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Dettaglio seduta n.39 del 12/02/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Attivita' di promozione - Cultura: argomenti non sopra specificati

Dibattito sulla politica culturale regionale (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Proseguiamo l'esame del punto quinto all' ordine del giorno: "Dibattito sulla politica culturale regionale".
La parola al Consigliere Marchiaro.



MARCHIARO Maria Laura

Il documento della Giunta, le stesse note per la predisposizione dei programmi comprensoriali e i dati relativi alla spesa per la realizzazione della politica culturale regionale pongono in discussione problemi molto complessi ed aprono a riflessioni che è impossibile esaurire nei termini di un intervento.
E' inevitabile, quindi, concentrare l'attenzione solo su alcuni aspetti e far discendere da essi alcune, forse schematiche, osservazioni.
Intanto: i riferimenti, lo spazio entro cui vengono collocate le linee della politica culturale della Regione; si incontrano questioni che hanno a che fare con i problemi dello sviluppo, con i compiti di autogoverno delle comunità locali, con il ruolo di indirizzo e di programmazione della Regione, con la stessa collocazione internazionale dell'organizzazione produttiva del nostro Paese, infine con i temi che sono stati e sono al centro del dibattito culturale da molti anni, e non soltanto nel nostro Paese.
Ancora: la rigorosa individuazione delle funzioni della Regione, in un intrico spesso non risolto di competenze, l'altrettanto lucida consapevolezza dei limiti posti dalle possibilità di spesa, anzich suggerire ripiegamenti, scelte senza respiro, ordinaria gestione della "contingenza", o anche giustificate astensioni dall'assumersi responsabilità, hanno spinto ad una progettualità che mira in alto, alla chiamata a raccolta di tutte le forze - sociali, culturali, politiche economiche - per individuare obiettivi che mirino alla "costruzione di un patrimonio di idee e di strategia" che consenta alla nostra comunità di ridurre il rischio di un'emarginazione rispetto ai canali dello sviluppo.
Già questi elementi contenuti nella proposta non sono poco.
Non sono poco, tenuto conto delle reali difficoltà in cui, comunque, si colloca l'iniziativa regionale in materia di cultura - la stretta finanziaria, l'assenza di alcuni essenziali strumenti legislativi su cui il Governo ha accumulato gravi ritardi, l'incertezza di rapporti fra diverse istituzioni.
Non sono poco, a maggior ragione, rispetto ad un quadro più generale di crisi. Pensiamo al contraddittorio e lento rinnovamento del sistema dell'informazione rispetto alla maturità culturale del pubblico. Pensiamo ad una ricerca scientifica lasciata a se stessa (con alcuni esiti che sono sotto gli occhi di tutti, come il dissesto idrogeologico del territorio) alla vita incerta delle istituzioni culturali che si occupano di arte, di cinema, di teatro, di musica.
Pensiamo alla corporativizzazione di molte zone della società, alla deformazione dei profili sociali, alla chiusura a riccio di gruppi e di strati intorno a condizioni anche modeste di privilegio.
Pensiamo al disagio del mondo giovanile, ad una scuola e ad un'Università abbandonate proprio nel momento della loro maggiore crescita di massa al massacro di uno sviluppo spontaneo e non programmato.
Si parla di crisi di identità sociale di queste istituzioni. Rispetto cioè, al ruolo, alle prospettive, ai rapporti con la produzione e con lo Stato, crisi di identità che è poi connessa con una crisi culturale, degli strumenti lavorativi, degli statuti conoscitivi.
Sono questioni che non acquietano, ben lontane dall'essere risolte.
Ecco, è certo anche per questo che la relazione sulla politica culturale ci fa imbattere nella questione cruciale di una presunta contrapposizione fra culture.
Non vedo da una parte la rigida razionalità di una scienza estranea all'uomo, e dall'altra la spontaneità, la creatività quale unico spazio possibile per esprimere l'origine dell'uomo, la sua individualità.
Ma quale contrapposizione è possibile oggi fra scienze e studia humanitatis; e chi ha la forza di proporre una simile Contrapposizione, se non chi vuole ritornare al passato? Oggi parliamo non di humanitas, ma di societas, soggetto e al tempo stesso giudice della storia. L'unitarietà del sapere presuppone certo la divisione tecnica dei saperi cosi come l'organizzazione della società presuppone una divisione tecnica del lavoro, ma noi ribadiamo, da comunisti, che siamo contro la divisione sociale del lavoro, presupposto dell'ineguaglianza. Su un altro registro è possibile fare anche un'altra riflessione e dire che il regno accomodante dove la scienza studia la natura, e la filosofia studia la società e la storia, è il regno dove la scienza come problema scompare dall'orizzonte.
La questione della scienza è semmai un problema di ampliamento dei confini del sapere e di incremento anche quantitativo delle discipline.
Comporta, naturalmente, il superamento di certi convincimenti inveterati il vizio umanistico per esempio, ma è anche una condizione per l'integrazione di più settori per una reale socializzazione delle conoscenze.
Nessuna singola disciplina o gruppo di discipline può monopolizzare la preoccupazione per l'uomo e quindi dirsi umanesimo in esclusiva.
L'umanesimo è nell'origine, nella qualità e nella destinazione delle conoscenze, quale sia il campo in cui esse si producono.
Questo ampliamento e queste connessioni non esauriscono ancora il concetto di cultura che, solo per un banale gusto tanto logico, chiamiamo umanistica.
Ma tutto questo non basta perché l'ambito conoscitivo ha bisogno insieme di una sua progettualità e creatività, di mediazioni socio politiche interpretate ed operate in situazioni in cui confluiscono gli sforzi di individui e di istituzioni.
Anche il più sviluppato complesso conoscitivo da solo non basta a produrre quelle trasformazioni sociali e quei vantaggi per gli individui che ci interessano.
Al di là della disputa fra discipline che indebitamente vogliono monopolizzare la qualifica di scienza, noi diciamo che la cultura è tutto questo, ma è anche fondamentalmente (e non aggiuntivamente) altro. E' il modo in cui si regolano i comportamenti, si risolvono i rapporti, si instaurano certi livelli di convivenza, si affrontano i problemi del lavoro, dell'apporto produttivo - anche in termini di cultura - di ogni individuo, si contribuisce ad elevare i valori delle esperienze, dei rapporti quotidiani.
Lo stesso interesse per popoli tanto lontani e diversi da noi è una conferma di una prospettiva culturale che guarda al di là dei sistemi di conoscenza, perché punta sui modelli di vita, sui rapporti sociali, sulle forme di organizzazione e di potere.
Dunque non le due culture, ma molte culture che concorrono insieme ad un progetto di integrazione all'interno di aree molto vaste e differenziate, partendo dai punti più avanzati e originali dell'elaborazione della nostra comunità.
In questa prospettiva si collocano strutture e istituzioni che già ci sono ( Museo , C S I), iniziative che dovranno prendere corpo come il Comitato internazionale, o il museo per le culture extraeuropee legato all'ipotesi di un BIT quale centro di scambio che giovi anche ad un allargamento e alla sprovincializzazione di aspetti della nostra cultura.
In ogni caso quello che maggiormente importa è accrescere le opportunità di produzione culturale dell'individuo, nel senso ampio che abbiamo cercato di sottolineare, cioè nella direzione dell'attuazione di valori di civiltà.
Questo quadro di riferimenti implica fra l'altro una rete di rapporti "fra le sedi di produzione della cultura e le sedi della divulgazione e della distribuzione".
Ma anche uno sforzo di rivitalizzazione di entrambe.
Di qui l'indicazione precisa di impegno per le nuove sedi universitarie, certi interventi decisivi sulle strutture, lo sforzo rinnovato sul sistema delle biblioteche e sui musei, il coinvolgimento dei Comprensori per l'elaborazione dei programmi relativi alle strutture e alle attività locali. Naturalmente questo schema va riempito dei contributi che provengono dalle realtà e dalle sedi e dai protagonisti più differenziati e in questo modo può divenire processo.
La Regione si pone come promotore di rapporti, propositore e interlocutore. Pone temi, esigenze, prospettive all'interno di un dibattito che sia in grado di coinvolgere un numero sempre più grande di soggetti diversi, e insieme individua nell'episodicità, nella frammentazione fine a se stessa il rischio di un inaridimento della vita culturale.
Da più parti si sono levate accuse di dirigismo, di accentramento, di struttura piramidale. Ma insieme si è considerata molto positivamente l'indicazione di un obiettivo che riporti il Piemonte - dato il suo protagonismo nel mondo produttivo - all'interno dei circuiti internazionali, della cultura.
Dobbiamo però capire come ciò sia possibile se anche le microiniziative con il patrimonio complessivo di idee, creatività, valori che mettono in campo - non si collocano all'interno di un processo che necessariamente richiede indirizzi e programmazione, l'individuazione di obiettivi, metodi strumenti.
La programmazione è intesa come supporto, confronto, apprezzamento delle differenze, non come dirigismo.
Ciò è provato dal modo stesso in cui si intende dare attuazione alla legge 58 La Regione prospetta l'offerta di un "sistema di convenzione", in cui io vedo anche un po' di civetteria linguistica di temi, e suggerisce alcune indicazioni per la predisposizione dei documenti programmatici. E' un'ipotesi di qualificazione della spesa, indirizzata prioritariamente alla predisposizione di strutture e di strumenti - musei locali, centri polivalenti, biblioteche - che consentano anche alle iniziative minimali di trovare una collocazione ed una risonanza, è un impegno all'inserimento di una legge come la 53 nella logica dei rapporti con i diversi livelli del decentramento e delle autonomie locali, così come si è andata realizzando nel corso di questi anni nella nostra Regione e che vede come momento di raccordo il Comprensorio e come punto di riferimento essenziale l'Ente locale. In questa sede, ben più che nell'ambito della Consulta (qualora vi giungesse direttamente, separata da piani che tengono conto di ogni complessiva situazione locale), l'iniziativa piccola, potenzialmente dispersa, trova la sede per essere pienamente riconosciuta e valorizzata.
I meccanismi di finanziamento possono inoltre essere - proprio perch garantiscono subito, a piano approvato, la copertura - elementi decisivi di certezza.
Alla Consulta spetteranno quindi prioritariamente i compiti che la legge forse non troppo esplicitamente le riconosce, di sede per le proposte di indirizzo generale, per la definizione delle scelte complessive.
Mi preme fare un'ultima considerazione: permangono nella nostra società pesanti meccanismi di discriminazione, sistematici processi di non attivazione di capacità intellettuali e creative.
Non riprendo qui il tema di una scuola non formatrice, di modelli di vita gretti, volgari, privatizzanti nel modo più angusto; resta il fatto che grandi masse di persone sono escluse da beni che dovrebbero essere di tutti, da modi di fruizione che potrebbero modificare le scelte personali introdurre valori positivi nella vita quotidiana. E' soprattutto su questo terreno che si misura l'indice di libertà delle persone.
Bisogna operare perché la cultura sia una realizzazione di valori che riguarda tutti attivamente e quindi qualifichi fatti basilari della condizione dell'uomo. Mi sembra essenzialmente questo il riferimento a cui non può sfuggire un programma di interventi culturali e, infatti, è su questi riferimenti che si apre il documento che oggi discutiamo e da cui muove quella serie di proposte che, giustamente, si dice, vanno anche oltre il tempo di una legislatura.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Ho molta difficoltà a pensare questo mio intervento. Dico pensare perché trovo difficile considerare quest'aula come un'aula dove noi facciamo i rappresentanti di commercio e portiamo riflessioni nostre ed altrui, compilate, centellinate goccia a goccia, e qui riproposte. Ho questo limite nella mia formazione culturale, di voler continuare a considerare questa come un'assemblea ed un'assemblea vive nel suo momento: è già vecchia rispetto ad un minuto fa, ancora giovane rispetto a fra due minuti. Quindi, ripeto, mi trovo nella grossa difficoltà di rispondere di fronte all'assemblea alle sollecitazioni dell'Assessore Ferrero.. Dico sollecitazioni, perché non mi sembra un documento mirato (come si usa dire adesso nel linguaggio tecnico di noi diplomati al liceo tanti anni fa) a produrre un certo tipo di risultato. In altri termini, è abbastanza difficile capire se questa è un'esercitazione umanistica post-universitaria dell'Assessore, se è una riflessione su qualche stimolazione esterna, se è un progetto di comportamento amministrativo della Giunta, oppure se è una delle tante occasioni in cui la maggioranza intende confrontarsi con le altre forze politiche.
Ecco che per noi allora diventa difficile dare una risposta di contributo, quando non si capisce a che cosa sia finalizzato e soprattutto se questo documento avrebbe dovuto essere la premessa, sulla scorta della quale - evidentemente con l'aggiunta degli allegati, cioè dei contributi di questo Consiglio - l'Assessore avrebbe poi predisposto il documento relativo ai piani comprensoriali. Questo è avvenuto certamente non per responsabilità dell'Assessore ma, probabilmente, per responsabilità di questo Consiglio. E non è un caso che questo dibattito giunga in assemblea oggi e non in altra data. Ho l'impressione che questo dibattito sia in definitiva considerato come una "ballerina di avanspettacolo" che si è infilata in un tempo morto della Regione Piemonte. Non credo assolutamente che questo nostro dibattito abbia minor decoro e produca meno di quanto non produca e non abbia decoro il dibattito sul piano auto. Al contrario, direi proprio che il dibattito auto slegato da alcuni degli stimoli intellettuali e culturali del nostro Assessore, evidentemente finisce per essere un'esercitazione tecnicistica sull'efficienza di una struttura produttiva e probabilmente non è questo il tipo di contributo che si chiede alla realtà regionale ed alle forze politiche.
