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Dettaglio seduta n.40 del 13/02/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO


Argomento: Esercizi provvisori

Esame progetto di legge n. 57: "Proroga fino al 30 aprile 1981 dell'esercizio provvisorio del bilancio per l'anno 1981, autorizzato con la legge regionale 13 gennaio 1981, n. 1"


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Iniziamo i lavori di questa mattinata con l'esame del progetto di legge n. 57: " Proroga fino al 30 aprile 1981 dell'esercizio provvisorio del bilancio per l'anno 1981, autorizzato con la legge regionale 13 gennaio 1981, n. 1".
La parola, per la relazione, al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea, relatore

Chiedo scusa ai colleghi Consiglieri per non aver potuto predisporre una relazione scritta nei tempi dovuti, ma da un lato la rapidità dell'esame del provvedimento e, dall'altro, il suo carattere eminentemente tecnico, possono costituire delle valide attenuanti. Del resto, quanto fatto è anche il risultato delle osservazioni formulate nel corso della riunione della I Commissione di ieri pomeriggio.
Come ho già anticipato, il disegno in esame rappresenta un fatto tecnico - funzionale, strettamente connesso alla legge di esercizio provvisorio già approvata. La Commissione nel corso del defatigante iter per predisporre un quadro organico di consultazioni si è trovata a dover effettuare una scelta: o giungere ad una consultazione affrettata, non partecipata e in parte formale, rispettando così i tempi che erano stati consolidati in precedenza, oppure fare un ulteriore slittamento dell'esercizio provvisorio, nell'ottica di giungere ad una consultazione vera, completa, articolata e sistematica, in modo da consentire alle singole parti della comunità locale (siano esse le forze sociali e produttive e gli Enti locali) di esprimersi avendo un congruo tempo per poter predisporre le osservazioni e, quindi, consentire al Consiglio regionale di acquisire tutta una serie di importanti punti di riferimento.
La I Commissione la settimana scorsa (nella riunione alla quale presero parte tutti i Gruppi consiliari) optò per questa soluzione: giungere in aula con un provvedimento che prorogasse l'esercizio provvisorio al 30 aprile e, nel contempo, dare l'avvio ad una consultazione sul bilancio regionale ampia ed articolata, nella comunità.
E' con queste indicazioni che la I Commissione nella riunione di ieri pomeriggio ha licenziato il documento, sostanzialmente d'accordo sull'esercizio provvisorio prorogato al 30 aprile.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Vorrei richiamare l'attenzione dell'Ufficio di Presidenza sul numero dei presenti in aula per garantire la votazione dell'esercizio provvisorio.
Condividiamo l'opportunità che in questo momento venga prorogato l'esercizio provvisorio fino al 30 aprile.
Diciamo, però, che le ragioni del nostro voto contrario all'esercizio provvisorio le abbiamo spiegate l'altra volta e, quindi, non modifichiamo il nostro voto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Biazzi.



BIAZZI Guido

Per le ragioni già ampiamente espresse dal Consigliere Mignone a nome della maggioranza, siamo d'accordo sulla proroga dell'esercizio provvisorio. E' un fatto essenzialmente tecnico. La discussione sulla prima proroga dell'esercizio provvisorio aveva ampiamente analizzato le ragioni per cui si arriva a questo atto necessario. La stessa D.C., con l'intervento del Capogruppo Paganelli, ha riconosciuto che si tratta di un atto praticamente dovuto. Mi pare che il Consiglio regionale possa, quindi accedere alla proposta fatta dalla maggioranza.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Conveniamo sulle ragioni di opportunità che hanno portato ad un'ulteriore proroga dell'esercizio provvisorio.
In linea di principio ci richiamiamo alle osservazioni fatte nella precedente occasione e non possiamo fare altro che confermare il voto contrario.



PRESIDENTE

Passiamo alla votazione dell'articolato Art. 1 "Il termine stabilito dalla legge regionale 13 gennaio 1981, n. 1, per l'esercizio provvisorio del bilancio per l'anno 1981 è prorogato al 30 aprile 1981.
L'autorizzazione all'esercizio provvisorio di cui al precedente comma si intende estesa alle note di variazione approvate dalla Giunta regionale successivamente alla presentazione del bilancio al Consiglio regionale".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 37 hanno risposto SI 20 Consiglieri hanno risposto NO 15 Consiglieri si sono astenuti 2 Consiglieri L'art. 1 è approvato.
Art. 2 "La presente legge regionale è dichiarata urgente ed entra in vigore il giorno della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte, ai sensi dell'art. 45, sesto comma, dello Statuto".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 37 hanno risposto SI 20 Consiglieri hanno risposto NO 15 Consiglieri si sono astenuti 2 Consiglieri L'art. 2 è approvato.
Passiamo ora alla votazione sull'intero testo della legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 37 hanno risposto SI 20 Consiglieri hanno risposto NO 15 Consiglieri si sono astenuti 2 Consiglieri L'intero testo della legge è approvato.


Argomento:

Esame progetto di legge n. 57: "Proroga fino al 30 aprile 1981 dell'esercizio provvisorio del bilancio per l'anno 1981, autorizzato con la legge regionale 13 gennaio 1981, n. 1"

Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Approfitto dell'intervallo per comunicare che i Capigruppo hanno deciso di tenere il dibattito sull'auto nella mattinata di martedì 17 febbraio. Il Consiglio sarà convocato il giorno 16 febbraio, con le formule che sono note ai Consiglieri, per quanto riguarda il dibattito sulle zone terremotate.


Argomento: Comitato regionale e sue sezioni

Esame progetto di legge n. 19: "Integrazioni e modifiche della legge regionale 12 agosto 1976, n. 42, concernente 'Norme per il funzionamento dell'Organo Regionale di Controllo'".


PRESIDENTE

Passiamo ora al punto quarto all'ordine del giorno: Esame progetto di legge n. 19: "Integrazioni e modifiche della legge regionale 12 agosto 1976, n. 42, concernente 'Norme per il funzionamento dell'Organo Regionale di Controllo'".
La parola, per la relazione, alla signora Bianca Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca, relatore

Ritengo di non dover dar lettura della relazione che è stata trasmessa ai Consiglieri nei giorni scorsi. Vedo, quindi, di sunteggiare brevemente gli aspetti fondamentali della relazione e soprattutto i motivi per i quali si arriva a proporre un disegno di legge di integrazione della legge n. 42 che il Consiglio regionale approvò nel luglio 1976. Sostanzialmente la proposta di legge intende apportare delle integrazioni proprio per andare a colmare delle carenze che l'applicazione pratica della legge del '76 aveva fatto registrare. D'altra parte, la complessità e l'importanza di uno strumento legislativo, quello appunto varato nel '76, n. 42, che pure rinnovava profondamente la materia dei controlli, faceva prevedere che nel momento della sua applicazione si dovessero constatare delle verifiche e che, quindi, soltanto l'esperienza avrebbe potuto far registrare queste integrazioni, che sono state richieste da parte degli amministratori e dei rappresentanti dei Comitati Regionali di Controllo.
Vorrei aggiungere che la I Commissione, nell'esame di queste prime integrazioni, aveva osservato che la legge n. 42 avrebbe bisogno di una rielaborazione generale. Tuttavia, poiché questa rielaborazione a monte esigerebbe una consultazione preventiva con tutti i rappresentanti dei Comitati Regionali di Controllo e poiché questi rappresentanti sono in una fase di rinnovo degli incarichi, è parso giusto, per il momento, rinviare il progetto di rielaborazione generale della legge e di andare a sanare attraverso delle piccole correzioni, tutta una serie di carenze che cercherò di illustrare.
Vorrei anche aggiungere che la Commissione ha deciso di apportare queste piccole modifiche e poi di non intervenire più su questa legge fino a quando non ci sarà la rielaborazione generale. Poiché so che vi sono delle richieste di emendamenti, vorrei informare i Gruppi di questo e chiedere se non ritengono di andare intanto a questa piccola rielaborazione, riservandosi eventualmente altri emendamenti ed altre correzioni in occasione della revisione generale che deve certamente avvenire.
Prima di entrare nel merito degli articoli che si vanno a considerare e a rielaborare, vorrei dire che questo è un disegno di legge risultato di alcuni contributi: c'era stato un disegno di legge del Partito Repubblicano, c'era poi stata una proposta di legge a firma Valeri Genovese e Viglione, vi sono alcune proposte della Giunta. La Commissione ha ritenuto di riunirli in questa proposta di legge unificata che stiamo ora commentando.
La proposta di legge interviene sull'art. 10: al quinto comma è previsto che la trattazione da parte del Comitato di argomenti non iscritti all'ordine del giorno possa avvenire alla presenza dei membri supplenti purché sussista l'unanime consenso.
All'art. 13 l'aggiunta che viene apportata al terzo comma ha lo scopo di tutelare maggiormente la libera espressione delle proprie opinioni da parte dei membri del Comitato, tanto da prevedere, in caso di discordanza nell'indirizzo interpretativo da adottare, che il verbale indichi le tesi emerse ed i loro rispettivi proponenti.
All'art. 16 il comma che si aggiunge dopo il quarto, costituisce un'interpretazione autentica della norma contenuta al quarto comma, al fine di sciogliere le numerose incertezze sorte nella pratica sulla necessità o meno di sottoporre al controllo i contratti degli Enti locali per l'apposizione del visto di esecutività e di rendere, pertanto, omogeneo il comportamento degli organi di controllo, garantendo agli Enti locali una maggiore certezza procedurale rispetto ad un problema di grande rilevanza per la loro attività.
Questo è un aspetto particolarmente atteso dagli amministratori comunali che, sovente, rinviano l'esecuzione dei provvedimenti in attesa di questi visti.
Alcune Regioni hanno già ottenuto l'apposizione del visto da parte del Commissario di Governo relativamente a questo provvedimento, quindi ci si augura che anche la Regione Piemonte lo ottenga, anche perché sotto il profilo più propriamente giuridico il visto di esecutività previsto dall'art. 296 del testo del '34, rientra nella schiera dei cosiddetti controlli "atipici", contrapposti a quelli tipici di legittimità e di merito delle deliberazioni. Quindi noi pensiamo che, tenendo conto anche di questo, non ci siano delle difficoltà; tra l'altro, i Comitati Regionali di Controllo sono d'accordo su questa impostazione.
Quali sono i vantaggi in specifico di questa integrazione dell'art. 16? Intanto uno snellimento delle procedure inerenti l'attività contrattuale e di investimento degli Enti locali; secondo, una notevole riduzione dei tempi di utilizzo dei finanziamenti accordati ai medesimi Enti da Istituti creditizi; terzo, lo sgravio degli ingenti carichi di lavoro che attualmente oberano gli organi di controllo, a tutto vantaggio dello svolgimento migliore dei primari compiti istituzionali.
Sempre sull'art. 16 c'è un'ulteriore integrazione, sempre ai fini dello sveltimento delle procedure e soprattutto dell'offerta di una sempre maggiore garanzia di esecutività dell'atto, l'ultimo comma dell'art. 16 viene modificato nel senso che i 21 giorni necessari per il conseguimento dell'esecutività da parte degli atti di cui non è stata richiesta la trasmissione, decorrono non già dalla data di adozione degli atti, bensì dalla data di ricezione dell'elenco. Questo è anche un provvedimento che la pratica ha reso indispensabile.
L'art. 25 vede una modifica all'ultimo comma, con carattere tecnico pratico in quanto sottolinea la necessità che la ricevuta contestuale al ricevimento degli atti degli Enti locali, che il Segretario deve rilasciare, deve consistere in un timbro e data apposto da lui o da un suo delegato su copia degli atti presentati.
C'è ancora un intervento sull'art. 27. L'art. 27 stabilisce che nelle controversie e nei ricorsi aventi per oggetto provvedimenti dell'organo di controllo l'eventuale costituzione in giudizio sia deliberata dalla Giunta regionale, previo eventuale parere dell'organo autore del provvedimento e sentita la Commissione consiliare competente. Quest'ultimo dispositivo "sentita la Commissione consiliare permanente" si è rivelato nei fatti poco praticabile, comportando da un lato il rischio di ritardi nella costituzione in giudizio, quando la Commissione tardi a pronunciarsi in merito e, dall'altro, costringendo la Commissione, per mancanza di tempo e di idonei strumenti di approfondimento, all'espressione formale del parere stesso. Per questi motivi si è valutata l'opportunità di modificare la norma - predetta.
Credo che il Consiglio vorrà far propria questa proposta di legge, per i benefici che porta nello snellimento della burocrazia amministrativa comunale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, quando nel luglio del 1976 venne votato il disegno di legge recante: "Norme per il funzionamento dell'Organo Regionale di Controllo" fummo i soli ad opporci al provvedimento, criticandone anzitutto la filosofia ispiratrice, che era apertamente antistatuale. In particolare, sostenemmo che la Regione non potesse legiferare in tema di controllo richiamandoci ad una sentenza pronunciata il 3 marzo 1972 dalla Corte Costituzionale, secondo la quale testualmente si diceva: "L'intera materia dei controlli non risulta attribuita ad alcuna tra le competenze delle normative regionali".
L'argomentazione aveva in allora un suo pur valido fondamento. Del resto questo risultava dall'acceso e contrastante dibattito aperto in quegli anni attorno alla problematica nonché dallo sforzo esercitato a livello parlamentare (ricordiamo le proposte di legge dei deputati Signorello della D.C., Pieraccini del P.S.I., Maccaroni del P.C.I.) per giungere a definire una normativa costituzionale capace di inserire organicamente la materia nella vita della Regione. Anche se superata nei fatti concreti, riteniamo ancora valida in linea di principio quella nostra tesi e manteniamo pertanto tutte le nostre perplessità.
Comunque, senza richiamarci a riserve di carattere costituzionale riteniamo che tutto il sistema dei controlli debba essere rivisto dalla radice. Del resto l'inadeguatezza delle norme vigenti e la necessità di un loro riesame totale sono stati ammessi anche dalla relatrice, collega Vetrino Nicola.
Il provvedimento oggi portato al nostro esame si limita invece a proporre alcune integrazioni alla legge regionale 12 agosto 1976, rinviando quell'organica riforma da più parti invocata. In questa attesa, pur mantenendo un atteggiamento di critica costruttiva - e lo dimostreremo con emendamenti presentati dal Consigliere Majorino - configurandosi quello odierno come un intervento parziale e transitorio, il Movimento Sociale Italiano anticipa che darà al progetto di legge un voto di astensione confermando altresì la necessità urgente di giungere ad urla revisione globale dell'intero sistema dei controlli sugli atti degli Enti locali.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, esaminando in concreto e nel suo insieme il progetto di legge, e ammesso che si possa superare (anche perché venne già superata in occasione del varo della legge regionale del 1976) l'eccezione di incostituzionalità che era stata mossa dalla Corte Costituzionale, va rilevato che alcune norme di questo disegno di legge hanno un carattere prevalentemente formale, come quella che riguarda l'inserimento a verbale di alcune dichiarazioni, o il modo di resistere in giudizio da parte della Giunta, o l'inserimento di argomenti nell'ordine del giorno che precedentemente non lo erano.
Su queste modifiche, salvo qualche emendamento tecnico, si potrebbe in linea di massima anche concordare, a parte le questioni di fondo e di principio. C'è però una norma del disegno di legge che ha un carattere sostanziale e che, a mio avviso, non può essere condivisa in quanto contrasta con alcune disposizioni costituzionali e del diritto positivo. Si tratta di quella norma che tende a sottrarre all'esame di legittimità da parte del Comitato di Controllo i contratti degli Enti locali. Al riguardo va ricordato che la materia dei controlli è disciplinata, in linea generale, dagli artt. 125 e 130 della Costituzione. L'art. 125 prevede il controllo sugli "atti amministrativi" delle Regioni; l'art. 130 prevede il controllo, sempre di legittimità, sugli "atti" degli Enti locali. E c'è una sfumatura fra le due disposizioni: controllo sugli "atti amministrativi" delle Regioni, controllo sugli "atti" degli Enti locali, e la sfumatura è di sostanza e, a mio avviso, giuridicamente rilevante perché sta a significare che l'organo statale competente controlla gli "atti amministrativi" (come dice la Costituzione) della Regione: quindi controlla solamente gli atti unilaterali, quelli che la Regione emana nell'esercizio dei suoi poteri di soggetto di diritto pubblico. Viceversa l'art. 130 della Costituzione prevede, indiscriminatamente, il controllo di legittimità su tutti gli "atti" degli Enti locali. Esaminando poi una legge costituzionale, la legge ti. 62 del 1953, che riprende la materia (e, più precisamente, gli artt. 59 e 60) si nota la previsione che venga esercitato un esame di legittimità da parte dei Comitati Regionali di Controllo istituendi (in allora) dalle Regioni, su tutti quegli atti che la legislazione previgente assoggettava al visto di legittimità del Prefetto o delle G.P.A. Ora, secondo la legislazione previgente, non c'erano dubbi che i contratti delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, degli Enti locali, fossero assoggettati a controllo di legittimità. Come si legge nella relazione, c'è quella norma che viene definita atipica (che esisteva nell'ordinamento di allora, ed era contenuta nell'art. 296 del T.U.L.C.P.) e che prevedeva un controllo di legittimità ed un controllo di merito da parte del Prefetto. In base alla normativa della legge costituzionale del 1953 il controllo di legittimità su contratti, che in allora era di competenza del Prefetto, è passato ai Comitati Regionali di Controllo.
Pertanto, in base a questo combinato disposto di norme costituzionali e di norme statali, l'opinione dominante era ed è nel senso che i contratti degli Enti locali sono assoggettati a controllo. A questo punto si innesta il ragionamento che formulano i proponenti del disegno di legge, i quali richiamano quel principio, ormai unanimemente accettato, secondo il quale gli atti confermativi, ripetitivi ed esecutivi non sono suscettibili di passare al vaglio dell'organo di controllo. Questo principio era unanimemente accettato ed è stato recepito dalla legge regionale del 1976 la quale all'art. 16 ribadisce fedelmente questo concetto.
Il ragionamento dei proponenti prosegue con l'affermare che, siccome i contratti sono atti esecutivi di precedenti delibere, non devono essere sottoposti a controllo una volta che le precedenti delibere siano state legittimamente approvate. A mio avviso, è proprio qui che si annida un errore del ragionamento, perché non è esatto dire che i contratti degli Enti locali sono atti esecutivi di precedenti delibere: è invece esatto dire che i contratti degli Enti locali "devono" essere atti esecutivi di precedenti delibere, il che significa che bisogna controllare caso per caso se lo sono. In difetto, si possono verificare queste due situazioni: o di un contratto che non ha alle sue spalle una precedente delibera, e questo può anche essere un caso anomalo, un caso da manuale; oppure, più frequentemente, la situazione del contratto (per esempio del contratto di appalto, di licitazione privata o di qualsiasi altro contratto del Comune della Provincia o dell'Ente locale) che non è fedelmente esecutivo della precedente delibera. Il giudizio, in altri termini, deve essere formulato per accertare se si tratta o meno di atto esecutivo. Questa è la ragione principale per cui ritengo che debba essere mantenuto il controllo sui contratti, anche se tutto ciò provoca quegli inconvenienti che sono enunciati nella relazione e che, tuttavia, non sono sufficienti per superare delle precise norme che impongono tale procedura di controllo. Si può, invece, affermare che l'organo di controllo deve limitarsi ad accertare la conformità o meno alla delibera precedentemente approvata dopo di che non deve compiere altre indagini e deve dare il visto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Il Gruppo D.C. ha discusso in sede di I Commissione il disegno di legge n. 19 e l'ha ritenuto sostanzialmente positivo.
C'era l'esigenza di passare alcune di queste variazioni alla normativa sul funzionamento dell'organo regionale di controllo in attesa di una revisione più ampia e più organica circa la quale siamo appunto in attesa di successive proposte.
Riteniamo quindi che la proposta di legge debba essere approvata e ad essa daremo voto favorevole.
Circa la questione sollevata dal collega Majorino, comprendiamo che il discorso sulla legittimità, se portato all'estremo, possa esigere una serie di controlli continui. Di fronte agli elettori ci siamo però mossi auspicando una maggiore agilità amministrativa, quindi riteniamo che il controllo non debba essere ripetitivo. Il riproporre il visto di esecutorietà sui contratti finirebbe per allungare i termini operativi. In un momento inflattivo come questo i ritardi nell'inizio dei lavori comportano aumenti e revisioni di prezzi sempre più onerosi e sempre più pesanti, quindi c'è l'esigenza di passare rapidamente dall'atto deliberativo comunale alla realizzazione delle opere. Pur comprendendo la validità delle ragioni addotte sul piano formale riteniamo che la proposta di legge debba passare nella forma originaria. In sede di Commissione avevamo ampiamente valutato il problema e proprio in merito a contratti incontrammo una generale concordanza per consentire agli Enti locali di procedere più rapidamente nella realizzazione delle opere pubbliche.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Quanto contenuto nel disegno di legge era già stato rappresentato nella seconda legislatura, in sede di approvazione della legge per le attività dei CO.RE.CO. Solo che non eravamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo e ci auguriamo che il Governo voglia esattamente comprendere ci che noi definiamo con questa proposta di legge. Diceva bene Einaudi che le autonomie locali non dovrebbero avere alcun controllo; il controllo è determinato dalla legge: se, cioè, il Comune, il Sindaco, l'Assessore sbaglia, ha di fronte la legge e ne risponde. Invece, perversamente, si sono stabilite delle normative per cui tutte le autonomie locali sono soggette a delle forme di controllo, talché parrebbe sempre, nella dizione della le, ,e, che il controllore è migliore del controllato. Ma, diceva bene don Sturzo, chi controllerà i controllori? Aveva perfettamente ragione. Il disegno di legge libera una parte delle autonomie da atti che non sono comunque e non dovrebbero mai essere soggetti a controllo.
Io ho speranza - anche perché il relatore è il Consigliere Vetrino Nicola, degnamente rappresentato in sede di Governo - che i nostri Ministri non vorranno impedire il corso delle autonomie e l'ulteriore spazio di libertà delle stesse (la decisione spetta solo al Governo e, infatti, il nostro congresso di Palermo si incentrerà sul partito della governabilità a tre livelli).
Voglio aggiungere un altro concetto: in genere si pensa che i Sindaci le Amministrazioni comunali, non siano mai in grado di resistere a delle pressioni e che, pertanto, sono necessari i controllori. Questo è un decadimento del concetto delle autonomie locali, una definizione che soltanto al vertice vi sono delle capacità - che poi vediamo esprimersi pienamente, come quelle governative o parlamentari, ne abbiamo un esempio tutti i giorni - e quelle sono le intoccabili, che non possono mai essere sottoposte ad alcuna verifica.
Il mio è uno sfogo di tipo einaudiano in ritardo, che voi vorrete prendere per tale.



