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Dettaglio seduta n.42 del 17/02/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Dibattito sul piano auto (mozione del P.S.I. e ordini del giorno del P.C.I. e P.D.U.P.)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
All'ordine del giorno è iscritto il dibattito sul piano auto richiesto dalla mozione del P.S.I. e dagli ordini del giorno del P.C.I. e P.D.U.P.
E' iscritto a parlare il Consigliere Viglione. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Signori Consiglieri, da più parti si è affermato che la crisi energetica è alla base della crisi dell'auto, anzi una componente essenziale.
Se questo è vero in generale, nel caso italiano si riscontrano altri fattori, che vanno da un disinteresse pubblico ad un basso tasso tecnologico, a scarsa produttività, ad errori imprenditoriali, che hanno via via permesso ad altri di risucchiare margini sempre più alti di mercati, nazionali ed internazionali, sino a porre in pericolo la sopravvivenza di un'industria, quale quella dell'auto, vanto ed orgoglio della nostra città e del nostro Paese.
Oggi, parlare dell'auto ed introdurre in questo Consiglio i temi della mozione socialista vuol dire ricordare ciò che è stato, ciò che è, e, se lo vorremo sarà, nel futuro, per la nostra economica, per i livelli occupazionali, per i valori non solo tecnologici; un settore che non ha uguali nella Regione e nel Paese e che, nel bene e nel male, resta un pilastro di tanta iniziativa e di tanta formazione umana, culturale e sociale. Non credo che tutto questo possa essere disconosciuto. Chi crede di poter chiudere gli occhi su tutto questo, o far finta che nulla sia accaduto, o peggio ancora ignorare questa realtà, compie un gravissimo errore e può essere solo destinato a future, amare autocritiche.
Noi socialisti non siamo e non vogliamo essere fra questi.
Si è detto da più parti che l'automobile non aveva più un futuro, che era in via di esaurimento, che altri modelli di trasporto l'avrebbero sostituito. E mentre da noi si disputava, in tutte le parti del mondo, est ed ovest, altre economie procedevano rapidamente. A Togliattigrad operai e tecnici si impegnavano solennemente per la costruzione di due milioni di automobili all'anno, la Polski-Fiat, la Fiat Jugoslavia per quasi 500 mila i giapponesi pare che nel 1980 abbiano raggiunto nel complesso dei veicoli la quota di più di 10 milioni, 8 milioni gli USA, più di 5 milioni i francesi e i tedeschi. Né ciò è andato a detrimento del trasporto pubblico così come si paventava dai nostri saggi, dal momento che i Paesi a più alta motorizzazione privata vantano il miglior sistema di trasporto pubblico.
Sarà sufficiente citare il sistema francese, tedesco, inglese, nord americano e giapponese ché offrono eccezionali mezzi di trasporto collettivo.
Noi ci interroghiamo oggi, qui a Torino, dove l'auto si è sviluppata più rapidamente che altrove, dove intere generazioni ne sono state protagoniste e dove la vocazione della città e della regione sono ancora un fatto determinante, sul perché di questa crisi, sui modi per contribuire a superarla, su che cosa possono fare le istituzioni, sul ruolo da giocare e su come ci collochiamo in questo contesto.
La mozione socialista si pone come obiettivo di discutere e far discutere questo problema che riteniamo essenziale per la vita della nostra città e della nostra regione. E che il problema dell'auto sia veramente tale lo dimostra il fatto che un prolungato periodo improduttivo ha scatenato tali contraddizioni all'interno delle forze produttive sindacali, politiche, da non trovare riscontro nella storia della nostra regione.
La mozione socialista non si propone di insegnare agli imprenditori come si fa l'automobile, non abbiamo questo obiettivo, vuole porre invece l'accento sul problema, evitando gli errori del passato, dare l'avvio ad un processo nuovo che non è l'abbandono dell'automobile, ma il suo rilancio poiché in caso diverso qualcuno, e non il nostro Paese, vi provvederebbe.
La mozione intende evidenziare l'importanza ed il ruolo dell'automobile nel contesto della nostra economia, il valore mondiale del nostro prodotto la forza ed il sostegno dell'occupazione, il riferimento per centinaia e centinaia di aziende, che sono l'indotto, che oggi soffre più di ogni altro la crisi del settore.
Si tratta, quindi, colleghi Consiglieri, di perseguire delle linee comuni, che possano essere di valido aiuto all'industria, la facciano crescere nella ricerca, nella tecnologia, nella riduzione dei costi, e la pongano in competizione su scala mondiale.
La nostra linea non è quindi riduttiva, perché la crisi non si supera con drastici tagli produttivi, semmai si aggrava. La nostra linea tende ad un sostegno non assistenziale, ma di struttura complessiva, di difesa nazionale ed internazionale, senza autarchia o protezionismi. E quando diciamo nel nostro documento "di dare la giusta dimensione" agli accordi extra-europei (Alfa Nissan) vuol dire che richiediamo fermamente la reciprocità del trattamento, che in questo caso non esiste, vuol dire che la nostra fetta di mercato deve corrispondere "reciprocamente", ma non in Italia soltanto, ma fra i due Paesi. Ciò comporta, evidentemente, tra più marche in zone omogenee, in Europa, un coordinamento delle varie fasi industriali, che consentano una riduzione dei costi, grosse economie di scala, di maggiore aggressività di mercato.
La mozione socialista intende sollecitare Governo e Parlamento alla definizione del piano auto che da troppo tempo non imbocca la dirittura d'arrivo, pur essendo un settore decisivo quello dell'automobile.
L'esame della bozza, giustamente rimessa alle Regioni per il parere, ci consente di rilevare alcune posizioni, giuste ed apprezzabili, altre che a nostro giudizio vanno discusse. Occorre intanto distinguere, dal punto di vista settoriale, la funzione dell'intervento pubblico che è sostanzialmente diverso da quello prospettato verso produzioni quali la chimica, la siderurgia, l'energia, dove l'interesse e le caratteristiche generali hanno quasi valore pubblico. L'automobile deve salvarsi con le proprie forze, ma un intervento pubblico si rende necessario.
La nozione socialista individua alcuni percorsi da seguire, altri sentieri da intraprendere. Alcuni già li abbiamo indicati, la giusta dimensione degli accordi Alfa-Nissan. La seconda non meno importante è il coordinamento fra varie marche europee delle fasi di produzione. Ma la parte più importante noi pensiamo di individuarla, come aspetto fondamentale del piano, nella ricerca applicata. Qui si gioca un po' tutta la partita. Come saranno gestite le somme importanti che vi saranno destinate? Non si tratta di poca cosa, si parla di centinaia, centinaia di miliardi. Gli incisi della bozza del piano sono oscuri, e non vorremmo essere facili profeti, nel presumere che il fenomeno dell'assistenzialismo farà la sua parte, zone ed aree prive di strutture industriali dell'auto richiederanno la loro parte, e che una nuova e più grave legge 285 distruggerà le nostre speranze. Su questo esigiamo fermezza. La ricerca applicata, momento fondamentale del piano auto, deve trovare spazio dove esistono gli impianti industriali dell'auto, esserne parte integrante sostituire un supporto non assistenziale per uscire dalla crisi. D'altronde lo stesso programma regionale e della città di Torino individuano nel terziario superiore uno dei modelli economici da perseguire.
E' questo, dunque, il momento per rendere operante un indirizzo che tutte le forze politiche hanno elaborato per la nostra città e per la nostra regione. Certo, vorremo anche definire questo quadro con l'azienda conoscerne i programmi, i livelli occupazionali, la formazione dei quadri insomma decidere insieme. Sotto questo aspetto siamo per una collaborazione con la grande azienda torinese produttrice di autoveicoli, per tutti i comparti produttivi ed in specie per quelli che più soffrono della crisi auto, veicoli pesanti, movimento terra, ferroviario, aereo, in modo da far crescere ipotesi di occupazione, di ridurre od addirittura annullare i margini della cassa integrazione, programmare e pianificare sul territorio dare giusta e corretta rilevanza a necessità aziendali indispensabili per un diverso livello produttivo.
Siamo per dare esecuzione immediata a tutti gli accordi precedentemente stipulati fra la Regione e la Fiat. In questo quadro va ricondotto tutto il problema dell'auto. E' un aspetto importante di quello che abbiamo precisato essere il coordinamento governativo dell'attività del settore per quanto riguarda l'indotto e cioè la promozione di forme di modernizzazione dell'indotto automobilistico, attraverso la promozione di consorzi tra produttori di dimensioni contenute, avendo però grande attenzione al significato che in questo quadro assumono gli accordi con il committente adombrati dal piano auto, soltanto come breve quesito per lo sviluppo dell'indotto. Anche in questo comparto vogliamo ricercare forme di collaborazione con l'azienda committente e non alimentare contrasti o separatezze.
Noi socialisti riteniamo che questi accordi fra indotto e grande azienda produttrice debbano trovare un momento di raccordo regionale, di aiuto sotto l'aspetto del credito, di intervento bancario, di sistemazione edilizia, di formazione professionale. Diamo grande valore a questi accordi in uno sviluppo programmatico, che però non può non assumere un significato ed un respiro europeo - legati ad una politica sovranazionale dell'automobile europea.
Gli accordi recenti che la Fiat ha stipulato con una casa francese per la costruzione di un milione di motori ci fanno ritenere che la strada giusta sia stata imboccata. Resta da risolvere il problema della collocazione degli impianti che noi vorremmo nel nostro Paese, mentre il Presidente Giscard d'Estaing ha reclamato per un'area francese. Il piano auto deve anche dare indicazioni in proposito. Il piano auto deve altresì determinare con fermezza la linea del rifiuto all'"irizzazione" del settore. L'impresa Fiat può e deve farcela senza l'acquisizione statale senza i boiardi di Stato che, laddove sono stati messi alla prova, hanno creato spesso un disastro dopo l'altro. La Fiat deve farcela perché ha capacità produttive, impianti, tecnici, operai specializzati, che possono determinare un salto qualitativo enorme. Ha una tradizione inimitabile.
L'automobile del domani sarà diversa, avrà fonti di alimentazione del tutto nuove, idrogeno e gas, sarà regolata nei suoi movimenti da computer, avrà sicurezza maggiore, bassi consumi, minori spese gestionali.
Noi socialisti riteniamo che la ricerca applicata, il suo finanziamento pubblico massiccio, possono e debbono risolvere questi problemi.
In Giappone e in America stanno uscendo le macchine con i computer con motori alimentati in modo diverso. La ricerca applicata deve svilupparsi dove esistono le industrie e proprio qui deve avvenire la ricerca applicata che si inserisce nel nostro programma e nel programma della città di Torino.
L'individuazione di nuove fonti di energia per l'auto, questione decisiva per il suo futuro, deve far carico alle istituzioni pubbliche poiché è impensabile che ad una sola azienda possano addebitarsi spese così ingenti, di cui infine beneficerebbero molti altri comparti industriali.
Signori Consiglieri, noi socialisti siamo per un rilancio del settore auto e non per una sua riduzione. Siamo consci e lo vorremmo ripetere con tanta forza che ne dipende la vita di una città e di un'intera regione. Il fermo di questo settore per 40 giorni ha determinato scoppi tremendi; ne dipende la vita di milioni di lavoratori che direttamente od indirettamente vi sono collegati. Non si può non prestare verso questo settore l'attenzione più viva, non ricercare con l'azienda la collaborazione più stretta per la soluzione dei problemi comuni oggi presenti. Non siamo affetti da antipatie verso uomini o dirigenti del settore, non siamo caratteriali, noi ricerchiamo l'intesa sapendo che può essere decisiva per le sorti del nostro Piemonte, ma anche del nostro Paese. Non siamo per stravaganti ed aggressive dichiarazioni che portano solo a pro fonde lacerazioni anche nella classe operaia.
Noi socialisti riteniamo che debba ritornare in fabbrica serenità dialogo, garanzia del posto di lavoro. Noi crediamo che questa sia la linea .da perseguire.



PRESIDENTE

La parola al Vicepresidente della Giunta regionale, Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