Quindi, se dobbiamo dare un primo giudizio sul documento dell'Assessore Ferrero come documento amministrativo e documento di intenti, noi non possiamo non apprezzare il senso critico e realistico con cui si guarda all'esperienza passata, pur ritenendola meritevole di un giudizio positivo.
Critico non vuol dire negare, vuol dire semplicemente ripensare l'esperienza passata, la quale certamente aveva insito un grosso rischio che era quello di determinare un processo esponenziale di sviluppo della realtà precedente stessa, senza una necessaria opera di sintesi e di selezione, tale che per un processo demoniaco lo svilupparsi delle iniziative, con il dilatarsi della spesa, si sarebbe soffocato da se stesso. Quindi, mi pare molto opportuno che l'Assessore abbia individuato la necessità non di scelte, ma di indirizzi agli Enti locali ed all'associazionismo, nell'ambito di tutto quanto è stato rivitalizzato in questi cinque anni (e noi diamo un giudizio sostanzialmente positivo sulla capacità della passata amministrazione di rendere vivi interessi e realtà culturali nella nostra Regione). Mi pare anche di convenire su alcuni obiettivi che sembrano emergere da queste indicazioni contenute soprattutto nel documento indirizzato ai Comprensori, cioè sulla necessità che queste realtà culturali, soprattutto della periferia, si collochino come momento integrante della realtà nel tempo e nello spazio, nel senso che l'oggetto culturale è qualcosa che ha dietro di sé la sua storia ed in sé il suo futuro e le relazioni sul territorio.
Certamente mi pare molto giusto cercare di andare al di là dell'oggetto culturale, per troppo tempo considerato un oggetto da vetrina che questa o quella realtà periferica ponevano il più delle volte, all'ammirazione ed allo stupore del visitatore il quale, quanto meno, era compreso nel fenomeno culturale che gli veniva sottoposto, tanto più se pensava che quello stesso fenomeno culturale fosse portatore di grossi valori.
Mi pare, invece, che far diventare il bene culturale un oggetto di fruizione nella sua storia e nella sua realtà territoriale sia un'indicazione di segno positivo ed estremamente stimolante. Altrettanto mi pare che sia opportuno e stimolante il concetto della territorialità della politica regionale, con tutta quella serie di implicazioni ed impegni che va conseguentemente ad assumere. Dove indubbiamente il documento dell'Assessore mi sembra più stimolante e, in qualche misura, più puntuale e oggetto di maggior e doverosa riflessione da parte dell'opposizione, è nelle intuizioni politiche che lascia trasparire, le quali rivelano o la suprema callidità del nostro Assessore, o la sua giovane età: non riusciamo a capire se certe slabbrature del suo discorso siano ingenuità o non nascondano provocatorie tentazioni alla capacità dell'opposizione di cogliere il fondo del suo discorso. Al di là di certe enfatizzazioni, ch io, peraltro, nel senso concreto colgo : quello che una società proprio nei momenti di difficoltà deve saper non guardare al contingente e non lasciarsi coinvolgere dalla congiuntura; ma sulle riflessioni, sui dubbi e sulle sue contraddizioni costruire il suo futuro - ed esso si costruisce sulla cultura.
Questo è quanto sosteniamo in termini politici da sempre e forse il discorso dell'Assessore Ferrero non è molto armonizzabile con la logica dell'emergenza: l'emergenza non è una realtà, è un momento, in cui si deve guardare al definitivo, ai processi di lungo periodo; quindi se l'Assessore riconosce che la logica della politica è la logica del lungo periodo, la logica dell'emergenza ne esce ridimensionata e ciò, evidentemente, non ci dispiace.
Dove mi pare veramente che il documento dell'Assessore diventi un significativo attestato politico e, in qualche misura estremamente pericoloso, è dove dà per scontata una sfida a noi da parte della cultura industriale e addirittura si mette in dubbio che esista questa cultura industriale. In termine abbastanza provocatorio e grossolano (mi spiace che sia scappato dalla penna del nostro Assessore) si va ad identificare la cultura, che è un valore, con i soggetti, cioè i gruppi imprenditoriali che si vorrebbero fregiare di questo tipo di distintivo. Mi pare che sia estremamente imprudente, da parte di un uomo di governo come l'Assessore Ferrero, dare per sconfitta l'ipotesi di sviluppo della nostra Regione o comunque, il tipo di interpretazione dei fenomeni piemontesi, che è tipico di chi cerca di capirli nella realtà storicamente consolidata, a prescindere dall'opinione che ne abbiamo, cioè una realtà industriale avanzata con una sua cultura o, se vogliamo, qualcosa di oltre la società industriale, una società post-industriale.
Liquidare in termini molto frettolosi questa sfida che ci sarebbe stata lanciata, con la crisi del soggetto di questa cultura, mi pare parcellizzare e ridimensionare il fenomeno: la cultura industriale non si identifica con le vicende di un'azienda, e non è neanche detto che quest'azienda sia in un periodo di crisi soltanto perché si è ridimensionata; questi sono argomenti da trattare con estrema cautela.
Queste considerazioni dell'Assessore Ferrero, evidentemente, non sono né estemporanee né occasionali, perché in definitiva si legano ad un progetto Piemonte che non è il nostro.
Il progetto Piemonte, nelle prospettive di lungo termine, al di là del recupero dell'esistente (che, come ho detto, noi apprezziamo, nella misura in cui i soggetti promotori delle iniziative culturali abbiano garanzie di poterle sviluppare nel tempo e, soprattutto, all'interno di strutture che siano il punto di riferimento di tutta la realtà piemontese) ha certamente questo obiettivo (sul quale mi pare abbia già polemizzato abbastanza la collega Marchiaro) che vorrebbe vedere nel riconoscimento che il Piemonte è pur sempre sede dei cervelli più qualificati della cultura umanistica e della cultura tecnica, che peraltro non si identifica ancora con la cultura della società (questa contraddizione a mio avviso va colta). Se la cultura tecnica non è ancora un momento della società perché la traduzione in termini di innovazione tecnologica, tra l'intuizione culturale e tecnica e la sua realizzazione è di tempi lunghi, vuol dire che le due cose non si identificano e, quindi, sul piano della cultura avviene un fenomeno intermedio fra i due tempi.
Il vedere questa realtà proiettata in futuro è vedere questo nostro Piemonte, con opportune organizzazioni anche di tipo strumentale e fisico il punto di incontro. Condivido l'indicazione che dà Ferrero della caratteristica della cultura piemontese, che è duplice: secondo alcuni amici di stampo liberale non si parla della caratteristica piemontese come quella di essere l'applicazione delle innovazioni tecnologiche ai processi di produzione e, comunque, al lavoro, bensì semplicemente di cultura del lavoro.
L'altra caratteristica è la sua integrazione europea, che è di vecchissima data; non per niente Ferrero, comunista, riconosce che il Canale Cavour ed il nome sono l'indicazione di come l'applicazione ad uno strumento di lavoro, come un canale di irrigazione, denota la caratteristica della nostra cultura e, soprattutto, come sia uno strumento di realtà ben conosciuta all'estero. Se questa è la caratterizzazione della cultura piemontese, che noi in gran parte condividiamo - chiedo scusa all'Assessore di questi giudizi, che non sono definitivi, ma sono semplicemente delle riflessioni, perché questo documento apre nell'ambito del nostro Consiglio un dibattito che va ben oltre le espressioni che ci scambiamo qui - certamente ci rimane difficile capire come questo sbocco (che è anche di tipo pragmatico) possa essere quello di una centrale di cultura in cui da una parte vi sono le concretizzazioni dei più grossi risultati di tipo tecnologico e scientifico realizzate a livello internazionale, insieme a quelli umanistici (e in definitiva Torino torna ad essere un polo del circuito internazionale della cultura) e come questo dovrebbe tradursi in tutta una serie di conseguenze sul piano pratico tali che, pur non essendo noi Ministero del Commercio con l'estero, potremmo riconvertire parzialmente la nostra economia in modo che i nostri destinatari sarebbero i Paesi in via di sviluppo, questi Paesi ex coloniali che certamente nei nostri confronti non hanno quelle situazioni di difficoltà psicologiche, per cui possiamo tranquillamente fare un museo della cultura extraeuropea che venga scambiato per un museo ex coloniale.
Mi sembra che nel dibattito in corso nella nostra città e nella nostra regione sul momento culturale e politico della nostra società, il documento Ferrero abbia un significato preciso: è una dimostrazione ulteriore che il Partito Comunista, la sinistra in genere, oltre a soffrire di un certo integralismo, al punto di dire che la sfida della cultura di tipo industriale è stata lanciata da noi (senza spiegare se noi vuol dire sinistra, Partito Comunista, Consiglio), invece di affrontare brutalmente il problema della cultura industriale e fare un dibattito (forse sarebbe stato il caso di capire che cos'è questa cultura industriale, che cosa comporta, come si misura il suo livello) ci priva di questa riflessione.
Perché, il nostro Assessore soffre di limiti culturali e di limiti politici? Assolutamente no, perché è una riflessione che non poteva certamente arrivare al dunque della vicenda senza sollevare grossi problemi in una maggioranza di questo tipo. Non è qui il caso di entrare in polemica, anche perché personaggi più qualificati lo fanno in sedi forse meno idonee ma probabilmente più sentite della nostra; ma, certamente, su questa problematica dei comportamenti delle forze politiche, dei cittadini delle istituzioni, dei soggetti economici e non, in un contesto pluralistico al quale si rifà l'Assessore Ferrero, si svilupperà lo scioglimento del nostro problema.
Allora, non è certamente fuori luogo capire come l'Assessore Ferrero si sia trovato ancora una volta in grosse difficoltà nel dar corpo, in questa sede, al progetto della Giunta comunale di Torino, con questa riscoperta del terziario qualificato che, mi pare, non sia così allineato con i documenti che state preparando sul dibattito Fiat.
L'intuizione secondo cui c'è la necessità di sprovincializzare la cultura della nostra regione, se possibile di inserirla nel circuito internazionale e legarla ad un processo di riconversione produttiva che ricollochi il Piemonte non come area soggetta a decisioni esterne, ma protagonista nei confronti di aree nuove, in definitiva non solo soffre questo tipo di limite di indeterminatezza di una scelta politica, ma soprattutto risente di ritardi nella caratteristica della realtà piemontese nel suo complesso. Possiamo certamente condividere quanto dice l'Assessore Ferrero, cioè che la nostra città e la nostra regione sono ancora la casa ospitale di cervelli tra i migliori d'Europa, ma non possiamo non riconoscere che il Piemonte e Torino non è più la terza capitale della cultura, come è stata per lunghi anni: dopo il periodo felice delle monarchie sabaude - qualcuno non è d'accordo, ma sul piano culturale le monarchie sabaude hanno significato molto - e se la Fiat si è collocata a Torino, probabilmente la cultura del '700 piemontese è stata certamente una delle condizioni che hanno fatto sì che la cultura del lavoro, la società industriale, si collocasse soprattutto a Torino e non altrove.
Se questo disegno è andato avanti, ed ha portato in Piemonte negli anni '20 (a Torino) due protagonisti della nostra storia, Gobetti e Gramsci, se uscivano quelle riviste su cui si sono formati i nostri quadri politici e se poi dagli muli '50 più niente è avvenuto, certamente ci sarà pure qualche motivo dietro questo scadimento culturale e politico della nostra realtà. E, badiamo bene, questi fenomeni culturali non hanno mancato di lasciare il segno nelle istituzioni: non per niente i due protagonisti della cultura del primo dopoguerra sono un fenomeno progressista liberale ed il marxismo-comunismo che, guarda caso, nelle istituzioni hanno lasciato grossi segni e la non presenza culturale, altrettanto qualificata ed altrettanto moderna del fenomeno cattolico a Torino ha lasciato il segno non per nulla Torino è la città in cui i democristiani hanno il più basso numero di voti: vi sono delle ragioni culturali.
Allora, se il nostro Piemonte e la nostra Torino non sono più la collocazione di fenomeni culturali, certamente vi sono delle ragioni che non sono forse da attribuirsi a minore attenzione dei cittadini nei confronti di questi problemi: è abbastanza facile dimostrare che il desiderio di spirituale che esiste nella collettività torinese e piemontese è enorme; magari è distorto, si riduce a letture che sono un po' fuori della realtà (pare che vadano molto le biografie, i libri sul misterioso) ma certamente ciò significa che esiste una ricerca non di evasione, ma di cultura.
Se con il mio intervento ho trasferito per qualche parte all'Assessore questi interrogativi, ritengo di aver dato un contributo modesto, ma mi auguro sufficientemente significativo, ad un processo di reciproca conoscenza tra la mia ottica e quella dell'Assessore Ferrero, quali espressioni di culture simili e in qualche misura in contrapposizione, ma soprattutto fra persone che avranno ancora alcuni anni per dibattere su queste vicende e cercare di portare ad un maggior grado di conoscenza di questa complessa tematica.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Reburdo.



