deve essere di ostacolo al proseguimento delle trattative che ci auguriamo possano essere concludenti. Non ci sentiamo di votare contro un ordine del giorno che per i 4/5 è assonante con il nostro; pertanto, non ritenendo corretto votare questo ordine del giorno per parti distinte, ci asteniamo dalla votazione.



PRESIDENTE

La parola nuovamente al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Prendo atto della indisponibilità dei presentatori degli ordini del giorno ad accogliere l'emendamento da me suggerito. Il mio sarà un voto di astensione perché di fatto la Situazione torinese attuale, ed i fatti nei prossimi giorni mi daranno ragione, non consente la collocazione di posti di lavoro nell'apparato produttivo torinese. Non è vero che la mobilità rischia di rendere illusoria la ricerca di posti di lavoro ma credo che renda illusoria la possibilità di posti di lavoro dove mandare i lavoratori in mobilità. Pertanto chiedo che venga messo in votazione l'ordine del giorno da me presentato.



PRESIDENTE

Il primo emendamento presentato dal Consigliere Bastianini sull'ordine del giorno della maggioranza riguarda l'ottavo capoverso: dopo "essere approfonditi" inserire "in via prioritaria".
Chi è favorevole alzi la mano.
L'emendamento è respinto.
Emendamento al nono capoverso: sostituire con "ritiene che il problema della mobilità esterna non debba essere considerato pregiudiziale delle due parti per entrare nel merito del confronto".
Chiede la parola il Consigliere Mignone. Ne ha facoltà



MIGNONE Andrea

Il Gruppo del P.S.D.I. è favorevole al testo del capoverso così come è stato presentato dai Gruppi socialista e comunista.
Chiedo che risulti a verbale che lo intendiamo nel senso che da entrambe le parti non debba essere posta la pregiudiziale.



PRESIDENTE

Chi è favorevole all'emendamento del Consigliere Bastianini alzi la mano.
E' respinto.
Emendamento al decimo capoverso: nella quarta riga sostituire "illusorio" con "incerto".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'emendamento è respinto.
Emendamento al dodicesimo capoverso: sostituire con "ravvisa come condizione che la mobilità interaziendale venga intesa nell'eccezione prevista dalla legge 675/77".
Chi è favorevole alzi la mano.
L'emendamento è respinto.
Si passi ora alla votazione dell'ordine del giorno per parti separate.
Chi è favorevole al primo paragrafo alzi la mano.
E' approvato con il seguente esito: presenti e votanti 55 favorevoli 33 Consiglieri astenuti 22 Consiglieri Chi è favorevole al secondo paragrafo alzi la mano.
E' approvato con il seguente esito: presenti e votanti 55 favorevoli 33 Consiglieri astenuti 22 Consiglieri Chi è favorevole al terzo paragrafo alzi la mano.
E' approvato con il seguente esito: presenti e votanti 56 favorevoli 32 Consiglieri astenuti 24 Consiglieri Chi è favorevole al quarto paragrafo alzi la mano.
E' approvato con il seguente esito: presenti e votanti 54 favorevoli 32 Consiglieri astenuti 22 Consiglieri Chi è favorevole all'intero testo dell'ordine del giorno alzi la mano.
E' approvato con il seguente esito: presenti e votanti 43 favorevoli 31 Consiglieri astenuti 22 Consiglieri non ha partecipato alla votazione 1 Consigliere Sull'ordine del giorno presentato dal Consigliere Montefalchesi chiede la parola il Consigliere Viglione.
Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

L'argomento che introduco è generale, dovendo decidere se creiamo un principio, o meno, in ordine alla votazione degli ordini del giorno.
Quando un ordine del giorno è stato approvato, gli ordini del giorno presentati successivamente decadono.
Se questa sera mettiamo in votazione un altro ordine del giorno evidentemente creiamo un principio pericolosissimo che, in futuro autorizzerà a richiedere che tutti gli ordini del giorno presentati, in qualsiasi ordine, debbano comunque essere sottoposti alla discussione e all'approvazione.
La responsabilità è del Presidente.



PRESIDENTE

L'art. 90 del Regolamento stabilisce che gli ordini del giorno sono posti in votazione secondo l'ordine di presentazione.
Chiede la parola il Consigliere Montefalchesi. Ne ha facoltà.