La Giunta ritiene opportune e tempestive le iniziative consiliari, la mozione proposta dal Capogruppo del Partito Socialista Italiano, le proposte di ordine del giorno presentate dai Consiglieri Alasia, Guasso Bontempi e Montefalchesi, perché ripropongono all'attenzione del Consiglio un tema che possiamo trattare in termini diversi da quelli che abbiamo usato nel momento dell'aspro scontro sociale e politico che ha interessato la nostra Regione anche al sorgere della terza legislatura.
Dobbiamo affrontare questi temi in termini concreti, rispettosi delle competenze istituzionali, senza enfatizzare la nostra funzione, ma senza ridurla e facendogli acquisire tutta la concretezza necessaria in un momento in cui, finalmente, si devono assumere delle scelte a livello governativo e regionale da parte di tutti i protagonisti di questa grave crisi.
La Giunta ritiene opportune tali iniziative consiliari perché si saldano con i risultati di un'iniziativa che aveva assunto con al tre Regioni italiane, proprio in conseguenza di iniziative consiliari che avevano suggerito aggressività su questo tema. Pochi giorni fa abbiamo ricevuto dalla Commissione parlamentare per la ristrutturazione e riconversione industriale e i programmi delle partecipazioni statali, la risposta positiVa alla richiesta che è partita dalla Regione Piemonte quale capofila in questa materia, per un incontro fra le Regioni interessate alla crisi dell'auto e la Commissione parlamentare. Questo incontro avverrà questa sera alle are 18, quindi la tempestività di questo dibattito, voluto dai Capigruppo e sollecitata dalle iniziative consiliari è tale da far sì che la conclusione della nostra discussione potrà essere immediatamente portata all'attenzione della Commissione parlamentare.
Già nel documento che il Consiglio regionale approvò all'epoca della questione Fiat veniva richiamata la necessità e l'urgenza di un piano dell'auto. I documenti di allora erano in qualche punto differenti fra i vari Gruppi, ma non rispetto a due richieste basilari: "no" ai licenziamenti come metodo di soluzione fondamentale della crisi dell'auto e richiesta del piano auto.
Sono passati parecchi mesi, ma non è successo nulla da questo punto di vista. Il piano auto non è stato definito. Recentemente il Ministro Pandolfi ha dichiarato la disponibilità del Governo ad accogliere rilievi proposte, osservazioni per una revisione del piano auto. Accogliamo con soddisfazione questa dichiarazione e la accompagniamo con una richiesta: che questa revisione avvenga in tempi stretti e che, quindi, rapidamente venga licenziato il piano auto, almeno entro il mese di marzo. Il ritardo è già di tali proporzioni e i quattrini di cui si parla sono talmente inflazionati che ogni ulteriore ritardo rende inefficace la possibilità di intervenire in modo serio.
Qual è la posizione della Giunta regionale sulla stesura attuale del piano auto? Il Consigliere Viglione ha già anticipato una serie di valutazioni con le quali concordiamo.
La Giunta ritiene che il documento del Governo, mentre contiene un'analisi ampia ed accurata della crisi internazionale dell'auto, sia invece carente sulla concretezza degli obiettivi da perseguire, sugli ordini di priorità degli obiettivi strategici e su quelli che si devono considerare tali per superare una drammatica e lunga contingenza.
Inoltre non sono identificati con precisione i vincoli ai quali le case automobilistiche dovrebbero uniformarsi nell'elaborazione dei rispettivi programmi di ristrutturazione aziendale e produttiva.
Che cosa occorre prima di tutto? A questo punto della crisi occorre qualche cosa che nel piano non poteva ancora essere inserito perché è maturato in questi ultimi mesi. N il piano poteva tener conto dell'evoluzione che ha avuto la crisi mondiale e soprattutto europea e delle proposte che possono derivare. Non poteva, in ogni caso, tener conto delle conclusioni a cui è giunto il Parlamento europeo su questo argomento, il quale, pur avendo scarsi poteri ordinativi ha raggiunto una larga maggioranza attorno ad una necessaria politica dell'auto a livello comunitario la quale, però, deve passare dallo stadio delle indicazioni generali a quello delle decisioni concrete. Per quanto riguarda il nostro Governo si tratta di iniziative da assumere per tradurre molti di quei postulati in atti operativi.
Si tratta di attivare una cooperazione internazionale, evitare le iniziative unilaterali di rivalsa, astenersi da misure protezionistiche favorire gli accordi in un quadro europeo, non ricorrere ad aiuti finanziari a fondo perduto (non si può pensare di dare un contributo ad ogni auto che esce dallo stabilimento e su questa base fare la guerra commerciale tra i vari Paesi).
Bisogna pensare che la crisi continua e si aggrava. I dati del mese di gennaio 1981 hanno visto un calo del 14 %del mercato europeo rispetto allo stesso mese del 1980. E' vero che c'è stato un aumento percentuale dell'industria italiana rispetto al calo europeo, ma questo calo del 14 non era previsto. Quando si parlò di crisi europea si identificarono le grandi cifre, ma nella dinamica dello sviluppo della crisi non si prevedeva un calo del 14% in un anno.
Si accentuano le tendenze di una guerra economica, tecnologica commerciale tra gruppi che soli ritengono di divenire i più forti e che si muovono in concreto nella logica di spartirsi la quota di mercato del più debole quando questo sarà ridotto a non avere più capacità di resistenza.
L'impennata del dollaro ha comportato quella misura drammatica che la Comunità ha assunto ieri; è una misura drammatica intanto perché non era mai stata presa prima, in secondo luogo perché il portare da 3 a 7 miliardi lo sportello petrolifero lascia intendere che un'operazione del genere si può fare una volta sola. Questo ha già portato una modificazione essenziale del principale elemento di costo dell'energia tradizionale, il petrolio, con gli aumenti indotti su tutte le fasi di lavorazione.
E' indispensabile, è urgente una politica industriale comune della Comunità europea ed è indispensabile ed urgente una politica comunitaria dell'automobile.
I Consiglieri sanno che su questo specifico argomento, da tempo, la Giunta regionale ha un'iniziativa in corso che si realizzerà il 27 febbraio con la partecipazione di tutte le forze politiche e sociali a livello del Parlamento europeo. Tenderemo un raccordo tra le posizioni che sono emerse tra il Parlamento europeo, le proposizioni che le Regioni possono avere per il piano auto, la necessità che il piano auto sia rapidamente varato e appunto, la congruità di queste misure complessive nei confronti della dinamica concreta della crisi dell'automobile.
L'altro punto che dobbiamo chiedere ed ottenere è quello che nella mozione di Viglione viene indicato come "giusta dimensione degli accordi che si vanno realizzando al di fuori dell'Europa".
Non si tratta di inalberare nuovi patrocini, ma di evitare che altri prendano misure protezionistiche gabellate sotto altre forme, che il nostro Paese rimanga ultimo, anche in questo quadro, ad avere un'iniziativa di difesa attiva in una linea di sviluppo generale del mercato e che nello stesso tempo noi rimaniamo inerti di fronte a tutto questo.
Non si può pensare che dalla crisi dell'auto si esca facendo la guerra ai giapponesi, lamentandoci del fatto che esistono, oppure scaricando le responsabilità verso tutti gli ingredienti o verso tutti i fattori che hanno operato in questa direzione; nello stesso tempo, però, non si pu assistere inerti ad una non modificazione dei rapporti internazionali. La prima delegazione è tornata da Tokio senza impegni, ci sarà un prossimo incontro ma non c'è nessuna garanzia che da questo incontro venga qualche cosa di nuovo.
Ci vuole un'iniziativa politica in questa direzione e noi siamo in grado di richiederla e di sollecitarla.
Nel piano mancano indicazioni sulla necessità che le case costruttrici d'auto elaborino piani aziendali, non solo piani di recupero di efficienza sul fattore lavoro come elemento ritenuto fondamentale della pro duttilità aziendale, perché anche in questo campo qualche cosa di nuovo c'è e bisogna prenderne atto valutando l'elemento positivo e nello stesso tempo il limite.
C'è stato alla Fiat un recupero sull'assenteismo, oggi è attorno al 5 quindi al di sotto del tasso medio europeo, recupero che oltre non credo possa andare.
Su questo tema si è raschiato fino in fondo del barile e i sindacati dicono che lo si è fatto in modo discutibile. Voglio però partire dai dati oggettivi.
Incrementi di produttività. Sono stati dal 5 all'8% , quindi sono rilevanti.
Tuttavia, il divario della Fiat sul mercato internazionale continua ad essere di 20 punti. Questo significa che agire soltanto sul punto del costo del lavoro non può essere la via strategica che risolve la crisi dell'azienda.
Sul fattore lavoro si è agito e si è ottenuto. Adesso bisogna sfondare in altre direzioni.
La crisi continua ad incombere se è vero che sono annunciati per il mese di aprile altri dieci giorni di cassa integrazione per 70 mila dipendenti. Questo non era previsto alla fine dell'accordo sui 23 mila.
Se questo pericolo è nell'orizzonte esso è identificato da questi dati più che da altre considerazioni.
Abbiamo preso atto con sollievo dei miglioramenti annunciati dall'azienda, della sua presenza relativa sul mercato europeo oltre che della sua tenuta sul mercato italiano, degli accordi stipulati e di altri che abbiamo la sensazione stiano per essere stipulati.
Si tratta di un vero piano di rilancio? Questo interrogativo nessuno è in grado di scioglierlo. E' un tamponamento o una ricerca di misure per superare un'emergenza? Tutto ciò è oscuro, ma il fatto che sia oscuro alla Regione Piemonte può avere delle grandi ripercussioni per quanto riguarda lo sviluppo dell'occupazione: non deve essere oscuro a livello nazionale quando si sta per innescare una pressione perché il piano dell'auto venga elaborato a tempi brevi e che quindi abbia contenuti tali da garantire tutti.
Il Governo deve richiedere questo proprio per evitare quello che la Fiat disse negli incontri di quest'estate e Cioè di non volere che l'intervento pubblico fosse puramente assistenziale.
Nel piano sinora presentato troppo scarsa e generica è l'indicazione circa lo sviluppo della ricerca. L'innovazione non può essere limitata alla realizzazione di modelli con caratteristiche di consumo, inquinamento e sicurezza coerenti con le norme comunitarie attuali. Questo è già qualche cosa ma non è sufficiente. Oggi occorrono innovazioni profonde rispetto alla produzione dei concorrenti. Il piano si limita ad affermare che saranno richiesti imponenti programmi di ricerca sui materiali sull'ingegneria dei motori, sull'aerodinamica dei veicoli.
Il problema fondamentale è un altro: è la ricerca di un risparmio di energia.
Entro il 1983 saranno sul mercato prototipi di auto di carattere fantascientifico, che sono messi in cantiere da tempo nelle grandi case automobilistiche con investimenti nei confronti dei quali i nostri 1.500 miliardi fanno ridere (si parla di 80 mila miliardi). Queste automobili saranno imperniate sul netto calo dei consumi, sulle nuove prestazioni sulla sicurezza. E' evidente che anche l'entità dei finanziamenti, che vengono continuamente erosi dall'inflazione, deve essere uno dei punti di modifica del piano che ci viene presentato.
Le Regioni richiederanno il rifinanziamento del fondo dell'IMI per la ricerca applicata, il rifinanziamento del fondo per l'innovazione, il rifinanziamento della legge per la riconversione e la ristrutturazione e lo snellimento delle procedure.
Il piano affronta il tema dell'indotto, ma in termini molto generici.
Invece sappiamo che è di grande rilievo per la soluzione della crisi in generale. Sappiamo quanto è stato sempre difficile avere cifre precise e idee chiare sull'indotto dell'auto in Piemonte.
Abbiamo avviato alcune consultazioni con i dirigenti della Fiat, forse empiriche, ma quanto meno utili per avere qualche elemento di valutazione un po' meno generico.
La Fiat indica in circa 1.200 forni tori l'universo principale del suo indotto; 600 di queste aziende sono situate in Piemonte. Qualunque sia il rapporto fra occupati nella grande azienda ed occupati nel settore indotto sia esso uno a uno o uno a due, è del tutto evidente che vi è una massa di occupazione e di attività produttive che, aggiunte a quelle della casa madre, danno la dimensione dei problemi che scoppierebbero qualora ci fosse una caduta verticale prossima o futura del comparto e l'incapacità di reggere alla concorrenza internazionale.
E' comunemente accettata l'idea che il salto di qualità maggiore, se avverrà nel nostro Paese e in Europa, dovrà avvenire nel campo della componentistica. Quale politica, quale indirizzo, quali misure di sostegno vengono indicate in questo campo? La Giunta regionale, con il conforto di altre Regioni, ha chiesto una rapida approvazione delle proposte di modifica della legge 374 sui consorzi industriali, della legge 183 e del decreto 902. Sono misure che tendono a favorire la formazione di consorzi nel settore dell'indotto, che prevedono la qualificazione tecnologica e gli accordi che si debbono realizzare nel settore dell'indotto fra le case madri e le case fornitrici, oltre ad una ricerca scientifica applicata al settore della componentistica che deve essere tagliato fuori dal primitivo e privilegiato obiettivo di finanziare la ricerca scientifica agli effetti dei modelli che devono essere in grado di competere.
Occorre prevedere la priorità nella concessione di finanziamenti agevolati alle piccole e medie imprese, indicarla nel piano, darle contenuti.
Dobbiamo inoltre affermare la necessità e indicare le vie per una collaborazione tecnica fra le imprese automobilistiche e le imprese di forniture; anche le rilocalizzazioni territoriali delle imprese non debbono avvenire sulla base di velleitarismo o falso meridionalismo che pensi di realizzare una soluzione del problema dell'auto con una radicale modificazione degli assetti industriali esistenti; però, senza dimenticare la richiesta avanzata da tutti che i nuovi stabilimenti industriali dell'accordo Fiat Peugeot siano localizzati nel Mezzogiorno: è questione che investe una responsabilità politica nazionale del Governo nei rapporti con la Francia.
Possibilità di nuovi insediamenti industriali in questo campo esistono vanno verificate con le Regioni e possono essere non solo elemento di equilibrio, ma anche elemento dinamico della possibilità di sviluppo dell'industria dell'automobile che non sia soltanto gestione della crisi.
Manca nel piano il rapporto tra trasporto privato e trasporto pubblico.
E' invece possibile determinare positive compatibilità fra le esigenze e le possibilità di sviluppo di questi due comparti. Il trasporto pubblico su gomma rappresenta, per esempio, un concreto campo di recupero produttivo e di diversificazione, anche nella nostra Regione; può anche offrire possibilità di occupazione e di espansione. Accordi di questo genere sono in via di definizione e potrebbero interessare la nostra Regione per lo stabilimento di Cameri. Siamo interessati all'evoluzione di questa iniziativa.
Queste sono alcune delle proposizioni fonda mentali che la Giunta pone all'attenzione del dibattito perché, se confermate, potrebbero essere portate questa sera all'incontro con il Parlamento.
Naturalmente non sarebbe completa l'esposizione della linea di azione e di iniziativa della Giunta se si riversasse soltanto nella proposizione nei confronti del piano governativo e non si sostanziasse anche nelle cose che può e deve fare in applicazione dei suoi compiti istituzionali, in modo particolare per quanto riguarda l'applicazione dell'accordo Fiat. Almeno due articoli, ma in qualche misura potrebbero essere tre, trattano i compiti specifici che toccano alla Regione. Ricordo la dizione precisa di quell'accordo: "Punto 5 - Corsi volontari di formazione.
L'adozione con l'impegno del Ministero del Lavoro e della Regione di adeguati corsi volontari di formazione e riqualificazione professionale per i lavoratori in cassa integrazione, miranti alla crescita professionale degli stessi".
In questa dizione si parla di corsi volontari, di formazione è di riqualificazione professionale. Voi sapete che non era ancora trascorso il tempo necessario ad asciugare l'inchiostro (ancorché si firma con le biro) dell'accordo Fiat-sindacati, che la Giunta regionale, per iniziativa dell'Assessore Alasia, era a Bruxelles non tanto a chiedere quattrini, ma perché avvertiva la dimensione di questo punto e anche la sua ambiguità oltre alla necessità di camminare per applicarlo. La Giunta regionale non solo ha dichiarato la sua disponibilità, ma ha fatto tutto ciò che doveva fare avanzando le richieste persino prima del Governo (che giunse poche ore dopo quella presentata dalla Regione Piemonte).
Su questo terreno questi mesi non hanno portato un chiarimento. Non ci è parso che la Direzione dell'azienda abbia consapevolezza o abbia idee precise su quello che occorre fare per una quantità così grande di lavoratori. Non basta fornire profili professionali, dati sociologici sui 23 mila. Occorre dire che cosa si vuol fare, che tipo di formazione professionale è richiesta, se si intende recuperarli in parte nell'azienda e in parte creare le condizioni di mobilità.
Ma questo non è solo compito della Regione.
Noi proponiamo di arrivare a questo al più presto, domani, ad un chiarimento con la Direzione generale della Fiat.
Altrimenti perdiamo il secondo autobus: la seconda tranche del 1981 dei finanziamenti che la CEE può essere indotta a dare se presentiamo, non più una "prenotazione di finanziamento", ma progetti precisi.
Questo tocca ad una delle grandi controparti dell'accordo.
punto 6) parlava di "incontri trimestrali fra associazioni industriali sindacati, Ufficio del Lavoro per l'esame della situazione di mercato e dell'equilibrio occupazionale". Anche questo bisogna farlo perché, nel frattempo, le condizioni del mercato del lavoro in Piemonte sono modificate. Non sono più quelle del momento in cui abbiamo firmato l'accordo. Nessuno oggi può dire le stesse cose che avrebbe detto in ottobre circa l'occupazione in Piemonte. Se qualcuno fosse stato interrogato allora, avrebbe parlato di un Piemonte dove sostanzialmente c'era la piena occupazione, una disoccupazione frizionale e circa 50 mila giovani in lista di prima occupazione, ma, tutto sommato, di una situazione in un certo qual modo stabile.
Le cose si sono però radicalmente modificate, non solo per la Montefibre e per la Montedison, ma per le 160 aziende che hanno punti di crisi, per le 64 che seguiamo direttamente e per le 8/10 che ogni giorno diventano 11/12 e che acquistano particolare gravità e necessitano di interventi particolari anche a livello governativo. Non a caso abbiamo stabilito incontri mensili con i parlamentari piemontesi membri della Commissione Lavoro e Industria per raccordare le iniziative della Regione e del Parlamento e per avere un riscontro immediato.
Il prossimo incontro avverrà il 23 febbraio nel quale ci saranno tante cose da discutere fra le quali punti di crisi particolarmente acuti come l'ITS, indotto Fiat, che sembra senza via di soluzione: 7 miliardi di debiti, impianti moderni, investimenti realizzati: tutto questo può portare alla ribalta responsabilità di chiunque, non certo dei lavoratori.
La mobilità era scritta nel documento di quest'estate in modo chiaro e corretto, non c'era nessuna pregiudiziale alla mobilità esterna.
Che cosa vuol dire in concreto nella situazione di oggi? I Consiglieri sanno che abbiamo stipulato convenzioni con la Fiat. E' tempo di arrivare alla puntualizzazione di queste convenzioni. Siamo pronti, anche domani ognuno faccia la sua parte, lo ho indicato la parte che tocca a noi.
Per concludere vorrei dire qualche cosa sui rapporti fra la Regione Piemonte e il grande complesso industriale.
Voglio ribadire quello che in parte ha detto il Consigliere Viglione.
Noi vogliamo fare tutto quello che tocca alla Regione secondo quanto stabiliscono lo Statuto, la Costituzione e le leggi della Repubblica.
Vogliamo non solo la salvezza, ma il risanamento e lo sviluppo della Fiat.
Qualunque sia l'esito del dibattito teorico-politico ed economico circa la funzione strategica dell'auto nel medio e nel lungo periodo, è del tutto evidente che fra i lavoratori della Fiat e quelli dell'indotto, almeno 400 mila persone in Piemonte sarebbero coinvolte in vicende di drammaticità senza eguali, qualora ci fosse un calo, un tracollo, una situazione non governabile. Le conseguenze sarebbero gravi non per l'economia, ma per la democrazia.
Allora, deve essere chiaro a tutti che la Regione Piemonte l'istituzione, la Giunta regionale, dal Presidente ai suoi Assessori, sono impegnati a fare tutto ciò che è corretto, che è giusto.
Che cosa rifiutiamo? Rifiutiamo di fare quello che non ci tocca di fare. La Giunta regionale non è un'associazione di partiti, non è un'ascoltatrice di voci che possono venire dai gruppi del gruppo dirigente della Fiat e dalla sua varietà: noi siamo parte dello Stato, non vogliamo assumere né il ruolo dei pompieri, n degli incendiari, né saremo neutrali o passivi. Vogliamo fare in pieno il nostro dovere, ma, così come siamo stati contro ai licenziamenti perché non li ritenevamo giusti, e in questo siamo stati confortati dal parere di tutti i Gruppi, così come siamo coscienti che bisogna qualche modo scrivere una pagina nuova, siamo anche coscienti della necessità del rispetto dei ruoli, a pari dignità.
La Giunta regionale del Piemonte esprime un governo liberamente eletto da questa assemblea. Questo governo può modificarsi quando l'assemblea lo deciderà, se lo deciderà. Ma è qui che si discutono e si decidono le sorti di questo governo, di questa maggioranza.
Lo diciamo, perché sembra opportuno ripeterlo e perché abbiamo chiara coscienza della nostra responsabilità nei confronti di migliaia di lavoratori che guardano con fiducia a questa maggioranza.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Alasia. Ne ha facoltà.



