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Dettaglio seduta n.48 del 18/03/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO


Argomento: Calamità naturali

Interrogazione dei Consiglieri Chiabrando e Penasso relativa agli incendi nella zona di Foresto in Valle Susa


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto secondo all'ordine del giorno "Interrogazioni ed interpellanze" esaminiamo l'interrogazione presentata dai Consiglieri Chiabrando e Penasso relativa agli incendi nella zona di Foresto in Valle Susa.
Risponde l'Assessore Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Si tratta di una petizione, se ben ricordo, firmata da oltre 400 cittadini (pare che abbiano firmato molti villeggianti del luogo e che gli abitanti, invece, non siano d'accordo).
Comunque, la questione ha due aspetti: da una parte la Comunità montana ha ottenuto i finanziamenti ed ha in programma la modifica di una strada per quest'opera ha anche ottenuto i decreti del Presidente per l'occupazione del suolo. Senonché, per difficoltà insorte appunto per l'occupazione del suolo, quest'opera non è stata ancora realizzata.
Dall'altra parte stando a quella petizione, si inserisce il problema non soltanto della strada, per la quale si sono verificate queste difficoltà ma della ristrutturazione o ripristino di un canale per irrigazione, per il quale, peraltro, non esiste, all'infuori di questa petizione, nessuna domanda né alla Forestale, né al Servizio forestazione dell'Assessorato all'agricoltura. Il funzionario dell'Ispettorato Dipartimentale dell'Agricoltura, competente per quanto riguarda il problema degli incendi esclude che la mancata realizzazione di quest'opera, o di quella relativa alla strada possa aver inciso sul problema degli incendi.
Questa la risposta in termini tecnici, che nel testo così come è stato trasmesso dagli uffici farò avere al Consigliere Chiabrando. Ciò che non ho capito, però, è il collegamento tra queste due opere e, riguardo all'irrigazione, non ho trovato alcuna richiesta. In ogni caso, se esiste un problema di questo tipo, si può promuovere un Consorzio che presenti la domanda e, nel finanziamento delle opere per l'agricoltura (lo scorso anno siamo riusciti a finanziare tutte le proposte avanzate per le province di Torino e Cuneo), si potrà inserire anche questa richiesta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Anch'io non ho capito bene alcune cose; ritenevo che l'Assessore fosse più al corrente di me. Se l'Assessore ha una risposta scritta io ne prenderò atto. Sì, i problemi devono essere due: uno la strada che ha impedito l'accesso ai boschi per la difesa dagli incendi e l'altro un problema di irrigazione. Non mi pronuncio, ed attendo la risposta scritta.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Verifica del numero legale


PRESIDENTE

Sospendo la seduta per mancanza del numero legale e richiamo i Consiglieri fuori aula a rientrarvi e a prendere posto.



(La seduta, sospesa alle ore 15,15 riprende alle ore 15,25)



PRESIDENTE

Prego un Consigliere Segretario di procedere all'appello dei Consiglieri per verificare il numero legale.



(Si procede all'appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico che il numero dei presenti è legale (29 presenti e 4 in congedo) e pertanto la seduta può riprendere regolarmente.


Argomento: Bilanci preventivi

Esame bilancio di previsione per l'anno finanziario 1981


PRESIDENTE

Proseguiamo pertanto con il punto quinto all'ordine del giorno: "Esame, bilancio di previsione per l'anno finanziario 1981".
La parola al relatore, Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo, relatore

Il bilancio di previsione 1981 è il primo bilancio della terza legislatura regionale.
Le Regioni, dunque, hanno superato i dieci anni, si avviano positivamente alla maggiore età. Il cammino è stato lento, faticoso, irto di insidie e di pericoli, ma non per questo meno esaltante e costruttivo.
Si può ben parlare, oggi, di un periodo "costruttivo" delle autonomie locali che va dagli Statuti, alle leggi finanziarie, alla prima conclusione della "disputa" storica delle competenze e funzioni fra Stato" e "Regioni" ai primi severi impegni nella programmazione, al governo del territorio, al momento di raccordo tra le forze operanti nella comunità regionale.
In sostanza le Regioni si avviano ad essere "governo" cioè a superare la fase amministrativa, o meramente finanziaria, o alla sola redistribuzione delle risorse proprie o finalizzate per essere invece uno strumento decisivo di mobilitazione complessiva della realtà regionale, di una programmazione non vincolante ma contrattata, via via modellata per uno sviluppo a misura d'uomo e non solo del profitto.
Così scritti, signori Consiglieri, questi concetti possono apparire nella discussione del bilancio di previsione 1981, irreali o pieni di incognite, o affidati a tante variabili che sono presenti nella nostra società occidentale, cioè di mercato, e nella quale noi vogliamo vivere ed operare in piena libertà, rispettando il pluralismo delle forze esistenti anzi lavorando per rafforzarlo. E proprio queste incognite, rendono più difficile la nostra opera; l'inflazione galoppante, la manovra monetaria l'assenza del credito selettivo per far crescere i processi produttivi, il giro vorticoso dei cambi, la debolezza dell'import-export, che ha raggiunto quote di pericolo.
Come se non bastasse, le calamità naturali, i terremoti, le alluvioni si sono abbattute sul nostro Paese, con danni spaventosi e numerose vittime.
Per il Friuli l'impegno finanziario complessivo ha superato i 10.000 miliardi, per le calamità del sud si accenna a 30.000 miliardi, cifra non definitiva per i processi inflazionistici.
Il terremoto del novembre 1980, in particolare, ha posto un'ipoteca sui bilanci degli Enti locali e delle Regioni dal momento ché si era ventilata una drastica riduzione delle risorse per porre rimedio alle conseguenze della calamità.
Fortunatamente questa ipotesi non ha preso corpo, altre soluzioni sono state prospettate ed il Parlamento sta affrontando i disegni di legge per la ricostruzione delle zone terremotate.
La situazione non è stata priva di conseguenze per i bilanci regionali.
L'incertezza sulle effettive risorse finanziarie che ne è conseguita ha ritardato il processo formativo dei documenti, ridimensionato gli obiettivi, creato confusione nei governi locali.
Quasi tutte le Regioni giungeranno tardi all'appuntamento dei bilanci.
Questo, evidentemente, avrà come conseguenza un ritardo nel processo attuativo.
Ma vi è di più. Il decreto Andreatta, così chiamato, ha posto limiti in molti comparti economici e finanziari delle autonomie locali, lasciato irrisolto il nodo del credito, non realizzato ancora la riforma della Cassa Depositi e Prestiti, strumento indispensabile per una vasta azione di intervento economico e di infrastrutture per la crescita costante della nostra comunità.
Se questa incertezza si è riflessa sul bilancio annuale 1981, tanto più ha avuto conseguenze negative nella stesura del pluriennale 1981/1983.
Si prevede addirittura una riduzione delle risorse per il 1982/1983.
Il quadro finanziario della Regione non è rassicurante, il futuro pieno di incognite, la programmazione, quindi, problematica.
Ma alcune questioni possono essere poste, altre affrontate a breve alcuni interventi di non lieve valore realizzati.
Penso che sia ben conosciuta la situazione finanziaria per l'anno 1981 per doverla ricordare.
Un complesso di circa 2.720 miliardi, che potrebbero anche apparire non trascurabili, se non si rapportassero ai bisogni della nostra comunità regionale, all'ampiezza dei problemi da risolvere, ad un territorio per 2/3 montagnoso o collinare con costi notevoli per il suo assetto e, se si vuole, al complesso di una popolazione di quasi 5 milioni di abitanti.
Ed ancora, nella ripartizione dei capitoli di spesa, si avvertono squilibri destinati a negative incidenze, come l'ammontare della spesa sanitaria per oltre il 50%, l'annualità degli ammortamenti dei mutui in precedenza contratti, le spese correnti e gestionali.
Non resta molto, per il vero, per una politica degli investimenti, meno di 400 miliardi, che non possono nell'anno 1981 creare una base seria di intervento economico.
Queste condizioni, pur tuttavia, sono esistite anche nella seconda legislatura. E la terza legislatura, sotto l'aspetto politico e di programma si lega strettamente alla precedente, ne continua l'indirizzo ne vuole consolidare i risultati.
Non vi è amministratore pubblico che non conosca i ritardi "storici" della nostra società, gli appuntamenti mancati, le riforme non varate, il fallimento anche di ipotesi minimali di piani di sviluppo o programmi nazionali. Si ponga mente alla fine dell'ipotesi Pandolfi e della sola speranza, per ora, nel progetto La Malfa, che le Regioni hanno approvato e che ora dovrà affrontare gli scogli della discussione parlamentare.
Ma queste condizioni negative non hanno fermato l'azione del Governo regionale della seconda legislatura, semmai stimolato la ricerca di ipotesi progettuali, di raccordo generale, d'intervento, che nella Presentazione del programma della Giunta del bilancio di previsione 1981, della relazione che l'accompagna, danno certezza della continuità che lega i due Governi.
Non è certo un mistero che una "chiave" per aprire queste porte chiuse il Piemonte l'ha trovata nella sua storia recente.
Non si è trattato, certo, di un'esplosiva invenzione, di una "ricetta" miracolosa, di un "antibiotico" destinato a guarire tutti i mali.
Si è trattato di una composizione di Governo progressista, per qualche verso omogeneo, che ha mobilitato le risorse esistenti nella nostra Regione che ha saputo far partecipe tutti i cittadini, che ha dato la nuova dimensione comprensoriale, come m omento di programmazione e pianificazione, evitando quindi la frammentazione e la settorializzazione la polifunzionalità dei servizi per evitare gli sprechi e le sovrapposizioni nella sua gestione, nonchè il governo del territorio in senso sociale, l'agricoltura, il raccordo con la comunità.
Il nuovo Governo regionale con la presentazione del bilancio 1981 e la relazione che l'accompagna, fa propri questi indirizzi che, come già si è detto, si saldano con il Governo della seconda legislatura.
E se un rilievo può muoversi al Governo regionale, rilievo che qualcuno in aula riprenderà di certo, è di non aver compreso che l'incertezza è un dato costante della vita pubblica italiana, di aver vissuto qualche mese in attesa di provvedimenti governativi risanatori, quindi nella presentazione del bilancio, di essersi legati a quella sorte e non viceversa.
Se una funzione la Regione la riveste, non è quella di "succhiare" la ruota del Governo o dello "Stato", ma di essere artefice, protagonista coautore delle scelte e di essere una grande dimensione dello "Stato" e della programmazione e pianificazione generale del Paese, volta a dare un contributo determinante alla soluzione dei problemi che sono presenti nella nostra società, non scordando il nesso inscindibile del processo riformatore, che è la partecipazione con l'obiettivo della costruzione di una società più alta e più civile.
Si tratta di porre mano ad un nuovo indirizzo economico, sociale culturale che sia realistico e credibile nella società occidentale nella quale noi ci troviamo, rispettando il pluralismo delle forze esistenti fornendo tutto il peso delle istituzioni per un riequilibrio economico e sociale a favore delle classi più deboli, nella redistribuzione concreta della ricchezza, evitando gli "sterili isterismi", o i "sogni nel cassetto", che hanno contraddistinto tanti anni della nostra vita politica.
Il modello è quello delle .grandi democrazie dell'Europa, entità non solo geografica nella quale noi viviamo, ma politica, economica e sociale una nuova società del benessere, non intesa soltanto come forma assistenziale, ma come promozione dello sviluppo della persona umana, come risultato di un'autentica e complessiva riforma.
Per far questo occorre, per intanto, rafforzare gli istituti democratici, renderci credibili con i nostri comportamenti, "aggregare" il Paese e la nostra comunità.
Per ottenere risultati positivi occorre sempre ricordare che la politica è anche economia e che in una società di mercato come la nostra con una programmazione non vincolante ma contrattata, occorre avere tutta la sensibilità e la forza necessaria per aprire un dialogo costante con le "parti" in causa e cioè con i sindacati, le categorie economiche industriali, produttive, finanziarie, sociali, istituzionali, che sono alla base dell'economia della nostra comunità.
Se i 400 miliardi, circa, del bilancio 1981 destinati agli investimenti sembrano irrisori per una comunità regionale come la nostra, tuttavia il complessivo quadro "di governo regionale" consente molti spiragli.
L'economia piemontese è certamente fra le più sviluppate all'interno dell'Europa.
All'interno del Piemonte operano colossi dell'industria e dei servizi come: Fiat, Ferrero, Olivetti, Ceat, Sip, Montedison, Michelin, Pirelli e migliaia di altre industrie meccaniche, nel campo tessile, a Biella, ad Alba, nell'informatica, nell'indotto.
Un complessivo prodotto non inferiore a 20.000 miliardi di lire, che dal punto di vista occupazionale e produttivo assume grande significato.
Certo, una crisi di non trascurabile entità travaglia molte di queste aziende, ma è proprio la capacità di intervento della Regione, atto a stimolare la definizione dei piani di settore da parte del Governo nazionale e del Parlamento, a contribuire al risanamento aziendale.
E' il contributo originale delle autonomie locali a "legare" le singole realtà, a non disperdere prospettive a difendere "nell'insieme" i valori esistenti, quali l'occupazione, la professionalità, la tradizione produttiva, la cultura anche industriale.
Le autonomie locali non se ne fanno carico da sole, non sono ammalate "di esibizionismo o protagonismo" come qualcuno vorrebbe.
Le autonomie locali svolgono la loro funzione, come parte dello Stato e le Regioni come momento di aggregazione e mobilitazione delle risorse, di programmazione e pianificazione, come contributo ad una vera svolta democratica nazionale.
Mobilitazione vuol dire riferimento alle istituzioni, alle forze economiche, sociali, sindacali e di ciò se ne è parlato in precedenza.
Non sono, quindi, solo i 400 miliardi di lire quali risorse da investire per il bilancio di previsione 1981, i punti di riferimento o l'inutile disputa per arricchire i singoli capitoli assessorili.
Mobilitazione vuol anche dire riferimento al credito all'individuazione dei settori produttivi che ne hanno bisogno all'attivazione di un più stretto raccordo con le banche per concordare alcuni momenti importanti "dell'obiettivo di programmazione regionale".
Se si pone mente che in Piemonte, regione per tradizione risparmiatrice, i depositi bancari e postali annui superano i 3 0.000 miliardi e che vi hanno sede importanti istituti come il San Paolo, la Banca Popolare di Novara, il sistema delle Casse di Risparmio e altre banche private di non trascurabile valore, si ha l'esatta misura del risultato al quale potremmo pervenire con un'intesa più vasta, fra economia ed istituzione, che colga tutti gli aspetti di una società democratica ed europea come la nostra piemontese e la conduca ai livelli di efficienza stabilità, ordinato progresso e intenso lavoro.
Ma per far questo occorre capacità e credibilità, audacia, umiltà onestà, sofferenza, dialogo e non arroganza.
Questo, pensiamo, sia stato il modello di governo della precedente legislatura a cui questa si collega e si richiama, un modello aperto trasparente, che ha saputo porre mano ad un piano di sviluppo, ha individuato settori d'intervento e li ha realizzati. In questo non vi pu essere dubbio.
I temi dell'agricoltura, dei parchi, dell'assetto del territorio, della sua gestione, dei beni culturali, dell'occupazione, dei servizi sanitari ed assistenziali, sono stati sviluppati e raccordati in un disegno di ampio respiro.
I residui passivi sono stati ridotti a tal punto da essere incanalati ormai in un normale binario di esecuzione d'opera che richiede pure dei tempi e dei controlli. E questo, pur in presenza di una normativa che vede la Regione condizionata e vincolata nella sua spesa in modo ossessionante cioè quasi dell'80 % delle risorse e per ben il 98 % le assegnazioni statali sono predeterminate per il loro utilizzo. La Regione è costretta per una propria politica, ad utilizzare risorse proprie o ricorrendo al credito, con un procedimento non facile nell'odierna situazione monetaria e dei tassi, oppure restringendosi alla ricerca di una qualificazione della spesa vincolata.
