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Dettaglio seduta n.38 del 12/02/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO


Argomento: Industria (anche piccola e media) - Problemi del lavoro e della occupazione

Interpellanza del Consigliere Mignone relativa all'azienda Beccaro S.p.A.


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Iniziamo con il punto secondo all'ordine del giorno: "Interrogazioni ed interpellanze".
Il Vicepresidente Sanlorenzo risponde all'interpellanza presentata dal Consigliere Mignone relativa all'azienda Beccaro S.p.A.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale e Assessore al lavoro

La Ditta Beccaro è stata fondata dal Cavaliere del Lavoro Beccaro Giovanni nel 1867 il quale iniziò un'attività di trasformazione e di commercio di vini. Nel 1964 i fratelli Piero, Francesco ed Edoardo Beccaro accentrarono e consolidarono nelle loro mani l'intero patrimonio ed aumentarono poi nel 1973 il capitale sociale da 70 a 360 milioni. Nel 1974 i tre fratelli Beccaro vendettero all'ing. Pietro Barisone una quota del pacchetto azionario e con lui elevarono il capitale sociale da 360 a 600 milioni. In seguito a divergenze sorte fra i soci le quote azionarie in possesso dell'ing. Barisone vennero riacquistate in misura differente dai tre fratelli.
Ora queste due operazioni finanziarie unitamente alle ostiche condizioni di mercato portarono l'azienda ad una pericolosa carenza di liquidità. E' in questo periodo che viene provveduto ad una necessaria e vasta ristrutturazione aziendale per una più incisiva presenza sul mercato che però non rispose positivamente ad eccezione del settore spumanti. Per contro l'azienda dovette pagare duramente questa iniziativa che aveva intrapreso avvalendosi del finanziamento bancario, tant'è che si indebit con gli istituti finanziari per un ammontare di L. 937.532.496. In seguito alla perdita rilevata al 31 ottobre 1980 la proprietà ha richiesto il beneficio della procedura di amministrazione controllata al fine di riesaminare la posizione e riordinare il programma futuro.
Oltre allo stabilimento di Acqui i fratelli Beccaro possiedono la FRA.BE.VIN. locata in Marsala (Sicilia) ed anche per questo stabilimento è stata richiesta l'amministrazione controllata. Purtroppo ad oggi l'azienda di Acqui, che vanta un'ottima organizzazione vendite ed un più che soddisfacente apparato tecnologico, soffre di una grave carenza di liquidità per cui è indispensabile provvedere all'immissione di capitali "freschi" attraverso la ricerca di nuovi soci.
Il 24 febbraio ci sarà la riunione dei creditori che dovranno esprimersi in merito all'amministrazione controllata. Attualmente l'azienda, che occupa 114 dipendenti, ha richiesto la Cassa. integrazione speciale a rotazione per il 50 % del personale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Ringrazio l'Assessore per la risposta, pregandolo di continuare a seguire le vicende dell'azienda Beccaro perché eventuali provvedimenti sul piano occupazionale avrebbero riverberi notevoli nell'intera zona.
Come ricordava l'Assessore l'azienda dispone di una buona rete organizzativa e commerciale e la sua difficoltà attuale deriva dà esposizioni bancarie e carenze di liquidità per cui sarebbe opportuno che la Regione, nel seguire la vicenda, favorisse incontri fra le banche e l'azienda stessa dopo averne sentito gli intendimenti in ordine all'ammodernamento dei processi produttivi.
Pregherei l'Assessore di considerare anche eventuali possibilità di intervento di enti strumentali della Regione. Grazie.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Approvazione verbali precedenti sedute e chiarimenti sulla mancata discussione di interrogazioni ed interpellanze


PRESIDENTE

Circa il punto primo all'ordine del giorno: "Approvazione verbali precedenti sedute", sono stati consegnati ai Consiglieri i verbali delle precedenti sedute. Se non vi sono osservazioni in proposito, sono approvati.
La parola al Consigliere Lombardi.



LOMBARDI Emilio

Ancora una volta intervengo sul problema delle interrogazioni. Ci è stato comunicato che questa mattina si sarebbero discusse interrogazioni ed interpellanze che da mesi sono giacenti presso l'Assessorato all'agricoltura. Apprendiamo, invece, in questo momento che l'Assessore è in congedo. Chiedo che l'Ufficio di Presidenza avvisi i Consiglieri qualora non sia possibile discutere interrogazioni ed interpellanze all'ordine del giorno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Aggiungo che questa mattina avevo un importante impegno che mi avrebbe trattenuto per un'ora in altro luogo; ho dovuto abbandonarlo per essere puntuale in aula per la discussione delle interrogazioni.



PRESIDENTE

La parola al Vice presidente della Giunta regionale, Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Siccome vi sono molte interrogazioni, giacenti per vari motivi propongo di fissare una seduta del Consiglio regionale esclusivamente per la discussione delle interrogazioni ed interpellanze. Alleggeriremmo così il problema che deve trovare una soluzione in tempi coerenti con l'intendimento del Consigliere interrogante.
PRESIDENE La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

La proposta dei Vicepresidente Sanlorenzo potrebbe essere accettata per sanare l'arretrato che è considerevole. E' chiaro, però, che poi la discussione deve procedere regolarmente. Una seduta ad hoc per rispondere alle interrogazioni potrebbe essere definita in sede di conferenza dei Capigruppo.
E' comunque opportuno avvisare tempestivamente i Consiglieri che si trovino in aula alle 9,20 proprio per non perdere la risposta dell'Assessore.



PRESIDENTE

Proporremo alla prima riunione dei Capigruppo questa nuova impostazione dell'ordine del giorno per affrontare il residuo delle interpellanze e delle interrogazioni.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute e chiarimenti sulla mancata discussione di interrogazioni ed interpellanze

Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE


Argomento:

Comunicazioni del Presidente

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Relativamente al punto terzo all'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente" rendo noto che hanno chiesto congedo i Consiglieri Enrietti Ferraris, Genovese, Marchesotti, Paganelli.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: N.56: "Sviluppo del volontariato nel settore dell'assistenza sociale e sanitaria a livello locale", presentato dai Consiglieri Viglione Astengo, Cernetti Bertozzi, Enrietti, Moretti, Salerno, Salvetti, Simonelli e Testa in data 5 febbraio 1981 N. 57: "Proroga fino al 30 aprile 1981 dell'esercizio provvisorio del bilancio per l'anno 1981, autorizzato con la legge regionale 13 gennaio 1981, n. 1", presentato dalla. Giunta regionale in data 5 febbraio 1981.


Argomento: Attivita' di promozione - Cultura: argomenti non sopra specificati

Dibattito sulla politica culturale regionale


PRESIDENTE

Proseguiamo con il punto quinto all'ordine del giorno: "Dibattito sulla politica culturale regionale".
La parola all'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore alla cultura

