Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.49 del 19/03/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Bilanci preventivi

Esame bilancio di previsione per l'anno finanziario 1981 (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Riprendiamo con il punto quinto all'ordine del giorno: "Esame bilancio di previsione per l'anno finanziario 1981".
E' iscritta a parlare la collega Bianca Vetrino Nicola. Ne ha facoltà.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, non da oggi i repubblicani annettono al momento del bilancio un profondo significato politico e riaffermano quindi la loro convinzione che questa debba essere un'occasione non secondaria di recupero di quella tensione morale che deve accompagnarsi al comportamento del politico (l'assenza di molti Consiglieri stamattina non fa molto onore a questa tensione morale), segnatamente in momenti come questi che non debbono certamente assumere i caratteri della messa in scena, ma che debbono lasciare emergere da questi banchi la volontà che deve essere di questo Consiglio di contribuire al superamento della divaricazione che esiste tra la realtà sociale e il sistema politico istituzionale attraverso atti concreti, per esempio, attraverso un bilancio che consenta alla comunità regionale di inserirsi e di misurarsi nel più ampio contesto nazionale con le sfide che sono tipiche delle società industrialmente avanzate: restare nell'Europa in condizioni di parità tenere il cambio e stare nello SME, accettare i vincoli della razionalità economica internazionale, realizzare una politica industriale concreta e non di segno assistenziale, assolvere i propri compiti di tutela degli interessi generali dei cittadini.
I 2.720 miliardi del nostro bilancio devono servire per fronteggiare attraverso i suoi grandi numeri, a queste sfide, dal cui superamento dipende veramente la crescita della nostra società. Ci è parso, e auspichiamo che questo dibattito, che è iniziato con tanti pregevoli ed interessanti interventi, ci consenta di correggere totalmente la nostra impressione, che a questo momento, non intendiamo enfatizzare, ma al quale vogliamo sia attribuita l'importanza di fondo che esso ha. Le forze politiche di questo Consiglio si sono accostate con indifferenza, mentre osserviamo di ben diverso tono o temperatura i momenti di consultazione che hanno visto una società esterna, calda, desiderosa di esprimere un ruolo e delle idee, di contare, di misurarsi con un'istituzione che invece, a nostro avviso, è apparsa fredda e indifferente. Questa può essere soltanto una nostra impressione, ma abbiamo avuto modo di osservare, in altre occasioni analoghe a questa, importanti per la presentazione di documenti ufficiali, come la Giunta si fosse posta di fronte a queste scadenze senza il necessario mordente.
L'Assessore Testa rifiutò in una sua replica questa nostra interpretazione e noi cogliemmo nella sua personale convinzione la promessa di un diverso atteggiamento per gli impegni futuri, su un diverso modo di affrontare i problemi, di porli al Consiglio anche sotto il profilo metodologico, tecnico ed organizzativo e questo non come atto dovuto, ma come scelta politica di fondo. Ma vediamo come si è arrivati alla presentazione di questi documenti. Non appaia il mio un inutile excursus ma un'occasione anche questa di riflessione e di possibile superamento per le occasioni future.
Ebbene, la vigilia di Natale il Consiglio votò l'esercizio provvisorio su un bilancio improvvisato, la cui caratteristica fondamentale fu il peso fisico della documentazione data ai Consiglieri. Lo accettammo perché si era alla vigilia di Natale. Da Natale ad oggi i giorni sono tanti, circa 80, era il tempo del giro del mondo all'inizio del secolo. Oggi siamo in presenza di tante note di variazione di bilancio che complessivamente lo modificano del 20 % circa nel suo valore complessivo. Se ho contato bene sono circa 493 miliardi. Non è forse questo metodo che contribuisce a disamorare il Consiglio stesso rispetto a questi documenti? E' un metodo che attiene ad un modo di procedere, sotto il profilo amministrativo arretrato e un metodo che fino a ieri si inseriva in una cultura che tutti abbiamo voluto scrostare perché tutti crediamo ormai che il bilancio debba essere un documento, oltreché trasparente, uno strumento di verifica e di programmazione scorrevole.
Questo bilancio, indipendentemente ancora dal suo contenuto, già soltanto da come è stato vissuto dalla Giunta nei suoi mesi di facimento e di rifacimento, è un bilancio vecchia maniera, che portava alla formazione di decisioni all'insegna dell'improvvisazione, lontano cioè da quelle mete che sovente, purtroppo superficialmente, vengono definite programmatiche.
Per venire al contenuto, questo bilancio, oltrechè viziato da questa sua genesi sussultoria, è il classico bilancio delle promesse, che sembra stato costruito per porsi in condizione di fare delle promesse e accontentare quanti più possibile. Su di esso le risorse sono state distribuite senza alcun criterio di scelta né attenendosi ad alcun principio programmatorio. Le somme sono piovute sul bilancio 1981 attraverso aggregazioni di cifre che tentano di far fronte a tutte le esigenze.
Il bilancio di previsione del 1981 sconta poi una certa politica della spesa fatta negli anni trascorsi. La Regione, al di là di quei vincoli che derivano dai trasferimenti dallo Stato, si è creata dei vincoli anche nell'ambito delle risorse libere nella destinazione. Le spese di funzionamento dell'Ente regionale sono ormai un'esigenza irrinunciabile anche se contenibili attraverso una loro riqualificazione.
Dichiarare la nostra povertà evidenziando le nostre poche risorse disponibili non serve: coloro che negli anni passati invocavano interventi in questo o quel settore, disgiunti da un disegno complessivo di obiettivi e di priorità, dovevano capire che questi vincoli avrebbero legato le mani nel futuro rendendoci impossibilitati ad agire se non mobilitiamo oggi ragione, revisione e rigore. Qualcuno dirà che i repubblicani stanno di nuovo parlando della programmazione. Su questo termine sono stati scritti e detti fiumi di parole. Le cause della sua inattuazione sono state attribuite alle ragioni più, diverse, ma la vera ragione della sconfitta del sistema di programmazione è politica, è cioè il frutto di una cultura arretrata di governo che tende a soddisfare ad esigenze clientelari e corporative soprattutto nei periodi elettorali e non bada invece agli interessi veri e reali della società che comportano scelte talvolta anche impopolari. E' invece evidente che un sistema come il nostro, dove l'inflazione è in continuo aumento, dove il problema dell'occupazione non accenna a miglioramenti, essendo peraltro ancora presenti componenti negative quali il lavoro nero, ha bisogno di una forte incentivazione di programmi che realizzino obiettivi di lungo e medio periodo sufficienti per creare nuovi spazi agli investimenti e maggiore produttività ai singoli settori. La razionalizzazione e la programmazione della spesa regionale doveva essere ragione di vita o di morte negli anni passati, come lo è oggi, per individuare le priorità essenziali e per verificarne la validità e l'efficacia. Questo non è stato però il metodo utilizzato dalla Giunta neppure per l'anno '81, pure in presenza di un bilancio pluriennale che ha posto tutte le forze politiche di fronte ad una realtà drammatica.
Infatti, il bilancio del 1981, oltre a risentire delle decisioni del passato e a scontarle, alle quali oggi comunque bisogna far fronte, risulta altresì estremamente confuso se si considera che in esso sono contenuti i residui passivi reimpostati e le annualità di spesa slittate e tutto ciò si confonde con gli stanziamenti per nuovi interventi che sono contenuti negli stessi capitoli di spesa. Si è dunque in una situazione nella quale le previsioni di spesa risultano artificiosamente dilatate e le risorse libere dal vincolo di destinazione vengono in parte utilizzate per far fronte ad impegni precedentemente assunti o addirittura per finanziare spese derivanti da assegnazioni statali.
Risulta pressoché impossibile individuare per singoli settori l'apporto delle risorse fresche da destinare ai nuovi programmi. Tale situazione evidentemente va chiarita e ciò comporta un grosso sforzo culturale tecnico ed organizzativo dell'Amministrazione regionale. Ciò significa che tutte le forze presenti devono dare il loro contributo in termini propositivi ed organizzativi per ottenere, accanto alla trasparenza di bilancio, la trasparenza delle scelte.
Per entrare, neppure brevemente, nei contenuti del bilancio aggiungendo alcune osservazioni a quelle fatte ieri dal collega Gastaldi, ci limitiamo a fare alcune considerazioni, che peraltro dimostrano quanto abbiamo detto prima. Ad esempio, le previsioni di stanziamento per le acquisizioni e per le ristrutturazioni del patrimonio ci paiono incoerenti rispetto alla situazione complessiva. Ci sembrano tante le previsioni di 18 miliardi (che con l'ultima variazione diventano 20 miliardi perché ne sono stati aggiunti 2) per la ristrutturazione o il potenziamento del patrimonio. Condividiamo il progetto del recupero di un certo tipo di patrimonio all'ente pubblico che diversamente correrebbe i rischi di abbandono e di obsolescenza sappiamo che non è soltanto un intento patrimoniale quello che sta alla base del progetto della Giunta, personalmente sono molto vicina a Viglione e a Rivalta quando parlano della necessità di un recupero di queste opere che in passato non sono state fruite dalla comunità e che oggi devono essere fruite dalla comunità. Ci chiediamo però se questo progetto non sia ambizioso per i giorni che stiamo vivendo, in una Regione che certamente presenta dei dati statistici e di reddito accettabili rispetto ad altre Regioni, ma dove aree di povertà, di emarginazione, di miseria ancora insistono e dove molti malesseri hanno origine in carenze economiche da minimo vitale.
Penso a molti anziani (i repubblicani non sanno fare della demagogia) con redditi di pensioni indegne di una nazione civile, penso alle famiglie di disoccupati o di emarginati o a famiglie dove il solo lavoro del capofamiglia non consente più una giornata sopportabile per l'assillo di un costo della vita costantemente in ascesa. Queste nostre preoccupazioni sono state evidenziate nell'intervento di ieri dal collega Gastaldi laddove egli lamenta gli scarsi investimenti della Giunta, per esempio, per gli anziani e gli handicappati. Cito poi gli interventi nei settori della tutela dell'ambiente, delle opere pubbliche, dell'artigianato.
Ebbene, alcune di queste somme hanno pochissime possibilità di concretizzarsi in interventi reali nel corso di un anno gestionale che appunto sotto il profilo della gestione, sarà di otto mesi.
La relazione della maggioranza dà ampio spazio alle consultazioni degli artigiani e promette attenzione, ma non dice che una moltitudine di artigiani del Piemonte sta da mesi aspettando risposte alle domande di utilizzo delle risorse loro riservate dalle apposite leggi regionali. Sul totale complessivo della spesa prevista in termini di competenze ci appare impossibile esprimere un giudizio di merito approfondito sulle somme divise fra le varie aree di interventi, perché sappiamo che la logica che ha guidato nel definire l'8,02% per l'agricoltura, il 15,53% per il territorio, il 3,22% per la formazione professionale e cultura (per quanto queste cifre, come ieri ci faceva osservare Gastaldi, sono errate perch andavano ridistribuite estrapolando la cifra che si riferiva alla sanità) non discende da quelle impostazioni programmatiche di cui abbiamo parlato ma discende purtroppo da un metodo che si colloca e persegue la logica dell'assistenzialismo, del corporativismo e forse, in qualche caso come qualcuno ha già adombrato in quest'aula, è conseguenza di dispute assessorili dalle quali l'Assessore più arrogante trarrà più denaro per i suoi programmi.
Questa stessa logica è quella che, per esempio, ha fatto finora consistere il rapporto tra le Regioni e lo Stato come un patteggiamento costante per avere un miliardo di più o un miliardo di meno. E' vero che mentre dalle Regioni crescono aneliti di autonomia e di maggiore libertà nelle destinazioni, si registra una tendenza dello Stato a diminuire via via le risorse libere e quindi ad impedire di fatto il ruolo di protagonismo istituzionale, che l'ideale regionalista dei repubblicani ha perseguito da sempre ed ancora oggi ribadisce e conferma. C'è da chiedersi però se questa riduzione della Regione a ufficiale pagatore non sia stata anche favorita dall'incapacità dimostrata da molte Regioni a non fare altro che a succhiare risorse, come ben dice la relazione della maggioranza socialcomunista.
Per controbattere questa tendenza neocentralista dello Stato occorre che le Regioni dimostrino una capacità progettuale ed un'iniziativa di aggregazione sociale ed economica da rendere credibili le loro giuste istanze di affermazione e di esaltazione della loro autonomia ed avere quindi un ruolo effettivo. Se le Regioni non dimostreranno presto tutto questo, il disegno di riforma e di ordinamento istituzionale non soltanto tarderà a perfezionarsi, ma sarà messo in pericolo, come già è messo in pericolo, da chi oggi sta favorendo il rapporto diretto Stato-Comune.
Impostazione questa che va combattuta, che noi repubblicani combattiamo perché siamo fautori di quel rapporto, che vorremmo chiamare orizzontale tra Comuni, Regione e Stato, tutti dignitosamente e paritariamente titolati ad interpretare e risolvere le esigenze della comunità nazionale, regionale e locale.
E' stato detto che il bilancio per oltre il 60% del suo valore riguarda la spesa sanitaria. Questa consistenza obbliga la Regione a tenere sotto controllo la spesa sanitaria fornendo costantemente degli indirizzi sulle spese alle Unità Sanitarie stesse. E' vero che le Unità Sanitarie hanno autonomia, autorità e, ci auguriamo, competenza per la gestione, ma sono ancora degli organismi estremamente giovani. Talune non sono perfezionate sotto il profilo organizzativo con problemi a volte più grandi di loro problemi che, per quanto riguarda Torino, appaiono quasi insormontabili per la concentrazione in una sola Unità di strutture ospedaliere consistenti che in passato erano del Comune, della Regione e degli Enti mutualistici.
In occasione del dibattito sulla sanità l'Assessore Bajardi rispose a questa osservazione che quello era problema di Torino. Noi riteniamo che questo sia un problema che implichi una presa di grande responsabilità della Regione e che talune strutture debbano rimanere alla Sovrintendenza regionale.
