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Dettaglio seduta n.34 del 20/01/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Per quanto concerne il punto primo all'ordine del giorno: "Approvazione verbali precedenti sedute", i processi verbali dell'adunanza consiliare del 13 gennaio 1981 sono stati distribuiti ai Consiglieri prima dell'inizio della seduta odierna e, se non vi sono osservazioni, si intendono approvati.


Argomento: Patrimonio culturale regionale (linguistico, etnologico, folcloristico, storia locale)

Interrogazione dei Consiglieri Martinetti, Martini, Bergoglio Cordaro e Lombardi inerente all'applicazione della legge regionale n. 30 del 20/6/1979 "Tutela e valorizzazione del patrimonio linguistico e culturale del Piemonte"


PRESIDENTE

Il punto secondo all'ordine del giorno ci chiama alla discussione delle "Interrogazioni ed interpellanze".
Iniziamo con l'interrogazione dei Consiglieri Martinetti, Martini Bergoglio Cordaro e Lombardi inerente all'applicazione della legge regionale n. 30 del 29/6/1979 "Tutela e valorizzazione del patrimonio linguistico e culturale del Piemonte".
Risponde l'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore alla cultura

La risposta sarà molto breve; ulteriori dettagli potrò fornirli per iscritto.
Non parlo, qui, delle motivazioni che hanno indotto nella fase conclusiva della passata legislatura a procedere ad una prima attribuzione urgente di fondi a chi aveva svolto attività in assenza della consulta. Va detto, peraltro, che l'assegnazione sulla legge 30 è stata fatta in questa tornata amministrativa anche per il 1980 e sulla base di un confronto con la Commissione consiliare che è stato, da entrambe le parti, non completo ma, comunque, abbastanza interessante. Si tratta di procedere - su questo c'è l'impegno della Giunta - nel modo più rapido e tempestivo alla definizione della consulta, prevista nella legge 30.
Vorrei cogliere l'occasione per ricordare ai Consiglieri che è stato uno degli elementi di doverosa delicatezza della Giunta regionale, il non procedere alla designazione delle consulte (quella della legge 30, quella della legge 58) e di altri organismi analoghi previsti dalla legislazione in carenza di un dibattito o di un incontro, almeno in Commissione, su criteri ed orientamenti generali da parte del Consiglio regionale. Le consulte in oggetto (quella della legge 30 e quella della legge 58) svolgono un ruolo importante che, peraltro, dovrebbe essere chiarito e definito, senza il quale la stessa designazione da parte del Consiglio regionale rischia di essere una nomina sì di competenza, ma non l'espressione di un mandato di indirizzo e di volontà sugli obiettivi e le finalità.
Sono comunque in corso le consultazioni necessarie per essere in grado di proporre e prospettare alla Commissione, a tempi molto brevi suggerimenti ed iniziative. E' intenzione della Giunta, pur all'interno di un discorso sulla revisione delle leggi, già anticipato in Commissione dalla Giunta medesima, mantenere per il 1981, per il particolare significato e valore che attribuiamo a questa legge, la legge 30 operante con tutte le garanzie per la comunità regionale.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

Per la replica, la parola al Consigliere Martinetti.



MARTINETTI Bartolomeo

Ringrazio l'Assessore per la risposta. Evidentemente l'interrogazione aveva lo scopo di sollecitare la risoluzione di questo problema - che risale alla data di promulgazione della legge, cioè giugno 1979 - con la costituzione di questo organo consultivo che non solo permetteva una maggiore riflessione sull'attribuzione di alcuni contributi, ma avrebbe potuto già dare l'avvio a studi e proposte sull'argomento. Ancora nella passata legislatura si era richiesta la costituzione, da parte del Consiglio, della Commissione, tant'è vero che ho agli atti una lettera dell'aprile dell' 80 con cui i Consiglieri Calsolaro e Soldano proponevano all'allora Assessore Fiorini, una serie di nominativi di esperti in seguito agli accordi intervenuti nella Commissione competente. Comunque, prendo atto di quanto affermato dall'Assessore e mi auguro che presto possa darsi vita a questo organismo.


Argomento: Trasporti e comunicazioni: argomenti non sopra specificati

Interrogazione dei Consiglieri Carletto, Picco, Ratti e Sartoris inerente i trasporti pubblici sulle linee Condove-Torino e Rubiana-Torino


PRESIDENTE

Passiamo ora all'interrogazione presentata dai Consiglieri Carletto Picco, Ratti e Sartoris inerente ai trasporti pubblici sulle linee Condove Torino e Rubiana-Torino.
Risponde l'Assessore Cerutti.