Si sono già svolte in Commissione e nelle sedi dei Comitati comprensoriali delle discussioni sulla base di materiale e documentazione che, predisposti per il dibattito in Consiglio regionale, sono stati consegnati alcuni mesi fa a mano dei Consiglieri. Non credo, quindi, abbia senso ripetere, qui, cose già scritte. Vorrei soltanto richiamare brevemente il significato ed il senso generale della proposta contenuta all'interno della relazione dell'Assessore al Consiglio. Proposta che non è tanto sminuzzata o individuata sulle diverse materie od iniziative singole di intervento della Regione, ma che tende ad individuare un ruolo crescente per le attività e le iniziative culturali, non soltanto come fatto di settore, ma innanzitutto come elemento connesso allo sviluppo e al processo di una società, .canale di espressione delle intenzioni è degli interessi del dibattito che la stessa comunità locale esprime. Un'impostazione quindi, che non individua una generica importanza per materia, delle attività culturali, ma che tende a cogliere quale contributo, all'interno di un'organica politica di un ente quale la Regione, deve essere e pu essere ritrovato nell'espressione della volontà cosciente degli interessi e delle idee degli uomini per riflettere su se stessi e per proporre soluzioni al proprio futuro.
E' evidente, quindi, che un'impostazione che ha anche conseguenze e riflessi in termini operativi di strutture, di risorse a disposizione - e che quindi motiva, pur in una situazione di difficoltà, il mantenimento all'interno della proposta del bilancio della Giunta regionale uno spazio che è comunque un segno politico di interesse per questo tipo di iniziative non può che essere concepita come un modo di porsi, della Regione, che non è esclusivo od alternativo rispetto all'intervento di altri soggetti.
E' metodo certamente di applicazione coerente della programmazione metodo che porta a formulare proposte ed indirizzi, a chiedere su queste e quelli che la discussione sia aperta e franca, a garantire la partecipazione dei diversi soggetti alla costruzione di un progetto e di un programma in cui i diversi soggetti sappiano individuare anche il contributo autonomo che essi danno e, quindi, all'interno di un progetto che viene discusso ed elaborato con uri metodo democratico e partecipato una coerenza ed un rigore per far sì che la programmazione produca fatti concreti e non soltanto (e in questo settore sarebbe particolarmente nefasto) documenti su cosa è opportuno fare. Un ruolo, quindi, che riconosce un'importanza grande agli Enti locali, che in questi anni hanno sviluppato l'iniziativa - basta pensare al recupero ed al restauro nel settore delle opere d'arte, nel settore degli edifici storici - ed hanno affermato il loro ruolo, che riconosce anche alle grandi istituzioni culturali il diritto di essere canali e tramiti di questa operazione di trasmissione e di riflessione.
In senso generale della proposta è, quindi, un'operazione non tanto di frammentazione al suo interno delle attività culturali in diversi specifici interventi, ma è addirittura uno sforzo di connotare, dopo cinque anni in qualche misura promozionali, un intervento che abbia caratteri continuativi e, quindi, in questo senso, caratteri di solidità e di strutturalità maggiori.
Mi pare che possiamo partire da una situazione di fatto che è sicuramente ricca ed abbondante e, proprio per questo, la Giunta ha ritenuto opportuno fornire ai Consiglieri oltre ad una relazione che tocca e propone alla discussione temi e nodi politici, una documentazione sintetica dell'attività svolta nel passato, in modo da poter sapere di cosa si discute. Sembrava giusto poter illustrare con informazioni numeriche un po' aride, ma sempre esemplificative - i settori e gli interessi di attività che si sono sviluppati. Nel frattempo, si è ritenuto di predisporre delle proposte che avessero un maggiore grado di concretezza in modo da poter avviare con i Comitati comprensoriali un minimo di discussione che ci portasse, costituite le Consulte e discusso in Consiglio regionale l'orientamento generale, a non dover avviare una macchina nel frattempo congelata e fredda, ma che ci permettesse di avere aperti canali e modalità di discussione per procedere.
Vorrei cogliere questa occasione per offrire un ulteriore elemento di riflessione alla discussione, oltre a quello che già i documenti contengono, legato alla predisposizione della proposta della Giunta sul bilancio: nella nota di variazione i Consiglieri avranno notato che si introduce una modificazione nei titoli e nell'organizzazione dei capitoli fatta per rendere più agevole e più chiaro quell'impianto di decentramento e di partecipazione degli Enti locali alla definizione delle iniziative. Si tratta, in sostanza, di un accorpamento, per un lato, di capitoli legati a singole leggi di settore, con aree di intervento contigue o in qualche misura coincidenti o sovrapposte e, nello stesso tempo, l'individuazione delle iniziative di supporto della Regione sui musei locali, sui sistemi bibliotecari o su quanto altro non può essere parcellizzato e rotto perch si tratta in qualche modo di un'attività di sistema, sugli interventi di ristrutturazione e restauro (che hanno una loro caratteristica particolare anche per il carattere di investimento, agli effetti contabili); in terzo luogo, quali sono le risorse sulle quali i programmi dei Comitati comprensoriali possono contare, con margini di libertà, quindi, nella definizione dei programmi che saranno grandi e crescenti. A livello di questa procedura, che vede già nella proposta di legge del bilancio un primo accenno anche di revisione legislativa, credo si possa collocare il passaggio sostanziale dei margini di decisione alle comunità locali con il mantenimento alla Regione delle funzioni di indirizzo e di programmazione non più delle funzioni, che nella fase promozionale erario indispensabili di esame ed analisi sulla singola proposta e sul singolo fatto, cose sulle quali, invece, le diverse comunità locali possono esprimere maggiore libertà ed avvedutezza.
E' intenzione della Regione - sono già intercorsi degli incontri (e questa mi sembra l'occasione per comunicarlo) tra il Ministero ai Beni Culturali e la Regione Piemonte - arrivare a definire in tempi brevi un convegno di iniziativa congiunta a cui la Regio ne chiamerà alla partecipazione i soggetti istituzionali (l'Università ed i Politecnici) gli Enti locali, i soggetti privati e gli studiosi, per tentare una riflessione anche teorica sul complesso problema del restauro e del recupero nella nostra Regione e, quindi, per avere un ulteriore momento di dibattito che potrebbe poi portare a verificare i progetti anche di carattere pluriennale che la Giunta regionale va predisponendo nei contatti che si stanno verificando. Una sede, quindi, che non sia soltanto una sede operativa concreta su questa o quella iniziativa, ma dalla quale si possa ricavare una teoria ed un insieme di criteri che probabilmente nella pratica delle realizzazioni della passata Giunta regionale sono già sul tappeto e che rendono la situazione nella nostra Regione sicuramente non confrontabile a quella che, purtroppo, in altre Regioni ancora oggi si manifesta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Il 20 agosto 1979 il sottoscritto, a nome del Gruppo consiliare D.C.
di fronte a ripetute delibere attraverso le quali la Giunta regionale distribuiva centinaia di milioni ad enti ed associazioni del Piemonte presentava un'interrogazione per denunciare la metodologia, i criteri, i termini ed i tempi di elargizione.
Infatti, sotto la copertura della legge regionale n. 58 del 1978 concernente la promozione della tutela e dello sviluppo delle attività e dei beni culturali, l'Assessorato competente, superando il parere dei Comprensori, eludendo il giudizio della Consulta dei beni culturali calpestava i possibili termini per nuovi progetti culturali, eliminando la possibilità di reinserire la cultura del processo democratico della Regione. Tali delibere sconfessavano apertamente le finalità della legge regionale sui beni culturali, non consentendo certo uno sviluppo diffuso ed omogeneo delle attività e strutture culturali nel territorio.
Rilevavamo allora come dovesse spettare alla Regione il compito di indicare ed approntare per i cittadini quelle opportunità, occasioni e prospettive attraverso le quali l'acculturazione può trarre un'adeguata ricchezza di canali e di sedi e la partecipazione una più congrua circolarità di rapporti e di comunicazioni.
Registravamo invece una pioggia di finanzia menti a favore di vari enti, attraverso la percorrenza di una dubbia politica di incentivi monetari sulla cui efficacia rimanevano aperti gravi interrogativi. Si trattava di contributi elargiti senza il preventivo parere della Consulta dei beni culturali, senza un'indagine sulla situazione culturale della Regione, interventi che non solo non facevano crescere il pluralismo ideologico e culturale, ma nemmeno lo garantiva.
Di fronte ad iniziative che impedivano la crescita di spazi di libertà avevamo rilevato come per noi cultura fosse libertà e vivesse di libertà.
Ma cultura è anche fermezza di idee e, nello stesso tempo, rispetto della diversità e della molteplicità delle opinioni altrui. Cultura è forza e tolleranza: è soprattutto ricerca, passione ed ostinazione di verità.
Tutto ciò è mancato nell'atteggiamento dell'Assessorato alla cultura creando i presupposti di una vasta contestazione nei confronti della quale l'Assessorato è rimasto sordo, senza realizzare un confronto serio, senza portare in assemblea consiliare un dibattito, pur sempre promesso, sulla politica culturale della Regione.
Il 27 agosto 1980, passati alcuni mesi dalle elezioni, veniva riproposta dalla D.C. la necessità di giungere ad un'approfondita verifica della politica culturale, anche alla luce del grosso impegno finanziario (miliardi) nel frattempo assunto per la realizzazione della Mostra "Cultura figurativa ed architettonica negli Stati del Re di Sardegna" e del conseguente sostanziale affossamento di numerose iniziative programmate nel territorio piemontese.
A due anni circa dalle citate critiche giunge finalmente oggi, dopo disimpegni e rinvii, un dibattito in Consiglio regionale.
Non possiamo non convenire che finalmente la risposta del nuovo Assessore alla cultura, Ferrero, subentrato all'Assessore Fiorini, si configuri come impegno mantenuto.
Meglio tardi che mai, meglio poi se oltre alla disponibilità di un confronto, sarà concesso di realizzare conseguenze operative serie concrete, incisive.
L'Assessore Ferrero ci ha presentato in queste settimane alcuni documenti ed un'ulteriore comunicazione stamani, nei quali mette a punto la strategia per i prossimi anni.
Da questo documento dobbiamo partire per valutarne la portata esprimere giudizi, proporre eventuali ipotesi alternative.
E' certo che oggi nella società si prospettano nuove possibilità e nuove ipotesi di cultura, ma sovente, di fronte alla validità degli stimoli espressi, non abbiamo registrato finora in Piemonte idonei strumenti: non lo sono state le leggi regionali approvate, a partire dalla citata legge n.
58.
Né la Giunta regionale è stata in grado di porsi come interlocutrice credibile di una domanda che esigeva la capacità di una nuova iniziativa tale da assicurare una promozione culturale del territorio e da una mobilitazione di tutte le energie possibili, fossero esse quelle della cultura istituzionale o quelle dell'industria culturale, quali l'editoria la stampa, gli audiovisivi, il cinema, il teatro, ecc.
E' mancata finora un'indagine sulla situazione culturale della Regione che aprisse una testimonianza sul modo di fare cultura, quale punto di riferimento per affrontare una politica culturale all'interno della quale siano indicati gli obiettivi di fondo, la strategia, i soggetti, gli strumenti, la metodologia attraverso cui realizzare un progetto generale operativo del settore.
Le stesse indicazioni delle relazioni Ferrero in cui è specificata la necessità di verificare un'organica indagine sulla situazione, rilevano il vuoto della passata legislatura in questo settore.
Apprezziamo, belle indicazioni dell'Assessore, l'obiettivo di una strategia di intervento capace di affrontare i problemi generali comuni a tutto il campo culturale ma, contestualmente ai problemi più specifici diciamo noi, del cinema, del teatro, della musica, delle arti figurative ecc.
Ma quale cultura? La cultura dello sviluppo, al pari della cultura umanistica - letteraria, non pare interessare il progetto del nostro Assessore. Quale intervento sul territorio, se le cosiddette microiniziative dovrebbero essere abbandonate? L'inserimento di Torino e del Piemonte nel flusso della cultura internazionale? Certo, ma con gli indirizzi indicati dall'Assessore? Non mi sembra giusto.
Sono questi ed ancora altri, alcuni quesiti che ci poniamo e nei confronti dei quali siamo dubbiosi, perché di fronte ad una presunta struttura democratica e pluralistica, si configura una struttura piramidale pericolosa e discutibile.
Possiamo concordare con la tesi per cui la Regione deve aver bisogno di grandi progetti culturali, ma non riteniamo di essere in assonanza con la tesi dell'Assessore per la quale i progetti debbano articolarsi intorno all'affermazione di una cultura scientifica, quale asse portante dell'intera cultura regionale. Ci sembra che una simile concezione porti alla negazione della creatività, della spontaneità, verso la negazione in sostanza della dimensione personale ed originale dell'uomo.
Siamo per l'affermazione di aspetti diversi della produzione umana, al fine di estendere il concetto di cultura a tutto ciò che è prodotto dall'uomo nel suo sforzo di offrire, attraverso la molteplicità dei suoi modelli, un contributo a nuovi progetti culturali, a nuovi ordini di valori e di costumi, a un nuovo modo di vivere e di sentire quotidiano.
In questo quadro il bene culturale, sia nel suo valore dichiaratamente documentale e storico come nelle bellezze naturali, sia nei simboli delle culture popolari, come nei prodotti d'arte ed in quelli dello spirito costituisce, in quanto memoria generale dell'umanità, il punto di riferimento per un continuo ed incessante processo di elaborazione culturale.
Ed allora il nostro Assessore rileva, noi diciamo giustamente, che la conservazione dei beni non sarebbe sufficiente senza la sua finalizzazione.
Noi però diciamo di più: finalizzazione alla creazioni di un nuovo patrimonio spirituale, alla ricerca ed alla costruzione di una coscienza più completa, capace di produrre altri e nuovi valori, nuove funzioni. Ma queste osservazioni vengono scoperte solo ora e mentre l'Assessorato rileva queste cose, implicitamente conferma il fallimento, in questo settore della politica del suo predecessore, rileva la giustezza della critica di mancato coordinamento, nella seconda legislatura, tra le iniziative dell'Assessorato alla cultura con quelle della pianificazione, testimonia come risponda a verità quanto osservato da alcuni colleghi D.C. nel corso dell'ultima seduta del Consiglio del 5 c.m. quando, parlando di Palazzo Carignano, rilevammo opportunamente come siano stati realizzati interventi nelle intenzioni magari lodevoli, ma senza un piano programmatico ed organico di utilizzo e di finalizzazione.
Nonostante certe implicite contraddizioni con il recente passato, certe autocritiche, certi salti con il predecessore per affermare un miglioramento della qualità dell'intervento, l'ammissione di squilibri, la necessità del privilegio di spese di investimenti per realizzare una sterzata dal recente e negativo passato, nonostante questi buoni propositi permane una visione, nel programma presentato, di centralità in cui prevale decisamente una "sola" cultura, che in fondo marcia verso la negazione della dimensione originale dell'uomo e su questa decisamente discordiamo.
Manca l'analisi del passaggio da una situazione di monocultura ad una realtà in cui è compresa la differenziazione di culture, di modelli di comportamento, di norme e valori.
Non c'è riferimento alle difficoltà di integrazione culturale che l'immigrazione ha incontrato in Piemonte, con tutta una serie di differenze culturali (differenze in alcuni valori e norme sociali) e differenze di ordine psicologico.
Viene superata l'esistenza in Piemonte, con le sue conseguenze, di una cultura moderno-urbana industriale e di una cultura rurale - meridionale.
Manca tutto un necessario riferimento alla cultura contadina.
Specifichiamo meglio. La cultura industriale ha dato colpi non soltanto alle speranze economiche riposte in una rinascita dell'agricoltura, ma anche al mondo contadino in quanto tale. Ma per l'Assessore è un ulteriore passaggio su cui indirizzarci, il superamento della cultura industriale per l'affermazione di una cultura scientifica.
Noi riteniamo che occorra guardare avanti, ma con i riferimenti validi e perduti del passato.
E in questa strada occorre incominciare da lontano un'opera di salvataggio e di rinascita a partire proprio dal mondo contadino.
La condizione preliminare per operare su questa strada è credere nella necessità che questo mondo continui ad esistere, dotato di fisionomia e di identità sue proprie.
Non soddisfano questa condizione coloro che, ispirandosi a precise ideologie, concepiscono lo sviluppo e il progresso in una prospettiva unidimensionale di cui la cultura industriale prima e quella scientifica poi, rappresenterebbero l'operazione finale, la punta più avanzata e qualificante.
Le linee tracciate e gli obiettivi dei documenti dell'Assessore lasciano scoperti poi alcuni settori nel campo dei rapporti Regione educazione - cultura. Comprendo la necessità di non allargare il campo di indagine, ed in questo senso ci siamo preventivamente limitati.
Ma un cenno a questo campo, per indicarne opportune correlazioni ed al tempo stesso i corretti limiti del rapporto, mi pare necessario. Ecco che allora, partendo dalla funzione educativa, questa deve essere riconosciuta nella sua specifica autonomia a ciascuno degli enti primari o delegati ai quali compete.
In questi Ultimi decenni si è venuto delineando un continuum di educazione scolastica che è sempre più aperta a tutti.
Il prolungarsi della scolarità costituisce un accrescimento di spazio formativo, un progredire della nostra civiltà. La scuola si viene trasformando in comunità educativa locale, avviando qualcosa di più che un nuovo assetto territoriale dell'organizzazione scolastica, aprendo spazi culturali diversi.
Una società consapevole delle sue responsabilità educative e della penetrazione capillare, fino ad essere ossessiva dei mass-media, deve necessariamente impegnarsi in un impiego concentrato degli stessi per articolati fini di educazione.
Giornali, teatro, cinema, televisione, la stessa pubblicità, hanno bisogno di essere accolti e studiati nella scuola non soltanto come aspetti concreti della cultura contemporanea, o come sussidi audiovisivi, ma nel loro più vasto compito di informazione, di educazione politica; tali mezzi esigono indirizzi consapevoli e pedagogicamente posseduti. In questo quadro bisognerà puntare a privilegiare in termini seri la funzione formativa che ciascuno di questi mezzi è in grado di svolgere e bisognerà che la Giunta regionale piemontese ripensi criticamente anche a certe recenti scelte ed iniziative in questo settore (rotocalco televisivo, ecc.).
Coloro che, per una presa di coscienza storicamente sempre più accelerata, hanno reagito alle antiche privazioni culturali per richiedere il diritto ad una fruizione illimitata di sviluppo della personalità, sono stati i lavoratori.
Da una prima aspirazione verso la cosiddetta cultura borghese, per usarla come strumento d'ascesa sociale, oggi i lavoratori esigono di partecipare all'elaborazione di una nuova cultura, che assicuri una società di pari.
Ora mi pare ovvio che un sistema educativo organico deve superare sempre più la frattura tra periodo scolare e periodo lavorativo, per realizzare la progressione continua dell'itinerario che tutti i cittadini dovranno percorrere lungo la vita.
Per realizzare tutto ciò occorre tenere presenti e liberi alcuni ambiti, quali sedi di educazione permanente: i centri di cultura, lo stesso sindacato ed i partiti.
I centri di cultura, come diritto del cittadino che deve nella sua comunità civica trovare predisposta questa istituzione senza dover ricorrere al circolo ottocentesco, o ridursi alla bocciofila. Deve trattarsi di un luogo di incontro, di espressione nei campi più vari, di coltivazione multipla e libera delle proprie esigenze interiori, senza pericoli di strumentalizzazioni.
Ma l'impostazione data dall'Assessore Ferrero non rileva forse questi citati rischi? Non esiste una pericolosa concezione piramidale colonizzatrice di certe iniziative attraverso non la promozione legittima di cultura ma la programmazione della cultura, o meglio di un certo tipo di cultura? Dai centri di cultura al sindacato, al partito, nato quest'ultimo in Chiave liberale, come comitato elettorale. Ma una volta divenuto di massa nelle forme marxiste o cristiane, si è trovato di fronte un immenso compito di educazione che non può non essere correttamente citato e ricordato.
Esiste una stretta connessione tra il documento politico e quello programmatico presentato dall'Assessore Ferrero. Non ho spazio per approfondire tale correlazione, lo faranno meglio di me alcuni colleghi del Gruppo.
Siano concesse solo poche considerazioni.
La Regione tiene intesa non solo come soggetto politico, ma anche come soggetto culturale per giungere ad affermare la centralità della cultura scientifica, nel senso che il "nuovo umanesimo" nascerebbe dalla scienza dalla tecnologia, dal lavoro.
Viene indicato un sistema organizzato a spirale: una serie di macro progetti regionali e comprensoriali intorno ai quali si devono accordare le diverse iniziative da finanziare. Ai comprensori poi spetterebbe la funzione sistematoria - programmatica per un lato, da raccordare con i macro progetti regionali, e per l'altro con le esigenze delle realtà locali.
Si privilegia l'istituzione pubblica intesa come riassuntrice delle molteplici esigenze del sociale e del culturale, senza spazio sostanziale per iniziative al di fuori della centralità assegnata al sistema degli Enti locali.
Si configura quindi un'evidente riduzione del pluralismo a fronte di un modello accentratore, modello che rischia di condizionare pesantemente.
Riteniamo, viceversa, molto più corretto reclamare una distribuzione più orizzontale, per una concreta, corretta e pluralistica politica di promozione (mai programmazione) culturale dell'Ente Regione, favorendo soprattutto i vari centri di aggregazione culturale.
Direi di più, l'eliminazione di una rigida centralità serve a potenziare le voci e i centri culturali in concorrenza tra di loro e porli davanti alle istituzioni ufficiali che trasmettono il già prodotto.
La piena valorizzazione dei più profondi valori e dei più veri contenuti della nostra cultura va perseguita con un'ardita e non guidata politica di potenzialità dei diversi soggetti culturali: pena una progressiva perdita di identità, una spersonalizzazione della società regionale che è proprio quello contro cui occorrerebbe più decisamente impegnarsi.
Accanto a tutto ciò, occorre meno sporadicità, meno cultura di regime meno sprechi di denaro, meno privilegi nei confronti di sigle, sempre le stesse, che paiono le sole autorizzate a gestire spazi ed ottenere aiuti finanziari.
L'azione della maggioranza nel passato è stata coerente con la linea indicata, coerente con se stessa, ma tale coerenza non può essere accettata.
Oggi la Giunta finalmente propone ipotesi ed impegni: è, sul piano metodologico, un formale passo avanti; chiede un confronto ed un giudizio e su questo ci esprimiamo con le osservazioni critiche finora svolte e con altre che i colleghi della D.C. ulteriormente svilupperanno.
Noi rileviamo che non faremo un astensionismo inutile o un'opposizione sterile. Come abbiamo respinto nel corso della seconda legislatura l'impostazione clientelare, senza verifiche dell'Assessore Fiorini, non accettiamo le proposte, certo più intelligenti e serie, ma pericolose presentate dall'Assessore Ferrero.
Rifiutiamo spazi alle iniziative pilotate dall'alto, dall'ente pubblico ai vari livelli, da organismi controllati, che in realtà rischiano di spegnere l'originalità creativa, lo spirito d'iniziativa, la capacità di organizzarsi, il tutto in un clima di mortificazione che non favorisce certo la partecipazione viva del cittadino per realizzare più autentiche forme di cultura.
Le proposte avanzate rischiano infatti di spegnere l'originalità creativa, lo spirito d'iniziativa, la capacità di organizzarsi.
Per questo,ad esempio, si privilegiano le iniziative che si rifanno alle organizzazioni pubbliche di portata regionale (Teatro Stabile, Teatro Regio) e si lasciano di fatto spazi ridotti alle possibilità offerte dalla ricerca spontanea di gruppi organizzati o di singoli.
Quando l'Assessore parla di intervento a favore dello Stabile non evidenzia come in questi anni non tanto si sono strutturati interventi di promozione, quanto pesanti ed onerosi interventi finanziari a sanatoria di errate politiche dell'ente, né la citata autonomizzazione dei poli non torinesi in tema di teatro si è realizzata, ad esempio, con l'ATA di Alessandria, condotto dallo stesso direttore del TST di Torino.
E le citazioni potrebbero continuare.
Esprimiamo quindi i nostri dubbi, le nostre perplessità, dubbi su una città qual è Torino che rischia culturalmente di perdersi in una cultura finita nelle secche di gruppi élitari, di accademismi senza rapporti con la realtà per un verso, o per altro verso di strumentalizzazioni politiche del tutto estranee alla cultura stessa, ben lontane perciò da quel luogo di incontro delle partecipazioni attive capaci di garantire un mondo culturale creativo, libero, pluralista, occasione di verifica e di reinvenzione.
Dubbi e perplessità, perché il contesto regionale non offre oggi un rapporto di reciproca fruibilità con la città, dove il decentramento altro non è che un'astratta sigla per il movimento in regione dei prodotti a senso unico circolanti, con identica sigla, magari ARCI, in Torino.
E' indubbio che Torino sia il sintomo di un problema culturale che investe la nostra civiltà e che necessita di un'iniziativa politica aperta per il recupero della città.
Vi è il problema della cultura e degli spazi urbani, c'è in questo ambito il problema delle comunità periferiche e dei centri storici, il problema della periferia topografica e della periferia culturale.
In questo ambito le indicazioni operative sono in parte da criticare in parte da accettare.
Vi è il problema della scuola e dell'educazione permanente ed in questo ambito il problema dell'educazione permanente come strumento di recupero culturale, vi è il problema già citato della scuola tra cultura e società della piena utilizzazione, ma non strumentalizzazione, degli strumenti formativi extra scolastici.
Ma alla base di tutto ciò che ho detto, forse con disorganicità ed imprecisione, vi è una filosofia, una visione che rileva come al di fuori della logica (che noi diciamo politica) esistono seri dubbi che possano emergere aiuti per l'autentica cultura.
Abbiamo avviato problematiche e critiche; altre, in termini mirati agli aspetti operativi del progetto della Giunta, verranno sollecitate da colleghi del Gruppo; siamo però convinti che se obiettivamente le nostre posizioni sono lontane da quelle espresse dalla Giunta, vogliamo dire che sentiamo l'impegno del confronto, un confronto molto chiaro, molto onesto di verificare le possibilità di incontro su di un terreno così importante e delicato.
Noi abbiamo criticato nel predecessore di Ferrero, un Assessore che ritenevamo sordo ai suggerimenti, chiuso al confronto e al dialogo apprezziamo certo un costume diverso del nuovo Assessore, un impegno propositivo, una metodologia certo differente.
E questo è un atteggiamento che non può non trovarci attenti atteggiamento che non può evidentemente non stimolarci, in un momento particolare, ad un serrato confronto.
Abbiamo coscienza anche dei nostri errori, dei nostri vuoti, che hanno spesso fornito ad altre forze politiche l'opportunità di imporre su vasto raggio, e non sempre solo per motivi di mutati equilibri politici, una politica culturale non priva di contraddizioni e di cadute, ma senza dubbio volitiva, per quel fideismo che è uno dei suoi connotati più adescanti.
E' indiscutibile che quanto realizzato nel recente passato dall'Assessore Fiorini e quanto oggi ci propone l'Assessore Ferrero ruota intorno alla progettazione e all'attuazione di un'attività culturale con una sua evidente etichetta di sinistra che non possiamo accettare. Sappia l'Assessore che opereremo per arginare questa tendenza alla "presa di potere" con delle controproposte e con una metodologia che non rispecchi supinamente il carattere mandatario di certe logiche politiche. Sappia, e correttamente lo anticipiamo, che ci batteremo contro il tentativo, ormai evidente e vistoso nella nostra regione, di un'egemonia culturale e politica.