Come giustamente viene scritto nella relazione di maggioranza, questo è il momento di utilizzare al massimo tutte le risorse, tutte le idee della comunità regionale in cui occorre chiamare a raccolta tutti, in cui occorre rendere operativi gli strumenti legislativi ed operativi, di cui la Regione si è dotata negli anni scorsi tra i quali certamente i suoi enti strumentali, a proposito dei quali introdurrò alcune considerazioni con cui vorrò segnare questo mio intervento.
Ripetutamente abbiamo ribadito la necessità che la Regione dimostri una capacità di programmazione e di progettazione tale da abilitare e sopportare il nostro inserimento nel piano a medio termine nazionale per utilizzare tutte le risorse che il piano mette a disposizione. In passato abbiamo denunciato l'incapacità progettuale della Regione che ha determinato per esempio un'impossibilità a fruire delle risorse comunitarie perché non aveva i progetti (e notoriamente la BEI finanzia soltanto progetti precisi).
Oggi, proprio per quella necessità di mobilitazione generale nell'obiettivo comune di evitare il collasso e perseguire ancora la via dello sviluppo, in termini meno ottimistici di quelli dell'illustre relatore della maggioranza, noi chiediamo alla Giunta regionale anche una precisa politica rispetto ai suoi enti strumentali per raccordare tutte le possibilità che essi offrono.
Le consultazioni con gli enti strumentali hanno evidenziato che non tutti gli enti hanno compreso che il loro ruolo non è soltanto quello di chiedere soldi alla Regione per esistere e che la Regione ha delle incertezze rispetto alla politica verso di loro. Occorre prontamente che la Regione determini questa politica e definisca anche i livelli dei rapporti tra enti strumentali e organi della Regione.
Riteniamo che su questi aspetti la responsabilità del Consiglio non debba essere minore di quella della Giunta sia nella fase di indirizzo e di definizione dei programmi, sia nella fase di controllo. Così come riteniamo fondamentale che si definisca un momento di raccordo fra i diversi enti attraverso un coordinamento che potrebbe passare attraverso una conferenza periodica dei Presidenti dei diversi enti.
Per quanto riguarda il ruolo del Consiglio, un riferimento costante oltre quello dell'assemblea consiliare, dovrà essere quello della I Commissione, la quale dovrà quanto prima dibattere questi temi, anche per definire alcuni problemi che sono in cantiere legiferare in specifico rispetto due disegni, quello riferito al Centro Cartografico regionale e alla Società STEF. A questo Proposito desideriamo subito evidenziare una nostra motivata prudenza rispetto alle nuove acquisizioni che la Giunta propone. La dimensione del problema del Cartografico non può essere accostata a quello della STEF anche se il principio che deve stare alla base delle due operazioni non può che essere identico.
Se è vero che il nostro Statuto contempla la costituzione di supporti all'attività regionale, è altrettanto vero, per esempio, che per il Cartografico abbiamo messo in piedi una struttura per la quale, se si vorrà andare ad una gestione, rispondente alle possibilità di utilizzo delle sofisticate e straordinarie strumentazioni, oltreché a criteri di economicità e di possibile reddito, siamo costretti a trascendere lo stesso dettato dello Statuto. Fare questa operazione oggi significa essere costretti a dover disporre domani di tante lire che le ristrettezze nelle quali ci stiamo muovendo non lo consentiranno più. Sappiamo bene che un ente strumentale della Regione deve soprattutto attendere alla risoluzione dei problemi socio-economici della comunità anche se non possono essergli negate, anzi, gli vanno garantite, le possibilità di perseguire i criteri di efficienza gestionale, quali si convengono ad un ente per il quale in molti casi si è scelta la formula della società per azioni.
Questo è certamente il caso dell'Istituto Piante da Legno che sta attualmente puntando ad accentuare la sua azione in campi di particolare interesse per lo sviluppo socio-economico del Piemonte.
Per l'IPLA i criteri di gestione messi in atto hanno ovviamente contribuito ai risultati economici positivi del suo primo anno di vita malgrado lo stesso abbia dovuto affrontare notevoli difficoltà iniziali, in parte legate a problemi di carenza di liquidità ed in parte legate a problemi di adattamento dei tecnici dell'Istituto ai nuovi criteri di gestione.
Sono i dirigenti dell'IPLA ad evidenziare l'utilità di una programmazione delle commesse che la Regione intende affidare e ci soprattutto in relazione a programmi di medio e lungo periodo che lo stesso dovrà darsi sugli impianti vivaisti per la fornitura di pianticine per il rimboschimento regionale.
Lo stesso atteggiamento di disponibilità a rapporti costanti e permanenti con l'Amministrazione regionale leggiamo nella relazione Finpiemonte relativamente alla quale occorrerà che la Regione definisca la politica. Risulta che undici sono le società collegate, ma qual è la politica di indirizzo rispetto a questa proliferazione dell'ente principale da parte dell'azionista di maggioranza? Il Consiglio dovrà altresì valutare lo stato di salute e di prospettiva delle altre aziende, quali l'ESAP, la PROMARK, l'IRES.
Non crediamo che sia consentito all'ESAP di perdere i finanziamenti com'è successo nel 1980; perché non è stato in grado di presentare i piani zonali, come non possiamo accettare che la PROMARK pensi di qualificare il suo programma e la sua richiesta di finanziamento attraverso iniziative settoriali e scollegate da un discorso promozionale che tenga conto di una realtà regionale molto complessa.
Occorrerà poi dire alla comunità quanto le sia costata la PROMARK dal momento della sua nascita e quali sono le sue reali prospettive di sviluppo e consolidamento, anche se in questa occasione desideriamo confidare nelle capacità dei membri che rappresentano il Consiglio e che abbiamo appena nominato.
La consultazione dell'IRES, oltre ad avere consentito di richiedere ed ottenere, grazie ad una richiesta del collega Bastianini, un programma di attività, ha evidenziato la necessità di definire la fisionomia giuridica dell'ente stesso e la necessità di inquadramento del personale.
Ci auguriamo che l'aver concentrato la responsabilità delle partecipazioni regionali ad un unico Assessore consenta un recupero di attenzione e di responsabilità verso questo arcipelago che rischia di disperdere le risorse e di portarci in situazioni che potrebbero diventare incontrollabili e presto non più gestibili. Vorremmo cogliere veramente questa occasione importante dell'assemblea che vota il bilancio per richiamare il governo regionale su questi aspetti.
Infatti, se è vero che l'ente pubblico non può avere come riferimento soltanto la validità economica delle iniziative che intraprende, ma deve indirizzare i suoi progetti soprattutto al miglioramento delle condizioni sociali della comunità per la quale lavora, non è meno vero che ogni intervento a questo riguardo non può prescindere da una valutazione rigorosa degli strumenti che va a creare e ad acquisire, che debbono rispondere a criteri di efficacia rispetto agli indirizzi e debbono essere seriamente valutati sia sotto il profilo tecnico che economico, finanziario ed organizzativo.
L'odierno dibattito pone sul tappeto anche il bilancio pluriennale per la Regione Piemonte per gli anni dal 1981 al 1983.
Abbiamo considerato la presentazione del documento pluriennale della Giunta un atto di coraggio oltre che di consapevolezza. Abbiamo avuto l'impressione che da questo momento si tenda a voltare la pagina.
Com'è noto il bilancio pluriennale mobiliterà complessivamente in tre anni risorse pari a 6.761 miliardi ed occorre riconoscere che il documento evidenzia con grande rigore la situazione delle disponibilità future registrandone le contrazioni di spesa in tutti i settori, anche se evidentemente le contrazioni sono più forti nell'ambito delle spese finanziarie con le assegnazioni statali a destinazione vincolata.
Se si considera che le risorse cosiddette libere raggiungeranno i 360 miliardi nel 1982, i 457 miliardi nel 1983 e se si tiene conto che circa il 30% di queste risorse sono destinate alle spese di funzionamento istituzionale, che un'altra consistente parte deve essere impegnata per far fronte a vincoli che la Regione ha già assunto negli anni precedenti risulta che le somme a disposizione della Regione ammontano a circa 68 miliardi nel 1982 e a 162 miliardi nel 1983. Queste cifre dovranno comunque servire a gestire i parchi (circa 3 miliardi) e le spese di esercizio delle aziende di trasporto (38 miliardi).
Di fronte a questa situazione che auspichiamo e pensiamo possa verificarsi, qualora si realizzi il rifinanziamento di alcune leggi statali per l'agricoltura, per l'edilizia, per l'occupazione giovanile, per il piano casa, oltre evidentemente alla nuova legge sulla finanza locale che scade quest'anno, situazione che appare preoccupante per le condizioni di ristrettezze finanziarie che determina, si impone una linea politica rigorosa di governo della spesa sia da una parte della Giunta che da parte dei Consiglio.
Mentre i repubblicani apprezzano l'atteggiamento della Giunta che nel bilancio pluriennale rifiuta la prassi consolidata negli enti pubblici di gonfiare artificiosamente le entrate, essi ribadiscono la loro convinzione che negli anni a venire le pur ristrette disponibilità devono essere indirizzate agli interventi programmati e coordinati , previsti nel secondo piano di sviluppo. Per fare questo noi indichiamo alla Giunta altre tre scelte coraggiose.
La prima riguarda l'assunzione, finalmente, del metodo della programmazione come metodo non più rinviabile e l'unico possibile in questa situazione. Quindi, individuazione di obiettivi prioritari con programmi e progetti finalizzati e con garanzia di fattibilità che per il P.R.I. sono quelli rivolti allo sviluppo delle attività produttive, alle infrastrutture connesse allo sviluppo del terziario, alla formazione professionale.
Proporremmo come metodo per la predisposizione del piano di sviluppo lo stesso metodo instaurato recentemente dal Governo per la predisposizione del piano a medio termine.
La seconda scelta coraggiosa riguarda una revisione degli impegni di spesa che la Regione ha assunto negli ultimi due anni per verificare se l'efficacia e gli effetti di tali impegni giustifichino la loro conferma o non consiglino una loro riconsiderazione. Un'operazione di questo genere può portare sicuramente al recupero di risorse. In questo ambito il P.R.I.
ritiene inoltre urgente: una revisione degli strumenti normativi di procedura della spesa un riassetto organizzativo della macchina regionale con particolare attenzione ai problemi del personale ed all'ansia di recupero di ruolo e di professionalità che dal personale stesso sta salendo. L'organizzazione attuale del personale non sembra garantire questo tipo di istanza e si impone un'organizzazione non gerarchica, ma che definisca e finalmente attribuisca livelli e responsabilità.
Lo strumento della consulenza dovrà essere un'occasione eccezionale e comunque inserito in modo tale da favorire un'informazione ed una crescita allargata delle strutture a cui il consulente deve fare riferimento. La Regione deve favorire nei confronti del suo personale la riproposizione dei valori della competenza e della professionalità contro gli appiattimenti ed i falsi egualitarismi imposti dalla logica dello Stato o della Regione assistenziale.
La terza scelta riguarda un atteggiamento nuovo e più rigoroso della Regione verso una spesa qualificata, attraverso una spesa non soltanto più razionale, ma anche improntata a veri criteri di economicità. La politica di quella che negli anni passati è stata chiamata la spesa allegra pensiamo che non possa più essere accettata, che non possa più essere manifestata anche se oggi purtroppo continua a manifestarsi. Valga per tutte una recente deliberazione della Giunta con la quale si autorizza la spesa di 207 milioni per acquistare un opuscolo diretto ai cacciatori piemontesi.
Questo è un esempio, ma se ne potrebbero fare moltissimi.
Questa è anche un'occasione di autocritica dello stesso modo di lavorare e di procedere in Consiglio regionale. Chiamiamo in causa anche il Consiglio regionale che in futuro dovrà verificare con maggiore impegno la compatibilità dei provvedimenti legislativi rispetto agli indirizzi di piano ed alla disponibilità reale delle risorse del periodo garantendole sempre la copertura finanziaria. Valga per tutte l'esempio della legge sull'assistenza recentemente ritornata.
Credo che non si possa chiudere questo intervento non considerando anche le aspettative di quei cittadini ai quali questo bilancio è diretto quei cittadini che l'Ente Regione vorrebbe più vicino nelle sue scelte nelle sue direzioni, ma con i quali il rapporto è sempre più difficile perché il rifiuto dell'istituzione ormai è un fatto palese come riflusso di una partecipazione tentata ma non soddisfatta. Il rapporto ente-cittadino va oggi ricucito attraverso un'iniezione di fiducia (il Consigliere Viglione parla di antibiotico, io sono un po' contraria agli antibiotici).
Forse è sufficiente un'iniezione di fiducia che crediamo possa rivelarsi veramente terapeutica se si saprà dimostrare al cittadino che i suoi problemi possono essere risolti; in una parola: se il governo regionale saprà dimostrare al cittadino che vuole essere, governato, di saperlo governare e saperlo governare vuoi dire dargli un bilancio corretto trasparente e con degli impegni realizzabili.
Questo obbliga tutte le forze del Consiglio ad un atteggiamento fortemente propositivo ed innovativo verso i problemi della comunità piemontese e verso le sue soluzioni. Questo obbliga un partito, come la D.C., che deriva la sua maggioranza relativa in Consiglio e in Regione dal suffragio di tanti cittadini, a mettere in moto la sua capacità propositiva di stimolo e di controllo commisurata alle sue responsabilità. Questo obbliga tutte le forze ad una presenza e ad un impegno qualificato in questo Consiglio. Questo significa che tutte le forze, grandi o piccole debbono costantemente improntare la loro azione politica non sulla base dei suoi possibili riflessi propagandistici sull'opinione pubblica, ma quale contributo reale all'individuazione, allo studio ed all'elaborazione dei problemi. Questo presuppone però che in questa sede deve esserci un ampio spazio per quella partecipazione che prima di tutti la Giunta deve dimostrare di voler cogliere da quelle forze che in Consiglio rappresentano l'altra metà del Piemonte. Condizione quindi per contributi reali condizioni che non abbiamo riscontrato in quest'occasione, proprio per il modo con cui il bilancio è stato "confezionato". Condizione che comunque la maggioranza dovrà creare se veramente le dichiarazioni di potenziamento dell'assemblea consiliare e di riaffermazione del suo ruolo di indirizzo e di centralità dovranno avere significato e ragione.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare l'Assessore Cerutti in veste di Consigliere. Ne ha facoltà.