PRESIDENTE

La parola alla collega Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca

Vorrei dire al Consigliere Majorino che nella relazione è abbondantemente difesa la necessità di eliminare questo tipo di controllo.
Mi auguro che il Commissario di Governo tenga conto della nostra sollecitazione e venga incontro alle istanze degli amministratori comunali.
Vorrei ricordare che mentre nella deliberazione è stabilito che il CO.RE.CO. deve esprimere il suo parere, entro 20 giorni, nella trasmissione dei contratti non c'è questo vincolo, per cui succede che alcuni contratti permangono in sede di Comitato Regionale di Controllo anche dei mesi. Ci auguriamo che questa integrazione alla legge faccia superare questi gravi inconvenienti nell'ottica, appunto come dice Viglione, del riconoscimento dell'autonomia delle comunità locali. Voterò contro all'emendamento e ripropongo al Consiglio il disegno di legge nella sua completezza.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Valeri.



VALERI Gilberto

Il Gruppo comunista dichiara di votare a favore del progetto di legge alla cui formazione hanno concorso peraltro tutti i Gruppi componenti la Commissione ed anche la Giunta. E' un voto favorevole ancorato ad una concezione dei controlli che non sia vessatoria nei confronti delle autonomie, né di eccessivo appesantimento burocratico e, nel medesimo tempo, sia anche di richiamo alle responsabilità che ogni amministratore deve avere. Peraltro, noi ci auguriamo che sia possibile portare a termine lo richiamava la collega Vetrino Nicola nella relazione - quanto in questa fase non è stato possibile esaurire nel corso dei lavori della Commissione, anche in ragione delle difficoltà ad un rapporto conseguente su questo tema con il Governo. Ci riferiamo al fatto che una prassi consolidata è venuta ad estendere notevolmente i controlli anche al di là di quanto contenuto nella legge 42. Ora, si tratta di individuare le forme legislative o deliberative, attraverso le quali sia possibile appunto porre riparo ad una prassi che è venuta ad estendere inopinatamente i controlli.
Si tratta di assumere un'iniziativa che, peraltro, non può non avere anche un rilievo politico nel senso che non si tratta soltanto di avere occhio al modo di procedere degli organismi di controllo, ma anche ad una prassi a cui ricorrono a volte i Comuni nella ricerca di una sorta di convalida al proprio modo di procedere da parte dei CO.RE.CO., una convalida che in questo modo viene a contraddire le stesse affermazioni di autonomia che invece debbono guidare la legislazione e il modo di procedere in questo campo.



PRESIDENTE

Passiamo alla votazione dell'articolato.
Art. 1 "Alla legge regionale 12 agosto 1976, n. 42, sono apportate le seguenti modifiche ed aggiunte: 1) il quinto comma dell'art. 10 è sostituito dal seguente: 'L'organo di controllo può trattare anche argomenti non iscritti all'ordine del giorno con la presenza ed il consenso unanime dei membri effettivi o dei loro rispettivi supplenti'.
2) Al terzo comma dell'art. 13 è aggiunta la seguente parte: 'Nel caso di discordanze nell'indirizzo interpretativo da adottarsi, il verbale dovrà indicare le tesi emerse ed i proponenti ciascuna di esse'.
3) dopo il quarto comma dell'art. 16 è aggiunto il seguente altro: 'Non devono altresì essere sottoposti al controllo per l'esecutività i Contratti degli Enti di cui al presente articolo'.
4) L'ultimo comma dell'art. 16 è sostituito dal seguente: 'Gli atti di cui non sia stata richiesta la trasmissione da parte dei competenti collegi diventano esecutivi il ventunesimo giorno successivo alla data di ricezione dell'elenco di cui al sesto comma'.
5) L'ultimo comma dell'art. 25 è sostituito dal seguente: 'Il Segretario assiste alle adunanze del collegio, provvede all'inizio degli avvisi di convocazione, redige e sottoscrive i verbali delle adunanze, riceve gli atti degli Enti locali dandone contestuale ricevuta anche a mezzo di timbri a data apposti da lui o da un suo delegato su copia dell'atto presentato - sottoscrive le deliberazioni del collegio, rilascia gli atti certificativi inerenti all'attività dell'organo di controllo'.
6) il secondo comma dell'art. 27 è sostituito dai seguenti: 'L'eventuale costituzione in giudizio è deliberata dalla Giunta previo eventuale parere dell'organo autore del provvedimento. In ogni caso il Presidente del Comitato o della Sezione interessata trasmette al Presidente della Giunta gli atti relativi al provvedimento impugnato.
Il Presidente della Giunta allega alla relazione di cui all'art. 15 della presente legge notizie circa le controversie e i ricorsi avverso provvedimenti dell'organo di controllo e sull'eventuale costituzione in giudizio della Regione' ".
Sono stati presentati i seguenti emendamenti dal Consigliere Majorino: Al terzo comma dell'art. 13 aggiungere: "Nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'articolo precedente, nel verbale devono inoltre essere inserite le osservazioni, i chiarimenti e le dichiarazioni degli amministratori o dei rappresentanti dell'Ente che siano presenti all'adunanza".
Sostituire come segue la proposta aggiunta del quarto comma dell'art.
16: "Qualora l'Organo di Controllo riscontra che i contratti degli Enti di cui al presente articolo sono esecutivi di provvedimenti già adottati e perfezionati ai sensi di legge, li vista senza dilazione e senza ulteriore esame".
Pongo in votazione gli emendamenti.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
Sono respinti con il seguente esito: presenti e votanti 38 favorevoli 2 Consiglieri contrari 36 Consiglieri Vi do lettura del terzo emendamento presentato dal Consigliere Majorino: nel secondo comma dell'art. 27 della proposta di legge togliere la parola "eventuale".
La parola al Consigliere Majorino per una breve illustrazione dell'emendamento.



MAJORINO Gaetano

Nella proposta di modifica di modifica si chiede che non venga più sentita la Commissione consiliare per il fatto che non riceveva gli atti per tempo ed esprimeva pareri puramente formali. Però, siccome la Giunta che deve decidere se resistere in giudizio, riceverà tutti gli atti da parte del CO.RE.CO. è bene che lo stesso esprima, con parere o controdeduzioni, il proprio pensiero. Quindi, se nel vecchio testo si diceva "previo eventuale parere e sentita la Commissione", e adesso si elimina la Commissione: quanto meno si renda obbligatorio il parere del CO.RE.CO. Mi pare che questo sia un più corretto modo di procedere, che si inquadra anche con la prassi generale sulla materia, in forza della quale l'Ente che ha emesso un provvedimento emette anche le proprie controdeduzioni, allorquando sul provvedimento stesso vi siano dei reclami o delle impugnazioni.



PRESIDENTE

Vi sono altre dichiarazioni? La parola all'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore agli Enti locali e decentramento

Sulla parola "eventuale" a cui si riferisce l'emendamento: "nel secondo comma dell'art. 27 della proposta di legge togliere la parola 'eventuale' "; siccome questo comma comincia con la parola "eventuale", vorrei la precisazione su quale "eventuale" si sta trattando.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

E' il secondo "eventuale" quello di cui chiediamo la eliminazione.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore agli Enti locali e decentramento

Dal punto di vista di principio la cosa non è irragionevole. L'unico problema da valutare con attenzione è che cosa succede poi in pratica: nel momento in cui viene fissata la data del giudizio si deve aprire una procedura che magari ha dei tempi lunghi o che si sovrappongono.
Bisognerebbe soltanto garantirsi che nel momento in cui quella parola "eventuale" salta non si possa poi, attraverso ad esempio il mancato parere del CO.RE.CO., ritardi concreti, ecc, essere in grado di resistere perch manca un pezzo di carta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Valeri.



VALERI Gilberto

Questa era già la motivazione di fondo che portava alla modifica del passaggio della I Commissione.



TESTA Gianluigi, Assessore al bilancio

Abbiamo già problemi di tempi che sono molto stretti.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore agli Enti locali e decentramento

Può essere un cambiamento che in via di principio è modesto, ma in via di fatto non garantiste più che ciascuno degli organi assuma tutte le sue responsabilità fino in fondo. Non si tratta di prevaricar si l'uno con l'altro, però non si può nemmeno impedire per un meccanismo tecnico alla Giunta di resistere soltanto perché una procedura non è in grado di essere esperita.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Valeri.



VALERI Gilberto

Leggendo integralmente la Modifica proposta si ricava che in sostanza i due livelli ai quali deve essere compiuto l'esame dei ricorsi è da un lato l'atto del CO.RE.CO., che in tutta autonomia ha vistato un determinato atto ed in base a delle proprie interpretazioni; il ricorso è sottoposto alla Regione, la quale ha i propri Organi di tutela legislativa. Quindi, è in questa sede che deve essere verificata l'opportunità o meno di resistere in giudizio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

A questo punto tanto vale togliere la parola "parere", così la Giunta esercita la sua decisione con autonomia di giudizio.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Testa.



TESTA Gianluigi, Assessore al bilancio

Se anziché "eventuale" noi diamo dei tempi rigidi per l'espressione del parere, non occorre togliere la parola "parere", però abbiamo evitato lo slittamento di tempi, poiché abbiamo già tempi stretti.