PRESIDENTE

E' iscritta a parlare la signora Bianca Vetrino Nicola. Ne ha facoltà.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, mi scuso innanzitutto con l'Assessore per la mia assenza nel momento in cui ha reso la Sua introduzione al Consiglio ma ero impegnata in altre nobili faccende. Posso però assicurarlo che ho letto con attenzione la sua relazione.
L'apprezzamento che i repubblicani esprimono per la volontà della Giunta di voler portare all'attenzione del Consiglio l'argomento all'ordine del giorno, parte dalla considerazione che il progetto culturale di un'Amministrazione debba costituire non soltanto un impegno dovuto per effetto delle deleghe ricevute ma perché il dato culturale ha una sua valenza necessaria, sostenibile e comprensibile in ogni momento storico anche quando le condizioni economiche appaiono tanto compromesse sì da farlo sembrare superfluo.
Anzi (e a questo proposito troviamo calzante l'esempio inglese che l'Assessore ci fa quando ci dice che nel 1943 mentre Londra era sotto i bombardamenti tedeschi il Parlamento inglese discuteva la riforma dell'ordinamento scolastico) il dato culturale diventa imperante quasi ammonente, come a volerci dimostrare che se di quel dato culturale la società avesse tenuto a tempo debito conto, gli altri dati - quello economico e il dato sociale - non sarebbero oggi in crisi o per lo meno in una crisi così grave.
Tutti i segnali che pervengono dalla società mostrano, infatti, una tendenza allo smorzamento dell'indicatore dello sviluppo economico e demografico, mentre fatica ad organizzasi, od a riorganizzarsi il dato sociale, sempre meno compatto e più sfrangiato.
Appare dunque come il solo strumento unificante, il nuovo dato principe, possa essere quello culturale, quale forza aggregante della società.
Ciò è tanto più vero in Piemonte, e Torino, nella città di Gramsci, che scrisse essere importante non la conquista del Palazzo d'Inverno, ma la conquista della cultura. Le Giunte che hanno amministrato il Piemonte nell'ultimo tempo non potevano né non potrebbero applicare questi principi cui del resto appartengono ideologicamente e, peraltro, in ciò non vi è alcuno oggi che non possa non dirsi gramsciano, perché il "Consenso" non può venire conseguito che per via culturale: il potere non genera il consenso ma è il consenso che genera il potere.
L'intellettuale moderno (e per intellettuale intendiamo l'uomo pensante e l'uomo che opera nel politico in primo luogo) deve interrogarsi a questo proposito e rispondere innanzitutto se occorre operare e quindi su quale terreno. Ora, constatato che il dato economico produttivistico viene posto in difficoltà non tanto e soltanto da fatti esogeni (petrolio, moneta instabilità politica) ma da una crisi endogena, come quella che prima del potere economico ha dimostrato i limiti del potere militare (tutti abbiamo visto il grande esercito, quello iraniano, fino a tre anni fa considerato il quarto del mondo, ravvolto dalla forza di pochi uomini in turbante e babbucce) tutti stanno per comprendere che le strutture economiche rischiano, se incoerenti con i valori ideali della società, di cadere in parabole imprevedibili; i percorsi culturali devono quindi essere commisurati all'uomo ed alla politica di cambiamento dell'uomo stesso nella misura e nella direzione in cui egli può cambiate.
Ma queste modificazioni si possono operare? La risposta dei conservatori è ovviamente negativa, convinti come sono che l'uomo è quello che è con la sua barbarie ed i suoi vizi e che non si possa né valga la pena di cambiarlo.
Per altri si deve invece pensare tutto all'opposto, in vista di un futuro mitico, di un orizzonte di felicità socialista che si può e si deve realizzare.
Per noi, che reazionari non siamo ma neppure vediamo nel socialismo reale l'alba di una nuova era, si tratta dunque di verificare se una politica, specie culturale, possa essere coerente ai fini che ci proponiamo e in caso positivo delineando i contorni di una tale politica, cioè un programma. Al quesito, se occorre operare, rispondiamo dunque con uh "sì" pieno e motivato, in coerenza con la tradizione nostra e della cultura italiana nel suo complesso alla condizione però che venga deciso ogni legame con qualsiasi modello funzionalistico della cultura.
Si intende, con questo, dire che il modello culturale al quale ci ispiriamo deve poter mettere in discussione prima di ogni altro, se stesso i suoi scopi e il suo fine.
Deve essere perciò pluralistico.
E poiché siamo arrivati al "pluralismo" il riferirmi alla relazione dell'Assessore Ferrero mi è ormai urgente.
Vorrei premettere che non ho particolari nostalgie per le passate Amministrazioni democristiane in Piemonte (anche se in genere quando ci si riferisce alle Amministrazioni democristiane si parla delle Giunte Calleri mentre probabilmente ci si potrebbe riferire, qualche volta, alle Giunte Oberto, di ben altra impronta). Non ho nemmeno un amore particolare per le Amministrazioni socialcomuniste: poiché, però, è nella nostra ideologia politica essere obiettivi, diciamo che le Giunte di sinistra hanno negli anni passati perseguito un intento culturale con alcune iniziative, talune anche apprezzabili.
L'obiezione che da taluni viene portata direi non senza motivi, è quella di monopolio da parte delle Giunte socialcomuniste di tutte le iniziative culturali. C'è, se vogliamo, nella relazione di Ferrero, una frase che promette poco di meglio in questo contesto, laddove egli dice che "pluralismo non significa rinunciare a compiti di Governo per lasciare spazio a gruppi di pressione che sfruttano risorse umane e materiali anziché tendere alla loro valorizzazione", ma non dice chi pronuncia sentenze di questo genere sui cosiddetti "gruppi di pressione" (i partiti che appoggiano le Giunte sono gruppi di pressione? La Democrazia Cristiana con il suo peso elettorale all'interno di questo Consiglio, è un gruppo di pressione? ). E' ben vero che la parola "pluralismo" compare nella relazione Ferrero un'infinità di volte; ma non vorrei che del pluralismo si dovesse dire quello che qualcuno disse dell'onestà, del buon senso e del portafoglio: che chi li possiede non li vanta, e di chi li vanta bisogna dubitare che menta. Comunque, cultura pluralista, solo a metà è sempre meglio che nessuna cultura (a questo ci avevano abituato le Giunte clericali) e pertanto, espressa qualche riserva sulla santità di certe intenzioni (del resto non domando che di essere smentita dai fatti), non mi sogno di negare un riconoscimento alla parte politica di Ferrero.
E' difficile analizzare la relazione Ferrero. E' difficile perch purtroppo, le cose concrete sono annegate, fino quasi a sparirvi, nei concetti astratti. Ed i concetti astratti, si sa, sono tutti buoni e belli è sulle cose concrete che ci si scontra (o, beninteso, si consente).
Comunque ne tenterò l'analisi: il punto a) a pag. 4 della relazione Ferrero, vanta tra le cose fatte il tessuto bibliotecario ed il censimento del patrimonio dei musei. D'accordo. Sulle biblioteche deve continuare a promuoversi la costituzione e la diffusione delle biblioteche che vorremmo definire di secondo livello, in relazione, infatti, all'avvenuto aumento della scolarità media, deve potersi disporre di una biblioteca pubblica laddove esista anche un solo istituto medio superiore e nei centri minori la biblioteca può essere posta anche in precisa relazione con l'istituto medesimo ovvero con un gruppo di istituti, facendo riferimento al distretto.
Nei centri di poca importanza, inoltre, ove cioè le biblioteche possono essere più di una, la Regione dovrebbe poter finanziare l'avvio di iniziative di catalogazione mediante elaboratore per la ricerca dei titoli tra le diverse biblioteche cittadine (Torino esclusa, almeno per ora, per la dimensione diversa che il problema avrebbe).
Per quanto riguarda i musei ed i beni culturali in genere, apprezziamo come scrive Giovanni Ferrero, che siano state costituite le premesse per delle grandi iniziative nel settore, ma le difficoltà stanno nella qualificazione delle iniziative e nella loro fruibilità (periodi d'apertura, orari). Occorre perciò in prima istanza, indirizzare le iniziative degli enti gestori nel senso della fruibilità che deve accrescersi e deve estendersi contribuendo la Regione a detto scopo piuttosto che all'ampliamento delle iniziative. Non dico nulla di nuovo ma semmai aggiungo una lamentela che è corale: noto che i nostri musei, i nostri palazzi, le nostre Chiese, sono abbastanza chiuse soprattutto per persone che hanno un orario di lavoro rigido. Non parliamo poi della carenza di visite guidate per chi ha minore preparazione a ricevere il bene culturale.
Sui restauri ci sembra di poter dire che si sono fatte più chiacchiere che fatti e quei pochi, suggeriti più dalla demagogia che da intenti culturali. D'altra parte questo è l'unico commento che si possa fare alla frase di Ferrero, che dice che gli interventi sono nati da domande.
Certamente il rischio è quello di una non uniformità dell'intervento e ci si chiede se non debba la Regione prima di ogni altra cosa, istituire un centro per la inventariazione, catalogazione e documentazione dei beni culturali piemontesi in attesa che la riforma della legge 1089 del 1939 risolva il problema della gestione.
Nel punto b) Ferrero sottolinea la necessità dell'integrazione tra enti diversi. Tale integrazione di interventi non si verifica a nostro avviso se non interviene una più intensa ed articolata collaborazione tra il Ministero, le Regioni e gli Enti locali. Ciò vale soprattutto per due temi che si impongono come rilevanti ed apertissimi: la riforma delle leggi di tutela e la formazione del personale tecnico-scientifico. Crediamo che l'attuale Ministero abbia introdotto un clima e realizzato un assetto fondato sull'apertura alle esigenze di decentramento e di corresponsabilizzazione delle forze, ci sia consentito di affermare questo per amor di parte, credo anche senza precedenti nelle storie ministeriali della nostra Repubblica.
Il pieno rispetto dei reciproci compiti che la Carta Costituzionale attribuisce ai poteri centrali e a quelli regionali entrambi poteri dello Stato, trova sede idonea e definitiva nel Consiglio nazionale e nei Comitati di settore, nelle conferenze periodiche dei Sovrintendenti su base regionale, nei Comitati regionali, composti dai responsabili degli organi periferici del Ministero, e da un pari numero di rappresentanti regionali.
Riattivare e riordinare il significato e la funzione di tale sede, vuol dire riattivare e riordinare lo sforzo di rinnovamento e l'apporto prezioso di energia delle società locali, quali si esprimono nelle Regioni e nei Comuni. E' un obiettivo per il quale vale la pena di battersi senza abdicazioni e senza schematismi.
L'elusione del termine del 31 dicembre 1979 stabilito dall'art. 48 della 616, per l'emanazione della legge quadro in materia di beni culturali ha rappresentato finora certamente una grave inadempienza di responsabilità produttiva del settore anche se francamente qualcosa si sta muovendo.
Questo però non deve indurre a soluzioni precipitose e non sufficientemente meditate; l'altissima importanza dei valori in gioco, il patrimonio culturale e nazionale, richiede certamente un'approfondita elaborazione a livello sia politico che tecnico anche in considerazione del fatto che la legge è del 1939 (la 1089) è pur con tutte le sue insufficienze costituisce ancora oggi una tipologia di interventi dà non liquidarsi affrettatamente.
Per completare l'analisi del punto v) riteniamo interessante il tentativo di recupero dei materiali per ricostruire la storia del Piemonte collezionando iniziative locali che si sono verificate numerose in questi anni nel tessuto regionale ma che vanno recuperate facendo superare la caratteristica campanilistica e dando loro una dignità regionale. A questo proposito vorrei ancora dire di tenere un collegamento con il Museo dell'Agricoltura per evitare di andare per compartimenti-stagni.
Sul punto e) si potrebbe anche rinunciare a parlare, perché di fattuale non c'è nulla, dando per scontato che il decentramento delle attività culturali, è una scelta obbligata, anche dalle leggi regionali, già in vigore, così com'è ovvio che si intenda privilegiare le spese di investimento.
Concordiamo sui progetti che nascono dalle realtà comprensoriali, anche se temiamo che un'impostazione siffatta manifesti certamente profondo rispetto di una possibile autonomia delle comunità locali, ma rischia anche di essere scelta rinunciataria. Almeno in fase di avvio, l'Assessorato dovrebbe essere in condizioni non solo di coordinare ma anche di proporre e di stimolare attraverso quei contributi che le verranno da quella Commissione o Consulta che speriamo il Consiglio si decida ad eleggere.
A proposito di decentramento, crediamo che il decentra mento più facile ed immediato delle iniziative, sia quello musicale e stendendo a tutte le città piemontesi dotate anche soltanto di Chiese significativamente ampie di almeno un ciclo annuale di concerti.
Mi sembra che in tutto il documento non si parli del Teatro Regio.
Penso che bisognerà parlare anche di questo, perché se è vero che il Teatro Regio ha un'amministrazione autonoma, non dimentichiamoci che questa è una grossa pompa, aspirante denaro pubblico e probabilmente un contributo dei nostri rappresentanti all'interno del Consiglio per uno sviluppo dei programmi, e qualche iniziativa per una migliore gestione sarà necessaria.
Il punto d) ed il punto e) si ricollegano al punto b). Noto al punto d) che è convinzione dell'Assessore Ferrero che nella nostra Regione "i processi di immigrazione sono stati parzialmente integrati" e pertanto si può "non affrontare più il tema della disgregazione". Va bene, non parliamo più di Via Artom e di Via Millelire: ma come la mettiamo con il Sindaco Novelli, che non parla d'altro? Inoltre i problemi di questa Regione non sono stati né sono quelli dell'immigrazione meridionale; la Regione è tra le più composite, Ferrero certamente lo sa, ospita etnie disparate, ha l'unica cospicua comunità riformata d'Italia e Valdesi; ci sono distanze culturali vastissime, come intercorrono tra la Valsesia e l'Alta Langa fino a pochi decenni addietro esisteva certo un equilibrio tra molti poli culturali.
In pochi anni però la città di Torino ha risucchiato tutto e tutti.
Prima ancora delle popolazioni meridionali ha drenato quanto più poteva dalla provincia, dalle colline, dalle montagne, attraendo a sé energie più fresche: i giovani. In alto, lontano, sono rimasti i vinti. Nella città che ospitava una frazione di tutta la popolazione regionale, oggi vive la metà dei piemontesi: come non pensare ad uno sconquasso sociologico ed etnologico, non solo e non tanto della città ma della regione circostante? Non si può dunque, secondo noi, che ricostruire e riaggregare. E per fare ciò si possono tracciare svariati percorsi, non però quello dell'economia che non solo è stagnante ma è forse un'arma spuntata; vi sarebbe quello del riassetto del territorio, dell'urbanistica, tema certo primario, occorrono però risorse finanziarie immense, oggi non disponibili e così si finisce per ripiegare sui progetti più modesti spesso di semplice ricucitura dei tessuti più usurati.