CERUTTI Giuseppe, Assessore ai trasporti e viabilità

Autolinea Condove-Torino: con domanda, in data 29/11/1976, la ditta Girardi e Basilio, allora concessionaria dell'autolinea Condove-Torino rinunciava al rinnovo della concessione e data l'esigenza di man tenere il collegamento, veniva interpellata l'A.T.M. di Torino alla quale, con provvedimento n. 955/T dell'8/2/1977, veniva accordata la concessione con le stesse modalità e prescrizioni di esercizio in precedenza autorizzata alla ditta Girardi e Basilio, con la clausola che il personale addetto al servizio dell'autolinea veniva assunto dall' A.T.M. con garanzia del godimento di tutti i diritti acquisiti.
Dall'1/6/1978 su richiesta dell'utenza, l'A.T.M. veniva autorizzata ad intensificare il programma di esercizio e la percorrenza annua passava da km. 187.431 a km. 221.735.
Autolinea Rubiana-Torino con prolungamento Colle del Lys e deviazione Almese - Villardora - Almese: in data 12/6/1979 la ditta Girardi e Basilio comunicava di voler dismettere il servizio dal 30/6/1979, ed a seguito di questa domanda sono giunte varie petizioni inviate dagli utenti alla Prefettura di Torino ed a questo Assessorato.
Per poter trovare una soluzione al problema atta a soddisfare le esigenze dell'utenza ed a garantire la continuità del servizio l'Assessorato trasporti, con provvedimento n. 2720/T del 30/6/1979 invitava l'A.T.M. di Torino ad esaminare la questione e nel contempo la ditta Girardi e Basilio a continuare l'esercizio con le modalità previste dal disciplinare di concessione.
A seguito delle riunioni svoltesi presso l'Assessorato trasporti nei giorni 8/11/1979 e 3/12/1979 e tenuto conto delle richieste di pubblicizzazione del servizio, avanzate dalla Comunità montana Bassa Valle Susa e Val Cenischia, dai Comuni interessati e dalle organizzazioni sindacali, con provvedimento n. 378/T del 20/2/1980 l'A.T.M. di Torino veniva autorizzata a subentrare nella concessione in sostituzione della ditta Girardi e Basilio ed alle medesime condizioni di esercizio.
Il Comitato utenti ha fatto pervenire in seguito svariate richieste di modifica dei servizi all'A.T.M. di Torino e l'A.T.M. con lettera in data 28/5/1980 riconfermava come aveva già dichiarato nel corso delle riunioni con tutti gli interessati che il subentro dell'Azienda nella concessione doveva essere considerato come provvedimento teso ad assicurare la continuità della gestione, rinviando i problemi relativi al miglioramento dei servizi, alla costituzione e funzionamento del Consorzio Trasporti della Bassa Valle Susa.
In relazione ad altri esposti pervenuti dal Comitato utenti veniva indetta una riunione in data 9/10/1980 con l'intervento dell'A.T.M., della Comunità montana, dei Sindaci dei Comuni, del Comitato utenti e delle organizzazioni sindacali, a cui faceva seguito la riunione in data 15/10/1980 nella quale l'A.T.M. prospettava per le proposte di miglioramento dei servizi chieste dal Comitato utenti una maggiore spesa di gestione di circa L. 200.000.000, onere che dovrebbe essere ripianato dagli Enti interessati.
A conclusione della riunione veniva concordato un ridimensionamento delle richieste da parte del Comitato utenti, mentre l'A.T.M. avrebbe quantificato il nuovo costo di esercizio.
In data 9/12/1980 è stata tenuta un'ulteriore riunione presso l'Assessorato trasporti con l'intervento della Regione, della Provincia del Presidente della Comunità montana Bassa Valle Susa, dei Sindaci interessati, del Comprensorio di Torino, del Comitato utenti e delle organizzazioni sindacali, nella quale l'A.T.M., valutate le nuove richieste, ha quantificato in L. 166.000.000 i costi di esercizio chiedendo la copertura del deficit da parte degli Enti interessati.
Da parte dell'Assessorato trasporti è stata prospettata in via subordinata anche la possibilità in via transitoria, sotto il diretto controllo dell'A.T.M. concessionaria dei servizi, di servirsi di vettori privati in modo da contenere i costi di esercizio, tenuto conto del fatto che, anche con i contributi regionali si è ben lontani dal coprire il disavanzo di gestione prestato e che il CO.RE.CO., per questioni di legittimità, non ha approvato le delibere che i Comuni avevano presentato nelle quali erano previsti dei contributi a favore.
In quella seduta, che è stata conclusiva, si sono superati ostacoli di carattere economico (la legge per la costituzione del fondo nazionale impone alle aziende pubbliche e private a partire dall'anno prossimo, il ripiano dei deficit di bilancio). Dei 166 milioni di spesa, la Provincia di Torino se ne fa carico per 60 milioni, i Comuni per 40 milioni, la Comunità montana per 25-30 milioni. L'Assessore ai trasporti integra con un proprio fondo di circa 20-22 milioni. La rimanenza farà carico al Comune di Torino per quanto riguarda i trasporti urbani che il potenziamento delle linee comporta. Questi servizi inizieranno dal 1° febbraio e l'Assessorato si è mosso per superare gli ostacoli di tipo organizzativo che il potenziamento dei servizi poteva determinare.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carletto.