REBURDO Giuseppe

La relazione dell'Assessore Ferrero sulla politica culturale ci obbliga ad entrare nel merito delle polemiche che aleggiano tra le forze politiche e tramite alcuni giornali di certa ispirazione.
Il dibattito sulla cultura non può prescindere dal dato di crisi della struttura e soprattutto dei valori. Ci si deve anche confrontare con il nascere nelle coscienze della nostalgia di un nuovo stile di vita, di un nuovo modo di essere e di rapportarsi con la realtà: risvolti positivi e risvolti negativi della crisi. E' altresì importante confrontarsi con la caduta di due orizzonti che avevano dato senso e speranza di vita. La caduta del mito del benessere e dello sviluppo e la crisi della grande speranza della generazione che si è sviluppata tra gli anni '60 e '68 che vedeva nell'atto rivoluzionario immediato la soluzione dei problemi di ingiustizia e di prevaricazione esistenti all'interno della società. E' necessario da un lato mettere in evidenza i valori negativi della crisi attuale e dall'altro ricercare i segni di speranza. E' difficile distinguere tra bisogni autentici e bisogni indotti; quindi, i nuovi bisogni molte volte non sono dovuti al protagonismo ma all'induzione da elementi esterni.
E' difficile distinguere tra bisogni reali e valori. Si moltiplicano i casi di riflusso dal politico e si va anche diffondendo in termini pericolosi un certo "qualunquismo ideologico" inteso come rifiuto di qualunque senso di marcia dell'esistenza delle persone.
Accanto a questi valori negativi abbiamo segni di speranza, che sono nel tentativo di creare rapporti diversi, esigenze che vengono molte volte liquidate come fenomeni marginali, come, per esempio, il recupero della natura o di altre esperienze.
Un altro elemento positivo è il modo in cui si stanno sperimentando modi di vivere: il tempo, ad esempio, abbracciandolo in tutte le sue dimensioni, non solo in quella sociale e strutturale, ma anche nella dimensione individuale e personale. Così l'espressione di esperienze di gratuità di servizio, di presenza come fatto politico e non come fatto caritativo, come elemento di liberazione e di crescita della persona.
Ha senso ricercare comunque e sempre, anche soltanto per polemica, le contrapposizioni oppure non ha più senso concepire il pluralismo, le espressioni delle esperienze culturali e tradizionali della realtà piemontese per coglierne gli elementi più significativi e per incidere in un momento di reale crescita della società civile? Nella relazione si sottolinea la funzione di programmazione, di stimolo, di coordinamento che l'Ente locale sviluppa nella politica culturale, momento di programmazione non soffocatore di esperienze, ma momento che sollecita la partecipazione attiva nella definizione del quadro programmatorio che recupera le sollecitazioni culturali e che permette un controllo diretto e democratico.
E' per questo che non possono essere accettati i giudizi secondo cui la politica culturale della Regione in questi anni sarebbe calata dall'alto come momento di soffocamento di un pluralismo reale.
Ricordo una serie di interventi che la Regione ha realizzato in ordine a ricerche in importanti settori dell'area cattolica, mi riferisco alla ricerca sui lavoratori e sulle scelte politiche e religiose; mi richiamo al finanziamento alla Cooperativa Milani per l'avvio di una ricerca sulle esperienze dell'area cattolica; rammento contributi che sono stati dati ad organizzazioni varie. E perché non ricordare i contributi per il riordinamento dell'archivio della Curia e perché non menzionare la ricerca in atto della Pastorale nel mondo del lavoro sui lavoratori e sulla religiosità? Mi pare che ci sia il senso di una sperimentazione che in qualche modo va recuperata all'interno di un progetto culturale entro il quale, queste esperienze, possono trovare il loro riferimento.
Desidero evidenziare tre caratteristiche della relazione dell'Assessore Ferrero: il ruolo programmatorio e di riferimento degli Enti locali e dei Comprensori negli interventi culturali, assicurando il livello effettivo di partecipazione e garantendo il pluralismo il rilancio delle istituzioni culturali di rilievo della Regione che debbono essere recuperate non solo attraverso il controllo, ma tramite proposte ed interventi di un Ente locale che garantisce il pluralismo frutto della dialettica politica e del confronto un rapporto con la cultura anglosassone e del Terzo Mondo, ricordando che a Torino esiste il BIT, un'esperienza significativa attraverso la quale è possibile creare un rapporto diretto, valorizzare le espressioni presenti che non hanno trovato nella nostra città e nella regione un sufficiente inserimento culturale e politico.
E' estremamente importante che si sia colto il significato politico e culturale e di solidarietà concreta che può passare attraverso il confronto reale, l'utilizzazione "positiva" di questa struttura all'interno di una società "provinciale" come è ancora quella torinese e quella piemontese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Signori Consiglieri, tengo a ringraziare innanzitutto l'Assessore Ferrero, che ha predisposto un documento così articolato ed interessante la VI Commissione che l'ha esaminato ed il suo Presidente Andrea Mignone tutti i Consiglieri che sono intervenuti ed hanno dato una misura così vasta ed importante di capacità culturale ed anche di interpretazione della nostra società.
Ho ascoltato con grande interesse tutto il dibattito - mi spiace di non averne colto qualche frammento perché la I Commissione mi ha trattenuto ho sentito l'interessantissimo intervento di Cerchio, della collega Bergoglio Cordaro, di Mignone, della collega Ariotti, di Reburdo e altresì quello del Consigliere Carazzoni che, devo dire, ha avuto delle espressioni interessanti, pur essendo, il sottoscritto dissenziente.
Ho sentito espressioni che, devo dire, non mi sono piaciute nei confronti del predecessore del collega Ferrero, cioè l'Assessore Fiorini il quale, debbo riconoscere, ha operato per lunghi anni in un contesto difficile, con una grande capacità di essere interprete nuovo della nostra società. Stamattina venne presentato come un incallito stalinista, con cui non poteva esserci mai un'apertura di discussione, invece debbo dire che ha avuto sempre un colloquio interessante.
Certo, il documento che è stato presentato offre terreno di discussione, non può essere accettato con un "sì" o rifiutato con un "no".
In effetti, il concetto di cultura è estremamente legato, a nostro giudizio, al concetto di libertà. Su questo aspetto desidero accentuare il tono di questa affermazione, perché non vi è cultura senza libertà e non vi può essere, d'altro canto, libertà senza una cultura. Il tema, quindi, che la Giunta e la maggioranza offrono o alla discussione, deve avere come base certa, assoluta, come filo conduttore unico e grande che ci lega, il patto costituzionale, dove appunto la cultura è esercitata quando sia legata con la libertà. Il documento presenta pertanto una filosofia che è la filosofia della cultura come contributo alla crescita degli spazi di libèrtà laddove non esistono e diventa un momento certo all'interno della nostra comunità ma anche traspositivo verso la comunità nazionale e verso quella internazionale.
Ecco che allora questo terreno, questa base, colleghi dei partiti di opposizione, possono essere comuni e su essi possiamo lavorare insieme. In questo contesto - come abbiamo già detto noi socialisti in più occasioni noi portiamo, quale riferimento, le grandi democrazie europee, che possono essere ancora condotte innanzi attraverso un'opera comune.
Il documento individua, poi, nelle forme di maggior pluralismo l'esistenza stessa di una cultura in un mondo libero. D'altronde, non vi è pluralismo in una società dove esiste la dittatura, la cultura è momento di lotta anche per il riscatto dei popoli soggetti alla dittatura, quindi diventa un grosso contributo in tema di libertà.
Molti colleghi hanno già trattato il problema, spiegando la nostra definizione di cultura. Già in altre occasioni abbiamo avuto modo, proprio in questa comunità regionale, di esaminare la cultura in quanto ciò che è oppure in quanto alla cultura che è andata avanti. Bisogna fare anche la distinzione tra il concetto di cultura, quello che esiste nella comunità e ciò che si è sviluppato. Noi rifiutiamo il concetto della prevalenza della cultura urbana; perché è andata avanti in questi decenni una sorta di cultura urbana che è quella che ha dato maggiori risultati da un punto di vista produttivo - economico; è stata quella che ha determinato degli impianti nuovi nel territorio piemontese e, pertanto, è stata la cultura che ha vinto. Noi riteniamo che questo sia un concetto meramente riduttivo pertanto lo rifiutiamo per dire invece che identifichiamo la cultura in tutti gli elementi, in tutti i fattori che esistono all'interno della comunità regionale, nessuno escluso.
Sotto questo aspetto cogliamo anche l'occasione per porre un accento su quello che intendiamo per rifiuto a delle forme di confessionalismo.
Stamattina mi è parso di cogliere alcuni aspetti su fatti di trascendenza che io non voglio discutere, ma devo dire che noi ci muoviamo di più nell'immanenza di quanto non sia nella trascendenza, quindi non vorremmo che questo si trasformasse in una, sorta di legame su un terreno che noi non rifiutiamo, ma nel quale non ci collochiamo. Ci riferiamo invece per la nostra comunità piuttosto ad un'ipotesi di riforma che qui non si è ancora attuata, ad ipotesi di riforma che videro l'Europa investita da un fenomeno culturale che qui non è giunto, come non è giunto ancora nemmeno interamente la Rivoluzione Francese. Addebitiamo il ritardo dei fenomeni culturali della Rivoluzione Francese più a quelle forme di confessionalismo che hanno rifiutato dei termini nuovi di progresso culturale, più ancora che ad altri fenomeni che sono intervenuti nel nostro Paese. Quindi, non voglio su questo terreno mettermi in discussioni che siano poi di polemica perché ciascuno si muove liberamente nel proprio terreno e porta i propri contributi.
L'altro carattere generale che voglio ancora introdurre è che il momento culturale è il momento decisivo per un vero salto di qualità all'interno di una comunità. Non è la scoperta tecnologica, non è l'invenzione anche audace e produttiva, non sono le altre grandi tecnologie che portano una società ad essere più alta e culturalmente preparata, ma la cultura stessa, il movimento generale di un'azione di un'autentica riforma culturale, quindi che ciascuno sia portatore di valori culturali nel modo più elevato possibile è l'unico dato che noi oggi possiamo porre all'attenzione, come momento di autentica crescita di una società.
Si è detto che altri Paesi da questo punto di vista hanno dei momenti di superiorità rispetto a noi, ma questo, ripeto, non è derivato dal fatto che vi siano state più invenzioni o più fatti tecnologici, bensì è il risultato di un'azione culturale di massa che prenda una comunità nell'insieme e la faccia crescere nell'insieme, promuova vasti momenti che non siano puramente di élite. Ricordo il momento in cui ho iniziato il ginnasio: la scelta partiva già il giorno dopo la quinta elementare, quindi la cultura diventava elitaria, perché soltanto pochi potevano accedere all'Università; evidentemente tutto questo si è riprodotto nell'insieme su una società che ha avuto dei ritardi. Quindi non è la tecnologia che fa crescere il momento culturale, ma semmai è il prodotto di una cultura generalizzata di un'intera comunità che nell'insieme produce quei fatti e quei salti che sono propri di un movimento di un intero popolo.
Non concordo con la collega Vetrino Nicola, quando dice che, per esempio, rispetto ai restauri, il periodo della seconda legislatura regionale era stato improduttivo: consiglio l'Assessore Ferrero di mandare domani tutte le pubblicazioni su ciò che si è fatto riguardo ai restauri alla ristrutturazione dei monumenti o i valori artistici del nostro Piemonte, cosicché questa critica verrebbe subito ad essere eliminata. Ma per quanto riguarda la comunità piemontese, movendoci nell'ambito culturale, qual è l'obiettivo che dobbiamo cogliere? Ci muoviamo non oggi per la cultura universale - non siamo qui per discutere di questo - se un contributo lo dobbiamo dare, lo diamo movendoci dalla nostra comunità regionale e lo scopo di una nostra azione culturale è l'identificazione dei valori della comunità regionale piemontese, e su questo il collega Marchini ha ragione.
Già in altra occasione abbiamo detto che altre comunità regionali, come ad esempio la Toscana, il Trentino Alto Adige, hanno nei decenni scorsi attraverso un vasto movimento culturale di massa, identificato i valori e che cos'era la comunità regionale nella quale si trovavano, talché quando diciamo "Toscana" sappiamo che cosa vuol dire, ne conosciamo i monumenti sappiamo che cosa vuol dire il verde oliva della Toscana, sappiamo che tosa vuol dire il cipresso accanto alla casa colonica, sappiamo come si esprime che cosa è stata nella sua storia.
Devo affermare che sono stato accusato di piemontesismo, come molte volte si finisce di far credere nel ricordare tutto quello che è stata la nostra storia, i nostri valori, che cosa abbiamo rappresentato nell'interno del movimento del nostro Paese dal punto di vista della stia storia dell'unità del Paese, del movimento operaio, dal punto di vista di ciò che rappresenta Torino e il Piemonte dove - è stato giustamente detto da Amendola - ogni segno parte ed ogni segno ritorna. Non è piemontesismo questo, ma ricerca di cosa rappresentiamo, della tradizione, della cultura dei dialetti, della lingua. Ieri sera alla Televisione Svizzera c'era una trasmissione su che cosa rappresentavano i dialetti svizzero-tedeschi, di un interesse estremo. Tutto questo ha trovato dei momenti di non convergenza fra di noi, Assessore Ferrero, perché quando noi del Gruppo socialista abbiamo presentato quel disegno di legge che voleva esaltare nella scuola e nell'insegnamento il dialetto piemontese, abbiamo avuto uno scontro, né voi, amici democristiani, ci avete dato una mano in quell'occasione, presso il Governo, per esempio, perché fu l'allora Presidente del Consiglio Andreotti che la rinviò dicendo che non era materia che rientrava nelle competenze regionali; solo il sottoscritto and dal Presidente Andreotti per rappresentargli che in Piemonte esistono oltre che le tradizioni, la storia, i dialetti, la lingua, dei piemontesi esistono anche delle minoranze linguistiche culturali identificabili in 300 mila cittadini.