Esiste l'ambito socio-sanitario, della prevenzione, dello sport di massa, ma la domanda sociale di salute ha costi così rilevanti da non poter essere soddisfatta compiutamente. Esiste un problema scuola, importante come pochi altri, la cui soluzione sfugge però in cospicua misura, alle competenze locali essendo di competenza statale. Lo spazio culturale e del tempo libero ha invece un enorme potere di incidenza nella società senza necessità di mobilitare le risorse troppo elevate e dunque appare oggi come lo spazio più praticabile, come quello che è stato per troppi anni compresso.
Al punto e), dopo la citazione dell'esempio inglese, si critica quella che è la Oasi monocultura piemontese dell'auto. Ne convengo, tutti abbiamo abbondantemente in quest'aula, parlato male di questa cultura; d'altra parte un Governo nazionale avveduto non avrebbe dovuto consentire che una città di oltre un milione di abitanti dipendesse quasi soltanto da una sola industria. Ma ormai le cose sono queste, la critica dell'industria dell'auto, considerata, quasi "decotta" (che peraltro in passato ha avuto anche appassionati fautori nei colleghi di partito di Ferrero, ha non piccole responsabilità nella crisi attuale della Regione). Anche perch alla trasformazione agro-alimentare ed al terziario alcuni si sono convinti da pochissimo tempo. Il resto del punto e) è un'affermazione di buone intenzioni senza indicazione dei mezzi per realizzarle, tranne quel che riguarda la proposta di un Museo regionale delle Culture Extraeuropee di nuovo tipo, .una specie di sede permanente per mostre di materiale preso via via a prestito dai Paesi Extraeuropei (suppongo si tratti dei Paesi eufemisticamente chiamati Paesi emergenti o in via di sviluppo e che purtroppo, come è stato osservato e come è noto, né si sviluppano, né tanto meno emergono). L'idea è interessante, tutto sta a vedere se sarà possibile farne un ente permanente.
Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, abbiamo letto attentamente il documento predisposto dall'Assessore Ferrero per introdurre questo dibattito sulla politica culturale, che di per sé costituisce - vogliamo riconoscerlo in premessa - un'interessante occasione di confronto, senza precedenti nella vita della nostra assemblea.
Bene: dobbiamo dichiarare, allora, che lo giudichiamo, a lettura avvenuta, un documento stimolante, provocatorio, teso ad imprimere una svolta - ne diamo atto senza riserva alcuna - alla politica culturale attraverso l'impegno nel dire sul tema cose nuove e diverse, e nel dirle in taluni punti secondo un modo apparentemente non marxista, come invece ci saremmo aspettati da un comunista.
Noi raccoglieremo stimolo e provocazione, e lo faremo un po' per il gusto intimo di discutere attorno a tesi e ad impostazioni che escono dalla consueta routine dell'attività regionale; ma, ancor più, per la profonda convinzione che sia la cultura a chiarire e ad indirizzare la vita dell'uomo e che, di conseguenza, le scelte culturali finiscono con il diventare scelte di esistenza e di indirizzo politico.
Per ora, limitiamoci a sgomberare il terreno da alcune considerazioni di ordine pratico che la relazione ci su perisce ed il nostro dovere di Consiglieri ci impone.
Al documento dell'Assessore Ferrero è allegato un riepilogo di alcuni dati relativi alla spesa per la cultura nel quinquennio 1975 - 1980: cioè tante belle cifre elencate una dopo l'altra, con l'indicazione delle rispettive percentuali rispetto al totale disponibile e delle somme erogate "pro-capite". Una burocratica e diligente analisi, che istintivamente ci ha fatto pensare alla predilezione sempre riservata, a sinistra, per il dato statistico: mentre noi crediamo invece - ed è già un modo diverso di collocarsi a fronte della cultura - che, ad esempio, le innumerevoli statistiche condotte in questi anni, in campo sociologico, sul comportamento sessuale degli uomini non valgano, dal punto di vista culturale, quanto uno solo dei dialoghi in cui Platone parla dell'amore...
Ma, al di là di questa riflessione, riconosciamo comunque all'esecutivo di averci fornito, come d'altronde era suo dovere, un quadro dettagliato delle spese comparate per voci, titoli di erogazione ed ubicazione degli interventi.
Intendiamo addentrarci, adesso, in un esame particolareggiato del riepilogo (anche perché, mancando a fianco delle singole cifre le motivazioni dell'erogazione, sarebbe arduo farlo), ma limitarci a brevi annotazioni.
Rileviamo, anzitutto, che la ricerca scientifica - con i suoi 421.339.820 lire in cinque anni - è davvero rimasta una povera bambina vestita di stracci: e, questo, in una Regione dal tessuto socio-economico quale quello del Piemonte; e con un istituto come quello regionale che dovrebbe essere interprete, ma, ancor più, propulsore delle attività ricordate, le quali dalla ricerca scientifica traggono linfa vitale.
E, sempre in questo quadro, l'Università. Dice l'Assessore Ferrero (a pag. 12 della sua relazione) che "grande obiettivo della terza legislatura" deve divenire "il decentramento universitario". D'accordo: ma come possiamo credere in questa affermazione, che abbiamo già sentito ripetere nel corso della prima ed anche della seconda legislatura, tanto che riteniamo semplicemente superfluo rifare qui la storia degli insediamenti universitari in Piemonte? Era il 17 settembre 1974 quando il Consiglio regionale - per la mancanza di coraggio nell'operare scelte precise - ebbe a votare un demagogico ordine del giorno che di nuove Università ne chiedeva ben quattro: a Novara, ad Alessandria, a Savigliano, oltrechè a Torino. E non fu forse in conseguenza di una simile velleitaria e faraonica decisione presa per accontentare tutti e per non scontentare nessuno - che, da allora, il problema è rimasto insabbiato? In questi anni non abbiamo veduto porre a fondamenta della nuova (o delle nuove) Università un solo mattone di volontà, di progettazione, di terracotta: vi sono, in questo, gravi colpe del Governo, è vero; ma altrettanto pesanti sono le responsabilità della Regione, se non altro per l'incapacità di formulare indicazioni non equivoche sulle localizzazioni universitarie. Ed allora, quale credito dare alle assicurazioni dell'Assessore Ferrero? Ci sia, quanto meno, consentito il beneficio del dubbio.
Ma - per tornare alle cifre del riepilogo - la tabella n. 12 (che indica le spese per attività espositive) conferma altre due cose: primo, la grossa sperequazione di investimenti tra zona e zona (citiamo a caso: Torino, L. 3.280.050.000; Vercelli, L. 74,400.000; Novara, L. 13.700.000).
Questo squilibrio è, per la verità, denunciato anche dal relatore, che nel suo documento si sforza di formulare proposte di soluzione, forse più valide però nel fine che non nei mezzi.
Secondo, la spesa eccessiva in rapporto ai risultati ottenuti. Perch se è vero - e il concetto ci piace - che le iniziative culturali devono "lasciare il ricordo e stimolare il desiderio" (come lei, Assessore, ha scritto), crediamo che quasi nessuna delle mostre ricordate abbia raggiunto quel risultato, neppure la mostra degli Stati del Re di Sardegna che, pur essendo costata al solo Assessorato alla cultura la bella cifra di L.
1.069.234.000, non è diventata occasione di studio e neanche di turismo. Ci si consenta di ricordare, invece, quale manifestazione che ogni anno più si qualifica (e ci qualifica) sul piano nazionale ed internazionale, le "Settimane Musicali di Stresa", vero punto di incontro di artisti sempre di alto valore - e, quindi, momento di cultura autentica - nonché, insieme efficace richiamo turistico: ne approfittiamo per chiedere, in favore delle "Settimane Musicali" stresiane, un contributo finanziario più adeguato alle loro necessità ed alla loro importanza; e lo facciamo con la piena coscienza di proporre un intervento capace di apportare solo risultati positivi.
E, sulle attività espositive,' vogliamo ancora manifestare un nostro convincimento, che suggerirebbe piuttosto di puntare sulle grandi iniziative (ci vengono alla mente la Mostra dei Medici a Firenze: due milioni di visitatori! , quella del Palladio a Venezia, del Mantegna a Mantova, del Futurismo Milano) anziché polverizzare i contributo disponibili in mille rivoli. Siamo dunque d'accordo con l'Assessore, quando rileva i risultati non sempre produttivi degli interventi episodici legati alla promozionalità, anche perché questi sono (questo il collega Ferrero non lo dice apertamente, ma lo lascia comunque capire...) la più opportuna e sfacciata occasione di clientelismo e di assistenzialismo, come già abbiamo avuto modo di denunciare in altro dibattito.
Sotto questo profilo dovrebbe essere studiata qualche iniziativa - ma davvero a grande respiro - capace di coinvolgere il Museo Egizio di Torino: che è già, Assessore, una splendida testimonianza di civiltà extraeuropea (ricca, forse, di collezioni "rapinate" ad altri popoli, come lei sembra pensare! ), ma che, oltretutto, non corre il pericolo d'essere momento di polemica o di faziosità politica, come invece temiamo rischierebbe di diventare il Museo delle civiltà extraeuropee che ci viene proposto.
Siamo ancora d'accordo con l'Assessore quando afferma che "l'atteggiamento della Regione non deve essere subalterno e di mero supporto alla realtà pubblica o privata"; mentre invece lo siamo un po' meno quando definisce la qualità dell'intervento regionale e dipinge con un'analisi quasi idilliaca la società e la vita piemontese. Ma questo è discorso che ci porterebbe lontano.
Non conoscevamo il documento quando, intervenendo nel dibattito sul programma, suggerivamo la ricostruzione della storia della nostra Regione anche attraverso l'episodica delle piccole cose d'ogni giorno: oggi annotiamo con piacere che questa tesi è condivisa anche dall'Assessore, il quale - a pag. 8 - scrive che, infatti, la storia del Piemonte si pu ricostruire "anche attraverso la storia dell'agricoltura, dell'allevamento dei cavalli, giungendo fino agli stessi bilanci energetici".
Molto avremmo da dire, poi, e in negativo, sul funzionamento delle biblioteche, soprattutto sulla loro gestione o, per essere ancora più chiari, sulla qualità degli acquisti - quasi sempre a senso unico insufficiente pertanto a dare un quadro obiettivo del momento culturale di libri, riviste, giornali.
E per chiudere questa prima parte del nostro intervento, sottolineiamo infine un altro punto di concordanza nella proposta di coinvolgere insieme alla cultura altri settori, a cominciare dal turismo per passare all'istruzione professionale e finire, magari, con l'urbanistica.
Del secondo allegato distribuitoci - e, cioè, gli "appunti per la predisposizione dei documenti programmatici in materia di politica culturale" - non pensiamo che, al momento, si possa dire molto: si tratta solo di una serie di progetti teorici, formulati come indicazione di intenti, che andranno discussi e valutati allorquando saranno tradotti nel concreto della realizzazione.
Ci preme, piuttosto, rifarci alla promessa iniziale di voler raccogliere soprattutto lo spirito di interessante provocazione che il documento dell'Assessore Ferrero contiene: in fondo, il dibattito ci è stato, per così dire, "imposto" e, dunque, non saremo certo noi a disertare la discussione...
Un primo rilievo: non abbiamo incontrato in tutta la relazione alcun riferimento o citazione di testi e di intellettuali marxisti (l'Assessore Ferrero ha preferito, piuttosto, gettarsi tra le braccia di quel reazionario che fu il Conte Camillo Benso di Cavour! ); ma, al contrario ci è capitato di leggere affermazioni come queste: "La maggioranza non vuole porre freno alla creatività dei singoli" (pag. 1) oppure "Quanto del cosiddetto riflusso nel privato non è legittimo desiderio di pensare, di capire, di ritrovare il proprio futuro? (pag. 2) o ancora "La Regione non deve dettare ideologie, ma garantire autonomia e sviluppo della cultura" (sempre a pag. 2).
Potremo continuare, così da chiarire meglio quanto affermato in premessa, che cioè molte cose sono dette dall'Assessore "in modo apparentemente non marxista".
Perché questa, infatti, ci sembra proprio la tecnica usata per la stesura del documento: tenere abilmente, se si vuole intelligentemente mascherata e coperta la proposta marxista o, meglio, il filo marxista che tiene legate le varie proposte.
Sam Beckett ha una bella immagine, in un suo articolo, parlando di Proust. Dice che - quando si cerca di ricordare un'esperienza recente - il filo della memoria è simile a quello che tiene appesi i panni dopo il bucato, che cioè serve soltanto a tenerli sollevati da terra perché abbiano ad asciugare. E, sul momento, quei panni ci sembrano tutti uguali, perch li vediamo soltanto distesi uno dietro all'altro. Però, il fatto che ci sia quel filo è segno che, poi, quei panni si asciugheranno e ciascuno di essi tornerà a riprendere la propria caratteristica, ossia la propria funzionalità.
Ecco, questa è l'impressione che abbiamo avuto leggendo il documento dell'Assessore Ferrero: anche se qui non si tratta di filo della memoria quanto di filo conduttore. Che c'è, non solo, ma è saldamente intrecciato con due canapi sicuramente marxisti: la priorità della cultura scientifica su quella umanistica e tecnocratica, e la visione della cultura intesa come mezzo o, secondo quanto testualmente si dice, come "investimento produttivo".
Orbene, relegata al ruolo di "strumento", la cultura cessa di essere incommensurabile, nel senso letterale della parola, e si trasforma in macchina produttiva del rendimento regolato, previsto, fissato. La cultura cioè, non avrà più in sé il proprio fine, ma lo troverà al di fuori di sé.
E così - secondo questa impostazione - l'intellettuale viene considerato nell'ottica di Gramsci, come un "organizzatore" e persuasore permanente una sorta di "succo gastrico" insomma, avente il compito di rendere assimilabili i cibi politici, mentre a fungere da committente e da controllore del lavoro intellettuale sarà proprio il partito politico (sono le tesi gramsciane dell'opera "Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura").
Ci rendiamo conto, tra parentesi, che - in questo momento - il richiamo a Gramsci, cioè all'uomo del "blocco storico" (l'alleanza dei comunisti con i socialisti contro il blocco industriale - agrario, teorizzata su "Il Risorgimento") può essere quasi pericolosa nel Partito Comunista di Berlinguer e del compromesso con la D.C. Ma, tuttavia, questo è il concetto: e, in questo modo, la cultura diviene prodotto secondario a quello che è ritenuto l'unico fenomeno primario di una società, cioè la sua situazione economica, lotta di classe inclusa.
Sotto questa luce, allora, si deve parlare di "circuiti" della cultura di "sistemi di convenienza"; di "carattere strutturale"; di organizzazione culturale 'gestita a livello territoriale". Ma se ne parla quasi con l'intento di porre ordine nella confusione alla maniera degli illuministi.