Il bilancio di previsione 1981 risente, di certo, di queste difficoltà la relazione della Giunta che l'accompagna, le analizza, ne ricerca il superamento, propone una soluzione con "la progressiva qualificazione della spesa regionale".
Si propone per la spesa regionale "una divisione" in spesa attinente all'esercizio normale delle funzioni e spesa destinata a finanziare nuovi programmi di sviluppo; questa classificazione dovrebbe superare la vecchia suddivisione tra spesa corrente e spesa in conto capitale e diventa essenziale per classificare la spesa pubblica regionale.
Orbene, se così sono correttamente poste le questioni, se i limiti di bilancio derivano da vincoli di legge, dalle risorse limitate di cui dispone il Paese, occorre rimeditare una prospettiva, senza cadere nei facili entusiasmi o nella cupa disperazione, su questa grande intesa nella comunità regionale per un minimo di Programma da attuarsi nel corso della legislatura.
Sappiamo bene che questa proposta può generare equivoci, preludere a grandi intese politiche, che nel nostro caso non possono trovare credito perché una maggioranza, alla Regione Piemonte, esiste; si tratta di condurre insieme forze democratiche all'interno del Consiglio regionale e forze esterne, sociali, ed economiche, un disegno comune, senza invertire responsabilità, senza farne assumere all'opposizione nella gestione, ma raccordando un'azione che in assenza di grande risorse, indichi scelte mobiliti la più gran massa di mezzi nell'ambito regionale, nazionale e della CEE e si renda autore e garante di una società più democratica, alta civile.
Un patto esterno ed interno, senza inversione di ruoli, ma che chiarisca sino in fondo ogni atto dell'amministrazione, offra condizioni di vera partecipazione alle forze politiche e di controllo altresì al Consiglio regionale tutto, dove la centralità è un dato di fondo e tale viene riaffermata.
E che questa sia un'esigenza pressante lo si è avvertito nel corso delle consultazioni che, in occasione del bilancio di previsione 1981 hanno avuto un'ampiezza ed un respiro non riscontrabile in passato.
L'ESAP, la PROMARK, il CSI, L'IRES hanno fornito indicazioni operative e finanziarie per il futuro, mentre la F i n p i e m on te, nel suo documento, ha chiarito che, sulla base dell'esperienza maturata, emerge l'esigenza di stabilire rapporti permanenti e costanti con l'Amministrazione regionale e gli organi comprensoriali al fine di valorizzare pienamente il ruolo di ente strumentale della programmazione e di estendere l'utilizzazione del patrimonio di esperienze che essa ha acquisito in questi anni, ponendolo al servizio anche degli enti e degli organismi istituzionali a livello locale.
La novità di questa consultazione, così importante, sta tutta nel "reclamo" di questo raccordo, nell'assenza di doglianze e di mere richieste e finanziamenti, ma nell'obiettivo di "contare di più", di essere insieme protagonisti, di costituire una grande unità democratica in grado di proporre uno sviluppo decisivo per il Piemonte.
Chiaramente tutto ciò emerge dal documento della Federazione Regionale Coltivatori Diretti laddove dice: "Si sarebbe voluto registrare un impegno politico Complessivo da parte della Giunta regionale nei confronti dell'agricoltura, la cui centralità poteva rappresentare un punto di riferimento per molte scelte politiche conseguenti, riguardanti la pianificazione territoriale, la gestione urbanistica, l'ambiente, le opere gli investimenti pubblici ed in generale la politica della spesa pubblica".
Questo documento, di forte respiro, non si limita quindi alla verifica delle risorse finanziarie, ma prosegue ben oltre: reclama provvedimenti urgenti in ordine ad una diversa organizzazione degli uffici regionali preposti all'agricoltura, sia ad un cambiamento delle attuali procedure di intervento .
Cioè vuole incidere nel quadro complessivo regionale.
La Federazione Industriale del Piemonte si presenterà alla consultazione con un documento molto articolato, impegnato, rigoroso, che affronta quasi tutti i problemi della politica regionale, non limitata a settori di proprio interesse.
Viene definito il ruolo della Regione come ente di spesa, il grado di rigidità del bilancio, la capacità di spesa, l'analisi qualitativa, i programmi di spesa, ambiente, energia, trasporti, rapporto tra industria e utilizzazione del territorio, la formazione professionale, l'individuazione dei settori di intervento anche come fatto moltiplicatore, specie nell'edificazione industriale, pari, per questo solo fatto, a 600 miliardi.
Si richiede, in sostanza, quello che è "il leitmotiv" di questa relazione di maggioranza, cioè la mobilitazione di ogni risorsa l'aggregazione di ogni forza, lo sforzo comune, consapevoli, che solo percorrendo questa strada vi può essere successo.
Il documento della Federazione Industriale del Piemonte, di valore e che rivela alle spalle uno spessore di capacità d'analisi, di documentazione, così conclude: "I temi che abbiamo affrontato, sia nella parte introduttiva d'analisi degli andamenti di spesa e dei parametri caratteristici del bilancio regionale, sia nelle analisi settoriali sottintendono sempre un'unica idea ricorrente che viene ribadita in conclusione: quella del recupero di governabilità nelle scelte di bilancio...".
"Solo con la qualificazione della spesa e con una programmazione operativa per progetti quantificati, la Regione si darà gli strumenti per essere istituzione rinnovata ed innovativa: su questa strada, è quasi inutile sottolinearlo, la collaborazione della componente industriale sarà massima".
Le Associazioni Artigiane nei loro documenti fanno osservare come sia difficile la lettura del bilancio regionale, e pur sottolineando la caratteristica della transitorietà dell'esercizio, rilevano la difficoltà di inserire le previsioni di questo bilancio nel quadro delle passate gestioni, in assenza di una relazione aggiornata sullo stato di attuazione del piano regionale di sviluppò, e di valutarle nell'ottica delle prospettive future, nell'indisponibilità di un bilancio pluriennale quale strumento di attuazione del secondo piano regionale di sviluppo.
La progressiva rigidità del bilancio regionale, derivante dalla caratteristica del vincolo di destinazione prevalentemente assunte dalle risorse erogate dallo Stato e da un inarrestabile, sia pure in misura limitata, incremento delle spese di natura corrente, è un altro elemento di riflessione da parte delle Associazioni Artigiane, nel quale individuano una delle principali cause della diminuzione delle risorse destinate ad investimenti produttivi nel settore.
Infine, l'effettiva riduzione dello stanziamento complessivo di spesa per l'esercizio 1981, rispetto a quello dell'esercizio 1980, è oggetto delle loro critiche, per quella mancanza di impegno che la Regione, a loro avviso, dimostra nel sostenere un settore produttivo quale quello dell'artigianato, che impiega oltre 400.000 unità lavorative, nonostante la capacità anticiclica dimostrata, sia sotto il profilo della produzione che della tenuta occupazionale.
Le loro perplessità sulla diminuzione delle risorse destinate al settore, trova i propri motivi sia nell'ammontare percentuale dei residui passivi, notevolmente inferiori a quelli dell'intero bilancio, e sia nella capacità di spesa dei settori d'intervento più significativi (incentivazioni creditizie e leasing, aree attrezzate, contributi alle Cooperative artigiane di garanzia) per i quali il livello dei residui passivi è quasi irrilevante.
Le loro preoccupazioni sono accresciute poi in conseguenza del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 1981, i cui effetti, se dovessero perdurare, rischierebbero di rendere inutilizzata una rilevante parte delle risorse che la Regione ha destinato al settore artigiano, il 50 % delle quali è utilizzato per il funzionamento delle leggi di incentivazione del credito.
In base a questi elementi di preoccupazione e soprattutto all'incertezza che a tutt'oggi caratterizza le risorse inscrivibili nello stato di previsione dell'entrata, le Associazioni, Artigiane si riservano il giudizio definitivo sul bilancio regionale in occasione dell'assestamento che, in questa situazione, esse considerano il bilancio vero e proprio.
L'Unione Regionale delle Province rileverà la necessità di rendere più esplicita la sua politica verso le istituzioni locali.
Proseguirà con un'affermazione che dovremo decisamente discutere non in termini di contrapposizioni e Cioè rapporto tra Provincia e Comprensorio: "al di là della soluzione che verrà data all'ente intermedio l'integrazione tra strutture provinciali e comprensoriali si impone per l'evidente complementarietà di valenza oggi rappresentato da questi due organismi".
Questa affermazione viene ripresa nei documenti comprensoriali che rivelano vasta preparazione, un livello qualitativo di eccezionale portata.
E' evidenziato il ruolo di programmazione e di pianificazione comprensoriale con la chiara indicazione che: "la costruzione attorno alle Regioni di uno Stato decentrato, fondato su una rete diffusa di autonomie costituisce la più importante innovazione recata negli anni '70 alla Costituzione, e l'individuazione di schemi organizzativi e procedimentali di collaborazione, codecisionali, cogestione degli interventi fra poteri centrali e collettività locali è il vero tema cruciale della nostra democrazia".
A conclusione di questo ampio ed articolato processo di consultazioni qualcuno, e certo sarà fatto, si chiederà a quale risultato hanno portato quali linee recepite, quali variazioni intervenute.
Noi, senza alcuna ipocrisia, diciamo che molte osservazioni, critiche suggerimenti, hanno lasciato il segno.
Le consultazioni non hanno riguardato soltanto le risorse finanziarie ma il modo stesso di collocarsi della Regione, la sua politica di piano, la correlazione tra bilancio annuale, pluriennale e la programmazione, gli obiettivi che si intendono cogliere, gli eventuali progetti.
In molti interventi si è colta anche l'esigenza di definire i termini della programmazione, cioè se per interventi diffusi o per progetti, o mediando tra le due ipotesi, come appare dal programma della Giunta regionale.
Ma le consultazioni, su di un bilancio annuale o pluriennale non hanno quasi mai un effetto modificativo immediato, si pongono in prospettiva offrono un terreno di lunga intesa.
E pensiamo di poter affermare che la Giunta regionale si è fatta carico di molte istanze.
In particolare, importante è apparso il concetto del ruolo nuovo della Provincia, collegata in assenza di normativa nazionale, ad un generale indirizzo regionale, utilizzata nelle sue strutture spesso di grande livello tecnico-operativo, volta a diventare essa stessa momento comprensoriale, a non disperdere tanta esperienza e capacità, che potranno tradursi in più numerosi nuclei territoriali ed assumere un ruolo decisivo di cogestione democratica.
Le esperienze della seconda legislatura, le leggi adottate contabilità, piano di sviluppo, procedure di spese ed aggiornamenti, legge tutela ed uso del suolo, sanitario, assetto del territorio, boschi ecologia, ambiente, sono piene di risultati positivi ed offrono alla nuova Giunta, che si ricollega alla precedente, le condizioni per tin ulteriore salto qualitativo.
Ma non solo questo aspetto è stato Colto dalla Giunta regionale di autentico Significato delle consultazioni.
Il bilancio di previsione 1981 ed il pluriennale 1981/1983 hanno subito delle modificazioni proprio in settori dove più pungenti erano apparsi i rilievi e le critiche.
Le aree di attività dell'agricoltura, del territorio, lavori pubblici culturali hanno trovato nuovo spazio, molti problemi sono stati affrontati.
D'altronde, e lo spiegherà la Giunta, fittizia appare la riduzione dell'area dell'agricoltura per assestamenti finanziari; in realtà vi è un sensibile consolidamento.
Signori Consiglieri, questa Regione ha saputo superare nella passata legislatura dure prove.
Il fenomeno eversivo ha prodotto danni atroci, e noi oggi vogliamo ricordare le vittime di tanta ferocia, le forze della Magistratura e dell'Ordine che si sono prodigate, oltre ogni limite, i familiari dei caduti che tanti dolori hanno sofferto.
Questa Regione, nel quinquennio, ha subito alluvioni di eccezionale gravità, nell'Ossola, nell'Alessandrino, nella Val Sesia, nel Chisone ed in altre valli. I danni hanno superato i 250 miliardi.
Tutto è stato ricostruito o in fase di ultimazione d'opera! Ciò ha comportato sacrifici immensi nei bilanci 1978-79-80, pur con l'intervento del Governo e del Parlamento.
Questo bilancio risente ancora di quelle situazioni, molte spese vengono a ricadere nel 1981.
In particolare, in Piemonte, esistono condizioni assai difficili dal punto di vista occupazionale.
Venticinquemila lavoratori Fiat sono in cassa integrazione dall'ottobre 1980, migliaia nei settori dell'indotto, della chimica ed altri comparti produttivi.
Per ora, con franchezza, non ne vediamo il rientro. Stanno per essere superati i sei mesi e le prospettive sono lontane.
Consiglio e Giunta hanno già attivamente operato e questo bilancio pu diventare un ulteriore contributo per una ripresa produttiva anche diversificata.
All'apertura della discussione del bilancio si chiude la discussione sul capitolo energia.
Può essere un momento significativo di quella "mobilitazione" delle risorse nella nostra comunità regionale. Già l'Assessorato all'ambiente ed all'energia ha fatto passi da gigante con gli studi in proposito, la proposta della Commissione mista Regione - ENEL - CNEN - CNR e con l'accordo già stipulato Regione - ENEL.
I l bilancio 1981 ed il pluriennale 1981/1983 possono offrire l'occasione per un processo ancora più alto e decisivo, sotto l'aspetto produttivo ed occupazionale.
La voce "energia" può essere trainante per una serie di motivi di fondo, quali l'occupazione, la ricerca, la tecnologia.
Allora occorre aprire subito con i Ministri dell'Industria Pandolfi del Bilancio e Programmazione La Malfa, del Tesoro Andreatta, una trattativa globale, che comprenda nuove ipotesi per l'energia in Piemonte.
Il Ministro Pandolfi ha già fatto la prima visita a Torino.
Aprire la trattativa a Torino, non altrove, per affermare questa volontà e questo significato, cioè confrontarci su tutto: energie rinnovabili, centrali idroelettriche (Gesso-Piedilago, Tanaro, Moiola), la trasformazione a carbone della centrale di Chivasso e le altre mille centrali grandi e piccole abbandonate, l'uso plurimo delle acque, per irrigazione, potabilità, industria (questione sempre rifiutata da Governo ed ENEL), e misurarci infine con l'ipotesi di costruzione della centrale nucleare, senza ritardo alcuno, con la garanzia della sicurezza dell'ambiente e della vita dell'uomo.
Ripetiamo una trattativa globale con i Ministri interessati, che finalmente faccia crescere la presenza e la competenza regionale garantisca alla Regione un'effettiva partecipazione a questi processi.
L'Assessorato all'ambiente ed all'energia si è mosso in questa direzione. Ma occorre far presto, domani, come suol dirsi.
L'investimento previsto non è di certo inferiore ai 10.000 miliardi ed interessa le industrie elettromeccaniche, meccaniche, dell'edilizia, dei veicoli pesanti, della siderurgia, dell'elettronica, dell'informatica. Cioè tutti i settori per i quali la Regione propone investimenti diversificatori.
L'occupazione potrebbe interessare nei primi dodici mesi almeno 10.000 lavoratori ed altri 10.000 nei Ventiquattro mesi, con un investimento moltiplicatore per 20.000 miliardi.
Questo non significa affatto "un grande pranzo" per l'industria, come qualcuno ha detto. Significa uscire dalla crisi, occupare migliaia di giovani che vogliono essere protagonisti, coprire il deficit energetico dare avvio a processi produttivi più alti, "una vita civile migliore".
Tutto si è realizzato con il consenso dei cittadini, con la partecipazione, cioè con la mobilitazione di tutte le forze, le energie istituzioni, forze economiche, sociali.
Questo tema ve lo riproponiamo, signori Consiglieri, nel rassegnarvi il bilancio di previsione 1981 ed il pluriennale 1981/1983.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Testa.