ALASIA Giovanni

Colleghi Consiglieri, come il Presidente del Consiglio regionale ha ricordato aprendo la discussione, il Gruppo comunista aveva presentato il 16 gennaio un ordine del giorno che rimarcava la permanenza della crisi del settore auto, seppure taluni segni positivi si erano verificati nelle ultime settimane, segni che vogliamo considerare attentamente perché hanno caratteristiche diverse, che andrebbero scorporate; segni comunque che non hanno quella rilevanza strutturale che la natura della crisi esige. Furono fatti apprezzamenti forzatamente ottimistici, poi bruscamente ridimensionati con l'annuncio della Fiat di un probabile nuovo massiccio ricorso alla cassa integrazione nel mese di aprile. Richiamavamo i primi pesanti riflessi della crisi nella componentistica e nell'indotto, sui quali farò alcune puntualizzazioni, perché sovente si fa una semplificazione terminologica fra componentistica e indotto.
Presentando quell'ordine del giorno richiamavamo le questioni procedurali di merito relative alla definizione del piano auto. E' trascorso un mese, la Giunta ha compiuto gli ulteriori passi che ci sono stati ricordati dal Vicepresidente Sanlorenzo e che sono importanti per dare, insieme con le altre Regioni, un parere serio sia sulla politica di settore sia sulle esigenze di riequilibrio territoriale che sono sempre connaturate alla politica del settore merceologico così come abbiamo sentito richiamare caldamente ieri dalla Regione Campania.
In questa discussione si deve soprattutto porre l'accento sulle questioni di contenuto e di merito insistendo anche sulle questioni di metodo, poiché merito e metodo non vanno mai disgiunti. Infatti, se questo dibattito e le iniziative della Giunta vogliono pesare in qualche misura sugli orientamenti che si vanno a definire in sede nazionale e se non vogliamo che sia una pura gratificazione culturale interna del Consiglio, è necessario, anzi è indispensabile, che vengano risolte anche le questioni di procedura. Non solleverei questa questione se non avessi già fatto delle amare esperienze. Non possiamo dimenticare di essere stati amaramente ammaestrati dalle precedenti consultazioni sui progetti di settore della legge 675. Le poco edificanti discussioni sui piani di settore, si sono svolte in un clima di impotenza e di inutilità, e in alcuni casi hanno rasentato il comico, tanto che sul piano della chimica là dove la Regione Emilia, capofila, scrisse peste e corna, nella deliberazione nazionale c'è scritto invece che va tutto bene. Quindi la Giunta e la Commissione interregionale dovranno pretendere che si faccia, presto e nel miglior modo, considerando il tempo ormai già perso, mentre altri Paesi sono già avanti. Non sto a ricordare l'iter di queste vicende da un anno a questa parte, che va dall'assenza nella legge 675 del progetto di settore auto, al primo rilievo critico della Commissione Prodi, alla relazione Barattieri che ha vagato per l'Italia fino ad oggi, sulla quale è aperta la consultazione. E' opportuno però che ricordi che la legge 675 fissa, agli artt. 1 e 2, gli impegni delle Regioni e precisa che CIPE e CIPI hanno un rapporto di consultazione con le Regioni ai fini di garantirne la partecipazione alle scelte ad esse demandate.
Dunque, la dizione della legge non si presta ad equivoci, perché la garanzia della partecipazione significa confronto reale e non riunioni affrettate o richiesta di semplici pareri scritti, che si possono e si devono dare, ma che non esauriscono l'esigenza di un confronto serio. I sindacati hanno rifiutato questa prassi restrittiva e credo che, qualora ci venisse proposta dopo la consultazione con la Commissione, dovremmo rifiutarla perché su materie così complesse non si fanno i ludi cartacei non si scambiano solo dei documenti, ma si devono fare confronti reali e ravvicinati che consentano di entrare nel merito e di considerare la complessità degli interessi in gioco, la dimensione nazionale ed internazionale del problema, le ragioni di ordine territoriale e regionale e le varie implicazioni nell'arcipelago dell'indotto e della componentistica.
Il Consigliere Bastianini affermava che un piano auto deve puntare su un pieno e responsabile rilancio delle aziende terminali. Questa esigenza noi la sottolineiamo da tempo (e Bastianini lo sa avendo partecipato con me alla riunione della IV Commissione con la CONFAPI, l'API, l'AMMA e sa anche che, assieme con Montefalchesi, caldeggiavo questo rapporto.
Signori Consiglieri, nel mare di polemiche che scoppia in questi giorni, consentitemi di ricordare che i comunisti hanno aperto da più di un anno il dibattito pubblico sull'auto, che va dal convegno del gennaio dell'anno scorso ad un interrotto impegno nel 1980 al convegno nazionale della scorsa settimana. Vorrei che si rilevasse la sistematicità e la continuità che abbiamo posto, non tanto e non solo perché abbiamo avuto due convegni, quanto piuttosto perché il nostro impegno non ha carattere di occasionalità, né ha carattere di parzialità, in quanto lo dispieghiamo in tutte le condizioni e a tutti i livelli, dalla Giunta al Consiglio, ai Consigli e alle Giunte comunali, dal Parlamento nazionale alla fabbrica, al sindacato. Questo modo di procedere non è casuale perché questa presenza variamente articolata su un problema di questa natura corrisponde alla concezione che ci siamo fatti del problema e cioè che esso esige un impegno in più settori proprio per le sue implicazioni. Detto questo, ci si dovrà dare atto del modo aperto con cui abbiamo posto il problema e dello stile problematico con il quale l'abbiamo affrontato, pur dando ai problemi connessi all'auto nostre interpretazioni e nostre risposte. Si spiega così e lo dico senza compiacimenti di parte e, spero, senza fastidio per nessuno - perché, dove si discute dell'auto e della sua crisi, per un verso o per l'altro, si chiamano in causa le posizioni e la politica del P.C.I.
Il collega Bastianini ha chiesto al P.C.I. di fare due coraggiose riflessioni. Eccoci qui puntualmente a farle. Ma non ne faremo soltanto due, ne faremo quattro nel senso che, secondo noi, è parziale, pericoloso astrarre da una situazione tanto complessa alcuni fattori, quali la crescita del costo del lavoro o il piano auto che tu richiami in funzione delle aziende terminali, senza porsi complessivamente il problema dei costi e delle diseconomie, del piano auto per le sue implicazioni nell'indotto e nella componentistica; ma soprattutto partendo dalla testa di questo problema, cioè ponendo esplicitamente la connessione fra piano nazionale e piano di impresa, segnatamente per la grande impresa. Quando si parla di costi di manodopera, di produttività, si dovrebbe considerare l'enorme costo sociale, del tutto assistenziale rappresentato dall'area di parcheggio della cassa integrazione. Dopo l'accordo tra la Fiat, il Ministero, i sindacati, firmato il 18 ottobre, si dovrebbe rispondere sull'applicabilità dell'art. 5 dell'accordo per la formazione professionale. La questione non è di poco conto ai fini dei costi. La Giunta e l'Assessore hanno fatto il loro dovere, ma su questo occorre fare una considerazione. Come è possibile intervenire in un'area di parcheggio dove il 73 % degli operai non ha la scuola dell'obbligo e in molti casi nemmeno la scuola elementare? Personalmente sono convinto che il recupero dell'obbligo è un elemento base fondamentale per una seria professionalizzazione, quindi la Regione deve porsi questo problema entro i limiti di competenza venendo in campo altri impegni, altre coerenze a partire dallo Stato all'azienda e agli imprenditori associati che devono darci indicazioni.
Sulle aziende terminali che cosa possiamo dire? I riflessi della crisi dell'auto sulla piccola e media industria per l'indotto e per la componentistica del settore sono assai preoccupanti. E' bene a questo proposito evitare delle semplificazioni terminologiche anche ai fini degli interventi che dovranno essere attuati sulla legge 675 e sulla legge dei consorzi, precisando che per indotto intendiamo produzioni di diretta committenza della casa dell'auto, cioè puro decentramento, mentre per la componentistica parliamo di produzione di componenti, legate all'auto, ma legate o non legate a commesse Fiat, quindi con un potenziale campo autonomo di mercato e di ricerca. Al di là dei dati che la Giunta ha fornito stamattina vorrei richiamare l'attenzione sull'analisi dei rapporti strutturali del settore e sull'assenza di programmazione. Nel memoriale dell'API si dice testualmente: "La frammentazione degli ordini ha impedito l'utilizzo ottimale degli impianti, ponendo quindi forti vincoli alla riduzione stessa dei costi" e ancora: "La parcellizzazione degli acquisti ha determinato un sistema di forniture in cui sono diffuse singole ed apprezzabili abilità produttive, ma sono scarsamente presenti le capacità di concepire e realizzare insieme o sotto-insieme che corrispondano a funzioni nella realizzazione dei veicoli" e conclude : "Il rapporto di fornitura è così divenuto nella nuova situazione economica un moltiplicatore di diseconomie".
Più chiaro di così non si può parlare. E' emblematica la situazione della IST di Beinasco, una fra le più attrezzate stamperie del Piemonte e che a fronte di una disponibilità del liquidatore per un contratto di affittanza e a fronte dell'interesse dimostrato dalla Fiat, non riesce a far decollare un contratto di affittanza sia pure in forma transitoria. Non so se siano fondate talune valutazioni di autorevoli ambienti imprenditoriali piemontesi secondo le quali le possibilità di committenza di lavoro corrispondono all'incirca alla metà della capacità di stampaggio installata in Piemonte. Certo è che la situazione è pesante e certo è che purtroppo, la Fiat non fa intuire che cosa intende fare in questo campo.
Noi pensiamo che la legge 675 debba dedicare alla componentistica una particolare attenzione e che si debba rinnovare, entro un piano programmato, L legge 374 per i consorzi di impresa. Credo che questo settore debba essere visto anche in funzione del Mezzogiorno. Credo signori Consiglieri, e non ditemi che porto un argomento estraneo al Consiglio, che la componentistica debba avere una capacità autonoma e che non debba essere vista come indotto residuale, ma come produttrice di specialità. Allora, i pagamenti e le mancate clausole di conguaglio prezzi non si possono risolvere da una parte con una politica giugulatoria e dall'altra con la realizzazione di super profitti.
Qual è la struttura centrale e portante del piano di settore? Che cosa deve fronteggiare un piano di settore? Mai come in questo caso sono evidenti le connessioni fra la nostra situazione e quella mondiale. La grossa questione per l'Italia è quella di non precipitare in una condizione subalterna. Ciò implica problemi di ricerca, di progettazione, di piani di impresa e problemi della qualità dell'intervento pubblico. Sono già stati richiamati dati e fatti circa l'evoluzione della domanda e dell'offerta sul piano internazionale segnatamente circa l'industria giapponese e quella statunitense. Non ripeto queste considerazioni, ricordo solo che Pininfarina, deputato europeo e Presidente dell'Unione Industriale, ha dichiarato la scorsa settimana: "...che in altri Paesi l'intervento statale è tale da mettere in ulteriore difficoltà le nostre capacità di competizione".
Ricordo inoltre che nell'incontro informale e poi formale che abbiamo avuto a Bruxelles abbiamo preso visione del primo schema di ragionamento che si intitolava: "Documento Davignon" sulla condizione e situazione attuale nel quale si legge: "La produzione automobilistica è attualmente localizzata essenzialmente in tre regioni geografiche definite: CEE, Usa Giappone che insieme realizzano circa l'80 % dei veicoli fabbricati nel mondo. Se ciò ci porta ad esaminare il settore cercando di paragonare l'industria comunitaria alle sue due grandi concorrenti, non bisogna per dimenticare che la comunità si trova in una situazione assai diversa da quella del Giappone e degli Usa nella misura in cui la sua industria automobilistica non esiste in quanto tale, ma è costituita da industrie ed aziende nazionali che si trovano in posizioni assai diverse, a seconda della loro dimensione, della struttura, della gestione, delle politiche economiche seguite nei singoli Paesi". Nella parte analitica del programma finalizzato del Ministero all'Industria si legge testualmente: "L'andamento della produttività, in particolare quella della manodopera, dipende in realtà da diversi fattori, quali la dotazione del capitale, la dimensione della produzione, il grado di saturazione delle linee, i fattori socio politici legati alle condizioni, ecc.".
Signori Consiglieri, mi scuso di queste numerose citazioni, ma esse sono autorevoli e provengono da fonti diverse, nazionali ed internazionali politiche e imprenditoriali e non le ho stralciate per comodo, ma dai punti essenziali per la nostra discussione. Da esse, purtroppo, si evince che il problema di fondo è quello dell'assenza nel nostro Paese di serie ed organiche misure programmatorie sia a livello statale che a livello aziendale. Non possiamo non ricordare le operazioni già avvenute negli altri Paesi (accordi di coproduzione, di fusione, la Renault, la Ford, la Toyota, la Crysler, il lancio della Word Car e gli investimenti da capogiro), dobbiamo rilevare che il destino dell'auto italiana si gioca rapidamente sull'innovazione.
Ecco allora che non siamo qui per discutere del sesso degli angeli, ma per capire se lo schema che ci viene proposto e i programmi aziendali sono primi reali strumenti all'altezza della sfida su scala internazionale. A nostro giudizio, è opportuna una potente accelerazione al rinnovo dei prodotti e dell'industria. Se non ci sarà, non ci salverà certo nessuna maledetta e dannata politica protezionistica.