E questo, a nostro avviso, per ubbidire alle leggi che la politica comunista ritiene, al momento, di dover seguire: percorrere in campo intellettuale la strada parallela a quella del "compromesso storico" nonché, forse, anche per le conseguenze che, nel mondo culturale marxista ha prodotto il, disimpegno di tanti intellettuali comunisti o paracomunisti.
Negli anni '50 e '60, sia in Italia che in Europa, la maggior parte della cultura più importante e più viva militava a sinistra. Erano tempi in cui un giovane, anche se non di tendenze marxiste, si vedeva costretto - se voleva tenersi aggiornato con la cultura militante - a leggere testi libri, riviste di evidente colorazione marxista. Altro, infatti, il "mercato" non offriva.
Per procedete ad esempi: in quegli anni (lo si poteva amare o no) era difficile parlare di narrativa senza fare i conti con il Moravia de "La Romana" (anche se noi preferiamo quello de "Gli indifferenti"). Poi tramontato Moravia, ecco venire avanti Sciascia con "Il giorno della civetta", opera fortunata ma anche riuscita nel suo trovare una vita di mezzo fra libera invenzione di trame politicizzate e vissuta rielaborazione di fatti autentici. Poi, ancora, siamo al trionfo di Pasolini con "Ragazzi di vita" ed "Una vita violenta" (un autore, il Pasolini, del quale ci dispiace non poter dire di più, e certamente non tutto in negativo, perch non è questo il momento né la sede). Lo stesso Vittorini - per quanto discutibile - esprimeva un modo di scrivere che non era possibile ignorare.
Persino in campo avanguardistico, con il "Gruppo 63", qualcosa degno di nota si seppe fare soltanto a sinistra, in quegli anni. Fu allora che apparve anche il "Fratelli d'Italia" di Alberto Arbasino. E vi erano, poi i libri ideologici e filosofici, magari di ardua lettura, ma pur sempre esprimenti il fascino dell'avventura intellettuale, come la "Critica del gusto" di Galvano della Volpe o il "Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl" di Enzo Paci.
Questo, negli anni '50 e '60. Lo riconosciamo onestamente.
Ma quei tempi, ormai, sono tramontati. Con gli anni '70, la vitalità della cultura di sinistra comincia a spegnersi ed oggi è raro trovare qualcosa di non fiacco, non stanco, non pigro nella narrativa e nella saggistica della sinistra, quale si può reperire nei titoli degli editori guida di essa, da Einaudi a Feltrinelli a Laterza. Contemporaneamente vediamo il progressivo e crescente abbandono da parte degli intellettuali marxisti del loro impegno politico: un disimpegno che ha portato crisi profonda e non superata nella cultura comunista, sì da costringerla a tattiche ed a linguaggi diversi. L'Assessore Ferrero si è prontamente adeguato. . .
A questo nuovo corso diede inizio la dichiarazione di Napolitano dell'autunno 1974, discussa ed approvata in un'apposita sessione dal Comitato Centrale del Partito Comunista ed anticipata da un articolo pubblicato su "Rinascita" con il titolo "Una coscienza scientifica", che così annunciava; "Abbiamo smesso di considerare gli intellettuali come ceto ed abbiamo cominciato a considerarli come massa".
Una non facile presa di posizione del P. C. I., questa; imposta tuttavia, dal montante malumore degli intellettuali italiani andati a sinistra sì, ma che a partire dal periodo della "contestazione", si erano sentiti umiliati e sviliti nella loro categoria e professione o, più semplicemente, iniziavano a rendersi conto di non poter giocare con il comunismo senza pagarne il prezzo.
Il nuovo corso del P.C.I. aveva il significato di abbandonare la lotta ai "baroni" per considerare anche l'intellettuale un membro della classe lavoratrice; e, al tempo stesso, suonava come perentorio invito all'uomo di cultura perché si trasformasse "da ideologo, gramscianamente, in organizzatore" (così l'on. Napolitano in una dichiarazione all' "Espresso" del novembre 1974, che testualmente diceva: "Il professore che all'Università di Milano organizza una cellula comunista cessa di essere ideologo per farsi gramscianamente un organizzatore").
Procediamo per sintesi, naturalmente, non concedendoci questo dibattito spazi per analisi che meriterebbero ben diverso spessore; e rileviamo, a questo punto, che il crescente estinguersi dell'impegno marxista negli intellettuali ha portato a maturazione i tempi di quella che a noi piace chiamare la "cultura del post-comunismo".
Si tranquillizzi l'Assessore Ferrero: non intendiamo dire che il comunismo sia ormai superato. Sappiamo fin troppo bene che, purtroppo, è ancora vivo e vitale nella sua organizzazione. Usiamo invece questo termine in rapporto alla crisi culturale comunista; ma, soprattutto, perché non ci va di definire questo composito momento culturale - composito perché fatto di diversi filoni - semplicemente e semplicisticamente come "anticomunista". Infatti, tutti i movimenti che si fondano soltanto sulla negazione di qualcosa, cioè tutti i movimenti che sono solo degli "anti" non possono avere forza ed originalità creativa. D'altra parte, ogni movimento che sorge solamente come contrapposizione ad un altro movimento finisce poi con il parlare lo stesso linguaggio di quello che vorrebbe combattere, limitandosi a dire "no" là dove il suo avversario dice "sì" senza peraltro riuscire ad andare oltre per guardare una nuova realtà. E ci teniamo a precisare - nel caso (improbabile) che non fossimo stati capiti che, facendo queste osservazioni, pensavamo ad un particolare e specifico "anti", all'antifascismo.
Ma veniamo al secondo canapo con cui è intrecciato il filo marxista che regge le proposte dell'Assessore Ferrero.
Nella sua più volte citata relazione si legge, alla pag. 14, che "La sfida della cultura industriale ha perso smalto, fa fatica a presentarsi come una cultura del progresso rivolta al futuro".
Non abbiamo molto da dissentire. Ma totale e di fondo è il nostro dissenso sulla scelta - in contrapposizione - che l'Assessore fa riconoscendo alla cultura scientifica il primato su quella umanistica e manageriale.
La scienza vuole conoscere; la cultura vuole comprendere. La scienza comincia a divenire cultura soltanto dal momento in cui abbandona l'esclusivo compito di accumulare conoscenze e comincia a chiedersi che significato hanno, per l'uomo, quelle conoscenze. Dovere della scienza è quello di vedere chiaro ciò che ci circonda, senza però impegnarsi a gettare luce in direzione degli uomini. La cultura, invece, trascura le cose banali perché - a differenza della scienza, che non è in grado (e d'altronde non ha il compito) né di consolare né di esortare né di entusiasmare - vuole illuminare la direzione del cammino. .
Non per questo, la cultura - come noi l'intendiamo - deve essere nemica od aver paura della scienza. Anzi, la scienza vera è la migliore alleata di questa cultura, che vuole solo combattere il materialismo tecnologico quando appunto crede che nel progresso tecnico stia il fondamento della felicità umana.
Alleata, quindi, la scienza. Ma non maestra. Lo scienziato infatti - ed è già Giordano Bruno a dirlo - è come un interprete che traduce i fenomeni naturali e sociali nel linguaggio della scienza. Ma quale significato, poi possano avere per l'uomo quei fenomeni, ebbene questo non può essere lo scienziato a dircelo, bensì l'uomo di saggezza, l'uomo di cultura.
Il che non significa - sia detto per inciso - una classe dirigente di poeti e di eroi (a meno che a questi vocaboli non si voglia attribuire il significato che Reagan gli ha dato nel messaggio del giuramento! ). Ma, a n c ora, nel sistema della cultura scientifica protagonista, quale è, secondo l'ottica marxista, il ruolo dell'uomo di scienza? U n vecchio numero di "Rinascita" (quello del 4 aprile 1975) contiene un poderoso inserto dal titolo "I conti con la scienza", cui erano stati chiamati a collaborare parecchi intellettuali comunisti. Ebbene, si sostiene in quegli articoli che "il mondo operaio deve sviluppare una coscienza scientifica di massa" non nel senso di sollecitare una massiccia divulgazione della cultura a livello popolare, ma nel senso di un "controllo sociale della scienza", che da un redattore della rivista Bernardino Fantini, viene così spiegato: "Controllo sociale della scienza può significare intervento delle masse organizzate e, quindi, delle loro organizzazioni sindacali nelle necessarie scelte di politica scientifica".
E poiché le masse non sarebbero in grado, per mancanza di competenza, di fornire agli scienziati i criteri e le difettive della loro ricerca scientifica, se ne viene a dedurre che, nel "controllo sociale", le masse non entrano per nulla; mentre, all'opposto, il reale controllo - che diviene, a questo punto, esclusivamente politico! - sarà esercitato dalla burocrazia di partito. Tutto questo, lo ripetiamo l'ha scritto "Rinascita".
Ora, in questo sistemai ci pare proprio che lo spazio lasciato alla "creatività individuale" diventi piuttosto ristretto - non le sembra Assessore Ferrero? - e che non ci sia neppure modo di "riflettere su se stessi per il legittimo desiderio di pensare, di capire, di ritrovare il proprio futuro...".
Perché dal "primato della cultura della scienza" inteso secondo quanto affermano gli stessi marxisti (abbiamo citato, infatti, solo testi di quella parte) il grande assente è l'uomo, nella sua globalità di conoscenze, di sentimenti, di sogni, di speranze, di capacità di fare, di bisogno di libertà.
L'uomo che, viceversa, è per noi centro e motore di cultura, in una concezione anticollettivista ma non egoista, perché parte sì dall'individuo, ma per estendere ed esercitare la sua efficacia a molti individui. Anche perché quando parliamo dì cultura anticollettivista, non per questo intendiamo isolarla dalla politica, facendone un pezzo da museo.
Vogliamo soltanto rispettare la serietà e l'autonomia delle sue tecniche e dei suoi procedimenti, pur cercando di accogliere il risultato finale con voce viva nella concreta battaglia della realtà politica.
La politica, però, deve essere la molla interna capace di far sgorgare la cultura, non già un vestito esteriore che si mette addosso per compiacere i padroni. Se a sinistra "impegno politico della cultura" significa scrivere la "Ballata del Vietnam", il "Concerto di Valpreda" (oggi, tuttavia, personaggio non più molto nelle grazie del comunisti), la "Sinfonia antifascista" oppure - come ha fatto Luigi Nono alla Scala di Milano - prendere un testo di Rimbaud e mescolarlo con slogan di Che Guevara e note di "Bandiera rossa"; a destra, invece, "l'impegno politico della cultura" è impegno che viene dal di dentro, che fa tutt'uno con la creazione politica. E, infatti, la cultura deve essere impegnata politicamente - il che non significa partiticamente - perché non pu prescindere dalla realtà umana e sociale. La cultura, insomma, appartiene non soltanto al cervello, ma soprattutto al sentimento degli uomini. Legata alla loro storia viva, alle loro tradizioni, al loro costume; in una parola alla realtà del mondo nel quale gli uomini si muovono ed operano.
E deve essere politicamente impegnata specie in un momento come l'attuale, in cui sarebbe imperdonabile che gli ingegni migliori stessero a contemplare il dramma dei loro simili, senza cercare di aiutarli.
Certo erano beati i tempi (se mai ci sono stati) in cui gli artisti potevano ispirarsi solo alla luna, ai tramonti, al fragore delle onde marine, ai temporali. Oggi, l'artista, non soltanto i temporali ma addirittura gli uragani, senza stare ad aspettarseli dalle nuvole, se li trova in casa sua; non appena esce al mattino, nell'Italia del terrorismo degli scandali, della criminalità, degli scioperi e dei disservizi...
La cultura che noi amiamo, insomma, è quella che rimanda a dei principi che investono la sfera profonda della persona; che sta in relazione con l'Essere, intendendo con questa parola quella somma di valori spirituali che deve venire non solo pensata, ma anche vissuta; che lotta per la supremazia dell'intelletto contro il disordine mentale; che mira all'originalità, ma non all'avanguardismo; che ha radici piantate nel passato, ma combatte nel presente per preparare il futuro; che si concede alla contemplazione, non però in odio all'azione, bensì per ricercare forze per agire (ed è questo anche il solo "riflusso nel privato" che noi accettiamo, perché altrimenti anche il riflusso diventa uno strumento del regime per spingere il cittadino al disinteresse verso la tosa pubblica).
Una cultura che lotta per fare prevalere le forze etiche, intellettuali ed individuali su quelle economiche e collettiviste, non contrapponendo meccanicamente al materialismo storico il suo semplice rovescio, e magari sperando che tale prevalere si attui per forza propria (così come a sinistra si crede che la cultura si generi automaticamente, come prodotto o "sovrastruttura" della base economica); ma che sia consapevole che il prevalere dell'intelletto sull'economia, e dell'individuo sul collettivo non si verifica mai di per sé, ma è una dura conquista, tale da richiedere e da imporre lotte quotidiane. Una cultura con i suoi problemi effettivi, i suoi tentativi di soluzioni originali, il suo bisogno di cosciente recupero, conquistato duramente con le armi della competenza e della riflessione e, insieme, con la fantasia e con la forza dell'impulsività.
E' una visione della cultura e, quindi, dell'organizzazione della società, della vita stessa, che ci fa combattere la nostra battaglia politica sulla sponda opposta a quella dell'Assessore Ferrero. Al quale senza complessi - abbiamo dato atto di alcune pratiche proposte positive e di taluni sinceri momenti di riflessione. Ma che, certo, da noi non poterla aspettarsi discorso diverso da quello fatto.
Ancora un punto, signor Presidente e colleghi, prima di concludere questo nostro intervento.
E' un invito che - al di là di tutto quanto sin qui detto - vogliamo rivolgere direttamente all'Assessore Ferrero, anzi - se ci è consentito al giovane Ferrero: al quale - lo diciamo apertamente perché nessun settarismo di partito può costringerci a negare la qualità dì certi avversari - abbiamo sempre portato rispetto e stima, e che, pur con profonda ed inconciliabile contrapposizione, abbiamo in questi anni seguito con attenzione talvolta anche ammirata (ricordiamo ancora il suo discorso d'esordio, nella seconda legislatura, su temi della sicurezza sociale e della sanità).
Bene. All'intelligenza del giovane Ferrero, alla sua preparazione, alla sua sensibilità, noi ci rivolgiamo per ricordargli che la 'cultura - la cultura vera - non sopporta imposizioni e condizionamenti; sdegna le mistificazioni, rifugge da ogni falsificazione. Deve essere, al contrario non partigiana, obiettiva, libera. Se ne ricordi, Assessore Ferrero. E ne tenga conto nell'impostare e nello sviluppare i suoi programmi di lavoro: perché soltanto così il suo operato avrà dignità di autentica azione culturale.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ariotti.