TESTA Gianluigi, Assessore al bilancio

Il relatore di maggioranza, già nella sua introduzione, ha fatto riferimento ai tempi di presentazione dei documenti contabili.
Il quadro di incertezze in cui ci siamo mossi ed in cui attualmente ci muoviamo fa sì che la terza nota di variazione sia disponibile presso la sala del Consiglio, ma che forse ancora ulteriori elementi emersi nella giornata di ieri comportino che vengano modificati alcuni dati durante il dibattito, perché il quadro della finanza locale è attualmente in tale divenire da portare costantemente a delle modifiche.
All'interno di questi elementi di novità che sono stati introdotti anche negli ultimi giorni, vorrei citare il D.P.R. 38 che, in sostituzione del D.P.R. 901, ha innovato relativamente al regime della finanza locale.
Questa citazione non è fatta a casa, perché il D.P.R. 38 sembra confermare quella linea di limitazione del credito agli Enti locali che già era stata segnalata nella relazione di bilancio come uno degli elementi critici del bilancio 1981. Questo elemento della limitazione del credito agli Enti locali emerge anche da questo nuovo decreto e nel comportamento e nella prassi della Cassa Depositi e Prestiti che, proprio in questi giorni, ha rilasciato alcuni certificati di mutui a Comuni, articolati non più su 35 anni, com'era consuetudine, ma su dieci anni. Su questo la Giunta ha già fatto richiesta urgente di spiegazioni alla Cassa Depositi e Prestiti e posso anticipare che la Cassa ha indicato - questo fatto come riferito solamente a lavori di manutenzione, ma che invece riguarda lavori di una certa importanza - una decisione presa dal Consiglio di amministrazione che ancora non è stata comunicata ai Comuni. Questo è un elemento che io pongo all'attenzione dei colleghi perché se questa tendenza della Cassa Depositi e Prestiti a ridurre il mutuo da 35 anni a 10 anni dovesse andare avanti significherebbe ridurre le possibilità concrete all'interno del Paese e quindi della nostra Regione, di mutuare e di eseguire delle opere pubbliche.
Tornando al discorso del bilancio 1981, già più volte si è parlato di un anno di transizione, di un momento di riflessione, in quanto il bilancio si porle logicamente e cronologicamente a cavallo tra la fine del primo piano di sviluppo regionale e l'inizio del secondo. Questo significa che le scelte contenute nel bilancio - come la relazione precisava - sono più la conseguenza delle scelte fatte nel passato che non l'anticipazione, se non per certi aspetti, delle scelte che dovranno essere fatte nel futuro. In quest'ottica il documento bilancio non può contenere grosse novità, ma semmai la conferma delle scelte politiche della precedente legislatura, di cui questa è la logica continuità.
Vorrei segnalare alcuni elementi significativi del bilancio e, in particolare, il primo dato politico rilevante è che a fronte di entrate che superano i 2.600 miliardi, solo il 20 % delle risorse (un po' più di 500 miliardi) può essere destinato dalla Regione ai compiti istituzionali che le sono affidati ed alla realizzazione dei propri obiettivi. Vorrei sottolineare questo fatto perché credo che tutte le discussioni che poi faremo sul bilancio 1981 vadano collocate in questo quadro di una quantità di risorse libere estremamente limitate e, quindi, di una difficoltà obiettiva da parte del governo regionale nel distribuire queste risorse in relazione alle richieste che sono emerse anche durante il processo di consultazione o che, comunque, vengono dalla società piemontese. La diminuzione del quadro di risorse disponibili è ulteriormente peggiorata dal fatto che dei 500 miliardi circa che costituiscono queste risorse il 22 è assorbito dalla cosiddetta area, di attività, cioè dall'attività corrente gestionale della Regione. Quindi i 500 miliardi sono ulteriormente decurtati di 110 miliardi destinati a spese fisse che la Regione deve sostenere per sviluppare la propria attività e mantenere le proprie strutture.
Ancora, da queste risorse fresche non vincolate, vanno sottratte quelle somme che sono già impegnate per annualità pregresse - e su cui, quindi, la Regione non ha possibilità di manovra - o che derivano da slittamenti avvenuti nel precedente esercizio che, come è precisato anche nella relazione di bilancio, assommano globalmente ad altri 160 miliardi, ossia il 32 % circa delle risorse disponibili.
Quello che rimane, in sostanza, da distribuire in risorse fresche regionali sono 230 miliardi, che costituiscono la base su cui vengono fatte le scelte regionali di spesa. Duecentotrenta miliardi che sono stati distribuiti come segue: 15 miliardi all'area 1; 60 miliardi all'area 2; 51 miliardi all'area 3; 28 miliardi all'area 4; 60 miliardi all'area 5. La relazione poi dà nel dettaglio questa distribuzione e va integrata con i dati della terza nota di variazione.
La diminuzione di risorse disponibili nel bilancio regionale è rilevante sia in assoluto che in percentuale. In particolare, per quanto concerne la percentuale, noi passiamo dal 21,9 % del '78 al 18,3 % del '79 al 13,5 % dell'80 e siamo scesi, nell'81, al 9,3%.
Molti documenti della consultazione lamentano la diminuzione delle risorse e molti documenti presentati dalle associazioni di categoria fanno richiesta di ulteriori finanziamenti per quanto riguarda il proprio settore. Va precisato con estrema chiarezza che la riduzione delle risorse non dipende dalla volontà regionale di penalizzare l'uno o l'altro settore ma dalla pratica impossibilità di disporre delle risorse necessarie. Credo quindi, che la Regione non costituisca, in questo momento, punto di riferimento per l'allargamento delle risorse, ma punto di riferimento costituisce lo Stato e, in particolare, l'occasione - di cui parleremo più avanti - della nuova disciplina della finanza regionale.
Di tutta l'entrata libera da vincoli una parte cospicua è costituita dalle spese di investimento e dai mutui che sono contratti a fronte di tali spese. In particolare, dell'area di 500 miliardi che ho segnalato prima 170 miliardi (costituenti il 34% delle entrate) sono dovuti a mutui. La politica regionale dei mutui da un lato tende ad esprimere nel bilancio il tetto massimo di indebitamento, partendo dal concetto che l'ente pubblico deve mobilitare tutte le risorse disponibili, ma dall'altro di contrarre in effetti mutui che servano in relazione all'obiettiva situazione di cassa per evitare un aggravio nella situazione finanziaria della Regione che deriverebbe dalla contrazione di mutui che non fossero strettamente indispensabili per ragioni di cassa.
Devo anche dire che la propensione della Regione a stipulare mutui tende a crescere in quanto l'accelerazione della spesa regionale porta necessariamente a dover aumentare la quota di entrata effettiva rispetto a quella iscritta a bilancio. Ovviamente, questa manovra significherà un ulteriore elemento di rigidità in quanto, se noi oggi andassimo a contrarre tutti i 170 miliardi di mutui, avremmo ai tassi attuali circa 30 miliardi all'anno di interessi passivi aggiuntivi rispetto a quelli che già sono compresi in bilancio. Le condizioni sul mercato finanziario peggiorano ulteriormente nel senso che recentemente mutui che ci erano stati promessi per durata di 20-25 anni sono stati rinnovati, come ipotesi, a solo 16-17 anni e, quindi, a tassi crescenti. Pertanto richiamo al discorso che facevo prima sulla manovra della Cassa Depositi e Prestiti, la collego con il comportamento degli enti a cui abbiamo chiesto questi mutui, per dire che è in atto in Italia una manovra globale di strangolamento finanziario che colpisce non solo l'impresa privata ma anche l'ente locale.
Come già detto nella relazione, nel bilancio 1981 due concetti Fondamentali sono stati posti alla base della ripartizione della risorsa: la qualificazione della spesa, la quantificazione degli stanziamenti in relazione alla loro effettiva spendibilità. Per quanto concerne il primo punto la spesa corrente è stata compressa nel 33% e quella di investimento portata al 64%. Ovviamente, questi dati sono al netto della spesa sanitaria. Questa scelta, sia chiaro, ha un importante valore politico, in quanto la spesa corrente, non solo intesa come funzionamento dell'apparato regionale, ma anche come trasferimenti di parte corrente ad altre amministrazioni e privati, sta a simboleggiare il ruolo gestionale della Regione e la sua funzione amministrativa, più che quella scelta di programmazione e di coordinamento che, invece, sta alla base di un concetto corretto di Regione che è una delle scelte fondamentali di questa legislatura.
Una serie di recenti leggi dello Stato pare, invece, indicare la volontà da parte del potere centrale di trasformare sempre più le Regioni in uffici decentrati dello Stato stesso e non in momenti significativi delle autonomie locali. Alcuni esempi di leggi anche recenti stanno a dimostrare questo tentativo che svuota le autonomie locali del loro effettivo significato per dare loto quello di un momento burocratico decentrato e, come tale, più funzionale, rispetto all'economia locale, del momento centrale.
Noi riteniamo invece che la filosofia debba essere quella di rendere la Regione soggetto attivo della politica economica del proprio territorio e questo non è possibile se le risorse non sono disponibili per svolgere quelle azioni di politica economica che servono a realizzare gli obiettivi proposti nel piano di sviluppo.
Relativamente al problema della spendibilità e quindi di questa seconda linea seguita nel bilancio di porre a bilancio solo quelle spese di cui si avesse una ragionevole certezza che andassero ad essere corrisposte entro il 1981, va anche detto che lo stesso meccanismo ha portato ad attivare in questa occasione il bilancio pluriennale. Per la somma di quasi 14 miliardi, infatti, degli impegni in conto interessi che erano stati richiesti da singoli Assessorati per svolgere delle iniziative di loro competenza, sono stati iscritti nel bilancio pluriennale 1982. In questo modo sarà possibile da un lato evitare i residui passivi nella gestione 1981, dall'altro avviare maggiormente il processo di programmazione attraverso una maggiore attivazione del bilancio pluriennale, dal terzo punto di vista imputare la spesa all'anno in cui effettivamente si realizza, senza con questo bloccare la macchina regionale, nel senso che nel 1981, relativamente a queste cifre di 14 Miliardi, gli Assessorati potranno assumere le delibere e compiere tutti gli atti conseguenti e noi sappiamo che poi il rateo, trattandosi di conto interessi; verrà poi pagato nella gestione del 1482.
Questo elemento io lo ritengo significativo per l'impostazione del bilancio 1981, anche perché la prosecuzione su questa linea dovrebbe rendere per ogni esercizio maggiormente disponibili somme necessarie per fare spese che hanno urgenza e significato nel bilancio in atto ma, nello stesso tempo, non bloccate il, processo di programmazione e di sviluppo per gli anni successivi. Anche la Cassa Depositi e Prestiti acconsente a che delibero Prese nel 1981 sulla competenza 1982 possano poi essere finanziate dalla Cassa stessa qualora si tratti di interessi trasferiti agli Enti locali.
Per attuare questo meccanismo, però, e in attesa della modifica della legge di contabilità (che è uno degli obiettivi che l'Assessorato si propone di realizzare nel 1981) verrà presentata in Consiglio un'apposita legge finanziaria perché i capitoli iscritti nel bilancio 1982 abbiano validità giuridica e, quindi, le relative delibere di impegno sortiscano tutti gli effetti che sono necessari.
Una breve notazione vorrei dare anche all'esito delle consultazioni argomento al quale è già stato dato ampio spazio nella relazione del Consigliere di maggioranza.
Uno degli elementi fondamentali emersi dalle consultazioni, che sono state ampie nonostante il tempo limitato concesso, è il fatto che molte osservazioni pervenute non riguardano solo le richieste di ogni singola categoria, peraltro legittime, di avere maggiori fondi a disposizione, ma riguardano la stessa concezione del bilancio regionale e la linea che il bilancio regionale ha portato avanti.
In questo senso ritengo che nelle consultazioni sia stato fatto un salto qualitativo, pertanto vanno ringraziati tutti coloro che hanno partecipato ed hanno portato un contributo perché la Regione, attraverso questo suo fondamentale documento di programmazione della spesa, possa recepire i suggerimenti che sono pervenuti.
Sempre relativamente alle consultazioni ritengo sia doveroso fornire due risposte rispetto ai documenti presentati. La prima concerne il discorso dell'agricoltura. Già il Consigliere Viglione nel suo intervento ha detto che la riduzione dei fondi agricoli, di cui tanto si parla nei giornali - ancora ieri sera la "Stampa Sera" dedicava un ampio articolo a questo discorso - è più apparente che reale. Io credo che, al di là delle notazioni o dei giudizi soggettivi, la parola vada in questo caso data ai numeri e questi dimostrino che quanto è stato affermato circa la diminuzione di risorse nell'agricoltura, tenendo conto anche delle risorse iscritte per il 1982 ma spendibili già nell'81, non risponde a realtà.
In particolare, le osservazioni della Coldiretti si centrano su una presunta diminuzione dei fondi per l'agricoltura, a fronte di un aumento sempre secondo la Coldiretti - del 19 % del bilancio regionale. E' opportuno, per obiettività, precisare i termini esatti in cui si pone il problema. Innanzitutto non è esatto che le risorse regionali si accrescano del 19% (e intendo le risorse libere, in quanto non ha senso in questo caso riferirsi alle risorse vincolate): abbiamo visto, infatti, che i fondi liberi da vincoli scendono in cifra assoluta da 280 miliardi nel 1980 a 230 miliardi nel 1981, con una diminuzione del 17,85% . Il primo dato è quindi, che non è esatto questo aumento del 19% ma, ripeto, riferendosi solo alle risorse disponibili, in quanto le altre sono risorse fittizie è la Regione non ne può disporre. Anche dimenticando questo dato, e quindi non facendo, come la Coldiretti, una estrapolazione discutibile tra la diminuzione dei fondi in agricoltura e l'aumento dei fondi regionali, per dimostrare che poi, nella sostanza, l'agricoltura diminuisce del 28%, va notato che le risorse regionali per l'agricoltura, alla luce anche della terza nota di variazione, sono pari a 49 miliardi 515 milioni (arrotondati) contro 44 miliardi 450 milioni dello scorso anno e con un aumento, quindi pari all'i 1,23%.
Questi dati sono contenuti in alcune tabelle su cui relazionerà poi l'Assessore Ferraris.
L'aumento delle risorse regionali libere che viene destinato all'agricoltura è quindi dell'11,23%. Quelle che diminuiscono sono le risorse statali a destinazione vincolata, che passano da 81 miliardi e 693 milioni a 46 miliardi 783 milioni. Ma anche a questo proposito vanno fatte due precisazioni: 1) nel bilancio 1980, che è stato preso come raffrontò rispetto al bilancio 1981, era compresa la quota relativa alla legge 984 assegnata tardivamente per il 1979 ed ammontante a 34 miliardi. I fondi statali per il 1980 sono, quindi, più correttamente quantificabili in 47 miliardi circa.
2) l dati del 1980 sono a consuntivo, mentre quelli del 1981 sono a preventivo. Non è difficile prevedere che il rifinanziamento di leggi importanti, quali la 153, venuta a scadenza, i fondi straordinari già previsti con l'iter parlamentare della legge 403 e a favore della vendita di latte e vino, ed infine quelli prevedibili per la 364 non possono portare, sia purè in termini prudenziali, ulteriori 25-30 miliardi di incremento durante l'anno, portando il totale dell'agricoltura, nella peggiore delle ipotesi a 120 miliardi e nella migliore a 130 miliardi per il 1981. Essendo il, dato esatto del 1980 depurato della quota impropria iscritta per il 1979 di 92 miliardi, l'aumento può essere considerato, se questa ipotesi si verifica, notevole. Se questa ipotesi non si verifica comunque ribadisco che le risorse regionali destinate all'agricoltura sono aumentate dell'11,23 % rispetto allo scorso anno, a fronte di una diminuzione delle risorse libere regionali del 18%.
Credo, quindi, che questo argomento vada puntualizzato, perché le accuse secondo cui la Giunta riserverebbe all'agricoltura un ruolo marginale nel proprio piano di sviluppo non sono giustificate da questi elementi di fatto. Per quanto concerne, poi, le critiche rivolte al funzionamento della legge 33/1980, contenute nella stessa relazione della Coldiretti ed al funzionamento della macchina regionale dell'agricoltura lascio al collega Ferraris una risposta in merito, in quanto argomenti a me non competenti.
Per quanto riguarda le osservazioni della Federpiemonte, che hanno il pregio di fornire un'attenta interpretazione del bilancio regionale, anche se alcuni dei dati rielaborati non corrispondono alla realtà dei numeri - e qui mi rendo conto che il bilancio è molto complesso e che quindi è facile cadere in errori di classificazione - va detto che i punti relativi al grado di rigidità del bilancio, al peso crescente della parte vincolata e a quello decrescente delle risorse proprie sono corretti e condivisi ancorché contenuti nella stessa relazione di bilancio.
Per quanto riguarda la capacità di .spesa, ed in particolare l'osservazione che la Regione non ha negli ultimi tre anni speso circa il 20 % delle proprie risorse, sempre contenuta nella relazione Federpiemonte va precisato che essendo stato redatto il bilancio 1981 con criteri di effettiva spendibilità, questa situazione dovrebbe essere in parte superata. Dico "dovrebbe essere" perché gli sforzi che sono stati fatti nel senso che dicevo prima, cioè dell'effettiva spendibilità del bilancio e della qualificazione della spesa, non si considerano un punto di arrivo nel bilancio regionale, ma semmai un punto di partenza per ulteriori modifiche che ai bilancio vanno introdotte. Peraltro, questi due criteri ed il salto qualitativo che viene auspicato da parte della Federpiemonte, noi pensiamo abbia trovato in questo bilancio una logica prosecuzione dei perfezionamenti apportati negli ultimi anni al bilancio regionale e potrà essere man mano più marcato, man mano che l'esperienza degli uffici e degli organismi regionali sulla nuova legge di contabilità (che è entrata in vigore da soli tre anni) potranno dare i risultati sperati.
Sulle altre osservazioni emerse durante le consultazioni credo che il relatore di maggioranza abbia già fornito nella sua relazione elementi sufficienti di risposta.
Credo che a questo punto sia opportuno dare anche un quadro delle iniziative che l'Assessorato al bilancio e finanze intende svolgere nell'anno 1981, sempre in tema di bilanci. Tengo a confermate in questa sede quanto già annunciato in sedi precedenti, che il consuntivo dell'anno .1980 sarà presentato a questo Consiglio secondo i termini previsti dalla legge.
Noi ci muoveremo, in particolare, nel 1981 su alcuni punti che illustrerò brevemente. Il primo è quello della leggibilità e trasparenza del bilancio. Nonostante le azioni fatte nel 1981, soprattutto a livello di relazione - che è stata da questo punto di vista apprezzata da parte di molti enti - per rendere il bilancio più leggibile e trasparente, noi riteniamo che l'obiettivo non sia ancora completamente raggiunto anche per i meccanismi stessi contenuti nella legge dl contabilità ed applicati al bilancio (mi riferisco, ad esempio, alla reimpostazione dei fondi statali al problema dei residui passivi, al trasferimento da residui a competenza e ad altri fatti tecnici), il 1981 sarà quindi caratterizzato da un'operazione che noi chiamiamo di "pulizia" del bilancio, di revisione di tutte le somme iscritte, anche perché siamo convinti che attraverso questa operazione potranno emergere delle risorse che in sede di assestamento si riveleranno preziose per le necessità che il governo regionale dovesse manifestare.
Secondo elemento di azione dell'Assessorato è quello di qualificazione della spesa. Anche su questo abbiamo già detto che l'azione di quest'anno non è un punto di arrivo ma un punto di partenza. A questo proposito è in atto la creazione di un vero e proprio sistema di controllo gestionale delle spese per ogni singolo Assessorato, per imputare ad ogni centro di costo assessorile i costi ad esso competenti, nonché un secondo studio che riguarda gli effetti della spesa di investimenti in termini di politica economica regionale, iniziative entrambe che proseguono una logica già iniziata dalla precedente amministrazione e che vanno ulteriormente approfondite, anche al fine di fornire alla Giunta ed al Consiglio degli elementi di chiarezza e di scelta.