CERUTTI Giuseppe

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ho preferito prendere la parola come membro socialdemocratico, perché ritengo che il momento dell'approvazione del bilancio sia anche l'occasione politica più qualificata per un apparto non limitato soltanto ad un settore di competenza ma esteso a tutta la strategia regionale.
Mai come quest'anno riteniamo sia importante l'impegno e la determinazione di tutte le forze politiche ed istituzionali, perché non è solo in discussione un fondamentale atto amministrativo e politico, ma la stessa ragion d'essere dell'istituto regionale. Se ci limitassimo alla pura e semplice disamina dei numeri e delle attribuzioni alle diverse aree di intervento, rischieremmo di recitare il de profundis dell'istituto regionale e di combattere una battaglia di retroguardia attorno a dei miseri resti che, bontà sua, lo Stato intende ancora riservarci. Non è un ruolo che vogliamo accettare, lo rifiutiamo ed invitiamo le altre forze politiche a fare altrettanto perché le maggioranze e le minoranze si alternano nelle nostre Regioni, mentre il filo conduttore è unico, quello di ridurre l'istituto regionale ad un puro e semplice ufficio burocratico decentrato dello Stato, una specie di ufficiale pagatore, senza potere decisionale o di programmazione.
Io mi ero riproposto di fare un intervento di tipo generale e gratifico i colleghi di tutta una montagna di cifre che, peraltro, il collega Testa ha già esposto. Ritengo bastino alcuni dati essenziali per capire cosa significa il bilancio regionale in questo momento e quali sono le prospettive che ci attendono.
Il nostro bilancio ha somme realmente disponibili per 230 miliardi: di questi abbiamo una possibilità di mutui per un impegnò di spesa di circa 50 miliardi, il che significa attivare cifre per 250 miliardi circa.
Guardiamo un attimo il bilancio della città di Torino: oggi come oggi la città di Torino, attraverso mutui con la Cassa Depositi e Prestiti pu realizzare qualcosa come 900 miliardi di spesa; la Regione Piemonte ha una proporzione di 1:4 rispetto ad una città capoluogo di regione che, pur essendo una parte importante del territorio, non è però la Regione Piemonte.
Questo bilancio che più forze politiche hanno voluto citare, non contiene prospettive né di investimento né di programmazione, lo ha scritto a chiare lettere la Giunta nella sua presentazione; tutti quanti si sono resi conto che è un bilancio di transizione - lo abbiamo chiamato bilancio di riflessione - perché contiene tutta una serie di impegni assunti nel 1980 e spostati; ovviamente qualsiasi area di intervento vede praticamente assorbito l'impegno di spesa disponibile per assestare il bilancio e gli impegni del passato. Momento di assestamento, noi riteniamo, assolutamente importante alla vigilia della predisposizione del secondo piano regionale di sviluppo, perché è importante arrivare a quel traguardo senza avere più pesi alle spalle, più remore rispetto alle scelte del passato. Arrivare soprattutto, con una capacità di, investimenti e di spesa non legata e non vincolata ad un ruolo che nel passato, per certi eventi anche eccezionali ha determinato un onere di spesa eccedente alle disponibilità stesse del bilancio. Sarà indubbiamente un banco di prova, collega Vetrino Nicola, non è questo bilancio pluriennale che possa essere tenuto come momento di grossa programmazione o di cambiamento di rotta; il cambiamento di rotta si dovrà verificare essenzialmente nello strumento vero e proprio della programmazione dove le scelte dovranno essere fatte, dove gli strumenti operativi della Regione dovranno essere utilizzati, dove, soprattutto l'approvazione dei piani comprensoriali e l'approvazione di tutta una serie di piani regionali dovrà essere seguita da una concreta attuazione, se non vogliamo che le leggi approvate rimangano lettera morta senza portare nella società un radicale mutamento. Basta esaminare il bilancio pluriennale per renderci conto delle prospettive che ci attendono, anche se si spera in una riattivazione di leggi che sono in scadenza quest'anno e che prevedono finanziamenti particolari nelle varie aree di investimento: La crescente rigidità del bilancio e la sua dipendenza da fondi statali vincolati denunciano chiaramente gli orientamenti centralisti del Parlamento e del Governo che intendono perseguire nel 1982 e per quanto riguarda gli investimenti, già da quest'annuo si troverà rigidamente ancorato a fondi statali, nel settore dei trasporti, come la legge sul fondo nazionale trasporti prevede. Ma, quello che è peggio, è che questa legge, che viene inserita come momento essenziale, ed anche valido sotto certi aspetti prevede come istituzione del fondo nazionale dei trasporti una semplice sommatoria delle spese che le Regioni in passato hanno utilizzato in questo settore. Cosa succederà con l'anno prossimo? Un'ulteriore penalizzazione della Regione Piemonte, nei confronti di altre Regioni che hanno ignorato tutta la tematica dei trasporti.
Noi quest'anno arriveremo a toccare i 43 miliardi circa come spesa di assistenza a tutta la problematica del trasporto, che saranno tolti dal fondo comune e, di conseguenza, saranno altri 40 miliardi in meno di possibilità di investimenti operativi in funzione di mutui che la Regione stessa potrà realizzare. E' vero che questi fondi saranno finalizzati al settore dei trasporti, però li perdiamo come possibilità di intervento e di mutui.
Ci auguriamo - lo ha fatto presente il Presidente nella riunione con i Presidenti regionali, lo abbiamo fatto presente direttamente con i colleghi responsabili del settore dei trasporti - che gli obiettivi che si pone la cioè di arrivare al consolidamento della spesa storica prevista entro i cinque anni, consentano dopo il quinto anno di ritornare in possesso di quelle cifre che per noi sono indispensabili per ottenere una seria programmazione ed una possibilità, seppur minima, di investimento. Qui si sta verificando ancora una volta uno dei fatti più spiacevoli che in Italia una legge dello Stato non definita crea fra le Regioni stesse.
Domani, a Milano, ci sarà un autentico dibattito tra tutte le Regioni per come suddividere il fondo di investimento dei trasporti,. E' stato sufficiente dire che ci sono disponibili 300 miliardi per quanto riguarda l'investimento nel piano autobus, per mettere in condizione tutte le Regioni di fare una guerra all'ultimo sangue per portarsi a casa un miliardo in più, un miliardo in meno, perché non esiste un termine di confronto preciso per cui la suddivisione diventi automatica. Questo è un aspetto negativo, che porta le Regioni, anziché ad essere unite in uno sforzo di contrattazione di tipo governativo, ad una specie di disgregazione nel proprio interno di fronte ad una minima disponibilità di spesa, disponibilità che, oltretutto, per il Piemonte significherà 27 miliardi circa di fondi stanziati (anche se nel bilancio, prudentemente l'Assessore ne ha voluti segnare solo 15 ), che rapportati alle necessità che ci vengono dà tutto il meccanismo dei trasporti ed al piano che il Consiglio regionale si è dato, ci porta a dover verificare una richiesta di 52 miliardi contro una disponibilità, appunto, di circa 27. Anche questo significa una grossa diminuzione di investimenti, una grossa diminuzione di capacità operativa e di occupazione specificatamente nel settore auto.
Voglio cogliere l'occasione per sottolineare il rapporto che abbiamo avuto con i sindacati su questo problema: il ricercare il consolidamento della spesa storica, il dover affrontare con 1'82 il discorso del costo standard dei trasporti, legato ad un indice di rapporto costo-ricavo che il Ministro dei Trasporti assegnerà ad ogni singola Regione, significa anche fare un discorso serio sulla tariffa del trasporto. Non è più pensabile il trasportò pubblico come elemento puramente assistenziale, per cui con 200 lire, attualmente, si percorrono circa 12 chilometri, ignorando i costi e l'incidenza che questo settore presenta.
Questo è un altro anello che va ad inserirsi in tutta una serie di anelli che vedono il nostro bilancio legato e condizionato dalla spesa che lo Stato ci assegna in materia di agricoltura, di assistenza, di sanità, di assetto del territorio, nell'artigianato, nella casa, nell'edilizia scolastica. Questo atteggiamento degli organi centrali non trova giustificazione nel fatto che alcune Regioni non spendono. Hai ragione collega Vetrino Nicola, quando interpreti questo atteggiamento dicendo: "alcune Regioni non sanno amministrare, di conseguenza penalizziamole andiamo alla ricerca di un incontro diretto Comuni-Stato", come se quei Comuni che trovano nel territorio regionale una loro emanazione diretta possano cambiare radicalmente mentalità, condizioni sociali e storiche di lavoro.
Soprattutto vogliamo denunciare, qui, una situazione che si verifica quando si dice che le Regioni non sanno amministrare. Non si può ignorare che leggi fondamentali che interessano direttamente la comunità del Piemonte, riguardanti la grossa viabilità, che hanno iniziato un iter parlamentare nel 1979, oggi come oggi sono ancora alla I Commissione frutto di una contrattazione continua di esponenti politici che per ogni singola zona vogliono il loro pezzetto di autostrada o la loro parte di intervento.
Non è possibile condannare le Regioni di incapacità amministrativa, quando lo Stato dà esempi di incapacità e di condizionamento nelle scelte e nelle approvazioni di leggi fondamentali, come quella che noi come Regione Piemonte andiamo a rivendicare, e che costituiscono, comunque, una parte essenziale del tessuto e dello sviluppo.
Di fronte a questa preoccupante tendenza le Regioni devono trovare l'unità di un confronto serrato con il Governo che non vanifichi la capacità della programmazione e dello sviluppo che intendono operare sul proprio territorio.
L'Assessore alla programmazione ci ha parlato, da questi banchi, in un suo intervento, sulla nuova legge finanziaria: in quel momento ritengo che giocheremo parecchia credibilità, ma tutto questo non è sufficiente. Nelle varie osservazioni che ci sono state fornite durante la consultazione del bilancio ci sono giunti dei segnali importanti che non possono essere disattesi: forze economiche, culturali, imprenditoriali e sociali sono disponibili a dare un serio contributo per lo sviluppo della nostra Regione.
Il Consigliere Viglione nella sua relazione parlava di moltiplicazione della disponibilità finanziaria e questo è uno degli aspetti che costituiscono un grosso risultato economico. Ma noi diciamo che non è tutto, perché in questo momento esiste anche una disponibilità nel credere nelle istituzioni regionali, nell'essere disposti al coinvolgimento in questo processo di crescita economica e sociale, il che significa non essere più soli nel confronto con lo Stato, ma di contare anche sulla parte attiva e vitale del Paese. Certamente la nostra Regione non pu disattendere Questa fiducia che può costituire l'ultima spiaggia.
Ha già accennato l'Assessore Testa nel suo intervento e anche la collega Vetrino Nicola, al fatto che noi dobbiamo saper spendere meglio e senza sprechi, mettere in sesto un apparato più snello e meno burocratico: il discorso in atto con le organizzazioni sindacali per tutta la struttura del personale sarà un atto importante; dovremo modificare le procedure per l'utilizzo immediato di cui alla legge 28 (che stiamo attualmente modificando per eliminare una serie di passaggi burocratici); attivare interventi di spesa con assoluta trasparenza e finalizzati ad, una seria programmazione; ricercare la disponibilità continua di cittadini non soltanto nei momenti di consultazioni d'obbligo, come in questo momento sembra siano soltanto interessati.
Questi sono anche gli impegni che la Giunta aveva anticipato nella relazione al suo bilancio, che si assume all'inizio di questa legislatura.
Fallire in questi interventi potrebbe significare cancellare il ruolo che la Regione deve avere nel nostro Paese, significa riportarla ad una scarsa credibilità effettiva nei confronti dei cittadini.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Signor Presidente, colleghi, ogni anno ci troviamo in questa occasione a dover affrontare il rito dell'approvazione del bilancio regionale ed ogni anno ripetiamo, ormai stancamente, le stesse cose.
La maggioranza di sinistra fa gli elogi del bilancio e di se stessa se possibile, all'insegna del nuovo modo di governare ormai anch'esso un po' vecchiotto. Le opposizioni, la D.C. in particolare, elencano le promesse che la Giunta non ha mantenuto: eliminazione dei residui passivi, priorità per l'agricoltura, riduzione delle spese correnti e superflue. Chiedono il rispetto della programmazione, un miglior funzionamento della macchina regionale, la semplificazione e l'accelerazione delle procedure per rendere tempestiva la spesa delle somme che comunque sono disponibili.
Oggi siamo qui a richiedere e a discutere queste stesse cose, senza purtroppo aver constatato qualche miglioramento e la realizzazione di alcune richieste. Al contrario, si notano peggioramenti della situazione particolarmente per quanto riguarda l'agricoltura e l'efficienza della burocrazia regionale. Segnali di insoddisfazione di tale stato di cose emergono anche dai banchi della maggioranza. La stessa relazione al bilancio fatta dal Capogruppo P.S.I. Viglione, di cui abbiamo apprezzato il taglio nuovo, propositivo e più aperto alla comunità piemontese, lascia comunque trasparire chiare indicazioni in tal senso.
Le mozioni sull'agricoltura proposte dal Gruppo socialista chiedono una precisa svolta nella politica agraria regionale che non mancano anche di criticare quando affermano che "il bilancio regionale non appare del tutto corrispondente a questa emergenza" e per emergenza la mozione si riferiva all'attuazione di programmi ambiziosi.
Purtroppo, è il tipo di Giunta che governa il Piemonte che, secondo noi, non ha la sensibilità e la capacità politica di interpretare i problemi, le esigenze e le spinte che provengono particolarmente dalle categorie dei lavoratori autonomi, nel rispetto delle regole del pluralismo economico e sociale, dell'iniziativa privata che governano la nostra società. L'unico sforzo è fatto nelle dichiarazioni, nelle affermazioni di principio. Ricordiamo le promesse solenni all'inizio della seconda legislatura per dare priorità assoluta e rilanciare la nostra agricoltura.
Non sono però seguiti fatti adeguati a quegli impegni solenni.
Ma veniamo ad alcuni problemi che periodicamente segnaliamo, sperando che repetita iuvant.
Abbiamo chiesto un bilancio di sostanza, non numerico, per verificare che cosa hanno prodotto le spese regionali, a quali risultati hanno portato. Apprezziamo i risultati numerici (che, tra l'altro, vengono forniti sempre all'ultimo momento da costringere chi vuole intervenire a passare in bianco la notte precedente il dibattito).
Abbiamo chiesto una relazione sulle situazioni della cooperazione delle stalle sociali per verificare se le critiche che facciamo corrispondono al vero, se è vero che ci sono iniziative fasulle speculazioni, se mancano dei requisiti. L'Assessore rispondendo genericamente ad un'interrogazione ha promesso che avrebbe fatto seguire dati più precisi ed un dibattito.
Manca la tabella di confronto tra le richieste di finanziamento e le disponibilità. Dobbiamo pensare che le percentuali di copertura, che l'anno scorso non superavano il 50 %, si siano paurosamente ridotte e che la Giunta abbia ritenuto opportuno di non darci questi dati. Non ci stanchiamo di ripetere che si può promettere solo quello che si potrà dare, se non si vuole fare solo della demagogia.
Chiediamo più stanziamenti per il settore primario perché siamo convinti che qualche cosa di più si possa ottenere, risparmiando su spese non produttive, su spese correnti superflue anche nel settore dell'agricoltura.
La programmazione è una bella parola, che non è però rispettata. Tutto sommato ci pare che si proceda alla buona senza verificare se le iniziative che vengono finanziate corrispondono veramente alla programmazione che è stata impostata.
Manca un rendiconto finale delle leggi 45 e 51 che hanno funzionato dal '75 fino ad oggi.
Le critiche più pesanti le abbiamo rivolte agli uffici dell'Agricoltura. Abbiamo spesso segnalato, dati alla mano, che non funzionano, che anche i fondi a disposizione non vengono spesi, che i ritardi sono enormi, infatti, vengono evase in questi tempi le domande presentate nel 1977. Oggi abbiamo una clamorosa conferma di tutto questo dalla denuncia pubblica dei sindacati da cui emerge purtroppo che non soltanto l'agricoltura, ma tutti gli uffici della Regione, non funzionano: dipendenti che non fanno niente e dipendenti sovraccarichi di lavoro; non per colpa loro, ovviamente, ma per colpa della Giunta che non dà al personale le indispensabili direttive organizzative. Capisco che dopo le rovinose leggi sul personale approvate dalla passata Giunta, di cui a suo tempo avevo sottolineato carenze ed errori, tutto ciò sia difficile, ma più si aspetta e più la situazione si aggrava e sarà difficile rimediare.
Bisogna avere il coraggio di capovolgere i cosiddetti principi rivoluzionari o progressisti che hanno rovinato l'economia italiana e che oggi sono oggetto di revisione e di autocritica da parte dei sindacati e delle forze economiche, occorre eliminare l'appiattimento dei livelli aumentandone il numero, migliorare le retribuzioni dei gradi più elevati per dare un incentivo alla carriera, premiare la professionalità facilitare la mobilità, ridurre i contingenti dei gradi più elevati eliminare le costose e umilianti consulenze di esperti fasulli, uniformare le retribuzioni tra Regione ed Enti ad essa dipendenti che creano molto malumore. Anche l'orario adottato, secondo me demagogicamente dalla precedente Giunta, contribuisce a rendere inefficiente la macchina regionale: negli uffici non si trova mai nessuno: ci lamentiamo noi Consiglieri regionali, immaginiamo che cosa,può dire il semplice cittadino che deve rivolgersi ad un ufficio della Regione! Inoltre il personale deve essere istruito, selezionato e preparato prima di essere assegnato ad un servizio operativo.
Solo attraverso questi atti di svolta coraggiosa sarà possibile migliorare l'efficienza degli uffici e fare in modo che rispondano a quelle aspettative che erano in chi ha creduto nell'istituto regionale. Credo che abbiano avuto ragione coloro che dicevano che le Regioni sarebbero diventate dei costosi carrozzoni.
L'Assessore dice che un Ispettorato ha finanziato il 50 % delle domande, un altro il 23%, un altro 1'88%, un altro il 40% e noi ci domandiamo i motivi di queste differenze di operatività. Perché l'Assessore non propone rimedi? Che cos'è che non funziona? A che cosa servono le statistiche? Al di là dei 30 miliardi prima, diventati 68 poi, mancati l'anno scorso al .bilancio di cassa dell'agricoltura per errori di previsione o per qualche altro motivo, la situazione dei pagamenti non ci risulta migliorata; qualcuno la definisce uno sfacelo: Su questo fondamentale problema abbiamo presentato una mozione invitando la Giunta ad effettuare indagini ed accertamenti e a riferire al Consiglio.
In ultimo farò alcune osservazioni sugli impegni finanziari per l'agricoltura. Le polemiche sono già scoppiate nella consultazione sul bilancio per la riduzione da 230 a 196 miliardi con un calo del 15 mentre il bilancio globale è aumentato del 20%. Il calo reale è del 35 pari ad 1/3 circa rispetto al 1980.
La Giunta regionale addossa la colpa allo Stato che ha ridotto le assegnazioni dei fondi. Questo può anche essere vero in parte, ma noi non possiamo accettare questa motivazione perché l'agricoltura è di competenza della Regione che deve procurare i finanziamenti. Le leggi statali 403 e 984 (Quadrifoglio) erano aggiuntive e non sostitutive dei fondi regionali.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Sarebbe utile che facesse uno sforzo per indicare quali capitoli si devono ridurre.