Purtroppo ci troviamo di fronte a proposte di pura e semplice restilizzazione o semplicemente di cambio di modelli. La carenza di strumentazione e di obiettivi precisamente finalizzati (risparmio energetico, costi, inquinamento, sicurezza) che denunciamo nel progetto di piano si sposa all'orientamento della Fiat di avere un programma minimo che non si propone quelle innovazioni sostanziali e indispensabili a fronte dei livelli di qualità che ho ricordato. Mi direte che faccio affermazioni di parte. Ma non sono prive di significato. Andate a leggere il primo testo della relazione Prodi e il testo della relazione Barattieri, ebbene, di passaggio in passaggio, si è modificata nello schema di piano la procedura per i finanziamenti pubblici a fronte delle innovazioni per la ricerca e la tecnologia. Si apre così la possibilità di poter accedere ai finanziamenti per la restilizzazione dei vecchi modelli. Non a caso su questa questione la Confindustria scrive quanto "segue: "Tra le condizioni per l'accesso agli investimenti si precisa che il criterio di base per l'accesso al fondo non può essere che quello della destinazione degli investimenti già effettuati, sia che si tratti di singoli impianti che di attrezzature specifiche del ciclo verso la 'restyling'" e ancora - e lo sottolineo perché questa questione può aprirci una porta per modificare la formulazione - "E di primaria importanza che la deliberazione finale riprenda questi concetti e li definisca con chiarezza ricordando che per ristrutturazione nel settore automobilistico si intendono anche le realizzazioni di prodotti nuovi e di 'restyling'".Ho già riferito al Consiglio le opinioni che aveva espresso il dott. Romiti nell'incontro di settembre a proposito dei finanziamenti e dei vincoli, e cioè del non interesse della Fiat al piano di settore e del forte interesse della Fiat invece all'attivazione del fondo ricerca. Se non erro, pare che tutto fili liscio, d'amore e d'accordo, dal momento in cui l'intervento pubblico si configura come un intervento di sostegno a programmi di impresa. Sono d'accordo con il collega Viglione che la ricerca non può non avere dei vincoli e non può non essere ancorata ad obiettivi generali e non solo di natura aziendale.
Oggi si dice questo. E' chiaro che i soldi sono sempre benedetti quando si prendono senza condizioni. Qualcuno ha scritto :che Lenin li avi-ebbe presi persino dai tedeschi per la rivoluzione in Russia.
Attenzione signori del Governo. Come potrà un'eventuale gestione del fondo di ricerca di questa dimensione reggere alla collocazione internazionale del settore alla quale il Governo dovrà collaborare su scala comunitaria? Penso al coordinamento degli sforzi per la ricerca che non potrà avere solo un'angolazione aziendale, per grande e imponente che sia perché il Governo dovrà collaborare secondo lo spirito della risoluzione del Parlamento europeo del mese di gennaio che ci invita: "ad una messa a punto di strategia comune per trarre vantaggio dalle dimensioni del mercato comunitario".
Infine, voglio esprimere la nostra grave preoccupazione per il fatto che nello schema di piano non c'è alcun riferimento ai settori industriali che sono collegati, in modo diretto o indiretto, al settore dell'auto. Non c'è l'accenno, per esempio, al settore del trasporto collettivo pubblico il che non è di piccolo conto perché le interconnessioni sono tutt'altro che indifferenti e trascurabili e gli altri settori possono incidere in modo diretto sulla capacità di una politica autonoma e non subalterni dell'auto. Questa osservazione facciamo anche e soprattutto perché, la nostra economia, dall'auto alla siderurgia, dalla fibra all'elettronica è preoccupante sul piano generale, anche in conseguenza ai provvedimenti in campo finanziario che hanno suscitato dissensi clamorosi anche all'interno del Governo; e alla questione controversa della valutazione dell'entità dei finanziamenti della legge 675. Tutto questo ci porta a dire che non è possibile e non è corretto affidare le sorti di un singolo settore merceologico ad un piano di settore, visto a se stante, concezione questa che se non rientrava nemmeno nello spirito istitutivo della legge 675, oggi con la crisi generale in atto, si presenta ancora più riduttiva.
Ecco, signori Consiglieri, le ragioni per le quali ci battiamo per la modifica del piano. Abbiamo sempre sostenuto l'esigenza di una più alta produttività. Non abbiamo avuto indulgenza alcuna nel combattere l'assenteismo, sapendo che lo paghiamo tutti e lo pagano in primo luogo i lavoratori, quelli che sono al lavoro. Diciamo però che ogni discorso serio non può essere che onnicomprensivo di tutti i fattori di produzione, ad incominciare da quelle innovazioni e investimenti che il settore esige.
Per queste ragioni noi esprimiamo una severa critica allo schema di piano ed è per queste ragioni che sosteniamo la richiesta della Giunta di esame e di revisione di tutta la materia.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri rispondiamo al Consigliere Bontempi dicendo subito che il nostro intervento sarà, come ci viene da lui richiesto e come anche noi concordiamo, estremamente breve o quanto meno ragionevolmente breve e conciso. Non certo perché l'odierno dibattito sia da noi sottovalutato nella sua importanza, al contrario, noi ci siamo accostati ad esso con molto impegno, con la dovuta attenzione, forti anche della copiosa documentazione sull'argomento - e ne ringraziamo la IV Commissione - che ci ha tenuto lungamente occupati.
Ma proprio questa abbondanza di pesi, di pareri, di statistiche, di dati e gli stessi argomenti che abbiamo sentito enunciare qui con vivacità e con ricchezza di argomentazioni; materiale, insomma, che per essere analizzato, confutato o discusso imporrebbe un discorso certamente ben più lungo, ci ha suggerito invece di condensare quanto riteniamo di dover dire in pochi e chiari punti.
Innanzitutto il nostro giudizio è estremamente negativo sul progetto finalizzato per l'industria automobilistica, meglio conosciuto come piano auto. Era un piano che si proponeva di dare utili indicazioni per la politica di settore, ma, già alla sua presentazione, è stato demolito proprio dal relatore di maggioranza, il repubblicano on. Gandolfi, nostro non dimenticato collega in questa assemblea, secondo il quale - e citiamo testualmente dagli atti della Commissione parlamentare - "il piano, pur se esaustivo nella presentazione, cioè nella diagnosi della situazione attuale dell'industria automobilistica, desta perplessità e riserve proprio per la mancata indicazione degli ordini di priorità da seguire negli interventi e rivela una certa poca coerenza tra questi ed uno scarso approfondimento della loro problematica. E' singolare che un documento governativo su un argomento prioritario e condizionante per l'intera economia nazionale non abbia indicato tempi di proposizione, disegni di legge ed orientamenti relativi".
Dunque, in piena sostanza, un piano auto carente, in alcuni punti anche contraddittorio, soprattutto destinato a restare solo un'enunciazione teorica almeno sino a quando non ci saranno gli strumenti legislativi per tradurlo nella realtà. Tutto ciò si evince - lo ripetiamo - dalla relazione della maggioranza.
In realtà, ribadito che il settore automobilistico deve essere considerato essenziale per la tenuta del sistema industriale italiano nei prossimi dieci anni, anche noi diciamo che, dopo avere svolto una puntuale analisi, il piano auto cade proprio nella parte propositiva, cioè nella terapia da seguire per uscire dalla crisi. Si sostiene, nella sua proposta centrale, che anche sulla base delle esperienze giapponesi, occorre procedere ad una "deverticalizzazione delle aziende produttrici di automobili" nel senso che esse debbono diventare industrie di progetto assemblaggio e commercializzazione, cioè il terminale di una vasta rete di imprese di componenti.
E' questa la linea di orientamento prevalente indicata nel piano auto per recuperare produttività, elevate economie di scala, quindi prezzi competitivi, anche sui mercati mondiali.
Ebbene, poniamo due domande. Con quali strumenti finanziari si pensa di realizzare una così profonda innovazione? C'è il consenso delle parti interessate, dell'industria e delle organizzazioni dei lavoratori? Occorre prima sciogliere questi nodi e recepire l'opportunità che in questo settore, come in ogni altro, è necessario procedere con il sistema della programmazione concordata ed impegnativa che però il Governo noti sembra nelle condizioni, e forse non ha la volontà, di attuare.
Le non sopite perplessità sul valore orientativo e prescrittivo delle indicazioni del piano auto devono in questa circostanza, invece, essere messe da parte perché gli interventi rilevanti che sono richiesti a sostegno dell'industria automobilistica si giustificano solo con il perseguimento di precisi e non derogabili obiettivi.
Siamo invece ancora e soltanto alle enunciazioni. Attendiamo i contenuti che debbono riguardare una nuova legge 675, una legge specifica per i fondi di dotazione per le partecipazioni statali, un fondo IMI per la ricerca applicata, una legge per il Mezzogiorno.
Ma viviamo in un momento di grande fluidità ed incertezza e la testimonianza più clamorosa viene proprio dal conflitto Andreatta-La Malfa che rischia di coinvolgere la filosofia del piano a medio termine.
Non c'è da stupirsi dunque che, per la conflittualità interna del Governo, questo attesissimo piano auto abbia già perso di attualità mentre ancora è in discussione.
Il Vicepresidente Sanlorenzo si augurava, e noi possiamo condividere questo augurio, che sia sollecitamente definito. Dubitiamo però che questo possa avvenire in tempi brevi, proprio perché, come d'altra parte ha ammesso lo stesso Ministro Pandolfi, la conflittualità interna rischia di protrarre ancora per molto tempo l'istruttoria del piano auto.
Abbiamo concluso il primo punto che ci premeva evidenziare.
Discendono da qui altri due rilievi che si riferiscono alla situazione piemontese e che svilupperemo altrettanto rapidamente.
La perdurante assenza del piano auto giustifica o fornisce l'alibi per l'incerta situazione della Fiat, che va dall'ottimistica lettera di Gianni Agnelli agli azionisti alla preoccupante richiesta, quasi già ufficialmente avanzata, di cassa integrazione per altri 70/80 mila lavoratori. Questo pu avvenire perché i nodi strutturali della crisi dell'auto sono tuttora lasciati irrisolti. Bisogna uscire dall'incertezza.
A suo tempo il M.S.I. si oppose duramente, a livello parlamentare, alla proposta di mettere a disposizione dell'industria automobilistica risorse che non fossero finalizzate ad un organico piano di ristrutturazione. La nostra parte politica, insomma, fu contraria all'erogazione di contributi puramente assistenziali e che, in parole povere, avrebbero trasferito la Fiat in un'area parastatale o "irizzata".
A questa ipotesi fu negativa anche la risposta dell'industria torinese.
Ritirate quelle misure per la caduta del "decretone", dovuta soprattutto alla nostra opposizione, resta però ancora valido ed ancora irrisolto il problema di un intervento finanziario di sostegno per la ricerca applicata e lo sviluppo tecnologico. E' proprio su questo punto che occorre dare certezze anche alla Fiat e naturalmente pretendere garanzie anche dalla Fiat. Infatti, è sui problemi dell'innovazione e della sperimentazione tecnologica che si gioca negli anni '80 a Torino, in Italia, in Europa, la grande e per molti aspetti drammatica crisi dell'auto.
Questo è ciò che conta, questo è ciò che ci preme, questo è ciò che importa a chi, lavoratori o imprenditori, abbia veramente a cuore le sorti ed il futuro della nostra industria automobilistica. Il resto dall'arrogante ed ambizioso discorso "rotaryano" di Luca di Montezemolo alla non diversamente arrogante e minacciosa replica di Berlinguer, sono soltanto parole.
Vi è poi un altro aspetto da considerare, il rilievo o meglio la denuncia che, sempre per là genericità e la superficialità del piano auto conseguenze gravissimi stanno determinandosi nel settore dell'indotto Fiat.
Nella nostra Regione sono centinaia di piccole e medie aziende ad essere minacciate e molte, più il tempo passa, più si trovano sotto la minaccia di una rovina irreversibile. Di queste industrie, degli interessi che coinvolgono, delle migliaia di dipendenti che occupano, il progetto finalizzato per l'industria automobilistica si è quasi completamente scordato.
Come, con che strumenti, con quali metodologie potranno riorganizzarsi per fare fronte alle nuove esigenze di. mercato? Soprattutto, dovranno affrontare la ristrutturazione solo con i loro mezzi? Quali conseguenze avranno sulla loro forza occupazionale le concentrazioni e le rilocalizzazioni che il piano auto ipotizza nel Mezzogiorno d'Italia? Come reagiranno in questo quadro i sindacati che sinora hanno respinto ogni prospettiva di mobilità? Sono domande lasciate senza risposta e sono al tempo stesso elementi di accusa dell'insufficienza e dell'inadeguatezza dei provvedimenti varati per il settore dell'auto, un settore che - sia detto per inciso - si riconosce essere in crisi e si proclama di volere aiutare, ma che poi nei fatti concreti si continua a penalizzare com'è dimostrato dai recenti provvedimenti sui rincari della benzina, della tassa di circolazione, dei massimali assicurativi, delle tariffe autostradali.
Signor Presidente e signori Consiglieri, erano questi i punti sui quali ritenevamo di pronunciarci: giudizio sul piano auto, situazione Fiat, crisi dell'indotto. Lo sottolineiamo in conclusione, questo è un quadro drammatico che riguarda tanto l'Italia quanto l'Europa. Il rapporto annuale dell'ANFIA, pubblicato proprio nei giorni scorsi, sottolinea che "la rapidità con la quale va mutando il panorama europeo è tale da imporre uno sforzo urgente nel quale tutte le parti sociali devono impegnarsi al massimo". Nei prossimi tre o quattro anni - afferma la relazione - verrà ridisegnata la mappa dell'industria automobilistica. Gli interventi saranno determinanti per decidere se quella italiana potrà riprendere il ruolo svolto in passato.
Ebbene, noi diciamo che bisogna decidersi ad agire con interventi più concreti e più organici di quanto non siano quelli del piano auto concordando soprattutto una politica a livello comunitario europeo. Si tratta di promuovere risolutamente lo sviluppo della tecnologia elettronica, di imboccare la via del risparmio energetico, di sperimentare nell'energia fonti alternative a quelle tradizionali, sempre in impressionante aumento quanto ai prezzi e quindi quanto ai costi. Il tutto con occhio ben vigile nei confronti della protezione del consumatore e del miglioramento della tutela dell'ambiente.
Questo occorre fare, questo è il vero piano che durante gli anni '80 dovrà essere messo gradualmente in atto per salvare e rilanciare un'industria che direttamente o indirettamente in Italia occupa centinaia di migliaia di lavoratori e in Europa fornisce lavoro ad oltre 6 milioni di persone. Soprattutto nel loro interesse dobbiamo chiamare a raccolta tutti i nostri sforzi, tutte le nostre energie e, se ci sono, tutta la nostra fantasia e capacità di invenzione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Ringrazio il Vicepresidente della Giunta per averci informato dell'incontro che questa sera si terrà con la Commissione. E' un appuntamento importante, che servirà a fugare i dubbi che già avevamo sul fatto che i pareri delle Regioni ingiallissero nei cassetti del Ministero.
E' importante, invece, che i pareri delle Regioni si possano esprimere a tutti i livelli, questa sera in sede di Commissione, in futuro in sede CIPI e CIPE.