PRESIDENTE

Votiamo l'emendamento: accertato che l'emendamento è confermato e che la parola "eventuale" si riferisce alla seconda, chi è d'accordo alzi la mano.
E' respinto con il seguente esito: presenti e votanti 38 favorevoli 2 Consiglieri contrari 36 Consiglieri Passiamo alla votazione dell'art. 1 nel testo originario.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 40 hanno risposto SI 38 Consiglieri si sono astenuti 2 Consiglieri L'art. 1 è approvato.
Art. 2 "La presente legge regionale è dichiarata urgente ed entra in vigore nel giorno della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte, ai sensi del sesto comma dell'art. 45 dello Statuto".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 40 hanno risposto SI 38 Consiglieri si sono astenuti 2 Consiglieri L'art. 2 è approvato.
Passiamo alla votazione sull'intero testo della legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 40 hanno risposto SI 38 Consiglieri si sono astenuti 2 Consiglieri L'intero testo della legge è approvato.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Norme finanziarie, tributarie e di contabilita

Dibattito sulla riforma della finanza locale


PRESIDENTE

Il punto sesto all'ordine del giorno ci richiama al: "Dibattito sulla riforma della finanza locale".
La parola al Consigliere Biazzi.



BIAZZI Guido

Signori Consiglieri, le iniziative che pongono i problemi dei Comuni e delle autonomie locali al centro del dibattito politico nel Paese sono cresciute e in queste ultime settimane hanno raggiunto risultati positivi l'ultimo è quello dell'altro giorno che ha visto convergere tutte le Regioni, attraverso la conferenza dei Presidenti su un ordine del giorno che pone richieste precise al Governo e al Parlamento, di cui si dovrà tener conto nella conversione in legge del Decreto 901 sulla finanza locale. Altre iniziative sono la riunione a Roma dei Sindaci delle principali città italiane, la presa di posizione dell'Unione delle Province piemontesi, tutte iniziative che chiedono modifiche alle proposte presentate a fine anno dal Governo, iniziative e prese di posizioni che testimoniano la vitalità del movimento autonomistico del nostro Paese testimoniano originalità e peculiarità. Siamo in un periodo di polemiche aspre ed acute a livello nazionale tra le varie forze politiche, tuttavia questa non impedisce di trovare convergenze su problemi non secondari come quelli di cui stiamo discutendo stamattina.
Anche nel Consiglio regionale del Piemonte è possibile trovare una convergenza su questi problemi. Il Consiglio regionale della Toscana ha approvato un documento comune che va sulla scia di quelli già approvati o dalle conferenze dei Presidenti delle Regioni o da altri organismi unitari.
Un effetto positivo, anche se parziale, del movimento Unitario, si pu cogliere nelle modifiche che la Commissione del Senato ha introdotto nel presentare all'aula le proposte di modifica al Decreto 901.
E' un dibattito che è cresciuto, con il graduale svilupparsi del movimento delle autonomie e che ha diffuso nella coscienza generale del Paese quella che fu un'intuizione storica dei nostri costituenti. Forse è proprio nella peculiarità della Costituzione che risiede la ragione dell'unità che si riscontra su questi problemi e che si lega strettamente all'originalità del nostro sistema istituzionale, anche se è ancora monco e se parecchie parti richiedono di essere riformate. D'altronde se andiamo alla Costituzione costruita dopo la lotta di Liberazione e dopo la Resistenza, vediamo che essa è il frutto della convergenza tra le grandi componenti ideali e sociali del nostro Paese. Già lì troviamo qualche cosa di diverso che non si trovava nelle carte costituzionali precedenti troviamo qualcosa che non si rifà alle esperienze occidentali od orientali.
Non è prevalsa nessuna impostazione di parte o di partenza, né quella allora sostenuta dalle sinistre né quella sostenuta dalla componente che faceva capo alla D.C., né quella liberaldemocratica. L'Italia infatti non è stata prevista come una federazione, non ci sono gerarchie tra gli organi: Stato, Regione e Comuni sono visti su un piano di parità e questo è un dato fondamentale all'interno della Costituzione che però non ha trovato ancora piena applicazione nella pratica degli ultimi 30 anni. Sono individuati gli elementi che formano uno Stato-ordinamento con pari dignità per i vari livelli istituzionali in contrapposizione netta allo Stato accentratore che di per sé diventava soffocatore delle autonomie e della partecipazione. La crescita in questi anni è stata faticosa. Spesso questa crescita è avvenuta per opera degli amministratori locali che hanno sfidato denunce ed incriminazioni. Basti ricordare i casi di Sindaci e di Consigli comunali denunciati perché davano il loro contributo ai lavoratori che scendevano in lotta per difendere il posto di lavoro. La continua partecipazione delle amministrazioni locali alla vigilia e ai problemi della società è stata anche la più valida difesa della Repubblica dagli attacchi dell'eversione reazionaria e del terrorismo. La difesa della Repubblica è stata possibile sia per la costituzione dei Comitati antifascisti con capillare mobilitazione, sia per il ruolo crescente delle Regioni, dei Comuni e delle Province che si sono conquistati la corresponsabilità nella gestione dello Stato.
Il riconosciMento a livello istituzionale di questa parità non è facile da realizzare e lo vediamo. Non può bastare la normativa della legge 382 o del D.P.R. 616 per superare la conflittualità tra Stato ed Enti locali e arrivare alla corresponsabilità nella gestione della cosa pubblica. Lo Stato è stato in parte modificato dalle iniziative e dalle lotte degli ultimi 30 anni, ma è anche frutto di 30 anni di centralismo del dopoguerra di 20 anni di fascismo e di 60 anni dello Stato liberale accentratore.
Novità non ci sono, però colpi di coda sono sempre presenti ed ora in modo particolare. Non a caso è tanto decisa la presa di posizione delle Regioni oppure delle organizzazioni Unitarie degli Enti locali, secolo trascorso nella costruzione e gestione dello Stato-accentratore pesa, come pesano le autosufficienze di vasti apparati dello Stato a partire dai Ministeri. Spesso entrare nei Ministeri significa essere alle prese con una realtà surreale, completamente disancorata dalla realtà del Paese. E' difficile il salto per passare alla corresponsabilità e alla costruzione sistematica dello Stato-ordinamento.
Da qui la coscienza che per andare avanti occorre affrontare complessivamente l'assetto istituzionale partendo dalla finanza locale e dalla definizione dell'assetto delle autonomie per arrivare congiuntamente alla riforma degli apparati centrali dello Stato, dando appunto il via ad una nuova cultura di governo, com'è stato detto nel dibattito sulla cultura che si è svolto in quest'aula.
Al di là delle riforme, pure urgenti, importanti e necessarie ci sono i problemi posti dal terremoto, che riguardano strettamente la finanza locale, i problemi contenuti nel decreto ministeriale governativo 901 e le modifiche sollecitate da ogni parte, i problemi dell'area impositiva che in quel decreto non erano stati affrontati in modo adeguato. L'impegno per la ricostruzione delle zone terremotate è nazionale quindi una parte di esso deve essere riservato al sistema delle autonomie, di conseguenza ogni istituzione deve partecipare alla definizione degli interventi. E' chiaro comunque, che non si rinnova all'interno delle amministrazioni colpite dal terremoto se non si fanno uscire dalla condizione in cui, in fin dei conti sono stati confinati problemi antichi, anche secolari e soprattutto un'organizzazione del potere e dei centri di decisione che pesano e impediscono un rinnovamento in quelle vaste zone. Basti pensare che i centri di decisione quasi sempre sono collocati all'esterno delle assemblee democratiche elettive. Si pensi a quanto sia accentrata la Cassa del Mezzogiorno, che tanta parte svolge negli investimenti nel sud e che tanto mortifica le iniziative degli Enti locali. Tramite la Cassa del Mezzogiorno si distribuiscono anche i contributi della CEE e questo dà la misura di uno Stato accentratore, soffocatore di ogni autonomia.
Si devono portare avanti iniziative ed interventi per affrontare i problemi relativi alla condizione di vita, ai livelli dei servizi spesso arretrati rispetto al resto del Paese soprattutto si devono affrontare i problemi del sud in modo adeguato e lo stesso movimento progressista deve segnare, delle battute d'arresto. Questo è uno dei momenti da cogliere per affrontare in modo nuovo la secolare questione meridionale.
Il nostro partito ha fatto delle proposte all'interno della Consulta nazionale, le farà in aula e le porterà avanti.
Noi partiamo dalla considerazione di fondo che le autonomie devono partecipare in prima persona nella definizione della ricostruzione: da qui la necessità di definire criteri e norme per i Comuni con oltre 10.000 abitanti, per le Province, per le Regioni. Proponiamo un'assegnazione di 250 miliardi annui per le Regioni per tre anni (750 miliardi nel triennio) proponiamo 500 miliardi agli Enti locali oltre i 10.000 abitanti e 1.500 miliardi per le Province nel triennio: tutto ovviamente da definire rigorosamente con legge. Per le Regioni riteniamo che sia possibile reperire questi fondi da una parte attraverso una riverifica straordinaria dei residui passivi e dall'altra attraverso mutui con gli istituti di credito locali, indicati con apposito decreto del Ministero del Tesoro per i Comuni del centro-nord con oneri da finanziare tramite mutui disponibilità ovviamente di bilancio proprio, non ammesso, per serietà, dai contributi a pareggio. Questo anche in deroga alle norme vigenti.
E' chiaro che questi fondi dovranno essere computati nelle risorse complessive destinate alla ricostruzione e che gli interventi dovranno essere coordinati con quelli dello Stato. L'entità di questi interventi (2.250 miliardi) indica come sia possibile la presenza in modo autonomo, in modo puntuale del sistema delle autonomie. E' chiaro che questi fondi saranno gestiti dalle Regioni e dagli Enti locali.
La differenza tra le nostre proposte e quelle di Andreatta è evidente.
Che cosa propone Andreatta? Da una parte propone di ridurre la finanza delle Regioni e degli Enti locali oggettivamente riducendo la loro presenza nella vita politica del Paese e portando al recupero del centralismo e riducendo le autonomie locali al ruolo di agenzie di spesa dei vari Ministeri. Noi riteniamo che se prevalesse questo indirizzo sarebbe molto grave. Non si può pensare di ricostruire le zone terremotate rifacendo tutto com'era, non facendo partecipare la popolazione e non cambiando le presenze nelle autonomie locali del sud. Si mortificherebbero e non si rafforzerebbero le grandi potenzialità dimostrate dagli Enti locali nella prima fase di intervento. Le nostre proposte hanno una loro corposità (basti pensare ai 2.250 miliardi che potrebbero essere mobilitati) e abbiamo visto quanto sia più facile utilizzare i fondi tramite gli Enti locali. Il modo diverso di affrontare i problemi del terremoto dà l'avvio ad una grande circolazione di esperienze, di modi di far politica, di capacità progettuali, tecniche ed amministrative. Non si tratta solo di iscrivere nei bilanci le somme, ma si tratta di censire, di coordinare le risorse di una Regione. Ovviamente le decisioni sul modo di investire le risorse debbono competere alle assemblee elettive, non vogliamo sicuramente che altri vadano a colonizzare in quelle zone. Deve essere garantita un'assistenza tecnico-progettuale, una collaborazione amministrativa da parte degli Enti locali e delle Regioni del centro-nord.
Per ritornare ai problemi complessivi della finanza locale negli ultimi cinque anni abbiamo visto un susseguirsi di lotte per riformarne i meccanismi e riteniamo che non si possano consumare altri cinque anni senza arrivare a risultati consistenti. Pensiamo che si debba agire unitariamente perché riforme di fondo tornino in primo piano e perché si segnino dei punti a favore del sistema delle autonomie partendo dai provvedimenti in discussione in questi giorni al Parlamento. Malgrado i passi in avanti fatti nella finanza locale (D.P.R. 616, provvedimenti nel campo della sanità) riteniamo che questi due nodi non siano risolti e rappresentino un aspetto non secondario della crisi del sistema economico e politico. Si è superato il dissesto, ma non si è attuata la riforma. Nessuno sostiene più e questo è un elemento positivo, che le finanze debbano essere superate nessuno nega il diritto ai Comuni di avere certezze di risorse e possibilità di fare investimenti congrui, tuttavia la lotta sorda per le conquiste generali continua nel contestare la quantità delle risorse che annualmente debbono essere contrattate in assurda litania di decreti annuali. Anche se alcuni risultati sono stati ottenuti nel dibattito in sede di Commissione, mi pare venga ancora confermata la logica di sempre.
Constatiamo che il vecchio ordinamento è stato sconquassato e superato in molte parti, ma non è ancora stato sostituito dal nuovo, anzi, il vecchio aumenta le contraddizioni e i colpi di coda paiono sempre più pericolosi. Ecco perché indichiamo il duplice obiettivo di conquistare una finanza locale che faccia corpo unico con l'ordinamento delle autonomie e di conquistare una riforma delle autonomie che sia conforme all'ordinamento dettato dalla Costituzione. Si tratta di passare dal risanamento alla nuova disciplina, si tratta di superare quei procedimenti anomali del '77 sia pure necessari, per uscire dal disastro in cui si trovavano gli Enti locali. Quei provvedimenti potevano essere abbandonati da almeno due o tre anni. D'altronde che senso avrebbe l'aver tolto la distinzione tra spese obbligatorie e spese facoltative se poi vanno avanti per anni i limiti imposti nella capacità di spesa corrente? La riforma della finanza locale deve articolarsi su punti fondamentali e ne indichiamo alcuni: definizione della disponibilità delle risorse pluriennali certezza delle risorse per le spese correnti e delle risorse per gli investimenti coordinamento tra Enti locali, Regione e Stato ai fini della programmazione revisione e riequilibrio tra risorse e funzioni esercitate. Troppo spesso lo Stato delega senza fornire le risorse adeguate partecipazione degli Enti locali al prelievo delle risorse e all'esercizio del potere pubblico, unitario (area impositiva).
Sono cinque punti all'interno di una politica complessiva della finanza complessiva che assicurino pari dignità allo Stato, alle Regioni e agli Enti locali. Solo in questo modo si ha il concetto di bilancio pubblico allargato, che deve significare anche rigore. Le proposte del Governo impongono il bilancio pubblico allargato, ma noi siamo in completo disaccordo, perché vediamo nelle proposte di Andreatta che danno la massima flessibilità alle risorse dello Stato e la massima rigidità alle Regioni e agli Enti locali riducendoli ad Enti strumentali dei Ministeri e del Governo, Queste impostazioni possono portare ad applicazioni truffaldine delle leggi - mi si passi questa espressione -. Vediamo il meccanismo della legge 382 dalla quale discendono le dotazioni alle Regioni. All'inizio il Governo prevede entrate inferiori; su quelle entrate vengono calcolati i fondi di dotazione alle Regioni e alla prima variazione di bilancio ci si deve adeguare alle entrate effettive. Riteniamo che debba essere introdotto il principio della flessibilità anche nei bilanci delle Regioni e degli Enti locali.
Riteniamo che sia stato giusto aver introdotto in questo provvedimento il fondo per il riequilibrio territoriale e vediamo anche positivamente il legame con il 901 e con il disegno di legge sulla programmazione regionale e capacità di accedere al credito. Riteniamo però inaccettabile il criterio informatore più generale del decreto con il quale si continua a separare la finanza dello Stato dalla finanza delle altre Regioni e degli Enti locali negando l'esistenza di pari responsabilità e di pari diritti dei soggetti.
Sappiamo che il decreto di partenza è espressione di politica deflativa e che fa corpo con le restrizioni del credito e con l'aumento del prelievo fiscale e queste proposte già incontrano ostacoli all'interno della maggioranza. In ordine agli aumenti delle tariffe proposte non siamo contrari al pareggio per alcuni servizi, ma riteniamo che un aumento indiscriminato non sia accettabile e la Commissione stessa ha apportato dei tagli consistenti alle proposte governative.
Ci ritroviamo completamente nelle richieste e nei giudizi fatti all'unanimità nella conferenza dei Presidenti delle Regioni. Ci ritroviamo anche negli altri documenti elaborati all'unanimità, ne cito alcuni: il documento conclusivo votato al Convegno di Viareggio, la lettera al Ministero del Tesoro del Presidente dell'ANCI, sen. Ripamonti, allorché era uscito il primo disegno di legge sulla finanza locale, l'ultimo documento unitario approvato all'unanimità dagli Assessori alle finanze delle Province del Piemonte. Dicono i Presidenti delle Regioni che i flussi finanziari sono rigidamente predeterminati. Si assegna alle Regioni una funzione meramente strumentale e ne consegue che non vengono risolti i problemi di fondo della finanza locale degli investimenti; dell'area impositiva, della disciplina delle aziende speciali.
Analoghi tono i giudizi degli Assessori alle finanze delle Province piemontesi.
E' necessario che gli investimenti siano adeguati; alcune modifiche sono state introdotte nella Commissione del Senato, ma l'insieme del sistema delle autonomie deve avere la forza di far introdurre altre modifiche che tengano conto delle esigenze degli Enti locali e delle Regioni. In poche parole, debbono essere garantite le risorse reali per gli investimenti del 1980, comprendendo tutto l'arco di disponibilità degli investimenti, dai mutui concessi dalla Cassa Depositi e Prestiti a quelli concessi dagli istituti di credito ordinario e così via.
Per il personale, riteniamo che debbano essere superati i vincoli assurdi esistenti, in particolare quelli riguardanti l'assunzione di personale per attivare nuove opere.
I limiti per la spesa corrente devono essere aumentati rispetto al 16/18 % proposto; abbiamo visto alcune proposte di modifica, ma il meccanismo ci sembra abbastanza farraginoso.
Concordiamo sulla necessità che in breve tempo si riformi la Cassa Depositi e Prestiti su base regionale in modo che le autonomie locali siano presenti all'interno del Consiglio di amministrazione. Riteniamo tali proposte responsabili e compatibili con le risorse a disposizione della collettività nazionale. La prossima scadenza della legge finanziaria regionale e la proroga della provvisorietà del sistema di finanziamento di Comuni e Province permettono una soluzione unitaria di un sistema di finanziamento più complessivo delle autonomie locali che tenga e venga costruito proprio con il contributo delle autonomie stesse.