ARIOTTI Anna Maria

Il dibattito che stiamo affrontando è stato richiesto dalle forze politiche che costituiscono la maggioranza, consapevoli che i temi della cultura, per la rilevanza e la delicatezza dei problemi che coinvolgono non possono essere lasciati alla gestione dell'esecutivo senza un preliminare confronto che, nella varietà delle singole posizioni, dia un apporto critico di specificazioni, approfondimenti, assensi, o di progetti e programmi alternativi, sì da permettere, in seguito, sulla base dei chiarimenti raggiunti, di enucleare linee operative, meditate e responsabili.
Se questo metodo è auspicabile sempre - e ha già trovato e troverà altri momenti di verifica - diventa necessario in questo caso, in cui ci troviamo di fronte, come base di discussione, la relazione sul programma della Giunta per il quinquennio 1980 - 1985, il riepilogo dei dati della spesa relativi al periodo 1975 - 1980, gli appunti per la predisposizione dei documenti programmatici in materia di politica culturale, documenti fortemente propositivi e di particolare ricchezza di contenuti.
Essi non sono certo nati dal nulla, ma sono la traduzione specifica di quelle linee di politica generale che hanno guidato la Giunta dal '75 dall' '80 e hanno impostato, con opportuni aggiustamenti, quella presente risentono del lungo dibattito che ha preceduto ed accompagnato la formazione della legge sui beni culturali; sono il frutto della riflessione e del ripensamento sulle passate esperienze.
Se teniamo presenti le vicende del concetto di cultura, nelle loro reciproche implicane ed esclusioni - dall'ideale greco di ?????~?? a quello elaborato dalle scienze antropologiche, puntualizzato dalla definizione di Kluckhohn e Kelly "la cultura come sistema storicamente derivato di espliciti ed impliciti progetti di vita che tendono ad essere partecipati da tutti i membri di un gruppo", a quello marxista o di matrice laica, di derivazione dewyana, in entrambi dei quali è sottolineato l'elemento critico e di trasformazione della realtà secondo valori di razionalità e di socialità - appare evidente la possibilità di comprendere, attraverso di esse, i modi di vita delle varie epoche, il loro mutamento da un periodo all'altro, i loro parametri sociologici, il loro rapportarsi con la realtà.
Soprattutto se accettiamo il concetto di cultura e di bene culturale che ne è il suo correlato, come inglobante tutte le emergenze e le testimonianze, sul territorio e nell'ambiente, della civiltà umana nei suoi aspetti storici e quotidiani (ideali, simbolici, ludici, economici) e come patrimonio collettivo e comunitario da tutelare, valorizzare e socializzare e in tal senso il termine appare nella convenzione dell'Aja del 1954 ratificata dall'Italia nel 1958 - è altrettanto evidente, anche per quanto riguarda l'aspetto operativo, la necessità di un rapporto dialettico tra politica culturale e politica di sviluppo sociale, economico, territoriale.
Credo cioè impensabile definire una reale politica delle attività culturali che non si ancori ad una politica complessiva, non tenga conto delle sue finalità, così come è poco credibile una politica sociale ed economica che non si fondi su attività strutture e strumenti culturalmente adeguati.
Penso alle carenze vergognose che a livello nazionale si riscontrano in tutti i settori della ricerca, da quello chimico a quello energetico rendendo impossibile una seria programmazione, penso ad una difesa del suolo o dei beni archeologici e museali che, senza Istituti di ricerca personale sufficiente e giusti finanziamenti, è destinata al fallimento, di cui tutti siamo testimoni.
Quel nesso, così vitale nella sua complessità, tra cultura ed attività politica, a cui prima facevo cenno si è, invece, delineato a livello regionale, nonostante le difficoltà derivate dai limiti delle deleghe, dai ritardi ministeriali e dall'imprecisione dei riferimenti legislativi e finanziari.
La politica di riequilibrio economico sociale e territoriale si è tradotta nel tentativo di riequilibrare il territorio anche sotto l'aspetto culturale, attenuando le differenze dovute all'accentramento nell'area torinese delle strutture culturali di più alto livello all'inaridirsi dei valori tradizionali locali: ecco i finanziamenti al Regio e allo Stabile subordinati ad un circuito periferico di spettacoli, ecco i restauri non solo di Palazzo Lascaris a Torino, ma di Palazzo Callori a Vignale, sede di un'enoteca e di attività culturali per tentare la rivitalizzazione di aree emarginate.
I provvedimenti legislativi generali: legge sui beni culturali, legge sulla tutela e l'uso del suolo, il piano dei parchi, gli interventi operativi volti al recupero dei vecchi quartieri o alla costituzione di una riserva naturale sono atti di grande dignità a livello culturale, proprio perché si propongono di realizzare condizioni migliori di vita, non nello spregio dei valori culturali e ambientali ma in un nuovo contesto che li rispetti e li esalti.
Le iniziative avviate sul quartiere Leumann o il ripristino del bosco e delle cappelle del Sacro Monte di Crea diventano esemplari perché in un caso si tenta di dare una risposta ad un bisogno primario, quello abitativo, non con l'abbattimento delle case vecchie e il trasferimento degli abitanti, ma con il recupero di un bene in cui la gente riconosce se stessa e la sua comunità; nell'altro si salva un patrimonio boschivo e di cultura religiosa popolare che vive nella memoria collettiva e nella vita quotidiana di un'intera popolazione.. Azioni economicamente valide, ma di qualificazione culturale particolare perché comportano la riappropriazione di beni che partecipano alla cultura vivente e sono rispondenti a bisogni umani.
E in questa prospettiva l'apporto di istituti e strutture di ricerca che vengono impostati, rivitalizzati, coinvolti in un processo concreto: il servizio geologico, l'IPLA, le convenzioni quadro con l'Università e il Politecnico, il Centro di Calcolo, il Museo di Scienze naturali, e i risultati ci sono, immediati; basterà ricordare la mappa del rischio idrogeologico o quella della fertilità dei suoli.
E all'interno di questo rapporto tra attività politica complessiva e attività culturali - che non implica identità né subalternità o strumentalizzazioni - urta uguale e consapevole assunzione di responsabilità.
La sfida che le forze dell'attuale e della passata maggioranza hanno accettato è stata quella di governare; perché una società come quella piemontese, matura e vitale, ma con gravi problemi, non sopporterebbe vuoti di potere; e di governare ponendo riparo a quegli squilibri economici e sociali che lo sviluppo attuato in questi 30 anni non ha certo eliminato.
Ma governare vuol dire anche conoscere le situazioni, interpretare tendenze, fare scelte, atteggiamenti che richiedono sempre, e a maggior ragione in campo culturale, chiara coscienza dei propri compiti.
Non credo nell'ente pubblico come asettico distributore di fondi semplice fornitore di mezzi per un ipotetico "libero esplicarsi della cultura" come spesso abbiamo sentito dire anche in quest'aula, perché senza un proprio progetto, la Regione può ridursi a mero supporto di altre realtà, rischiando di diventare struttura clientelare e venendo meno alla sua funzione di programmazione.
Non esiste cioè un potere neutro, esistono governi concreti e concrete politiche, che si innestano in situazioni ben determinate: o le accettiamo le subiamo divenendo così corresponsabili di chi le ha determinate, o tentiamo di modificarle, attuando le scelte conseguenti.
Vorrei richiamare alla memoria di tutti noi il complesso iter che aveva caratterizzato la formazione della legge Sui beni culturali; l'ampio coinvolgimento di tutte le componenti della comunità regionale, espressione di tutte le correnti ideali e culturali, di tutte le esperienze di diversa matrice ideologica e sociale; l'analisi del problema nella sua pluralità di valenze, che si era immediatamente allargato - e non poteva non avvenire ad un esame approfondito della società piemontese, da cui emergevano alcuni dati: la crisi dei valori culturali e ideali, la disgregazione del tessuto sociale e culturale, i grandi flussi migratori, mai completamente ricomposti e integrati, le gravi distorsioni sul territorio dello sviluppo economico e sociale, da cui la presenza nel capoluogo di tutti i centri culturali più importanti accanto al frantumarsi dell'organizzazione civile alle crescenti lacerazioni che Investono la sfera privata dell'esistenza e l'ambito dei rapporti sociali, il depauperamento dei centri periferici rinchiusi in piccoli valori tradizionali, impoveriti nei loro contenuti di vita.
Non mi soffermerei oltre su questi problemi, né sui processi storici culturali economici che li hanno determinati, perché a lungo dibattuti in numerosi incontri, tavole rotonde, nel convegno del luglio '77, in Commissione, in Consiglio ed attraverso la stampa regionale.
Ricordo soltanto tre temi emersi chiaramente e largamente condivisi: 1) il grande deterioramento dei beni culturali o usando l'espressione suggerita da Argan "del contesto storico" 2) l'inaccessibilità dei beni stessi e, in ogni caso, una loro fruibilità ristretta, che provoca nello stesso tempo privilegi ed esclusioni 3) la crescente richiesta di mutamenti, da parte di fasce di popolazione che, a volte consapevolmente a volte con atteggiamenti inadeguati e confusi, ricercano opportunità di esprimersi.
Da questa conoscenza così precisa, da queste consapevolezze raggiunte le scelte operative. Accanto ai singoli interventi di restauro, tutela conservazione - e sono veramente molti - accanto ai finanziamenti di singole attività (spettacoli, mostre, convegni) si tende soprattutto ad offrire all'intera comunità strutture di servizio culturale di adeguata qualificazione scientifica ed umanistica, si vuole promuovere ogni potenzialità di base, stimolando la ricerca su tutti i valori culturali storici, d'ambiente, conservandoli nel contesto del territorio e della comunità che li ha espressi, si cerca di attuare la partecipazione dei cittadini alla gestione ed alla fruizione di vecchie e nuove strutture (la Mandria è caso esemplare), creando e rispondendo a bisogni nuovi, di più ampio significato, tentando cioè il recupero di larghe fasce della popolazione dallo stato di emarginazione culturale che impedisce loro l'uso di beni, capaci di introdurre valori nuovi nella vita quotidiana, o di godere di esperienze ed occasioni che si traducano in capacità critica e partecipazione non formale alla vita democratica.
Non mi sarei soffermata su questi punti se non sapessi che i documenti che stiamo discutendo oggi partono da queste analisi, hanno questo retroterra culturale di tensione riformatrice, condividono queste linee prospettiche.
Ed è bene evidenziarlo, se vogliamo capire da quali premesse si deducono posizioni e scelte. Ma non è solo l'elemento della continuità a venire alla luce.
Credo che nessuna forza politica possa permettersi di impostare una qualsiasi azione senza verificare continuamente le situazioni di base che la giustificano e, a maggior ragione, una forza che usa come strumento di indagine una concezione storicistica, visione individualizzante, capace di cogliere il permanere, come le variazioni particolari. L'esperienza di uri anno di gestione della legge 58 ha certamente permesso di riflettere sulle difficoltà incontrate, valutare i rischi futuri, prospettare modifiche o correzioni, e l'apporto dato da un nucleo di funzionari, cresciuti e maturati con la gestione della legge stessa non è, in questo caso, da trascurare.
I problemi, ora, sono tutti correttamente individuati: decentramento reale, qualificazione della spesa, interventi coordinati, integrazione delle diverse competenze, investimenti prioritari sulle strutture.
Direi che l'accento è posto meno sulla spontanea episodicità delle iniziative e più sull'uso rigoroso delle risorse e sulla programmazione degli interventi.
Non indugio oltre, sono linee che difficilmente si potrebbero contestare. Ma vi è un altro elemento che è introdotto e che è bene porre in luce: la prospettiva di inserire il Piemonte, attraverso i rapporti con le culture extraeuropee e soprattutto attraverso la cultura anglosassone nei circuiti scientifici internazionali.
C'è, certamente, la consonanza con l'impostazione del nuovo programma della Giunta per il quinquennio 1980 - 1985 dove si delinea il rapporto con l'Europa e i Paesi del Terzo Mondo. Ma quello che più colpisce, e che è il motivo dominante di tutto il documento della Giunta, è il peso particolare che assume il valore del "sapere" la necessità, a volte sottolineata esplicitamente e sempre sottintesa, di custodire, ampliare, valorizzare il patrimonio conoscitivo, scientifico, storico, sociale in funzione di un accrescimento personale e di un uso comunitario, nel coinvolgimento di tutte le strutture esistenti (Università, Politecnico, Accademia delle Scienze, Sopraintendenze, Centro di Calcolo) e di quelle da impostare o da portare a termine (Museo regionale di Scienze naturali). Ed è elemento altamente positivo.
Sono in linea di massima d'accordo, d'altra parte, con l'affermazione "oggi è possibile affrontare non più il tema della disgregazione, ma il tema della qualità dello sviluppo". Non si può misconoscere che il processo degenerativo, determinato da uno sviluppo incontrollato e da un'economia dello spreco e della incoltura, è in larga misura fermato, si è invertita una tendenza, si incomincia a percepire una Regione e una Torino che si vivono e si interpretano in modo diverso. Si colgono tendenze all'affiorare di attività e settori nuovi, si comincia a parlare del cosiddetto terziario superiore: reticolo diffuso di organismi fondati sulla ricerca, sullo studio, sulla comunicazione, sull'anticipazione dei processi economici e sociali.
L'ipotesi che il documento avanza, di fare di Torino e del Piemonte uno dei poli del circuito internazionale della cultura scientifica può aiutare anche questi processi latenti.
Porre progetti di ampio respiro è giusto: attività ed iniziative minori possono trovare un significato, una sollecitazione e sbocchi diversi più produttivi.
Bisognerà avere grande prudenza e coraggio insieme: le vischiosità esistono, i rischi sono sempre presenti, il panorama regionale non è ugualmente omogeneo: punte di dinamismo e zone di stagnazione. Si possono produrre motivi ulteriori di squilibrio.
Non dimentichiamo, allora, il lungo e paziente lavoro che ancora si deve compiere per rendere questo patrimonio di conoscenza, di valori, di esperienze, di progetti, veramente sentiti, voluti, partecipati da tutta la comunità piemontese.



PRESIDENTE

La parola alla signora Bergoglio Cordaro.