Per quanto concerne l'altra linea politica seguita nel 1981, relativa all'effettiva spendibilità delle somme iscritte a bilancio, è attualmente in creazione un sistema informativo con il CSI che permetta di seguire periodicamente il livello della spesa, non più riferita ad aggregati globali, ma ad aggregati specifici di ogni singola spesa. Credo che questo sistema possa poi essere messo a disposizione di tutti gli enti della Regione.
L'altro obiettivo che ci poniamo è quello della fluidificazione della spesa. Devo qui dire, a proposito di questo fatto, che gli sforzi compiuti per rendere più fluida la finanza regionale hanno cominciato a dare dei loro effetti. Mi limiterei a fornire dei dati che, nella loro crudezza credo meglio di ogni altro commento possano dare l'indicazione della linea lungo cui si muove. Infatti, mentre nel periodo 1/1/1980 - 1/7/1980 vi erano stati 17.855 mandati per 738 miliardi, con una media di circa 2.550 mandati al mese e con 105 miliardi di liquidazione al mese, dall'1/6/1980 al 31 dicembre (questo periodo è penalizzato dalle ferie, l'altro è stato penalizzato dalle elezioni, quindi sono forse abbastanza comparabili) i mandati sorgo stati 15.933, i pagamenti 1.296 miliardi, cioè la media dei mandati emessi dalla Regione è salita dai 2.550 dei primi otto mesi ai 3.186 dei successivi quattro mesi ed i pagamenti sono saliti da 105 a 259 miliardi E' evidente che in questo influisce anche il fatto che verso fine anno vi è una naturale accelerazione del processo dei pagamenti, per evitare l'accumulo dei residui passivi e per liquidare le pratiche ch possono esservi. Ma, accanto al problema del funzionamento della macchina regionale nel settore delle finanze, vi sono altri elementi utili per fluidificare la spesa regionale e, in particolare, riteniamo che due debbano essere attivati: la revisione della legge di contabilità, su cui è pronta una bozza che viene in questi giorni discussa all'interno dei nostri uffici prima di essere presentata nelle sedi competenti; una nuova legge di contabilità che facendo tesoro dell'esperienza di questi anni consenta di innovare sul testo precedente e di introdurre quelle variazioni che valgano maggiormente per il perseguimento degli obiettivi indicati; secondo, la revisione degli articolati di spesa delle leggi di spesa. Ci rendiamo conto che molte volte una delle cause del rallentamento dei pagamenti della Regione consiste anche nella diversità con cui le varie leggi di spesa prevedono la liquidazione del pagamento e, quindi, in unta difformità di procedure che comporta speso dei tempi lunghi.
Infine, noi pensiamo che un'ulteriore modifica da farsi nel 1981 sia quella di lasciare più tempo e più spazio al dibattito ed all'approvazione in Consiglio dei documenti contabili. Da questo punto di vista l'Assessorato è cosciente che il dibattito che è oggi in aula e la fase che l'ha preceduto sono caratterizzati da tempi stretti e da una certa affannosa corsa alla preparazione dei documenti, dovuti peraltro alla necessità di recuperare, rispetto al periodo di interruzione della legislatura e rispetto al ritardo con cui si è verificato l'assestamento ed il consuntivo. Come ho già detto prima, a partire dal consuntivo - che sarà presentato entro il 30 aprile e che la legge prevede di approvare entro il 30 giugno, documento di grande importanza politica perché consente di verificare l'attuazione delle scelte fatte - i tempi saranno rispettati in modo da consentire anche ampi dibattiti e tempo sufficiente. Per riassumere, i programmi che sono stati enunciati evidenziano che i principi fondamentali su cui si muoverà la Giunta sono: il rigore nella gestione della spesa pubblica, il controllo dell'efficacia della stessa, sia all'interno che all'esterno della Regione, la dotazione di tutta la strumentazione necessaria per una verifica costante dell'uso delle risorse e dell'efficacia del loro impiego; l'individuazione coerente alle scelte politiche delle aree prioritarie di intervento.
Ma tutto questo può essere vano o di scarsa efficacia se noti si faranno, in pari tempo, dei significativi passi avanti nel discorso della finanza regionale.
La scadenza della legge 356 è, a nostro giudizio, un'occasione per riflettere su come abbia funzionato la finanza regionale in questi anni e su quali principi debba essere imperniata per il futuro. Ritengo che non sia estraneo al nostro dibattito ed ai problemi che dobbiamo dibattere aggiungere alcuni elementi circa la finanza regionale, anche perché le scelte di finanza regionale saranno quelle che condizioneranno il nostro bilancio nei prossimi anni.
N o i riteniamo che, alla luce degli elementi di difficoltà che emergono dalla lettura del bilancio 1981 e da quelli ancor più gravi che emergono dalla consultazione del bilancio pluriennale, si debbano rivedere alcuni concetti fondamentali alla base della legge della finanza regionale e, in particolare, proponiamo alcune modifiche: innanzitutto l'eliminazione dei vincoli di destinazione su tutta la finanza ordinaria sistema vincolistico oggi esistente assomiglia ad una tutela di minore incapace ed impedisce che ingenti risorse siano nel concreto spese. Mi rendo conto che è necessario che certe leggi date per sviluppare alcuni settori non vedano i loro finanziamenti destinati ad aree diverse stravolgendo quel minimo di programmazione che nel nostro Paese si riesce a fatica, a realizzare; ma se vincoli in qualche modo devono esserci, siano più generali e, in ogni caso, vi sia una partecipazione delle Regioni nella loro definizione, in modo da garantire che una volta assegnate le somme siano facilmente spendibili dalle Regioni.
Il secondo suggerimento, relativamente alla legge sulla finanza regionale, è quello di introduzione di obiettivi finanziari su tutti gli aspetti della finanza regionale e, in particolare, sulla struttura della spesa e sulla suddivisione tra spesa di investimento e spesa di parte corrente, sul suo volume complessivo, sulla capacità di spesa intesa come rapporto tra i fondi disponibili e quelli che vengono realmente spesi. Noi crediamo che in questa situazione, in cui le Regioni si sono dimostrate non omogenee e non di una stessa capacità nel portare avanti il discorso regionale, non dobbiamo rischiare che il discorso delle Regioni venga "affogato" dal fatto che non tutte le Regioni seguono la stessa linea. Già il decreto 901, quando era in fase di approvazione al Senato, aveva avuto una richiesta di modifica nel senso di togliere il vincolo sui piani di sviluppo regionale - ricordate il 40%, che adesso sul D.P.R. 38 è diventato 80 % - di finanziamenti che devono essere dati prioritariamente in relazione ai piani regionali di sviluppo. L'obiezione nata in Senato era che, per il fatto che mancassero molti piani di sviluppo in molte Regioni questa clausola sarebbe rimasta inapplicata. Noi non crediamo, quindi, che si debba proseguire con questo metro, ma crediamo che vadano introdotti nei confronti delle Regioni dei discorsi di raggiungimento e di somministrazione di risorse in relazione a questo tipo di obiettivo: introduzione di traguardi finanziari sugli aspetti più rilevanti, cioè struttura della spesa, volume complessivo della spesa e capacità di spesa finanziamento della finanza di sviluppo su base di programmi. Noi riteniamo che non possa essere fatta una suddivisione dal punto di vista della finanza di sviluppo acritica tra le diverse Regioni, penalizzando le Regioni come la nostra e dotate di piano di sviluppo e quindi di capacità di spesa, invece a vantaggio di quelle Regioni che rimanendo inattive accumulano risorse senza dar luogo ai programmi di sviluppo. Il potere centrale finanzi, sulla base di piani e di accertate capacità di realizzazione, le Regioni più capaci di spendere e intervenga direttamente per non penalizzare quelle Regioni in cui la non capacità di spesa rischierebbe di deteriorare ulteriormente la situazione della Regione stessa. Introduzione di indici di controllo degli effetti finanziari dei trasferimenti agli Enti locali con penalizzazione nel caso di mancata o distorta utilizzazione delle risorse. Credo che il problema dei trasferimenti, che ha acquisito nella finanza regionale una dimensione rilevante, vada anche affrontato da questo punto di vista, al fine di consentire che si raggiungano gli obiettivi che sono dati. Revisione dei parametri di distribuzione per la finanza ordinaria, introducendo accanto ad elementi di riequilibrio territoriale anche considerazioni sulla capacità di spesa e sulla funzione allocativa, concentrando beni e servizi pubblici nelle zone di maggior necessità. Norme di coerenza tra procedure di spesa e procedure di gestione urbanistica e, in particolare, per quanto concerne i programmi pluriennali e gli impegni che essi comportano a livello di finanza regionale. Allargamento della base di indebitamento, non limitandola alle sole spese di investimento, ma ammettendo che una parte di spesa corrente, purché pluriennale e produttiva, partecipi a determinare questa base.
Revisione, infine, degli obblighi di classificazione contenuti nella legge 335, con introduzione di classificazioni per destinazione territoriale e raccordo con le Classificazioni comunali, per consentire una più facile redazione di bilanci, consolidati per territorio.
Per concludere, il progressivo irrigidimento delle disponibilità regionali e il trasferimento progressivo di competenze da "ufficio decentrato" del Governo centrale previsto da alcune leggi anche recenti tendono a configurare per i prossimi anni per le Regioni un ruolo assai diverso da quello istituzionale e in senso opposto alle speranze di tutti coloro che credono nelle autonomie locali, nelle Regioni e nell'importanza della programmazione per lo sviluppo del nostro Paese.
Se la nuova legge sulla finanza regionale confermerà questo indirizzo la soppressione delle Regioni come momento di autonomia amministrativa avverrà di fatto attraverso il progressivo soffocamento delle loro risorse e, quindi, della loro capacità di incidere sul loro territorio. Questo rischio va denunciato à chiare lettere e la sede di discussione del bilancio 1981 pare essere la più, opportuna.
L'azione da svolgere perché ciò non avvenga è soprattutto politica e rivolta in due direzioni: da un lato sul governo centrale, affinch riconfermi il ruolo delle Regioni e dia loro i mezzi necessari per funzionare; dall'altro lato sulle Regioni stesse; troppe volte si cede alla tentazione di fare della Regione un grosso comune, impegnato a fondo nella gestione e che quindi va a sovrapporsi agli altri Enti locali, venendo meno a quei compiti di programmazione e di coordinamento che Sono loro propri.
Credo che attraverso una spinta politica su questi due poli si possa ridare all'istituto delle Regioni il fiato necessario perché l'istituto porti a compimento gli obiettivi per cui è stato creato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Signor Presidente, signori Consiglieri, la presentazione ed il conseguente dibattito sul bilancio di previsione costituiscono sempre un momento significativo ed importante. Si tratta di cavare nella realtà dei numeri le impostazioni programmatiche, di delineare gli strumenti di azione amministrativa e politica, di verificare ipotesi, compatibilità e coerenze tutti elementi che stimolano il confronto tra le forze politiche, sociali ed economiche.
Quest'anno, in particolare, il bilancio regionale va in discussione in presenza di una situazione complessa che presenta, oltre il perdurare di una situazione economica mondiale, europea e nazionale difficile ed incerta, una marcata crisi dell'economia piemontese e nello stesso tempo l'avvio di una nuova legislatura con le prospettive di intervento che questa comporta.
Il quadro economico continua a presentare più ombre che luci. La crisi energetica, l'aumento dei prezzi delle materie prime, gli scossoni al sistema monetario e a quello produttivo hanno aperto un periodo di instabilità economica che fa convivere da anni due fenomeni, ritenuti un tempo inconciliabili, come la stagnazione e l'inflazione.
Le ipotesi sulla stabilità sociale, sull'equilibrio del sistema monetario, sulla realtà del presente e del futuro si, sono rivelate precarie e siamo entrati in quella che Galbraith ha definito con molta efficacia "l'età dell'incertezza".
Le comunità, i Governi dell'Europa e degli stessi Stati Uniti d'America hanno adottato e ricercato vie talora concordanti, talora profondamente diverse, per frenare l'erosione monetaria ed avviare la ripresa della crescita economica. La stessa svolta americana ha più di una radice nella situazione economica del Paese e nell'esigenza fondamentale di uscirne in modo vigoroso.
L'Italia, Paese prevalentemente trasformatore, ha subito più di altri gli effetti del rincaro delle materie prime e della crisi energetica. Se è vero che il nostro Paese è riuscito a mantenere fino ad ora una crescita del prodotto lordo e del reddito nazionale è purtroppo altrettanto vero che il tasso di inflazione presente in Italia ha punte notevolmente più elevate che nei Paesi europei ed extraeuropei ad alta industrializzazione. Ne consegue, una perdita di competitività del prodotto italiano, acuita da cali e deficienze di produttività connesse alla forte conflittualità sociale. I dati provvisori del mese di gennaio sembrano indicare una flessione del tasso di inflazione, ma gli esperti della CEE prevedono nell'81, anche per l'Italia, una crescita sotto zero! Mentre dovranno trovare compatibilità il freno creditizio con il piano triennale in corso di adozione a livello governativo e dovrà essere superato il nodo energetico.
Lo stesso movimento sindacale attraversa una fase di vita travagliata e complessa, che il ritorno a considerare la contrattazione economica come momento, privilegiato, condivisibile nella sostanza se non nei tempi, nelle modalità e nell'entità, non sembra sufficiente a far superare.
Abbiamo tutti consapevolezza che la nostra Regione è nel pieno della crisi economica ed industriale. Ripetutamente nei mesi scorsi abbiamo in quest'aula dibattuto in ordine ai problemi occupazionali e produttivi del Piemonte. Se il 1980 è stato l'anno boom della cassa integrazione, la nostra Regione è stata purtroppo fra i protagonisti di questo negativo primato. L'anno 1981 con il nuovo massiccio ricorso della Fiat a questo strumento di ammortizzazione sociale non appare positivo, mentre i primi dati provvisori del 1980 confermano che in quanto a crescita il Piemonte è sceso, con il 3,5,4 intorno al decimo posto fra le Regioni italiane (dopo parecchie Regioni del centro Italia) e che è ancora il settore industriale a svilupparsi più del terziario. Se ne devono trarre due gravi considerazioni. In primo luogo, il Piemonte sta arretrando nel quadro complessivo del Paese; non siamo più una Regione trainante, non siamo più una Regione guida. In secondo luogo, gli obiettivi di riequilibrio economico che il piano di sviluppo si poneva sono ben lungi dall'essere raggiunti. Il piano di sviluppo 1977-1980 si è dimostrato insufficiente di fronte all'evolversi della situazione economica regionale e, d'altro canto anche l'attuazione dei relativi progetti non è stata, né sul piano temporale né in termini sostanziali, sempre puntuale.
Che cosa ci si poteva attendere in un quadro di questo tipo? Dal primo bilancio della nuova legislatura, predisposto tra l'altro da una Giunta che aveva posto fra le sue ragion d'essere con particolare forza la continuità gestionale come elemento di prontezza e di efficienza, se non un rigoroso riesame della spesa regionale ed una risposta complessiva di ampio respiro tesa a mobilitare veramente tutte le risorse possibili per indirizzarle verso consistenti interventi atti a stimolare la ripresa economica? Nulla di tutto ciò, nel bilancio che viene posto alla nostra attenzione, donde là nostra delusione ed il nostro giudizio negativo, che abbiamo anticipato in Commissione e che qui riconfermiamo, di fronte ad un documento velleitario per quel che riguarda la capacità di spesa - e lo dimostreremo rinunciatario per quello che concerne invece il reperimento e l'utilizzo delle risorse, con una sottesa sfiducia o comunque un grave abbassamento di tono in ordine all'azione della programmazione. Fatta questa premessa generale scenderò in alcuni aspetti specifici.
Presentazione del bilancio. Come ha ammesso l'Assessore è un documento arrivato con grave ritardo nei tempi e questo, d'altra parte, è rilievo già fatto. Nel 1979 alla vigilia elettorale, il bilancio '80 è stato presentato in termini perché c'era da premere sulla spesa; sono più importanti le elezioni della crisi economica. Il Consigliere Paganelli, molto tempestivamente, allora richiamò la maggioranza a presentare il consuntivo nei termini; ma il consuntivo del '79 non è stato presentato in termini ancorché ve ne fosse la possibilità, prima della fine della legislatura.
Queste critiche sono puntuali perché, come ho detto, c'è un chiaro riferimento di continuità, in tutto il discorso del bilancio e nella stessa esistenza della maggioranza.
Anche il ritardo nell'assestamento, forzato per il periodo elettorale e, a nostro avviso, eccessivo e condizionante, perché tutti i ritardi finiscono di pesare l'uno sull'altro, il ritardo, infine, nella presentazione dei documenti è senza giustificazione.
Siamo arrivati al mese di marzo e discutiamo finalmente il bilancio che ci è stato presentato ieri sera con un'altra variazione, la terza.
L'esercizio provvisorio che è stato portato avanti è altra cosa dal bilancio approvato. C'è una differenza sostanziale. Infatti, si fa la seconda variazione per aumentare i residui passivi e per poter spendere senza di che la spendibilità non ci sarebbe stata. In effetti va in spesa solo la spesa corrente. La legge sul riscaldamento, che abbiamo votato anche noi, viene respinta anche con un riferimento al bilancio. Queste notazioni dimostrano che il bilancio è una cosa e l'esercizio provvisorio è un'altra.
Ma non c'è soltanto un, ritardo di tempi. C'è un ritardo di sostanza dovuto all'incertezza della Giunta, incertezza che anche nella relazione di maggioranza viene recepita. E' un ritardo che consegue alla filosofia rinunciataria dell'anno di transizione. Non è serio né accettabile che tra un piano di sviluppo e l'altro debba trascorrere un anno di transizione specialmente quando l'anno di transizione cade in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo.
Leggibilità del bilancio e problema di gestione. La legge 421 ci pone di fronte a dati omogenei, leggibili, dati che consentono di aggregare le cifre regionali e che consentono di avere dati consolidati. Gori su "24 ore" ha, molto opportunamente, notato come un malinteso senso delle autonomie abbia spinto le Regioni a dotarsi di leggi finanziarie che non sono omogenee, che non consentono l'aggregazione dei dati e che quindi non consentono di avere, a livello macroeconomico, i dati complessivi e articolati della spesa regionale. Esiste dunque un problema di legge e prendiamo atto con soddisfazione della disponibilità e dell'impegno della Giunta per un'adeguata iniziativa. Tuttavia, anche se la legge è importante non è l'unico problema.
Il bilancio lo devono leggere i Comuni, gli operatori, i cittadini, le forze economiche e sociali. Riteniamo che la lettura del bilancio dipenda anche dai dati collaterali che la Regione è in grado e sarà in grado di porre a disposizione delle forze sociali.
Con il Centro di Calcolo, con un impianto di codificazione adeguato, è possibile arrivare a disaggregazioni della spesa che consentano di verificare dove va la spesa regionale, di conoscere l'esplosione della spesa sul territorio, di avere dei dati sui fruitori della spesa, di sapere quali sono le categorie economiche sulle quali incide e verso le quali va la spesa regionale. I progetti devono essere aggiornati non solo nell'analisi che ha fatto l'Assessore Simonelli (seppure apprezzabile). Il bilancio della Regione Emilia è aggiornato sull'andamento dei progetti e sullo stato della spesa. Abbiamo bisogno di conoscere gli impegni pluriennali e la loro durata.
L'Assessore ha scritto a pag. 13 della relazione che si dovranno sfruttare maggiormente le procedure di memorizzazione per conoscere quanto è impegnato. Noi chiediamo qualche cosa di più, chiediamo di avere delle analisi di spesa che consentano di giudicare il bilancio sui dati degli anni precedenti e sui dati per gli anni futuri in modo che sia possibile conoscere l'andamento della spesa, la sua incidenza e quindi la volontà politica che la determina.