PRESIDENTE

La parola alla collega Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, visto che la Commissione ad hoc che la I Commissione aveva istituito per la predisposizione di un documento da portare in aula, non ha potuto produrre tale documento, vuoi per carichi dei Consiglieri regionali che ne facevano parte, vuoi per impossibilità dell'Assessore, vuoi per il virus influenzale, io mi auguravo che l'Assessore Simonelli ci desse il "la" su questo argomento, anche perché è l'ultimo che è stato a Roma ed è più a conoscenza di ciascuno di noi della situazione della discussione romana. Tutti abbiamo il "filo rosso" con i nostri rappresentanti di partito a Roma nelle Commissioni interpartitiche e nella Commissione parlamentare, sappiamo però che il dibattito è ancora nella fase viva, le posizioni si stanno affinando, ci auguriamo che presto si trovi l'accordo affinché presto i nostri Comuni possano disporre di uno strumento legislativo che consenta loro non soltanto di fare i bilanci, ma di poterli gestire e soddisfare così le promesse che faranno in questo tempo ai loro amministrati.
Detto questo, e premesso che non ho nessun altro documento oltre al primo decreto Andreatta, devo dire che da una prima lettura si aveva l'impressione di trovarsi di fronte ad un ennesimo provvedimento-tampone e questo tipo di provvedimento, come sappiamo, in materia di finanza locale ha evidenziato una situazione incancrenita negli anni in Italia, che ci portiamo avanti dal '77, con lo Stammati 1, con lo Stammati 2, con il Pandolfi e con gli articoli della legge finanziaria per il '79 e per l'80.
Erano tuttavia dei provvedimenti che si sono dimostrati, motivati dall'urgenza, in grado di sanare delle situazioni di dissesto finanziario né va negato che tutti questi provvedimenti introducevano elementi di maggiore chiarezza rispetto al passato nella gestione finanziaria degli Enti locali, anche se non figuravano ancora l'inizio del necessario processo di rientro dalla crisi della finanza locale. Tali provvedimenti inoltre, avevano un difetto grandissimo, quello di cristallizzare la spesa storica, cioè l'imposizione di tetti, all'aumento annuo delle spese correnti rispetto sempre alla spesa del 1977. Questo portò a cristallizzare la sperequazione della capacità di spesa pro-capite per attività ordinarie dei Comuni e si è realizzata in questi anni, sostanzialmente, una profonda ingiustizia, soprattutto à detrimento dei Comuni piccoli: nella media le spese correnti pro-capite dei Comuni tendevano inizialmente a diminuire in funzione dell'ampiezza demografica dell'ente, passando dai Comuni più piccoli fino a quelli con circa 5 mila abitanti; al di sopra di tale soglia, invece, le spese pro-capite sono cresciute in proporzione al crescere dell'ampiezza demografica dell'ente, fino a raggiungere livelli di 3-3,5 volte superiori al livello medio della spesa pro-capite dei Comuni della classe più piccola. Nella medesima logica, peraltro, si cercò di congelare la dotazione di personale, bloccando le assunzioni, salvo poi introdurre qualche spazio per aggirare il blocco attraverso la ristrutturazione degli uffici. Abbiamo detto, quindi, che erano provvedimenti necessari, ma che erano agli antipodi della programmazione della finanza pubblica, poiché proiettavano nel futuro le arbitrarietà di situazioni passate invece di governare con un programma di obiettivi e vincoli, l'evoluzione del sistema. Questa situazione vista a distanza mette in evidenza quale sia stata una palese contraddizione tra il processo di accentramento, che caratterizzò gli anni '70, dei compiti di finanziare le spese correnti locali nel bilancio dello Stato e l'istituzionalizzazione della rinuncia a perequare i livelli delle prestazioni spese degli Enti locali stessi, smentendo la tradizionale contrapposizione dottrinaria tra autonomia e perequazione e realizzando un sistema con minore autonomia e minore perequazione.
Il decreto Andreatta lascia intravedere una concezione nuova, ci sembra che si muova nell'ottica della riforma. E' vero che esso si presenta slegato da un contesto pluriennale, per cui se rimane così c'è da chiedersi come faranno questi Enti a rispettare l'obbligo del 421 di redigere i bilanci triennali di competenza. Se c'è un punto su cui concordo, del documento già citato delle Regioni, è proprio quello che mette in evidenza questa grossa carenza, questa impossibilità pratica per gli Enti di rispettare la legge.
E' poi indubbio che in questo decreto esiste un tentativo di perequare le assegnazioni superando le ingiustizie della spesa storica: mi riferisco in particolare al punto a) dell'art. 9, anche se in realtà per arrivare ad una perequazione della spesa reale ci vuole ben altro.
Per quanto riguarda la spesa corrente, è vero che l'aumento del 17 ed anche quello del 19 % - non copre la svalutazione del 1980, e c'è una presa di posizione dell'ANCI a questo proposito, che chiede un aumento più vicino al tasso di svalutazione, che è del 20-22 %, ma pensiamo che le cifre del decreto possano anche essere mantenute. Lo stesso valga per le entrate. Chiarito l'art. 4, e cioè come si sistemano i 150 miliardi che sarebbero di competenza delle Regioni e che invece lo Stato avoca a sé, tra l'altro con una grossa forzatura, e passando agli artt. 6, 7, 13, che sono quelli che trattano appunto degli aumenti delle percentuali, per quanto riguarda l'imposta di pubblicità e le tasse sull'occupazione pubblica l'aumento può essere accettato, come l'addizionale di 10 lire sui consumi di energia elettrica, anche se si pensa che il gettito derivante da questi ulteriori incrementi sia irrisorio, soprattutto se deve essere utilizzato per la copertura degli oneri da mutui contratti presso istituti di credito.
Tra l'altro, poi, l'addizionale è limitata all'81, mentre gli oneri avrebbero decorrenza dal 1982. Queste addizionali, però, secondo noi, sono importanti, per il principio che introducono, cioè quello di una nuova imposizione autonoma dei Comuni. L'imposizione autonoma a cui pensano i repubblicani, peraltro, è ancora di altro tipo (siamo stati presentatori di un disegno di legge a questo riguardo), tuttavia ci sembra importante che si incominci ad affermare questo principio già portato avanti nei vari convegni di Viareggio.
Un problema importante è quello degli investimenti: da alcune parti si solleva la questione che i 4 mila miliardi che la Cassa Depositi e Prestiti metterà a disposizione per l'81 siano insufficienti e si richiede la possibilità per i Comuni che possano ricorrere anche al credito ordinario lo credo che, invece, siano sufficienti, anche se abbiamo dei dubbi sulla ripartizione prevista dall'art. 9, soprattutto per quanto riguarda il 30 da destinare ai Comuni per la realizzazione di programmi autonomi di investimento. Questa cifra, tradotta poi nel concreto, è di una irrilevanza assoluta: fatto un rapido conto pare che la cifra pro-capite sia di 20 mila lire per ogni abitante. Ad un recente convegno dell'ANCI c'era una sindachessa che, fatto un rapido conto per il suo paese, diceva che questo avrebbe rappresentato qualcosa come 10-12 milioni di lire, il che sarebbe servito per fare qualche metro di fognatura e, di conseguenza, non lo si riteneva così importante, anche se questo riparto può essere interessante.
Vorrei sapere dall'Assessore la quota del 40 % dei 4 mila miliardi riservata agli investimenti coerenti con i piani di sviluppo, per la parte spettante al Piemonte quale sarà in termini quantitativi.
Rimane ancora il problema del personale: noi crediamo che la parte riguardante il personale sia particolarmente punitiva per i Comuni infatti, si introducono ulteriori restrizioni nella possibilità di assunzioni previste dalle piante organiche che sono già state approvate consentendo la copertura di posti solo per il 25 % all'anno, in quattro anni. Questo, secondo noi, aggrava la normativa preesistente, relativamente ai piccoli Comuni. Sempre nella sede dell'ANCI che raccoglieva le istanze e le proposte dei piccoli Comuni, c'era un Sindaco che chiedeva come avrebbe fatto avendo un solo dipendente da assumere secondo la sua pianta organica: se doveva attendere quattro anni oppure se poteva permettersi di prendere un venticinquesimo di dipendente per anno. Probabilmente su questo argomento bisognerà soffermarsi.
Fatte queste piccole osservazioni sul decreto Andreatta, c'è da chiedersi quale possa essere lo sbocco di questo dibattito che il Consiglio ha ritenuto di portare all'ordine del giorno, ripeto, senza un documento n l'analisi preventiva della situazione in generale. Io sono a conoscenza che esistono degli ordini del giorno in preparazione, ho intravisto il documento che presenterà la D.C.; mi pare che esso parta da premesse che noi condividiamo, e cioè che questo decreto si muova nell'ottica della riforma, persegua la finalità di un livello perequativo tra i Comuni e lasci presupporre una futura reintroduzione della capacità impositiva dei Comuni. Sulla parte deliberativa ci riserviamo ancora di intervenire a seguito del dibattito e, soprattutto, a seguito delle informazioni che cortesemente ci darà l'Assessore.



PRESIDENTE

Ha ora facoltà di intervenire il Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