In ultimo vorrei trattare il patrimonio storico-monumentale, il tempo libero ed il rapporto con la cultura. Il problema, per esempio, che il tempo libero non sia un momento di spreco ma sia identificabile con un momento culturale, mi pare che qui in Piemonte, nella seconda legislatura ad opera dell'Assessore Moretti, sia avvenuto; mentre prima, mai nessuno lo aveva fatto.
Sul patrimonio storico-monumentale debbo dire che non sono d'accordo per nulla con la collega Bergoglio Cordaro (il discorso da lei introdotto è sostanzialmente diverso da quello di Cerchio). Noi riteniamo che questo patrimonio deve essere recuperato tutto. A questo punto, collega Bergoglio Cordaro, ti metti in contraddizione con il tuo Sottosegretario ai beni culturali, che invece ringraziamo per aver proposto una serie di interessanti iniziative, e per aver dato piena disponibilità rivitalizzando le sovraintendenze, per un processo che noi soli non riusciamo a compiere. La Regione in questo patrimonio non si pone isolatamente; l'Assessore, d'altronde, quando ha parlato delle Università delle Sovraintendenze, del Ministero dei Lavori Pubblici, di tutti gli organi dello Stato e di privati che concorrano in un grande disegno culturale;' ha rilevato che non siamo soli noi: se andassimo à porci isolatamente avremmo già perduto la nostra battaglia per ottenere quei 25 30-40 miliardi che io auspico siano immessi nel bilancio regionale per la ristrutturazione e la fruizione di tutti i palazzi storici e l'utilizzazione di essi, respingendo le istanze che sono venute di non far nulla, di non toccar nulla, perché se avessimo fatto così sarebbe crollato tutto.
Questa mattina è emerso che la stampa ha ricevuto, per un'iniziativa presa, i miliardo e 300 milioni, quando ben prima le forze politiche che governavano il Piemonte avevano assunto l'iniziativa e già riparato il tetto del Palazzo Carignano. Difesa vuoi dire non lasciar decadere, mettere in condizioni di riparare a cento anni di incuria. Non possiamo lasciare andare il patrimonio nel quale noi ci identifichiamo; per questo abbiamo dato origine ad un'inversione di tendenza enorme dal '75 in poi, inversione di tendenza che ritrovo nel documento dell'Assessore Ferrero; quando si parla del Museo delle scienze, del Forte di Exilles, di Palazzo Carignano di Palazzo Reale, bisogna che i documenti relativi a tutto quello che abbiamo fatto vengano dati a ciascun Consigliere nuovo e bisogna batterci per respingere quanti dicono che bisogna star fermi, in attesa che qualche cosa avvenga. Nulla è rimasto inutilizzato, se oggi le U.S.L., i Comprensori, i Consorzi dei trasporti, i CO.RE.CO., le istituzioni pubbliche sapranno dove collocarsi e andranno in casa propria. La Chiesa non ha la canonica e la parrocchia in affitto, una struttura così importante dal punto di vista dei suoi valori ha ritenuto di essere in casa propria e tipi, invece, non prendiamo in considerazione nemmeno quell'esperienza.
Bisogna discutere fino in fondo e poi, se non si riesce, andare avanti.
E' questa la strada che dobbiamo percorrere. Ringrazio l'Assessore Ferrero e l'Assessore Moretti che ha seguito tutto il dibattito con molta attenzione e che molto ha fatto nella congiunzione del tempo libero con un momento culturale.
Approviamo certamente il documento, con quell'articolazione proposta dai Consiglieri Cerchio e Bergoglio Cordaro a cui diamo atto, oggi, di aver dimostrato la validità e la fantasia del proprio Gruppo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, quale messaggio viene al Consiglio regionale dal documento della Giunta? Intanto è un messaggio di continuità nel lavoro unitario sulla cultura che non riguarda soltanto un Assessorato. Vorrei anche ricordare, come giustamente ha detto il collega Viglione, che nel 1975 ci siamo trovati di fronte ad una domanda impetuosa di rinnovamento;è vero, non tutte le iniziative sono state, forse, canalizzate nel giusto senso, ma certo hanno segnato un'inversione di tendenza fondamentale rispetto al passato.
Concordo con il giudizio espresso dal collega Viglione sulla persona dell'Assessore Fiorini che insieme agli Assessori Rivalta e Moretti, con "testardaggine contadina", è riuscito ad avviare una politica del patrimonio di portata mai conosciuta prima.
Questi temi sono stati ampiamente trattati dai Consiglieri intervenuti quindi mi soffermerò su alcune questioni non secondarie per il riflesso che hanno nel confronto tra le forze politiche e per l'impatto che possono provocare nella comunità regionale. La prima è una questione molto complessa che non pretendo di sviscerare in questa sede sulla quale, per desidero esprimere alcune riflessioni. E' il tema che alcuni Consiglieri democristiani potrebbero enunciare: "cultura e riproduzione del consenso" quasi come se fosse un tema da rovesciare in quest'altra formula: "cultura e tentativo di conquistare le coscienze e di condizionarle". E' un tema a cui la D.C. è estremamente sensibile, non solo per le sue matrici storiche e per le sue caratteristiche, ma perché, in fatto di consenso e di condizionamento, ha una lunga e più che trentennale esperienza.
Sono problematiche complesse, oggetto di contrasto e di contrapposizione che, al di là del breve cenno polemico che or ora ho fatto, hanno caratterizzato con scontri anche aspri il trentennio trascorso, implicando giudizi di merito e suscitando diffidenze che possono anche portare a degli scontri maggiori tra le realtà sociali, economiche istituzionali ed anche territoriali.
Nella relazione dell'Assessore Ferrero il ruolo istituzionale dell'intervento pubblico nella cultura, della Regione in specifico, Giunta e Consiglio (anche se il tema coinvolge tutta la questione dello Stato) nell'ambito della cultura autonomistica che contraddistingue una forza politica come la nostra, viene posto con grande chiarezza. La relazione esprime il parere della Giunta, fa delle proposte e richiama il Consiglio ad essere tale per decidere. Penso che il confronto tra linee culturali diverse e la polemica fra le ricorrenti ideali sia indispensabile e ci tanto più in un momento di trasformazione profonda, in cui elaborazioni teoriche e certezze consolidate sino a ieri, vengono messe in discussione con forti scossoni, da oltre un decennio.
E vengo, Consigliere Cerchio, a quella sorta di diffidenza diffusa che ancora stamani è stata evocata con toni per nulla settari - lo devo ammettere - ma come preoccupazione che vive ed è presente in altre culture in altri orientamenti, che non intendiamo affatto esorcizzare e con i quali vogliamo confrontarci. Sono diffidenze che risalgono noti solo a diversi orientamenti culturali e alla loro cristallizzazione in ideologie, in rappresentazioni a volte molto semplificate, ma che coinvolgono davvero la cultura dello Stato, il ruolo delle istituzioni, della programmazione; sono diffidenze rivolte come domanda soprattutto a noi comunisti; non perch vogliamo essere al centro dell'attenzione, ma perché questa era la sottolineatura, sia nella polemica con la passata Giunta, e in particolare con l'Assessore Fiorini, sia nei rilievi di attenzione e di profondi interrogativi di andare verso orizzonti che non si vorrebbe esperimentare.
Sono d'accordo che si è creata, e non da oggi, un'atmosfera di sospetto verso di noi ed il nostro presunto statalismo "dirigista" (questo è l'aggettivo ricorrente) quindi tendenzialmente volto a privare o a limitare la sfera della libertà, fatto che, in tema culturale, è tanto più grave.
Riaffermo che è una semplificazione ingiusta, dovuta certamente più all'arbitraria associazione con altri partiti comunisti al potere, che non a giustificate esperienze nostre, italiane e piemontesi e tanto meno bolognesi, come è stato detto per tanti mesi di seguito tra il '75 ed il '76. Il collega Viglione lo ricorda.
Non siamo certo ciechi rispetto alle esperienze del socialismo reale in certi Paesi - invito a leggere il libro di Goldstucker edito dagli Editori Riuniti sull'esperienza cecoslovacca - ciò che informa la nostra linea, il nostro dibattito, la nostra importazione, l'esperienza in occidente, nel nostro Paese.
In Italia lo Stato centralizzatore, il processo di identificazione, in contesti molti diversi tra partito e Stato, hanno avuto altri protagonisti che i colleghi democristiani conoscono bene. Ma proprio perché facciamo parte di questo tessuto nazionale e siamo così radicati nella realtà dèl nostro Paese e della nostra regione, cerchiamo di essere immuni il più possibile da tali pericoli, da questo retroterra e da queste influenze; e proprio perché valutiamo che in questi temi vi possono essere errori e rischi, e tanti ne vediamo nella vita nazionale, richiamiamo noi stessi prima ancora che gli altri, alla coerenza più rigorosa. Proprio perch siamo convinti che una riforma profonda dello Stato e della società è necessaria, l'affermazione di nuovi valori non può essere il frutto di un comando giacobino e del prevalere di una sola tradizione culturale e politica: vogliamo cogliere per la nostra parte di responsabilità ogni sfumatura, ogni sollecitazione.
Stamani nessuno dell'opposizione si è posto in modo soddisfacente due semplici interrogativi: è possibile far vivere la libertà e la cultura in una società di massa? E' possibile perseguire obiettivi simili senza mettere in discussione o approfondire il significato di queste parole e senza farle vivere, anche per gli eventi che accadono intorno a noi nel mondo, in ciò che di perenne esse conservano, ma in modo nuovo? La comprensione di tali problemi è decisiva anche al fine di pervenire ad una gerarchia di valori unitari della società piemontese e di quella italiana per comprendere cioè sia i problemi della parte più protetta sul piano culturale del Paese e della nostra Regione che di quella meno protetta. E' in questa comprensione che si gioca a nostro avviso gran parte del rapporto tra democrazia e pluralismo. E la cultura c'è; per tanti in questa questione non è un fatto di secondaria importanza e neppure di beni culturali.
Le affermazioni di principio cerchiamo di portarle nella realtà perch sono il risultato di una lunga esperienza, di elaborazioni travagliate, di una critica anche verso altre esperienze dove, il considerare dirigista lo Stato, il partito o l'ideologia porta il rinsecchimento, porta il soffocamento della creatività intellettuale. Ma sono anche affermazioni che corrispondono ad un nostro impegno di lotta unitaria nel nostro Paese perché ovvie non sono queste affermazioni e magari contraddette nella realtà e confutate dai fatti, dagli atti di governo.
Vi siete mai chiesti, anche per le deficienze accumulatesi in 30 anni il perché di tanta incuria dei governanti verso il patrimonio storico ed artistico? Ci sono elementi di preoccupazione (tanto meglio se sono anche vostri, Consiglieri democristiani, sono nostri, intanto) per questo misto incredibile di svalutazione costante della cultura e di mitizzazione strumentale dell'ideologia. Secondo una simile confusione di lingue spesso ci viene contestato, non a noi ma alla sinistra in generale, il diritto di governare perché non saremmo abbastanza legati ad una cultura occidentale.
Guardiamo il funzionamento dei Ministeri, anche in quelli in cui ci sono uomini valenti, e vediamo guasti profondi. Ci vorranno generazioni e generazioni per ripararli.
E' un fatto culturale, non è un fatto di mal governo. Noi non confondiamo il pubblico con lo statale. Questo dibattito è stato fatto nella prima e nella passata legislatura. Ricordo il Consigliere Conti quando su questi banchi, insieme parlavamo di formazione professionale.
Sovente ci siamo trovati in qualche contraddizione, tra noi e il P.S.I.
nel definire pubblico non ciò che è statale, ma ciò che ha una rilevanza che ha un punto di riferimento. Pensiamo ai processi formativi nell'istituzione. E proprio per la concezione che abbiamo del sistema delle autonomie, continuiamo anche qui a far e questa affermazione; non identifichiamo, poi tanto meno con un giudizio di valore, nel pubblico il bene presunto e nel privato il male potenziale perché dovremmo dire solo male dello Stato.
Invece, diceva bene Ferrero riprendendo questi concetti, parlando del riflusso, che non tutto è negativo, e avvertiva che rimboccheremmo una vecchia strada se non ci accorgessimo che comprendere i fenomeni nuovi interpretarli, combattere i particolarismi, vuol anche dire essere coscienti che il riflusso, Consigliere Cerchio (e una parte delle vostre correnti è maestra in questo senso), quando è accortamente promosso sapientemente guidato, porta un segno politico, aggrega paura e sfiducia mira a far regredire le conquiste ottenute, a liquidare le aggregazioni sociali che si sono stabilite in modo positivo nei processi di trasformazione della società, dello Stato e della sua democratizzazione.
Proprio per questo sono d'accordo con Cerchio sul ruolo dei partiti. Ad essi compete, non rincorrere con acquiescenza tutti i rivendicazionismi anche in questo campo, ma innalzare il livello della propria e dell'altrui cultura politica, creare quel clima morale (e c'è stato un momento nel Paese in cui lo si è tentato), le condizioni materiali in cui le arti e le scienze possono il più liberamente possibile crescere, favorire la parte non indifferente più comune del bene della società. Queste strutture presuppongono e postulano un loro governo democratico, fatto di partecipazione e di decentramento.
Come si tenta di rispondere alla domanda nuova e forte che è venuta dall'emancipazione sociale oltre che culturale e politica della società piemontese? Fondamentalmente la tendenza in positivo si è ancora accentuata, soprattutto là dove vi sono amministrazioni che hanno rinnovato dal 1975 ad oggi. Del lavoro svolto è già stato detto e anche delle critiche che vanno assunte quando hanno fondamento, quando hanno modo di essere documentate e provate. Però le tendenze negative a cui ho accennato prima nel rapporto Stato-cultura continuano ad essere gravi non solo per le inadempienze legislative, non solo perché in ogni provvedimento generale dello Stato manca il riferimento a questi temi, ma anche perché la spesa dello Stato in materia di cultura è aumentata a dismisura, malgrado la svalutazione; ma essa non corrisponde ancora alle necessità, alle esigenze poste dalla crisi e questa spesa è continuamente sottoposta ad una forma di degenerazione, di dequalificazione a causa della trasformazione assistenziale dello Stato.
Che cosa c'è ancora di privato nella cultura? Non c'è più niente, perché man mano che si hanno bilanci passivi, essi vengono scaricati sullo Stato. C'è ancora qualche cosa forse, nelle atti visive o in qualche piccolo settore della cinematografa, ma tutto il resto è diventato pubblico, anzi, statale, ammesso a contributo e a condizionamento. Non sono sospettoso, ma vedo in questo un timore di alcuni colleghi che qui hanno parlato oggi, che una politica di scelte drastica di qualificazione della spesa possa portare addirittura a non poter più soddisfare quelle molteplici esigenze che alcuni hanno chiamato clientelari e che io per correttezza chiamerei di mecenatismo, che ormai sono diventati un dato di fatto.