Deve essere il quadro nel quale si inserisce il bilancio annuale. Non possiamo concepire un bilancio pluriennale come un'esercitazione di rilancio o di proiezione delle spese nel tempo: la programmazione deve partire dal bilancio pluriennale, non a caso la legge ne fa un elemento unificante e il bilancio annuale appare come primo elemento del bilancio pluriennale. Il bilancio pluriennale è limitativo sul piano programmatorio senza previsioni al di fuori di quelle che sono previste dalla legge, viene concepito come una memoria degli impegni assunti ed un'ipotesi limitata dei fondi che verranno alla Regione. Il terzo comma dell'art. 1 della lede 33 stabilisce che il bilancio deve far riferimento alle risorse che la Regione prevede di acquisire e di impegnare; l'art. 6 della legge di contabilità regionale seppure limitato dall'art. 10, indica che non si può non fare delle previsioni anche sui campi che non sono strettamente coperti dalla legislazione. In particolare sono riduttive nel bilancio pluriennale le spese e le entrate libere. E' vero che si prevede nelle entrate dell'art. 8 il 17,50 e il 18,95% come è Previsto dal programma pluriennale dello Stato ma il 15 % dell'art. 9 appare addirittura inferiore al tasso di svalutazione corrente. Arriviamo a dite che nel 1982 avremo solo più 359 milioni di cifra libera e nel 1983 457 milioni. Nel 1981 ne abbiamo avuti 500 per dichiarazione dell'Assessore Testa. E si arriva a 67 Miliardi disponibili nel 1981 ché sarebbero ben 161 in meno delle cifre che abbiamo disponibili. Almeno a livello propositivo doveva essere fatto un discorso rigoroso.
Lo stesso discorso vale per i mutui. Nel 1982 non si prevedono mutui mentre un esame del titolo III, pur al netto delle spese, darebbe la possibilità di avere 35 milioni di maggiori entrate, il che Comporta circa 40 miliardi di capacità di indebitamento nel 1981 non utilizzata e utilizzabile. La Regione ha il dovere di fare una proposta quantificata proprio nel momento in cui va in discussione la nuova legge finanziaria e il nuovo piano di sviluppo dello Stato. Tra l'altro, nel documento presentato la colonnina b) è tutta bianca. Non si fanno proposte, si sta a quelli che sono i fondi disponibili per cui, su questa base, il bilancio 1982-1983 non potrà che far emergere delle impossibilità di spesa. In definitiva, il bilancio pluriennale viene concepito come un mero adempimento e non come uno strumento di programmazione.
A questo proposito, come ha accennato l'Assessore Testa, bisogna usare il bilancio pluriennale anche ai fini di spesa per alleggerire il bilancio annuale. Siamo di fronte ad un periodo in cui le disponibilità diminuiscono, aguzziamo tutte le possibilità, ricorriamo al terzo comma dell'art. 55. Non si tratta di far diventare pluriennale il bilancio annuale, ma di porre a carico del bilancio annuale, la minor cifra possibile per scaricare sul bilancio pluriennale le capacità di spesa.
Ma questo presuppone un cambiamento della legge finanziaria caricando al 1981 soltanto una parte di spese e ipotizzando l'impegno del 1982 siamo andati oltre alla legislazione vigente e, se siamo andati oltre per il bilancio annuale, sarebbe stato più logico e più congeniale alla sua natura farlo per il bilancio pluriennale.
Dirò qualche cosa sui condizionamenti del bilancio del 1980 e della sua gestione. Non ci sono stati dati gli importi impegnati come residuo del 1980, se non per la parte reimpostata. Qual è la cifra libera? Partiamo con un disavanzo effettivo di 58 miliardi, ridotto a 27 attraverso la terza variazione di bilancio (presentata in unica copia al Gruppo democristiano ieri sera). Si dice che il disavanzo del 1980 è dovuto al fatto che non si sono accesi mutui però si pongono i mutui come elemento di gonfiamento della spesa e, in sostanza, si arriva a non fare i mutui e fare ugualmente almeno una parte delle spese. Questo significa che una parte dei fondi statali vengono utilizzati per spese che non sono di pertinenza. Si crea una grossa confusione con l'abuso del meccanismo che fa riferimento all'art. 47. Tra gli elementi che giovano come condizionamento c'è, a nostro avviso, l'abuso d elle reimpostazioni. La legge finanziaria regionale fa riferimento alla reimpostazione come elemento straordinario.
Nel bilancio, invece, le reimpostazioni vengono usate come elemento ordinario. Abbiamo due gruppi di spese ferme, quello dei residui passivi e quello delle reimpostazioni il cui grado di smaltimento, come risulta da un'analisi della Federpiemonte, è molto basso. La spesa è stata accelerata nel 1980, qui come in altre Regioni, in vista della scadenza elettorale; il 1980 è stato l'unico anno in cui ai Comprensori si è raddoppiata la disponibilità, saggia cosa, ma tardiva e piuttosto elettoralistica. Vedremo se si Proseguirà su questa strada. Questi due elementi di spesa arretrati vanno sommati per avere il quadro della rigidità. Avevamo già detto in Commissione che i residui passivi erano sottostimati e avevamo ragione perché, con due variazioni di, bilancio, i residui passivi passano da 282 a 328 miliardi. A questo si devono aggiungere le somme reimpostate, sia pure ridotte, per circa 160/170 miliardi. Quindi siamo a 500 miliardi.
E passiamo alla questione dei mutui. E' vero che non sono stati fatti i mutui l'anno precedente, ma li dobbiamo fare per finanziare le spese reimpostate.
E' il grossissimo tema delle risorse e della quantità della spesa.
L'Assessore Testa ha scritto che questo bilancio si caratterizzava per la scarsità delle risorse. Intendendo risorse libere. Può darsi; probabilmente non aveva letto il bilancio pluriennale perché in tal caso avrebbe detto che si caratterizza invece per l'ampiezza delle risorse.
I fondi complessivamente amministrati hanno avuto una crescita notevole (2.700 miliardi).
La parte vincolata è rilevante: 2.407 miliardi di cui 325 miliardi riguardano gli investimenti. In proposito la Regione non ha la capacità di spostare gli investimenti da un settore all'altro, ma ha la capacità di tempificazione e di territorializzazione: politica di sviluppo, quindi che non vogliamo esaltare così come è stato fatto con troppa leggerezza, ma che non vogliamo nemmeno minimizzare di colpo. Trecentoventicinque miliardi sono importo maggiore dei mutui che possono accendere presso la Cassa Depositi e Prestiti tutti i Comuni del Piemonte. Inoltre dal '78 all'81 sono stati posti a disposizione della Regione altri fondi: 235 miliardi di nuovi fondi per il settore agricolo 61 miliardi per l'edilizia scolastica 208 miliardi per l'edilizia abitativa 64 miliardi per la depurazione delle acque tutti fondi con destinazione vincolata ma che contano ai fini della programmazione.
I fondi dell'art. 8 sono aumentati dal '76 ad oggi del 231%. Siamo molto al di sopra dei trasferimenti agli Enti locali. D'altro canto, anche nel bilancio annuale questa è una cifra sottostimata. Lo dice l'Assessore Simonelli nella sua relazione contraddicendo l'Assessore Testa e se ci è consentito poiché siamo lettori non disattenti, tali contraddizioni non ci sfuggono.
In ordine al problema dell'indebitamento, gradirei poi che l'Assessore Testa ci spiegasse perché nella relazione il plafond è di 175 miliardi mentre quelli che vengono finanziati sono 188. Secondo noi, è sottostimata anche la capacità di indebitamento perché si possono attivare mutui per 22 23 miliardi in più di quelli indicati. Se vogliamo utilizzare al massimo la capacità di indebitamento questa è la strada: quindi, secondo noi, le risorse libere non sono utilizzate al massimo.
Il problema delle risorse è collegato inoltre alla capacità di spesa alla spendibilità. E' aperta la polemica con il Governo che giustamente richiama le Regioni a spendere di più e il, discorso di Mazzotta a Firenze era molto chiaro: o le Regioni sono capaci di utilizzare le risorse a loro disposizione o il loro mole; si estingue. L'Assessore Simonelli nella relazione dice che sarebbe opportuno fare un discorso sulla qualità della spesa.
Vediamo il bilancio di cassa. Nel 1980 si è speso il 70 % degli stanziamenti (54% senza la spesa sanitaria). Nel 1981 si ipotizza di spendere il 93 % (86% senza la spesa sanitaria) con un aumento del 32%.
Se questi dati sono credibili (per me non lo sono) significano la migliore conferma della critica che abbiamo sempre fatto. Si può veramente spendere, l'importante è voler spendere. Guardiamo le singole aree: area a) Si passa dal 66 % al 90 agricoltura, dal 43% all'88 area del secondario e del terziario dal 63% al 92 l'area del terziario dal 48% al 70 l'area sanitaria e del sociale dall'84 % al 98 la quinta area dal 77% al 97%.
Le entrate di cassa indicate superano ampiamente le entrate di competenza.
Lo stesso avviene nella spesa principalmente nella parte corrente.
Nell'area dell'assetto della gestione del territorio, le previsioni di competenza superano quelle di cassa.
D'altro canto per spendere di più qualche linea è già stata indicata.
E' però opportuno seguirne delle altre. E' problema di organizzazione, di miglioramento delle procedure e, sotto questo aspetto, le osservazioni portate avanti in questi giorni dalle organizzazioni sindacali sono indicative del livello di funzionamento degli uffici e sono legate al funzionamento di' tutta la macchina regionale.
Dirò ancora qualcosa .sui mutui. L'Assessore Testa nella sua dichiarazione ha detto: "I mutui li mettiamo, poi continueremo con l'applicazione dell'art. 47".
Non è possibile ipotizzare un bilancio di cassa nel quale si prevede l'incasso dei residui passivi per mutuo (74 miliardi) e dei mutui correnti.
Se non si incassa, non si fanno le spese e, conseguentemente, si ha una giustificazione per selezionare la spesa. Se diamo credibilità al bilancio di cassa, dobbiamo dire che mentre per il passato si operava nel senso di usare la cassa in sostituzione dei mutui, adesso pensiamo di usare i mutui in sostituzione della cassa e in sostituzione delle spese. Abbiamo la previsione dell'incasso totale di tutti i mutui, ma anche la previsione di residuo per spese che sono relative ai mutui stessi, quindi c'è un capovolgimento di strategia finanziaria. E' vero, l'art. 47 stabilisce che la stipulazione dei mutui va fatta tenendo conto della situazione di cassa.
Anche in questo caso c'è un'applicazione disinvolta: la stipulazione dei mutui non è la contrattazione dei mutui. A nostro avviso l'applicazione dell'art. 47 è alquanto discutibile. Questo sistema, in sostanza, ha portato al disavanzo camuffato del 1980 e al bizantineggiante espediente contabile scritto a pag. 17 e a pag. 18 della relazione "in conseguenza della mancata contrazione dei mutui si sono spesi fondi statali per altre destinazioni".
Se non si stipulano i mutui occorre sapere come vengono finanziate le opere relative che si mandano avanti, oppure quali interventi vengono declassati, aboliti, non fatti.
Farò qualche accenno sulla qualità della spesa e sul problema delle scelte. Ho già detto che anche la spesa vincolata costituisce una via di intervento. La spesa vincolata, al netto della spesa sanitaria è di 320 miliardi, dei quali 264 vanno per gli investimenti. Su questo va esercitata una capacità di indirizzo che non può essere sminuita.. Nella relazione perché non si parla della qualità della spesa? Per ogni area manca un'indicazione di scelta. L'Assessore Testa nel documento ha indicato una cifra per ogni area, ha dedotto la parte vincolata determinando quella libera come parte restante. Questo ragionamento dal punto di vista della chiarezza ci sta bene, però, avremmo gradito un altro tipo di discorso che solo parzialmente è stato fatto oggi, ossia che su 228/230 miliardi si è deciso di privilegiare certi settori per determinate ragioni perché in coerenza con il programma.
Perché il 18 % va all'agricoltura, il 25% al secondario e al terziario il 21% alla gestione del territorio, l'11 % al sociale e il 24% alla cultura? Quale nesso esiste fra queste scelte e le linee programmatiche? Non vediamo alcun nesso, né ci pare di scorgerlo nella relazione e bella dichiarazione di oggi.
L'Assessore Testa per ciò che riguarda le spese correnti dice che la scelta non è sulle aree e sui punti di intervento ma nella qualità e nella spendibilità. Queste però vanno comunque verificate con le altre scelte: spendibilità sì, ma Priorità di un settore e quindi possibilità di scelta.
E veniamo alla spesa corrente e alla spesa per investimenti. C'è finalmente una rivalutazione del concetto che è all'origine di questa differenziazione. E' stato superato l'esasperato delle teorie Keynesiane.
L'indagine sulla ripartizione economica della spesa autonoma l'abbiamo fatta in modo diverso e non concordiamo con quanto dice l'Assessore Testa.
C'è la tendenza a contenere i valori assoluti a causa della riduzione delle risorse libere previste, ma, sul piano dell'utilizzo percentuale delle disponibilità, si verifica, contrariamente a quanto ha asserito l'Assessore, un decremento maggiore degli investimenti che della spesa corrente. Dai nostri, dati risulta che nel 1980 la spesa corrente mille spese libere era del 55% mentre ora arriva al 58% . Conseguentemente le spese di investimento scendono in percentuale. Certo in volume il discorso è valido, ma ci pare corretto fare il discorso dell'utilizzo percentuale.
Ancora: manca un'analisi per settori. L'analisi per settore è fondamentale per verificare dove va effettivamente la spesa libera regionale. Abbiamo allargato l'analisi sulla spesa autonoma al netto delle spese di funzionamento raffrontando gli esercizi '79-'80-'81; abbiamo aggregato i settori in tre categorie: interventi in campo economico (agricoltura, trasporti, artigianato, industria, commercio, turismo formazione professionale, energia); interventi per la gestione e l'assetto del territorio (viabilità, opere pubbliche, urbanistica, acquedotti, parchi e navigazione interna); interventi in campo sociale (assistenza, diritto allo studio, cultura ed altri interventi). Nella spesa libera della Regione l'aumento più consistente (13,2%) si verifica sugli interventi in campo sociale anziché nella spesa a sostegno degli interventi economici che sono prioritari in un momento di crisi.
C'è qualcosa da dire anche sulle aree di attività.
L'agricoltura è di fatto penalizzata nelle scelte libere.
Anche il discorso delle aree secondaria e terziaria va attentamente valutato. Le risorse non sono molte. Il Consigliere Viglione è stato bravissimo nell'andare a cercare tutti gli interventi che avessero qualche cosa di significativo e che fossero di supporto all'approvazione del bilancio e ha fatto un lavoro da certosino. Se rileggiamo le dichiarazioni delle forze economiche nelle consultazioni vediamo che tutte sono state fortemente critiche. Gli artigiani ci hanno fatto osservare che i residui sono aumentati da 800 a 1.400 milioni. Un Presidente di associazione, tra l'altro non a noi vicino, ha osservato a conferma della difficoltà di spesa e di intervento nel campo economico che prima si poteva dare la colpa a Roma, ma adesso si deve dare la colpa a Torino.
Non parliamo poi delle osservazioni della Federpiemonte dell'Associazione Commercianti, dell'Associazione dei costruttori. Nelle consultazioni è mancata addirittura la presenza dei sindacati: può essere un incidente ma, siccome, i sindacati sanno valutare le situazioni, non vorrei che fossimo invece in presenza di un giudizio sull'inutilità completa delle consultazioni o, peggio, sull'individuazione della Regione come interlocutore valido.
Per quanto riguarda l'area della formazione professionale e della cultura rileviamo una grave flessione. Crediamo che la capacità di indebitamento della Regione debba essere utilizzata soprattutto su questo terreno.
Chiudo con una nota in ordine alle spese sul territorio, Comprensori ed Enti locali. Manca la disaggregazione territoriale per Comprensori. E' una mancanza grave. Si dice che i Comprensori saranno chiamati ad intervenire sull'utilizzazione dei Tondi e noi ci auguriamo che questo intervento avvenga non sulle briciole o parzialmente, com'è avvenuto nel passato, e che la suddivisione territoriale abbia un senso. I parametri territorio popolazione non fanno programmazione. Il rapporto con i Comprensori deve essere più completo e più complesso. Non ci si può limitare a chiedere un aiuto per lo smaltimento dei fondi. Molte difficoltà nello smaltimento dei fondi sono nell'eccessiva polverizzazione degli interventi, nella modestia delle cifre, nell'impossibilità di avere un quadro complessivo di intervento.
Si chiede la programmazione delle necessità future con l'uso corretto del bilancio pluriennale, ma come, è possibile oggi l'uso corretto del bilancio, pluriennale se non si rivaluta il bilancio pluriennale come strumento operativo. Su questo terreno c'è una disaggregazione di vedute o comunque una disarticolazione di collegamento fra i due bilanci.
Per gli Enti locali c'è il problema della leggibilità del bilancio per consentire loro una presenza ed una partecipazione. La partecipazione degli Enti locali al piano di sviluppo può essere compiuta soltanto se hanno chiaro il quadro finanziario, se si dispone però di un bilancio consolidato. Due sono gli elementi per attivare il rapporto tra la Regione e gli Enti locali: l'accelerazione delle procedure e l'accelerazione degli stanziamenti. E' ovvio che se l'utilizzo e la destinazione degli stanziamenti di bilancio sono decisi nel mese di maggio, non ci saranno residui passivi, se gli stanziamenti di bilancio saranno invece destinati nel mese di novembre o dicembre, sarà tecnicamente impossibile spendere. E' questione di operatività, di tempi, di procedure rapide, di politiche che consentano di utilizzare la spesa e di coinvolgere gli Enti locali.
E' inoltre opportuno dare deleghe di funzioni ai Comuni ed agli Enti locali. Non solo non si parla di dare deleghe, ma si dà la prova di non volerle dare riducendo lo stanziamento da 750 a 290 milioni.
Il punto chiave è nelle deleghe ai Comuni.
Infine, per quel che concerne la riforma della legge per i fondi regionali siamo d'accordo che la spesa vincolata debba ridursi o quanto meno che il vincolo sia tale da permettere una certa libertà di scelta e che sia connesso alla programmazione nazionale.
Credo di aver sufficientemente delineato il pensiero del nostro Gruppo e di avere esposto e chiarito le motivazioni del giudizio che, da un punto di vista generale, formuliamo sul complesso del bilancio pluriennale ed annuale e sui singoli documenti. Altri colleghi approfondiranno settori specifici di grande rilievo quali l'agricoltura, l'urbanistica, il territorio e la spesa sanitaria e sociale nonché l'azione degli enti strumentali.
Il nostro Capogruppo Paganelli, infine, non mancherà di affrontare ancora in sede di dichiarazione di voto, anche alla luce del confronto che certamente il prosieguo del dibattito susciterà, i temi di fondo della nostra opposizione.
Diciamo "no" al bilancio, come ben avrete inteso, non strumentalmente o per assolvere comunque ad un, ruolo di opposizione, ma dopo un esame attento e con maturata e motivata convinzione. Non rileviamo nel documento quell'analisi rigorosa della spesa, necessaria per apportare ai canali di intervento e di erogazione le necessarie rettifiche né la mobilitazione totale delle risorse, indispensabile nel difficile momento che il Piemonte attraversa. Sembra mancare la piena consapevolezza della consistenza dei problemi e della gravità della crisi, così che si costruisce l'ipotesi tanto improbabile, quanto impossibile, di un anno di transizione tra un piano di sviluppo in gran parte mancato sul terreno degli obiettivi ed un nuovo piano, tutto da pensare. Si privilegia la spesa corrente, come intendiamo noi, nella parte percentuale dell'uso, rispetto agli investimenti e la spesa assistenziale rispetto agli t interventi economici.
Non si affronta il problema delle deleghe ai Comuni e ci si pone nei rapporti con il potere centrale più in posizione di attesa che sul terreno dell'autonoma proposta. Concordiamo in pieno sulla valutazione che il Consigliere Viglione in proposito ha fatto. Il "no" al, bilancio è quindi altrettanto motivatamente un "no" alla Giunta ed un "no" alla maggioranza di sinistra. Questa maggioranza si dimostra nei fatti, a conferma di un giudizio da noi più volte espresso, non solo non corrispondente alle indicazioni degli elettori, ma anche incapace di interpretare a fondò in questa complessa fase congiunturale le aspirazioni e le esigenze delle popolazioni della società piemontese. Sul terreno dell'azione essa mostra i segni del logoramento e della stanchezza, conseguenti a cinque anni di gestione ricca di contraddizioni e di occasioni mancate. Di fronte ai problemi concreti emergono le crepe di un impossibile omogeneità e di una difficile sintesi fra posizioni talvolta inconciliabili. Dinnanzi ad un futuro; incerto, ad anni difficili, che pure dobbiamo superare e vivere perché questo è il tempo che ci è dato, emergono tutta la vacuità e tutta l'inconsistenza del facile trionfalismo regionale di un non lontano passato.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Trionfalismo fatto da chi?