CHIABRANDO Mauro

Possiamo citare 800 milioni per un'iniziativa, un miliardo e mezzo per la Mostra del Regno Sardo, 800 milioni per stampare qualche libro, 103 milioni per un convegno ad Alessandria. Sono spese produttive queste? Senza contare i miliardi che si spendono per recuperare castelli, vecchi palazzi.
Nessuno si è permesso di dire "no" a quelle spese, però non dico quello che la gente pensa.
D'altronde tutte le tabelle e i confronti presentati dall'Assessore denunciano un calo chiaro ed effettivo: in una colonna leggiamo un calo dall'11,1% al 7,9%, in un'altra dal 26% al 19%, e dal 22,5% al 20,5% in un'altra. Se poi ci riferiamo ai 126 miliardi, risorse operative fresche dichiarate nella tabella 1, i contributi in conto capitale su questi 126 miliardi calano da 90 a 57%; quelli in conto interesse, molto importanti perché moltiplicatori, calano da 5,9 a 3,1 miliardi.
Le spese correnti invece aumentano da 29 a 32 miliardi.
Anche tutti i rapporti della tabella 2 sono in diminuzione.
Sul campanile di Coazze c'è scritto: "Ognuno a modo suo". Io le statistiche le faccio a modo mio, anche se non piacciono all'Assessore.
Dal 1974 ad oggi ho sempre usato lo stesso parametro e il confronto resta sempre valido e veniamo a scoprire che nel 1974 erano 37 miliardi, 42 nel 1975, 41 nel 1977, 45 nel 1978, 63 nel 1979, 108 nel 1980 e 90 quest'anno con queste percentuali: 22, 15, 12, 13, 10, 9, 12 (nel 1980) e 9 quest'anno. Ma le cifre che contano sono il valore reale di queste somme perché non possiamo paragonare il miliardo del 1981 con il miliardo degli anni 1974-1975-1976.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Notoriamente è colpa della Regione!



CHIABRANDO Mauro

Non è colpa della Regione. Fatto il raffronto fra le somme stanziate a bilancio e il valore della lira, rapportando a 100 l'investimento nel '74 questo investimento è diventato 72 nel '75, 54 nel '76, 42 nel '77, 40 nel '78, 42 nel '79, 45 nell'80 e 15 nell'81. C'è stato un calo nei mutui, nei contributi in conto interesse.
L'anno scorso la Regione aveva 6 miliardi e mezzo in contò interesse quest'anno ha 3 miliardi. La prova è data dal fatto che in passato con i piani verdi e con la Regione prima maniera le domande erano sempre tutte finanziate. Oggi non conosciamo lo stato di copertura e la capacità di far fronte alle richieste.
In conclusione, non è corretto centrare tutti i discorsi sulla politica di governo, oppure sulla politica della CEE, Il Governo ha fatto la sua parte con le leggi 403 e 984 quindi non si può dire che sia inadempiente anche perché l'agricoltura non è di sua competenza.
Né possiamo accettare che si riporti il discorso sulla politica comunitaria e si sorvoli sulle cose gravi di casa nostra. Dobbiamo, prima di tutto, guardare in casa nostra, far funzionare i nostri uffici, spendere bene e subito quei pochi soldi che abbiamo. Noi possiamo suggerire insistere, consigliare, ma è la Giunta che ha il coltello per il manico.
Sappia manovrarlo adeguatamente.
Il nostro Gruppo non è soddisfatto di questo bilancio regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Colleghi Consiglieri, noi dichiariamo subito che il nostro intervento non sarà così lungo e, soprattutto, così analitico come quelli precedenti.
La consistenza o la non consistenza del nostro Gruppo ci impone di limitarci a considerazioni di carattere generale, senza poter scendere nel dettaglio del bilancio stesso. Com'è stato ricordato da altri, il bilancio di previsione 1981 è il primo della terza legislatura regionale: era dunque, logico attendersi la presentazione di un documento che accogliesse e riflettesse - in termini di impostazione e di scelte programmatiche puntuali, concrete, organiche - tutto l'impegno costruttivo della maggioranza di governo, all'inizio di questo nuovo ed importante ciclo di vita e di attività della nostra Regione. Ma, se tali erano le attese - non nostre soltanto ma, crediamo, dell'intera comunità piemontese - ci pare che esse siano andate deluse in gran parte, per il fatto che questo bilancio in realtà non è, come ci proponiamo di dimostrare, né puntuale, né concreto né organico, non capace, cioè, di incidere positivamente sullo sviluppo economico del Piemonte.
Anzitutto, un rilievo d'apertura: nella grande massa di documentazione che ci è stata consegnata, abbiamo invano cercato di rintracciare una sia pur breve relazione politica; non siamo riusciti a trovarla, né possiamo accettare in sostituzione la "premessa" dell'Assessore al bilancio che nelle undici pagine introduttive alla parte tecnica, sviluppa tutta una serie di considerazioni che sono sì anche interessanti dal punto di vista politico, ma che assolutamente non possono configurarsi come una vera e propria relazione politica. Questa lacuna è, a nostro giudizio inaccettabile, perché il bilancio di previsione non è solo un atto contabile, da esaminare e da valutare con mentalità ragionieristica, ma è soprattutto un fondamentale momento politico e, come tale, va vissuto ed interpretato, quindi in chiave politica. Un documento, quindi, che esprimesse la linea della maggioranza, i suoi propositi, i suoi intendimenti, le sue volontà, era quanto ci doveva essere presentato e il non averlo fatto - anzi, secondo noi, l'avere volutamente evitato di farlo ci conferma nella convinzione che ci troviamo di fronte ad una maggioranza che è tale sì, per quantità numerica, ma non certo per omogeneità di intenzioni, come del resto evidenziato ancora, oltrechè nel voto finale, nel recente, dibattito sui, problemi dell'energia, dove si sono viste emergere, all'interno della coalizione di governo e sul tema del nucleare, posizioni contrastanti ed inconciliabili, quali quelle del P.D.U.P., da una parte, e del P.S.D.I. dall'altra. In assenza, dunque, di una relazione politica cui poterci ancorare e richiamare, noi, che ragionieri non siamo e, tanto meno, esperti di contabilità, non commetteremo il peccato di presunzione di voler analiticamente esaminare il bilancio, ma ci atterremo ad un esame generale e di più ampio respiro che attraverso poche considerazioni di fondo, valga a motivare il nostro giudizio critico.
Denunciamo, in primo luogo, la non puntualità di questo bilancio, che ha comportato il ricorso all'esercizio provvisorio e, quindi, alla presentazione del preventivo a metà marzo. Si pensa di giustificare questo ritardo con la mancata tempestiva conoscenza degli stanziamenti di derivazione statale e, soprattutto, con le notevoli incertezze sui provvedimenti governativi a favore delle popolazioni terremotate: ma sono secondo noi, scuse che non reggono. In realtà, le risorse statali disponibili, cioè la quota dei tributi data dallo, Stato alle Regioni erano in larga misura già conosciute da tempo e, quanto al sisma verificatosi nel Mezzogiorno d'Italia, sarà appena il caso di ricordare che esso è avvenuto alla data del 23 novembre, allorquando il bilancio di previsione 1981 avrebbe dovuto, secondo la legge, essere già impostato almeno nelle sue linee essenziali.
Denunciamo, in secondo luogo, la non concretezza di questo bilancio che, per esplicita ammissione, rappresenta una pausa di ordinaria amministrazione, nell'attesa che sia varato il nuovo piano regionale di sviluppo. L'Assessore Cerutti, parlando poco fa, non ha esitato a definire il bilancio un momento di transizione. Quando, però, questo piano di sviluppo sarà pronto non è ancora dato di sapere. Da parte nostra, non possiamo non osservare che si è quasi consumato per intero il primo anno della terza legislatura e non lamentare, quindi, che la revisione e l'aggiornamento del primo piano di sviluppo siano stati fatti slittare nel tempo. Noi chiediamo che cosa si attenda per porre mano finalmente a queste operazioni, che per avere un senso debbono essere compiute subito, e dovevano non introdurre una pausa di attività, tanto più che questa Giunta si presenta come la continuazione della Giunta precedente.
Denunciamo, in terzo luogo, la non organicità di questo bilancio, che è privo di elementi di continuità tra il piano di sviluppo '77-'80 ed il futuro piano. Viene così a spezzarsi quel processo di continuità della programmazione tra proposte e consuntivi, processo capace di consentire non solo la verifica di risultati raggiunti, ma anche la compatibilità degli obiettivi indicati, rispetto ai mutamenti intervenuti nella situazione regionale. D'altra parte, lo dicevamo già prima parlando di continuità sotto questo aspetto noi chiediamo alla maggioranza di indicarci in concreto un solo atto qualificante che sia stato compiuto dal luglio 1980 ad oggi.
Ecco, questi sono i tre rilievi di fondo che noi riteniamo di dover muovere al bilancio preventivo 1981, di cui è nota caratteristica fondamentale, più ancora che negli esercizi finanziari precedenti l'estrema rigidità di impostazione. La finanza regionale va assumendo da tempo e sempre più il carattere di finanza derivata e di trasferimento.
Accentuano questo fenomeno le risorse a destinazione vincolata, nonché lo specifico indirizzo che devono seguire alcune risorse pur libere da vincolo. Tutto questo porta, fatalmente, a concludere che i mezzi a disposizione della Regione, per essere indirizzati in modo autonomo al raggiungimento di ben precisi obiettivi, si riducono ad una quota alquanto misera.
Noi possiamo essere anche d'accordo con larga parte dei rilievi critici che muove l'Assessore Testa nella sua relazione: possiamo, cioè, ammettere che la rigidità del bilancio sia da imputarsi non tanto alla Regione quanto, piuttosto, allo Stato, colpevole, se così si vuole dire, di non aver ancora provveduto - ed è prossima la scadenza della legge finanziaria 356 - ad una seria riforma della finanza locale. Però, noi qui siamo in una posizione di vantaggio rispetto ai colleghi di partiti che in sede governativa fanno parte della maggioranza, perché anche se rivolta ad un altro livello, rimane pur sempre valida la nostra critica verso un sistema politico che, dopo aver istituito le Regioni - ed averlo fatto, a nostro avviso, inopportunamente o, quanto meno, secondo criteri inopportuni - oggi come oggi non si preoccupa di farle funzionare bene; anzi, dà quasi l'impressione di volerle soffocare. Resta, comunque, il fatto - dichiarato che il quadro delle entrate regionali non può, che essere pessimistico.
Ed è lo stesso, relatore di maggioranza, collega Viglione, ad aver ieri annotato nella sua relazione che "la situazione non è tranquillante, il futuro pieno di incognite, la programmazione, quindi, problematica" concludendo, infine, che "non resta molto, per il vero, per una politica degli investimenti: meno di 400 miliardi, i quali non possono nell'anno 1981 creare una base seria di intervento economico".
Tanto più, aggiungiamo noi, che è stata autorizzata la contrazione di mutui a pareggio del bilancio per l'ammontare massimo consentito. Se questo fosse realmente applicato ne conseguirebbe che anche i bilanci degli anni prossimi si dovrebbero forzatamente rassegnare ad una maggiore rigidità.
E' comunque - e questo ci pare il nodo di fondo - sul modo di impegnare, per lo sviluppo del Piemonte, le minime risorse disponibili (meno di 400 miliardi, diceva Viglione, su un complesso di 2.720 miliardi) che sarà misurata la forza di questa maggioranza, delle cui capacità operative, peraltro - lo dobbiamo pur dire - abbiamo avuto finora prove scarsamente positive.
Venendo rapidamente ad esaminare le spese preventivate per le diverse aree, dobbiamo prospettare alcune brevi osservazioni, molte già anticipate in interventi precedenti, ricchi di contenuto ed interessanti per diversi aspetti.
Per quanto concerne l'area di attività "organizzazione istituzionale e decentramento", vogliamo far osservare che l'affermato "lievissimo incremento" della spesa per funzionamento, in realtà, ha ben diverso spessore, dato che, rispetto all'esercizio precedente, fa registrare un aumento di oltre il 45%. Dobbiamo invece rilevare positivamente che si è ridotto lo stanziamento previsto per consulenze, le quali avevano raggiunto, in passato, vertici scandalosi; e dobbiamo pur sottolineare positivamente gli stanziamenti per la formazione del personale regionale in modo tale che sia valorizzato appieno e possa far diventare sempre più modernamente efficientistica la macchina regionale.
Quanto all'area d'intervento n. 1, l'agricoltura, siamo un po' perplessi a fare affermazioni precise, in quanto siamo al corrente delle denunce, a nostro avviso documentate, presentate da organismi come la Coltivatori Diretti e riportate in quest'aula dal Consigliere Chiabrando che ci ha poco fa preceduto; ma abbiamo anche ascoltato le dichiarazioni dell'Assessore Testa, secondo il quale la diminuzione degli stanziamenti nel settore agricolo è più apparente che reale. In effetti, dobbiamo dire che non abbiamo ben comprese le motivazioni date dalla Giunta regionale. A nostro avviso, rimane sempre il fatto che l'agricoltura, soprattutto in quanto settore primario, è sottoconsiderata dalla Regione e non ci pare che vi sia la volontà politica di metterla al centro del nostro processo produttivo, così come andrebbe fatto per un settore cardine per un'auspicata ripresa dell'intero processo economico piemontese.
Nell'area di intervento n. 2 (attività secondarie e terziarie) annotiamo che sono penalizzati, con un minore investimento di circa l'8 il commercio, pur considerato un settore da privilegiare sia nella razionalizzazione dei punti di vendita che nel mantenimento dei livelli occupazionali; e, insieme, l'artigianato, gli stanziamenti a favore del quale risultano essere notevolmente diminuiti. Così come ridotti sono, a nostro avviso, i fondi per il programma di sviluppo del turismo che presentano, rispetto al 1,980, una diminuzione di finanziamenti pari ad oltre il l9%.
L'area di intervento n. 3 (gestione ed assetto del territorio) prevede dedotte le assegnazioni vincolate - un residuo di disponibilità di poco più di 50 miliardi, che la Regione può impegnare senza vincolo di destinazione, per dare corso agli interventi nel 1981; in quest'area risulta estremamente evidente la rigidità del bilancio e la ferrea predeterminazione della spesa.
L'area di intervento n. 4 (servizi sociali e sanitari) presenta una disponibilità di circa 1.500 miliardi ma, com'è noto, si tratta di fondi che la Regione, esattamente come un qualunque ufficiale pagatore, è stato detto, è tenuta solo a trasferire dopo averli ricevuti dallo Stato per la spesa sanitaria.
Quanto ai servizi socio-assistenziali, è già stato fatto presente da altri colleghi (e noi condividiamo l'osservazione) che, essendo il 1981 l'anno dedicato all'handicappato, risultano del tutto insufficienti gli stanziamenti posti a bilancio.
Infine, nell'area di intervento n. 5 (formazione e cultura) riscontriamo la scarsità delle risorse destinate all'istruzione professionale. In questo campo occorre alfine abbandonare la concezione in parte assistenziale della formazione professionale, per agevolare iniziative che effettivamente puntino, in modo concreto e determinante, a dare risposta alla domanda di lavoro qualificato.
Resta, da ultimo, l'annosa e ricorrente questione dei residui passivi ammontanti alla ragguardevole somma di oltre 500 miliardi, calcolando come ci sembra giusto e corretto fare, e come invece non fa l'Assessore le vecchie assegnazioni statali reimpostate, le somme già impegnate negli anni precedenti e trasferite alla competenza del nuovo esercizio, i residui perenti agli effetti amministrativi. In proposito, vogliamo solo dire che il problema deve essere finalmente risolto, non però con artifizi contabili, come pure si è tentato di fare, ma, piuttosto, attraverso una puntuale revisione della legislazione di spesa, onde accelerarne i tempi e sveltirne le procedure che, spesso, oggi sono ancora rallentate da meccanismi vincolistici troppo complessi.
Dovremmo, a questo punto, dire qualcosa anche sul bilancio triennale 1981-1983 ma, francamente, ci sembrerebbe di assolvere ad un inutile rituale, stante il carattere di provvisorietà, ammesso anche dall'Assessore Simonelli, di ogni previsione, per il mancato rifinanziamento di leggi statali di settore e di nuovi provvedimenti legislativi di spesa, nonch per la mancata predisposizione delle nuove sulla finanza regionale. E' quindi, quello presentatoci, un bilancio puramente indicativo, del tutto insufficiente a dare credibilità a qualsiasi ipotesi seria di programmazione pluriennale della spesa. Ed è, comunque, un dato preoccupante quello che indica una diminuzione delle disponibilità di bilancio per gli anni '82-'83. Ciò ci conferma nell'opinione che i tempi delle "vacche grasse" siano ormai finiti anche per le Regioni le quali dopo un'esperienza decennale che non possiamo considerare positiva, e che oggi come oggi non siamo più soltanto noi a considerare in modo negativo e ci richiamiamo qui a quanto ha detto poco fa il collega Chiabrando che pure, come appartenente ad un partito di maggioranza governativa, ha la responsabilità di questa riforma, mentre noi non l'abbiamo - si trovano da ora in poi nell'assoluta necessità, esattamente come avvertito in molti altri settori dell'economia nazionale, di qualificare la spesa e di recuperare in produttività. Vedremo se le Regioni - "ultima spiaggia", come già furono definite un tempo, del modo nuovo di fare politica all'interno del sistema - sapranno essere all'altezza dei nuovi e duri compiti che le attendono. Ma non abbiamo incertezze, né preoccupazioni, nel dichiarare sin da ora la nostra diffidenza ed il nostro scetticismo.
Diffidenza e scetticismo sulla loro capacità di ripresa, sulla loro volontà di effettivo rinnovamento, che nascono anche, per ciò che riguarda la Regione Piemonte, dalla valutazione fortemente critica cui ci hanno obbligato i bilanci annuale e pluriennale sottoposti al nostro esame e che motivano e giustificano il voto decisamente negativo che il Movimento Sociale Italiano andrà a dare sui due documenti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Valeri.