La crisi del settore auto è una crisi di ristrutturazione, di riorganizzazione di tutta l'industria a livello mondiale per arrivare ad un prodotto diverso nella ,qualità, nei materiali impiegati, nel modo di costruzione. La crisi petrolifera ne è la causa. Il mercato sempre più di sostituzione, la bassa espansione del mercato, determineranno una feroce concorrenza tra le case automobilistiche: l'aumento di quote di mercato in questo scontro, per alcune di esse significherà sottrarre quote ad altre così è stato per l'industria automobilistica inglese, così sarà nei prossimi anni per quelle case automobilistiche che non si appresteranno in tempo a sostenere lo scontro con adeguata innovazione dei modelli che risponda alle nuove esigenze del mercato, economicità, robustezza affidabilità.
Nella prima parte del piano vengono puntualizzati e rilevati i grandi sforzi di organizzazione del settore auto; negli altri Paesi, gli ingenti investimenti statali di indirizzo pubblico, attraverso i Governi permettono alle industrie automobilistiche di mettere sul mercato auto a basso costo e ridotti consumi onde acquisire nuove quote. Negli Stati Uniti e nel Giappone si sta attuando una legislazione con vincoli ben precisi rispetto ai livelli di consumo e di inquinamento.
Di fronte a questa situazione mi sembra che l'industria automobilistica italiana, la Fiat in testa, si trovi in grande ritardo. Basti pensare che la Fiat in dieci anni non ha costruito un motore nuovo. E l'accordo con la Peugeot non darà i suoi frutti prima del 1985.
Ci troviamo in una fase in cui, mentre le altre case si apprestano ad immettere sul mercato modelli radicalmente nuovi, la nostra più grande industria per i prossimi anni prevede unicamente la ristilizzazione di vecchi modelli (132 e 127). L'inserimento dei nuovi modelli è stato spostato al 1983. Contemporaneamente va avanti un attacco anti-operaio tendente a vanificare gli accordi sindacali ed aumentare lo sfruttamento cercando di avallare la tesi che i problemi sono tutti nella gestione della manodopera. Avvengono fatti buffi. A fine anno con la lettera di Agnelli agli azionisti e gli articoli su "Repubblica", articoli più da "Illustrato Fiat" che da giornale serio, si accredita la tesi che tutto va bene e che quindi i mali della Fiat erano nei 23 mila lavoratori di troppo. Una settimana fa l'annuncio di nuova cassa integrazione fa giustizia di queste tesi e testimonia come i problemi dell'auto non si risolvono espellendo i lavoratori dalla fabbrica.
In realtà non si regge la concorrenza né si aumenta la produttività se non c'è un grande sforzo per l'accelerazione dei modelli in una logica di espansione del mercato, di difesa dell'occupazione, di sviluppo della ricerca e dell'industrializzazione, di modifica dell'organizzazione del lavoro.
Questi obiettivi non si realizzano se non c'è un intervento dello Stato di indirizzo, di vincoli, di coordinamento, il rapporto Prodi della primavera scorsa individuava alcune risposte a questi temi, dava un'impostazione espansiva al settore con l'obiettivo di produrre in breve termine 300 mila auto in più ed il ritorno alle quote del 1970, metteva vincoli e stimolava le case automobilistiche circa l'innovazione dei modelli e individuava in cinque anni il periodo entro il quale andare alla produzione di una nuova famiglia di vetture; poneva vincoli territoriali rispetto agli insediamenti produttivi e all'accesso ai fondi per la ricerca.
Il ruolo assunto dalla Fiat e il lavoro svolto dalla Commissione Barattieri, dopo il rapporto Prodi, è stato quello di smantellare ciò che di positivo c'era nel progetto. Non ci sono obiettivi quantitativi. Il rapporto Prodi prevedeva un recupero dai 4 ai 5 punti percentuale del mercato, in un'ottica espansiva. Il piano Barattieri prevede il mantenimento delle attuali quote di mercato, in sostanza, il recupero delle quote del '75.
A questo proposito mi stupisce quando la D.C. nel suo ordine del giorno prevede come positivo il recupero delle quote del 1975, ossia recupero dello 0,3/0,4%; in sostanza l'ipotesi Barattieri è un'affermazione di stagnazione e, per ammissione dello stesso programma, creerà ulteriori problemi occupazionali. L'innovazione dei modelli prevista nel rapporto Prodi viene vanificata e snaturata facendo entrare nell'innovazione del prodotto il semplice restyling di un vecchio modello.
In questo si snatura la legge 675, nata per finanziare ristrutturazioni e riconversioni. Non si può certo sostenere che il restyling sia una riconversione.
Rispetto agli investimenti e all'innovazione degli impianti a pag. 70 si afferma a proposito della Fiat: "I processi di robotizzazione non sembrano aver pagato in termini di efficienza. Questa sembra invece essere assicurata dagli impianti di modeste dimensioni come Desio e Termini Imerese, ma anche dalla nuova Innocenti, dove si assemblano componenti completi su linee molto più brevi di Mirafiori. Il processo di parcellizzazione sembra essere sul punto di presentare oltre un certo limite forti diseconomie dovute alla rigidità delle linee di produzione".
Ebbene queste affermazioni facevano sperare nell'esigenza che venissero accolte nel piano con l'indicazione di una ristrutturazione del ciclo produttivo dell'auto e quindi con un rifinanziamento, secondo una logica di cambiamento di organizzazione del lavoro, modulare, con nuove forme di organizzazione del lavoro, una nuova qualità del lavoro che esalti la professionalità e quindi per questa via aumenti la produttività; con un decongestionamento dei grandi impianti, cosa che del resto per affermazione nello stesso programma sta avvenendo negli Stati Uniti.
Questo pone due problemi, il primo che non si può fare un discorso che colleghi l'innovazione del processo produttivo nella nuova organizzazione del lavoro come base fondamentale per aumentare la produttività; il secondo impedisce di fare un discorso di decentramento al sud. Del resto nello stesso programma non ci sono vincoli territoriali rispetto all'accesso ai fondi per la richiesta.
Nelle conclusioni della Commissione Barattieri scompare uno dei punti fondamentali del piano, il mantenimento in Italia, del maggior numero di fasi di produzione. Questo significa che un'azienda italiana può prendere soldi per la ricerca per andarli a investire all'estero.
Del resto non c'è nessun vincolo rispetto a standard dei consumi e di inquinamento, nel momento in cui sulla riduzione dei consumi si giocherà gran parte delle quote di mercato e di competitività in una fase in cui tra l'altro, la legislazione di altri Paesi come Stati Uniti e Giappone pone vincoli precisi.
Per ultimo, non certo in ordine di importanza, c'è il problema della componentistica.
Non appena ho visto la proposta di ordine del giorno della D.C. sono andato a rileggere il programma. Pensavo di aver saltato, o che mancassero delle pagine. Niente di tutto questo. Allora, vorrei che i presentatori di questa proposta di ordine del giorno mi spiegassero dove trovano la razionalizzazione dell'industria componentistica.
In effetti il problema della componentistica viene saltato e viene affrontato nel seguente modo: "coerenti con questa finalità si porrebbero le concentrazioni. I relativi progetti dovrebbero comunque essere finalizzati, ecc..... il Ministero dell'Industria dovrebbe presentare una proposta., ugualmente sarebbe opportuno ecc.... una proposta a tale riguardo dovrebbe essere avanzata in tempi brevi da parte del Ministero dell'Industria".
Se questa è razionalizzazione dell'industria della componentistica allora non capisco, però non mi sembra che sia questo.
In sostanza questo piano si traduce in un puro sostegno all'autoprogrammazione delle aziende, per finanziare le scelte che le aziende faranno di volta in volta, senza porre vincoli né orientare le scelte delle aziende. In sostanza si tratta di un puro sostegno finanziario alle industrie di assemblaggio finale, ben sapendo che l'industria automobilistica è una cosa ben diversa.
Solo la componentistica comprende il 60 % dell'intero ciclo dell'auto.
Quello che è necessario fare al più presto è un vero piano dell'auto con vincoli ed obiettivi ben precisi che impongono la formulazione di piani di azienda trasparenti e discussi. E' necessario impostare un piano con un'ottica espansiva dell'obiettivo di recuperare consistenti quote di mercato, almeno quelle del 1970 come è indicato nel rapporto Prodi. Questa è la condizione per mantenere gli attuali livelli di occupazione.
A questo obiettivo è necessario vincolare le altre scelte, escludere dall'innovazione del prodotto il semplice restyling di un vecchio modello mentre invece è necessario imporre tempi e ricerche adeguate per innovazioni profonde, unica condizione per far fronte alla concorrenza.
Gli interventi sul processo di innovazione degli impianti devono significare una profonda ristrutturazione con la creazione di più piccole unità produttive andando quindi al decongestionamento dei grandi stabilimenti che è anche condizione per aumentarne la produttività, per ammissione del programma, e l'avvio di nuove forme di organizzazione del lavoro che permettano di superare il lavoro vincolato. Questo è l'unico modo per aumentare la produttività esaltando la professionalità dei lavoratori. Non è vero che per aumentare la produttività l'unico modo sia quello di aumentare lo sfruttamento dei lavoratori. Che senso ha, del resto, un'organizzazione del lavoro che produce grosse diseconomie con una divisione fra lavoro manuale di esecuzione e lavoro più qualificato? L'accesso ad eventuali fondi deve essere vincolato soprattutto in occasione di accordi internazionali, alla creazione di tanti posti di lavoro quanti si realizzerebbero all'estero con eventuali accordi. Senza questo vincolo invito a riflettere che cosa potrebbe succedere, per esempio, se l'accordo Fiat-Peugeot, come reclama il Presidente della Repubblica francese si risolvesse con la costruzione in Francia dello stabilimento per i motori: i riflessi sarebbero drammatici in termini di perdita di posti di lavoro ed allora chiedo, a chi è convinto che questo è un buon programma, che fine farebbero i lavoratori che attualmente costruiscono i motori.
Punto fondamentale è il problema del riequilibrio verso il sud di cicli qualificati di produzione, stampaggio, parte della componentistica ora concentrata al nord, fonte di alti costi di trasporto. Questo deve significare anche concreta attuazione degli impianti che non più tardi di ieri abbiamo assunto nei confronti delle popolazioni meridionali; in particolare di quelle terremotate. Sarebbe grave sacrificare questi impegni sull'altare della libertà d'impresa, sarebbe grave accettare il concetto della Fiat che il riequilibrio va bene però deve venire dopo il profitto.
Sono necessari vincoli precisi rispetto agli standards di consumo e di inquinamento, condizione non solo per reggere la concorrenza, ma anche per sfondare mercati come quelli degli Stati Uniti e del Giappone.
A me sembra che un piano che si voglia chiamare tale deve avere la capacità di intervenire sull'intero ciclo dell'auto. Non può essere chiamato tale un piano che non interviene sul settore dell'indotto e della componentistica: a me sembra che nel settore si verificheranno le possibilità di innovazione del prodotto, di applicazione dell'elettronica sull'auto, di applicazione di nuovi prodotti quali la plastica, che imporranno un rapporto più stretto tra i diversi settori e lo sviluppo della ricerca.
Voglio fare una parentesi. A me sembra miope e colpevole l'atteggiamento della Montedison e del Governo, quale maggiore azionista della Montedison, di tentare di chiudere o di ridimensionare i centri di ricerca, unici in Italia, nel settore delle materie plastiche da applicare all'auto, come quello di Castellanza, bel resto non è necessario andare lontano per trovare un serio sistema di vincoli per la ricerca e l'innovazione del prodotto a cui è possibile ispirarsi. In Francia le imprese che hanno acquisito finanziamenti per la ricerca, se le conclusioni finali non corrispondono agli obiettivi del piano, devono ridare indietro i finanziamenti ottenuti.
In questo senso è necessario muoversi. La componentistica è un settore complesso nel quale per intervenire è essenziale e determinante conoscerlo in tutti i suoi aspetti.
C'è un'iniziativa dell'Assessorato che ci permetterà di conoscere più approfonditamente questo aspetto. Ci sono due livelli della componentistica nei quali è necessario intervenire: nella cosiddetta componentistica matura per realizzare economie di scala e porre vincoli precisi per favorire la concentrazione anche attraverso i consorzi nella ricerca e nella progettazione per nuove tecnologie.
Ci sono poi le aziende da riconvertire. Credo sia profondamente da rifiutare un r apporto con le aziende della componentistica, qual è quello instaurato in questi anni dalla Fiat che tende a strangolare i fornitori con appalti in busta chiusa ed imporre l'esclusività di forniture per la Fiat fino all'88 %, cioè una completa subordinazione alla Fiat stessa.
Questo atteggiamento sta determinando difficoltà in moltissime aziende della componentistica.
L'altro aspetto che non può essere lasciato all'arbitrio e ai ricatti della grande impresa e che veniva ripreso con forza dai rappresenti dell'A.P.I. nel corso della consultazione in sede di IV Commissione, sono i tempi di pagamento e la revisione prezzi. E' opportuna una normativa ed una regolamentazione.
Uno dei punti importanti del problema è la necessità di adeguare la legislazione vigente. Non solo va rifinanziata la legge 675, ma va adeguatamente riformulata. Il decreto 503 è decaduto e la sua ripresentazione deve significare non un rifinanziamento a pioggia, ma individuare priorità e vincoli. La legge sui consorzi deve essere rinnovata.
C'è poi il problema della gestione dell'accordo Fiat. I fatti hanno dimostrato che i problemi della Fiat non erano i 23 mila lavoratori, ma sono ben altri e il P. D. U. P, con forza ha sottolineato e denunciato i mali veri della Fiat. Gestire l'accordo Fiat significa mettere in grado le Regioni di fare la loro parte. Attivare i corsi professionali significa avere un piano d'impresa che nella prospettiva di ricollocazione dei 23 mila in cassa integrazione permetta di finalizzare la formazione professionale.
In conclusione, credo di avere sufficientemente chiarito i motivi che devono portare la Regione Piemonte a sostenere la radicale modifica e riformulazione del piano auto in tempi rapidissimi. Approvo le posizioni della Giunta. La riformulazione del piano auto deve permettere alle aziende automobilistiche italiane di reggere alla concorrenza, unica condizione per mantenere i livelli di occupazione. E' necessario affrontare i nodi di uno sviluppo distorto fondato sulla monocultura dell'auto con una politica di attivazione e di sviluppo di nuovi settori se vogliamo dare una risposta ed una prospettiva di lavoro alle nuove generazioni.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Brizio. Ne ha facoltà.