BRIZIO Gian Paolo

Dalla Regione: vuoi che ti ricordi la grande capacità di spesa della Regione? Le dichiarazioni come: "possiamo fare tutto".
Ripeto, quindi, "trionfalismo". Per vincere in futuro, perch l'istituto regionale abbia un ruolo determinante nell'avvenire, occorre, a nostro avviso, qualcosa di più e di diverso, occorre una scelta di campo netta ed irreversibile.
Quanto il Consigliere Viglione ha detto sulla società occidentale sull'economia europea, è una scelta di campo che noi abbiamo fatto, non da oggi, ma in momenti lontani e molto più difficili. La Regione faccia la sua parte: meno gestione e più programmazione. Sono necessari, ad un tempo maggior rigore e maggior coraggio.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Biazzi.



BIAZZI Guido

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, come Gruppo, innanzitutto anche noi condividiamo la relazione che il Consigliere Viglione ha fatto a nome della maggioranza, come la logica che sta dietro ai documenti di bilancio presentati al Consiglio regionale.
I documenti, in particolare la relazione al bilancio annuale '81, hanno dei pregi, soprattutto di essere leggibili ed i dati forniti ancora oggi dall'Assessore Testa li rendono più chiari. D'altronde questo è quanto hanno riconosciuto gran parte degli enti e delle persone che abbiamo consultato, i quali hanno soprattutto sottolineato la linearità nella presentazione dei vari documenti.
Ma il problema più grave; a nostro avviso, è di verificare come si colloca questa discussione del bilancio, in quale contesto sia regionale che nazionale. Ha già anticipato molto chiaramente l'Assessore al bilancio Testa, sono troppi i segni che abbiamo di una volontà di recupero centralistico: c'è una legislazione nazionale che va avanti per settori c'è stato un decreto sull'artigianato che è andato ad invadere le competenze che spettano alle Regioni per Costituzione (tant'è vero che è stato impugnato da tutte le Regioni d'Italia), c'è la, restrizione creditizia che prima toccava il settore privato ed ora tocca, in modo forse ancora più drammatico, proprio gli Enti locali, proprio le Regioni. La denuncia che ha fatto qui l'Assessore al bilancio erri pare che debba far meditare tutti. La prospettiva di vedere per tutta la comunità, per tutti gli enti che qui operano, comunque siano amministrati, una riduzione ad un terzo delle possibilità di investimenti penso sia un nodo centrale e la Regione potrebbe farsi carico di un'iniziativa a livello più complessivo perché questi provvedimenti non abbiano sbocco e non Mano avanti. Per noi questi sono degli esempi, dei corollari di una politica più generale che da tempo va avanti e che da tempo noi come partito denunciamo. Forse c'è una coscienza precisa da parte di alcune forze che sia arrivato il momento in cui non si può fare più nessuna concessione verso il sistema delle autonomie, perché allora sarebbe impossibile ritornare indietro: per questo sono ancora più accanite nel non voler cedere nessun pezzo di terreno su questi problemi per questo tentano in ogni modo un recupero. Ma dalle consultazioni mi pare sia emersa questa preoccupazione per una mancanza di riferimento preciso non tanto a livello regionale, ma a livello nazionale.
C'è la coscienza che questa mancanza di riferimenti precisi costituisce un intralcio gravissimo al funzionamento corretto delle Regioni e degli Enti locali. Questo, ovviamente, è ancora più grave, proprio per la crisi così acuta che attraversa il Piemonte e tutto il Paese: crisi che va per settori e per zone; ieri la Giunta regionale si è riunita nel nostro Comprensorio (cosa eccezionalissima) Verbano-Cusio-Ossola in cui la crisi ha raggiunto livelli di drammaticità eccezionali. C'è ancora preoccupazione, proprio per questa mancanza di riferimenti precisi adeguati per quanto è avvenuto nel sud con il terremoto: cioè, mentre si richiede il massimo della capacità di sviluppo delle potenzialità che Stato, Regioni, Enti locali devo no dispiegare per la gravità della situazione, noi ci troviamo di fronte a provvedimenti di carattere nazionale che fanno di tutto per bloccare queste capacità di intervento che ci sono nel nostro Paese ad ogni livello. Noi sappiamo che scade il 31 dicembre la legge sulla finanza regionale, c'è una Commissione che da quasi dieci mesi lavora, ma al convegno di Firenze di poche settimane fa non è stata in grado di dare nessuna risposta, non esiste ancora nessuna proposta di legge. Avremo un nuovo convegno dopo la metà di aprile, ma tutti dubitano che in quella sede vi siano delle proposte su cui confrontarsi.
E' scaduta, il 31 dicembre scorso, la normativa sui Comuni e le Province, non è stato fatto nulla per rinnovarla in modo adeguato, ma anzi vediamo questi segnali pericolosissimi proprio di un ritorno all'indietro ancora più grave, perché dopo le modifiche che il Parlamento aveva introdotto al 901, in senso positivo, ci troviamo di fronte ad un Ministro all'Interno del Governo che, in contraddizione con quanto il Parlamento ha già approvato, sceglie una strada del tutto arbitraria che colpisce il sistema delle autonomie. Altro che centralità del Parlamento! Vediamo addirittura all'interno del Governo iniziative portate avanti in modo del tutto avulso e sicuramente staccato da quelle che sono le decisioni prese da un ramo del Parlamento, maggioranza e minoranza. Non c'è una legge sulle autonomie, né sulla finanza. Su questi settori abbiamo proposte di legge che giacciono in Parlamento ormai da anni; perché non si è voluto affronta:re in modo adeguato questi problemi? Evidentemente perché si è voluta perseguire la strada dei provvedimenti tampone che permettono dei colpi di mano contro le autonomie. Noi siamo in questa situazione assurda di avere Comuni, Regioni, Enti locali privi di punti di riferimento precisi. Prima di Natale viene, presentato un disegno di legge che ha pretese di regolamentazione più generale e più complessiva, subito dopo Natale viene presentato il famoso decreto 901, che va in direzione completamente contraria.
Le inadempienze su questo terreno sono state e sono molte e tutte su dei punti fondamentali, tanto da far dubitare sulla possibilità stessa di un avvenire Sicuro per le Legioni. D'altronde noi abbiamo scelte di fondo che sono state fatte con la 382 e con il decreto 616, in cui si collocavano le Legioni nel loro giusto ruolo riguardo alla programmazione nazionale con dei cardini molto precisi: con un avvio sistematico di informazioni, di collaborazione, di confronto, per costruire assieme quella che era la prospettiva da dare al nostro Paese. Nella prassi non si è però andati avanti dopo quei risultati sul terreno legislativo, anzi abbiamo verificato che con costanza si tentano altre strade. Ciò anche per quanto è previsto dalla legge stessa, la 468, quando si chiede la consultazione delle Regioni sui bilanci: per il '79 e l'80 la consultazione praticamente non ha avuto nessuna validità, fila nel 1981 non è che sia andata molto meglio; si è presentato appena prima della fine di agosto il nuovo bilancio dello Stato 1981, ma già il Governo stesso riconosceva che quella consultazione praticamente non aveva alcun significato e si Doveva rimandare tutto alla consultazione dopo l'approvazione del piano pluriennale. Si pensava che in gennaio questo sarebbe avvenuto; a marzo mi pare di aver sentito che in questi giorni questa proposta di piano comincia ad andare in Consiglio dei Ministri. Ed è ben strano quello che diceva il collega Brizio, cioè che avrebbe dovuto essere il piano pluriennale della Regione Piemonte in questo piano pluriennale dello Stato: caso mai il processo è previsto dalla stessa è semplicemente al contrario; i riferimenti a noi dovrebbero arrivare dalla legge finanziaria dello Stato, che non c'è, e non è affossata del tutto perché i comunisti non hanno votato contro alcuni articoli, ma certamente il dato certo è che mancano i punti di riferimento a livello nazionale su cui costruire un disegno che vada oltre l'annualità e la temporaneità.
Questi sono i nodi su cui confrontarci, perché toccano la Regione Piemonte dove c'è un tipo di amministrazione, ma sicuramente toccano tutte le altre Regioni in tutta Italia. E' per questo che poi si riesce a livello più generale a trovare anche l'unità nelle richieste da portare avanti nei confronti del Governo e così via. Ma vi sono altre carenze da parte del potere centrale: abbiamo un bilancio che è privo di proposta politica abbiamo un rinvio alla definizione del piano a medio termine, abbiamo il silenzio, ancora adesso, per quanto riguarda il rifinanziamento o almeno un'alternativa al rifinanziamento di tutta una serie di leggi settoriali che sono scadute o sono in scadenza e non sono leggi di poco conto: abbiamo la legge Quadrifoglio, su cui noi presentiamo, proprio in occasione del bilancio, una mozione per chiedere che venga fatto tutto quanto si deve fare; si tratta delle leggi sulle direttive della CEE, la 153 e la 352; la legge sugli enti di sviluppo; la legge sulla montagna, la legge per l'edilizia scolastica e così via. Queste sono tutte inadempienze da parte del Governo centrale, questo è anche il quadro che viene presentato alle Regioni, quadro di riferimento in base al quale dovrebbero essere costruiti i programmi di sviluppo delle Regioni stesse. Ecco perché diventa oggettivo che a loro volta le Regioni non possono che presentare spesso dei bilanci che non vanno molto oltre la predisposizione tecnica. Non sono mancati ovviamente, altri tentativi di portare avanti colpi di mano contro le autonomie. Il Presidente Viglione citava nella sua relazione come in occasione del terremoto, di fronte ad un disastro nazionale di quelle proporzioni, il Ministro Andreatta l'unica cosa che ha pensato subito è stata quella di tagliare i fondi per le Regioni, andando a colpire proprio non a caso, i fondi di sviluppo relativi all'art. 8, dove le Regioni hanno il massimo dell'autonomia e dove, in fin dei conti, si sviluppa al massimo la capacità di investimenti da parte delle Regioni e, più in generale, del sistema delle autonomie. Ecco perché troviamo sempre, in una parte, almeno del Governo, questa volontà di colpire le autonomie degli Enti locali, di recuperare il disegno centralistico che per gran parte è stato indubbiamente colpito e scosso in questi ultimi anni.
C'è un anacronistico sistema di finanziamento, è stato già qui denunciato abbondantemente, come i finanziamenti a destinazione vincolata per cui su oltre 20 Mila miliardi, ad esempio, per il 1980, solamente 3 mila, quelli destinati alle Regioni, erano cosiddetti liberi, ma di questi 3 mila ci sono già gli impegni precedenti per il funzionamento normale della macchina amministrativa, e così via, di modo che arriviamo a poco più di un 10% delle risorse effettivamente libere. I fondi, perciò, sono limitati soprattutto se noi li raffrontiamo alla capacità di spesa che ha dimostrato la Regione Piemonte ed all'articolazione e prontezza con cui è intervenuta nei vari settori.
Al di là della polemica sui residui passivi, un dato incontrovertibile già sottolineato dal Consigliere Viglione, è che noi abbiamo speso al massimo; si può dire che abbiamo speso troppo, tanto è vero che con questo bilancio si va ad esaurire il plafond delle risorse da mutui, ma si tratta di verificare se questa è stata una scelta giusta o una scelta sbagliata: noi riteniamo che sia stata una scelta saggia, soprattutto in un periodo come l'attuale in cui l'inflazione praticamente taglia ogni anno il 20-25 del valore. Abbiamo un'indicazione - discutibile sempre, come quando non ci sono punti di riferimento precisi - capacità di indebitamento della Regione oggi di circa 300 miliardi. Ebbene, che valore hanno tutti gli investimenti fatti in questi anni se non di gran lunga superiore di centinaia e centinaia di miliardi a questi 300 miliardi. Questa è, a mio avviso, la riprova della giustezza della strada che questa amministrazione e quella precedente hanno seguito.
Si potrà discutere su alcuni piccoli aspetti, ma mi pare che la sostanza della politica, di come è stata portata avanti e di come viene continuata da questa Giunta regionale abbia colto nel segno gli elementi di fondo su cui e di come si devono muovere le amministrazioni periferiche.
Il bilancio è un momento indubbiamente importante, ma noi abbiamo anche coscienza che è uno dei momenti di tutta una serie di confronti che giustamente devono essere portati avanti all'interno della Regione; viene poi l'assestamento, vi saranno i confronti sul piano di sviluppo seguiranno i rendiconti, e così via: mai come in questa occasione la discussione del bilancio non può che essere transitoria verso altri confronti: probabilmente sarà più produttivo il confronto sull'assestamento stesso. Il bilancio 1981 ha dei limiti obiettivi e questo, certamente, non per colpa della Giunta regionale, né del Consiglio regionale. Però mi sembra che abbia delle caratteristiche di fondo già richiamate da altri: la continuità con i cinque anni dell'amministrazione precedente, il riferimento ad un programma che abbiamo approvato ai primi di dicembre e che la maggioranza non ha intenzione che resti nei cassetti, nonostante le difficoltà finanziarie che tutti noi conosciamo bene.
Ci sono dei legami con la precedente legislatura, con cui si va a consolidare e a sviluppare dei risultati positivi che sono già stati raggiunti. Difficoltà, del resto - lo ricordava ancora Viglione bella sua relazione - c'erano anche nella passata legislatura, eppure non hanno impedito che certe ipotesi programmatiche si traducessero in fatti concreti. Forse adesso non più gravi, ma dovranno costituire per la maggioranza un maggior stimolo per continuare a lavorare in quella direzione. Continuità, ovviamente; per noi non significa attaccamento a qualcosa di astratto, ma lavorare sui grandi temi che sono già stati individuati e che hanno segnato, per come sono stati affrontati nella legislatura precedente e per come si sta cercando di affrontarli in questa una svolta profonda nel rapporto tra l'ente pubblico; la Regione e la nostra comunità regionale. Le basi, cioè, sono state poste e questo significa aver affrontato in modo nuovo e coerente problemi che io elenco e non tutti, certamente: problemi del territorio, del verde, dell'ambiente dei trasporti, del riequilibrio e della casa. A me, sembra che l'aver affrontato complessivamente e coerentemente questa tematica abbia significato anche accumulare un patrimonio di esperienze che ha permesso di intervenire con tempestività, capacità ed efficienza anche in occasione di avvenimenti imprevisti come le calamità naturali. C'è stato un esempio molto significativo, tra quelli ricordati da Viglione: l'Ossola, insieme all'Alessandrino, insieme alla Val Sesia, insieme ad altre zone della nostra regione colpite. L'Ossola, che conosco un po' meglio, è stato un esempio da manuale per come si è intervenuti nell'affrontare il disastro e poi, nella ricostruzione. Questo è un riconoscimento unanime dà ogni parte politica. Vi sono delle risorse limitate, ma si è anche saputo fare delle scelte precise in occasioni precise nella direzione giusta; ed è anche in quegli interventi che si è consolidato di più il rapporto tra la Regione e l'intero sistema delle autonomie.
Ci sono risorse limitate ed il bilancio ci dà un quadro esatto di esse il problema è anche di come sono impiegate queste risorse. A me sembra che uno degli elementi di fondo nell'affrontare l'utilizzo delle disponibilità che abbiamo è quello di aver soprattutto tenuto d'occhio la possibilità di fare da leva, da moltiplicatore delle risorse delle comunità, sia quelle proprie della Regione, sia quelle dello Stato. Faccio un esempio per tutti: com'è stata utilizzata la dotazione che riguarda la 457 da parte della Regione. Per quanto riguarda questa parte del piano della casa lo Stato aveva impostato per il Piemonte la possibilità di costruire circa 5 mila alloggi; ad o i c'è già un 50. % in più messo in movimento all'interno della nostra Regione e c'è una prospettiva di arrivare a raddoppiare questa possibilità di intervento in un settore fondamentale e prioritari come questo della casa, e ciò in tempi relativamente brevi, se si pensa che la Regione è tra le prime d'Italia ad aver messo in movimento questo meccanismo. Ecco come, partendo anche da fondi dello Stato, non ci si è limitati a fare da passacarte, ma si è intervenuti in modo positivo mettendo in movimento anche risorse aggiuntive. Così mi pare sia stato anche per quanto riguarda l'agricoltura; altri interverranno in modo più competente ed approfondito su questo problema, io voglio citare solo un elemento per dire come si è agito per creare possibilità di, altri investimenti. L'elemento di giudizio è dato dall'andamento del credito agrario in Piemonte, sia in assoluto, sia come presenza relativa nella nostra regione rispetto alle altre: cito il credito di miglioramento, che riguarda soprattutto investimenti in agricoltura. Nel '75 il Piemonte era all'ottaVo posto nella graduatoria delle Regioni; nel 1979 - sono dati della Banca d'Italia - era passato al primo posto per questo tipo di investimenti, con oltre 100 miliardi complessivi. Ecco come si può agire, e mi pare che la Regione Piemonte in questi anni abbia agito coerentemente mettendo in movimento risorse aggiuntive a quelle scarse di cui disponeva.
Ma altri elementi sono stati di novità: si tratta di come sono stati ripartiti i fondi per acquedotti, per fognature, con la collaborazione ed il confronto con l'intera comunità regionale. Si tratta di continuare in modo deciso su questa strada e, se ci sono dei ritardi, recuperarli, perch riteniamo che quella sia la strada giusta per coinvolgere l'intera comunità regionale.
Mi avvio alla chiusura, citando un altro aspetto della politica della Regione, quello cioè del riequilibrio e del riassetto. Ieri la Giunta regionale si è recata a Verbania per una riunione aperta, in questo dimostrando una sensibilità particolare a questi problemi del riequilibrio.
Si è recata in una delle zone della nostra regione in cui i pericoli di recessione sono i più gravi. E' stato detto nel nostro convegno che il Verbano-Cusio-Ossola offre uno spaccato di tutti i problemi che esistono nella nostra regione e, più in generale, a livello nazionale. Mi pare che coscienza di questa gravità della situazione ci sia nella maggioranza, ma nell'insieme delle forze presenti in Consiglio. E' emersa da tutto il dibattito l'opportunità di intervenire da parte della Regione per andare con decisione verso la strada del riequilibrio, da una parte con strumenti propri, dall'altra facendosi sollecitatrice verso gli altri livelli istituzionali, a partire dal Governo, ovviamente. La situazione è vicina al collasso. Il Vicepresidente della Regione diceva: "non è il sud", vera perché la situazione, basta guardarsi attorno, è completamente diversa rispetto a quella del Mezzogiorno; però se dovesse persistere potrebbe portare al degrado forse irreversibile di un'intera zona della nostra regione. Si tratta di difendere, l'esistente, com'è emerso nella riunione di ieri, ma vi è anche la necessità di fare un salto più in là, di provare a percorrere anche strade nuove, perché se ci fermassimo solo alla difesa dell'esistente (e questo vale anche per il resto della regione) avremmo probabilmente perso in partenza. Si tratta di cominciare ad applicare concretamente le intuizioni molto originali contenute nel programma della Giunta: percorrere la strada del terziario diverso, del terziario superiore, in una zona dove esistono anche i presupposti: aree attrezzate regionali molto valide che possono portare alla riqualificazione professionale, a monte tutto un patrimonio di esperienze che derivano dal fatto di trovarsi in un'area di antica tradizione industriale. Penso che il Consiglio regionale e la Giunta regionale vorranno proseguire su questa strada. I problemi si collegano alla situazione nazionale, certamente (la siderurgia, la chimica), e qui ci agganciamo subito ad inadempienze che troviamo a livello di piani di settore e, più in generale, di politica governativa. Si tratta di fare la nostra parte fino in fondo verso questi interlocutori, ma anche di intervenire con quanto è di nostra competenza per dare un segnale di comportamento diverso, da parte della Regione, da quello fino ad ora tenuto dal Governo.
Concludo il mio intervento, confermando il giudizio positivo che diamo al bilancio presentato dalla Giunta regionale, proprio per l'articolazione con cui si è mossa in questi primi mesi di vita, portando avanti da una parte le iniziative impostate dall'amministrazione precedente e, d'altra parte, con impegno, originalità per affrontare i problemi che si pongono in modo diverso man mano che la realtà va avanti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gastaldi.