VALERI Gilberto

Credo che tutti si possa convenire sul fatto che il bilancio - al di là dei diversi giudizi di merito .espressi nel dibattito - fornisce l'immagine del momento critico che la riforma regionalista sta attraversando. Appare sempre più evidente che al finanziamento corretto della vita e dell'attività delle Regioni è connesso il futuro che le Regioni stesse avranno nel Prossimo avvenire e il ruolo cui potranno assolvere.
E' già stato richiamato il, contenzioso aperto a tale riguardo nei confronti del Governo e del Parlamento per quanto riguarda la legge finanziaria regionale in scadenza, la riforma delle autonomie locali, la partecipazione delle Regioni alla programmazione nazionale, il rispetto del principio di una legislazione nazionale quadro, non invadente la sfera propria della legislazione regionale. Si tratta di altrettanti banchi di prova, alcuni dei quali molto ravvicinati, che consentiranno di verificare la volontà effettiva delle varie forze politiche e del Governo di portare a fondo la riforma regionalista dello Stato. E' tuttavia evidente che l'esito di questo confronto sarà condizionato anche dalla capacità nostra e dell'insieme delle Regioni di dare piena consequenzialità ai caratteri innovativi delle trasformazioni avviate nelle precedenti legislature. Sarà condizionato in sostanza dalla capacità di alzare il tiro della nostra iniziativa politica, legislativa ed amministrativa, al fine di rendere sempre più rispondenti le istituzioni ai bisogni di qualificazione e trasformazione della società regionale, al metodo della programmazione alla necessità di arricchire ulteriormente il rapporto tra istituzioni e società e tra le istituzioni tra di loro. Tutto ciò è tanto più indispensabile nel momento in cui si mostra priva di fondamento la supposizione di una governabilità intesa come galleggiamento nell'illusoria speranza che la società, attraverso le sue componenti più o meno sommerse, sia capace di superare spontaneamente la crisi che la travaglia. Come pure direi che quanto richiamato è decisivo anche per sconfiggere la pretesa di chi solo formalmente accusa di eccessiva invadenza la presenza pubblica non proponendosi di superare lo Stato assistenziale, ma unicamente di mutare il segno di classe del suo intervento.
La contraddizione tra crisi che investe le istituzioni e l'esigenza di riaffermarne il ruolo essenziale nel governo dell'economia e della società è soltanto apparente. In realtà non esistono alternative di fuoriuscita dalla crisi che possano basarsi su di una diminuzione del ruolo delle istituzioni. Semmai da ridimensionare è l'occupazione del pubblico da parte di partiti di governo e tutto ciò che, a partire dalla questione morale induce processi degenerativi nelle istituzioni. Sul terreno più operativo il nodo vero è rappresentato - noi riteniamo - dalla capacità o meno di attestare l'impegno delle istituzioni in ordine ai nodi fondamentali dello sviluppo economico e sociale con il massimo di coerenza, efficienza e capacità politico-operativa.
Nella precedente legislatura la Regione Piemonte ha realizzato consistenti sforzi in tale direzione. Nessuno credo possa negare che, a fronte dei processi degenerativi e di disgregazione sociale cui prima accennavo, l'iniziativa della Regione abbia avviato importanti momenti innovativi in materia di programmazione quali ad esempio: la creazione di rapporti più organici con gli Enti locali e con le forte economiche e sociali, dimostrando anche in molti casi come sia possibile coniugare democrazia ed efficienza; l'elaborazione e l'adozione di nuove metodologie di coordinamento e di governo per l'insieme dei soggetti pubblici l'adozione di significative iniziative di merito sui principali problemi del Piemonte. Questa ricca esperienza crediamo possa e debba ulteriormente essere sviluppata ed affinata, cercando di dare risposte adeguate a due interrogativi di fondo. Il primo riguarda, crediamo, la programmazione e le misure che si impongono per elevarne il grado di progettualità e per renderla metodo diffuso di governo delle risorse regionali e dell'insieme delle risorse pubbliche agenti sul territorio regionale. A questo riguardo importanti appuntamenti saranno certamente la formazione del secondo piano socio-economico regionale, cui potrà affiancarsi un organico bilancio pluriennale che copra l'intero arco di validità del piano, auspicabilmente fondato sia una maggiore certezza di risorse disponibili, come pure su di un maggiore impegno nella sua elaborazione. Ma saranno appuntamenti importanti a questo riguardo anche la formazione del piano territoriale regionale e l'ultimazione dei piani socio-economici e territoriali di Comprensorio. Quest'ultima dei piani comprensoriali si presenta peraltro come la scadenza più urgente e su di essa richiamiamo l'attenzione della Giunta affinché, ultimata la fase del bilancio, possa avere seguito e concludersi rapidamente la presentazione degli schemi di piano da parte della Giunta in I e II Commissione e poi in Consiglio. Tuttavia sin da ora i primi schemi di piano riteniamo possano costituire un fondamentale punto di riferimento per la spesa regionale e per la formazione di programmi settoriali ed intersettoriali regionali. Abbiamo in proposito presentato un apposito ordine del giorno, ritenendo che le esperienze compiute in alcuni settori nel corso della precedente legislatura, in ordine alla formazione dei programmi di spesa, coinvolgendo i Comuni attraverso i Comprensori vada non soltanto mantenuta, ma affinata e generalizzata all'insieme dei principali capitoli di intervento di tutti gli Assessorati regionali. Tale procedura potrà altresì essere maggiormente qualificata se si sarà in grado di proiettarla, com'è possibile, verso la costruzione di progetti integrati di intervento, che vedano la partecipazione e il coordinamento della spesa regionale con quella delle Province e dei principali Comuni della Regione.
Vi sono al riguardo - e tralascio per brevità di citarle - alcune prime ma significative esperienze in alcune aree del Piemonte, che evidenziano come l'intervento regionale abbia consentito di mettere in moto interventi coordinati con gli Enti locali ed anche con forze economiche private, com'è il caso delle aree industriali attrezzate. Questo modo di procedere coinvolge appunto anche altri soggetti, facendo assumere cioè alla spesa regionale un ruolo di orientamento e di promozione di masse di investimento anche private, agendo come moltiplicatore di interventi finalizzati al conseguimento degli obiettivi di piano.
Peraltro l'ancorare la formazione dei programmi settoriali di spesa alla partecipazione diretta dei Comuni e delle Province presuppone non un affievolimento, bensì un rafforzamento ed una esaltazione del ruolo di indirizzo e di programmazione della Regione, per cui ci appare opportuno che gli indirizzi generali dei programmi settoriali di spesa, annuali e poliennali, siano oggetto di esame e di dibattito in Consiglio, così come l'importanza di tali arti richiede. D'altra parte definire indirizzi, di spesa coerenti con gli obiettivi di programmazione ed in presenza di risorse limitate ed insufficienti, presuppone anche un affinamento sia dei criteri di scelta della parte di risorse che di quei programmi dovrà andare a finanziare la realizzazione di opere, pur diffuse sul territorio, ma di interesse regionale, sia all'individuazione di parametri non meccanici di allocazione territoriale delle risorse, in un quadro di procedure integrate, sia di spesa che di iter realizzativo, tra Regioni ed Enti locali. Mi riferisco al fatto che, come l'esperienza ci ha insegnato, non è sufficiente promulgare una legge o stanziare dei fondi perché l'obiettivo si realizzi. Il criterio dell'attivazione passiva, cioè dell'attesa che i soggetti destinatari si attivino nei tempi e nei modi indicati ha mostrato tutti i suoi limiti; limiti che in vari casi sono rappresentati oltre che da sfasature temporali, anche da inefficienza di spesa e da divari a volte sensibili nel rapporto tra investimento sostenuto e quantità di bisogno soddisfatto. Ci pare, quindi, importante ed urgente l'individuazione, per i diversi settori di intervento e per il settore dei lavori pubblici in modo particolare, di procedure integrate di spesa tra la Regione e soggetti attuatori che consentano, introducendo appositi indicatori, un maggior controllo temporale dell'efficienza e dell'efficacia della stessa, in rapporto ai bisogni da soddisfare e alle priorità cui la Regione intende corrispondere. In questo contesto appare altresì non più rinviabile il problema di raccordare organicamente taluni meccanismi di programmazione della spesa quali i piani pluriennali di attuazione e l'insieme dei programmi di spesa regionale. Ciò al fine di evitare una sorta di determinismo della spesa che ne impedisca un governo complessivo e programmato, ma per evitare anche l'effetto opposto, cioè di un appannamento dell'efficacia di questi strumenti di raccordo tra intervento regionale ed intervento locale.
Il secondo interrogativo che crediamo ci si debba porre concerne le scelte occorrenti per affermare più compiutamente il ruolo della Regione quale ente di programmazione, di legislazione e di alta amministrazione rendendoci cioè chiaro che cosa l'assunzione di ciò comporta. In materia di legislazione mi limito ad una sola considerazione che ha però diretta attinenza con la politica di bilancio. L'invadenza della legislazione nazionale e l'impossibilità di trasferire risorse da un capitolo all'altro dello stesso comparto, ha per molti versi indotto una legislazione regionale per interstizi, frammentaria ed a volte di solo marginale supporto finanziario all'assolvimento di competenze ad altri affidate. Pare evidente allora la necessità di compiere un'attenta riflessione sull'intensa attività legislativa delle due precedenti legislature, sia per riconsiderarne talune parti, in termini di ricomposizione organica per materie e di coerenza ed essenzialità delle normative e delle procedure come pure per verificare la validità o meno di taluni impegni finanziari aventi carattere di marginalità, che vincolano ed appesantiscono il bilancio e il cui ripensamento può consentire una più alta qualificazione dell'intervento regionale.
In tema di programmazione invece l'aspetto più significativo è certamente connesso ad una più opportuna definizione dell'ambito decisionale proprio della programmazione regionale. Altri aspetti altrettanto importanti concernono il concorso alla definizione ed al recepimento delle scelte di scala nazionale; il raccordo con altre Regioni sui temi di comune interesse e l'eventuale attivazione di strumenti operativi comuni; la definizione delle scelte di livello regionale ed il quadro programmatico di riferimento, di indirizzi e di vincolo per la programmazione sub-regionale; il Coordinamento, dei piani a scala sub regionale; la formazione di programmi, progetti e procedure integrate d'intervento di cui ho già detto. Da tutto ciò deriva non solo la necessità di limitare le funzioni di amministrazione attiva alle sole scelte di scala regionale è di grande scala sub-regionale, ma soprattutto la capacità di sostituire all'attività amministrativa un ben maggiore spessore dell'elaborazione e gestione della programmazione. La natura di ente di governo che la Regione deve avere sempre più la capacità di assumere comporta dunque in primo luogo che si dia piena attuazione alla disposizione costituzionale e statutaria secondo la quale la Regione deve esercitare normalmente le proprie funzioni delegandole agli Enti locali singoli od associati. Solo eccezionalmente e per motivate ragioni dovrebbe accadere il contrario. Si ripropone in sostanza la necessità di misure adeguate di riordino istituzionale che, in carenza della legge nazionale di riforma, vedano la Regione impegnata ad affrontare per, intanto il riordino nell'ambito delle proprie competenze, promovendo analogo impegno da parte dei Comuni è delle Province piemontesi; ciò anche nella consapevolezza crediamo, che i gravi ed importanti problemi che la società regionale si trova a dover affrontare richiedono la costruzione di un sistema istituzionale, in cui i diversi livelli di autonomia siano collegati da comuni azioni programmatiche.
Il nodo principale rispetto al quale misurarsi concretamente per avviare una nuova tappa del processo di riordino istituzionale avviato nella precedente legislatura riguarda il completamento del processo di delega e di attribuzione di funzioni ai Comuni e alle Province, queste ultime nelle procedure e negli atti di programmazione, al fine di promuovere un processo di trasformazione delle Province nella prospettiva di una loro identificazione quale ente intermedio. Non vi è dubbio, per quanto ci riguarda, sull'urgenza e sull'ampiezza che deve avere questo necessario riordino istituzionale. Per darne un termine di misura diciamo che il suo punto di approdo non potrà non coincidere con modifiche profonde della stessa attuale struttura regionale, della sua organizzazione burocratica ed operativa, nel senso che, se il riferimento è costituito dai caratteri e dai ruoli della Regione disegnati dalla Costituzione e dallo Statuto, occorre cominciare a pensare al superamento degli apparati periferici regionali e ad una consistente riduzione degli apparati amministrativi anche centrali della Regione, da realizzarsi mediante trasferimento agli enti che verranno delegati, da accompagnarlo per converso con significative misure di potenziamento qualitativo e funzionale delle strutture necessarie a garantire una più elevata capacità tecnico operativa regionale nei fondamentali campi della programmazione, della progettazione, della legislazione. Completamento del processo di delega dicevo. Al riguardo riaffermiamo, in coerenza con le stesse ipotesi di riforma delle Autonomie, che il soggetto privilegiato delle deleghe e delle funzioni in materia di gestione amministrativa deve essere il Comune inteso come ente generale e non come semplice erogatore di servizi. Un comune ente generale che per molti versi è ancora da costruire mediante misure di potenziamento funzionale e di superamento delle contraddizioni oggettive esistenti - soprattutto in Piemonte - tra funzioni da svolgere e dimensioni territoriali e di popolazione. Ne consegue che le necessarie misure di delega generalizzata in campo amministrativo gestionale non possono non accompagnarsi alla messa a punto di un adeguato quadro legislativo regionale in Comuni, sulla base del quale promuovere sull'intero territorio regionale, la formazione delle sedi istituzionali idonee a supportare un processo di delega che abbia appunto nei Comuni e nel loro diretto democratico rapporto con le popolazioni, il fondamentale punto di riferimento.
Ci pare importante sottolineare in questo contesto la validità complessiva dell'esperienza compiuta dalle Comunità montane e il fatto che esse rappresentino in buona parte la prefigurazione di una forma associativa polifunzionale dei Comuni. Ci pare necessario, inoltre sottolineare la necessità che si vada rapidamente, laddove si sono costituiti gli appositi Consorzi, a delegare ad essi le competenze in materia di trasporti come previsto dall'apposita legge regionale. Sempre in materia di deleghe in campo gestionale ed amministrativo, il cui soggetto privilegiato riteniamo debba essere il Comune, ci pare che esista un problema di fase transitoria tra la creazione di forme associative polifunzionali alcune emergenze che la Regione stessa ha da affrontare. In modo particolare ci riferiamo all'Albo Artigiani che la Regione dovrà gestire e per il quale non è pensabile di provvedere creando nuovi apparati regionali periferici nel mentre occorre invece muovere verso il superamento di quelli ora esistenti. Per questo, mentre ribadiamo l'indirizzo di fondo nei confronti dei Comuni, ma nel contempo occorre evitare la proliferazione di apparati regionali di gestione amministrativa, ci pare opportuno considerare la possibilità di un affidamento temporaneo alle Province - lo Statuto non lo prevede, ma neppure lo esclude - di questa funzione regionale, che copra la fase occorrente alla creazione delle associazioni polifunzionali dei Comuni. Il problema delle deleghe di funzioni alle Province deve invece soprattutto riguardare l'articolazione e l'attuazione della politica di programmazione. Al riguardo mi limito a ricordare che lo stesso progetto di legge messo a punto nel Comitato ristretto della Commissione Affari Costituzionali del Senato parla, per quanto riguarda le Province, di funzioni amministrative che si riferiscono direttamente alla formazione dei piani e dei programmi e alla verifica della loro attuazione.