BRIZIO Gian Paolo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la nostra posizione sul piano dell'auto è diversa da quella indicata dal Consigliere Montefalchesi.
Nell'illustrarla vorrei fare un discorso più generale che parte da più lontano.
Siamo in presenza di una grossa crisi industriale, che non colpisce solo il nostro Paese, bensì tutto il sistema capitalistico e l'economia di mercato. E' una crisi del sistema industriale, dovuta in parte allo choc del rincaro delle fonti energetiche ed in parte all'aumento delle materie prime ed alla saturazione di grandi quote di mercato.
Ma questa crisi è in larga misura crisi della grande azienda. E' una crisi di produttività soprattutto dovuta alla rigidità della forza lavoro.
E' una crisi di governabilità dell'azienda, anch'essa- motivata da una conflittualità che contesta l'organizzazione del lavoro e che pone costanti difficoltà nella conduzione del processo produttivo.
Infine, come conseguenza, è una crisi di redditività.
Di fronte all'andamento negativo si riduce l' autofinanziamento, dovuto agli ammortamenti ed al rendimento del capitale, non viene più stimolato l'investimento del capitale nell'azienda. Le risorse finanziarie diventano limitate e si acquisiscono solo attraverso l'indebitamento che viene concepito come elemento succedaneo alle risorse interne.
Qui nasce uno dei primi grandi errori culturali che hanno caratterizzato gli anni '70, ed anche prima, a proposito della conduzione aziendale: quello di ritenere il credito come sostitutivo dell'autofinanziamento e delle risorse proprie. Il credito è un elemento che può essere ampiamente integrativo, ma non può essere sostitutivo.
L'articolo di Cantoni su "La Stampa" parla del grande esodo dai depositi bancari al mercato mobiliare. Ma, se si considera che la capitalizzazione del mercato mobiliare è di 27 mila miliardi contro 250 mila miliardi del montante di depositi bancari, si vede che questa è una sproporzione, soprattutto rispetto al momento trainante dell'economia italiana (quando la capitalizzazione del mercato mobiliare era dell'80 rispetto ai depositi bancari), è mancato il flusso diretto fra il risparmiatore e l'azienda: la fiducia nel sistema, .quello che il prof.
Rota, intervenendo sempre su "La Stampa" nel dibattito conseguente alle restrizioni creditizie, indicava come la via di uscita da questa fase di stretta. Se ci fosse un ritorno ad un adeguato ridimensionamento del capitale, sarebbe uno dei contributi all'uscita dalla crisi.
Non sarebbe sufficiente, però, perché queste risorse, superato il momento della fuga di fronte all'inflazione e di fronte alla stretta creditizia, devono trovare nell'autofinanziamento aziendale la capacità di remunerazione e lo stimolo per ritornare nella grande azienda.
In questo quadro si inserisce la crisi dell'auto e della Fiat, crisi reali sia sul versante dell'offerta che su quello della domanda. Nell'auto i modelli non sono Adeguati; c'è una saturazione di domanda, una non risposta positiva a quello che le Aziende sono in grado di offrire. E' una crisi dovuta certamente all'aumento del costo del carburante come elemento fondamentale, ma è dovuta particolarmente alla saturazione del mercato nord americano interessato anche ad una nuova normativa ecologica che ha posto in difficoltà sia l'offerta che la domanda. La crisi è dovuta anche all'avvento dell'elettronica e alla rivalutazione della tecnologia nell'automobile.
Il quarto aspetto di crisi è causato dall'offensiva giapponese che, se leggiamo attentamente, è la risposta a queste tre esigenze, la risposta più pronta, più attenta, più capace sul piano industriale all'aumento del carburante e all'avvento della nuova tecnologia.
Qual è la situazione italiana? In Italia la crisi della grande impresa è accentuata perché le condizioni di rigidità, di sotto-capitalizzazione, di conflittualità sono esaltate dalle contingenze della nostra vita democratica, a tutti note.
Inoltre, c'è un difetto culturale sul quale dobbiamo fare una meditazione: avere considerato l'automobile prodotto troppo maturo, quando le altre Nazioni davano invece valutazioni sostanzialmente diverse.
Questi sono i guasti di una cultura, o di una pseudo-cultura superficiale e demagogica che ha, tra l'altro, teso a porre il trasporto pubblico come alternativa e non come complementarietà al trasporto privato con le conseguenze della battaglia ai grandi interventi, alle autostrade con la demagogica denuncia delle cosiddette "opere faraoniche", che poi ad una ad una si riscoprono come opere assolutamente necessarie. Quindi errori di valutazione.
L'altro errore è quello della diversificazione del prodotto portato fino all'assurdo perché, mentre le altre aziende puntano alla specializzazione, qui si è andati verso una cultura che proponeva la diversificazione. Ricordiamo l'incidenza dell'intellighenzia più avanzata i cui studi proponevano che la Fiat doveva fare ospedali e doveva intervenire nelle opere pubbliche con le proprie risorse finanziarie. Oggi gli ospedali sono stati fatti per intervento pubblico e c'è la crisi invece nella produzione automobilistica.
Tutto questo ha determinato una crisi congiunturale che può diventare strutturale, se non ci saranno rapidi interventi in proposito.
La risposta non potrà certamente essere quella della rassegnazione, ma dovrà essere una risposta reattiva che rilanci in qualche modo l'automobile.
So di dispiacere a qualche collega, ma è singolare che proprio oggi quando emergono i guasti di un'impostazione di questo genere, chi li ha particolarmente cavalcati sul piano culturale tenda a porsi come forza che con insistenza e con pervicacia, vuole guidare la ripresa economica e sociale del Paese.
C'è la vertenza Fiat. La crisi Fiat è dovuta anche al ritardo nell'aver avvertito questi fenomeni. La legge 675 non prevedeva, nell'anno 1977 interventi nel settore dell'auto. Lo ha detto anche il Ministro Prodi nel suo intervento del mese di marzo 1980. Per troppo tempo si è ritenuto che la Fiat fosse al riparo dalla crisi. Non era così. Ne abbiamo dovuto constatare la debolezza sotto la flessione del mercato internazionale, di fronte alla reazione delle altre aziende mondiali.
Di qui nasce il rapporto Prodi dell'80, la necessità di un esame pubblico a fondo. Dal rapporto Prodi nasce l'esigenza di un piano di settore, ai sensi della legge 675. In questo clima matura nell'autunno la vertenza Fiat. Anche questo esame va fatto per comprendere e valutare il significato del programma auto.
L'azienda ha mirato a riprendere il governo dell'azienda stessa, ha mirato alla flessibilità del lavoro, ha puntato sui fondi della ricerca mentre il sindacato si è posto, forse erroneamente, su una posizione nettamente contraria alla mobilità.
Noi riteniamo che la Giunta abbia in sostanza cavalcato la linea della FLM. Non a caso abbiamo votato un ordine del giorno diverso sulla vertenza Fiat.
Proprio perché la posizione che in particolare il P.C.I. ha portato avanti era una posizione che spingeva quella vertenza così drammatica, come ha evidenziato il collega Viglione nel suo intervento, noi abbiamo sostenuto fin dall'inizio che era fondamentale la caduta sulle pregiudiziali e necessaria l'accettazione di una mobilità garantita per giungere all'accordo. Il nostro ordine del giorno è poi la base conclusiva del documento e dell'accordo siglato al Ministero del Lavoro.
In quell'occasione abbiamo anche stigmatizzato, pur rispettando l'autonomia del sindacato, certe forme di lotta che non abbiamo considerato compatibili con il sistema di reciproca tolleranza sul piano democratico.
D'altro canto, abbiamo visto che ancora ieri sono state condivise dal Sindaco di Torino nell'intervento al convegno della Fiat.
La Fiat ha recuperato dei livelli di produttività, però i risultati sono relativi. Ci troviamo di fronte ad un ulteriore aggravamento, ad altra richiesta di cassa integrazione.
Dobbiamo analizzare con più attenzione l'effettiva situazione del Piemonte. Tutti i più autorevoli osservatori economici stanno portando avanti la tesi che è in atto uno spostamento del triangolo industriale da ovest verso est, che interessa fondamentalmente il Piemonte. Tale spostamento è dovuta ai problemi della grande azienda e di tutto quanto ad essa è connesso. Abbiamo un'occupazione industriale molto elevata. Per uscire dalla crisi si deve operare per sviluppare linee alternative. Deve essere concretizzato il discorso sul terziario.
Mi stupisce di rilevare una certa discordanza tra l'intervento del Consigliere Viglione con quanto diceva il Ministro Reviglio in Consiglio comunale quando esprimeva punti interrogativi sulla possibilità di portare avanti un terziario superiore nella nostra città.
Occorre portare avanti il rilancio dell'edilizia. Certamente non è facile in presenza di una normativa urbanistica estremamente restrittiva.
Non è sufficiente dire che non si vuole gestire la crisi. Si deve fare qualche cosa. Non credo che serva decentrare le vertenze per fingere di ignorarle o per minimizzarne il peso. Occorre un'iniziativa politica da parte della Regione.
A questo proposito, cogliamo questa occasione per dire che la D.C.
torinese e piemontese respinge l'immagine che si vorrebbe creare di una forza non rappresentativa della realtà sociale ed economica della Regione.
Crediamo che la prima rappresentatività sia il voto, quindi il consenso popolare.
Crediamo sia difficile non vedere l'articolata composizione del nostro elettorato e la nostra capacità di rappresentarlo. Può darsi che non abbiamo la forza aggregante, ma anche questo è un discorso da valutare.
Certo, non abbiamo l'elasticità di movimento o la spregiudicatezza di altre forze politiche, ma non per questo siamo una forza che non rappresenta il Paese e la nostra Regione.
Nemmeno certi discorsi di collegamenti privilegiati sono sufficienti a garantire quel consenso popolare necessario per uscire dalla crisi che il Piemonte sta attraversando.
Noi crediamo, lieti di rimanere su questi banchi, che sia difficile fare tutto questo senza l'apporto del partito di maggioranza relativa e senza la sua funzione di guida che gli elettori gli hanno dato.
Veniamo al piano auto. Approviamo il tipo di piano, perché è un piano di settore della legge 675. I piani di settore - il Consigliere Alasia lo sa perché ne ha visti altri - sono fatti così. Non possono essere piani vincolistici e dirigistici fino all'eccesso. E' un programma finalizzato, è una cornice entro la quale si debbono inserire i provvedimenti legislativi conseguenti che gli devono dare attuazione e le iniziative imprenditoriali la capacità degli uomini a portare avanti il discorso.
Noi approviamo il piano perché il punto di partenza è il mercato Abbiamo scelto l'economia di mercato ed è giusto che il punto di partenza sia il mercato, sia il prodotto, un prodotto ancora trainante, che ha una maturità, non già quella a cui si faceva cenno prima, ma una maturità dinamica, come dice il prof. Forte nel suo intervento alla Commissione Industria. Il prodotto ha una maturità dinamica sia da parte dell'offerta sia da parte della domanda, sia per il cambiamento dei modelli, sia per la richiesta del mercato.
Mentre condividiamo l'impostazione generale del piano, forse la più combattuta, siamo anche d'accordo sugli obiettivi che puntano sulla competitività del prodotto. Se c'è un mercato, se il prodotto deve uscire sul mercato, se deve riconquistarlo, ha bisogno di essere competitivo altrimenti siamo all' "irizzazione" di cui si è parlato prima. In difetto di ciò siamo di fronte ad un'economia che si chiude; e, ha ragione Alasia nel dire che non vogliamo il protezionismo.
La competitività si attua - lo dice il piano e noi lo riprendiamo nel nostro ordine del giorno - attraverso il miglioramento della produttività per ridurre il divario esistente tra il nostro Paese e gli altri Paesi. In Italia, pur in presenza di un costo di lavoro non elevatissimo, c'è un rapporto tra valore aggiunto operativo e costo del lavoro, che è il peggiore.
Il secondo aspetto riguarda il miglioramento del rapporto tra costo e prestazioni, cioè il complesso del prodotto. Il terzo aspetto riguarda la razionalizzazione della componentistica. Il piano si pone anche questo obiettivo però parte dal prodotto e, attraverso questo, trascina anche la componentistica.
La componentistica viene razionalizzata e si dà una via per questa razionalizzazione. Certo non si danno vincoli massicci, stretti, specifici nei quali non crediamo.
Quarto punto: la riconquista delle quote di mercato europeo del periodo 1975/1979. Se la Fiat si propone nel 1985 di arrivare a 1.700 autoveicoli non è un aumento dello 0,30 %, ma è un aumento del 5 % annuo, superiore a quello che viene considerato positivo dalla FLM.
Siamo anche favorevoli alle linee di azione che vengono indicate, cioè agli strumenti; tra questi riteniamo di particolare importanza quello che tocca il rapporto mezzi propri e indebitamenti dell'impresa, tema che ho accennato precedentemente. E' fondamentale la ricapitalizzazione delle imprese, è fondamentale l'avvio di risorse proprie e consistenti. Gli aumenti di capitale del 1979 ammontano a 2.033 miliardi. Altri si stanno facendo nel 1980. Il rilancio deve passare attraverso un miglioramento di questo rapporto.
Fatte queste considerazioni sul piano, dobbiamo esaminare i contributi e i giudizi che sono stati formulati, anche perché li riteniamo recepibili in un discorso di stesura definitiva quanto sollecita di alcune puntualizzazioni del piano, purché compatibili - come diciamo nel nostro documento - con l'impostazione del piano, con gli obiettivi e con gli strumenti.
In questo quadro, importante è la posizione del sindacato. Noi siamo sempre stati per l'autonomia sindacale, non siamo mai sta ti invadenti abbiamo sempre considerato il sindacato autonomo, abbiamo anche dato un contributo al protagonismo dei lavoratori, che abbiamo valutato come elemento positivo nella vita sociale ed economica del Paese. Non intendiamo scaricare responsabilità ed errori delle parti politiche su nessuno.
Diciamo anche che non abbiamo mai condiviso un concetto pansindacale per cui tutto debba essere frenato, tutto debba essere discusso, nulla possa essere deciso senza il consenso di tutti e senza l'esplicito preventivo consenso del sindacato.
Vediamo nel parere del sindacato - e abbiamo letto anche i pareri dati nella consultazione alla Camera - un giudizio positivo sull'auto in quanto prodotto. Si dice testualmente nel parere della FLM che il progresso tecnologico riqualifica l'auto come prodotto di avvenire. Vengono poi le critiche di fondo al piano, critiche che nascono, a nostro avviso, dalla visione e dall'esigenza di un piano più rigido, più strettamente programmatorio, più quantificato: sono quelle critiche che non riteniamo valide e che, a nostro avviso, sono viziate da una posizione strettamente sindacale.
C'è una terza critica nel parere sindacale che in certa misura recepiamo laddove si dice che c'è una scarsa consistenza dell'intervento pubblico. Ma, anche qui bisogna intendersi se per scarsa consistenza si deve intendere un intervento più marcato, più rigido, più pesante, in questo caso non concordiamo; se invece si vuol fare il discorso sulla quantità delle risorse (mi riferisco alla citazione di Sanlorenzo su certe quote di intervento degli altri Paesi), siamo perfettamente convinti che in sede di attuazione delle leggi previste dal piano occorrerà fare un grosso sforzo per dare i mezzi necessari al rilancio del prodotto. Certamente, non possiamo avere gli 80 mila miliardi degli Stati Uniti. C'è un vizio di fondo. Per disporre e per stanziare le risorse, bisogna crearle e per crearle bisogna che le aziende siano in grado di creare risorse reali e non indebitamento; si deve tornare al discorso iniziale dell'autofinanziamento e dell'utile.
Abbiamo valutato anche i pareri delle aziende interessate. Per quanto riguarda la Fiat, gli obiettivi che il programma finalizzato pone, ossia l'aumento del recupero di mercato d'Europa dal 4 al 5 % e dell'Italia dal 52 al 56 (documento Forte) sono obiettivi che pongono qualche cosa di positivo. Lo stesso parere sindacale della FLM dice che un aumento del 2/2,50 % annuo, dati i livelli raggiunti, è un livello da considerarsi positivo.
C'è la previsione per il 1985 di ritoccare i livelli del '72/'73 a 1.700 vetture, con aumento di produttività, con una nuova impostazione della gamma dei prodotti, con un impegno nell'innovazione.
E' vero, l'azienda ha sempre sostenuto che l'innovazione è la via per il rilancio dell'auto e che soprattutto interessano i fondi per la ricerca e non l'assistenzialismo. Anche noi, come il Consigliere Viglione, abbiamo fiducia nella possibilità di ripresa dell'azienda, se arriveranno i fondi per la ricerca.
C'è il problema dell'impegno finanziario. Il programma finanziario indicato fino al 1985 con 5.400 miliardi - base '78 - può essere anche non rilevante, tanto più che oggi sono già oltre 7 mila miliardi. E' comunque uno sforzo che va fatto sul mercato finanziario. Sarà interessante vedere se i 3 mila miliardi per la gamma dei nuovi prodotti, i 1.400 per lo sviluppo e i 1.000 per la riduzione costi (base '78 e congruamente rivalutati ad oggi di circa il 40%) potranno essere reperiti e in che modo.
I piani della legge 675 e i piani per adire al finanziamento prevedono la presentazione di specifici programmi finanziari, quindi in quella sede dovranno essere indicate anche le modalità del reperimento dei mezzi finanziari.
Ci sono poi le valutazioni dell'Alfa Romeo che indicano la possibilità di questa azienda di puntare sul segmento medio-basso del mercato e indicano una capacità di investimenti per nuovi modelli di 1.700 miliardi dal 1979 al 1983.
C'è il contributo dell'Innocenti che sostiene la capacità di raggiungere una economicità senza arrivare a livelli di prodotti enormi cioè senza arrivare ai 2 milioni di pezzi e fa riferimento al discorso della targhettizzazione che potrebbe essere anche parzialmente valido (dare per la ricerca una quota di finanziamento anche in base al successo dello studio e del prodotto).
C'è la valutazione della Confindustria che soprattutto accenna al problema del Mezzogiorno. La priorità del Mezzogiorno è molto importante ma può essere accettata soltanto ove fattibile; appare difficile alle aziende che hanno i centri di ricerca al nord finanziare la ricerca nel Mezzogiorno. Quindi il parere della Confindustria è pertinente. Pone la prevalenza degli interventi al sud condizionata dal mantenimento degli obiettivi previsti dal piano. Per questo deve esserci una coerenza chef quindi, rimanda una parte degli investimenti nel nord dove giustamente debbono essere consumati.
C'è infine il parere dell'A.P.I., al quale tanto spazio ha dato il Consigliere Alasia. Certamente, è un contributo ampio, dignitoso importante, che contiene punti dialettici per quello che riguarda il problema della componentistica, dell'indotto e in ordine al tema comportamentale dei rapporti. Abbiamo colto in pieno le preoccupazioni che l'A.P.I. ha per il settore della componentistica. Forse sono preoccupazioni esasperate da una visione in parte corporativa, tuttavia ne comprendiamo la validità.
Il rapporto fra case automobilistiche e produttori è fondamentale e vitale. L'articolo del prof. Zanetti di domenica sulla "Gazzetta" parlava dell'indotto "senza ombelico"; stiamo attenti che l'autonomia completa di questa industria non porti a incapacità progettuale. Occorre via via dare questa autonomia, , via via dare delle disponibilità. Nel piano .- e mi rivolgo a Montefalchesi - c'è anche la possibilità di accesso ai finanziamenti della ricerca per la componentistica, c'è lo stimolo dei consorzi.