GASTALDI Enrico

Mi limiterò ad alcune semplici considerazioni preliminari ed a semplici considerazioni sulle spese per le aree 1 e 4.
Il documento che stiamo esaminando è il più importante dell'amministrazione perché, pur fatto di aride cifre, è da una parte il frutto di tutta l'esperienza amministrativa passata e, dall'altra, la conseguenza delle proposte provenienti da tutte le componenti del Piemonte (dibattiti, informazione, giudizi, ecc.) e della valutazione della realtà del Piemonte con le sue crisi e con i suoi bisogni vecchi e nuovi, come realtà economica e sociale, divisa in settori ed aree, toccati in modo diverso dalla crisi, quindi con diversa necessità di sostegno.
E' un documento che non va certamente giudicato con spirito preconcetto di parte o di posizione personale di maggioranza o di opposizione, né con spirito di critica preconcetta, ma come frutto di un'ideologia, ma anche di un ragionamento e quindi va discusso con dimostrazioni e dati obiettivi. Va quindi valutato non come un documento intoccabile, ma suscettibile di variazione e di miglioramenti, che saranno possibili conseguenze di quei ragionamenti a cui accennavo prima. Anche se la parte relativa alla spesa corrente può offrire spunti di giudizio e soprattutto quella.relativa alla spesa libera di destinazione e di ripartizione che richiede giudizi e valutazioni più precise e di natura politica. Però, perché tale giudizio sia il più obiettivo possibile bisogna porre alla sua base dei criteri precisi. E tali criteri debbono essere, mi pare: l'importanza del settore l'importanza e la preferenza di quello economico o di quello sociale, la sua situazione di crisi, la sua eventuale incidenza sullo sviluppo e sul miglioramento futuro, sia economico che sociale, del Piemonte. Oltre che sulla distribuzione percentuale della spesa tra i vari settori, l'esame va poi esteso alla distribuzione percentuale di essa nell'interno dei vari settori. Anche qui è necessario stabilire quale scala di priorità vada seguita nelle scelte (parte economica - parte sociale - crisi attuale possibilità di benefici e di sviluppi futuri). Applicando quanto ho detto nell'esame della spesa per l'area 1 mi pare giusto fare qualche osservazione.
a) La tabella riassuntiva riportata a pag. 55 della relazione non pu essere presa, così com'è, come elemento di giudizio politico, ma deve essere depurata delle cifre corrispondenti alle spese correnti. La divisione percentuale della spesa tra settori ed aree deve essere fatta sulla cifra risultante e per questo mi riferisco al riepilogo di pag. 54 della relazione relativo alle previsioni in termini di competenza. Dai 2.246 miliardi bisogna togliere i miliardi della spesa sanitaria obbligata che la Regione riceve dallo Stato e passa alle U.S.L. e gli altri 156 miliardi delle altre aree ed oneri non utilizzabili; restano 850 miliardi per la casa tra obbligata e libera di destinazione sui quali deve essere costruita la tabella delle percentuali. Essa così viene ad assumere ben altri valori e precisamente: l'area 1, il 31,3%; l'area 2, il 14,5%; l'area 3, il 34,5%; l'area 4, il 9%; l'area 5, il 10,3 % . Le percentuali variano quindi notevolmente e, in modo particolare, il settore primario non ne risulta gravemente penalizzato. Si distacca notevolmente infatti dalle aree 2, 4, 5 e resta inferiore, ma solo di poco, all'area 3. Questo, ad essere veramente obiettivi, per le connessioni che quest'area ha con le altre e soprattutto con l'area 1, deve essere accettato.
L'area 3 deve essere giudicata come l'area più importante e quindi maggiormente bisognosa di investimenti. Se poi scendiamo sull'analisi della spesa nell'interno dell'area ed analizziamo la percentuale di spesa nei vari settori o capitoli, possiamo dire che per l'area 1 uno dei criteri da seguire per la distribuzione della spesa è quello di preferenziare il settore o i settori che nell'80 hanno subito la maggiore crisi. Essi, com'è ben noto, sono quelli della zootecnia e delle colture pregiate, soprattutto dell'uva e della frutta, per la ben nota e continuamente ripetuta diversità di incidenza della, svalutazione sui mezzi per la produzione e sul prezzo finale del prodotto (che sarà, a sentire le proposte che si stanno facendo in sede CEE, aggravata per l'anno 1981).
Un altro criterio, è quello di preferenziare i settori a maggior utile futuro: essi sono quelli delle associazioni e delle cooperative, verso le Quali deve, a detta di tutti, prevedersi lo sviluppo dell'agricoltura quale rimedio, sia per migliorare qualitativamente e quantitativamente la produzione, sia per migliorare attraverso il risparmio nella produzione e maggior ricado nella vendita, il reddito agricolo. Prima però dell'analisi della spesa nei singoli settori, bisogna osservare ancora che non vi pu essere tra i vari capitoli una distinzione e separazione netta e precisa: essi si incuneano tra di loro in modo tale da non poterli disgiungere e giudicare in modo matematicamente dissociato (ad esempio, il capitolo sulla cooperazione si incunea nei capitoli 1.2 - 1.3 per l'aiuto alle stalle sociali e alle cantine sociali), applicando i criteri detti prima e facendo le debite correzioni e riporti i capitoli trovano che l'impegno di spesa da una scala progressiva di valori con 48 miliardi per la cooperazione, 39 per la zootecnia, 15 per le culture pregiate che in percentuale, sul totale della spesa per l'area 1, danno valori di 24 % per la cooperazione, 20 per la zootecnia, 8 % per le colture pregiate. A voler essere veramente obiettivi bisogna dire che è giusta la scala di priorità seguita, possiamo però avanzare dubbi sulle percentuali di distribuzione della spesa e su questo vorremmo chiedere una spiegazione all'Assessore competente, al quale spetta la distribuzione della spesa per capitoli nell'interno dell'area. A noi pare che la quantità di spesa per il settore colture pregiate, che comprendono l'uva ed il vino specialmente, non sia adeguata alla crisi che il prodotto ha subito nell'80 e che - si prevede - ricomparirà nell'81.
Qualche parola sull'area 4.
Prima di esaminare il bilancio relativo all'area 4 bisogna premettere qualche considerazione. Quest'area è di' competenza di due Assessorati ed il bilancio non ne divide i programmi ed i progetti , quindi i finanziamenti (ad esempio il progetto 6 del programma 1 comprende finanziamenti per l'abbattimento di animali affetti da Tbc, che sono di competenza della sanità; mentre il programma 4 comprende finanziamenti per gli immigrati, che sono di competenza dell'assistenza). E' quindi difficile stabilire in modo esatto quali sono i relativi finanziamenti. Sembra per che, basandosi sulle relazioni fatte dai due Assessori in occasione del dibattito sui problemi socio-sanitari e raccogliendo separatamente dal bilancio generale i finanziamenti per gli interventi che le due relazioni ricordano come proprie, e specialmente dalla chiara pubblicazione relativa alla relazione sullo stato di attuazione del programma pluriennale di attività e di spesa '77-'80, i finanziamenti per gli interventi che le due relazioni ricordano, dei 1.515 miliardi, 1.470 circa siano di competenza dell'Assessorato alla sanità, 44 miliardi circa di competenza dell'Assessorato all'assistenza, di cui 12,5 di risorse proprie della Regione. Sulla cifra disponibile dell'Assessorato alla sanità c'è poco da dire; essa è devoluta quasi esclusivamente a spese correnti. Dal bilancio il 1981 sembra essere, per l'Assessorato alla sanità, un anno di riflessione e di legislazione per organizzare o riorganizzare i vari servizi per l'applicazione in Regione della riforma sanitaria.
C'è più da dire sulla cifra a disposizione dell'Assessorato all'assistenza perché essa è di libera distribuzione e quindi impegna ad una scelta di progetto. La mancanza di una legge quadro nazionale e la mancanza della legge regionale già proposta nella passata legislatura l'abbiamo sentito dire nel dibattito ricordato, fa sì che manchino i finanziamenti. Lascia tuttavia libertà di scelta e di preferenza all'Assessore e ciò, politicamente, è molto importante. Intanto sulla cifra si possono fare due tipi di considerazioni: è essa sufficiente ai programmi e progetti? è ripartita in modo accettabile fra di essa? A giudizio dell'Assessore è scarsa ed insufficiente a coprire i fabbisogni ed a permettere un adeguato intervento per i progetti vecchi e già studiati ma da sviluppare (anziani, handicappati) e per quelli che realtà nuove richiedono (assistenza ai carcerati dimessi, ai lavoratori disoccupati) e per modificare ed adattare a nuove destinazioni quelli che si sono dimostrati sopravalutati (asili nido). Anche noi ne conveniamo. La questione poi della ripartizione della spesa nei vari progetti e quindi della scelta della loro priorità è più importante.
La dichiarazione dell'Assessore, in occasione del dibattito ricordato e le dichiarazioni del Capogruppo del P.R. L coincidono, almeno per i progetti più importanti (anziani e handicappati). L'Assessore infatti diceva: "l'attività dell'Assessorato sarà caratterizzata da un notevole impulso alla realizzazione del progetto handicappati e del progetto anziani". Il nostro Capogruppo, pur lamentando una mancanza di dati statistici numerici relativi, affermava: "i progetti evidenziati dall'Assessorato di intervento prioritario sugli handicappati e sugli anziani sono sostanzialmente condivisibili". Ma le dichiarazioni dell'Assessore non trovano riscontro nella ripartizione della spesa.
Infatti, la tabella di pag. 87 della relazione dice: "della spesa libera di destinazione miliardi sono destinati agli handicappati, 3 miliardi e 250 milioni sono destinati agli anziani". Le cifre, modeste certamente di fronte alfa gravità ed all'urgenza di soluzione che tali programmi richiedono e giustificabili soltanto dal fatto che per esse non vi sono finanziamenti statali, ma solo regionali, sono però superate dai 5 miliardi per gli aiuti ai cittadini con redditi insufficienti per sostenere il rincaro del riscaldamento, sui quali ci siamo già espressi in occasione dell'approvazione della legge relativa.
Concludendo, queste sono le mie osservazioni sulle proposte di ripartizione di spesa nelle aree 1 e 4. Sulle questioni politico-generali connesse al bilancio e sulla distribuzione sulle altre aree, ragionerà il Capogruppo del mio partito.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Il mio è da considerarsi il primo intervento che il Gruppo liberale svolge in questa discussione. Per distribuzione di compiti mi occuperò di alcune questioni di carattere settoriale, ma ciò evidentemente non ci esime da qualche considerazione di carattere generale che viene dal dibattito vivo in quest'aula, non tanto dalla nostra preparazione nei corridoi.
Nella giornata odierna, debbo segnalare con soddisfazione e, quindi esprimere il mio ringraziamento all'Assessore Testa che ha ritenuto di intervenire immediatamente dopo il relatore. Questa è una novità che noi avevamo in altri casi auspicato, proprio per riportare il dialogo alla sua logica più corretta, cioè, essendo il bilancio sostanzialmente un prodotto dell'esecutivo, evidentemente la sua esposizione di tipo politico fosse fatta dalla Giunta, con tutto il pregio ed il rispetto che va riconosciuto alla Commissione ed al suo relatore.
Altre due considerazioni sono venute fuori questo pomeriggio dal collega Brizio, democristiano, che io vorrei richiamare brevemente. Il collega Brizio ci ha illustrato come nel corso dell'anno '80 il concorso della nostra Regione alla produzione del reddito nazionale sia sceso.
Vorrei ricordare che questo è un fenomeno già di qualche anno, cioè questa nostra Regione cade, di anno in anno, nella classifica delle percentuali del suo concorso al prodotto del reddito nazionale. In altri termini, in luogo dell'ormai mitico triangolo industriale si sta sviluppando una linea spezzata che parte dalla Liguria, passa per il Piemonte, attraversa la Lombardia e si attesta nel Veneto. Su questo oserei dire che non a caso avvengono queste cose. Brizio citava degli economisti, ci diceva anche come non ci sia mai una correlazione precisa tra le azioni dei politici, le previsioni dei tecnici e la realtà, perché la capacità degli operatori economici è sempre tale da rimediare - al di là del previsto dai politici agli errori dei politici e delle loro programmazioni. Peraltro, la politica portata avanti sul piano delle grandi realizzazioni, addirittura sulla filosofia dell'essere del Piemonte prima dall'opposizione comunista e, poi dalla maggioranza comunista in cinque anni, non può non aver lasciato il segno. Una Regione che per dieci anni si è pentita di essere diventata protagonista della rinascita economica del nostro Paese, una Regione che per anni si è pentita di avere dei collegamenti internazionali, di avere una delle aree più floride del nostro Paese dal punto di vista agricolo non può certamente Aspettarsi che a seguito di questo decennio di "gramaglie" si trovi ad essere poi proiettata verso un avvenire di sviluppo. E' chiaramente in una realtà di stagnazione che è stata voluta da certe forze politiche e si è concretata con il rifiuto delle scelte sul piano delle strutture e delle infrastrutture, uniche condizioni che noi riteniamo necessarie per garantire al Piemonte quell'attenzione di vera solidarietà nazionale, per realizzare in questa regione il massimo di concorso alla produzione del reddito nazionale, soprattutto quando si scopre che il reddito e le risorse dei piemontesi finiscono con l'essere utilizzate dal resto del Paese, in percentuale, più di quanto non venga fatto dai nostri cittadini. Diceva ancora Brizio che ha difficoltà nell'accettare la giustificazione che viene avanti molte Volte nei documenti della Giunta che questo sarebbe un anno di transizione: in effetti c'è lino spirito di transizione in questi documenti che a me pare non .sia tanto un problema di transizione rispetto ad un appuntamento elettorale che c'è stato e qualcosa che deve avvenire, cioè la predisposizione del piano di sviluppo, quanto una realtà di transizione in cui questa maggioranza deve attestarsi su degli obiettivi, su un programma su una coesione, su una prospettiva anche ideale che in questo momento non c'è. Per noi esiste, quindi, una realtà di transizione, ma questa è una Giunta di transizione. Sempre riferendomi all'intervento di Brizio, a quanto diceva all'avv. Viglione, invitandolo a "suicidarsi", cioè non portando in questa sede gli elementi positivi ritrovati dalla società piemontese nel bilancio regionale, io dico a Brizio che noi ci rendiamo conto che questa maggioranza è in stato precomatoso, ma lasciamola morire in pace, non chiediamole di suicidarsi! Venendo al documento più stretto, mi pare che un argomento che sul piano politico - istituzionale va riconosciuto alla Giunta sia che la percentuale disponibile di spesa attuale è scesa al 9,30 % delle risorse disponibili. Mi pare, quindi, che qui si porrà, per tutte le forze politiche, la necessità di riproporre l'interrogativo preciso del futuro che si sta preparando all'istituzione regionale perché, dicevano gli antichi "homo sine pecunia est imago mortis", ed un'istituzione che dopo dieci anni dalla sua entrata in essere comincia a soffrire di mancanza di pecunia, è destinata a diventare sempre più l'immagine della morte.
Questa riduzione progressiva fatta dal Governo centrale della possibilità reale di autonomia, quindi di governo e di scelte, e quindi della nostra stessa ragion d'essere di politici su questi banchi, mentre contestualmente viene gonfiata la dimensione monetaria della Regione con puro trasferimento burocratico di funzioni, che riduce al tempo stesso la nostra capacità politica, ma fa crescere la nostra impopolarità verso l'esterno, perché sembriamo dotati di grandi poteri, mentre questi si riducono anno per anno e si sono ridotti al 9,30%, mi pare che per noi stessi e per chiunque di noi debba interrogarsi sulla ragione del proprio lavoro questo sia l'argomento principale che ha come interlocutore evidentemente, il Governo nazionale. A fronte di questo esiste un altro problema, il nostro rapporto con gli Enti locali, del quale diremo qualcosa più avanti.
Altro elemento positivo che va riconosciuto è che un aumento della capacità di spesa da parte della Giunta regionale nel corso dell'ultim anno c'è stato, sia pure ancora non soddisfacente.
La caduta di risorse da utilizzarsi con lo strumento della delega apre un altro discorso di tipo istituzionale; così come rivendichiamo maggiore capacità, di governo é, quindi, maggiore disponibilità di risorse gestite da parte del Governo, ci sembra che con l'istituto della delega dobbiamo se vogliamo coerentemente lavorare per lo Stato delle autonomie - garantire agli Enti locali maggiore capacità di, spesa, di intervento, di governo affinché anch'essi siano enti di governo locale e non semplicemente dei puri ufficiali pagatori. Questo vale nei Comuni, ma, certamente anche nei confronti dei Comprensori, non Sufficientemente citati. Ho avute la fortuna di leggere una certa espressione ufficiale, scritta da un certo organismo che individua i Comprensori come associazioni di Comuni, anzi, federazioni di Comuni. Mi sembra molto curioso che nel giro di soli quattro anni di effettiva esperienza comprensoriale la Regione sia giunta a dare di questo elemento della programmazione sul territorio l'immagine di una federazione di Comuni, e quindi di spinta dalla periferia, anziché di momento di collegamento tra il territorio ed il centro del governo piemontese; ritengo che questo argomento debba farci riflettere, così come ci devono fare riflettere le preoccupazioni - sempre in riferimento al quadro istituzionale - sulla capacità della Regione di giungere ad un rapporto armonico e non contraddittorio con le Province, al fine di utilizzare le risorse di capacità operativa che esse hanno. Al contrario, questa Regione secondo me, sopravaluta ed enfatizza le capacità operative dei Comuni.
Quindi, in sostanza, molti di questi residui passivi si creano anche in ragione della non obiettiva riconoscenza delle realtà che ci sono sul territorio, ma una realtà che viene letta attraverso il filtro del pregiudizio politico: le Province vengono riscoperte perché nell'Emilia Romagna è stata proposta la legge per l'abrogazione dei Comprensori. Mi pare, pertanto, che tutti insieme, l'istituzione come Regione, le forze politiche, i Gruppi consiliari, sui problemi istituzionali (i nostri rapporti con lo Stato e con gli Enti locali) dovrebbero porre la dovuta attenzione, perché probabilmente è in queste distonie che si riduce la capacità politica della Regione e, probabilmente, perdiamo questa occasione per creare il tanto auspicato Stato delle autonomie.
Ci preoccupa la riduzione delle risorse disponibili alla vicenda del turismo, perché mi pare che questo contraddica ad uno dei disegni portanti di questa maggioranza, che noi condividevamo, che vedeva nel turismo nuovo molto legato ai fenomeni della cultura, inteso come fruizione sociale, uno strumento per il recupero di tutta una realtà sociale ed economica estremamente sfilacciata, non disdegnando e non riconoscendo, nel contempo che la nostra Regione ha pure una realtà economica e turistica di grandissimo significato che ha bisogno di risorse opportune. Non insister mai sufficientemente su questo argomento, che l'Assessore Moretti segue per quanto di sua competenza, ma ho l'impressione che non sia abbastanza considerato da chi, per esempio, ha succeduto l'Assessore Astengo. E' stato, infatti, dimenticato che noi in Piemonte abbiamo il più grande domaine skiable delle Alpi; è dimostrato che il petrolio bianco è molto più raro e molto più prezioso di quello nero; l'Austria ha un budget turistico che è quasi il doppio di quello italiano, nonostante sia priva di stagioni estive a causa del suo territorio esclusivamente montuoso. Questa caduta di interesse per questo settore ci lascia quindi estremamente preoccupati e perplessi e ci auguriamo che in sede di variazione e assestamento, che sono le stampelle di questo modo di governare, si riesca a rimediare, anche perché, già nelle consultazioni vengono rivendicati questi strumenti.
Sull'assistenza in Commissione tutti i Commissari avevano convenuto nel riconoscere che il budget a disposizione dell'Assessorato è troppo lontano dalle aspettative che la collettività regionale pone in questo tipo di strumento. Anche qui ci auguriamo che in sede di assestamento questo Assessorato possa trovare risorse sufficienti per portare avanti un minimo di programma. Se, per esempio, dopo l'Anno dell'Handicappato vogliamo che rimanga qualcosa dal punto di vista delle norme di comportamento, ma soprattutto dal punto di vista dei provvedimenti concreti, certamente i 3 miliardi messi a disposizione non sono sufficienti, anche se è abbastanza curioso - leggendo sempre queste carte che ci vengono messe a disposizione che dopo "Vinincontri" (l'acqua del Po è trasformata in vino, perché si andava a bere il vino in riva al Po) pare che la Promark ci stia preparando un altro miracolo, cioè di organizzare, con il Comune di Torino, l'Anno dell'Handicappato. Visto che la Promark ha la funzione di far conoscere possibilmente anche all'estero; le nostre realtà, ci auguriamo che sia solo stata un'espressione infelice il dire che la Promark si occuperà dell'Anno dell'Handicappato insieme al Comune di Torino.
Sulla sanità abbiamo già espresso all'Assessore la nostra valutazione in sede di dibattito di problemi sanitari:, vediamo la sua figura un po' mortificata - poiché abbiamo della stima per lui - in questa funzione di ufficiale pagatore in attesa, tra l'altro, di non avere neanche più questa funzione quando al suo posto vi saranno moltissimi voraci Presidenti di U.L.S. che si disputeranno i soldi della nostra salute.
Altre considerazioni che ci hanno preoccupati sono quelle che abbiamo fatto leggendo le cifre e gli interventi che attengono all'artigianato. E' già stato detto che i residui passivi sono aumentati da 623 milioni a 1.423 (anche questo è stato detto dal collega Brizio): dobbiamo peraltro dire che c'è stata una riduzione delle somme disponibili di 711 milioni, che vanno tra l'altro lette con il vetrino della reale incidenza, e cioè penalizzate dall'inflazione che nel frattempo maturerà. Quindi, il carico di disponibilità per questo settore è sceso enormemente. Tra l'altro, ci stupisce che sia stato penalizzato un settore nel quale, nonostante i residui passivi siano aumentati, sono sempre percentualmente i più bassi il che significa che sostanzialmente le nostre leggi funzionano e, se funzionano, non capisco perché ad esse si sottraggono delle risorse.
Nell'occasione convengo - come del resto penso convengano i colleghi di Gruppo - sul supporto che la Finpiemonte dà a questo settore e voglio sottolineare come l'intervento regionale sembri del tutto inadeguato alle finalità che si vogliono perseguire.
L'Assessore Marchesotti ha già provveduto ad assicurare gli artigiani in sede ufficiale di consulta, che si rimedierà con una prossima variazione di bilancio.
Ancora qualcosa per quanto attiene all'ambiente ed all'energia.
Riguardo alle dimensioni di risorse non esistono grandi novità rispetto all'80, quindi non spendiamo molte parole su lagnanze che potrebbero essere fatte a questo proposito. Anche qui notiamo che il problema del vincolo cioè dell'incapacità ed impossibilità nostra di fare politica, è estremamente rigido, nel senso che 1'80 % delle risorse di cui dispone la Regione sono vincolate, quindi la capacità operativa dell'Assessorato, del Consiglio, delle Commissioni, nella politica dell'ambiente si riduce al 20 delle risorse disponibili. Questo è un problema estremamente significativo.
Così come il pronto intervento, oltre a questo tipo di penalizzazione si vede per larga parte condizionato da impegni già presi.
Lamentiamo l'insufficienza degli interventi nel settore idrogeologico anche se ci sembra che quanto si spenderà dovrà essere speso in questa visione più organica ed integrata degli interventi, non di pura difesa del territorio, ma magari di migliore utilizzazione del territorio, osservando che questa via potrebbe essere seguita, ad esempio, facendo opere di riequilibrio dei corsi d'acqua, a beneficio dell'energia e dell'agricoltura e producendo un minor costo. Si tratterà anche qui di avere la fantasia di andare a recuperare degli strumenti esterni per attivare non soltanto risorse regionali, ma risorse dei Comuni, degli Enti locali e, soprattutto del territorio.
Esiste il grosso problema dei piani di risanamento delle acque, il grosso problema del trattamento dei rifiuti solidi urbani; esiste il grossissimo problema del trattamento dei fanghi industriali, sul quale bisogna procedere su una duplice direttrice: da una parte cercare di recuperare, fin dove è possibile, questi scarichi, in quelli cosiddetti civili ed urbani, potenziando questi ultimi in modo che possano assorbire questo ulteriore gravame e, dall'altra parte, impostare un preciso piano per lo smaltimento dei fanghi. Anche a questo proposito ho letto con interesse che, mentre noi stiamo predisponendo la carta dei siti suscettibili di questo tipo di utilizzazione, da parte della Finpiemonte è stato posto in essere uno studio di fattibilità, di metodi e procedure di intervento in questa materia, chiedendo la partecipazione e, l'intervento non soltanto finanziario, ma anche di capacità di organizzazione da parte delle società ad indirizzo privatistico e degli Enti locali. Mi pare questo un modo Corretto per riuscire a porre in essere quel tipo di procedimento che viene chiamato di moltiplicazione, che non significa fare miracoli, ma significa essere il primo momento di un processo al quale chiedere il concorso della società. Mi pare che questa iniziativa della Finpiemonte debba trovare anche sul piano finanziario della Regione tutta la sua disponibilità.
Ultime notazioni attengono ad un aspetto estremamente delicato della nostra Regione, quello della formazione. Mi è rimasto molto difficile capire di quali risorse dispone l'Assessorato alla formazione professionale: io ritengo che siano insufficienti. Auguriamoci che sia possibile sopperire ad un tipo di forbice di domanda, perché questa domanda aumenta da una parte nel numero di destinatari degli interventi e, appunto a forbice, aumenta anche la qualità dell'intervento da farsi sull'utenza perché sia produttivo. Ci sembra non sufficientemente considerata da parte della Giunta la possibilità di accedere, su questo, ad interventi CEE.
Forse la ragione è sostanzialmente nel ritardo culturale su tutta questa problematica; ci pare, cioè, che la formazione professionale sia ancora quella che abbiamo ereditato e, in definitiva, l' "università dei poveri" nel senso più deteriore del termine. Così come l'Università è stata per dieci anni l'area di parcheggio dei figli dei ceti medio - alti, la formazione professionale è rimasta per moltissimi anni la fascia di "non disturbo" dei figli dei cittadini a reddito inferiore. Questo tipo di ritardo culturale su questa problematica va superato dotando la nostra Regione di una formazione professionale significativa, seria ed agile rispetto alla domanda sempre nuova, caratterizzata da molta mobilità, che ha evidentemente la domanda di lavoro nella nostra Legione. A titolo indicativo segnalo, quindi, che 350 milioni per l'aggiornamento del personale docente, da spendersi in un anno, significa che avremo certamente un personale docente non aggiornato, il quale a sua volta prepara e sforna dei ragazzi non aggiornati e non professionalmente qualificati; quindi noi facciamo uscire questi giovani dall'area di parcheggio e li facciamo entrare in quella della possibile disoccupazione. Anche su questo vi sono degli esempi, dei quali la Regione è protagonista, di tipo positivo, sulla scorta dei quali invitiamo la Giunta ad operare: mi riferisco all'iniziativa del Centro Studi Città di Biella sui problemi del tessile.
E' stato fatto qui un grosso investimento da parte della Regione, ma è stato, - soprattutto, un'ulteriore dimostrazione di come la società piemontese, la società civile, quando venga stimolata, riletta a disposizione risorse umane di cultura e di fantasia e, soprattutto finanziarie per porre in essere strutture come questa "università, tessile" che è stata realizzata nel Biellese. Anche in quel caso è estremamente significativa la presenza della Finpiemonte come ente erogatore e, quindi facciamo nostra la preoccupazione di questo ente che si risolvano i problemi finanziari ancora aperti, che, fra l'altro, non dovrebbero essere di molto al di sopra dei 350 milioni.
Un'ultima annotazione che, potremmo fare è raccogliere un'altra raccomandazione della Finpiemonte, dove chiede di essere autorizzata ad utilizzare i centri di formazione professionale di Orbassano e di Vercelli per portare avanti delle iniziative su proposte di formazione professionale formulate dalle industrie di media dimensione dell'artigianato interessato a queste aree. Mi sembra questo un modo di far uscire la formazione professionale dalla ghettizzazione e farla diventare protagonista della realtà industriale piemontese.
Infine, rimane un'osservazione in ordine al programma finanziario che deve supportare il progetto cultura dell'Assessore Ferrero. Su questo ci siamo già espressi in sede di dibattito. Notiamo con soddisfazione che c'è anche nei documenti di bilancio, un tentativo di razionalizzare la Spesa in questo settore e, soprattutto, di ipotizzare degli interventi di tipo ultra annuale, in modo tale che le iniziative abbiano "garanzie di finanziamento ed un minimo di capacità di programmazione.
Il nostro Capogruppo ed i colleghi che interverranno dopo di me daranno un giudizio più completo e più politico sul documento presentatoci dalla Giunta, sul quale difficilmente ci sarà un voto positivo del nostro Gruppo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferro.