L'iniziativa della Regione in questo campo può essere molto importante perché può favorire processi concreti di trasformazione delle Province, far avanzare esperienze che anticipino il ruolo di raccordo e di coordinamento del futuro ente intermedio, nonché acquisire, anche attraverso processi di riqualificazione, consistenti risorse intellettuali e materiali indispensabili per la costruzione di assetti istituzionali coerenti con una politica di programmazione e con le linee della riforma. Sotto questo profilo, sinteticamente, voglio ricordare che per quanto ci riguarda riteniamo che debbano essere posti allo studio una revisione della legge delle procedure della programmazione, definendo quindi legislativamente l'efficacia formale degli atti che le Province saranno chiamate a compiere in materia di programmazione.
Riteniamo che momenti importanti possano essere anche la partecipazione diretta delle Province alle equipe tecniche che presiedono all'elaborazione delle proposte di piano, come pure alle strutture comprensoriali per l'esame degli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali. Siamo convinti che oggi non è attuabile l'affidamento alle Province della delega che pure si prevede sarà competenza del futuro ente intermedio - per la verifica, il controllo e l'approvazione a livello decentrato degli strumenti urbanistici.
Riteniamo vi sia un divario tecnico-politico che non è superabile nei tempi brevi, che però occorre proporsi di superarlo. In questo senso la partecipazione delle Province al lavoro in sede decentrata del servizio urbanistico regionale può nel modo più efficace consentire la creazione delle condizioni più favorevoli per conseguire tale obiettivo, superare gli odierni scompensi e farci trovare all'appuntamento della riforma con strutture in grado di operare efficacemente e senza soluzione di continuità.
La Regione, con voto unanime, ha confermato i Comprensori, era ed è una scelta necessaria alfine di non interrompere il processo di programmazione ed anche per non rischiare di smarrire i caratteri innovativi che dovrà avete, in base alla concreta esperienza piemontese il futuro ente intermedio. In particolare questo suo rapporto con i Comuni e con la Regione, che non sia di separatezza, di conflittualità o addirittura di sovraordinazione. Ma ci sono anche materie sulle quali i Comprensori attualmente sono in difficoltà ad operare e che presupporrebbero un ampliamento degli attuali apparati.
Ma ha senso porsi un obiettivo di questo genere oggi, nel mentre si tratta di gestire una transizione? Noi non lo crediamo. Anche in questo caso noi pensiamo che la Provincia possa essere coinvolta e divenire soggetto di attribuzione di deleghe di funzioni in alcuni campi attinenti la programmazione, quali la formazione dei bilanci consolidati, destinata a diventare uno dei compiti fondamentali per realizzare un coordinamento della finanza pubblica e il raccordo della programmazione con il governo di ogni giorno della spesa.
Su questo piano ci sono ritardi poiché c'è anche un gap regionale di elaborazione, ma ci sono evidentemente ritardi a livello comprensoriale per cui ci pare che possa essere discusso con i Comprensori stessi uno spostamento da loro alle Province di questo incarico che la legge attribuisce. La stessa cosa ci pare che possa valere per il compito di coordinamento dei piani agricoli zonali, altro capitolo fondamentale anch'esso strettamente raccordato alla spesa. Coordinamento e promozione dei piani agricoli zonali, unitamente alla delega delle funzioni amministrative conseguenti a questo compito di programmazione. Riteniamo che la Provincia possa essere soggetto di attribuzioni di funzioni di delega anche in materia di programmazione nei settori dell'idrogeologia difesa del suolo e assetto irriguo, come pure dell'articolazione sul territorio dell'osservatorio regionale del lavoro.
A conclusione un'ultima considerazione. Per quanto essa sia importante ed indispensabile, l'iniziativa della Regione in tema di riordino istituzionale non può in alcun modo considerarsi surrogatoria della riforma delle autonomie che da troppi anni viene rinviata anche a causa dell'incapacità e della mancata volontà, dei governi succedutisi alla maggioranza di solidarietà democratica, di affrontare i nodi del rinnovamento statuale. Cogliamo anche questa occasione per sollecitare le iniziative e le necessarie intese atte a sbloccare la riforma, ma nel contempo affermiamo il nostro proposito di operare per modificare il testo formulato dal Comitato ristretto della Commissione Affari Costituzionali del Senato nella parte in cui è indicato in un terzo il massimo di maggiorazione del numero dei futuri enti intermedi rispetto alle attuali Province. Pur comprendendo e condividendo l'esigenza di evitare inutili proliferazioni, noi non riteniamo corretto il riferimento a meri criteri aritmetici generali, che non tengono conto delle diverse realtà regionali Per questo chiederemo che al Piemonte siano riconosciuti, oltre all'istituzione dell'area metropolitana torinese, dieci enti intermedi rispetto alle attuali sei Province; con l'aggiunta cioè di quattro enti intermedi nel Verbano Cusio Ossola, nel Biellese, nel Casalese e ad Alba Bra.
Ho finito questo intervento, colleghi. Credo che ultimato il bilancio potrà riprendere, anche sulla base di quanto il dibattito di questi due giorni ha fornito, l'iniziativa della I Commissione per quanto riguarda la preparazione del documento che sul riordino istituzionale ci siamo impegnati a portare all'esame del Consiglio, nonché alla consultazione con le Province, l'ANCI, l'UNCEM, l'URP per farne oggetto di ampio confronto e incontro operativo con l'insieme del sistema delle autonomie piemontesi.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Signori Consiglieri, il bilancio 1981 comprende anche, e in occasione della discussione questo aspetto è stato probabilmente dimenticato, una parte che concerne l'attività del Consiglio regionale.
In questo bilancio vi saranno certamente delle novità e degli incrementi, anche in funzione di alcune decisioni significative che sono state assunte dai Gruppi, sia per quanto concerne il problema, relativo al riconoscimento di rimborsi e di indennità, sia per quanto riguarda le decisioni che sono state prese sul potenziamento strutturale dei Gruppi consiliari.
E' un argomento, credo, importante, che tendiamo sempre a relegare negli anfratti della discussione di merito e che, invece, credo debba avere, nel momento in cui il disegno di legge verrà in Consiglio regionale nei prossimi giorni, il dovuto spazio per riconsiderare complessivamente tutte quelle carenze di contributi che i Gruppi possono concorrere e dare per esaltare quel ruolo complessivo dell'istituzione e, in particolare, del Consiglio, che credo sia stato oggetto di valutazioni in questi ultimi mesi.
Il documento che l'Ufficio di Presidenza ha predisposto riteniamo non solleciti solo posizioni politiche teoriche, ma debba essere anche l'occasione per una riconsiderazione di come si collocano le risorse regionali rispetto all'attività del Consiglio e quindi avranno, anche per quanto riguarda il bilancio, dei risvolti operativi che comporteranno investimenti e spese di gestione, sulle quali non credo di dovermi soffermare stamane, rinviandone un'approfondita valutazione ed analisi al momento in cui, dopo l'approvazione del bilancio, verrà in discussione in Consiglio regionale questo documento, con le conseguenze che ne potranno derivare.
Venendo ora alla discussione sul bilancio '81, risparmio anch'io i colleghi delle considerazioni che già il Consigliere Chiabrando faceva sull'ineluttabilità di certi rituali e ritengo, quindi, di dover accentrare particolarmente l'attenzione su alcune componenti che concorrono a determinare, tramite il bilancio, la politica della Regione.
Ritengo di dover dire che, purtroppo, dopo l'enfatizzante presentazione che abbiamo avuto del programma quinquennale della Giunta ed altre dichiarazioni che il Presidente della Giunta ha fatto (mi pare solo nel gennaio scorso, dando assicurazioni che questa legislatura iniziava con obiettivi concreti politici ed operativi) siamo ancora di fronte ad un documento che smentisce clamorosamente questi impegni assunti.
Da parte nostra è stata costante, in questa fase di pubblicizzazione del documento del bilancio, l'attesa di un segno concreto di novità nell'impostazione politica ed operativa, anche dello stesso documento finanziario che contiene un'appendice criticamente già sufficientemente valutata dal collega Brizio sul bilancio pluriennale.
La maturazione, se non le conclusioni, di un dibattito che ha visto coinvolte le Regioni con lo Stato, in presenza di uno sforzo che è stato valutato complessivamente positivo, da parte del Governo per collocare i nuovi provvedimenti e la stessa legge finanziaria in un quadro di sufficiente certezza sulle disponibilità di risorse. L'istituzione di un valido interlocutore, il Ministero per le Regioni, per impostare un valido raccordo delle politiche regionali che non fosse veramente rivendicativo.
La stessa presenza di due delle forze politiche che sono parte della maggioranza alla Regione Piemonte nel Governo nazionale, tutte queste tre componenti noi ritenevamo, illusoriamente, che facessero presagire una più attenta valutazione del rapporto che la Regione Piemonte è chiamata per la sua parte a dare alla costruzione di una coerente politica per obiettivi nell'attuale congiuntura economica del Paese. L'aver voluto ancora una volta sovrapporre ritardi ed incertezze, già criticamente analizzati dalla stessa relazione del Consigliere Viglione, quasi che l'attesa nella maggiore certezza sulle cifre fosse di per sé dirimente le contraddizioni interne che sussistono sulle scelte politiche che dovevano essere compiute dalla Giunta, o risolvesse i nodi sul come destinare, sia pure delimitate o ridotte capacità di spesa, fa parte di una strategia politica che noi esitiamo a denunciare come demagogica e certamente perdente sul piano costruttivo per i prossimi cinque anni.
Noi siamo tutti consapevoli di un ruolo che le Regioni hanno, non autonomo rispetto alle disponibilità, però in condizione di assumere posizione di grande rilievo nell'autonoma capacità di programmare e quindi, di far confluire, più che non destinare. Esiste, pertanto, un grande spazio anche rispetto alle riduzioni di disponibilità che il Paese ci impone in questo momento per risolvere ed affrontare i problemi che stanno di fronte alla nostra comunità.
Sappiamo bene quanto pregnanti siano questi richiami nel quadro drammatico che oggi l'inflazione ci pone, ci impongono le strette creditizie, le modalità dei cambi, le difficoltà nelle esportazioni penalizzando l'economia piemontese già provata da prevedibili congiunture strutturali, ancorata a risoluzione di nodi storici, da un lato e dall'altro, condizionata da soluzioni socio-territoriali che oggi non hanno alternative.
Il Piemonte, in questo quadro - che non voglio ampliare senza il rischio di una divagazione non attinente al discorso sul bilancio - è chiamato dal Paese a tenere, assicurando continuità ai livelli occupazionali, ma operando tempestivamente perché il complessivo ed instabile equilibrio di concentrazione e di diseconomie produttive nei confronti degli insorgenti fenomeni di distribuzione produttiva mondiale ritrovi nella progressiva diversificazione regionale nuove condizioni di sviluppo.
Non penso di peccare di schematismo riduttivo se ricordo due strade sulle quali l'Ente Regione può agire: da un lato la canalizzazione delle risorse, intesa come complesso dei flussi che interagiscono - già Viglione li elencava puntualmente e li analizzava - e, dall'altro, l'attrezzatura del territorio a sopperire ai ruoli di supporto adeguato a questo sviluppo.
Muoversi prioritariamente su queste due strade non significa affatto seppellire tutti i progetti di promozione e sviluppo del piano che a suo tempo abbiamo analizzato, anche se non approvato; ma, semmai riattualizzarli e, in molti casi, ridimensionarli alle mutate condizioni di disponibilità per dare risposte credibili all'attesa e non solo saggi di intenzionalità repressa.
Le due componenti che ho ricordato sono state più volte invocate nella passata legislatura, ma alle sollecitazioni ad utilizzarle ai fini di una seria programmazione la stessa Giunta Viglione ci aveva risposto che mancavano i quadri di riferimento, mancavano gli strumenti legislativi regionali, mancavano le analisi tecniche e progettuali, e via dicendo.
A tali strumenti, nella seconda legislatura, abbiamo destinato tutti quanti consenzienti, a volte, risorse notevoli, certo spropositate rispetto agli effetti che hanno prodotto, ma destinate - com'è stato ricordato nella relazione di maggioranza - ad alimentare, da un lato, "sogni nel cassetto" e, dall'altro, "quegli sterili isterismi" che tutti quanti condanniamo ma dai quali non sappiamo sottrarci.
Ritengo che qui stia il nodo politico che getta, appunto, ombre sulle scelte delle Giunte di sinistra delle quali il bilancio è, purtroppo, il fedele specchio; cioè la credibilità di un avvio di una seria programmazione regionale che è tutta da dimostrare dopo una serie di atti e di comportamenti che vanno dalla gestione dei piani di settore - pensiamo a quanta potenzialità si poteva innescare da quello dei trasporti - al tipo di coinvolgimento dei Comprensori; che vanno dall'assenza dei piani territoriali alle perpetuate mistificazioni che continuiamo a produrre nei programmi pluriennali di attuazione che i Comuni vanno sfornando in una insensata proliferazione di documenti che a certe scale comunali non hanno alcun riferimento né alcun rilievo anzi, ingenerano solo delle frustrazioni complessive negli amministratori, la convinzione che bisogna assolvere all'obbligo di svolgere certe formalità, compiacentemente o meno in termini politici, alla possibilità, di avere finanziamenti o contributi, ma che sostanzialmente non producono alcuna crescita qualitativa né nella spesa regionale né, tanto meno, una selettività operante anche a livello delle scelte comunali. Quindi, una carenza di credibilità che è preoccupante per gli affetti che sono destinati a produrre in termini negativi sulla trasparenza e sulla coerenza, anche degli stessi documenti finanziari che stiamo esaminando.
Il riferimento ai piani socio-economici territoriali è smentito in tutti gli atti che sono stati compiuti nella fase , soprattutto finale della passata legislatura; eppure questo riferimento è sancito da leggi regionali e noi dobbiamo richiamare come tutto questo non possa essere relegato alla discrezionalità comportamentale dell'esecutivo. Già ieri nella tornata degli interventi, abbiamo appreso dell'intenzionalità dell'Assessore Testa di voler normalizzare l'apporto dei Comprensori alla capacità di spesa della Regione. Noi siamo d'accordo, su questa linea solo a condizione che questa normalizzazione non venga ricondotta a momenti di verifica tecnica ed amministrativa, senza il supporto di una rigorosa verifica politica, per obiettivi, territorialmente articolati così come il piano di sviluppo prefigura. Noi riteniamo che tale articolazione sia oggi gestita né per progetti, né per diffusione, ma in una convulsa dispersione di lottizzazioni di competenze fra gli Assessorati, senza previsioni e senza sintesi sui risultati conseguibili o su quelli già conseguiti.