MONTEFALCHESI Corrado

E' tutto rimandato a provvedimenti ulteriori del Governo.



BRIZIO Gian Paolo

Ho già spiegato che cos'è il piano. Se poi vuoi il piano sovietico...
C'è il problema degli ordini, c'è il problema finanziario. I 1.600 miliardi di crediti del sistema dell'indotto e della componentistica verso la grande azienda sono una cifra enorme; importante, quindi la richiesta che il finanziamento tenda anche a ridurre queste esposizioni; quello che si chiama tecnicamente il finanziamento attraverso l'allargamento della superficie dei fornitori, è giusto è una richiesta fondata, che ha una sua sostanziale validità.
Lo stesso dicasi per le conclusioni del documento.
Noi riteniamo che la parte conclusiva, laddove si chiedono delle norme comportamentali migliori, sia molto importante. In qualche misura pu essere recepita purché non diventi troppo vincolistica per Io sviluppo del prodotto. Le conclusioni del piano, certo, sono rimandate. L'ho detto sin dall'inizio: il piano è un piano-quadro, indica quali sono le vie per l'attuazione. Le vie sono la riforma e rifinanziamento della legge 675 consentendo - e siamo di questo parere - che nella legge 675 venga considerato come ristrutturazione il finanziamento dei nuovi modelli e del restyling. Siamo per la priorità agli interventi che abbiano entità sufficiente e che puntino su una tempistica breve. Le vie sono anche l'approvazione della legge 760. Va affrontato a fondo il nodo della mobilità, del collocamento e del mercato del lavoro. Siamo per un provvedimento (che è previsto) sostitutivo dell'ex 503 per quanto riguarda i temi dell'innovazione. E' qui che si gioca la capacità dell'auto. E' sull'innovazione che deve esserci l'intervento tempestivo, ingente dello Stato.
Infine, finanziamenti della ricerca a medio e a lungo termine attraverso il rifinanziamento del fondo IMI e attraverso i progetti finalizzati per l'energia e i trasporti a lungo termine. Il fondo IMI va rifinanziato. Vanno anche accelerate le procedure dell'IMI. Non è possibile che l'Istituto Mobiliare Italiano si muova con procedure vecchie di trent'anni, che puntano soltanto e soprattutto all'esame storico dei dati aziendali e non alle prospettive e al movimento; questo sistema penalizza soprattutto le aziende nuove, piccole e medie, alle quali, invece, deve andare molto interesse da parte di tutti.
Sostegno all'export- attraverso il programma finalizzato ed azioni a livello comunitario, perché puntino ad accordi, alla contrattazione anche con il Giappone, con gli Stati Uniti, non nella linea protezionistica, ma per giungere ad accordi che limitino certe espansioni che nella fase attuale sono esagerate.
I fondi al sud, tramite il fondo regionale. I fondi, infine, per la mobilità della manodopera, per i quali la Regione Piemonte è già intervenuta.
Concludo ribadendo la nostra posizione che è per un giudizio complessivamente positivo sul piano, soprattutto in ordine alla sua struttura, agli obiettivi e agli strumenti.
Certamente, il piano può essere migliorato e integrato e noi abbiamo già indicato quali possono essere le vie per un miglioramento, che peraltro sono contenute nella coerenza e nella compatibilità, nell'impostazione generale dello strumento, cioè del piano di settore che è stato portato avanti. Questo è il limite entro il quale i contributi possono essere recuperati e devono essere recuperati in tempi utili per agire diversamente la crisi si aggraverà e diventerà da crisi congiunturale crisi strutturale e sarà molto difficile uscirne.
Noi non siamo per il riesame complessivo del piano, siamo per l'arricchimento con i contributi che giungono e chiediamo alla Regione di dare un giudizio positivo, aperto ai miglioramenti, a tempi brevi. Bisogna uscire dalla logica degli ampi discorsi e lunghe discussioni per entrare nella logica dell'azione. E l'azione non è possibile senza uno strumento operativo, essenziale.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, poiché vi sono ancora sei iscritti a parlare, pro pongo di sospendere brevemente la seduta e di convocare i Capigruppo per decidere sulla prosecuzione dei lavori.



(La seduta, sospesa alle ore 13,05 riprende alle ore 13,15)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Nella conferenza dei Capigruppo si è stabilito di proseguire e chiudere il dibattito sull'auto nella mattinata del 24 febbraio prossimo.


Argomento: Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati

Ordine del giorno sulla raccolta di firme promossa dal M.S.I. per il ripristino della pena di morte firmato dai Consiglieri Bontempi, Viglione Mignone, Paganelli, Vetrino Nicola, Bastianini e Montefalchesi


PRESIDENTE

Propongo ora di passare all'esame di alcuni ordini del giorno presentati.
Iniziamo con l'ordine del giorno sulla raccolta di firme promossa dal M.S.I. per il ripristino della pena di morte firmato dai Consiglieri Bontempi, Viglione, Mignone, Paganelli, Vetrino Nicola, Bastianini e Montefalchesi.
Chiede di parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi, la mia non è una dichiarazione di voto in quanto non ritengo neppure di dovermi pronunciare essendo scontato il parere negativo che darò a questo ordine del giorno.
Vorrei piuttosto permettermi di fare due considerazioni che sottopongo all'attenzione dei colleghi: 1 ) mi sembra assolutamente antidemocratico, cioè contrario ai principi che voi affermate, il voler chiedere, attraverso un apposito documento, che sia vietata al M.S.I. una raccolta di firme, facoltà riconosciuta esplicitamente dalla Costituzione.
2) Mi pare inesatto quanto si afferma nell'ordine del giorno e cioè che la nostra iniziativa miri a reintrodurre nell'ordinamento vigente la pena di morte.
E' opportuno, al riguardo, essere ben chiari. Noi non chiediamo questo: la pena di morte esiste già nell'ordinamento vigente italiano. Noi chiediamo soltanto l'applicazione ferma delle leggi tuttora in vigore.
Non ho altro da dire sull'argomento.



PRESIDENTE

Personalmente non sono d'accordo sulle dichiarazioni che ha fatto il collega Carazzoni. Nel documento non è scritto che è vietato al M.S.I. di raccogliere le firme.



CARAZZONI Nino

E' anche vero che non ricevo mai una copia degli ordini del giorno.
Invito ancora una volta l'Ufficio di Presidenza a provvedere.



PRESIDENTE

Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno. Ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale del Piemonte, in relazione alla raccolta dl firme promossa dal M.S.I. per la dichiarazione dello stato di guerra e della conseguente introduzione del codice militare e della pena di morte rileva la pericolosità di un'iniziativa che tenta di strumentalizzare lo stato di disagio e di insicurezza presente in questa fase difficile della vita del Paese per volgerlo contro le conquiste di libertà e di civiltà sancite dalla Costituzione; offendendo la coscienza democratica e civile delle popolazioni della nostra regione e delle nostre città medaglie d'oro della Resistenza conferma piena adesione ai valori ed ai principi che hanno portato all'esclusione della pena di morte dalla Carta Costituzionale ribadisce come una ferma e conseguente repressione di ogni tipo di criminalità e del terrorismo in particolare comporti il rispetto e l'applicazione delle leggi esistenti ed escluda il ricorso - rilevatosi peraltro sempre inefficace nell'esperienza storica contemporanea - a quella pena senza appello che è la negazione dell'umanità e della stessa razionalità del diritto condanna nel modo più fermo ed intransigente ogni tentativo di reintrodurre la pena di morte nel nostro ordinamento civile fa appello alle forze politiche democratiche, ai sindacati, alle forze sociali, ai giovani, alle donne, agli intellettuali, affinché sviluppino un'offensiva democratica e di civiltà, in tutti i luoghi della società civile del Piemonte, tesa a sconfiggere con la forza della ragione, l'oscurantismo neofascista e terrorista si impegna a promuovere tutte le iniziative opportune per costruire un clima di risposta civile e di corretta informazione che rafforzi nei cittadini la coscienza della democrazia e dei valori inalienabili della pacifica convivenza civile".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato con 43 voti favorevoli ed uno contrario.


Argomento: Interventi per calamita' naturali

Ordine del giorno sull'opera svolta dalle autonomie locali piemontesi a favore delle zone terremotate


PRESIDENTE

Per conoscenza vi leggo l'ordine del giorno sull'opera svolta dalle autonomie locali piemontesi a favore delle zone terremotate approvato dai Sindaci dei Comuni di Atena Lucana, San Rufo, Sant'Arsenio, Sala Consilina San Pietro al Tanagro, Sanza e dalla Comunità montana Vallo di Diano: "1 Sindaci dei Comuni della provincia di Salerno facenti parte della zona di intervento della Regione Piemonte preso atto dell'opera svolta dal sistema delle autonomie locali piemontesi in tutta la fase dell'emergenza e della volontà politica di continuare a dare il proprio apporto all'opera di ricostruzione delle zone colpite, nonch delle chiare indicazioni più volte espresse dallo stesso Commissario straordinario Zamberletti esaminato il disegno di legge avente per oggetto 'Interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti dal terremoto del 23 novembre 1980' varato dall'ultimo Consiglio dei Ministri considerato che nel testo non sono previste per i Comuni, Province e Regioni nonne specifiche atte a consentire l'intervento di questi livelli statuali al di fuori del proprio ambito territoriale chiedono che in sede di approvazione da parte del Parlamento del suddetto testo legislativo, vengano previste ed adeguatamente garantite reali possibilità di intervento nell'opera di ricostruzione da parte dei Comuni, Province e Regioni non colpite dal terremoto".


Argomento: Norme finanziarie, tributarie e di contabilita

Ordini del giorno per una definizione della riforma sulla finanza locale firmati rispettivamente dai Consiglieri Paganelli, Brizio, Picco, Cadetto Villa e dai Consiglieri Bontempi, Mignon e Viglione


PRESIDENTE

Inoltre sono stati presentati due ordini del giorno sulla finanza locale. Vi do lettura del primo firmato dai Consiglieri Paganelli, Brizio Picco, Carletto e Villa: "Il Consiglio regionale del Piemonte, rilevato con preoccupazione come il disegno di legge Norme pluriennali per finanze degli Enti locali', non abbia potuto essere esaminato in tempo utile dal Parlamento a causa della sua esasperante lentezza operativa e sia quindi emersa la necessità, per evitare un immancabile vuoto legislativo, di un decreto governativo con una normativa di valenza ancora inferiore all'anno giudica non positivamente il forzato permanere di un regime transitorio di corto respiro della finanza locale esprime apprezzamento per taluni significativi temi che il provvedimento affronta sia pure con gradualità quali: l'avvio al coordinamento tra la finanza statale, la finanza locale e la finanza regionale con la previsione che una quota degli investimenti degli Enti locali sia concessa in coerenza con gli indirizzi programmatici contenuti nei programmi regionali di sviluppo l'avvio al superamento della base di spesa storica per un riequilibrio delle risorse fra Comuni di livello demografico diverso l'attuazione di una prima area impositiva autonoma per i Comuni ritiene che in sede di conversione di legge del D.L. 902 debbano essere attentamente valutate le osservazioni e proposte delle Associazioni degli Enti locali (Comuni, Comunità montane, ecc. ) parecchie delle quali appaiono fondate e in particolare debba essere rivista la percentuale di espansione delle spese correnti troppo limitata soprattutto per quel che concerne l'incremento a conguaglio del 1980 e non suscettibile di incremento nel corso dell'esercizio in relazione all'andamento del prodotto industriale lordo (PIL) meglio definito l'utilizzo aggiuntivo e libero dell'addizionale facoltativa sull'energia elettrica rivista la normativa riguardante i mutui troppo restrittiva sia nel plafond di disponibilità della Cassa Depositi sia nella ricorsa agli Istituti di Credito Ordinario attenuati i vincoli previsti per il personale sia in ordine ai punti di contingenza sia in merito alle nuove assunzioni liberalizzato l'utilizzo delle maggiori entrate di fatto contenute dall'obbligo d'incremento delle previsioni di entrata considera necessario un recupero legislativo del disegno originario con valenza pluriennale per giungere in breve tempo ad una definizione della riforma della finanza locale alla quale deve essere accompagnata la riforma delle autonomie onde attribuire agli Enti locali certezze di competenza e di risorse secondo il dettato costituzionale.
Sottolinea che la scadenza nell'anno in corso della legge finanziaria regionale richiede un'immediata iniziativa tesa a determinare una soluzione complessiva che configuri un organico sistema di finanziamenti delle autonomie locali auspica che le possibilità offerte dal sistema di contabilità pluriennale e programmatica introdotto o in via di introduzione in tutta la pubblica amministrazione dello Stato consentano di realizzare una coerente ed articolata politica di investimenti e la formazione di bilanci regionali consolidati".
Vi do lettura del secondo ordine del giorno firmato dai Consiglieri Bontempi, Mignone e Viglione: "Il Consiglio regionale del Piemonte, preso atto della difficile situazione in cui si trovano ad operare la Regione e gli Enti locali manifesta innanzitutto la propria preoccupazione per la mancata predisposizione ed approvazione della riforma generale della finanza locale e per il ripetuto ricorso ad una soluzione provvisoria per l'anno 1981 che privando le Amministrazioni locali di uno sfondo di certezza sull'entità delle entrate, rende problematica anche l'impostazione programmatica pluriennale degli impegni di spesa.
E' più che mai necessario, quindi, arrivare in breve tempo ad una definizione contestuale della riforma della finanza locale e delle autonomie per dare agli Enti locali certezza di competenze e di risorse, in armonia con il dettato costituzionale.
L'urgenza e la necessità di definire funzioni e compiti delle autonomie locali è ancora più evidente dopo l'emanazione del D.P.R. n. 616 e della legge 833, con la conseguente necessità di definire il ruolo delle Regioni come Enti istituzionalmente preposti a programmazione, legislazione e coordinamento.
In questo contesto il Consiglio regionale del Piemonte ritiene punti fondamentali - che debbono essere affrontati e risolti all'interno di una politica complessiva della finanza pubblica che assicuri gli stessi caratteri, la stessa flessibilità e la stessa dignità istituzionale alla finanza locale, a quella regionale ed a quella degli Enti locali - di un provvedimento generale: 1) la certezza delle risorse destinate alle spese correnti e alle spese di investimento in un arco pluriennale 2) il coordinamento ai fini della programmazione, della finanza degli Enti locali con quella regionale e statale 3) la revisione e il riequilibrio del rapporto attualmente esistente tra le funzioni esercitate e le risorse attribuite ai vari livelli istituzionali 4) il riequilibrio orizzontale delle risorse destinate ai Comuni e alle Province al fine di assicurare il massimo di omogeneità nei servizi per la popolazione 5) la partecipazione degli Enti locali all'esercizio dell'unitario potere pubblico in ordine al prelievo delle risorse.
Il Consiglio regionale, per quanto concerne il decreto legge provvisorio per il 1981, richiamate le numerose prese di posizione dell'ANCI, Regionale e Nazionale, dell'Unione Regionale delle Province e pur sottolineando gli aspetti di novità presenti nel provvedimento stesso e che si rifanno all'impostazione del disegno di legge triennale richiama l'attenzione del Parlamento sulle seguenti inderogabili esigenze prioritarie: mantenimento dei livelli di spesa per gli investimenti revisione della troppo limitata percentuale di espansione delle spese correnti; revisione delle disposizioni concernenti il personale.
Il Consiglio regionale del Piemonte, sul drammatico problema costituito dalla situazione economica e sociale del Mezzogiorno, ribadisce la necessità di un grande impegno nazionale, che veda accomunati in uno sforzo solidale, i poteri centrali, le Regioni e gli Enti locali, senza pretese accentratrici di risorse e di compiti che andrebbero a ridurre anche la tempestività e l'efficacia di un intervento al quale le Regioni - e il Piemonte tra queste hanno dato un significativo contributo".
Chiede di parlare il Consigliere Genovese. Ne ha facoltà.



GENOVESE Piero Arturo

Abbiamo preso atto di una bozza di ordine del giorno a conclusione del dibattito sulla finanza locale presentato, se non sbaglio, dai Gruppi della maggioranza.
Nel confermare le valutazioni che sono state fatte a nome del Gruppo dal collega Brizio, rileviamo che esistono possibilità di avvicinamento rispetto all'ordine del giorno che era stato presentato dal nostro Gruppo.
Quindi, proponiamo alcune variazioni che, se accettate, consentirebbero di addivenire ad un ordine del giorno comune; il che non significa un compromesso tra tesi diverse, ma un avvicinamento tra le posizioni che sono state espresse.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Va sottolineato il valore di una ricerca che possiamo ancora compiere malgrado l'ora tarda. Fatte salve le autonome posizioni dei Gruppi, la finalità di arrivare in un momento cruciale della discussione sul decreto in Parlamento, con una posizione che tenga conto di quel quid unitario rinvenibile tra le forze politiche, è un elemento positivo.
Propongo una sospensione di pochi minuti per verificare questa possibilità. Nel caso in cui questa possibilità non ci fosse chiederemmo la votazione del nostro ordine del giorno.



PRESIDENTE

Sospendo la riunione per pochi minuti.



(La seduta, sospesa alle ore 13,30 riprende alle ore 13,45)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
E' stato ripresentato un ordine del giorno unitario, secondo le premesse del Consigliere Genovese.
Prego la signora Bianca Vetrino Nicola di leggere la nuova stesura dell'ordine del giorno sulla riforma della finanza locale.