Di fronte alla crescita della spesa pubblica e alla moltiplicazione dei centri culturali, come riteniamo di rispondere? Ho apprezzato l'intervento della collega Vetrino Nicola, ma voglio rivolgere una critica al suo partito in generale. Ritengo che ci sia un limite culturale profondo nei provvedimenti di Andreatta e di La Malfa e nei piani triennali.
A causa della crisi, bisognerebbe intervenire con piani più organici mettendo al posto giusto le cose sottolineate dall'Assessore Ferrero nella sua relazione: il valore della scienza, della cultura, dell'Università della scuola. Mentre invece tutto si conclude con qualche contratto soprattutto con piani triennali che intervengono sul piano economico, ma che ignorano le leve fondamentali della valorizzazione delle risorse soggettive e complessive della cultura, anche come bisogno intrinseco del cittadino.
Occorre mettere ordine nella spesa, qualificarla in modo intenso.
L'argomento è complesso perché oltre alle inadempienze legislative centrali, di cui si è ampiamente parlato e che ricordano i vari documenti elaborati i dalla Giunta, c'è tutto un moltiplicarsi di iniziative legislative di varie correnti ed orientamenti culturali; ogni legge, ogni deliberazione, ogni Ministero hanno indirizzi di tipo diverso.
Bisogna fare alcune scelte fondamentali rispetto alle arti, rispetto al patrimonio. Occorre un piano globale. Mi pare sia questo il merito intrinseco della svolta culturale e politica che ha fatto questa Giunta, e che continua a portare avanti questa maggioranza.
Gli Assessori Rivalta, Moretti o altri non hanno fatto interventi culturali? La cultura è limitata soltanto ad essere, appunto, quella che viene definita "la microiniziativa", che sarebbe in contrasto con la grande? C'è un programma culturale a cui siamo richiamati subito, quello cioè della cultura di governo dell'amministrazione, delle strutture. Su questo c'è una grande iniziativa generale a Torino e nel Piemonte. Questo è un primo fatto di grande importanza che si ripropone e che si collega strettamente ad una considerazione diversa del rapporto tra Torino e periferia del Piemonte. Eliminerei questi due termini: in Piemonte non esistono periferie e mi pare anche errato concettualmente usare la parola "microiniziativa".
La periferia del Piemonte non è il luogo in cui a volte preserva una sua purezza e altre volte si lamenta di essere colonizzata: l'identità del Piemonte è rispetto ai grandi processi di trasformazione. Sono polemico con Nuto Revelli, per esempio, o con la descrizione che dà la Coldiretti quando Chiede contributi, rispetto ad una visione arretrata del mondo contadino.
Non c'è alcuna visione subalterna, anzi, queste questioni si pongono allo stesso livello e Sono della stessa importanza dei fatti produttivi e culturali della grande impresa.
Emerge una domanda nuova di cultura. Per ché si parla di Università, di decentramento in Piemonte? Per soddisfare il Sindaco di Cuneo o di Novara perché possano fregiarsi di una Università? Se fosse così bisognerebbe dargliela perché studiassero e capissero perché non la debbono avere. Non è questo: l'Università è una struttura portatrice di cultura e di Interesse, così la scuola e il suo rinnovamento.
Ci sono città che hanno Importanza e fascino, che sono ricche di patrimoni e di iniziative, che meritano di essere sedi di un decentramento permanente delle grandi iniziative culturali che vi sono a Torino; penso a Casale, a Saluzzo, a Mondovì. Perché il Conservatorio deve stare solo in Piazza Bodoni e non può anche essere altrove nei mesi estivi? Si può anche essere dilettanti suonando al Teatro Regio. E' un problema di strutture, è problema di non rincorrere i gusti della gente sempre e comunque, è un problema che deve avere un dibattito culturale, un confronto.
Allora si va nel merito delle scelte e del ruolo che spetta all'Ente locale. Ma è bene fare chiarezza sulle responsabilità. Qualcuno mi diceva che è sempre meglio un milione che non un calcio sui denti, ma non si possono disperdere i fondi in una serie di micro-non-culture, di iniziative inutili perché sollecitate da altri interessi che non scaturiscono da esigenze vere della comunità.
Le questioni si pongono in modo nuovo. Parliamo degli autonomismi, per esempio. Guardate la differenza che esiste tra autonomismo ossolano e i problemi dell'autogoverno. Le minoranze oggi sono chiamate a misurarsi sul terreno delle risorse, della vita in quei luoghi, delle residenze, dello sviluppo e non solo sul tema della conservazione della lingua. Si misurano con una cultura che non è estranea a quella urbana torinese: è un fatto generale del Piemonte. La discussione su una diga se va fatta in un posto o in un altro è un fatto di cultura. Bisogna anche avere il coraggio di dire che la legge 30 non l'abbiamo approvata dietro qualche manifestazione di strapaese, che non possiamo lasciarla gestire e intendere in questo modo che è concettualmente insufficiente e che, se abbiamo ritrovato una linea unitaria più alta, la rifacciamo nello spirito giusto e con il taglio che conviene rispetto a problemi che emergono non solo qui ma che sono emersi addirittura nella Comunità Europea su questioni dell'autogoverno dell'autonomismo e della conservazione di concetti di nazione, e non di stato, che possono emergere anche in piccole comunità, anche se cancellate dallo scontro che hanno avuto nella storia.
La terza ed ultima questione riguarda l'intervento pubblico e la cultura dello sviluppo. Ho il vizio di riferirmi ai colleghi democristiani quasi sempre con un retaggio, che siano ancora grande parte del mondo cattolico (non voglio fare torto a Reburdo). Resto convinto di questa realtà, non solo per le cose dette dalla collega Bergoglio Cordaro. E' giusto il messaggio che lanciate: c'è un'emergenza dell'uomo e c'è un'emergenza anche del suo destino. In questi ultimi 10 anni avrete constatato anche voi che all'illusione di un benessere illimitato, di un progresso che avrebbe dovuto sempre proseguire in modo unitario, è seguita una diffusa sensazione di grave malessere. Quando evocate questa vostra cultura pensate che è in crisi la cultura della pace. Che cosa significa nella coscienza degli uomini? Il valore stesso della sopravvivenza rischia di essere compromesso nella pratica, non perché la natura si distrugge, ma perché gli equilibri vengono mutati. Riflettete sul fatto che di fronte alla storia di interi popoli si interroga addirittura la Chiesa. Non ho simpatia per il Papa, ma ho approvato il discorso che ha fatto ai Vescovi tedeschi nel quale ricordava la figura di Alberto Magno che era maestro di San Tommaso e diceva: "Che cosa vi pare che ci sia di più importante nel messaggio di Alberto Magno?". Si è alzato un tedesco piccolo di statura ma uomo di alta cultura che gli ha detto: "Alberto Magno chiedeva: quid agimus? Stanno arrivando gli arabi con Aristotele e noi continuiamo ad andare con Sant'Agostino e Platone?".
Che fate, colleghi democristiani, di fronte alle scelte che vi pone Ferrero? Ma restiamo nell'epoca in cui Mounier elaborava le interessanti teorie sul personalismo e sulla gerarchia dei valori, che ha tanto influenzato il movimento operaio, si discuteva se Dio era a sinistra, a destra o al centro in quel momento in Francia. Io invece voglio ricordare che Mounier, evocata la gerarchia dei valori del personalismo, ricordava che ciò è possibile solo rifacendosi alla società umana che deve realizzarli.
Noi vi rispondiamo che non siamo affatto estranei all'emergenza dell'uomo in ogni senso. Ma partiamo di qui, dal Piemonte, dai suoi valori dai problemi aperti. Quindi, le grandi tradizioni passate e recenti della produzione intellettuale in Piemonte sfociano in quella relazione attraverso gli anni di gestazione nella precedente Giunta e confronti anche aspri. Non c'è alcuna separazione, tra scienze e belle lettere neanche nella lettura letterale del testo, anzi, c'è una spinta alla ricomposizione dei saperi. C'è stata una costante, data per scontata nella relazione di Ferrero. Da un lato abbiamo avuto nella produzione intellettuale la concentrazione di tante forze, organizzate in modo corporativo dalla grande industria, dall'altro lato non è mai venuta meno la caratteristica del lavoro intellettuale piemontese che si è sempre contrassegnato in termini qualitativamente assai elevati, nell'Università e nelle altre istituzioni culturali, dialogando con tutta la nazione, con il mondo e in particolare con l'Europa. Se un limite vi è stato noi vogliamo porvi fine. Compito precipuo di una visione culturale corretta di una Giunta come questa è di rompere lo steccato che ha sempre tenuto separato questa produzione culturale in una ridotta corporativa, influenzata dal deus ex machina autonomo di per sé, la grande impresa, e che ha tenuto lontana l'Università dalla società locale, separandola con un vero e proprio steccato. Torino e il Piemonte restano un punto chiave del dibattito culturale nazionale ed europeo per l'emergere di nuovi soggetti, per il ruolo dei lavoratori in ogni campo, per il pluralismo delle sue tradizioni e dei suoi orientamenti culturali, l'area laica, l'area socialista in senso lato intesa, l'area cattolica. L'egemonia culturale della grande impresa è in crisi.
Giustamente il collega Marchini ricordava che non vogliamo insegnare alla Fiat a fare le macchine, ma vogliamo cogliere l'appello che rivolgeva in modo molto accorato, p er c hè interessato, l'avvocato Luca di Montezemolo qualche giorno fa sulla "Stampa" e sulla "Gazzetta del Popolo".
La Fiat lancia a tutti una sfida culturale oltre che produttiva.
Sprovincializziamoci - me lo auguro - ma sarà difficile per l'impresa se si rinchiude di nuovo nella sua ridotta, se vuole fare la guerra a tutti e contro tutti, se vuole ritornare ad una forma di isolamento, magari internazionale nel monopolio dell'auto, e se non capisce che il suo internazionalismo è, come ci ricordava sovente in quest'aula Minucci "fermarsi ad Eboli", è capire la realtà italiana prima di volare da New York a Tokio sorvolando sui grandi problemi.
I problemi della cultura industriale non sono fatti culturali? Non sono fatti di pluralismo? Non sono questioni che esigono "quell'offrire un sistema di convenienza e di occasioni", di cui parlava Ferrero, e che si ricollega ad un programma più generale della Giunta? Aggiungiamo per parte nostra che lo stesso movimento operaio non pu rimanere chiuso nella cultura del '68 e '69, perché al di là della rete dei consigli ci vuole qualcosa di più, bisogna certamente svolgere un ruolo più ampio. Qui c'è una connessione tra processi economici, culturali e la scienza.
C'è una conclusione che porta ad un livello gerarchico supremo, ad un fatto che è la politica.
Come si fa a tenere fuori tutto questo, colleghi Consiglieri, dalla politica? Come si fa a prescindere da questi accenni di dibattito culturale, oltre che politico nuovo, che avviene faticoso tra le stesse forze della sinistra: laiche ed anche cattoliche? Le stesse questioni pervadono le culture delle zone agricole. Ma ho già detto su questo e chiudo dicendo che sono sorti anche nuovi apparati nel terziario, che tendono ad essere corporativi, chiusi.
Vogliamo su una base unitaria (la maggioranza farà e l'opposizione darà i suoi contributi) lasciare la spontaneità dei corporativismi, separando ulteriormente queste categorie sociali o favorendo la costruzione di momenti di comunicazione tra di loro ed il mondo della scienza e della cultura, quindi aprendo un governo ad essere più capace di partecipazione e di presenza degli altri nel decidere, di categorie sociali che si presentano con gli interessi generali? Questo è un problema all'ordine del giorno che pone in crisi la vecchia cultura della scuola Sarebbe fittizia e stantia quella distinzione che viene ripetuta secondo cui i marxisti sono solo legati alle strutture e non all'uomo. Noi siamo i più fermi critici di quell'ottimismo sbagliato ottocentesco, per certi aspetti scientista, beota, per cui l'uomo dominatore e signore della natura sarebbe capace di restaurare il paradiso solo che potesse liberarsi delle preclusioni che un sistema sociale sbagliato, il capitalismo, ha posto lungo il cammino sociale.
Per carità! E siamo anche molto più ottimisti sul peccato originale.
Riconosciamo, invece, che è necessario superare le vecchie separazioni tra scuola e società, tra Università e società civile facendo una scuola di massa, ma qualificata, rigorosa. L'Assessore Ferrero parla di un comitato internazionale, che magari rivitalizzi l'Accademia delle Scienze. So che l'Accademia delle Scienze - non dico nulla di compromettente per questa maggioranza - è fatta di cose che non vogliono vedere la luce, che si chiudono dietro le tende scure, che è un ritrovo simpatico, culturale per pochi. Ma è anche fatta di forze vive all'interno.
Quell'iniziativa vuoi dire intanto legare il Piemonte all'Europa valorizzare le grandi energie che vi sono sul terreno piemontese, nazionale ed internazionale. Questo atteggiamento europeo è quello che ci fa aprire alle culture del Terzo Mondo, anche per ragioni di "interesse" giuste e corrette, oltre che di comprensione pluralistica di ciò che avviene attorno a noi.
Collega Vetrino Nicola, tu hai sottolineato quella bella frase che ricordava l'Assessore Ferrero, che in piena guerra mondiale, sotto i bombardamenti, a Londra, si elaborava e si discuteva la riforma della scuola. Io ne ricordo un'altra per dire come è giusto tenere in conto per non commettere errori che hanno commesso certe culture occidentali. Nel 1963 all'apertura dell'Anno Accademico, il Rettore dell'Università di Oxford nella sua prolusione diceva: "Ci sono dei professori che vogliono che faccia un corso sulla storia africana. Quale storia africana? Non esiste, al - momento attuale c'è solo la storia degli europei in Africa".
Anche per questo l'Inghilterra ha dei travagli. Noi quell'occasione non la manchiamo e vogliamo rivedere la questione dei rapporti con il BIT che va a favore della soluzione di quei problemi che a fine settimana tratteremo nella Conferenza Fiat: un rapporto nuovo tra Torino, il Piemonte congiunto, l'Italia e i Paesi emergenti soprattutto dell'area mediterranea.
Per questo sono convinto che le iniziative dell'Assessore Ferrero rivolte anche sull'aspetto internazionale metteranno, nei tempi che oggi stiamo vivendo, Torino e il Piemonte all'ora del Paese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Villa.