Il richiamo ad una gestione della programmazione, certo non rigida, che sia non incapace ad affrontare l'impatto delle variabili del contingente ma una programmazione coerente, trasparente è condizione essenziale perch sia strumento selettivo della spesa e, quindi, promozionale dell'incentivazione allo sviluppo di crescita e qualitativo delle strutture, soprattutto, che ci competono come Regione nei singoli Comprensori.
C'è da chiedersi dove siano finite, dopo quattro anni dalla prima formulazione del piano di sviluppo, le sfide che ne costituirono l'impalcatura politica. Di fronte a questa ripetitiva sequenza di definizione per progetti che continuiamo a ritrovare nel bilancio (promozione della pianificazione territoriale, promozione degli strumenti urbanistici) quali concreti risultati noi dobbiamo oggi registrare in attivo come interventi propedeutici della capacità di guida dell'assetto territoriale? Quando l'Unione Edilizia lamenta nel suo documento sulle consultazioni al bilancio la carenza di idee-forza che consentano di coordinare l'azione: direttiva centrale con quella propria degli Enti locali intermedi, giustamente questo richiamo evidenzia lo sconcertante bilancio di un'intera legislatura, purtroppo, sull'assetto territoriale che rischia di continuare a perpetuarsi con colossali errori sulla destinazione delle risorse.
I limiti della legge 56, che abbiamo denunciato (e che non abbiamo certo rinunciato a considerare come immutabile) come negativi per l'accelerazione dei processi di definizione della pianificazione comunale non sono, a nostro avviso, i soli responsabili dello stallo nel quale siamo incappati. E' sufficiente, d'altra parte, una rapida consultazione dei dati forniti in II Commissione sullo stato di approvazione degli strumenti urbanistici a tre anni e mezzo dalla promulgazione della legge per renderci coscienti di questo stallo. Ma la realtà è che i socialisti, e sopratutto i socialdemocratici, avrebbero dovuto già avvertire da tempo che l'attuale conduzione gestionale ed operativa della pianificazione territoriale non approderà mai a conclusioni certe, perché da qualcuno viene la convinzione che i meccanismi di coercizione progressiva delle libere espressioni delle autonomie locali saranno comunque vincenti rispetto a qualsiasi progetto di piano territoriale, partecipato o meno che esso sia. La strategia che i comunisti perseguono è quella della sovrapposizione per griglie di vincoli e di limitazioni ed è la strategia vincente, oggi, in questa fase di definizione della pianificazione territoriale, a fronte di una programmazione inesistente, pari ad un disegno generale di obiettivi condivisibili che altri gestiscono accorpando diligentemente conclusioni di ricerche e di studi incrociati.
Questo è ancora il quadro gestionale che, purtroppo, riemerge anche nel bilancio '81: le cifre sono ripetitive di quei progetti che già erano stati indicati come vincenti nella passata legislatura, pertanto novità da questo punto di vista non ve ne sono e tutta l'area terza di intervento continua ad essere ipotecata da questo tipo di impostazione. Impostazione che non è certo disgiunta dalle operazioni sull'Istituto Cartografico (che poi valuteremo a suo tempo), né dai progetti editoriali sulla pianificazione urbanistica, dai quali aspettiamo ancora dati di certezza, dopo le mistificazioni a bilancio che sono state perpetuate e che oggi costringeranno l'esecutivo a dovere a posteriori sopperire con provvedimenti di non sappiamo quale natura. Non è disgiunto da questo l'acquisto del pacchetto azionario di maggioranza della STEF l'utilizzazione della stessa IPLA, il controllo gestionale della Finpiemonte sull'IRES e sul Centro di Calcolo. Ed il disegno non a caso si accompagna alla progressiva depauperizzazione delle strutture regionali non a caso i nuovi Assessori che sono subentrati in corso Bolzano hanno trovato ciò che solo a pochi intimi hanno avuto il coraggio di confidare non a caso, finalmente, anche i sindacati avvertono lo scandaloso privilegio concesso alle consulenze esterne; non a caso gli uffici comprensoriali aspetteranno ancora chissà quanto quel minimo di strutturazione e di dotazione tecnico-operativa indispensabile perché si assolva dignitosamente ai compiti che le stesse procedure della legge 56 e della legge sulla programmazione loro assegnano. Il decentramento che ancora abbiamo sentito invocare da molti interlocutori, nelle consultazioni sul bilancio, come il rimedio minimo ed essenziale nei ritardi sulla pianificazione, anche noi lo invochiamo come supporto di garanzia alla partecipazione dei Comprensori: non ha, nel bilancio '81, né nel bilancio pluriennale, riscontri credibili. Guardate i capitoli 1500, 1600, 1640 sono voci che vanno assolutamente nella direzione di una inflazione della presenza della struttura regionale, non certo dell'incentivazione cosi come tutti quanti abbiamo la coscienza di sostenere.
Quindi, conoscere e controllare l'uso del suolo - lo abbiamo già detto altre volte, ma lo ripetiamo - non sono per noi operazioni avulse dalle competenze regionali, né chiediamo, riduttivamente, di assumere decisioni che non siano basate su approcci culturalmente e metodologicamente di ampia proiezione. Diamo atto agli Assessori che impostano attività e lavori di ricerca di questo tipo della correttezza nell'impostare questi studi riteniamo, però, che non siano accettabili i risvolti operativi che calano sulla politica regionale per quanto attiene alla loro utilizzazione.
Non possiamo accettare che la spesa regionale in questi settori non abbia al di là della scarsa trasparenza più volte denunciata anche dalle consultazioni quelle finalizzazioni rapide ed operative che servono a rispondere alle troppe attese che paiono, a volte, solo illusoriamente soddisfatte. Sono considerazioni che facciamo analizzando questo documento finanziario, che non sono fine a se stesse, ma alla ricerca di un impegno più coerente della maggioranza sulle scelte che il territorio attende.
Una più intelligente utilizzazione di risorse a destinazione non vincolata consente di attivare investimenti in settori sui quali faticosamente, a volte, nella prima e nella seconda legislatura si sono individuati i supporti essenziali territoriali (fondi per le aree attrezzate, per la rilocalizzazione, per le aree attrezzate per l'artigianato, per gli intermodali merci ed estendo anche il discorso ai nodi infrastrutturali di concessione del trasporto pubblico ferroviario).
Se ripercorriamo il faticoso cammino della ricerca di un denominatore comune alle varie politiche per il riequilibrio regionale non possiamo dimenticare il costante richiamo a quegli interventi complementari che la Regione deve assicurare per recuperare ed utilizzare celermente le stesse risorse statali. Certo, deve essere abbandonata la velleità di una dispersione di risorse insignificanti, ma tutti siamo consapevoli del beneficio che deriverebbe alla spesa pubblica se alcuni progetti, in parte anche già predisposti, fossero stati finalizzati ad immediati raccordi operativi con le comunità locali. Non è questa la sede per troppe esemplificazioni, ma è doveroso richiamare con forza quale penalizzazione ad investimenti anche urgenti derivi dal confronto con destinazione di risorse quali sono quelle ad un nebuloso progetto cartografico che assorbe migliaia di milioni ogni anno e non sapremo quale conclusione possa avere.
Ritengo, quindi, di esprimere a nome del mio Gruppo un profondo dissenso sull'impostazione del bilancio ed anche sulla volontà di perpetuare una certa continuità che si è dimostrata perdente rispetto a tutte quelle considerazioni di ordine finanziario e di disponibilità e di utilizzabilità della spesa pubblica che sono state analizzate in altri interventi dei miei colleghi.
Riteniamo che questa denuncia debba anche ancorarsi alla speranza che il bilancio pluriennale, almeno, possa in un secondo tempo correggere il "tiro" sulle sfide che a suo tempo sono state enunciate e che - al di là della iattanza o del velleitarismo più volte espresso - rimangono i nodi cruciali per la società piemontese.
Io ne analizzo brevemente due, quelle relative al problema della casa e della mobilità pubblica. Sono componenti dell'attesa che la Regione deve impegnarsi ad assecondare, non solo in ossequio ad una sempre crescente esigenza di migliore qualità della vita civile (quindi non è solo un'esigenza sociale generalmente intesa) ma perché riteniamo sia componente della più fondamentale promozione della libertà dell'individuo e delle famiglie, in una società che con il dinamismo del suo sviluppo di trasformazione, attenta alla loro sopravvivenza in termini di perequazione per esaltare ineluttabilmente squilibrio ed emarginazione.
Il bilancio regionale può recuperare governabilità sia del problema casa, come delle trasformazioni ormai necessarie alla società piemontese in termini di mobilità: sono componenti dello sviluppo delle quali non è più il caso di sottolineare le specificità di raccordo, ma per le quali occorre intervenire con incisività se dovranno avere un avvenire la riqualificazione professionale, l'opzione di scelta di un posto di lavoro la riconversione produttiva e quell'auspicata ridistribuzione sul territorio di attività microproduttive che sono l'avvenire per la nostra condizione di sviluppo, quelle attività che sono destinate a sostituire progressivamente i negativi processi di concentrazione. Per la casa noi ci avviamo al terzo biennio di funzionamento della legge 457. Certamente avremo nella prossima primavera questa incombenza di provvedere al riparto ed alla localizzazione delle risorse.
Ritengo di dover subito dire che è impensabile ripercorrere le esperienze di forzata localizzazione che abbiamo affrontato nell'ultima assegnazione. Credo che sia a tutti noto a quali tipi di presupposto si ancori questa localizzazione (all'esistenza di piani di zona, agli strumenti urbanistici di aree appositamente destinate) ed occorre, invece provvedere già per tempo a finanziare progetti finalizzati di localizzazione; occorre sciogliere, il nodo del reperimento delle aree che abbiamo irrigidito con la legge 56, creando ulteriori difficoltà a quelle che i Comuni hanno; occorre attivare interventi collaterali, sia nel settore cooperativo che in quello imprenditoriale, coordinandoli secondo quelle indicazioni che a suo tempo abbiamo concepito, tutti d'accordo, ma che poi non sono stati mai finanziati, per progetti coordinati.
L'incentivazione delle piccole cooperative a proprietà divisa ed il convenzionamento devono trovare, in questa nuova fase dell'assegnazione di risorse pubbliche, un nuovo spazio adeguato per investimenti che consentano di cogliere il significato di ridistribuzione delle attività e delle componenti sociali del tessuto della regione. Così come è ignorato, anche nel bilancio, l'intervento regionale per il patrimonio edilizio obsoleto, e non solo quello dei centri storici, che è già attardato da difficoltà finanziarie, da oneri simili ai tassi agevolati, che purtroppo non esistono; esiste l'esigenza di recuperare negli stanziamenti di bilancio forme di incentivazione di predisposizione di piani di recupero che sono in fondo il nodo urbanistico rispetto al quale si possono attivare gli investimenti in questo settore, risolvendo consistenti quote di domanda insoddisfatta per il problema casa. Noi chiediamo che per questi ultimi vi sia l'impegno di destinare almeno il 40 % dello stanziamento di un miliardo e 100 milioni che è previsto nel piano regionale. Il ruolo promozionale poi, ed incentivante dell'edilizia da parte della Regione deve essere accompagnato da un miglioramento sulle norme relative alle opere pubbliche tenendo conto come questo settore investa le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e, quindi, sia una componente dell'accelerazione guidata che deve privilegiare la qualità degli interventi pubblici affidati ai Comuni, tenendo anche conto dell'incidenza che le infrastrutture hanno nei processi di corretto uso del suolo, sia per gli insediamenti residenziali in quanto tali, sia per la qualità della vita.
La seconda sfida, quella relativa alla mobilità anch'essa non ha trovato riscontro reale nei progetti finanziati, se si esclude l'intervento per il sistema intermodale merci. Riteniamo che avremmo inutilmente sprecato mesi e mesi di confronti, dibattiti, energie delle strutture regionali e delle componenti esterne, ed anche ingenti risorse destinate al piano dei trasporti, se la disarticolazione comprensoriale e per progetti finalizzati non arriva ad una concreta definizione. Occorre compiere delle scelte ormai indifferibili, rinunciando al finanziamento di qualche autobus per destinare risorse all'avvio di progetti realizzabili, non dimenticando che anche le Ferrovie dello Stato non tarderanno a chiedere il conto, cioè a riproporre quelle soppressioni di linee secondarie laddove abbiamo tutti quanti assunto impegni di una difesa di questo importante supporto infrastrutturale.
Se alcune decisioni saranno ineluttabili, io ritengo di doverlo dire in questa sede, non v'è dubbio che le conseguenti responsabilità saranno certamente dei livelli locali che non avranno operato né verifiche, n fatto proposte di recupero funzionale ad un nuovo assetto della mobilità soprattutto quella periferica, che rispetto alle Ferrovie può contare di appoggiare ancora un grande ruolo, complementare in parte, ma portante in altre realtà.
Come ho già detto, vi sono progetti sui quali il ruolo della Regione ha già avuto modo di operare, che però attendono un coordinamento per canalizzare ribelle risorse statali che sono già state rese disponibili ed ottenerne altre.
Io ricordo, per sommi capi, l'urgenza di un quadro di priorità sulla stessa priorità di secondo livello, per impostazioni che già il piano di sviluppo ha delineato ed il piano di trasporti ha ripreso, in un quadro di gerarchia di priorità che noi avevamo già denunciato non essere credibile che deve essere quindi affrontato sufficientemente all'interno dei piani comprensoriali dei trasporti.
Ritengo di aver richiamato, con queste due componenti della sfida comprese nel piano di sviluppo, unitamente alle osservazioni fatte sulla pianificazione territoriale, tre momenti caratterizzanti l'impatto sul quale si viene a trovare la spesa pubblica regionale. Sono momenti sui quali o si inverte strada e si concentrano gli obiettivi sufficientemente per finalizzarli a concrete risposte rispetto alle esigenze della realtà della comunità regionale, oppure continueremo nella gestione dispersiva delle risorse disponibili, non riuscendo poi a cogliere il significato di quelle conclusioni e di quei consuntivi che è pur necessario traiamo al fine di ogni legislatura rispetto alle risorse che abbiamo destinato a determinati investimenti, oppure ad investimenti che possono anche essere a volte propedeutici rispetto agli investimenti stessi.
Riteniamo di avere, quindi, con questi due capisaldi, che non hanno certo riferimento alla pianificazione secondaria, ma che sulla pianificazione appoggiano gran parte delle certezze sulle quali le scelte vengono operate, di aver contribuito costruttivamente alla lettura critica di questo bilancio, ma anche alle correzioni che potranno essere apportate soprattutto nei bilanci pluriennali. Rifiutiamo, quindi, una definizione di contributo inflattivo, solo negativo, ogni qualvolta affrontiamo l'analisi di questi contenuti. Si tratta, da parte di chi ha la competenza e la responsabilità di poter assumere delle decisioni, di cogliere il significato positivo di queste critiche e di assumersi le relative responsabilità.
Questo è quanto noi auspichiamo e questo è il contributo che intendiamo dare a questa discussione.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati - Varie