VETRINO Bianca, Consigliere Segretario

"Il Consiglio regionale del Piemonte preso atto delle difficoltà e delle perduranti incertezze, normative e finanziarie, in cui si trovano ad operare la Regione e gli Enti locali rileva con preoccupazione il fatto che la mancata predisposizione e d approvazione della riforma generale della finanza locale e del disegno di legge 'Provvedimenti finanziari per gli Enti locali per gli anni '81-'83 ' abbia comportato ripetuto ricorso ad una soluzione provvisoria per l'anno 1981, con il relativo aggravio di difficoltà per gli Enti locali ritiene più che mai necessario arrivare in breve tempo all'approvazione della normativa triennale e alla definizione contestuale della riforma della finanza locale e delle autonomie per dare agli Enti locali certezza di competenze e di risorse, in armonia con il dettato costituzionale.
In questo contesto il Consiglio regionale del Piemonte ritiene che un provvedimento generale debba essere fondato su alcuni punti fondamentali che debbono essere affrontati e risolti all'interno di una politica complessiva della finanza pubblica che assicuri gli stessi caratteri, la stessa flessibilità e la stessa dignità costituzionale alla finanza locale e a quella regionale. Tali punti sono: 1) la certezza delle risorse destinate alle spese correnti e alle spese di investimento in un arco pluriennale 2) il coordinamento ai fini della programmazione della finanza degli Enti locali con quella regionale e statale 3) la recisione e il riequilibrio del rapporto attualmente esistente tra le funzioni esercitate e le risorse attribuite ai vari livelli istituzionali 4) il riequilibrio orizzontale delle risorse destinate ai Comuni e alle Province al fine di assicurare il massimo di omogeneità nei servizi per la popolazione 5) la definizione di Un'autonoma sfera impositiva diretta degli Enti locali anche attraverso la partecipazione degli Enti stessi all'esercizio dell'unitario potere pubblico in ordine al prelievo delle risorse.
Il Consiglio regionale, per quanto concerne il decreto legge provvisorio per il 1981 preso atto che il testo del disegno di legge di conversione del decreto legge 901 licenziato dalla Commissione finanze del Senato, a fronte delle molteplici prese di posizione assunte dall'ANCI. regionale e nazionale, dall'UPI e dall'URPP, da numerosi Comuni e Province, sono stati introdotti alcuni miglioramenti, specie sui punti che riguardano: 1) l'aggancio della politica di investimenti degli Enti locali con la programmazione regionale attraverso il vincolo del 40 % della disponibilità della Cassa Depositi e Prestiti 2) il finanziamento pluriennale degli investimenti da parte della Cassa Depositi e Prestiti 3) l'estensione dei finanziamenti anche a maggiori oneri derivanti da aumenti d'asta 4) le maggiori possibilità di indebitamento anche con altri istituti senza vincolo di destinazione dell'addizionale sui consumi energetici 5) il conguaglio nelle risorse per le spese correnti prima della fine dell'esercizio 6) criteri più ampi e discrezionali per l'adeguamento degli organici all'espansione dei servizi auspica che in sede di conversione siano confermati i miglioramenti introdotti e possano essere introdotti ulteriori elementi anticipatori della riforma sulla base delle seguenti inderogabili esigenze prioritarie: mantenimento su base pluriennale dei livelli di spesa per investimenti superamento graduale del riferimento alla mera spesa storica attivando processi di riequilibrio e di perequazione assicurando al contempo un'espansione delle spese correnti adeguate al tasso inflattivo definizione di un'autonoma area di imposizione diretta degli Enti locali revisione delle disposizioni concernenti il personale.
Il Consiglio regionale del Piemonte, infine, sul drammatico problema costituito dalla situazione economica e sociale del Mezzogiorno ribadisce la necessità di un grande impegno nazionale, che veda accomunati in uno sforzo solidale, i poteri centrali, le Regioni e gli Enti locali, senza accentramenti di risorse e di compiti che andrebbero a ridurre anche la tempestività e l'efficacia di un intervento al quale le Regioni - ed il Piemonte tra queste - hanno dato un significativo contributo".



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni



CARAZZONI Nino

Signor Presidente e colleghi, l'ordine del giorno soprattutto nella forma unitariamente concordata, non riflette le tesi e le argomentazioni che mi ero permesso di esporre pur nello strozzato dibattito sulla finanza locale dell'altra settimana. Datò pertanto voto contrario.



PRESIDENTE

Pongo in votazione l'ordine del giorno. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato con 43 voti favorevoli ed 1 contrario.


Argomento: Patrimonio culturale regionale (linguistico, etnologico, folcloristico, storia locale)

Ordini del giorno sulla politica culturale presentati rispettivamente dai Consiglieri Cerchio, Brizio, Villa, Bergoglio Cordaro e dai Consiglieri Viglione, Mignone, Bontempi e Montefalchesi


PRESIDENTE

Sono stati presentati due ordini del giorno sulla politica culturale.
Il primo è firmato dai Consiglieri Cerchio, Brizio, Villa e Bergoglio Cordaro. Ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale al termine del dibattito sulla relazione dell'Assessore Ferrero sottolinea l'esigenza che lo sviluppo culturale della comunità piemontese sia sostenuto in maniera adeguata poiché ogni sviluppo sociale ed economico che prescinda da una contestuale crescita culturale non appare idoneo a far crescere realmente la comunità regionale evidenzia che il confronto culturale presuppone libera possibilità di espressione e di iniziativa con la conseguente necessità che siano rimossi gli ostacoli, di qualsiasi natura, che possono frenare le potenzialità insite nelle comunità locali, nei gruppi, nei Singoli intellettuali raccomanda che la Regione sia attenta a non proporre una propria linea culturale in termini totalizzanti, ma valorizzi le diverse esperienze ideali e culturali, poiché il fenomeno culturale per sua natura esige confronto tra posizioni dialetticamente anche diverse impegna a continuare l'articolato dibattito sviluppato in aula nella sede della competente VI Commissione consiliare impegna altresì, alla luce delle considerazioni precedenti, ad insediare nel più breve tempo possibile la Consulta regionale della cultura, prevista dalla legge regionale n. 58/78 impegna la Giunta, nella promozione delle iniziative e negli stanziamenti finanziari, ad essere rigorosamente rispettosa delle diverse manifestazioni pluralistiche (comprese le realtà delle minoranze linguistiche) che contraddistinguono la realtà piemontese impegna infine al rispetto dei termini fissati dalla legge n. 58/78 relativamente al finanziamento delle iniziative culturali decentrate ancora inevase per la mancanza dei fondi nell'anno 1980 ed al rispetto delle scadenze per le richieste future".
Vi do lettura del secondo ordine del giorno presentato dai Consiglieri Viglione, Mignone, Bontempi e Montefalchesi: "Il Consiglio regionale del Piemonte a conclusione del dibattito che si è sviluppato sulla relazione dell'Assessore Ferrero tenuto conto delle proposte e dei programmi contenuti nella relazione delle osservazioni e delle proposte emerse dal dibattito stesso valutando positivamente il complesso delle indicazioni emerse dalla discussione, fondata su una concezione dell'iniziativa culturale non fine a se stessa, ma intrinsecamente connessa con le esigenze ed i processi di evoluzione della qualità della vita, di crescente aggregazione sociale, di liberazione di forze ed energie intellettuali, di ricerca di nuovi spazi di libertà, di conseguimento di nuove capacità di comprensione e di interrelazione con le culture di altri Paesi ne approva l'impostazione ed impegna la, Giunta a procedere alle ulteriori specificazioni e ad insediare al più presto la Consulta regionale della cultura prevista dalla legge regionale 58 del 1978 al fine di attuare un programma conseguente".
Chiede di intervenire il Consigliere Cerchio. Ne ha facoltà.



CERCHIO Giuseppe

Il nostro Gruppo aveva già dichiarato che non intendeva aderire ad un ordine del giorno comune essendo troppo distanti le posizioni nostre da quelle espresse dalla Giunta. Potremmo definire l'ordine del giorno presentato dai partiti della maggioranza innocuo perché volutamente non entra nel merito delle problematiche sollecitate nel corso del dibattito.
Per questi motivi rimaniamo indifferenti, nel senso che non sono specificate nell'ordine del giorno le evidenti diversificazioni di impostazione e di filosofia della politica culturale.
La proposta di ordine del giorno è obiettivamente neutra perché non coglie il significato delle differenze emerse, anzi, suona piuttosto equivoca perché valuta positivamente tutto il dibattito. Non possiamo quindi che esprimere un voto di astensione sull'ordine del giorno della maggioranza.
La nostra proposta viceversa evidenzia la posizione del Gruppo della D.C., raccomanda alla Regione di proporre una propria linea culturale che valorizzi le differenze ideali e culturali che sono emerse nella realtà e nel tessuto della Regione ed è propositiva laddove indica alcuni impegni precisi, innanzitutto a continuare questo dibattito nelle sedi operative della VI Commissione consiliare e a dare corso all'insediamento della Consulta dei beni culturali prevista dalla legge 58/78. Impegna in particolare la Giunta ad essere rigorosa in tutte le espressioni pluralistiche e manifestazioni che contraddistinguono la realtà regionale.
Infine, sull'esempio di alcuni casi clamorosi che hanno impoverito i fondi della Regione (la Mostra del Regno Sardo), invita a rispettare anche quelle domande che, presentate nel 1980, sono tuttora inevase per mancanza di fondi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca

Il dibattito sulla cultura, più di tanti altri, ha consentito al Consiglio di svolgere una delle sue funzioni fondamentali, quella di indirizzo.
Il Consigliere Paganelli in un intervento aveva sintetizzato il succo di questo Consiglio, cioè una funzione di indirizzo e di sintesi: il Consiglio nella seduta dell'altro giorno ha avuto una funzione importantissima di indirizzo. Sta alla maggioranza di dimostrare di saper cogliere tutti i contributi che sono venuti in questa sede e quindi di modificare il suo programma.
Il dibattito è stato positivo. Si vedrà nel prosieguo quale sarà l'intendimento della maggioranza a questo riguardo. Quindi credo che l'ordine del giorno presentato dalla maggioranza possa essere condiviso e ringrazio che in esso è stato inserito un aspetto fondamentale: di addivenire al più presto all'elezione della Consulta dei beni culturali perché riteniamo che anche questo sia un mezzo per apportare ulteriori contributi al programma e per sviluppare una politica culturale in Piemonte.
L'ordine del giorno della D.C. è ugualmente condivisibile. Una frase di esso sarebbe forse stato opportuno riscrivere in un modo che non sembrasse così provocatorio nei confronti di questa maggioranza, soprattutto per il fatto che il dibattito ha avuto la possibilità di far sentire la voce pluralistica del Consiglio, quindi il programma che ne verrà fuori non potrà che essere pluralistico in assoluto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Il nostro Gruppo esprime voto di astensione ad entrambi gli ordini del giorno. Su quello della maggioranza la motivazione sta nel fatto che in una certa misura consentiamo sui presupposti di fondo del documento presentato dall'Assessore Ferrero e anche del documento mandato ai Comprensori.
Mentre noi non siamo molto lontani sugli indirizzi, non siamo sufficientemente vicini sui momenti a monte che individuano questi indirizzi, ossia siamo abbastanza lontani e divisi sull'analisi delle ragioni culturali di una situazione.
La ragione per cui non votiamo l'ordine del giorno presentato dalla D.C. è perché condividiamo l'impostazione che ha dato la Giunta in questa vicenda e cioè la necessità che la seconda legislatura sia la legislatura della razionalizzazione. In effetti se vogliamo dare tempi certi agli operatori, sia quelli amministrativi che quelli culturali, dobbiamo programmare, governare, quindi scegliere. Siccome mi pare che il documento della D.C. tenda a ritardare questo momento di scelta, quindi di garanzia ritengo che dal punto di vista del concetto del governo, il documento non sia condivisibile, anche se apprezzo l'attenzione a che vengano salvaguardati il più possibile tutte quelle realtà che il Piemonte ha espresso nella seconda legislatura.
Queste due esigenze di programmazione, di certezza e di garanzia devono essere compenetrate con il massimo rispetto per l'esistente. Evidentemente i due criteri vanno conciliati e non mi sembra che si possa premiare n l'una né l'altra impostazione. Mi auguro che la Giunta, quindi il governo della Regione, riesca a gestire l'indirizzo sul piano della razionalizzazione, del governo e della garanzia con un massimo di espressione pluralistica.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Il dibattito sulla politica culturale è stato indubbiamente vario e ricco di contenuti. Avremmo preferito che si fosse concluso senza alcun ordine del giorno. Questo ci sembrava più logico, trattandosi di cultura cioè di un modo di organizzare la società e quindi di una scelta di vita e che, come tale, non può portare a ordini del giorno unitati o tanto meno a ordini del giorno che sono riduttivi della materia trattata.
In questo spirito e con queste precisazioni respingiamo l'ordine del giorno della maggioranza in quanto non condividiamo gli indirizzi di politica culturale che in esso sono contenuti; ma dobbiamo dire che respingiamo anche l'ordine del giorno della D.C. che ci sembra, al termine di un dibattito che ha avuto contenuti così alti, estremamente riduttivo in quanto si limita ad elencare una serie di provvedimenti pratici sui quali potremmo anche concordare, ma non ha il coraggio di affermare fino in fondo le caratteristiche che dovrebbero essere proprie di una cultura cattolica alla quale la D.C. si richiama.



PRESIDENTE

Pongo in votazione l'ordine del giorno presentato dai Consiglieri Cerchio, Brizio, Villa e Bergoglio Cordaro. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' respinto con il seguente esito: presenti e votanti 48 favorevoli 15 Consiglieri contrari 31 Consiglieri astenuti 2 Consiglieri Votiamo infine l'ordine del giorno presentato dai Consiglieri Viglione Mignone, Bontempi e Montefalchesi. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato con il seguente esito: presenti e votanti 50 favorevoli 32 Consiglieri contrario l Consigliere astenuti 17 Consiglieri


Argomento: Informazione

Richiesta di informazioni sulla situazione del giornale "Gazzetta del Popolo"


PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Paganelli. Ne ha facoltà.



PAGANELLI Ettore

Chiedo la parola per avere una notizia dal Presidente della Giunta.
Mi risulta che oggi o domani dovrebbe svolgersi un incontro della Giunta regionale con i rappresentanti dei Comuni capoluogo di provincia e i rappresentanti delle Province per puntualizzare o per deliberare gli interventi che a suo tempo erano stati ventilati a sostegno della "Gazzetta del Popolo". Si era stabilito che questi tipi di intervento dovevano essere portati avanti tra tutte le forze politiche, perché è evidente che se le portano avanti le forze politiche hanno un significato, se le porta avanti la maggioranza ne hanno un altro.
Chiedo al Presidente della Giunta se ha intenzione di far partecipare alla riunione i rappresentanti dei Gruppi consiliari.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta regionale.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

In effetti non ho informato il Consiglio di questa iniziativa. Oggi pomeriggio c'è una riunione di carattere tecnico con i Comuni e le Province per esaminare la proposta di deliberazione sui cui contenuti tutti si erano trovati d'accordo. E' quindi una riunione tecnica per verificare se ci sono le condizioni per far approvare la deliberazione. La riunione si tiene nel mio ufficio alle ore 16,30.



BRIZIO Gian Paolo

Non è una riunione tecnica.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

E' una riunione per esaminare una bozza di deliberazione. La riunione è comunque aperta a tutte le forze politiche, sapendo che i Sindaci rappresentano tutte le forze politiche. Invito anche i Capigruppo.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Viglione. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

E' stata recentemente costituita la Commissione per l'informazione.
Desidererei che, dopo la riunione, il Presidente trasmettesse alla Commissione Informazione i dati che possono essere oggetto di esame piuttosto che partecipare alla riunione liberamente indetta dalla Giunta.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

La richiesta è accolta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Siccome ho rappresentato il Gruppo della D.C. nella riunione che si è tenuta due mesi fa con gli Enti, ricordo che le conclusioni di quell'incontro erano state che la Giunta avrebbe coinvolto, d'accordo con gli Enti locali, i Capigruppo nell'aspetto attuativo ed operativo.
Il suggerimento del Capogruppo del P.S.I. è accoglibile, rilevando la necessità del coinvolgimento di tutte le forze politiche, quindi dei Capigruppo.



PRESIDENTE

D'accordo.
Comunico che il Consiglio è convocato per il giorno 24 febbraio, alle ore 9,30, per la prosecuzione del dibattito sul piano auto.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 14,10)



(La seduta ha termine alle ore 14,10)



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