VILLA Antonino

Signor Presidente, signori Consiglieri, nel prendere là parola dopo tanti interventi non so come possa osare a sganciarmi dà quell'aura che sembra di un pomeriggio domenicale a Mèdon, quando Maritain raccoglieva i suoi e li catechizzava. Sono come il piccolo discepolo che sente quanto arriva e cerca di farne tesoro. Non so se quanto dirò è nella via di questa acquisizione, ad ogni modo, se non lo fosse, serve come apporto per approfondire un po' di più l'argomento che stimo trattando.
Parecchie volte il nostro Consiglio si trova nel momento della verità su argomenti di peso, su decisioni da adottare, su confronti dialettici momento che viene arricchito dall'apporto corale di tutti i Gruppi, anche se nel coro può succedere magari di rilevare la stecca del grande tenore o il borbottio disarmonico e persino fastidioso.
Oggi, che siamo chiamati a discutere sulla politica culturale che la Giunta propone per il ciclo legislativo, sentiamo con consapevolezza l'importanza del discorso che si è finora dipanato, sentiamo che non si tratta soltanto di una presa d'atto degli intenti dell'esecutivo (almeno questo speriamo), ma che si stanno buttando nei solchi i semi per una vegetazione che può avere la forza di determinare un paesaggio futuro. Se il terreno è pronto alla seminagione o pieno di rovi e malamente dissodato se il seme ha la sanità e la freschezza o troppo è rimasto all'oscuro, se il paesaggio futuro non avrà distonie ma si stenderà gradibile per l'uomo: questi sono i problemi.
Non è qui, infatti, amleticamente questione di essere o no, perch l'impegno generale a dovizia dimostra la volontà e di riconoscere l'esistente, dal suo maturato di secoli alle vicine acquisizioni di legislazione regionale, e di studiarne le caratteristiche più fertili ed i tratti più significativi; la questione interessa il chi, il come, il quando, il con chi, il perché finale. L'Assessore Ferrero ha riassunto ritengo, il pensiero della Giunta, ma visibilmente ha inserito nella proposta per il dibattito molta parte di una meditazione personale che viene da forma mentale mutuata al Politecnico e da sensibilità che si avvale di "buoni studi" direbbe Viglione. Sulla relazione Ferrero, dunque dobbiamo centrate gli interventi, non dimenticando certo che le sollecitazioni della materia trattata sono infinite e che le spinte ad esprimere un proprio giudizio su annessi e connessi sono forti. Occorre seguire l'itinerario di Ferrero, perché la parte propositiva già vigorosamente inquadrata e gli spunti lasciati alla varietà dei suggerimenti (non sono moltissimi, ma c'è apertura sembra ad accoglierne altri) attendono una conferma o un dissenso.
Non è facile, e sarebbe eccessivamente schematico, e perci presuntuoso, il "sì" o il "no", soprattutto se si mirasse alla globalità sintetizzata di una valutazione. Seguendo gli interventi dei miei amici di Gruppo, cercherò di sintonizzarmi con la documentazione avuta, chiedendo scusa se in tal modo la metodologia dell'esposizione avrà sentore troppo scolastico.
E' indubbia che non occorre molta fatica per percepire lo iato che esiste tra il passato e il presente, ma più ancora tra il passato e il futuro, fili dall'inizio della relazione, che sottolinea "in primo luogo l'attività d'indirizzo e di coordinamento espressa dall'assemblea legislativa".
Particolare considerazione, poi, merita il passaggio in cui si chiede aiuto alla fantasia e si afferma "l'umiltà nell'ammettere gli errori e nel far tesoro delle obiezioni e dei suggerimenti". Questo è, invero l'atteggiamento di chi è aperto alla pluralità delle idee, purché non sia un manto esteriore che copra in modo ipocrita (l'umiltà pelosa) uno stato di insofferenza, che si tramuta ben presto in arroganza, in prepotenza, in esclusivismo: ma questo lo escludo.
La necessità di porci in umiltà di fronte alle cose, più ancora che alle idee degli altri, si evidenzia all'inizio di ogni discorso sulla cultura. Lungo, anche se allettante sarebbe disquisire sui significato che si vuole dare al termine e non nego che la tentazione l'ho avuta, come credo anche altri, ma l'avvio di un minimo di approfondimento è spontaneo nel richiamo alla "nuova gerarchia di valori".
E' il punto di partenza e di arrivo di tutto il discorso, la causa finale. Se al centro o al culmine, a seconda delle accezioni geometriche di ogni azione, di ogni vivere mettiamo l'uomo, allora discendono conseguenze che in modo chiaro determinano il nostro operato. Occorre per ribadire questo concetto, che sia fondamentale; anche se ampio rimane l'orizzonte racchiudente diverse interpretazioni sull'essenza e sui destini dell'uomo. Punti comuni, accordi di fondo dati se non altro dal solo fatto che l'uomo esiste e vive, ci pongono in grado, tutti quanti, di riconoscere che la cultura è insieme di sostegno ed espressione della persona, la quale non può considerarsi staccata dagli altri, non può essere sorda ai richiami e ai collegamenti, non può sussistere solo con le sue forze, non può non interagire; e quindi i collegamenti che si intessono tra gli uomini sono il risultato dell'essere, e dell'estere colto, di ogni persona.
Lasciamo ad altro tempo e ad altro luogo l'approfondire se si pu ancora, e se è giusto, corretto, logico, parlare di cultura di massa, e più problematicamente se è ancora giusto, corretto, logico parlare di massa senza correre il rischio di annichilire la persona, a meno che non si attagli al termine "massa" un significato esclusivamente quantitativo e coreografico.
Ritorniamo perciò ai valori, disposti sui gradoni gerarchici, anche se fra loro si compenetrano, e tentiamo con lo sforzo del nostro lavoro su questo terreno di fare in modo che la cultura non stravolga almeno le basi della libertà, della giustizia, della pace, dell'ordine, della solidarietà e che essa non venga inaridita dall'egoismo soffocante né dalla sufficienza dell'intellettuale di mestiere né dall'insufficienza del cittadino unicamente pasciuto.
Ecco allora che il pluralismo scatta dalla diversa impostazione gerarchica dei valori, forse da Ambiti differenti nei quali si radicano i valori, per cui i processi culturali hanno una loro sfera entro la quale agire in modo autonomo; considerazione che mi fa temere di non aver ben capito l'Assessore che vede espresso il pluralismo nel "governo dei processi culturali", a meno che non voglia intendere il rifiuto di una anarchica proliferazione di indirizzi e di comportamenti, non Inseriti nell'alveo della comunità sociale o una distorsione antiumana di posizioni totalitarie.
Ed ancora crea esitazione, che può diventare un chiaro dissenso in mancanza di delucidazioni, la scelta netta, conclusiva e concludente, del discorso delle strutture. Se infatti tale assunto diventa meccanicistico freddo, limitato ad aspetti contabili, noi crediamo che si restringerebbe di parecchio la possibilità per la nostra gente di esprimersi, di sprigionare la propria cultura, non quella sillabata sui libri, ma quella sanguigna o paziente del lavoro, della convivenza e della solitudine, dei vecchi e dei bambini.
Non può esaurirsi nella struttura un indirizzo di politica culturale, e nemmeno marcatamente privilegiare le strutture, pure indispensabili, e preminenti anche, se vogliamo, nella determinazione delle cifre da incolonnare nei capitoli di bilancio. Se intendiamo trattare .esclusivamente delle possibilità e capacità di spesa, può anche essere proposta tale scelta, ma essa, come dicevo, diventa tran tran di ragioniere senza spiragli verso un'azione di promozione, di incoraggiamento, di cammino comune, da parte della Regione che può avere tanti modi, oltre a quello pecuniario, per incidere sulla crescita del nostro Piemonte. In sostanza pare che questo tipo di crescita priverebbe di organicità lo stesso programma culturale, se, come è persin ovvio, programma organico si intende nel senso accennato da Papa Wojtyla nel discorso del luglio '80 ai Vescovi brasiliani e cioè: "il legame esistente fra i diversi fattori economici e tecnici e le esigenze culturali".
D'altra parte la relazione non è entusiastica (o è maliziosa ) nel prospettare delle questioni politiche quale viene proposta nell'esame del passato, perché la faccia positiva della medaglia è del tutto racchiusa, a mio parere, in una considerazione quantitativa, mentre gli altri problemi rimangono irrisolti e da rivedere talora nell'impostazione e nei procedimenti.
Anche la mole di attività poi, escluse le spese per restauro di oggetti, per l'installazione di antifurto, per attrezzature ed arredamento in sedi museali ed extramuseali, ha una sua presenza e una sua vivacizzazione accentuata nell'arco degli ultimi venti mesi circa della passata legislatura (la legge 58 in pratica entra in funzione nel '79) per cui il sospetto di una copertura pre-elettorale dovrebbe turbare un giudizio di manifesta soddisfazione, tanto più se la copertura si è avvalsa di un certo prosciugamento di fonti, che rendono ardua oggi l'opera dell'Assessore alle finanze: ma tant'è, l'importante era rimanere al governo della Regione, memori del detto "cuius regio, eius religio".
La rimeditazione sull'azione regionale, soggetta al rischio di una eterogeneità di interventi, porterebbe ad una nuova metodologia operativa affidata ad un "circuito regionale della cultura". Sono sicuro che c'è l'onestà della concezione di un raccordo di attuazioni, in cui fluisca la linfa vitale della cultura, nell'intenzione dell'autore.
Ma agli occhi degli abitanti del vicinato può apparire un disegno meno gradevole, se dovessero verificarsi tagli di zone, punizioni di settori compressioni di domande e se il circuito, pur bello e da ammirarsi, non promanasse dall'interessamento della popolazione piemontese sollecitata in tutte le plaga regionali. Resta tuttavia l'utilità di una proposta, che non può essere valutata negativamente a priori né però assunta a scatola chiusa, ma deve essere sottoposta a giudizio e soprattutto seguita nella sua sperimentazione, tanto più che si parte dall'alloro massimo decretato motu proprio al progetto integrato: la Mandria. Se, infatti, è difficile negare validità alla ricerca di un'integrazione di opere e di interventi in modo tale che la settorialità non impedisca il gusto e l'utile di una visione d'assieme, se le specificità e le caratteristiche devono rivelarsi per la forza della loro eminenza; ancora tutta sub judice è la concretizzazione del progetto "Mandria" nell'esame sia dei frutti di quanto è stato fatto sia delle novità che si stanno introducendo. Non c'è niente di male, anzi, nel tentare il nuovo, nello sperimentare forme non stantie: insieme però occorre essere disponibili ad osservare con occhio critico e chiaro gli effetti, i costi, i sacrifici, le rinunce, che la scelta ha comportato per avere la misura esatta dei benefici, senza il velo che troppo facilmente ogni uomo usa nel valutare le proprie azioni. Proprio perché non giudichiamo cose personali, ma aspetti coinvolgenti gli altri non è lecito lasciarsi blandire da qualche ossequiente articolo di giornale od inorgoglirci dell'applauso di chi forse adopera l'adulazione per difendere una sua posizione di comodo.
Interessante senza dubbio è il criterio di territorialità ed apprezzabile l'obiettivo assunto di pervenire all'autogoverno delle iniziative, obiettivo però che non può essere perseguito se chi aiuta soffia troppo sul collo, se in continuità fa pesare l'aiuto, se permette insomma che l'autogoverno si riduca ad uni formula, anziché sostanziarsi di democrazia. A questo punto si apre davvero un discorso serio e fertile, da affidare a Comprensori e Province, che certamente si riconoscerebbero nelle loro virtualità e si sentirebbero di conseguenza stimolati a raccogliere il testimone dell'ideale staffetta. Credo, anzi, sia doveroso avanzare una proposta, proprio per rimarcare la nostra adesione al concetto e per tradurre in campi pratici l'appello agli enti. Tramite la loro Unione regionale, le Province creino un gruppo di lavoro, che si interessi insieme alla Commissione regionale, per la concretizzazione di alcune funzioni in rapporto allo sviluppo culturale del Piemonte, che vengono già suggerite nei documenti della Giunta, e di altre possibili.
L'invito che rivolgiamo all'URPP non solo è nostalgicamente carico del passato di tanti di noi nelle aule dei Consigli provinciali, ma ha la fora convinta della necessità che si giunga finalmente alla nuova legislazione sulle autonomie locali. E non dubitiamo che l'apporto delle Province, con l'inevitabile chiarificazione nei confronti dei Comprensori, trattando di cose e non di astratti funambulismi, renderà più agevole anche il nostro compito. Mentre con tutta probabilità aderiranno alle indicazioni ipotizzate dei campi di intervento, non è azzardato sicuramente pensare che, in dialettica con i Comprensori da un lato e con la Regione dall'altro, diano un apporto reale per altre eventualità, non escludendo una loro partecipazione con parere, da discutere se vincolante sull'opzione per le spese di investimento sulle strutture o sul riuso di quelle esistenti, dal momento che in certi casi ne sono proprietarie o comunque possono dimostrarsi interessate ad una collaborazione, magari anche finanziaria.
Ecco collegato l'argomento della delega. Concordiamo in pieno nell'assunzione del Comune come Ente locale base di ogni convivenza rivendichiamo anzi tutta una tradizione dominale di assoluta avanguardia su questi principi, rimarcando che il genitore della Democrazia Cristiana, il Partito Popolare, ebbe nell'Ente locale la sua prima ragione d'essere, le sue prime esperienze politiche, la sua prima espressione rappresentativa di strati popolari che in quegli uomini si riconoscevano. Contemporaneamente però non ci è possibile sottacere il nostro dissenso se la delega viene accolta dal delegato come un'investitura in esclusiva o come una consacrazione abilitante a qualsiasi forma di vita umana. Intendo dire cioè che una delega non può trasformare il Sindaco in impresario teatrale o in Presidente della squadra di calcio o in talent scout per la danza classica o il Karatè: se qualche Sindaco ne avesse la personale vocazione, nulla vieta che si dedichi alle citate attività, ma come privato cittadino con soldi suoi, non con i poteri e i proventi della delega. Mentre invece sarà meritoria la sua opera se, forte della delega, promuove la crescita culturale delle popolazioni che l'hanno eletto; così la propulsione della Regione diventa fortemente motrice, quando conceda questa possibilità giuridica prima ed operativa dopo, in un concerto attivo, dove dovrà sempre essere ricercata al massimo la partecipazione della gente, proprio perch incitata, sostenuta, facilitata dall'ente pubblico.
L'Assessore Ferrero con un vezzo di appetitosa estemporaneità, là dove assume il dato della produzione della carne, introduce l'argomento forse di maggior significato, trattando del rapporto tra la Regione e la società piemontese. Occorre esaminarla bene questa nostri società piemontese studiarla con l'amore del componente, sentirla in noi con le sue tradizioni e le sue prospettive, vivificarla insieme a tutti coloro che in Piemonte vivono, faticare per lei nelle istituzioni e nei campi del nostro lavoro ma soprattutto non permettere mai che le venga tolta la libertà. Mai e in nessun modo, né con l'imposizione di una legge che ne vincoli l'espressione, né con, la blandizie di una delibera di contributo, né con pastoie procedurali, né con astrusità interpretative. Indubbio che la Regione non può rinunciare al suo ruolo di polo della massima rilevanza (giustamente si richiama la capacità di rappresentanza e di potestà legislativa), ma questa posizione di forza deve servire, non certo prevaricare. Le componenti della società, nelle più varie presenze Università o scuola, fabbrica o amministrazione, ruralità o strutture del tempo libero, movimenti femminili o giovanili, proprio perché rappresentano le opere e i giorni dell'uomo, incarnano loro le espressioni genuine di ogni tipo di cultura, se vogliamo accennare alle suddivisioni tipologiche che esistono perché sono i segmenti della lunga, linea della civiltà e che la Regione non soltanto non può sostituire, ma nemmeno deve interferire nella loro evoluzione autonoma, se non portando loro ausilio di idee e di mezzi.
Nello stesso momento, in cui non ho alcuna esitazione a concordare nel sollecitare gli adempimenti ai quali il Governo e il Parlamento devono provvedere, rimarco anche il nodo essenziale per una vita democratica quello della responsabilità. Il cittadino ha bisogno di saPere, il sollecitante e discusso diritto all'informazione, ed è doveroso da parte nostra fare in modo che sappia, a chi deve riferirsi se e quando esistono disfunzioni, se e quando viene leso qualche suo diritto, se e quando le sue aspirazioni sono precluse. Lo Stato sia a livello centrale che periferico si assuma le sue responsabilità e, contemporaneamente, se le assuma la Regione.
Esistono problemi di interferenze? Il sistema democratico è quello che permette di verificare i modi di accomodamento, le competenze anche di settore (non leverei poi un grande scandalo a parlarne), le collaborazioni sovente utili; purché non scorra nel sottofondo il preconcetto, la malafede, la mancanza di fiducia. E "senza atteggiamenti di ambiguità e di supplenza" occorre stringere rapporti in tempi stretti con l'Università verificare l'attuazione delle convenzioni (pensavo se una convenzione con il Politecnico non avrebbe reso più credibile il rapporto sull'urbanistica del Piemonte, quando fosse stato redatto da esterni con onestà critica) occorre usufruire delle capacità esistenti sul territorio senza contropartite che non vadano nell'esclusivo interesse comune. A questo proposito si riprenda il discorso delle Università.
Ero Presidente dell'Amministrazione provinciale quando la stessa, il Comune di Vercelli, l'Ospedale, la Camera di Commercio, la Cassa di Risparmio hanno dato il via ai corsi universitari, che continuano tuttora e che avevano il compito di prefigurare l'Ateneo vercellese, facendo risorgere l'antico Studio, pur limitandosi alla Facoltà di Medicina. Venne la documentazione Ires, vennero le discussioni, non vennero le realtà. Ci sono proposte di legge alla Camera e al Senato per l'istituzione di Università. Conosco quella dei parlamentari piemontesi del Partito Comunista, quella del Senatore Boggio per Vercelli: può darsi ce ne siano altre. A noi rimane l'obbligo, se siamo convinti dell'esigenza, di impostare in modo chiaro e definitivo il progetto, in accordo con gli Enti locali. Lo sfoltimento degli Atenei torinesi è ormai accettato da tutti dal momento che l'affluenza massiccia di studenti ha congestionato ovunque le strutture. E' passata l'epoca nella quale l'Università era la Sorbona sufficiente per Parigi e l'Ile de France. Ora non solo si è stati costretti ad un'articolazione delle Università, ma ormai non è più peregrina l'idea dell'Ateneo policentrico, che perde l'aureola della cattedra intesa in venatura baronale, ma che introduce almeno due rilevanti aspetti positivi: primo, si evita l'intasamento di centri di media grandezza che si vedrebbero invasi di qualche migliaia di studenti; secondo, ed è il fattore che proprio in questo dibattito più ci interessa, si immette néi circuiti delle nostre città un potentissimo fattore di produzione culturale inerente al corso degli studi e non privo dei benefici del convergere in diversi poli di esperienze differenti.