BERGOGLIO Emilia

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, lo svolgersi del dibattito questa mattina sul tema della politica culturale dei prossimi cinque anni non poteva non vedere da parte della Democrazia Cristiana e del suo Gruppo consiliare un'analisi - come ha già fatto il collega Cerchio - della politica culturale dei cinque anni trascorsi ed il ricordare che la D.C. ha più volte richiesto, in quest'aula, un dibattito specifico e complessivo su questi temi così importanti e così delicati. E' certamente un merito che come forza politica ci attribuiamo e siamo lieti che l'attuale maggioranza abbia ritenuto doveroso ed importante, all'inizio di questa terza legislatura regionale, fate un attimo di riflessione anche su questi temi.
L'attività che in questa materia si svolge è certamente un'attività forse più per "addetti ai lavori" che non adatta a suscitare grande interesse e grande attenzione da parte del Consiglio. La sua stessa femminilizzazione (non a caso intervengono quasi tutte le colleghe in questo dibattito) potrebbe farlo interpretare da qualcuno come tema di minore rilievo, ma proprio perché ci stiamo interrogando sullo sviluppo sulla sua qualità, sulla qualità della vita, su una visione culturale che veda la persona al centro del nostro interesse e della nostra attenzione almeno questa è la visione che la mia parte politica da sempre sostiene allora credo che da tutte queste preliminari considerazioni emergano le ragioni dell'importanza di questo dibattito.
Vorrei iniziare da qualche considerazione di carattere generale che i contenuti della relazione dell'Assessore Ferrero ed altri spunti che sono emersi questa mattina mi hanno suggerito.
C'è un'impostazione della Regione che da soggetto politico diventa soggetto culturale. Questo mi dà motivo per una prima riflessione critica.
C'è questa individuazione nella struttura del Comprensorio, 'come una specie di momento circolare di programmazione degli interventi, per cui la Regione si impegna su alcuni grandi temi (ne individuiamo subito due o tre che sono emersi dalla relazione): la cosiddetta cultura scientifica - non vorrei definirla post-industriale o industriale, ma certamente rientra in questo filone di cultura scientifica -, anche se poi l'Assessore Ferrero rileva che in realtà ha anche un altro aspetto. Vi è, poi,il problema del Terzo Mondo, di questa visione che emerge anche da altri aspetti della.
Regione, polo centrale rispetto alle grandi realtà nord-europee. Nella relazione è inoltre contenuto il concetto di individuare questi filoni di intervento e l'indicazione che gli organi di programmazione (in questo caso individuati nei Comprensori) debbono orientare le loro richieste culturali ai sensi della legge 58, in questi filoni prioritari che la Regione avrebbe individuato. Pare cogliere, ma forse è più apparenza che non realtà, un concetto di efficienza che sotto il profilo strettamente tecnologico potrebbe essere considerato un aspetto positivo, ma in realtà, dietro questo concetto di efficienza noi leggiamo un privilegio di un asse culturale di tipo scientifico di cui già prima accennavo.
Sotto il profilo tecnologico si potrebbe anche dire che l'individuazione di una maggiore efficienza e di una maggiore razionalità potrebbe essere considerata una specie di "scatola vuota", una specie di supporti a cui poi dare dei contenuti, e sotto questo profilo potremmo anche concordare, perché avere delle biblioteche che funzionano meglio o un utilizzo più razionale del Centro di Calcolo, o strutture tecniche migliori (dai ciclostili alle tipografie) potrebbe essere un aspetto di per sé non negativo. Ma, in realtà, abbiamo colto un'intenzione che mira, attraverso il mito dell'efficienza, a scardinare una cultura di tipo personalistico per un sostegno neopositivista od orizzontalista che esclude una dimensione spirituale come la intendiamo noi, ovviamente, cioè non di tipo pragmatista, che è valida nella misura in cui raggiunge un obiettivo di socialità e rispettosa dei valori del trascendente. Del resto, che queste siano delle posizioni che emergono abbastanza frequentemente, la stessa impostazione che il Partito Comunista dà della riforma della scuola secondaria, certamente privilegia un asse culturale scientifico rispetto ad una visione più storica del recupero della storia come processo comprensivo. Per questo, credo, non si fa il discorso delle tradizioni popolari, né alcun riferimento ad una cultura di tipo religioso, intendendo per religioso non soltanto una cultura di tipo cattolico, ma un concetto religioso più ampio che è insito nelle tradizioni e nelle culture popolari non per recuperare il tutto e comunque (perché vi sono dei miti ed altre forme certamente non positive da non riprendere) ma non dimentichiamo tutto quello che è il substrato e la base popolare della gente del Piemonte, per stare al tema della cultura in Piemonte. Questa non può essere considerata una banale dimenticanza in una relazione che necessariamente non poteva parlare del tutto, perché in realtà credo vi sia una precisa logica di impostazione che cerca di privilegiare un asse invece di un altro. C'è una logica in questo disegno che evidentemente presenta un modo di intendere la cultura di una parte politica: cioè, questo collegamento tra politica uguale modo di vivere, politica dentro tutte le aree della vita credo che emerga da questa impostazione e, ovviamente, politica vuol dire ideologia di sostegno al tipo di politica che si intende perseguire.
Se è vero che nessuno intende più un umanesimo di tipo rinascimentale quello delle "belle lettere" (per riprendere la battuta inserita nella relazione) il nostro radicamento è in un altro genere di umanesimo, quello della filosofia personalista, il noto citato personalismo di Monnier o di Malitain che esalta tutte le dimensioni della persona, non soltanto la dimensione razionale e scientifica, ma il sentimento, la dimensione del suo passato, del trascendente, delle convinzioni personali. Mi viene istintivo un riferimento a quel tentativo filosofico - culturale degli anni '20 quando l'idealismo ha operato un'imposizione della propria cultura come cultura dominante: noi non vorremmo un tentativo di espulsione dall'Italia, dal Piemonte, di altri generi di cultura, come purtroppo è già avvenuto. Non vogliamo ripetere questi errori privilegiando una cultura rispetto alle altre. Ma questo concetto è tipico della visione del mondo cattolico, per cui la persona è al centro dell'interesse, per cui la cultura è al servizio della persona, come pure la tecnica, la scienza tutto l'insieme delle realtà, intendendo la persona non solo come fatto individuale (personalismo) ma sia come singolo che come associato. Di qui la nostra proposta della valorizzazione dei gruppi associati e non solo degli Enti locali, per cui l'Ente locale che è stato privilegiato nei finanziamenti durante la passata gestione, lo deve essere come momento di raccordo nella misura in cui dimostra di essere un trait d'union tra i gruppi associati, tra le parti, tra le varie iniziative che vogliono far cultura e non come ente gestore di cultura, altrimenti ritorniamo allo stesso schema che la Regione ha proposto e che noi stiamo sottoponendo ad una posizione alternativa.
Vorrei porre in termini alternativi un'altra ,considerazione, per cui la cultura non può essere solo un fatto nelle istituzioni che la gestiscono, ma un fatto di dinamica tra i gruppi e non necessariamente in riferimento a piani di un Comprensorio o di una Regione visti come soggetto politico e culturale insieme: perché la Regione come soggetto politico ha certamente il compito di favorire la diffusione della cultura, di stimolare quelle iniziative valide sotto l'aspetto scientifico.
Credo che, a questo punto, sia esemplificativo il discorso della funzione della Consulta, che non può decidere e non è un elemento esterno rispetto alla politica culturale della Regione: noi riteniamo che non debba essere l'Assessore a fare la politica culturale della Regione, ma debba essere invece la Consulta un momento di proposta di metodologie per la diffusione della cultura.
Certamente io qui posso anticipare un'obiezione che credo l'Assessore Ferrero abbia in mente, cioè che questa impostazione rischierebbe di essere interpretata come spontaneismo senza un disegno logico, a scapito quindi di una certa razionalità degli interventi, In realtà, la nostra proposta è diversa: noi insieme al modello di Consulta regionale che affianca l'Assessore e individua le strategie di metodo, vediamo un ruolo analogo svolto, per esempio, dall'ente intermedio quale il Comprensorio, al quale dovranno fare riferimento iniziative analoghe (tutte quelle iniziative di gruppi, associazioni, pro-loco), anche nel quadro di un recupero di quella cultura popolare cui prima accennavo. Il Comprensorio a questo punto diventa un organo di programmazione tecnico, che predispone un programma ed una programmazione corretta, perché è il risultato della sintesi di proposte, di richieste, di confronti con tutti i gruppi e le iniziative presenti a livello periferico.
Terzo punto che mi sembra dover individuare rispetto al ruolo che la Regione dovrebbe in qualche modo svolgere, è quello di stimolare non soltanto attraverso le convenzioni con l'Università, per esempio (aspetto sul quale ritornerò), ma tramite la ricerca su temi finalizzati di competenza di enti e gruppi diversi, non soltanto per utilizzarli in determinati momenti che vengono recuperati rispetto ad un progetto di tipo regionale. Mi riferisco, per esempio, all'Accademia Albertina all'Accademia delle Scienze, all'Università, ai singoli Istituti.
E' importante, a mio avviso, ricordare che il soggetto politico quale è la Regione non esaurisce il fenomeno culturale che, in realtà, è molto più ampio, articolato e complesso di quello semplicemente politico. Certamente il soggetto politico nell'asse culturale fondamentale è uno degli aspetti non secondari, ma non può esaurire tutto l'aspetto. Allora, appunto insisto sul concetto della cultura che vede la persona nelle sue varie espressioni e non ne privilegia soltanto una parte. C'è un grosso discorso che si innesta su questa considerazione, il discorso delle tendenze. Quando nella relazione leggo che si è passati dal momento della disgregazione al momento della qualità dello sviluppo, dovrei dire che questa affermazione se la intendo bene, è, quanto meno, ottimistica, Assessore Ferrero, perch siamo in realtà ancora ben lontani dal superamento di questa disgregazione e non tanto se vogliamo esaminare il concetto della disgregazione provocata da fenomeni di tipo immigratorio, perché forse sotto questo profilo certamente dei passi avanti nella strada dell'integrazione ci sono stati certamente, però, questo mito della disgregazione è ancora presente laddove si assiste ad una disgregazione della famiglia, ad una "difficoltà" giovanile, ad uno svilupparsi del fenomeno radicale che, andando ad un fenomeno generale, non possiamo certamente dire che non abbia carattere disgregativo, in quanto non si crede più in certi valori, c'è una diffusa mancanza di coscienza del bene comune: tutte situazioni che portano facilmente a dei miti di razionalizzazione.
Dovremmo approfondire questi problemi in altre occasioni, perché non si può esaurire in un intervento di qualche decina di minuti un tema di così rilevante dimensione, ma quando stiamo assistendo al mito della cultura della violenza, della droga, a certi fenomeni collegati con il tentativo di inserire, attraverso l'uso delle droghe leggere, una sostanziale diversa impostazione culturale, su questo bisognerà andare ad individuare dei progetti finalizzati a rovesciare questo discorso di violenza intesa nelle sue varie accezioni, a mettere in atto dei correttivi che possano collegarsi ad una visione diversa della società sotto tutti i suoi aspetti quindi anche sotto quello culturale. Su questo tema mi pare si sia già soffermata la collega Marchiaro, in occasione del dibattito sull'approvazione della legge sui beni culturali e sulle biblioteche individuando sostanzialmente questi aspetti negativi di una disgregazione in atto: ci sono nel suo intervento delle valutazioni sulle cause che hanno provocato questi fenomeni che noi non condividiamo totalmente, però c'è un'analisi della difficoltà in atto, particolarmente sentita nella nostra Regione, che certamente richiede una particolare attenzione ed una particolare serie di iniziative per passare a quel salto di qualità dello sviluppo a cui l'Assessore Ferrero fa riferimento, ma che certamente richiede ancora dei passi intermedi.
Venendo ad altre considerazioni, ho già rilevato come questa visione della Regione che, indirizza e coordina ci preoccupa, e noi preferiremmo che la Regione stimolasse ed individuasse dei momenti di maggior pluralismo nelle attività culturali, anche perché questo pluralismo è insito in tutta l'impostazione del discorso. Laddove si parla di un sistema di convenienze io vorrei parlare di spazi e non tanto di occasioni guidate; laddove si parla di una nuova gerarchia di valori vorrei sottolineare l'esigenza che più che di nuova gerarchia di valori ci fosse un recupero di valori tradizionalmente validi. Anche quel concetto di "esigenza di governo dei processi culturali, altrimenti non ci sarebbe il pluralismo" mi sembra una frase difficile da leggere; bisognerebbe probabilmente specificare meglio perché non possiamo consentire ad un "non governo" nel senso di non controllo sociale e corretto di quei gruppi eversivi o di tipo confusionario, ma il discorso è diverso e di fondo, cioè deve consentire realmente degli spiai ai gruppi ed alle culture alternative.
C'è il problema, per esempio, laddove si parla del tessuto delle biblioteche, che mi sembra un po' ottimistico, perché in realtà non sappiamo che questa impostazione di una rete di biblioteche (approvata nella legge del '78) è in effetti un po' lontana dal diventare realmente operativa e questo mi fa cogliere l'occasione per chiedere all'Assessore di fare un po' il punto sullo stato di applicazione di certe leggi che si sono in questo Consiglio approvate e che fanno fatica a proseguire. Penso, per esempio, oltre a questa sulle biblioteche, a quella relativa all'istruzione professionale che, ad oltre un anno dalla sua approvazione, non è stata attivata o, per lo meno, lo è stata su temi marginali e non certamente sul nodo centrale della legge stessa. Anche se noi non eravamo favorevoli a questa legge, riteniamo che alcuni aspetti sui quali avevamo dato delle valutazioni favorevoli, debbano essere comunque messi in atto.
C'è il problema della legge approvata a suo tempo sulla promozione dei dialetti: è anche questo un modo di intendere la cultura, attraverso il rinvigorimento di certe tradizioni e di certe forme linguistiche ed etniche collegate a queste forme di espressione quali possono essere l'uso dei dialetti, i canti popolari, le manifestazioni di cultura "minore" (non in termini spregiativi).
La stessa Commissione consiliare permanente per l'istruzione ricordiamo che sono oltre 15 giorni che non si raduna, quindi non si è ancora impostato da parte del Consiglio un modo organico di lavorare su questi temi e non credo che si possa dire che la Commissione si raduna raramente perché ha poco lavoro, perché se volesse credo che di cose da fare ne avrebbe moltissime.
Il collega Cerchio ha già sottolineato la difficoltà di funzionamento della Consulta dei beni culturali: anche qui ci sono dei ritardi obiettivi perché la Consulta che con molta fatica si è messa in piedi nella scorsa tornata a due mesi dalla fine , della legislatura, ad oltre sei, sette mesi dalla legislatura in corso non è stata minimamente attivata. Io mi rendo conto che possono esserci problemi di designazioni, ecc., ma non c'è nulla che vieti un'eventuale convocazione provvisoria della precedente o, in ogni caso, si facciano carico i vari gruppi politici di una sollecita designazione, anche perché niente vieta che in attesa di definizione delle procedure per la costituzione definitiva, si possano designare dei membri con caratteristiche di provvisorietà; questo darebbe l'impronta di serietà e di volontà reale di far sì che questa Consulta sia veramente un momento centrale rispetto all'individuazione delle metodologie che la Regione si vuole dare, se realmente questo è lo spirito con cui abbiamo aderito tutti quanti alla costituzione di questo strumento.
C'è un'altra sottolineatura che ritengo di dover fare, soprattutto in relazione al recente avvenimento che ha visto la stampa parte attiva sul problema del recupero di determinati beni, quale ad esempio il Palazzo Carignano. Sul problema del recupero e del restauro credo che la considerazione fatta dall'Assessore sia nella sostanza condivisibile, ma con qualche richiesta di chiarimento, perché non si può pensare a mantenere tutto l'esistente in stato di efficienza, anche volendolo fare; è quindi indispensabile individuare dei beni da salvare ed altri da abbandonare. Vi sono iniziative ancora in corso, iniziate nonostante mancassero i fondi (per esempio il restauro del Forte di Exilles): in presenza di limitati mezzi disponibili si pone il problema di non aprire dei Cantieri fingendo di restaurare, mentre in realtà l'unico intervento possibile è quello di mantenere un minimo di Stabilità a questa struttura e, eventualmente andare a verificare il modo di utilizzare la struttura stessa. Quindi queste iniziative iniziate dovrebbero essere finanziate o abbandonate.