La trattazione della finanza locale esige comunque uno sguardo retrospettivo. Se ci troviamo anche quest'anno di fronte ad un provvedimento tampone con tutti i limiti che ciò comporta nondimeno dobbiamo anche saper vedere quali sono stati i passi compiuti e qual era la situazione della finanza locale prima dei provvedimenti di blocco del 1977.
Sostanzialmente uno stato di dissesto, grandi sperequazioni di spesa tra i Comuni in quanto veniva privilegiata soprattutto la politica del deficit senza equità fra le varie posizioni.
Aveva preso peso una cultura, portata avanti soprattutto dalle forze di sinistra, che sottovalutava i dati reali della situazione finanziaria del Paese. Il bilancio sui bisogni, teoria portata avanti per anni, su tutti i bisogni, senza discriminazione, quasi fosse possibile eludere quelle scelte che sono alla base della programmazione ed anche della politica; bilanci di lotta, una serie di impostazioni che sostanzialmente hanno contribuito a portare la finanza locale in una situazione di pratico dissesto (come fu da tutti riconosciuto) che esigeva interventi precisi, atti a razionalizzare il sistema e a dare nuovo slancio alle autonomie locali.
L'incontrollabilità del disavanzo pubblico aggregato, proprio per questa linea di assoluta libertà nel ricorso al disavanzo, che doveva essere fatto eccezionale e che veniva coperto con un mutuo a pareggio trentacinquennale il quale andava, contro ogni teoria, a coprire delle spese correnti.
I decreti hanno quindi avuto un loro peso positivo. Certo, il primo decreto Stammati del 1977 puntando al pareggio del bilancio sulla spesa, ha dato un freno allo sviluppo della spesa corrente, ha puntato al suo contenimento e ha portato anche al blocco dei mutui e degli investimenti come momento assolutamente transitorio. Il secondo decreto Stammati del 1978 ha riaperto la via degli investimenti, con il ritorno ai mutui e ha continuato a puntare sul discorso del vincolo della spesa in base alla spesa storica: criterio seguito poi dai decreti successivi.
Negli anni dal 1978 al 1980, gli Enti locali, particolarmente i grandi Comuni, hanno avuto abbondanza di risorse, mentre difficoltà di risorse si sono verificate nei piccoli centri.
Il riferimento alla spesa storica, con aumenti percentuali indiscriminati, finiva di allargare la forbice delle possibilità. I grossi Comuni staffati nei servizi, dotati di personale, hanno potuto sopportare il blocco degli organici, si sono visti in realtà aumentare le risorse con la formazione di una forbice sostanziale fra i piccoli e i grandi Comuni.
Senza poi parlare dell'illimitata capacità di finanziamento. Attraverso le forme dell'indebitamento si era avviato un sistema per cui mai sarebbe stata saturata la capacità di indebitamento dei Comuni. Gli oneri finanziari, fuori dal tetto di incremento della spesa corrente consentivano ai Comuni, mutui sia con la Cassa Depositi e Prestiti sia con gli altri istituti; aumentava fortemente la spesa corrente, non tanto quella vincolata, quanto quella dovuta agli oneri finanziari e questa si ripercuoteva nell'aumento del contributo a pareggio che a sua volta provocava l'incremento del totale dei primi tre titoli dell'entrata. Così il rapporto tra il totale dei primi tre titoli dell'entrata e le spese non è mai raggiungibile e crea un'illimitata Capacità di indebitamento dei Comuni che ha anche facilitato un ricorso non leggero ai mutui del credito ordinario. Occorre valutare correttamente le ragioni dei provvedimenti.
L'esigenza di evitare un ricorso troppo facile al credito ordinario anche per opere che potevano essere finanziate dalle Casse DD.PP., ricorso facilitato dal fatto che l'onere veniva scaricato sul contributo a pareggio dello Stato e dalla mancanza di problemi in merito alla saturazione della capacità di indebitamento.
V'è l'esigenza di una riforma, che tutti comprendiamo e che deve toccare tre aspetti fondamentali. Primo aspetto la perequazione tra i Comuni. Specialmente in presenza di una finanza derivata deve essere assicurata una capacità di spesa uniforme per Comuni della stessa classe.
Il secondo elemento della riforma deve essere costituito da un'area autonoma di imposizione. Questa è stata chiesta ripetutamente come affrancamento dalla finanza derivata.
Il terzo elemento chiave della riforma è il raccordo con il sistema della finanza pubblica, quindi aggregazione complessiva della finanza locale, aggregazione complessiva della finanza pubblica e giusto spazio di competenza alla finanza locale, però in un quadro di rigorosa finanza pubblica.
Su questo discorso si è mossa la proposta di riforma. Il Sottosegretario Fracanzani a Viareggio ha esposto una proposta complessiva giudicata apprezzabile anche dalle rappresentanze degli Enti locali. Ad essa è seguito il progetto triennale del Governo dell'autunno scorso e il decreto legge 901.
Se ci troviamo di fronte ad un decreto tampone è perché il Parlamento in questi mesi non ha affrontato il progetto triennale. Il Parlamento ha il regolamento che conosciamo, si perdono settimane a dibattere per trasformare in legge il fermo di polizia con gare di 16 ore di interventi e non si opera sulle cose sostanziali.
Noi accettiamo questa situazione transitoria perché è una scelta forzata e rifiutiamo la strumentale contrapposizione che si vorrebbe fare fra i tre documenti, fra le dichiarazioni del Sottosegretario Fracanzani a Viareggio, il disegno di legge e il decreto legge. Le dichiarazioni di Fracanzani erano dichiarazioni di principio, sulle quali è facile consentire ma che è poi difficile calare nella realtà di una legge in modo che questa accontenti tutti. Il decreto legge è, comunque, un segmento del disegno di legge, è un segmento limitato all'anno (certamente non si poteva approvare un decreto che prospettasse una disciplina triennale), è un segmento correggibile.
Dobbiamo dire che in questo documento, come nel disegno di legge, ci sono tre elementi che giudichiamo favorevolmente. Innanzitutto l'avvio al coordinamento tra la finanza statale, la finanza comunale e soprattutto il punto d) dell'art. 9, quindi la destinazione del 40 % dei mutui disponibili presso la Cassa DD.PP. a opere che siano coerenti con i programmi regionali di sviluppo. Questo è un fatto estrema mente importante che da solo dovrebbe qualificare il provvedimento.
Certo sul punto d) ci saranno delle difficoltà perché soltanto cinque Regioni hanno il piano di sviluppo approvato. La dichiarazione di coerenza è un problema grosso ma questo punto sarà superato. Già nel disegno di legge del Senato, di cui il relatore Triglia mi ha fornito una copia trasformata, viene fissata una norma per quanto riguarda la dichiarazione di coerenza che nel regime transitorio sarà un atto del Comune.
Purtroppo questo non è un fatto positivo, soprattutto per quelle Regioni che sono prive di piano di sviluppo.
Il secondo aspetto poi che giudichiamo favorevolmente è l'avvio al riequilibrio dei Comuni. Già nel 1979 c'era stato un provvedimento, le 10.000 lire pro-capite di maggiore entrata e di maggiore spesa in supero ai coefficienti della spesa corrente per i piccoli Comuni. E questo ha avuto un peso perché anche se non viene ricalcolata, si inserisce nella spesa corrente storica, va quindi a comporre quell'elemento sul quale gioca il nuovo aumento percentuale consentito, quindi questo maggiore versamento già dato nell'anno precedente e non riconfermato quest'anno si consolida nel nuovo provvedimento.
Certo, l'avvio del riequilibrio è graduale, ma almeno tre provvedimenti lo portano avanti: la differenza percentuale dell'incremento di spesa corrente consentito per le diverse classi di Comuni, il 16 % per i Comuni sopra la media e il 18 % per i Comuni che sono sotto la media. Il secondo provvedimento che va in questa direzione è il 20 % della quota dei mutui riservato ai piccoli Comuni, in modo da rendere effettiva questa perequazione di spesa tra i vari Comuni e di privilegiare soprattutto i Comuni più carenti sotto il profilo delle opere di urbanizzazione alle quali i finanziamenti sono vincolati.
Il provvedimento è ancora più significativo, non solo come disponibilità di risorse ma anche perché l'ammortamento va a totale carico dello Stato e quindi queste spese non vanno ad incidete sulla capacità di indebitamento dei piccoli Comuni, la più provata e la meno beneficiata dal meccanismo a cui ho fatto riferimento.
Il terzo provvedimento che va nella direzione di una maggior equità è il fondo perequativo di 230 miliardi istituito per i Comuni sotto media nella spesa corrente. Si dice che questi 230 miliardi sono pochi, ma bisogna verificare seriamente se sono pochi. La spesa generale degli Enti locali per beni, servizi e personale è di 4 mila miliardi. La media pu essere attorno ai 2 mila miliardi, dei quali 230 miliardi rappresentano oltre il 10 %. Se poi consideriamo che viene data la precedenza alle classi dei Comuni minori, allora si vede che non è un provvedimento irrisorio come superficialmente è stato detto.
Non solo, ma se, come pensiamo questi benefici si ripercuoteranno negli anni successivi, almeno per quella parte che si riferisce alla spesa storica, essi avranno un peso vero verso l'avvio al riequilibrio.
Si dice che l'avvio al riequilibrio deve essere fatto subito per tutte le classi dei Comuni, ma il discorso della spesa storica sarebbe più oneroso. Non si può pensare ad un riequilibrio che significhi soltanto alzare la capacità di spesa dei Comuni sotto media senza che i Comuni sopra Media si pongano problemi di autonomo contributo al mantenimento dei raggiunti livelli di servizi. Si avrebbe soltanto uno sviluppo della spesa pubblica non conforme alla rigorosità di fondo che deve essere alla base dei provvedimenti.
Il terzo aspetto che giudichiamo positivamente è l'area impositiva autonoma dei Comuni, le 10 lire al Kw sull'energia elettrica.
Da quattro anni si parla del problema di dare ai Comuni una propria capacità autonoma di spesa e poi si dice: non può essere imposta sui consumi, non può essere imposta sui redditi perché non si deve ripetere la duplicazione, non può essere imposta sul patrimonio perché imposta eccezionale.
Che cosa può essere? Sembra che non la si vuole. Torniamo alla pietra filosofale che certamente esiste ma non si sa qual è.
C'è un avvio su questa strada, avvio che ha i suoi rischi, ma è tuttavia positivo.
Non possiamo accettare critiche strumentali e fra queste consideriamo quelle che giudicano negativo l'aumento obbligatorio delle entrate correnti del 16 % per le entrate extra tributarie. Riteniamo che questo obbligo sia invece giusto perché bisogna rompere anche il processo di deresponsabilizzazione. Il contributo a pareggio ferma la spesa corrente come plafond di spesa. I Comuni non hanno nessun interesse ad aumentare i costi dei propri servizi perché comunque li paga lo Stato. Non è un discorso serio e responsabile. Di fronte all'aumento del 16 % delle spese e di fronte all'impegno del pareggio riteniamo che ci debba essere la corresponsabilizzazione per la quota di propria competenza dei Comuni anche perché sappiamo che, in realtà, i Comuni sottostimavano le entrate nel bilancio preventivo per avere maggiori entrate e per poter utilizzare il 40 % delle maggiori entrate allo scopo di sfondare il tetto della spesa corrente.
Consideriamo anche strumentale la critica alla classificazione dei Comuni in funzione delle quote capitarie. Su questo c'è un grosso dibattito in sede di Commissione al Senato. Da qualcuno e particolarmente dal P.C.I.
si richiedeva che dalla classificazione venisse escluso il costo del personale.
Il personale deve essere incluso perché è proprio l'abuso di taluni organici nelle gran di città, non soltanto in quelle amministrate dalla sinistra, che contribuiva a determinare l'alta quota capitaria corrente. Se togliamo il personale c'è l'appiattimento, allora non c'è necessità assoluta di riequilibrare niente perché tutto è già riequilibrato. Ma non è riequilibrato ai fini del concetto della spesa.
Consideriamo anche strumentale il discorso di una costante richiesta di flessibilità delle entrate dei Comuni. Bisogna che ci si intenda sulla flessibilità. Se la flessibilità vuol dire che lo Stato può nel corso dell'anno modificare le entrate in base al reale andamento del prodotto interno lordo e cioè dell'andamento reale dell'economia, possiamo essere d'accordo, ma una flessibilità legata al maggior incremento dei bilancio dello Stato non può essere accettata perché sarebbe la strada che porta a rompere quella rigorosità complessiva e quella necessità di contenimento del deficit pubblico aggregato che è alla base anche della salvaguardia della moneta.
Diciamo sì, invece, variazioni del decreto che possono essere positive.
Quasi tutte le variazioni che abbiamo indicato sono in via di accoglimento.
Innanzitutto la revisione dell'espansione delle spese correnti. Il 16 o il 18% appare poco, non tanto nella previsione dell'inflazione di quest'anno che occorre contenere, ma soprattutto perché rigido e non c'è possibilità di modifica. In Commissione è stato accettato il criterio di modificare eventualmente questa percentuale come già detto per la parte dovuta alla componente variazione dei prezzi nella variazione del prodotto industriale lordo, facendo riferimento ad un'impostazione che era quella del disegno di legge triennale.
Chiediamo nel nostro documento che l'uso dell'addizionale del 10% sia allargato, cioè venga consentito l'uso di questa addizionale anche per eventuale aumento delle spese correnti o per investimenti in capitale e che si mantenga comunque l'aggancio ai mutui, come dirò successivamente.
Chiediamo inoltre che sia modificata la normativa dei mutui. Anche in questo caso si dice che i 4 mila miliardi sono pochi. Dobbiamo considerare che ci sono: 1.300 miliardi della 319, 700 miliardi che passeranno con il provvedimento dell'edilizia carceraria, che è stato stralciato e che sarà inserito nella legge finanziaria, 1.000 miliardi che vanno ai Comuni terremotati, quindi sono 7 mila miliardi della Cassa DD.PP. La Cassa DD.PP.
si alimenta attraverso il risparmio postale, quindi non può spendere più di quell'incremento. Non è una cifra irrisoria e deve essere valutata con una certa attenzione. Se ci sarà una possibilità di allargamento compatibile con l'andamento generale dell'economia non siamo certamente contrari, per richiamiamo ad esaminare con realismo le cifre che vengono indicate. Siamo anche favorevoli alla riduzione dei Comuni che godono dei mutui agevolati per favorire i minori e siamo particolarmente favorevoli alla norma d) con la necessità di chiarire il discorso delle coerenze.
Per quanto riguarda il credito ordinario, siamo anche noi d'accordo su un certo allargamento, ma è necessario mantenere la compartecipazione dei Comuni al pagamento delle rate. Nel provvedimento uscito dalla Commissione del Senato si dice con chiarezza: "che soltanto la differenza fra il tasso della Cassa DD.PP. e il tasso del credito ordinario è a carico del Comune ma che per questa parte il Comune deve provvedere con proprie risorse". Le proprie risorse possono essere due, o il contenimento delle altre spese correnti o il ricorso a quell'area impositiva autonoma che è stata indicata nelle 10 lire.
In ordine al personale chiediamo alcune variazioni soprattutto per i nuovi servizi e riteniamo necessario che per i nuovi servizi ci sia l'approvazione solo dell'organo regionale di controllo e non della Commissione centrale; è un provvedimento che deve essere ripristinato.
Devono anche essere riviste le norme soprattutto per quei Comuni che già si sono dotati dei piani di riorganizzazione del personale e che si trovano in difficoltà perché viene frenata la possibilità di assunzione su piani già approvati.
Chiediamo la liberalizzazione delle maggiori entrate. Temiamo che questo punto non passerà, però lo riteniamo un punto giusto di riequilibrio, con l'obbligo di aumento delle entrate dei Comuni.
La nostra posizione quindi è sostanzialmente indirizzata su queste linee: miglioramento del decreto, però su punti precisi e delimitati e attraverso richieste non contraddittorie ma compatibili con il sistema economico nazionale recupero ed approvazione del disegno di legge originario, che riteniamo un provvedimento triennale, capace di per se stesso di garantire la certezza di movimento agli Enti locali sul piano finanziario riforma delle autonomie locali sicché il problema finanziario si possa inserire nella riforma istituzionale, nella definizione dell'ente intermedio, con la predisposizione di un quadro complessivo della finanza locale.
Queste richieste credo siano ampiamente condivisibili, soprattutto sono parecchio vicine alle richieste contenute nell'ordine del giorno del P.S.I.
Sul discorso generale inteso ad inserire l'intervento a favore dei terremotati nel discorso della finanza locale complessiva ci pare di dover dire che è un discorso dispersivo e non tale da poter raggiungere quegli obiettivi che Biazzi si proponeva. Riteniamo che gli interventi debbano essere diretti e pratici e che il canale degli Enti locali sia quello giusto, ma soprattutto di quelli interessati a questo grosso problema.


Argomento:

Dibattito sulla riforma della finanza locale

Argomento:

Nomine

Argomento: Nomine

Elezione dei rappresentanti del Consiglio Regionale nel Comitato di Controllo sulle Province e nelle Sezioni decentrate del Comitato di Controllo sugli atti degli Enti locali di Torino, Ivrea, Mondovì, Asti Alessandria, Casale Monferrato, Novara, Biella, Pinerolo, Cuneo, Alba Bra, Saluzzo - Savigliano - Fossano, Verbano - Cusio - Ossola, Vercelli (3 effettivi e 2 supplenti)


PRESIDENTE

Approfittiamo di un momento di sospensione del dibattito per passare alla votazione dei vari colleghi ai CO.RE.CO.; prego, pertanto, i Consiglieri regionali di prendere i loro rispettivi posti. Saranno distribuite 15 schede nelle quali verranno indicati i nomi dei designati.
La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, prima di passare a queste votazioni, noi abbiamo il dovere di denunciare, a nome del M.S.I. - lo facciamo con fermezza e con sdegno - l'inqualificabile prassi della lottizzazione che i partiti dell'arco costituzionale hanno voluto seguire anche nella designazione dei rappresentanti del Comitato di Controllo sulle Province e sui Comuni e della Commissione di Controllo sulla Regione.
L'opinione pubblica deve sapere che qui dentro ogni nomina, ogni incarico, ogni poltrona, è fatta oggetto di scambio, anzi di mercato, tra le forze politiche: è stato così per la Promark, è stato così per la Finpiemonte e così è oggi (ma questa volta il caso è ancora più grave perché si tratta di organi di controllo) per queste nomine che sono state effettuate al di fuori di specifici criteri di competenza, che sono state dosate tra i partiti quasi con bilancino da farmacista, avendo come concetto base soltanto la discriminazione aprioristica nei confronti della Destra Nazionale.
Questo accordo che non sapremmo definire, ma che forse non è improprio definire un accordo di stampo mafioso, ha portato ad una suddivisione dei posti che non ha tenuto in alcuna considerazione la nostra consistenza elettorale, la nostra presenza numerica in quest'aula e, quindi, il nostro diritto - che ci veniva riconosciuto anche da una suddivisione puramente numerica - ad essere rappresentati negli organi di controllo. Noi crediamo che, colleghi Consiglieri, voi siate davvero pervicaci nella vostra volontà di discriminazione; non per questo noi ci rassegneremo al silenzio, anzi protesteremo ogni qualvolta ci sembrerà che i diritti del M.S.I., che i diritti dei nostri elettori, siano misconosciuti e calpestati. Ed è per protestare contro quanto da voi unitariamente concordato, colleghi Consiglieri, unitariamente nel senso di tutte le forze politiche insieme che noi dichiariamo - e chiediamo che il fatto sia registrato a verbale che non parteciperemo a questa votazione.
Approfittando dell'occasione vogliamo andare oltre, vogliamo cioè affermare - ed è solo la Destra Nazionale ad iniziare questo discorso - che è tempo ormai di riflettere sulla non costituzionalità di una Commissione come quella prevista per il controllo sugli atti della Regione. L'elezione di questa Commissione, i cui faziosi criteri di nomina abbiamo prima richiamato, è stata prevista dalla vecchia legge Scelba del 1953, varata quando, peraltro, tutti o quasi tutti pensavano alle scarse possibilità di realizzare l'ordinamento regionale. In forza del disposto legislativo il controllo viene affidato ad un organo misto, composto da un rappresentante della Corte dei Conti, da rappresentanti del Ministero dell'Interno e da esperti - ecco il rilievo anticostituzionale - del Consiglio regionale cioè della Regione medesima: che quindi si trova ad essere controllata ad opera dei suoi stessi delegati.
Stamani il Consigliere Viglione chiedeva: "Chi controllerà i controllori?". Ci pare che l'osservazione ritorni più che mai pertinente in questo caso. E' possibile affidare il controllo degli atti della Regione ad esperti nominati dalla Regione stessa? A nostro avviso tale Commissione è doppiamente incostituzionale: primo, perché sottrae al controllo della Corte dei Conti gli atti della Regione; secondo, perché affida la scelta ai rappresentanti dell'Ente controllato, in violazione del principio generale dell'imparzialità della pubblica amministrazione.
Secondo il M.S.I. questa situazione deve venire modificata e la soluzione che noi proponiamo non è quella dell'abolizione, ma è quella del passaggio del controllo alla Corte dei Conti. E' dunque anche per questo dubbio, secondo noi non infondato, sulla legittimità della Commissione di Controllo sugli atti della Regione, oltreché per i motivi di protesta prima esposti in ordine all'assegnazione degli incarichi sui Comitati di Controllo sugli atti delle Province e dei Comuni, che il M.S.I. non prenderà parte a questa votazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente ed egregi colleghi, prendo la parola per esprimere la nostra insoddisfazione per la conclusione della vicenda sui CO.RE.CO. dalla quale ne escono penalizzate le forze comuniste, il P.C.I. e noi del P.D.U.P. Avevamo fatto due richieste che ci sembravano ragionevoli e tenevano conto delle effettive forze: una nostra presenza ad Alba-Bra ed una nostra presenza a Novara. Soprattutto quest'ultima era legittimata dal ruolo che abbiamo al Comune di Novara di forza decisiva nella maggioranza.
Siamo stati invece discriminati. Da qualche parte sono state poste in modo arrogante e ricattatorio, condizioni per non rinviare ulteriormente le nomine. Non abbiamo chiesto rinvii perché riteniamo urgente la nomina dei CO.RE.CO. che è la cosa più importante di qualsiasi interesse di partito.
Forse per qualche partito non è così. Riteniamo si debba votare oggi - e chi ha orecchie per intendere intenda - per non dare adito a quelle forze pronte a cogliere l'occasione di un ulteriore rinvio, per conclamare l'incapacità di questa maggioranza.
Nonostante questo, verifichiamo che la pari dignità tra le forze politiche, per quanto ci riguarda, è un obiettivo ancora da raggiungere.
Pari dignità non significa riconoscimenti formali o verbali o pacche sulle spalle in occasione e nei luoghi dove i nostri voti sono determinanti per formare maggioranze o mantenere in vita le Giunte. Certo, abbiamo sempre vincolato i nostri vati a contenuti e schieramenti. Mai, anche drive siamo determinanti per formare maggioranze, abbiamo vincolato i nostri voti a richieste di contropartite in Consigli d'amministrazione. Non è questo il nostro modo di far politica. Deve essere chiaro che questa nostra posizione non deve essere scambiata per debolezza o disponibilità ad essere umiliati né tanto meno deve autorizzare forze politiche fameliche di entrare né i Consigli di amministrazione (tanto che si prendono posti che oggettivamente spetterebbero ad altri) a credere di poter continuare su questa strada.
L'umiliazione ci porterebbe a rivedere la nostra posizione a tutti i livelli. Per questi motivi non voterò le stesse proposte per i CO.RE.CO. di Alba-Bra e di Novara.