Fatto questo richiamo al decentramento, poiché abbiamo sofferto la decisione della maggioranza circa il diritto allo studio nell'ambito universitario, mi sia concesso di ricordare ancora l'errore secondo noi della soluzione data, la volontà di cercare i modi per correggerla l'indicazione che la strada lombarda fu perseguita anche dai comunisti e dai socialisti dell'Umbria.
Lontano porterebbe (e temo mi porterebbe) il tema della scuola che non vorrei "coinvolta", come scritto nella relazione, ma mi permétto di riferirmi all'opportunità di rapporti con l'IRRSAE. Museo Regionale di Scienze Naturali: è un'opera che ha, e più avrà, a mio avviso, notevoli benemerenze. Nella visita che la VI Commissione ha fatto ai materiale e ai locali, l'aspetto che mi ha piacevolmente colpito (capita purtroppo raramente oggi) è stato l'entusiasmo degli addetti ai lavori; un entusiasmo fervido, contagioso. Quando tutto sarà sistemato nel "futuro bel" San Giovanni, Torino potrà vantarsi a livelli internazionali, per cui riprendo un appunto del Presidente, un neo, al quale penso si potrà e si troverà il modo di rimediare: il nome. Così com'è: Museo Regionale, ha sapore riduttivo. Capisco che è giusto attribuire la paternità, ma evitiamo che quel regionale posa intendersi riferito all'area geografica, perché in tal caso sarebbe veramente ridurre l'universalità del Museo. E se bisogna ritoccare la forma della legge istitutiva n. 37 del 29 giugno 1978, non sarà una gran fatica.
L'ora che batte (come il Big Ben rievocato dall'Assessore Ferrero nell'accennare alle discussioni del Parlamento inglese sulla riforma dell'ordinamento scolastico durante i giorni dei bombardamenti tedeschi) è pesante di preoccupazioni, ma tra queste non può non trovare collocazione l'esigenza di soluzioni culturali, per il semplice motivo che sono soluzioni esistenziali.
Concedo una certa correttezza logica nel tener conto di una cultura industriale nella quale, non diversamente da quanto avviene in tutte le cose umane, si notano scricchiolii più o meno accentuati, ma si pecca di scelte aprioristiche ed ideologiche quando ci si affida ad un relativismo manicheo che mette in contraddizione speculare la realtà, in qualunque sua espressione venga osservata.
Viene rifiutato perciò un confronto acido in termini di "tu hai fallito, io invece sono sicuro che non fallirò"; confronto con una cultura della fabbrica, che pur avendo siglato con marchio privatistico momenti polarizzanti anche in senso spaziale e creanti perciò squilibri, ha tuttavia affermato nel concerto nazionale ed internazionale un modo di essere, che si avvalse delle più riconosciute virtù piemontesi: dalla tenacia nella fatica alla sopportazione nelle avversità, da un solitario testardo rovello dell'intelligenza ad un geloso e persino esclusivistico ricorso ad una rudezza che non esclude il dono ma è brusca con le frange e le smancerie, dal gusto estetico modellato nelle parentesi dei lunghi silenzi alla sua estrinsecazione nelle linee di un vestito, di un'automobile, di una macchina da scrivere.
E' giusto il tentativo di nuovi itinerari, forti di una ricerca che parta dalla constatazione di un nostro passato ricco di sicurezze (il passo del piemontese è cadenzato, solido, instancabile); ma non è lecito giocare d'azzardo, con la prospettiva se mai della rassegnazione di ammettere un errore. Non è lecito, perché negli anni '80 il gioco diventa estremo; le scelte possono accogliere accomodamenti nei confronti dell'imprevedibilità delle sorti umane, ma non sostengono l'ineluttabilità dello spostamento ad un altro tavolo. Il banco salterebbe e per lunghissimo tempo saremmo irrimediabilmente subalterni.
Ciò significa che i due grandi progetti indicati, suasori certamente e tutt'altro che privi di personalità, postulano una meditazione allargata e prolungata per caricarci tutti quanti dell'entusiasmo indispensabile per questa Marcialonga di civiltà e per avere conoscenza piena dell'entità della qualità, della raggiungibilità degli obiettivi per non avviare il Piemonte sulla der Weg zur katastrophe, la marcia verso la catastrofe come dicono i tedeschi.
Un'assunzione così marcata, dittatoriale direi, di indirizzi che vedano nella cultura scientifica anglosassone e nelle culture extraeuropee gli unici mezzi "per introdurre il Piemonte nei circuiti internazionali" assolutizza dei filoni che hanno, è vero, dei puntuali riferimenti di tutta eccellenza nella storia della nostra Regione, ma si corre il rischio di operare in esclusiva nell'ambito prescelto e di mettere in off-side, e quindi penalizzarlo, un retroterra rigoglioso, dove l'umanesimo cristiano con la sua carica di spirituale solidarietà ha nei secoli, ed oggi continua ad avere, la voce delle nostre genti non arrochita dalla civiltà delle macchine, anzi temprata e caratterizzata nella quotidiana comunanza, non ignara degli artigianelli Salesiani né dei condannati di Don Cafasso, dei bisognosi della Casa della Divina Provvidenza né dei giovani di Don Orione.
Non vorremmo cioè che un'intelaiatura dai precisi calcoli, apprezzabile ed anche generatrice di sviluppo, soffocasse e stravolgesse lo sviluppo esistente: la scelta deve essere attuata, dopo una constatazione coinvolgente il maggior numero possibile di cogestori, senza rifiutare il senso della storia presente sotto altre specie. Se la cultura è di per s progetto (Croce parlava di "orientamento", "fede" in polemica con una concezione tecnicistico-empirica della cultura), il problema non rimane più ristretto all'interpretazione del reale, ma il problema vero diventa come si organizza tale interpretazione, quali tecniche serviranno per dirigere la storia.
A questo punto il problema ha implicazioni politiche fondamentali, ci fa sfociare al rapporto fra cultura e politica; più esplicitamente fra cultura e sistema politico; e soltanto l'affermarsi costante della democrazia politica consente la realizzazione di due addendi indispensabili di ogni cultura: l'individuazione dell'emergere del "nuovo" e il confronto fra il "nuovo" e il "vecchio", lasciando arbitro il corpo sociale informato e preparato, di scegliere fra valori diversi e di poter liberamente mutare le proprie scelte in base all'esperienza. La vitalità di ogni cultura infatti è in generale connessa con l'esistenza della libertà e, nell'età contemporanea in particolare, con i momenti di sviluppo di democrazia.
Per uno sviluppo materiale non dobbiamo permetterci di barare sull'originaria cultura del Piemonte offrendo alle nostre genti una carta d'identità etnica come consolazione e come valvola di sicurezza, senza fruire dei presupposti di libertà così gloriosamente vivi nel corso dei secoli e così determinanti nella Resistenza.
Anche noi, direi specialmente noi, non mitizziamo la tecnocrazia (non so quanto possa aver influito sul pensiero della Giunta il riferimento che immediatamente soccorre, ai nefasti di quella sovietica), e stiamo noi stessi attenti a non essere soggiogati dal tecnocrate che ci obbliga con la sua scienza alle sue scelte: cerchiamo sempre di confrontare la Scienza (con la "esse" maiuscola) dello studi, o con quella pur con la "esse" minuscola, del buon senso popolare, quando, da politici e da amministratori, abbiamo il dovere di decidere.
E non mitizziamo nemmeno les belles lettres, anche se ad esse dobbiamo molto, anche se per esse abbiamo i raccordi con i popoli, anche se esse ci alimentarono tutti da quando sillabavamo con la maestra a quando l'Assessore Ferrero interpreta il patto con il diavolo di Adrian Leverkühn.
Il rifiuto del mito però non significhi rifiuto del reale e soprattutto non significhi sostituzione con altri miti, cambio dei cavalli, perché ci sarebbe pur sempre da temere l'assalto alla diligenza.
Se mi è concesso vorrei ancora suggerire (non credo buttando acqua fredda su un fervore che reputo sincero) consultazione e gradualità.
Tutti coloro che sentono la bellezza dei grandi progetti, che nel sacrificio dello studio e nell'impegno politico si sono preparati a dare qualcosa alla società, che hanno le carte in regola per partecipare alla partita, siano richiesti del loro parere e del loro aiuto, a tutti i livelli; estromettendo unicamente gli adulatori elemosinati, per non ritrovarci in una corte dei miracoli.
E per gradualità intendo la paziente preparazione delle opere in una loro gerarchia ascendente, l'osservazione competente e non turistica delle esperienze altrui, la crescita costante dell'interesse sollecitato l'apprestamento logistico, il reperimento delle potenzialità concentrate nel capoluogo e più ancora diffuse nella Regione, il raffronto con le strutture che già esistono. A questo proposito, ad esempio, quando si punta forte sulla conoscenza e le connessioni attuabili con le culture extraeuropee, mi viene in mente la legge regionale 57/1980 che stanziava 100 milioni di contributo a favore del Museo di Arti e Culture extraeuropee di Biella. E' una realtà dimenticala dall'Assessore Ferrero nell'intervista concessa all' "Unità" l'8 febbraio scorso. E' una struttura che può essere polo, che può allacciarsi con altre realtà: è un passo che può essere significativo in un procedimento programmato e diffusivo.
C'è modo, su questo tracciato, di non lasciare inaridire le attività dei piccoli centri; ma le microiniziative possono correre un grave pericolo: quello di essere discriminate, quando l'affermazione che "l'attività culturale richiede correzioni e svolte" dovesse venir caricata di giudizi unilaterali. E più pericoloso ancora diventa la contrapposizione con l'interlocutore forte, che è la via maestra, una volta slegati gli ormeggi con la concretezza emergente dai nostri paesi e con gli sforzi mai remunerati di piccole comunità, verso la fagocitazione nel mare magnum del monopolio culturale.
Dovrà, inoltre, pur essere esaminato qualche volta il rapporto, il nesso, il cordone (temo non la dialettica) tra il quadro culturale, entro cui vuol muoversi la Regione e i tragitti ormai consacrati, come le piste ciclabili, del Comune di Torino. Come vogliamo comportarci? Con autonomia con governo, con sudditanza, con vera collaborazione (alla stregua degli altri Comuni)? Oppure ci accontentiamo e ce ne avanza della formula trinitaria: Regione, Provincia, Comune di Torino, ormai divenuta marchio di fabbrica ed immancabile su qualsiasi manifesto, striscione, depliant? Queste domande (ed altre) premono in particolare se ci soffermiamo, con una certa malignetta sorpresa insieme alla stima per l'estensore sull'ultima asserzione del documento. Si pensa davvero, al di là del "forse" dubitativo, che il Consiglio regionale possa esprimere la Regione? E più ancora che la capacità di funzionare del Consiglio sia la risposta per uno spalancarsi sul domani della cultura e del mondo culturale piemontese? Se così è, cominciamo subito stabilire i collegamenti fra le Commissioni consiliari e gli Assessorati che hanno compiti inerenti ai vari problemi che sorgono nella materia che trattiamo. E in primo luogo a me sembra debba porsi immediata attenzione alle questioni riguardanti il patrimonio, con particolare specifico riferimento al beni culturali su cui il Gruppo D.C. ha già presentato apposita interpellanza. Riprenderemo il discorso in quella circostanza. Non dimentichiamo che sta aprendosi alla nostra attenzione e al nostro intervento il vastissimo campo del patrimonio degli ex IPAB, come già sollecitava in Commissione la collega Ariotti.
Se così è, colleghiamoci con gli Enti locali, per reperire e raccordare la loro opinione alla nostra: personalmente, e valga a memoria di sede permanente attrezzata, ho ancora negli occhi una proposta di recupero dell'area del vecchio Ospedale S. Andrea di Vercelli, alla quale hanno collaborato il Comune e la Provincia e che di concerto con la Regione pu avere esiti impensati. Se così è, stabiliamo con chiarezza se l'impostazione del nostro lavoro legislativo, filtrato e rastremato senza indulgenze ad apporti ideo-politici distorsivi di ogni reale valore di cultura possa porsi come punto di riferimento del discorso degli anni '80.
Misuriamone l'effettivo tasso di valenza, con bilancia non truccata ad uso propaganda, impedendo a ciascuno di noi di sbattere contro gli scogli dell'amor di tesi o di arenarci nelle secche dell'apriorismo bloccante.
Se così è, con sollecitudine facciamo in modo che i centri e i corsi di formazione professionale mutino il codice dominante che vede molte volte sia nell'assunzione del personale insegnante sia nella programmazione didattica il prevalere dell'aspetto strumentalmente politico rispetto a quello di miglioramento professionale. L'esigenza, infatti, di invertire la posizione culturale dei giovani nei confronti del lavoro manuale e quella di migliorare la sincronia qualitativa fra domanda ed offerta di lavoro deve trovare risposta in contenuti educativi sistematici. Provocatoriaménte chiedo, sulla scorta di uno studio del prof. Prodi e Gobbo sulla carenza dell'offerta di lavoro in Emilia: "Come mai, proprio nella Regione più rappresentativa della gestione del Partito Operaio, è molto diffuso il rifiuto di rimanere operai?"..
Se così è, di fronte al problema dell'educazione permanente, cerchiamo di intenderla e di farla intendere come una prospettiva idonea, ed indispensabile, se non già oggi, fra non molto tempo, per assicurate l'organizzazione e la fruibilità di una vasta rete di servizi culturali, e per garantire, inoltre, l'accessibilità ed il controllo, per quanto possibile, da parte della generalità della popolazione dell'articolata gamma di linguaggi e di media che sono (o possono essere) strumenti di democrazia, non dimenticando a tal proposito (me lo si permetta) un pensiero di Gramsci: "Ogni volta che affiora in un modo o nell'altro la questione della lingua, significa che si sta imponendo la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri fra i gruppi dirigenti e la massa nazionale".
La richiesta implicita dell'Assessore, ma trasparente al di sotto del velo di dubbio, ci riporta quindi ad una funzionalità del Consiglio; e proprio il Consiglio, attraverso la VI Commissione, dovrà esaminare insieme alla metodologia, i contenuti delle indicazioni offerte ai Comprensori, ma soprattutto i programmi comprensoriali che ci perverranno non emarginando l'intervento delle Province.
In questo lavoro riteniamo di fondamentale importanza la Consulta regionale per i beni e le attività culturali, alla quale avete demandato con la 58 "funzioni consultive e propositive". Non si limiti quindi il ruolo di questo nobile strumento ad una sollecitazione di pareri possibilmente graditi per agghindare le decisioni, magari a volte già precostituite, di addobbi rilucenti, ma si dia forza all'aspetto propositivo, non trascurando la cultura del professionista e dell'addetto ai lavori, perché essa innerva ed irrobustisce anche la buona volontà del dilettante. L'opera di programmi e di progetti, che sul tracciato proposto si svilupperà nelle varie realtà regionali, diventerà veramente il reticolo culturale, in cui con ogni probabilità non si incontreranno più le mostre miliardarie (il mostrismo) nelle quali inciampare profondendo denaro dei cittadini suscettibile di miglior utilizzo.
Si tratterà inoltre di far lievitare le scelte autonome delle popolazioni in tutti i settori, meglio in tutte le estrinsecazioni culturali; scelte che affondano nel fecondo terreno piemontese e che non soffriranno di essere incapsulate, ad esempio, dal "consolidamento della presenza del Teatro Stabile di Torino", il quale può avere tante benemerenze, ma non può pretendere l'esclusiva della direzione dell'orchestra, che fellinianamente si disperderebbe. Nello Stesso tempo non avranno senso impennate Solitarie che non tengano conto di tutto il fermento di studio, di analisi, di ricerca, di sperimentazione che nell'agricoltura, nell'industria, nel terziario, dai massimi agglomerati alle minime, ma impegnate presente, affermano la volontà di progresso della nostra popolazione.
A queste esperienze vitali, verificate nella vicinanza degli Enti locali, calibrate nelle loro esigenze di strutture e di finanziamenti valutate nei risultati con ponderazione e correttezza, coram populo, la Regione generosamente si impegni a concedere il proprio contributo con equilibrio tra i vari Comprensori, evitando scompensi, anche se derivassero da negligenza periferica, e divincolato possibilmente dalle troppe anguste crune delle disponibilità di bilancio.
Tale intervento ha lo scopo (cito l'art. 1 della legge n. 58) "di consentire uno sviluppo diffuso ed omogeneo delle attività e delle strutture culturali in tutto , il territorio regionale" dove il termine "consentire" non è certo da prendersi nel significato di benevola e patriarcale permissione (in questa accezione sarebbe orribile), ma come riconoscimento della forza democratica delle iniziative della gente e dove "l'omogeneo" deve essere il risultato della civiltà comune, di una secolare partecipazione storica, di fatiche cadenzate in lunghe stagioni, di aspirazioni e speranze sussurrate od esplose con accenti uguali nelle varie plage e non malauguratamente lo stampo impresso di una monocultura uniforme, o peggio in uniforme, pance que tel est non bon plaisir, direbbe un Luigi di Francia.
Operiamo, dunque, affinché la nostra scelta di politica culturale allarghi il respiro consapevole del Piemonte, operiamo affinché non si chiuda in un recinto aristocratico con trasmissioni di codici di gruppo espressione di una cultura che trova la sua ragion d'essere unicamente al suo interno.
Operiamo affinché il mondo popolare non sia relegato in una sfera di sola vitalità istintuale, di sofferenza passiva e non paziente, di gioia irrazionale e deteriorata da uno sfondo proliferante e vociferante di ingordigia manifatturiera e merceologica.
Operiamo, insomma, affinché alla cultura piemontese, che è la nostra cultura, si proponga o si riproponga un'etica di governo, non nebulosa e flaccida ma neppure soffocante e iugulatoria, una legislazione dai contorni precisi ed immune da interpretazioni arzigogolate, un sostegno dignitoso e di corroborante sollecitazione, in un contesto di assoluta libertà ed autonomia (e su questo primariamente punta il Gruppo della Democrazia Cristiana, perché sostanza dei suoi principi e della sua storia); affinch da ultimo non si propongano o non si ripropongano mai atroci conflitti e viluppi di vecchio franante e di nuovo inquietante, malcelati nella decomposizione dei valori.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Ferrero, per la replica.