MONTEFALCHESI Corrado

Non intendo mettere in discussione il Regolamento. Faccio presente all'Ufficio di Presidenza che ho presentato l'ordine del giorno del P.D.U.P. prima di quello messo in votazione. L'ordine del giorno che è stato approvato è stato modificato nel corso della riunione dei Capigruppo e poiché io avevo già presentato il mio, la Presidenza doveva metterlo in votazione per secondo.
Chiedo che venga rispettato il Regolamento e posto in votazione l'ordine del giorno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

E' comune intendimento ed auspicio del Consiglio di riuscire a concludere rapidamente questa seduta. La D.C. che voleva venisse votato per secondo il suo ordine del giorno, lo ha chiesto, altrettanto avrebbero dovuto fare altre parti e non ce ne saremmo dimenticati. Comunque se questo era l'ordine di presentazione e mi pare che sia in effetti stato così, la votazione su questo ordine del giorno può avvenire con questa interpretazione e non. invece forzando un'interpretazione che il Regolamento e la prassi costante, finora, hanno posto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, esprimo innanzitutto riserve sulla votazione precedente, poiché la votazione della parte finale dell'ordine del giorno ha vanificato la nostra richiesta di votare per parti separate. Questo premesso, diciamo sul caso di cui stiamo discutendo che, nel silenzio del Regolamento che può essere variamente interpretato, ci sembra assolutamente pericoloso creare il precedente che si ponga in votazione sul medesimo oggetto un ordine del giorno dopo che altro analogo è già stato approvato.
Condividiamo le riserve di principio che sono state fatte da altre parti.
Non vogliamo essere coinvolti in una votazione che sarà richiamata da altre parti, e anche dalla nostra parte, in successive occasioni; e non partecipiamo pertanto, per logica coerenza, alla votazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Il problema posto dal Consigliere Viglione in questa ormai stanca seduta è certamente un problema che dobbiamo avere ben presente. Però nel momento in cui si sta per decidere il passaggio o meno alla votazione di un successivo ordine del giorno, ritengo che si debba considerare l'ipotesi di ordini del giorno che avvengono su discussioni generali, fatti generali, e ordini del giorno che si inseriscono nella votazione di una legge.
Probabilmente non è questo il momento di risolvere sia questo problema che l'altro che, anche a seguito del mio precedente intervento, il Vicepresidente Sanlorenzo ha correttamente posto. Ritengo che in questo momento si debba procedere alla votazione dell'ordine del giorno con questo avvertimento. La Commissione Regolamento dovrà esaminare e dirimere con chiarezza questi problemi, senza che la votazione che avviene in questo momento costituisca precedente a cui si debba successivamente essere vincolati.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

L'interpretazione letterale del Regolamento data dal Presidente non offre alcun commento ed alcuna limitazione. Ordine del giorno significa richiesta di pronunciamento da parte del Consiglio regionale in ordine ad un problema. Non c'è alcun motivo che osti a che, su uno stesso problema vengano approvati più ordini del giorno perché gli stessi ordini del giorno possono contenere pronunciamenti non in contraddizione l'uno con l'altro ma complementari il punto politicamente delicato della questione è che si vuole un'interpretazione restrittiva, ossia il pronunciamento su un ordine del giorno che espelle gli altri, obbligando tutte le forze politiche a convergere sull'ordine del giorno della maggioranza. Non si può richiedere che un pronunciamento, che non è in contraddizione con un altro, venga espulso dalla discussione per il fatto che è stato approvato un precedente ordine del giorno.
E' stato opportuno evidenziare questo problema, che non è soltanto una questione lessicale, ma è una questione politica estremamente delicata. La discussione va fatta su tutta la materia che è pervenuta all'esame del Consiglio. A questo punto, se ne facessimo un problema di tipo letterale diventerebbe addirittura sostenibile il fatto che abbiamo votato un ordine del giorno (ultima edizione) che non è stato presentato al Consiglio regionale. Sottolineo questo particolare, visto che sono state date lezioni di procedura al Capogruppo democristiano.



PRESIDENTE

L'ordine del giorno era sul banco dell'Ufficio di Presidenza.
Chiede la parola il Consigliere Montefalchesi. Ne ha facoltà.



MONTEFALCHESI Corrado

Chiedo che l'ordine del giorno del P.D.U.P. venga messo in votazione con la motivazione che è stato presentato secondo e con la motivazione che su argomenti di questa natura si possono presentare anche più ordini del giorno complementari tra di loro.
Non accetto altre motivazioni.



PRESIDENTE

Ritengo saggia la proposta del collega Paganelli che la Commissione Regolamento valuterà.
Pongo in votazione l'ordine del giorno firmato dal Consigliere Montefalchesi.
L'ordine del giorno è respinto con il seguente esito: presenti e votanti 40 favorevole 1 Consigliere contrari 20 Consiglieri astenuti 19 Consiglieri Ricordo ai Capigruppo che sono convocati domani mattina prima dell'inizio dei lavori del Consiglio che inizieranno alle ore 9,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 21.30)



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