PRESIDENTE

La parola al collega Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, vorrei fare una breve dichiarazione sulla votazione che stiamo facendo.
In primo luogo vorrei ricordare al Consiglio - ne sono tutti informati ed anche agli organi di informazione e di stampa, che queste votazioni impongono un rapporto corretto tra la maggioranza e l'opposizione. A rigor di legge si dovrebbero avere 30 su 75 membri dei vari CO.RE.CO. di pertinenza dell'opposizione (non importa di quante forte questa opposizione può essere composta) e 45 alla maggioranza.
Siamo andati ad una discussione fra tutti i Capigruppo e rappresentanti delle forze politiche, che ha fatto sì che si arrivasse alla determinazione considerato il numero delle forze politiche presenti, certo con l'esclusione del M.S.I. - di un rapporto di 32 per le forze di opposizione di 43 per le forze di maggioranza. Mi pare che si sia discusso in termini (come già nella legislatura scorsa) molto piani e pacati. All'interno del ruolo dei partiti della maggioranza, il Partito Comunista, che non ha particolari rivendicazioni da fare, né può essere ricompreso in nessun modo nelle osservazioni che sono state fatte testè dal collega Montefalchesi, si è comportato nel seguente modo: ha ritenuto corretto di avere un rappresentante in ogni CO.RE.CO., uno e non di più, anche perché fosse accresciuta, e non per mercato di potere, ma per esigenze stesse di presenza della maggioranza, sia la rappresentanza socialdemocratica, sia quella del P.S.I., sia quella del P.D.U.P., al quale abbiamo concesso due membri che prima erano di pertinenza del nostro Gruppo, nella passata legislatura, quando i rapporti di maggioranza e di opposizione mi pare fossero diversi, cioè in maggioranza vi erano due partiti essenzialmente.
Detto questo - i rapporti tra le forze politiche si sviluppano anche in modo bilaterale - non abbiamo null'altro da aggiungere. Il nostro ruolo non è stato certo quello di essere umiliati, perché non vediamo umiliazioni in queste questioni; ribadiamo ciò che deve essere la presenza di una forza politica: non crediamo che due o tre membri di uno stesso partito in più all'interno di un CO.RE.CO. possano determinare degli spostamenti ribadiamo che il compito dei CO.RE.CO. non è quello di entrare nel merito ma nelle questioni di legittimità che è quella dell'autorità istituzionale dei Consigli, delle Giunte che deliberano.
Riteniamo di aver assolto, per parte nostra, al principio della pari dignità delle forze politiche che riguarda sia i rapporti all'interno della maggioranza, sia tra singoli partiti in questo Consiglio, sia all'interno dell'opposizione.
Questo è tutto, dopodiché, se non si addiviene al fatto che vi possa essere la presenza di alcune forze politiche in alcuni CO.RE.CO., questo è anche un problema di numero e, per quanto ci riguarda, voglio sottolineare che di fronte alle richieste del P.D.U.P. noi abbiamo acceduto a mantenere come già avevamo nella passata legislatura - il membro supplente nel CO.RE.CO. di Alba, anche perché il ruolo di altre forze politiche in quella situazione è più rilevante del nostro.
Non credo di dover aggiungere altro, se non una brevissima osservazione, signor Presidente. Non mi pare che in questo Consiglio vi Sia il mercato del potere; ritengo che questa sia stata davvero un'occasione in cui, al di là dei problemi sollevati dal P.D.U.P. (che appunto non ci toccano per quanto riguarda il nostro atteggiamento), e debbo darne atto a tutte le forze politiche che hanno partecipato a queste trattative, le cose sono andate secondo un principio corretto di rappresentanza tra maggioranza ed opposizione. Si è anche determinata - e questo riguarda un'iniziativa che potrà venire dalla Giunta e dagli stessi Gruppi politici - una prima intesa di larga massima sulla necessità di andare ad un rapporto per le presidenze che sia tale dà implicare una modifica, probabilmente, della legge attuale sui CO.RE.CO., cioè di non avere più presidenti a rotazione ma di verificare la possibilità di avere presidenti stabili per cinque anni, e ciò per ovvie ragioni di funzionalità ed anche per l'esperienza della passata legislatura, in parte non del tutto positiva sotto questo aspetto.
Non è un'intesa già vincolante, ripeto, è stato raggiunto come principio di larga massima, le forze politiche faranno le loro osservazioni; per quanto ci riguarda, come Gruppo comunista, è già una decisione specifica ma, evidentemente, se si addivenisse a questo occorrerà procedere nei venti mesi a venire, alla modifica necessaria in questo senso della legge sui CO.RE.CO.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

In questa votazione si è modificato il criterio che proprio le forze di maggioranza avevano introdotto nel 1975. Nel 1975 si era proceduto rispettando proporzionalmente la consistenza numerica delle forze politiche in seno al Consiglio regionale.
In questa occasione è stato proposto un criterio diverso che, pur correggendo parzialmente i voti che spettano alla maggioranza ed alle opposizioni, ha cercato di adeguarsi diversamente alla realtà del Consiglio regionale. In questo spirito, anche la nostra forza politica ha accettato un diverso riparto al di là della pregiudiziale che già in precedenti elezioni era stata sostenuta nei riguardi del M.S.I. Anche la nostra forza politica ha accettato una rappresentanza inferiore a quella che sarebbe stata la proporzionale all'interno dei posti spettanti alle opposizioni e ha cercato, con il P.L.I. e il P.R.I. di raggiungere un equilibrato rapporto.
La nostra forza politica non può non rilevare quello che accade nelle forze di maggioranza, così come è stato denunciato esplicitamente da parte del collega del P.D.U.P., il quale vistesi assegnate in un primo tempo due rappresentanze al momento della votazione si vede invece escluso. E' evidente che qualche fatto di rilevanza politica si è verificato all'interno delle forze di maggioranza e di questo fatto noi prendiamo atto.
Per quanto riguarda l'ultima precisazione del collega Revelli debbo rilevare che effettivamente in sede di discussione si è ventilata l'opportunità di modificare la legge rendendo operante per i cinque anni la presidenza. Un pronunciamento del mio Gruppo su questo avverrà nel momento in cui sarà formalizzata una proposta di legge.



PRESIDENTE

La parola al collega Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Due brevi considerazioni prima di questa votazione.
La prima per dare atto alle due maggiori forze politiche del Consiglio regionale di aver dimostrato una sensibilità ai problemi della rappresentanza dei partiti con minor peso in quest'aula e di aver quindi consentito loro una presenza significativa sia per numero che per collocazione geografica.
La seconda considerazione è che lo spirito dell'intesa non era quello di fare una divisione tra maggioranza e minoranza, lasciando poi Che maggioranza e minoranza si risolvessero i problemi al loro interno, ma quello di trovare un'equilibrata presenza di tutte le forze politiche.
Noi rileviamo che questo, per il Partito Democratico di Unità Proletaria, non è avvenuto.



PRESIDENTE

La parola al collega Viglione.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente, rilevo che sino ad oggi tutte le nomine che il Consiglio ha affrontato si sono risolte con generale soddisfazione.
La ripartizione dei posti non può essere meramente numerica ma deve avvenire sulla base di ciò che rappresentano le forze politiche all'interno del Consiglio, di ciò che sono, di come si esprimono. Rifiutiamo quindi una suddivisione proporzionale sempre e ad ogni costo. Né vogliamo apparire per quelli che in poche occasioni sembrano essere favoriti dalla sorte. Non di questo si tratta. Si tratta invece del peso che ogni forza ha all'alterno di uno schieramento. Esiste una nostra iniziativa volta a consolidare le nomine nel quinquennio con un procedimento legislativo, che capovolgerà il termine della legge sui Comitati di Controllo e che garantirà la certezza e la stabilità, assi portanti della nostra politica.



PRESIDENTE

La parola alla signora Bianca Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, effettivamente comporre questo mosaico di 75-80 tessere non è stata una cosa facile. Noi abbiamo contribuito con la nostra discrezione, con la nostra comprensione consapevoli che della consistenza di ciascun Gruppo nell'ambito di questo Consiglio si dovesse tener presente, anche se ritenevamo che, vista l'enorme disponibilità di posti in questo caso, quando una forza politica abbia l'opportunità di garantire la sua presenza attraverso un rappresentante, potesse essere lasciato ampio spazio anche alle altre forze. Questo, per esempio, ha fatto il P.C.I. nella distribuzione degli incarichi per quanto riguarda la maggioranza, noi abbiamo apprezzato questo atteggiamento; ci saremmo augurati che la D.C., di cui peraltro consideriamo sempre la consistenza elettorale ed il peso che ha nella comunità regionale, avesse riguardo ai partiti minori una maggiore attenzione, soprattutto per quanto riguarda le collocazioni, cosa che non è potuta avvenire, per cui le nostre richieste in una serie di distribuzioni in un primo tempo non erano state tenute presenti, né in un secondo tempo se oggi abbiamo una distribuzione che ci garantisce e ci Soddisfa dobbiamo ringraziare la cortesia del Partito Liberale che ha consentito questo definitivo accordo.
Detto questo, credo che questo momento, al di là delle nomine di per se stesse, sia anche un'occasione di riflessione per il fatto che dalle nomine che effettuiamo oggi si vanno a definire dei gruppi di persone che controlleranno gli atti dei nostri Enti locali e dalla professionalità e dalla competenza che dimostreranno queste persone dipende, in ultima analisi, il funzionamento della macchina burocratica della nostra comunità piemontese. Io vorrei assicurare il Consigliere del M.S.I. che la professionalità che egli auspicava e che secondo lui era messa in dubbio dalle nomine che facciamo oggi, è garantita dalla legge, in quanto essa prescrive appunto che le nomine relative ai CO.RE.CO. devono rispondere ad alcune caratteristiche che io credo le persone segnalate hanno e, comunque se non avranno, risulterà e questo lo vedranno poi gli organi competenti.
Detto questo credo che abbiamo tutti segnato persone che per professionalità e dignità ci possono garantire.
Annuncio il mio voto favorevole per le nomine che andiamo a produrre.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Vorrei che risultasse chiaro a tutti che le indicazioni che sono state date (perché ovviamente per votare 75 nomi ci vogliono delle indicazioni) per il CO.RE.CO. di Alba-Bra sono le stesse sia per la maggioranza che per l'opposizione, mentre invece l'opposizione deve votare il repubblicano Notarianni. Mi faccio carico di questo perché non vorrei che il repubblicano non fosse poi eletto. Con l'occasione mi permetto solo ricordare a chi non lo ha sufficientemente rilevato (e per non incorrere nella stessa situazione di Montefalchesi che non ha fatto i nomi, con molta schiettezza mi rivolgo al Capogruppo del Partito Repubblicano) che il Gruppo della D.C. se votasse come dovrebbe aver diritto secondo legge eleggerebbe 15 effettivi e 15 supplenti.



PRESIDENTE

Procediamo ora alla votazione a scrutinio segreto.
Si distribuiscano le schede.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



PRESIDENTE

In base all'esito dello scrutinio effettuato dall'Ufficio di Presidenza, comunico il risultato delle votazioni: Commissione di controllo sugli atti delle Province (Art. 55 legge 10/2/1953, n. 62 e legge regionale 12/8/1976, n. 42) Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Simonetta Rosario n. 23 Rizzo Giuseppe n. 23 Borsano Gregorio n. 20 Membri supplenti Zanino Leonardo n. 22 Canavesio Giorgio n. 21 schede bianche n. 1 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Torino Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Scaparone Paolo n. 23 Lombardo Fedele n. 23 Piacenza Domenico n. 18 Membri supplenti Lerro Ricciotti n. 23 Mortarino Giorgio n. 19 schede bianche n. 2 Li proclamo eletti Sezione Decentrata Di Ivrea Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Ziliotto Roberto n. 23 Ladda Giuseppe n. 23 Pizzotti Giuseppe n. 19 Membri supplenti Bellardi Gianfranco n. 23 Sado Giovanni n. 20 schede bianche n. 2 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Mondovi' Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Giusta Giovanni n. 23 Oggerino Umberto n. 23 Gasco Mario n. 20 Membri supplenti Basteris Fulvio n. 23 Gastaldi Antonio n. 20 schede bianche n. 2 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Asti Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Bolla Mauro n. 20 Visone Carlo n. 20 Fracchia Fausto n. 23 Membri supplenti Cha Pier Lauro n. 23 Gambino Luigi n. 19 schede bianche n. 1 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Alessandria Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Dellepiane Rinaldo n. 23 Emanuelli Pietro n. 23 Molinari Danilo n. 21 Membri supplenti Rolando Claudio n. 23 Alvigini Giuseppe n. 21 schede bianche n. 1 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Casal Monferrato Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Core Secondo n. 23 Romussi Italo n. 23 Gerini Armando n. 20 Membri supplenti Romussi Franco n. 23 Federico Mario n. 21 schede bianche n. 1 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Novara Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Milanesi Angelo n. 22 Fanchini Mario n. 22 Barisonzo Romolo n. 19 Membri supplenti Clementoni Franco n. 22 Cattaneo Paolo n. 20 schede bianche n. 3 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Biella Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Marcone Giuseppe n. 18 Barbone Giovanni n. 23 Cassisa Francesco n. 23 Membri supplenti Tucci Guido n. 19 Caccamo Arcangelo n. 23 schede bianche n. 3.
Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Pinerolo Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Pron Cecilia n. 23 Troina Carmelo n. 23 Deorsola Sergio n. 19 Membri supplenti Scotta Pier Giorgio n. 22 Bella Gioacchino n. 20 schede bianche n. 2 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Cuneo Presenti e votanti n. 45 hanno riportato voti: Membri effettivi Guarino Sebastiano n. 23 Borgna Luigi n. 23 Lazzari Giuseppe n. 18 Membri supplenti Viara Francesco n. 23 Sacco Erminio n. 19 schede bianche n. 3 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Alba - Bra Presenti e votanti n. 44 hanno riportato voti: Membri effettivi Bonaudi Bernardino n. 21 Cerrato Ugo n. 21 Boffa Roberto n. 19 Membri supplenti Brovida Costanzo n. 22 Notarianni Vittorio n. 16 schede bianche n. 3 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Saluzzo - Savigliano - Fossano Presenti e votanti n. 44 hanno riportato voti: Membri effettivi Bertoglio Bernardino n. 19 Cornaglia Enrico n. 19 Zali Franco n. 23 Membri supplenti Sabre Francesco n. 17 Botto Walter n. 23 schede bianche n. 2 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Del Verbano - Cusio - Ossola Presenti e votanti n. 44 hanno riportato voti: Membri effettivi Rago Nicolino n. 23 Baldini Enea n. 23 Negri Cesare n. 19 Membri supplenti Mico Franco n. 23 Venturino Michele n. 19 schede bianche n. 2 Li proclamo eletti.
Sezione Decentrata Di Vercelli Presenti e votanti n. 44 hanno riportato voti: Membri effettivi Bosso Giuseppe n. 23 Luparia Giovanni n. 23 Comoli Roberto n. 19 Membri supplenti Szegoe Ludovico n. 23 Sola Mario n. 19 schede bianche n. 2.
Li proclamo eletti.