FERRERO Giovanni, Assessore alla cultura

Non credo di essere particolarmente abile nel rispondere, anche perch i colleghi che hanno potuto sviluppare i loro ragionamenti li hanno preparati con qualche ponderazione sulla base di materiale e documentazione. Né si tratta di particolare abilità da parte dell'estensore della relazione quanto piuttosto della disponibilità di situazioni e di punti di partenza importanti che, nella mia valutazione, divergono dal giudizio un po' liquidatorio che qui è stato dato di anni e anni di lavoro.
Tra i meriti del mio predecessore e le funzioni di stimolo svolte dal Presidente della Giunta Viglione è stata avviata una politica di costruzione in apparati e strutture, forse non equilibrata come a posteriori si potrebbe desiderare, ma sicuramente molto coraggiosa politica che fino ad alcuni anni fa non esisteva nella forma attuale, al cui lavoro e alla cui attività si deve una parte consistente del materiale documentario che è stato prodotto in meno di un mese o di un mese e mezzo.
Credo, in sostanza, che non debba essere riconosciuto all'astuzia o all'abilità dei singoli quello che deve essere attribuito all'effetto di un'attività lavorativa, quindi il ringraziamento è rivolto nel senso di quanto diceva il Consigliere Villa sul Museo di Scienze Naturali.
Certamente, alcune iniziative che la Regione ha assunto o che si accinge ad assumere non sono realizzabili in nessuna struttura privata, per quanto si diano in quest'aula dimostrazioni di efficienza del privato contro il pubblico. Chi riuscirebbe, con i livelli normativi, salariali, magari senza pagare gli straordinari, a far lavorare gratis i migliori specialisti per realizzare, a tempi di record, la mostra che verrà inaugurata, con il cantiere in corso, il 4 aprile? Questo elemento deve essere riconosciuto con coerenza è con serietà nelle Amministrazioni civiche, nelle Amministrazioni provinciali e in tanta parte della struttura pubblica e permette a noi, in questa o in altre sedi di illustrare, di sintetizzare con discorsi e con proposte il frutto di entusiasmi e di impegni seri che nel campo delle attività culturali è presupposto indispensabile non soltanto per la quantità, ma per la qualità dell'inventiva. La questione del Teatro Stabile di Torino, per esempio, è nel rapporto esistente tra la produzione e la distribuzione tra la molteplicità di poli di produzione e la necessiti di un'integrazione per i costi, per la disponibilità di sale, per la programmazione della distribuzione. Esistono necessità di accentuare di volta in volta elementi diversi puntando ora sul recupero dei livelli alti, sulla produzione, sulla capacità e sulla realizzazione degli spettacoli, ora sull'allargamento, sul coinvolgimento e sul decentramento in poli autonomi. Al fondo vi sono fortune e difficoltà, dati strutturali non riconducibili alla volontà e all'arbitrio discrezionale dei singoli, ma riconducibili allo sforzo di molti singoli su tempi relativamente lunghi sapendo che nel campo culturale non ci sono solo problemi di attivismo, ma soprattutto problemi teorici di comprensione e di sistemazione dei processi.
Credo che la relazione, i documenti e lo stesso dibattito abbiano come base di partenza un'inversione di tendenza che non so se ascrivere al funzionamento della Regione o ad una maggioranza particolare che ha deciso che tra i molti cavalli su cui puntare, le attività e le iniziative culturali erano caratterizzanti nell'impostazione di un disegno politico.
La dimensione dell'intervento di recupero e di tutela è di grandezza diversa rispetto a quanto è stato svolto prima del 1975 Credo che nessuno in quest'aula intenda opporre critiche o obiezioni alla competenza e alla qualità delle Sopraintendenze, semmai si può discutere, dialogare e confrontare impostazioni e strategie diverse che nascono tra un ente elettivo e una struttura tecnica qualificata. Possiamo discutere su meriti e demeriti. Un dibattito come quello odierno in periodo di difficoltà obiettiva, non si potrebbe pensare se non, esistesse già un passato, non soltanto di parole, ma di concrete realizzazioni.
La politica generale del patrimonio ha fatto sì che del recupero non si facesse una discussione separata, ma si utilizzasse il complesso delle risorse regionali per l'acquisizione di immobili non per opere faraoniche ma per collegarsi alla storia del Piemonte. Nessun fatto isolato pu reggere se estraneo alla politica generale di un ente. Il discorso del recupero è stato grande e rilevante perché è passato attraverso moltissimi settori di attività regionale. Non sempre si è etichettato "intervento culturale", secondo me giustamente, anzi si è fatto vivere di relazioni e di rapporti con la cultura un insieme di altre attività che potevano essere concepite come un tanto a metro quadrato, magari catapecchie in cemento armato fatte in abusivo su un prato.
Voglio citare il Castello di Rivoli visto che non se ne è parlato.
Prima dell'operazione di recupero e di restauro quello che mi interessa è che in quella sede sarà inaugurata, nella parte minima funzionale un'esposizione di arte ambientale che si ricollega ad una serie di esperienze giapponesi ed americane e che sarà di grandissimo interesse. E' stata concordata ton esperti e con collezionisti a livello internazionale e vede per la prima volta queste opere esposte in una città italiana.
In terzo luogo il limite nelle risorse non può essere giustificazione al ripiegamento, ma deve essere invece Io sforzo e l'invenzione di altre soluzioni, di interlocutori e di forze che non sono ancora stati attivati.
Se si fa un'analisi non soltanto della fruizione delle cose che in qualche Misura con il quattrino si acquistano e si distribuiscono, ma della produzione di idee e di cultura, secondo me, emerge un quadro di una ricchezza di una forza sorprendente che probabilmente non è noto a nessuno di noi o è noto soltanto in parte. Esistono nel campo della fisica teorica e della matematica due città del mondo, Boston e Torino, che hanno ugual numero di riconoscimenti internazionali. La scuola di fisica di Torino e persone come Regge e Fubini e moltissime altre persone possono anche essere ignorate nei dibattiti sul pluralismo, ma sono conosciute nei rapporti internazionali con l'Europa attraverso il più grande centro di ricerca d'Europa nel campo della fisica nucleare (centro di ricerca che spende ogni anno un budget di 300 miliardi di cui 160 sono destinati all'acquisizione di attrezzature, materiali ed oggetti tecnologicamente evoluti). Non è sufficientemente conosciuto quanto di positivo e di interessante esiste e si esprime. C'è la tendenza di considerare notizia e fatto giornalistico tutto ciò che si ottiene con paziente attesa. Tra le tante notizie informazioni e fatti che si verificano si potrebbe ricordare che nel campo della gas-dinamica il più prestigioso premio internazionale è stato vinto da un professore decano del Politecnico di Torino. Il direttore del Centro di Trieste di Fisica, premio Nobel arabo, lavora qui ed è uno dei più grossi specialisti a livello internazionale per il rapporto e la cooperazione con Paesi sviluppati.
Quindi, non di abilità si tratta, ma di umiltà e di reali o nel cominciare a fare un elenco e nell' avere il coraggio di portare un Ente come la Regione (non questa o quella maggioranza) a dialogare con i livelli più alti che nella nostra realtà costruiscono e realizzano elementi non marginali di occupazione, di modificazione verso una struttura terziaria, o quaternaria come dicono alcuni, di apporto, per esempio, con il tessuto industriale. Queste non sono discussioni finte di sole parole, ma sono tentativi in cui ci produciamo cercando di misurarci con quello che esiste che ha forza e validità.
Invito a leggere i discorsi delle culture extraeuropee o i rapporti con Cultura Scientifica-Internazionale come richiamo a ragionare e a discutere su modi e su forme per cui questi elementi oggi esistenti possono essere portati ad emergere e a caratterizzarsi all'interno di un discorso di iniziativa culturale, di programmazione e di impegno generale di un ente.
Al di sotto . tutto credo ci stia una scommessa di fiducia, forse irragionevole. Non è il problema di sistemi di convenienza, non è il problema di adeguarsi all'andamento o a corso degli umani eventi che appare più probabile; secondo me, è compito di sedi che emanano comandi e suggerimenti all'intero e con il concorso di una pluralità di soggetti, non soltanto come mero adeguamento a posteriori a quello che è già avvenuto, ma come espressione complessiva di capacità di governo, quindi come capacità di discutere sui rapporti che debbono intercorrere per affrontare con l'Europa la politica culturale. Nella relazione non ho affrontato con la dovuta ampiezza questo tema perché a me pare che la politica l'integrazione economica, la concretezza di tutti i giorni è elemento dominante in cui non si tratta più, come alcuni anni fa, di aprire o suggerire orizzonti in qualche misura sconvolgenti e turbativi, ma di realizzare all'interno di un sistema, non soltanto culturale o politico, ma addirittura economico, le condizioni migliori dell'Italia all'interno di una comunità.
Altri temi sono sicuramente più lontani dalla concretezza economica e politica, non per questo debbono essere ignorati o trascurati. Questo sarebbe un appiattimento pericoloso perché significherebbe ridurre all'immediato e all'immediatamente realizzabile tutto quello che invece nell'aspirazione tutt'altro che scientifica o tecnologica degli uomini si esprime.
In che cosa consiste questa scommessa di fiducia irragionevole? Con consultazione e con gradualità si è avviato e si può avviare anche un processo amministrativo di mutamento dei ruoli, di attribuzione di funzioni al complesso delle autonomie locali come primo passo di coinvolgimento più stretto della comunità locale e delle comunità decentrate, sapendo che le conseguenze operative e di lavoro che tutto questo comporta non sono irrilevanti. Il tentativo per riuscire a modificare le abitudini in generale dalla prima fase sperimentale dell'impianto legislativo regionale richiederà impegni, fatiche e lavoro straordinario.
Sono contento della disponibilità, anzi della sollecitazione, venuta dal Presidente e da autorevoli componenti la VI Commissione.
In alcuni articoli di stampa è stato considerato l'atteggiamento di quella relazione una sorta di scientismo. Sono stato anche elogiato nel riconoscermi un impianto neopositivista. Non ci vedo in questo un oltraggio particolarmente grave. Non mi sento abbastanza solido e ferrato per classificarmi all'interno della scuola di Vienna; in sostanza, quando uno fa l'ingegnere da piccolo poi finisce che, se non sono equazioni non gli piacciono! La risposta migliore che può essere data l'ha già espressa il Consigliere Viglione: non è la tecnologia l'elemento traente di progresso ma è l'azione culturale diffusa, capace di far crescere una comunità nel suo insieme. Personalmente non credo (qui si entra nel campo di teorie del mondo in qualche modo opinabili) che investimenti rilevantissimi nel campo degli aspetti fondamentali della scienza siano necessariamente portatori di benefici in termini materiali per una società. Non arrivo a pensare che una migliore conoscenza della natura possa portare una maggiore felicità degli uomini. La catena scienza, tecnica, tecnologia, produzione, prodotto benessere è riferita ad una riflessione che si faceva in una certa sede con i massimi esperti del Governo inglese sui programmi tecnologici, i quali esperti riflettevano amaramente sul fatto che investimenti riusciti nel campo dei laser di potenza hanno portato nell'assetto economico, nella distribuzione dell'occupazione e delle risorse, nella scolarità più problemi di quanti non pensassero. Un'azione culturale che sappia far crescere una comunità nell'insieme caratterizza anche l'azione di un Governo che non può soltanto limitarsi ad amministrare, ma che in qualche modo, sulla base di scommesse, deve sforzarsi di portare avanti quanto è possibile.
Credo che un po' neopositivisti possiamo esserlo tutti perché non è detto che qualunque problema posto abbia sempre una soluzione. Vi sono questioni che attraversano per millenni la storia del genere umano e che vedono di volta in volta l'affermarsi di accentuazioni diverse e di volta in volta vedono misurarsi elementi di continuità pure in ere e in culture diverse. Per esempio, non credo che si risolva tanto facilmente il rapporto tra cultura popolare e modelli europei, dal momento che non ci sono divisioni da questo punto di vista.
Tutti sappiamo di dover operare perché l'Italia guardi all'Europa e sappia imparare da altri Paesi e dalle grandi democrazie europee valori culturali che non siano marginali. Quello che la III Internazionale ha chiamato il rinnegato Kautsky era uno dei più grandi teorici del marxismo allora presenti e probabilmente la stessa Socialdemocrazia tedesca, in termini di teoria economica marxista, può dare dei punti ad altri partiti che in altri Paesi si dichiarano Comunisti. Sarebbe interessante sul piano culturale discutere sul riferimento alle grandi democrazie europee, ma nello stesso momento in cui affermiamo questo richiamo, dobbiamo affermare che la cultura popolare della nostra regione non è così facile da ricondurre all'ammirazione ed all'inseguimento dei modelli europei.
Certamente la regione non può diventare né antagonista in questo capo n strumento di propulsione di atteggiamenti individuali e Personali che toccano la sfera della fede. Non che la cultura sia estranea a questi processi, ma certamente l'elezione degli Assessori non tocca fortunatamente le chiese nel senso che vi sono altri che di queste speranze si fanno portavoce o antagonisti. Esistono elementi popolari nella nostra regione che sono autonomi, in qualche misura originali e in qualche misura dialettici rispetto a quei modelli. In sostanza tra scienza e tecnica e umanesimo esistono degli sforzi e delle aspirazioni a confluenze, ma la partita non si risolve Contrapponendosi né si risolve dicendo in astratto che sono cose uguali, perché la formazione delle persone fisiche può essere concretamente diversa. Mi rammarico del fatto che in altri Paesi forse si stanno avviando operazioni od ambizioni di rimescolamento e di dibattito culturale tra questi versanti proprio sulla base dell'analogia delle metodologie utilizzate e di suggestioni culturali unitarie che attraversano l'intero sapere che nel nostro Paese hanno qualche ritardo.
Certamente, tra scienza e buon senso popolare non è facile effettuare operazioni meccaniche. Ho molta preoccupazione quando sento parlare di rischi di stalinismo e di bolscevismo e contemporaneamente elogiare il buon senso popolare. Una delle grandi polemiche di Gramsci fu contro lo stalinismo, quando dal carcere faceva uscire i "Quaderni" con nomi falsi chiamandoli Bessarione invece di Bessarionovic, appunto lo Stalin di cui sopra. Nel libro "Saggio Popolare" Bukarin tendeva a dimostrare che il marxismo era la vera scienza democratica legata al popolo perch raccoglieva il buon senso popolare e che il marxismo, in quanto popolare era portatore dell'espressione più vera e più autentica dei lavoratori. In nome del buon senso popolare si può anche arrivare ad erigere forche e a fare cose poco gradevoli. Le grandi purghe non si fanno selezionando su quadri anche ristretti a livelli alti, ma si fanno chiamando alla partecipazione in modo strumentale larghe masse che non abbiano i termini della questione e scatenandole contro gli interlocutori che perdono. Qui non di altro si tratta se non delle cose che criticate, della storia dell'Unione Sovietica, della forza di Stalin come grande russo e rappresentante della tradizione popolare russa più che marxista. Senza arrivare alla cultura sovietica e di Stalin, nella storia della cultura popolare della nostra regione sono presenti fenomeni che valutiamo con distacco storico, ma che hanno avuto qualche drammatica e sanguinosa rilevanza. L'ambizione che muove questa Giunta è rappresentata da uno sforzo di azioni culturali di massa tese a far crescere la comunità nel suo insieme. Sappiamo però che non sarà né in questa né in altre formule che avremo risolto gli elementi antagonisti e di dialogo che dalla cultura e nella cultura si ritrovano più che in qualunque altro campo. La cultura è anche elemento di divisione proprio nel momento in cui è in grado di discernere, di capire, di distinguere ed anche di connettere i diversi modi e le diverse impostazioni. L'attività culturale non è soltanto la somma di singoli fatti concreti, ma è anche una teoria ed un modo con cui questi singoli fatti concreti parlano e suonano nei confronti degli uomini. In questo senso, mentre la cultura non è estranea all'impostazione di governo non è riconducibile meccanicamente all'asservimento a situazioni concrete di governabilità di questa o di quella situazione.
Porta con sé un'ambizione di unità e nel lo stesso tempo contrapposizione e tensione.
Il Consiglio regionale oggi ha proficuamente discusso un impegno convergente su procedure, metodi, contenuti ed impegni che non soltanto misureranno nei mesi e negli anni successivi l'attività dei diversi soggetti, ma saranno anche il terreno per inventare; escogitare, discutere qualche fatto e qualche idea in più. Vorrei rispondere ai fatti e alle idee. Sulla questione dell'IRSAI esiste un'imprecisione giornalistica sul giornale del mio partito e sull'Avvenire". Sono favorevole non solo all'autonomia, ma all'assoluta priorità delle iniziative della progettazione culturale dell'IRSAI. Dispiace che quei due giornali si siano dimenticati che dei corsi che l'IRSAI ha fatto materia di progettazione probabilmente la Regione ha fatto quasi tutto, le aule, l'organizzazione, i calcolatori, il materiale, le dispense. E' chiaro che la Regione è d'accordo di svolgere un ruolo di collaborazione e che non intende invadere il campo dell'aggiornamento degli insegnanti che, sulla base dell'attuale legislazione, è riservato allo Stato. Può essere interessante per lo Stato nelle articolazioni decentrate avvalersi dei supporti organizzativi che le iniziative regionali mettono a punto.
Nelle biblioteche sarebbe interessante utilizzare strumenti di meccanizzazione e codificazione automatica per l'integrazione del sistema bibliotecario piemontese con la banca dati e i sistemi di utilizzo dell'informazione che la CEE si sta dando. Ci saranno problemi di gradualità e di dosaggio tra le biblioteche universitarie e i fondi antichi su cui si può partire rapidamente ed il complesso delle biblioteche civiche che ha un maggior numero di volumi ed è più movimentato.
Sul decentramento universitario mi sia consentita una frase sola e non è casuale la presenza all'interno del documento di questo tema come iniziativa politica. La Regione e la Giunta dopo la discussione e il conforto emerso dal Consiglio regionale sono a disposizione, anzi sollecitano le comunità locali a promuovere in collaborazione eventualmente, convegni, incontri, momenti specifici che non siano tanto rivendicazione a priori di localizzazione territoriale ma che siano elementi di progettazione culturale del senso e della funzione che l'Università deve avere e che quindi siano anche elemento su cui si possa ottenere un decentramento universitario e di cui la Regione Piemonte, al di là della localizzazione interna, ha assoluto ed imprescindibile diritto.
Quindi non tanto sul tema del luogo fisico, quanto sul tema del senso culturale, che si intende realizzare attraverso il decentramento dell'Università, si potrebbe aprire un dibattito che abbia la forza di riportare in Piemonte una situazione più equilibrata rispetto ad altre situazioni di insediamento universitario nazionalmente parecchio estese.



PRESIDENTE

Sono stati presentati due ordini del giorno, uno del Gruppo D.C.
l'altro del Gruppo P.C.I.
Chiede la parola la signora Vetrino Nicola. Ne ha facoltà.



VETRINO Bianca

Chiedo se è possibile integrare i due documenti, con l'inserimento dell'impegno per il Consiglio ad eleggere al più presto la Consulta regionale prevista dall'art. 2 della legge 58.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Il nostro Gruppo è favorevole a tale richiesta, già espressa in sede di conferenza di Capigruppo.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore alla cultura

Forse è bene che il Consiglio sappia che la Consulta è in parte nominata dal Consiglio, in parte da organismi quali i Comitati comprensoriali e i distretti scolastici.



PRESIDENTE

La parola al collega Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Si può aderire alla predisposizione di un documento unitario. Il problema è di trovare lo spazio e le opportunità dell'integrazione delle interpretazioni che possono essere. A questo punto, però, poiché il Consiglio è convocato anche nella giornata di domani si potrebbe rinviare l'elaborazione e là votazione di un eventuale documento comune.



PRESIDENTE

La parola al collega Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Vorrei fare una dichiarazione di altro tipo. Siccome il Presidente sta per chiudere la seduta, vorrei ricordare che domani, però, sono previste le nomine dei CO.RE.CO. Chiediamo che si mantenga questo impegno e che si provveda regolarmente entro la giornata di domani.



PRESIDENTE

Farò tutto quanto è possibile per procedere in tal senso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,05)



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