FERRO Primo

Della breve e pregevole relazione del compagno Viglione vorrei soffermarmi sul passaggio che pone l'accento sul ruolo di governo delle Regioni. A poco più di dieci anni dalla loro nascita la costante, per cui si è battuto il sistema delle autonomie, di fare della Regione non solo un ente che distribuisce risorse proprie e finalizzate, ma un ente di governo che mobilita risorse, soggetti sociali, forze produttive, che in sostanza coordina, questa costante è diventata ancor più acuta e pressante. A renderla più acuta sono i problemi della crisi che aprono un ventaglio più ampio di variabili nella nostra società e nel sistema complessivo, che producono processi meno controllabili che in passato e, nello stesso tempo chiamano le istituzioni ad agire all'interno di essi perché la loro dinamica spontanea nbn porterebbe che al decadimento dell'apparato produttivo.
Senza entrare nel merito di queste questioni, che altri del mio Gruppo svilupperanno con maggiore puntualità, voglio sottolineare che l'invito contenuto nella relazione a pensare in questi termini al futuro e agli impegni che ci stanno davanti, va accolto in pieno da ogni Gruppo perch ognuno dia il proprio contributo di idee e di intelligenza.
Anch'io do un giudizio positivo alle consultazioni e ai contributi che ne sono venuti anche se non sono mancati suggerimenti e critiche da parte di alcune organizzazioni consultate, indicazioni che non tengono conto o sottovalutano il ruolo della Regione nella formazione e nell'andamento dei processi economici e che riconducono il proprio giudizio al ruolo che la Regione ha nel distribuire le risorse proprie e quelle che le derivano da leggi nazionali. Tali impostazioni emergono dai documenti e dalle dichiarazioni delle organizzazioni professionali agricole, in particolare dalla Coldiretti. In questi documenti ci pare di cogliere una concezione peraltro diffusa anche in alcuni ambienti della sinistra, che impoverisce la cultura della programmazione, come se essa fosse fallita o fosse da ridimensionare.
Se si segue questa impostazione, il riferimento essenziale per un giudizio sulla politica agricola della Regione è quello delle risorse che si mettono in campo; anzi, si fa una comparazione tra le risorse di quest'anno e quelle dello scorso anno per dire nei documenti della Coldiretti e in alcune interviste un po' precipitose, di alcuni Consiglieri della minoranza, che il volume degli investimenti è sceso di circa 34 miliardi e che ci sarebbe una, contrazione dell'impegno regionale nei confronti dell'agricoltura il che dimostrerebbe una visione residuale del settore agricolo da parte di questa Giunta.
Al pessimismo e alle critiche formulate non vogliamo contrapporre entusiasmi o difese d'ufficio. Il problema è un altro.
Tuttavia, anche se la Giunta chiarirà le cifre, qualcosa vogliamo dire anche noi. Parlare di 34 miliardi in meno, non è corretto. Le conclusioni che taluni hanno ricavato sono precipitose e richiedono un giudizio più articolato.
Intanto, per fondi statali vincolati, la Regione riceverà dallo Stato poco più di 35 miliardi in meno per il fatto che lo scorso anno erano state assegnate due annualità con la legge del Quadrifoglio e quest'anno si seguiranno i criteri ordinari; inoltre siamo entrati nella fase di esaurimento del finanziamento stabilito dalla legge 153.
In secondo luogo, all'agricoltura non vanno soltanto le risorse dell'area di intervento n. 1, ma vanno anche risorse di altre aree come quelle dell'area di intervento n. 3 (6 miliardi e mezzo circa a favore delle imprese agricole). Sono risorse che ci vengono dal finanziamento statale, certo, ma poiché il discorso sui 34 miliardi è stato fatto sulle risorse proprie e sulla finanza derivata, bisogna fare i conti sino in fondo, tenendo anche conto che lo Stato non adegua i fondi sulla base dei tassi di inflazione e quindi la legione è costretta ad integrarli.
Si parla di concezione residuale dell'agricoltura, ma gli incrementi di impegno che troviamo nel bilancio pluriennale sulla legge Quadrifoglio, che nel 1983 saranno di quasi 7 miliardi in più rispetto al 1981 dimostrerebbero il contrario. Non voglio sentire le contestazioni che ha fatto il Consigliere Brizio sul rapporto tra bilancio 1981 e bilancio pluriennale e rimango sul bilancio 1981 per far mie le osservazioni dell'Assessore Testa quando sostiene che nelle risorse per l'agricoltura si verifica un incremento dell'11,23%. Tali valutazioni, dice l'Assessore Testa, sono fatte sulla base della terza variazione di bilancio, ma io credo che siano fatte sulla base di altri documenti, perché le valutazioni sulla terza variazione non portano a questa conclusione.
I nodi dell'agricoltura sono ben altri di quelli portati avanti dalla Coldiretti o da alcuni Consiglieri della minoranza.
Qual è la base da cui partire? Quella secondo cui mancano 34 miliardi o quella secondo cui ci sono alcuni miliardi in più? Il punto non è questo. Anche se si chiarisse questa disputa, resta il problema di chi, per che cosa, per quale politica finalizzare questi miliardi. Non è sufficiente dire che l'agricoltura è un settore che va aiutato. Come va aiutato? Indiscriminatamente, rompendo i cosiddetti lacci e lacciuoli della programmazione economica, togliendo la priorità dei piani aziendali dalle leggi regionali, come abbiamo sentito chiedere in sede di Commissione. Le risorse non basterebbero, bisognerebbe almeno raddoppiarle ottenendo dei benefici che non sarebbero comparabili con le risorse perch salterebbero tutti i meccanismi di selezione che sono orientativi dell'indirizzo che si intende perseguire.
La politica che taluni considerano volta verso una concezione residuale dell'agricoltura, non lo e' poi tanto se si considerano alcuni dati che citerò brevemente: 1) in Piemonte nel 1979 si è raggiunto il massimo storico delle produzioni. E' vero che nel 1980 c'è una riduzione dello 0,5/1 % del prodotto lordo vendibile, ma questo sembra dovuto più a ragioni congiunturali e all'andamento dell'annata agraria che non ad altre ragioni 2) nel 1980, dopo un minimo storico toccato nel 1976, si è registrato un incremento degli occupati in agricoltura in Piemonte, di 7.000 unità in più rispetto al 1979 e non si può dire che questa sia la conseguenza del processo di femminilizzazione delle campagne, essendo uomini la maggioranza degli occupati.
Questi dati dimostrano che la politica agraria portata avanti in questi anni ha pagato, altro che concezione residuale dell'agricoltura! Le contraddizioni sono però ad un livello più elevato ed è su queste cose che siamo chiamati a confrontarci.
Non so se riesploderanno le contraddizioni sul vino, come paventava poc'anzi Gastaldi, è certo che ci, ritroveremo di fronte i nodi del latte e della carne perché in questi anni c'è stato un incentivo che è valso a rendere più forti le aziende produttrici. C'è una tendenza a riequilibrare di più sulla Carne, ma è uno sforzo il più delle volte spontaneo, non sufficientemente organizzato, che trova delle difficoltà e in casi non rari, queste difficoltà superano riconducendo gli allevamenti ad un'attività speculativa di ingrasso di bestiame con mangimi di importazione. Questo apre dei grossi problemi. L'Assessore Ferraris con i dati che ci ha fornito, ha detto che si tratta di 160 milioni di quintali di foraggio.
Se non si rafforzano delle linee di intervento c'è il rischio che grandi estensioni di terreno fertile e facenti capo ad imprese grandi e piccole vengano portate a colture estensive ultraredditizie con l'abbandono del reimpiego di alcuni prodotti e con il conseguente impoverimento del patrimonio generale bovino, compromettendo di fatto i cinque anni passati.
Una delle grandi linee di intervento la individuiamo nella montagna Pensiamo ad un progetto integrato che chiami in causa le Comunità montane.
La seconda linea è quella delle acque e del loro uso plurimo.
Il terzo è quello agro-alimentare.
Oltre a questi tre interventi mi chiedo anche se non sia giunto il momento di superare la settorializzazione che si verifica nella profilassi veterinaria per mastite, iperfecondità e risanamento con un tipo di intervento che unifichi e chiami in causa le Unità Sanitarie Locali in un progetto integrato tra l'agricoltura e la sanità.
Questione del latte. E' fuor di dubbio che il prezzo non è remunerativo alla stalla. Molte aziende non sono di per sé fuori mercato ma lo sono per il costo ed il valore del loro prodotto che utilizzano per il ciclo produttivo, per gli squilibri generali dell'economia agricola e dei suoi rapporti con l'industria e per la competitività che gli viene dall'estero dove il latte in polvere viene considerato trasformato, beneficia di premi e viene utilizzato per arricchire le qualità proteiche dei formaggi.
E' giusto rimanere sulle spoglie di questi problemi, magari proponendo un'integrazione dei prezzi o non è forse più utile scavare più a fondo considerando l'industria casearia come impresa multinazionale con sede all'estero con uno sviluppo finanziario e con partecipazioni incrociate magari in Paesi protetti da moneta forte? Ha ragione la Coldiretti. Può avere ragione il Consigliere Lombardi. 1 produttori, protestano gli industriali, non rispettano gli accordi perch questi problemi sono ingigantiti in Piemonte anche se non in modo uguale. A Novara, vuoi per la tipicità del gorgonzola, vuoi perché la cooperazione è un punto di riferimento chiaro per la domanda e l'offerta, le tensioni sono minori.
A Torino, la Centrale del Latte , le due aziende dell'ESAP e altre cooperative concorrono a concentrare l'offerta. Diverso è il discorso a Cuneo, dove, è vero, dei 15.000 quintali prodotti al giorno 5.000 vengono lavorati, ma Dove manca, si agisce sul fatto che la domanda non e' concentrata e l'offerta presenta delle contraddizioni e intervengono dall'esterno forme di intermediazione per provocare le tensioni. Da anni proponiamo in provincia di Cuneo una struttura di trasformazione che interessi enti pubblici, privati. Provincia, Regione, ma le cose non vanno avanti. Quando non si dice perché e per quali priorità si rivendicano miliardi in più, diventa difficile farle andare avanti.
Vanno avanti altre politiche. Lo Stato nel 1980 ha speso 400 miliardi per sostenere il prezzo del latte; l',80% è stato speso nelle Regioni dei nord; la sola Lombardia ha ricevuto il 33 % dell'ammontare complessivo. Il piano Quadrifoglio, se fosse stato applicato come si prevedeva, avrebbe sviluppato la zootecnia nel sud, come peraltro il Governo prevedeva. Gli incentivi vanno in un settore senza che ci sia una politica.
Il discorso del potenziamento delle strutture di trasformazione vale anche per la carne.
Da sola la Regione non ce là fa; mentre il sistema istituzionale pu farcela, perché è in atto la riorganizzazione dei mercati, politiche che tengano conto delle diversificazioni dei consumi, dei settori di produzione dove è possibile una buona remuneratività dove operano Regione, Province e Comprensori insieme con i soggetti sociali interessati alla politica agraria.
E vengo alle colture di tipo mediterraneo. Il fatto che a livello piemontese si sia riscontrata una contrazione del 17% delle esportazioni dimostra che il meccanismo dei prezzi è saltato, è vero che si sviluppa anche un rapporto extra Comunità Economica Europea, ma lo stesso allargamento dei mercati apre dei problemi di riconversione varietale e di mutamento del gusto, tutti aspetti che riconducono alle arretratezze organizzative, al divario tra ricerca applicata e produzione. In questo campo agiscono in modo settorializzato la Camera di Commercio l'Università, altri enti. L'aggregazione dell'offerta implica lo sviluppo dell'associazionismo e della cooperazione. Va superata la frontiera della qualificazione.
In tema di qualificazione, per esempio, mi chiedo se assistenza tecnica e ricerca non possano essere collegate strettamente all'Università nella lotta antiparassitaria, con tecniche di tipo biologico non distruttive che peraltro, darebbero più garanzie ai consumatori.
Ho portato tre esempi che aprono un arco complesso di problemi sui quali occorre discutere e riflettere su progetti integrati, sul ruolo dell'Assessorato all'agricoltura come perno centrale della politica economica e agricola, sui rapporti istituzionali tra Regione, Province Comunità montane, Comuni anche per quanto riguarda le deleghe, A queste domande qualche risposta verrà quando discuteremo la mozione sul ruolo dell'agricoltura. Come dimenticare, al di là delle necessità di un aumento adeguato dei prezzi nella Comunità Economica Europea, il pacchetto di proposte di correzione di alcuni meccanismi di politica agricola comune che, qualora passassero, trasformerebbero profondamente la gestione configurando di fatto una riforma della politica comunitaria con il rischio di una conseguente penalizzazione dell'agricoltura italiana? Ci riferiamo al principio della corresponsabilità finanziaria dei produttori nella gestione dei mercati agricoli attraverso il rafforzamento del meccanismo della tassa di corresponsabilità e la sua estensione all'olio, al grano duro, agli ortofrutticoli trasformati, alla fissazione dei quantitativi di produzione, al di là dei quali, gli aiuti e le forme di sostegno sarebbero ridotte e sospese. Questa proposta, se da un lato cerca di salvare l'impianto attuale della politica comune, cercando di frenare l'aumento eccessivo della spesa nel settore lattiero, dall'altro lato tende a vincolare i livelli di sostegno delle produzioni mediterranee in vista dell'ingresso nella Comunità Economica Europea della Grecia e della Spagna.
Ecco allora riproporsi in termini più pressanti una politica comunitaria che accentua il divario tra le due agricolture con nuovi vincoli all'espansione di quella mediterranea. Tali variabili pesano con tutte le loto incognite sulla politica agraria italiana. Su di una, soprattutto occorre soffermarsi ed è quella del credito che è decisiva anche agli effetti dei residui passivi. Il fatto che stilla legge 63 siano state finanziate il 33 % delle domande può essere interpretato in diverso modo.
Se il Veneto è sulla soglia dei 200 miliardi di residui passivi, il Piemonte non è da considerare tra le Regioni che vanno male, anzi, nei primi tre trimestri del 1980 ha registrato uno snellimento delle procedure e apprezzabili risultati. Purtroppo, te tendenze di questi primi tre mesi segnano una flessione nel quarto trimestre 1980. Non credo che i motivi di questo calo siano da imputare all'Assessorato o alla complessità delle pratiche come spesso si sente dire. Le cause sono altrove. Come in tutti i momenti di stretta e di alti tassi di inflazione l'andamento del mercato finanziario risente di questi aspetti e cerca di convogliare le risorse su canali che assicurino un minimo di redditività: in questo m odo il credito agrario viene penalizzato. Quando si pensa che il Federagrario, su 70 miliardi di contratti già firmati per mutui agevolati o approvati, ha a disposizione 9 miliardi, i conti sono presto fatti e il rischio che l'agricoltura torni ad anni come il 1974 è reale. 193 miliardi che è possibile attivare come risorse operative rischiano di rimanere in parte sulla carta e di essere conteggiati tra un anno come residui passivi.
Allora, quando si rivendica alla Regione la centralità dell'agricoltura è giusto ma è tanto più giusto se la si rivendichi anche alle banche che sono in mano a quelle forze che pure rivendicano la centralità dell'agricoltura.
La Regione può e deve fare la sua parte per valorizzare l'imprenditorialità delle imprese agricole per irrobustirne il tessuto attraverso l'associazionismo e la cooperazione. I risultati non sono mancati, peraltro la diffusione della rete di contabilità aziendale consente una valutazione analitica delle imprese agricole, del loro sistema e del loro rapporto con il mercato zona per zona, realtà per realtà. Si tratta di partire da queste realtà per capire il nodo reale dei problemi agricoli di cui non pu farsene carico solo la Regione se si vuole portare l'economia agricola fuori dal ciclone della crisi.



PRESIDENTE

I lavori si concludono a questo punto e riprenderanno domani mattina alle ore 9,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,30)



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