Argomento: Nomine

b) Designazione di due terne di esperti nelle discipline amministrative per la costituzione della Commissione di Controllo sugli atti della Regione


PRESIDENTE

Procediamo ora con la "Designazione di due terne di esperti nelle discipline amministrative per la costituzione della Commissione di Controllo sugli atti della Regione".
Rendo noto che occorre procedere alla designazione di due terne di nomi, fra i quali verranno scelti due esperti nelle discipline amministrative quali membri effettivi della Commissione di Controllo prevista dall'art. 41 della legge 10/2/1953, n. 62 (nonché un esperto quale membro supplente). I designati dovranno essere iscritti nelle liste elettorali di un Comune della Regione, relative ai cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei Deputati. Ogni Consigliere vota per una sola terna.
Ricordo che sono state proposte le due terne seguenti: Terna n. 1 Chiarloni Sergio Romita Domenico Nebiolo Vietti Mauro Terna n. 2 Pizzetti Francesco Bachi Emilio Consacchi D'amelia Giorgio Si distribuiscano le schede per la votazione.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti n. 40 Terna n. 1: voti n. 22 Terna n. 2: voti n. 18 Le due terne di esperti di cui all'art. 41 della legge 10/2/1953, n.
62, risultano quindi composte nel modo sopra indicato.
Le nomine sono così esaurite.


Argomento: Norme finanziarie, tributarie e di contabilita

Dibattito sulla riforma della finanza locale (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo il dibattito sulla riforma della finanza locale.
La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

A noi sembra che in queste settimane stiano venendo a maturare scelte molto gravi. Da una parte, attraverso il decreto 901, si configura una rigidità ed una riduzione della spesa da parte dello Stato agli Enti locali; dall'altra una stretta creditizia. Sono scelte queste alle quali sottostà una scelta di fondo, a nostro avviso, una scelta da parte del Governo recessiva, che si accompagna ad una scelta del padronato che fa della recessione e della disoccupazione una scelta di lungo periodo: sono entrambe queste scelte che, per essere gestite, necessitano di una riduzione degli spazi di controllo democratico e di intervento sulle decisioni da parte dei cittadini e delle istanze di movimento. Infatti, a noi sembra che quello che sta avvenendo è un accentramento sempre maggiore nel Governo delle decisioni (guardiamo la vicenda del 901 che tenta di relegare in qualche modo i Comuni come braccio del Governo e semplici gestori di servizi; guardiamo alla vicenda del 760 che espropria le Regioni dalla gestione del collocamento, un provvedimento sicuramente neoliberista). Si prefigura cioè, a nostro avviso, una riforma istituzionale che significa una restrizione degli spazi di partecipazione e, quindi, di democrazia.
Per ritornare all'argomento in specifico, riteniamo che il decreto 901 sia da modificare radicalmente, appunto perché i suoi contenuti si collocano in questa logica che poco sopra affermavo. Certo, non tutti gli Enti locali sono in grado di spendere e spendere bene: è necessario un controllo e, soprattutto, una qualificazione della spesa degli Enti locali ma come facciamo in modo che ci sia una qualificazione della spesa ? A me non sembra che una qualificazione della spesa degli Enti locali possa avvenire impedendogli di spendere; mi sembra piuttosto che una qualificazione ed un controllo della spesa degli Enti locali possa avvenire attraverso un obbligo alla programmazione della spesa, in un quadro di programmazione regionale e nazionale. In questo modo si controlla e certamente si qualifica la spesa. Però, a noi sembra che questo significhi respingere la logica dei decreti-tampone come questo, che non permettono nessuna programmazione, ed andare quindi ad una radicale modifica della finanza locale che deve permettere agli Enti locali di partecipare al rinnovamento dell'economia, programmando gli interventi e recependo la partecipazione dal basso alla programmazione degli interventi; crediamo anche che questo sia l'unico modo per estendere la democrazia intesa come allargamento della partecipazione; crediamo sia anche l'unico modo per affrontare con profitto i gravi problemi che abbiamo nella nostra società.
Mettere un tetto di spesa che è inferiore ai livelli di inflazione dell'80, significa di fatto ridurre le risorse degli Enti locali e questo significa fare i conti con delle cose molto precise. Significa porre in condizione gli Enti locali di non far fronte e di non poter rispondete alla domanda di servizi, significa interrompere in molti casi opere già avviate con riflessi anche sull'occupazione, significa un ulteriore rischio di distacco tra istituzioni e cittadini. Ciò vuol dire che speriamo che nella modifica profonda di questo decreto si prevedano incrementi di spesa flessibili in base alle entrate tributarie dello Stato.
Riteniamo non sia accettabile l'obbligo dei pareggi tra costi e ricavi per i servizi sociali, perché questo significa vanificare la concezione stessa dei servizi sociali: un servizio, se è servizio sociale, non pu sottostare all'obbligo del pareggio tra costi e ricavi, come non è accettabile il modo di andare ad individuare un'area impositiva per i Comuni e per gli Enti locali. Sostanzialmente con la manovra tariffaria si punta a colpire i consumi. Riteniamo che ciò sia inaccettabile, come è inaccettabile (e anche qui sembra sia superato, però sarà bene aprire gli occhi prima di dare per scontate alcune cose) la tassa delle 10 lire sull'energia elettrica. Spero sia veramente superato il vincolo di far ricorso alla tassa delle 10 lire per andare ad accedere a mutui presso istituti diversi dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Vorrei finire queste brevi note sottolineando che è certamente necessario andare alla ricerca di un'area impositiva autonoma degli Enti locali. Questo è veramente un modo, l'unico modo, per far partecipare i Comuni alla programmazione, permettere ai Comuni una previsione di spesa che non sia legata ai decreti-tampone del Governo. Questo vuol dire orientarsi, fare delle scelte precise, certamente non indolori, nella ricerca di un'area impositiva. Noi riteniamo che le scelte debbano orientarsi verso una tassazione dei patrimoni e verso un coinvolgimento degli Enti locali contro l'evasione fiscale, assegnando agli Enti locali una quota delle somme recuperate all'evasione fiscale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente e colleghi, non abbiamo esitazioni od incertezze nel parlare tra contrasti ed interruzioni; confessiamo invece di avere un grande imbarazzo quando ci tocca parlare a quest'ora, in questa atmosfera di problemi così complessi, quali quelli che si definiscono finanza locale.
Se la Presidenza lo consente, in via del tutto eccezionale, consegnerò un testo scritto, affrettando notevolmente i tempi. Tuttavia mi permetto di fare tre osservazioni: intendevo partire criticando la metodologia attraverso la quale si è giunti a questo dibattito. Il compito di istruirlo era stato affidato alla I Commissione; non si è fatto nella scorsa settimana, si è rinviata la discussione a questa settimana, siamo ancora oggi privi di alcuna documentazione specifica. Si dice che questo è avvenuto per contrasti tra P.C.I. e P.S.I. nella stesura dei documenti. Sta di fatto che, su una materia così incerta, complicata e difficile, noi partiamo senza un punto preciso di riferimento.
Sul decreto Andreatta mi limito a dire che dopo cinque provvedimenti tampone, vi era motivo giustificato di sperare, anzi, di pretendere che si arrivasse a qualcosa che mutasse radicalmente il panorama della finanza locale. Invece siamo di fronte ad un progetto-ponte. Così è avvenuto con lo Stammati 1, con lo Stammati 2, con il Pandolfi 1, con la legge finanziaria con il Pandolfi 2. E' dal 1977, in sostanza, che si continua ad andare avanti In questo modo.
Nel merito del decreto: non esito a definirlo un furbesco tentativo del Governo centrale di tagliare le entrate agli Enti locali scaricando su questi la responsabilità o di non garantire gli stessi livelli di servizi e di investimenti in opere pubbliche, quali quelli dell'anno precedente oppure, l'impopolarità di definire odiose e vessatorie imposte addizionali sul consumo dell'energia elettrica, sulla nettezza urbana, sull'acqua, ecc.
In conclusione, ripetiamo che la riforma locale è importante, ma che nessuna riforma locale può prescindere dalla pregiudiziale riforma dello Stato. Ci eravamo ripromessi di dire tutto questo. Se il Presidente lo consente consegniamo il nostro intervento.



PRESIDENTE

D'accordo. Il suo intervento verrà allegato agli atti.
La parola ora all'avvocato Simonelli in veste di Consigliere.