C'è il problema del restauro di opere d'arte di minore dimensione. Mi segnalavano, per esempio, che nel corso della Mostra del Regno Sardo - già citata per altri motivi da altri colleghi - si è verificato un fatto strano: la statua del Canova di Saffo è stata restaurata con un criterio di sostanziale negazione di quella che era stata l'impostazione dell'autore in materia; per esempio, una certa patinatura della statua voluta dall'autore che cercava di riprodurre i colori naturali è stata tranquillamente ripulita ed il marmo bianco ha preso il posto di quell'accorgimento tecnico dell'artista. Quindi, esiste il problema di individuare nel restauro non un'interpretazione dell'opera, ma una conservazione della stessa nella sua integrità.
Un altro punto è quello già accennato dalla collega Ariotti, cioè verso quale tipo di cultura si dovrà andare: certamente non può essere più la cultura di una società opulenta e ricca di beni, di risorse ed anche di sprechi, ma è una cultura del sufficiente, cioè un tentativo di andare a far sì che la cultura viva perché tutti la vivano ed anche le parti sociali più disagiate possano esserne so etti attivi.
Qui credo si possa annotare un altro discorso, quello del cosiddetto decentramento dei poli culturali individuati nel decentramento dell'Università rispetto all'asse Piemonte nord - Piemonte sud. Credo che su questo si dovrà ancora riflettere, perché la Regione non è certamente riferimento di competenza effettivo ma, semmai, dovrà dare dei pareri e delle indicazioni. Ci sono delle iniziative, a mio avviso, che la Regione potrebbe stimolare per dotare di strumenti di decentramento non soltanto due poli di individuabili sedi universitarie ma, per esempio, ,piccole città alle quali collegare come strumenti tecnici di base quelle possibilità regionali che abbiamo (penso al Centro di Calcolo, a quel discorso delle biblioteche che non dovrebbe, a mio avviso, essere visto in modo disgiunto rispetto ad altri strumenti che servono a far struttura) anche perché il decentramento di punti di informazione e di incontro possono fornire degli strumenti di base all'Università: pensiamo a che cosa potrebbe essere l'Università se, anziché il 10 - 20 % di studenti che frequentano le sue attrezzature, dovesse ricevere tutti gli studenti iscritti; allora, delle iniziative che decentrassero anche a livello di struttura universitaria una serie di strumenti potrebbero essere già un primo passo. Il recupero a cui si accennava di questo patrimonio artistico ambientale, etico e linguistico e la sua valorizzazione potrebbe essere attuato anche attraverso l'uso decentrato di questi strumenti tecnico scientifici, quali circuiti televisivi, terminali, fotoriproduttori, ecc che potrebbero costituire un'alternativa utile ad un uso indiscriminato acritico e passivamente subito dei mezzi di informazione e di comunicazione di massa, anche per superare un tentativo di appiattire non solo la cultura, ma ogni forma di comunicazione. Vorrei fare un esempio: pensiamo a che cosa sono i nostri bambini oggi di fronte alla televisione, e dico bambini perché è più evidente l'effetto, ma anche adulti, persone che abitualmente fanno della televisione, subita passivamente, acriticamente senza alcuna partecipazione individuale, il loro mezzo di informazione e di comunicazione abituale, Io mi sono domandata più volte che capacità avranno queste persone rispetto a questi messaggi ripetuti e ripetitivi che appiattiscono la creatività e quale sarà il modo di conciliare questo tipo di supporto culturale così diffuso con quello che è lo sviluppo integrato della persona. Credo che su questo sarebbe interessante un intervento che cercasse di rendere questi strumenti abituali utilizzabili per un ruolo più attivo da parte delle persone.
Tra le grandi scelte di investimento c'è il discorso dei Musei che mi pare di dover ancora sottolineare: il Museo della Scienza e della Tecnica il Museo di Scienze naturali ed il Museo delle Culture extraeuropee. Mentre sul Museo di Scienze naturali siamo in presenza di una ristrutturazione di una realtà già esistente, che ci vede quindi d'accordo; su altri abbiamo qualche perplessità: per quanto si riferisce al Museo della Scienza e della Tecnica, è vero che ogni città tende ad avere il massimo possibile, ma sappiamo che a Milano, per esempio, ce n'è uno di grosso rilievo nazionale.
Sarebbe allora, interessante non tanto creare dei doppioni od un museo più bello di un altro, ma dei collegamenti per l'utilizzo di strutture di altre Regioni e, invece, valorizzare e potenziare delle realtà anche prestigiose sia più minori, esistenti nella nostra Regione. Il non aver ricordato l'esistenza di un Museo come quello Egizio, che si dice sia uno dei più importanti del mondo, e l'aver individuato una povertà culturale del Piemonte mi sembra fare un torto a queste iniziative che sono di per s prestigiose. Forse dovremo specializzare un po' di più gli interventi onde evitare dispersione di mezzi invece, utilizzare quanto disponibile per lare una cultura di tipo vivo.
Pur sénza aver esaurito tutti i temi che si potrebbero ancora sottoporre a riflessione, ho ancora un collega che per parte del Gruppo della D.C. dovrà parlare e certamente riprenderà una serie di altri argomenti e considerazioni che mi sono sfuggite. Forse in questo ruolo integrato si può vedere il discorso più completo e più complessivo rispetto ad una relazione che, indicando ,delle linee di fondo della politica regionale dei prossimi cinque anni, ci vede critici ed in parte non consenzienti, però non ci ha visti disattenti rispetto al confronto su questi temi ma, anzi, in un ruolo di proposta e di integrazione che in questa occasione, almeno, rendono utile un dialogo ed un confronto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Al fine di evitare la dispersione di un dibattito che in alcuni casi non riesce ad uscire dalla strettoia tra provincialismo ed eclettismo e che non ha evitato i rischi di cui tutti eravamo già avvertiti in Commissione almeno chi sosteneva la necessità di un minimo dl quadro di riferimento entro il quale articolare gli interventi, cercherò di limitarmi ad alcuni degli aspetti che un dibattito sulla politica culturale certamente potrebbe suscitare, come in effetti ha suscitato.
A mio avviso, tre elementi risultano determinanti in questo dibattito che non va certamente inteso come abusiva intromissione dell'ente pubblico nella determinazione degli indirizzi e delle prospettive culturali autonomamente elaborati dalle varietà delle associazioni e delle istituzioni, ma che va invece collocato come capacità di orientamento e come "levatrice" delle risorse, delle dotazioni, delle energie Culturali presenti in modo cospicuo nella nostra Regione. Certamente noi siamo per l'ampia autonomia, per la crescita e lo sviluppo delle varie associazioni culturali della nostra Regione.
Il primo elemento è quello del riconoscimento dello sforzo culturale che sta facendo la nostra comunità, attraversata da scossoni di ordine economico e sociale, e dell'attendimento che c'è per questo aspetto, con il rifiorire di iniziative, con la ripresa di pubblicazioni un tempo prestigiose. Già accadde altre volte che in presenza di grandi tensioni e di rapidi mutamenti ci si sia ritrovati più facilmente di fronte a riflessioni, a proposte, ad indicazioni di grande respiro culturale, quasi che la società si sia ripiegata su se stessa per trarre nuova forza riflettendo sui suoi comportamenti e sui suoi atteggiamenti culturali.
Accadde così, infatti, con il miracolo illuministico scozzese, a metà del '700, dando origine ad un dibattito splendido che fece fare a questa regione un grande salto qualitativo tra i più significativi nella storia della cultura di tutti i tempi; accadde, più o meno nella stessa epoca, in Piemonte, grazie anche alla politica illuminata e riformista di Vittorio Amedeo II, anche se poi il grande Radicati di Passerano, che era aperto alle influenze europee (Montesquieux, Rousseau e Voltaire), dovette morire esule. Oggi in Piemonte vi è questa attesa sul piano culturale, che risponde certo anche ai m t; t amen ti sociali intervenuti dall'immigrazione (con le sue culture e con le sue tradizioni), alla crisi di un certo tipo di cultura industriale, alla spogliazione della cultura e della civiltà contadina, che va invece pienamente recuperata e riportata alla sua piena dignità.
La Regione non può quindi non rispondere a questa esigenza, non può non svolgere fino in fondo il suo ruolo promozionale. Sotto questo profilo vanno certamente sottolineate in modo positivo le indicazioni contenute nei documenti programmatici che, intanto, segnano la volontà della Regione di non sottovalutare il settore culturale (che non è residuale ma qualificante di un'azione che voglia dare respiro ad una comunità e voce alle istanze culturali) e che vogliono costituire uno strumento di lavoro che deve essere aperto ad un dialogo ed ai contributi delle forze sociali e politiche; questi documenti, infine, cercano di porre un primo quadro di riferimento che va visto certamente in modo elastico, lungo il quale si deve muovere l'Assessorato regionale e la Regione intera. Al proposito sarà certamente necessario uno stretto rapporto tra Assessorato e Commissione competente, quadro di riferimento che deve segnare correttamente l'esigenza di un raccordo con tutti gli enti preposti al settore culturale, dalle sovraintendenze, agli archivi, alle biblioteche, alle Università. A nostro avviso, proprio con l'Università occorrerà cercare un rapporto quanto mai stretto, esaltandone le energie culturali, assai cospicue nell'Ateneo torinese nella varietà delle discipline.
Il secondo elemento che va segnalato in questo dibattito è la ridefinizione del quadro legislativo complessivo. Intanto segnalando l'esigenza di una normativa nazionale più adeguata alla società di oggi specie nel settore dei beni culturali. Al riguardo riteniamo necessario ed urgente un incontro a livello di Commissione con i responsabili del settore della legge 285 applicata ai beni culturali, al fine di verificarne il lavoro e di non chiudere un'iniziativa ormai consolidata; iniziativa che certamente in alcuni casi può aver fatto discutere, ma che - nei limiti di questo dibattito - ci deve consentire almeno di riconoscere lo sforzo anche metodologico svolto dalle strutture regionali e l'impegno - in genere posto dai giovani stessi - in un'iniziativa difficile, dal quadro di riferimento non sempre definito, ma che ormai rappresenta un patrimonio acquisito di conoscenze e che deve costituire il quadro lungo il quale indirizzare le attività regionali, per dare anche un senso alla ricerca svolta dai giovani che hanno per Io meno consentito una memoria documentale di patrimonio che se non si interviene rapidamente, rischia di essere perduto per sempre. Qui non sono del tutto d'accordo con la collega Vetrino Nicola che dice che non ne sono stati fatti molti: per non fare affermazioni generiche Mi limiter al conosciuto, alla mia piccola realtà. Mi pare di dover testimoniare su interventi fatti a Casale, per il recupero della Cultura pittorica tortonese, con la scuola dei Bosilio, per la conservazione dei cartulari o comunque, di documenti storici di notevole pregio, per il restauro di pievi rurali, ad esempio in Valle Erro, per lo slancio dato ai Musei Archeologici. Ma, dicevo, quadro legislativo da completare. Impegno quindi, deve esserci per definire le deleghe date dal D.P.R. 616 in materia di "promozione educativa e culturale" (pensiamo ad esempio al settore dell'educazione per adulti), ma ancor più tentare una razionalizzazione ed una omogeneizzazione della legislazione regionale. Il Gruppo P.S.D.I. al riguardo ritiene che occorra tentare un riordino con una legislazione meno frastagliata per la varietà delle iniziative nei singoli settori, magari a maglia larga, lasciando poi ad una Commissione specifica ed alla stessa Commissione regionale la definizione dei criteri lungo i quali deve muoversi la Regione nel sub complesso. Certo, vi sono difficoltà, perché le iniziative possono toccare altri settori, quali lo spettacolo ed il turismo, ma occorre evitare che ci sia sempre qualcuno che fa la domanda a due o tre Assessorati, sperando che da una parte o dall'altra il contributo arrivi. E' uno sforzo che certo non va considerato in modo velleitario, ma che occorre fare per non distrarre le già scarse risorse destinate al settore culturale.
Infine, il terzo elemento, è quello delle indicazioni programmatiche che ci trovano largamente consenzienti, specie perché è ormai chiaro che la Regione non può più reggere l'impatto complessivo delle attese e, usando il linguaggio cibernetico, si potrebbe dire che "patisce uno stress di sovraccarico" che potrebbe ingenerare l'indigestione. Il feed-back è stato tremendo e la legge 58 non ha, per larga parte, risposto a queste attese.
Sotto questo profilo occorre anche dire che forse con la legge 58 vi è stato un soverchio ruolo degli Enti locali, i quali hanno forse emarginato in alcuni casi le associazioni e gli enti culturali esistenti, ma che, in fondo, non sono riusciti a dare una continuità ad iniziative che sono pertanto da considerare come episodiche o, comunque, scarsamente ancorate ad un solido tessuto culturale, cosa che, purtroppo, abbiamo verificato a livello locale. E' corretto l'impegno più equilibrato che traspare dal documento della Giunta, volto a sostenere in modo effettivo il pluralistico dispiegarsi delle espressioni culturali, così come è corretto l'impegno di un rapporto stretto e continuo con gli altri enti culturali. Ci pare che lo sforzo fatto per il Museo Regionale delle Scienze naturali vada proseguito per recuperare alla conoscenza della comunità un immenso patrimonio scientifico oggi costretto anche da una insipiente politica universitaria a condizioni a dir , poco vergognose, come abbiamo potuto constatare personalmente nell'incontro che la Commissione ha avuto e con il sopralluogo effettuato. Da questo punto di vista occorre anche cercare di svecchiare l'immagine del "museo" come cosa per iniziati, che sa di vecchio, per diventare invece strumento di conoscenza e di informazione che si apre alla società ed ai giovani in particolare. Come vanno considerate positivamente le iniziative per le attività decentrate del Regio e del Teatro Stabile; vorrei sottolineare al riguardo la meritoria attività del teatro alessandrino che, fra l'altro, annovera nel suo Consiglio esponenti di tutte le forze politiche, che hanno dato un grande apporto di idee e di iniziative.
Avviandomi alla conclusione, mi pare che il tentativo di riaprire un solco tra cultura umanistica e scientifica non risponda alle attuali condizioni del dibattito culturale e, in fondo, non sia ripreso nel documento, anche se nella sua prima stesura, nello sforzarsi di non apparire scientifica, ha finito per stuzzicare la curiosità di una riproposta eventuale divisione. E' dal '700 che, fortunatamente, questo solco si è andato chiudendo, da quando un pensatore sociale, per trovare dei confronti con Montesquieu e con Adamo Smith, li definiva il Bacone ed il Newton della filosofia sociale, La cultura è una, quindi varia società per società ed epoca per epoca e molteplici le possibili estrinsecazioni tutte degne e tutte da sostenere, contribuendo ad arricchire il patrimonio culturale di ciascuno di noi. Né mi pare così marxisticamente pervaso il documento della Giunta (anche per non far sobbalzare troppo le stanche ossa del buon Marx), che ritengo invece aperto al riconoscimento delle varietà di contributi, purché culturalmente significativi. Né credo che possa passare come perversa mentalità marxista il dire che occorre fare un pensiero sul rapporto fra risorse disponibili ed iniziative attivabili.
Certo, è un elemento delicato, che non può essere eluso se si vuole cori serietà operare all'interno di un ente pubblico. Del resto, credo che il documento individui correttamente uno schema a maglie che prefigura livelli di intervento e settori di interventi come, fili che si incrociano ma che non hanno la logica delle spirali, né ascendente, né discendente. Vi sono iniziative che per importanza e rilievo vanno assunte a livello regionale questo è giusto, altre che vanno assunte a livello comprensoriale o locale.
Semmai sarà necessario agire oculatamente per un equilibrato rapporto tra centro e zone periferiche. In questo disegno di riequilibrio va posta con impegno e sforzo anche la questione della seconda sede universitaria, che non deve essere trattata con spirito campanilistico - come forse è stato fatto in questo ultimo periodo - ma va definita secondo le indicazioni dei piani comprensoriali per sedi e per materie. Questa legislatura, a nostro avviso, deve risolvere questo nodo, anche per far crescere la cultura e per consentire ai giovani di ricevere e di fare a loro volta cultura.
Prima di concludere, un riferimento breve all'attività della Commissione, che non si è riunita nelle ultime settimane, proprio in attesa di un dibattito che già da dicembre avevamo posto all'attenzione del Consiglio regionale e, per una serie di vicende certamente estranee alla volontà della Commissione e, credo, anche dell'Assessore, non si è potuto tenere. Vale anche la pena di ricordare, però, che già a dicembre in Commissione si cercò di introdurre il dibattito sui documenti predisposti dall'Assessorato e questo non fu possibile perché non si ritenne di doverlo fare. Allora, è chiaro che, in attesa di definire questo quadro programmatico, l'attività della Commissione si è rallentata, pur avendo comunque adempiuto a tutti i compiti che nel frattempo le sono stati demandati. Abbiamo atteso proprio questo quadro di riferimento per poter agire avendo uno schema elaborato dal Consiglio regionale lungo il quale muoverci.
Con queste valutazioni il nostro Gruppo è favorevole alle indicazioni contenute nel documenti programmatici.



PRESIDENTE

Rendo noto ai colleghi che il Consiglio è convocato per oggi pomeriggio per la prosecuzione dei lavori.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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