Comunicazioni del Presidente della Giunta regionale


PRESIDENTE

Chiede di parlare il Presidente della Giunta per una brevissima dichiarazione.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

Ho ricevuto questa mattina un telegramma dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini che leggo al Consiglio: "Con indelebile ricordo visita Torino desidero rinnovare personalmente a lei a suo tramite all'intera comunità regionale piemontese l'espressione mio grato animo per cordiale accoglienza e affettuose manifestazioni simpatia riservatemi.
A lei un particolare ringraziamento per significativo contributo Amministrazione regionale a riuscita visita. Sandro Pertini".



PRESIDENTE

Ringraziamo il Capo dello Stato per il telegramma.


Argomento: Bilanci preventivi

Esame bilancio di previsione per l'anno finanziario 1981 (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo il dibattito sul bilancio di previsione per l'anno finanziario 1981.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Turbiglio. Ne ha facoltà.



TURBIGLIO Antonio

Signor presidente, signori Consiglieri, inizio il mio intervento nella consapevolezza di quello che è e di quello che ha voluto essere il bilancio previsionale.
So benissimo che il bilancio che riguarda le sedi istituzionali di secondo, terzo e quarto grado è un bilancio sui generis, un bilancio nel quale ci sono delle rigidità di entrata, mentre le scelte si riversano piuttosto sulle uscite. Quindi, mi pare, che il documento debba essere visto piuttosto come un'elencazione di voci di spesa e non come un bilancio vero e proprio come è fatto in una sede aziendale privata. Infatti, un bilancio di previsione aziendale si pone sempre in una prospettiva globale di analisi del passato e, del futuro avendo a disposizione magari banche di dati e ipotesi previsionali da inserire anche nei rischi dovuti alle sfide che dal futuro possono spesso e volentieri provenire e qualifica entrate ed uscite. Qui, invece, soppesate le variabili nel numero e nell'importanza ma in mancanza forse degli elementi necessari o, perlomeno, in deficienza degli elementi necessari di valutazione ci si trova in un'atmosfera più condizionata da fattori politici e culturali e da fattori emotivi, per cui si viene a privilegiare un ragionamento debole sulle indicazioni delle possibilità degli eventi e delle condizioni e delle successioni dei meccanismi possibili, e si consequenziano risultati di un certo tipo oppure di un altro, che a posteriori solo avranno accettabilità . Allora nell'incertezza delle ipotesi differenziate per risultati previsionali conseguenti e delle proiezioni nel futuro di dati attuali e passati noi chiediamo se ci sono stati almeno confronti di esperienze e di tematiche prima di arrivare alle scelte, alle composizioni delle voci, ai ritocchi ai controlli e, alla fine, alla chiusura del bilancio.
Noi ci chiediamo se così è nato questo bilancio regionale che è in definitiva uno fra gli atti più importanti della Giunta? Non ne siamo proprio sicuri.
L'Assessore Testa, tecnico molto capace e molto impegnato, avrà certamente percorso la via più razionale e più concreta. Ma purtroppo anche Viglione nella sua relazione l'ha ricordato - viviamo in momenti di grandi incertezze che annebbiano le conoscenze, che annebbiano le ricerche e quindi le ipotesi, per cui non è il caso di grandi sicurezza ma piuttosto di seri dubbi. I risultati presentati dal bilancio riflettono in definitiva le incertezze di base e ci lasciano intravedere una certa riduzione nella tematica generale che forse ha approssimato un po' le cose e tentato delle titubanze già nella visione, però, di rettifica a breve, di correzione a domanda e di completamento a verifica.
Questo bilancio, in definitiva, sa molto più di dovuto che non di ricercato, sa molto più di obbligo che non di necessità. E' un peccato, in quanto il bilancio è una reale occasione di proposta importante, se essa è credibile come sono e devono essere credibili i numeri più delle enunciazioni di principi e di propositi.
Sappiamo che il momento è molto difficile e nei momenti difficili si ricorre spesso nei discorsi ai richiami per impegni di proposte, alle mobilitazioni, ai .fronti comuni, si dice che bisogna trovare fantasia; ma poi se nell'occasione le proposte non si trovano, la mobilitazione non c'è la fantasia è una ripetizione del passato, il tutto diventa un atto notarile, una registrazione delle negazioni e delle impossibilità.
Sorgono allora immediati dubbi sulla validità del documento.
Questo bilancio nel suo complesso ci lascia insoddisfatti per quello che non affronta, per quello che non dice, per quello che non propone pur nella limitatezza dell'autonomia in cui esso agisce. I suoi aggiustamenti i riporti, i richiami, le reimpostazioni denunciano l'abilità del compositore: quasi con mano d'artista l'Assessore Testa ha saputo togliere aggiungere in grande o in piccolo, a seconda del suono che voleva ricavare ben conoscendo che la stanchezza ad un certo punto poteva sopraffare il lettore e poteva distogliere la sua attenzione ed anche il suo orecchio.
Su questi giochi, sull'analisi complessiva, sulla sottolineatura di tutte le parti, sulla critica generale e sul contributo che il P.L.I.
intende portare a questa discussione, lascerò approfondire il discorso al collega Capogruppo Bastianini.
Come già il collega Marchini ha fatto, voglio solo soffermarmi su qualche dettaglio che ho scoperto e sottolineato più di altri.
Per l'agricoltura, facendo parte della Commissione competente, voglio chiedere un riesame degli impegni di spesa, sottolineandone l'importanza per gli interessi che ha da sempre e ora più che mai, per il numero degli addetti che annovera, per le difficoltà che con altri settori, oggi deve affrontare e per la funzione di centralità che assume nel sistema economico e sociale e sotto l'aspetto umano.
Dal bilancio pluriennale e da quelli consolidati degli scorsi anni mi pareva emergesse evidente un calo negli stanziamenti.
Ieri l'Assessore Testa ha dato una rettifica alle osservazioni, che in parte coincidevano con le mie, espresse dalla Coltivatori Diretti. Non calano gli investimenti regionali - dice l'Assessore Testa - nelle spese autonome, ma solo in quelle legate alle leggi statali: sono gli automatismi riferiti alle risorse dei piani nazionali sull'agricoltura che restringono le possibilità al di fuori, in fondo, della volontà della stessa Giunta.
Ma dobbiamo proprio pensare che tutti i meccanismi saranno da reinventare alla scadenza delle leggi attuali, dei piani attuali, dei finanziamenti attuali o non riteniamo invece di poter anche noi indicare nei bilanci di previsione pluriennale, oltre l'arco temporale delle leggi nazionali in cui si inserisce l'operatività della Regione, una prosecuzione di spesa che può anche essere indicazione o proposta, ma può diventare altresì programma, volontà, soluzione per compiti che la Regione vuole assolvere nei suoi diritti di ente delegato? Che le leggi siano a scadenza, che lo Stato non abbia ancora lanciato segnali o proposte per il loro prosieguo, che non ne abbia emanate altre che le dispute CEE lascino aperte terribili preoccupazioni, che le vie nuove da percorrere per l'agricoltura debbano ancora essere tracciate, che l'Italia agricola sia sempre sulla linea di partenza e mai in corsa sarà anche vero, ma questo non ci esime dal continuare a tracciare i nostri obiettivi e soprattutto questo non è sufficiente per posizioni passive e in definitiva astiose e polemiche con il Governo. Ognuno faccia la sua parte e nei suoi bilanci previsionali la Regione scriva importi di area e di settore che derivano dai suoi programmi calcolati, se vogliamo anche di minima, per una responsabile collocazione, ma indifferibili, assolutamente necessari per la continuità di una politica che non si esaurisce certamente nell'arco di un anno, due o tre, ma che necessita del respiro e della forza per raggiungere un risultato indicato da un nostro piano.
Il nostro bilancio pluriennale ha voluto invece, essere una pura espressione matematica con l'elencazione delle spese possibili, perché oggi finanziate, lasciando la formulazione propositiva a tempi successivi quasi come denuncia del Governo.
A noi non pare che questo premi il Piemonte e non riteniamo di alcuna utilità un'eventuale presa di posizione contestatrice con il Governo e con i singoli Ministri: essi possono anche cambiare, ma gli interessi del Piemonte restano quelli che sono.
Tralascio di fare l'elencazione delle cifre assolute e delle percentuali che ho ricercato ed annotato. Il Consigliere Bastianini si addentrerà di più nella critica analitica del bilancio. Vorrei soltanto sottolineare che il bilancio segna un forte calo di previsione per gli interventi in campo economico, e tra questi c'è l'agricoltura, il turismo e l'energia, mentre ne privilegia altri, quali la cultura, proprio in un momento di terribile crisi economica quando forse la concentrazione degli interventi avrebbe dovuto essere nelle zone più deboli e più attivanti.
Altro argomento stimolante è la capacità di spesa della Regione. Anche in questo campo Bastianini avrà molto da dire, io mi limito ad osservare che essa è molto debole sia nel caso di applicazione di leggi nazionali sia nel caso di applicazione di leggi regionali. Non funzionano o sono mal fatte le leggi statali, ma anche le leggi regionali sono frenanti burocratiche e di difficile applicazione.
Allora, coraggio, rivediamole, altrimenti anche nell'anno 1982 spenderemo molto di meno del previsto, anche nel 1981 con le stesse leggi gli stessi regolamenti, le stesse procedure non riusciremo nemmeno ad avvicinarci alle previsioni di bilancio, per cui ancora una volta il grande libro denuncerà la sua fittizia matematici e la sua poca credibilità.
Anche se il Piemonte funziona abbastanza bene in confronto di altre Regioni, dobbiamo dichiararci insoddisfatti e cercare di far funzionare meglio la macchina regionale.
Poco tempo fa, ho sentito in quest'aula dubitare dell'efficienza di certe industrie private che denunciano crisi, difficoltà e licenziano la manodopera. Sarà, tutto vero ed a ragione vengano le denunce, ma per l'impresa pubblica, per la Regione, per gli ospedali, per la scuola, non vogliamo dire niente sugli sprechi, sull'efficienza, sulla capacità di spesa, scrivendo imperterriti a bilancio cifre ed impegni ben sapendo che mai potranno essere osservati? Nella relazione di maggioranza è affermato che si vuole vivere nella società occidentale, cioè di mercato, nella quale operare in piena libertà rispettando il pluralismo delle forze esistenti, anzi, lavorando per rafforzarlo. Questo ci va bene.
Ma per vivere in una società di mercato bisogna anche accettarne le leggi e rispettarle, bisogna anche essere disposti a condividerne i meccanismi; occorre il rispetto dell'impresa e dell'imprenditore, il rispetto dell'efficienza e dell'impegno. Bisogna entrare nell'ottica che nel sistema di mercato non sono ammessi errori, sprechi, gestioni approssimate.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Appunto, bisogna evitare il mercato della società.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, vuole richiamare il Vicepresidente Sanlorenzo, così come richiama il Consigliere Marchini?



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Fa parte delle tradizioni più illustri e mai contestate in qualunque assemblea parlamentare fare brevissime interruzioni che consentono a chi parla di replicare, se vuole.



TURBIGLIO Antonio

Il sistema di mercato è continuamente in lotta, se non in guerra. Non si combatte con fucili, ma con ricerche di mezzi e di idee, non si combatte con mitragliatrici, ma con i computers e la cibernetica, non con cannoni ma con previsioni flessibili ed alternative basate su studi e non su improvvisazioni, su concetti riferibili per grossa parte a fattori economici, più che politici, a produttività più che di questioni di presenza.
Con coerenza alle enunciazioni nel bilancio avremmo allora potuto trovare qualche voce utile per dare dei segnali di volontà della Giunta di intervenire, per esempio, nel campo delle ricerche laddove esse non esistono, nel campo di offerte di piani di efficienza laddove non c'è neanche la base culturale per predisporli, nel campo dell'istruzione professionale, indirizzata anche alle conoscenze delle famose leggi di mercato, nel campo dell'organizzazione aziendale e nel campo dell'economia e dell'organizzazione per ridare spazio e vita al complesso operativo regionale.
Il divario fra le nostre aziende e quelle dei Paesi CEE, con i quali il Piemonte vuole confrontarsi, deve essere affrontato con un bilancio regionale attraverso programmi organici di intervento e di finanziamento aggiuntivi, dopo le analisi necessarie, e non empiriche o descrittive di situazioni, ma nel rigore matematico con interpretazioni di tipo sistemico dei fenomeni di attività, di produzione e di distribuzione, sempre sotto il controllo rigoroso del limite di efficienza, al di là della quale si entra nella diseconomia e nell'inflazione.
Cerchiamo di individuare i tipi di handicap ai quali gli incentivi devono sopperire e chiariamo un criterio per il loro dosaggio, non per aiuti a pioggia indiscriminati o assistenziali, ma per azioni autenticamente finalizzate per la formazione di imprese vere produttrici di reddito e di benessere. E la Regione per prima diventi un'impresa.
Così com'è questo bilancio non avrà la nostra approvazione. Siamo insoddisfatti come lo siamo di tante altre cose.
Mi auguro, signor Presidente, signori Assessori, signori Consiglieri che vogliate tenerne conto. Vi ringrazio.



PRESIDENTE

Considerata l'ora, i lavori sono sospesi e riprenderanno alle ore 15 mentre i Presidenti dei Gruppi consiliari sono convocati nel mio studio.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,40)



< torna indietro