SIMONELLI Claudio

Signor Presidente, parlerò come Consigliere regionale del Gruppo socialista, pèrché per la Giunta, a conclusione del dibattito, replicherà il collega Testa, con ciò deludendo le attese della signora Vetrino Nicola che voleva da me autorevoli informazioni dell'ultima ora sull'andamento della discussione al Senato in ordine all'argomento della finanza locale: se gliele fornirò come Consigliere socialista credo valga lo stesso.
Voglio precedere queste informazioni, però, succintamente con due considerazioni di carattere generale che ritengo vadano tenute presenti nel momento in cui valutiamo la situazione della finanza locale alla luce del decreto 901. Innanzitutto una valutazione critica sui ritardi con i quali la materia viene disciplinata e che anche quest'anno hanno portato le iniziative del Governo alla fine dell'anno (il decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre): è una prassi consolidata, tutti gli anni accade così, però non c'è dubbio che questo elemento aggrava le difficoltà con cui gli Enti locali sono alle prese. E' vero che il decreto del Governo si accompagnava - e qui introduco la seconda considerazione di carattere generale - ad un disegno di legge a cadenza triennale che rappresenta un elemento di novità significativo ed interessante e che peraltro, per l'iter parlamentare ha un destino ed una strada da percorrere assai più lunga.
Fatta questa critica di metodo che ancora una volta pesa sulla capacità e sulla possibilità degli Enti locali di redigere tempestivamente i loro bilanci, dobbiamo dire che siamo in presenza di un provvedimento (che io manterrei correlato al disegno di legge triennale) che rappresenta anche qualche significativo passo in due direzioni: da un lato nella razionalizzazione della normativa che regola la finanza locale e dall'altro, un primo passo verso la riforma, anche se certamente di riforma non si può ancora parlare in relazione a questo provvedimento.
Vorrei dire che una discussione molto pacata e serena su questa materia deve ormai passare oltre il testo iniziale del decreto Andreatta, perché il testo così come è stato licenziato dalla Commissione Finanza del Senato è cosa per molti aspetti diversa ed è inutile, quindi, riprendere tutta una serie di argomentazioni polemiche relative al primo testo, quando siamo in presenza del secondo testo che in queste ore il Senato in aula sta esaminando. Io personalmente ho forti dubbi che questo decreto venga convertito in legge nei tempi previsti, perché il Senato oggi affronterà la discussione generale (e non la esaurirà), si prevede che l'approvazione in aula abbia luogo a metà della settimana prossima; poi il provvedimento deve passare alla Camera che, tra l'altro, ha in discussione le modifiche del Regolamento: si teme, quindi, che la conversione non si verifichi e che si debba pertanto presentare un altro decreto.
In ogni modo, non mi pare che questo tolga significato alle cose che voglio rimarcare, cioè che questo decreto ha subito durante il lavoro di Commissione una significativa serie di emendamenti che lo hanno notevolmente migliorato. Io, valutando a nome del Gruppo socialista questi emendamenti e le modifiche apportate al decreto, mi sento di dire che il lavoro svolto dalla Commissione è stato migliorativo - l'apporto recato dal Gruppo senatoriale del mio partito è stato importante - ed oggi ci troviamo di fronte ad una norma che per molti versi ha cambiato il testo iniziale.
Vorrei soprattutto considerare la norma sotto alcuni punti più significativi. Intanto la considerazione degli investimenti: all'art. 9 è prevista una garanzia di finanziamento da parte della Cassa DD.PP. degli investimenti degli Enti locali per la prima volta su base triennale.
Abbiamo, cioè, in un provvedimento legislativo (e quindi con un impegno formale del Governo) l'impegno a finanziare gli investimenti degli Enti locali in misura predeterminata e, complessivamente, pari a 12 mila miliardi nel triennio '81-'83, che è un primo risultato importante. Ci significa aprire la possibilità alla redazione dei bilanci pluriennali degli Enti locali, almeno per la parte relativa agli investimenti in conto capitale. Ai 12 mila miliardi vanno poi aggiunti i 1.000 miliardi per i Comuni terremotati, che vengono concessi nel corso del 1981 - e quindi per l'81 la tranche di finanziamento ammonta a 5 mila miliardi - più investimenti fuori Cassa DD.PP. che sono stati indicati dal Governo per il 1980 in una misura complessivamente pari a circa 1.500 miliardi, con presunzione che anche nell'81 si tratti di una cifra corrispondente.
Inoltre, i 1.500 miliardi circa della legge Merli, che vengono impegnati dalla Cassa DD.PP. nel corso dell'81, anche se sono riferiti ai progetti precedentemente presentati dalle Regioni, più, ancora, una cifra non ancora certa che in Commissione è oscillata intorno ai 180-500 miliardi degli istituti di previdenza. Quindi, il complesso delle risorse disponibili nel 1981 ammonta a circa 8 mila miliardi, che sono certamente più delle risorse - anche scontando il tasso di inflazione - disponibili nel 1980.
Secondo risultato, che non è ancora acquisito del tutto, ma che nel testo della Commissione è molto significativo ed importante, è che nella previsione degli interventi della Cassa Depositi e Prestiti è mantenuta la norma che prevede il 40 % vincolato ad investimenti che "siano in armonia con i principi ispiratori dei programmi regionali di sviluppo, ove esistenti". Il che vuol dire che viene per la prima volta introdotta una norma che rende concreto l'art. 11 del D.P.R. 616, cioè che salda la programmazione regionale con gli investimenti degli Enti locali, attraverso una procedura i cui risvolti non sono ancora tutti chiari, ma che comunque, rappresenta un fatto significativo ed importante. E' possibile che in aula venga presentato un emendamento che stabilisca chi decide della coerenza tra i programmi regionali e gli investimenti degli Enti locali ed è anche possibile che in sede transitoria questa verifica di coerenza venga affidata allo stesso Comune (il quale certifica attraverso il suo legale rappresentante che il suo finanziamento è coerente con il piano regionale di sviluppo); è una forma abbastanza anomala, rispetto alla quale io personalmente ho avanzato delle critiche in sede di partito, ma che potrebbe essere una soluzione rispetto alla linea di tendenza, che per chiarezza dobbiamo dire attraversa tutti i partiti, intesa a sopprimere tout court la lettera d) dell'art. 9. C'è stata una linea di tendenza a livello del Senato che era in questo senso: poiché non tutte le Regioni hanno i piani regionali di sviluppo e siccome chiedere una verifica di coerenza dei programmi degli Enti locali rispetto ai programmi regionali significa una perdita di tempo, è meglio soprassedere e lasciare che siano finanziati i programmi autonomi dei Comuni. Credo che vincere su questo punto - e sarebbe paradossale ed assurdo che il Parlamento su questo terreno facesse un passo indietro rispetto alla linea del Governo significa mantenere ancorata la programmazione regionale come momento qualificante di raccordo con la finanza locale, anche se in fase transitoria, per il 1981, è anche possibile che la soluzione adottata non sia la più razionale: evidentemente, però, non mancheranno alle Regioni strumenti per intervenire, senza rallentare il ritmo dei finanziamenti anch'esse nella fase di verifica di coerenza. Tra l'altro, noi Piemonte non abbiamo alcuna difficoltà a far questo, perché tra piani comprensoriali piani pluriennali di attuazione dei Comuni e verifica che siamo in grado di fare, indirizzi dei piani di sviluppo, abbiamo mezzi sufficienti per esercitare questa verifica senza rallentamento alcuno. Non tutte le Regioni sono in condizioni di farlo e questo determina una relativa sfiducia nella programmazione regionale da parte dei Senatori.
Un altro punto di variazione al decreto iniziale riguarda la possibilità di estensione da parte della Cassa DD.PP. della facoltà di finanziare anche con mutui integrativi gli oneri derivanti da aumenti d'asta e, parrebbe, anche nel caso in cui il mutuo iniziale non fosse concesso dalla Cassa DD.PP. Le possibilità di indebitamento riconosciute ai Comuni sono state ampliate con una nuova disciplina dell'art. 12, che prevede tre possibilità per i Comuni di contrarre mutui al di fuori della Cassa DD.PP.: per finanziare revisione prezzi per le opere in corso di realizzazione; per quegli interventi che la Cassa DD.PP. pur potendo fare per Statuto non fa di fatto e per quegli interventi che la Cassa DD.PP. non può fare per Statuto. Nel secondo caso i Comuni devono finanziare con risorse proprie soltanto la differenza tra l'onere che sarebbe coperto dalla Cassa DD.PP. e l'onere coperto dal contributo dello Stato. Inoltre norma ancor più significativa, la possibilità di indebitamento dei Comuni al di fuori della Cassa DD.PP. non è più correlata con l'introduzione del sovracanone sui consumi di energia elettrica che diventa una misura quindi, del tutto discrezionale e del tutto libera quanto al suo impiego poiché è solo una delle possibilità con cui far fronte agli oneri derivanti dai mutui e non la condizione esclusiva. Quindi, questa norma così ridisegnata diventa meno soggetta alle critiche di cui poteva essere fatta oggetto nella prima stesura, perché diventa una misura che i Comuni applicano se lo credono e il cui utilizzo viene comunque lasciato alla discrezionalità dell'Amministrazione comunale.
In questo complesso di misure viene fuori il riconoscimento che seppure su casi che non sono da manuale, e sui quali anche noi non siamo convinti che debbano essere i capisaldi della riforma, tuttavia, il ripristino di una parziale capacità impositiva autonoma in capo ai Comuni deve essere salutato come un'inversione di tendenza rispetto alle linee accentratrici della riforma del '73.
Sono: state introdotte altre variazioni significative, praticamente tutti gli articoli sono stati sottoposti a mutamento: per esempio, l'art.
19, che tratta il .fondo speciale per il personale, prevede l'incremento non più fino al 16 ma fino al 25 %, secondo le richieste avanzate dall'ANCI, come l'anno scorso; ancora, sono ridotti i limiti di applicazione degli incrementi di tasse di cui all'art. 6 (la tassa per raccolta dei rifiuti solidi urbani può essere applicata solo nella misura massima del 50 % e l'addizionale sulla pubblicità e sul plateatico fino ad un massimo del 20%).
All'art. 21, per quanto riguarda il piano di riorganizzazione, è aumentata la possibilità di coprire i posti dal 25 al 30 %.
Naturalmente, nel corso del dibattito in aula, può essere che siano ulteriormente presentati degli emendamenti, anzi noi auspichiamo che su alcuni punti il testo della legge possa essere ulteriormente corretto, in modo particolare su tre punti più significativi. Intanto, per quanto riguarda il fondo di perequazione ex art. 25, sul quale vi è una posizione che noi sosteniamo (e ci pare che sia sostenuta anche dai Gruppi senatoriali del P.C.I., del P.R.I. e del P.S.D.I.) intesa a far ripartire il fondo iniziando non già dai Comuni con meno popolazione, ma da quelli che maggiormente si discosta no dalla media, in modo da privilegiare le situazioni di maggiore criticità rispetto alle posizioni dei Comuni più piccoli che hanno pure dei problemi, ma di minore gravità in confronto a dei Comuni metropolitani angustiati da difficoltà enormi. Su questo punto qualificante vi sono emendamenti in discussione al Senato.
E' inoltre in discussione la richiesta di aumentare almeno di un punto percentuale il 16-18% di incremento sulle spese correnti, anche se a questo proposito è stata introdotta una norma che è pure di un certo interesse perché prevede la possibilità di un conguaglio in corso d'anno, cioè sulla base delle determinazioni in ordine al tasso di inflazione contenute nella relazione previsionale programmatica presentata dal Governo per il 1982.
Praticamente, nel pre-consuntivo contenuto nella relazione previsionale programmatica si potrà fare un conguaglio per verificare quello che manca tra il 16-18 % e il tasso rilevato in concreto di inflazione, per compensare i Comuni di questa minore entrata.
Un ultimo punto riguarda il fondo per i trasporti, c o n proposta di aumentare l'aliquota destinata al ripiano, pur entro la fissazione di un tetto complessivo nel quale lo Stato ripiana il disavanzo.
Credo di essere stato sintetico in ordine a queste ulteriori possibilità di miglioramento, e mi avvio a concludere dicendo che su questa materia non c'è dubbio che si stanno mettendo a fuoco, in modo sempre più evidente e sempre più unitario da parte delle forze politiche, alcuni criteri di gestione di questa fase di transizione tra l'emergenza e la riforma.
Attraversiamo, indubbiamente, un momento di maggiore razionalizzazione nella disciplina della finanza locale, cosa che è stata riconosciuta da autorevoli esperti indipendenti che vedono nel sistema delineato con queste misure un passo avanti significativo. Peraltro, dobbiamo dire che questa non è la riforma, anche se in qualche modo la anticipa e che, comunque sia di riforma c'è sempre più bisogno, proprio ad evitare lo sbrandellamento continuo della disciplina e, soprattutto, l'emergere di orientamenti tesi ad un recupero centralista di decisioni e di risorse. Io sono rimasto molto preoccupato della relativamente diffusa sfiducia verso le Regioni che si trova a livello parlamentare e che, se è motivata da talune inefficienze di cui le Regioni si sono rese responsabili in questi anni, e se varca il limite delle doverose critiche ed investe il ruolo delle Regioni, rischia di portare ad un disegno neocentralista, anche se si ammanta poi di una possibilità di raccordo con gli Enti locali, che utilizza argomenti pseudoefficientisti per dimostrare ai Comuni che la Regione è un filtro inutile, che rallenta e rende più difficile lo svolgimento dell'attività dei Comuni e, come tale, deve essere ridotta il più possibile nei suoi interventi. Se questa linea passasse, paradossalmente avremmo da un lato il piano triennale, che facendo ripartire l'ipotesi della programmazione richiede necessariamente il ruolo delle Regioni e, dall' altro, avremmo invece le misure finanziarie e la politica gestita dal Ministero del Tesoro e dal Ministero dell'Interno che viene invece a saltare le Regioni e a stabilire dei rapporti diretti sul terreno finanziario tra lo Stato ed i Comuni. Questa divaricazione delle linee di orientamento del Governo è pericolosa, perché rischia di creare alibi per chi non vuole partecipino le Regioni neppure alla fase di programmazione. Anche qui le Regioni sono chiamate ad una sfida importante, perché il pia no triennale rappresenta una base accettabile in cui collocare le iniziative programmatorie delle Regioni, a patto naturalmente che non sia un'occasione di verifica e di confronto puramente burocratica e formale, come è accaduto per il passato ma sia un'occasione per le Regioni di collocare i loro programmi e progetti operativi all'interno dei progetti che compongono il piano triennale. Se le Regioni venissero saltate, sotto il pretesto che non tutte sono in grado di partire, che non tutte hanno progetti immediatamente finanziabili, che non tutte possono entrare a pieno titolo tra gli enti capaci di operare, la stretta centralistica diverrebbe mortale e ci ridurremmo ad essere nemmeno più i terminali di un processo di spesa deciso tutto al centro, perché per fasi rilevanti di spesa verremmo saltati a piè pari e si arriverebbe ad un rapporto diretto Stato - Enti locali. L'ente intermedio inutile in questo disegno diventerebbe la Regione. Mentre si danno delle valutazioni che a nostro avviso possono essere positive per taluni aspetti e critiche per altri, sui provvedimenti all'esame del Parlamento, va ribadito il ruolo che le Regioni sono in grado di giocare sia sul tema della finanza locale sia su quello della programmazione, come momento imprescindibile per una riorganizzazione dell'insieme del settore pubblico allargato; sotto questo profilo possono essere individuate nel documento che il Consiglio andrà a votare le posizioni nostre riguardo al problema.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Non avevo intenzione di intervenire in questo dibattito non perché il tema della finanza locale non fosse importante, ma perché ritenevo che meritasse una preparazione che per il calendario fitto di impegni non mi era stata possibile. Dopo l'intervento del Consigliere Simonelli per ritengo che debba essere fatta da parte nostra una precisazione oltre ad una considerazione di carattere politico. Sarò breve così recupero il tempo che Simonelli ha occupato, peraltro in modo importante, facendo una considerazione.
Concordo con l'affermazione di principio che non si possa assumere, a giustificazione di provvedimenti di finanza locale, lesivi del ruolo centrale delle Regioni, il pretesto che le Regioni non funzionino. Le Regioni devono essere messe in condizione di funzionare, ma deve essere riconosciuta una loro pienezza di ruolo. L'unico nostro punto di perplessità sulle impostazioni di Simonelli è che dobbiamo intenderci se il ruolo programmatorio delle Regioni debba essere speso in un controllo sulla totalità degli interventi che nella Regione si svolgono o non debba più utilmente essere concentrato su alcune grandi scelte strategiche per cui in effetti la programmazione assuma un ruolo ed un significato. Il controllo del 40% riservato ai programmi regionali di sviluppo deve avvenire sulla totalità degli interventi, anche di quelli minuti e frantumati, o le Regioni non devono, di fronte alle difficoltà di esercitare in concreto questo ruolo, puntare invece sull'accorpamento degli interventi di rilevanza strategica regionale e quindi sull'efficacia di un'effettiva programmazione regionale? Questo è l'unico contributo che mi sembra di dover portare all'analisi fatta da Simonelli. Mi sembra che sia anche importante una considerazione politica. Ci siamo trovati in questo Consiglio a discutere del problema della finanza locale in un quadro completamente diverso da quello che avevamo registrato in Commissione: tanto era allarmistica, semplicistica e strumentale la forzatura della polemica antigovernativa in sede di Commissione, quanto è stata invece problematica, riflessiva, attenta condivisibile l'analisi che su questo tema è stato svolto dal Consigliere Simonelli.
Mentre da parte nostra vi era un'assoluta indisponibilità ad unire il consenso del nostro partito a ordini del giorno che fossero semplicistici allarmistici e strumentali, così c'è da parte nostra l'impegno a ricercare una soluzione unitaria a chiusura di questo dibattito, martedì prossimo.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Testa per la replica.



TESTA Gianluigi, Assessore alle finanze

Vorrei esprimere alcune considerazioni generali sul problema della finanza locale, anche per completare il quadro che è stato qui fatto.
Innanzitutto, credo vada rilevato l'aspetto emerso anche da alcuni interventi di un miglioramento che questo disegno ha avuto nella fase di passaggio dalla prima stesura all'attuale discussione. Questo miglioramento, se indubbiamente lascia aperte tutta una serie di critiche relativamente al modo in cui il discorso della finanza locale viene affrontato, fa segnare però alcuni passi avanti importanti. Credo che la critica maggiore che si possa ancora fare è quella della mancanza di un quadro di insieme, quella del continuo rincorrersi dei provvedimenti annuali sulla finanza locale, che non consentono mai di fare una programmazione di tipo politico, ma che costringono gli Enti locali di anno in anno ad adeguarsi alla situazione. In questo senso era diretta la critica che i Presidenti delle Regioni avevano fatto in una riunione critica per molti aspetti oggi superata dalle novità che Simonelli ci ha portato, alla luce delle quali quel documento delle Regioni andrebbe rivisto. Manca sempre questo quadro di insieme, il che non consente alle Regioni, che hanno la funzione fondamentale di programmazione, di svolgere questo ruolo pienamente. Qui si innesta il discorso relativo al 40% dei fondi assegnati ai Comuni, ma che dovrebbe essere coerente con il disegno di programmazione regionale. Credo che questo elemento sia fondamentale fra gli aspetti innovativi del decreto, perché per la prima volta introduce un vincolo all'utilizzo dei finanziamenti per i Comuni, che è un vincolo di coerenza rispetto ad un disegno più ampio che è quello programmatorio della Regione.
Mi pare che questo tipo di vincolo venga mantenuto anche nell'attuale iter parlamentare, anche se condivido i dubbi espressi a titolo personale da Simonelli: se questa coerenza tra gli investimenti comunali ed il piano di sviluppo regionale fosse certificata dallo stesso Comune, non è che dobbiamo porci in un'ottica di diffidenza nei confronti dei Comuni, visto che lo Stato ha già questo atteggiamento; secondo me verrebbe a mancare un disegno collettivo, cioè un momento di confronto con i Comuni da cui i piani stessi potrebbero poi avere significative variazioni.
La seconda osservazione che si può fare è quella relativa all'ammontare delle risorse, e in particolare alle risorse di credito che vengono mobilitate. Qui vi è un discorso di merito rispetto alla quantità delle risorse che, dai primi dati del decreto, sono inferiori all'andamento dell'inflazione e, pertanto, non consentono di mantenere il ritmo di sviluppo che è stato dato dagli Enti locali negli ultimi anni.
Altro discorso è quello della gestione della Cassa DD.PP. Qui si inserisce un argomento di grande importanza, perché nella misura in cui i rapporti diventano trilaterali, cioè Comuni da un lato, Cassa DD.PP.
dall'altro e Regioni come terzo elemento di questo triangolo, il rapporto fra Regione e Cassa Depositi e Prestiti deve divenire più significativo di quanto non sia stato nel passato e, direi, la stessa strutturazione della Cassa DD.PP. (per cui esiste un disegno di legge che credo sia già stato citato nel dibattito) deve essere vista anche in questo tipo di logica cioè di una funzione di tipo regionalistico che la Cassa dovrebbe andare a svolgere.
Ultima osservazione è quella relativa al modo con cui nel decreto viene concepito il ruolo degli Enti locali. Mi pare che ancora una volta in questo decreto il ruolo degli Enti locali sia visto come il ruolo di un ente che è ancora sotto tutela e, quindi, non è in grado di assumere in prima persona una serie di decisioni e di scelte. Credo che nel quadro globale della sistemazione della finanza locale, questo aspetto, che è politico e culturale dei rapporti tra lo Stato e gli enti periferici, debba essere superato aumentando lo spazio di autonomia sia per quanto riguarda l'imposizione delle imposte sia per quanto riguarda l'accertamento, perch se continuiamo a concepire l'Ente locale come un ente "minorato" credo che i passi avanti che tutti ci auguriamo per la finanza locale non verranno effettuati.
Concludendo, vorrei dire che la valutazione che la Giunta fa di queste variazioni in atto è positiva; permangono dei punti dubbi e delle perplessità sul complesso del decreto che ci auguriamo che durante l'iter tuttora in corso al Parlamento vengano a cadere e che il decreto finalmente, risponda pienamente a quegli obiettivi che sono stati detti e che soprattutto il Governo si faccia carico di un disegno quadro, affinch la finanza locale non sia più regolamentata di anno in anno, ma con criteri di più ampia programmazione.



PRESIDENTE

La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 14)



(La seduta ha termine alle ore 14)



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