CARLETTO Mario

Ringrazio l'Assessore per la risposta all'interrogazione e prendo atto che l'annoso problema delle linee in questione è stato risolto.
Devo però registrare l'incapacità della Regione a dare risposte concrete, tempestive e puntuali, siano pure completamente o parzialmente negative. I cittadini non hanno la sensazione che l'Ente pubblico sia in grado di intervenire con tempestività di fronte ai problemi, anche se questi sono modesti rispetto alla vasta problematica dei trasporti del Piemonte, sono tuttavia importanti per centinaia di pendolari che dal 1979 viaggiano in queste condizioni. Di questo si deve far carico alla Giunta non certamente all'Assessore Cerutti, che da poco tempo ha assunto l'incarico dell'Assessorato.
Abbiamo assistito ad un palleggiamento di responsabilità tra il Comune di Torino, l'A.T.M., l'Assessorato, il quale ha sempre dato risposte interlocutorie costringendo il Comitato spontaneo ad una serie di azioni di cui esiste abbondante documentazione. L'impegno dimostrato dall'Assessore Cerutti nell'ultima riunione dimostra come il problema, se affrontato seriamente, poteva essere risolto molto tempo prima.
Dichiaro la soddisfazione mia, degli amministratori locali, degli utenti dei servizi per la soluzione del problema auspicando che, su vicende di questo tipo, l'esecutivo sia più puntuale e più tempestivo.


Argomento: Trasporti e comunicazioni: argomenti non sopra specificati

Interrogazione dei Consiglieri Biazzi e Avondo relativa alla dogana di Domodossola


PRESIDENTE

Interrogazione dei Consiglieri Biazzi e Avondo relativa alla dogana di Domodossola.
La parola all'Assessore Cerutti.



CERUTTI Giuseppe, Assessore ai trasporti e alla viabilità

Con decreto ministeriale del 14 novembre 1980 venivano individuati gli uffici doganali abilitati per le operazioni di sdoganamento di prodotti siderurgici: in questo elenco veniva esclusa la dogana di Domodossola. E' un atto molto grave quello che viene a colpire una zona già particolarmente interessata da gravi difficoltà di tipo occupazionale (non ultimo l'atteggiamento che la Montedison sta conducendo nei confronti dell'occupazione della zona stessa) che accentua ulteriormente una situazione già per sua natura difficile.
C'è stata una presa di posizione, da parte dei Consiglieri che hanno presentato interpellanza e di altre forze politiche, oltre agli Enti locali ed agli spedizionieri. Il problema, purtroppo, non è così semplice da potersi risolvere con semplici interventi che da parte dell'Assessorato e del collega Marchesotti già sono stati effettuati nei confronti del Ministro delle Finanze, con il quale abbiamo avuto proprio ieri un ulteriore incontro, in occasione di una sua visita alla città di Torino.
Abbiamo voluto sottoporre tutti gli aspetti negativi e preoccupanti che questo atteggiamento comporta per la zona dell'Ossola, anche per capire quali sono stati i meccanismi che hanno portato all'esclusione della dogana di Domodossola dalla sua funzione di "dogana per materiali ferrosi", anche alla luce di alcune considerazioni che riteniamo importanti, cioè la presenza in loco di stabilimenti di notevole rilievo, quali quelli di Pallanzeno e Villadossola.
Il Ministro, che è interessato direttamente perché si tratta di dogane e che ha recepito l'invito da parte del Comitato (composto dal Ministro Manca e dal Ministro De Micheli), ha inquadrato questa operazione in un aspetto molto più ampio, cioè quello legato ad accordi internazionali e della CEE. Praticamente lo Stato italiano si è visto costretto a ridurre il rigido controllo sull'ingresso di questi materiali che sono soggetti ad una specie di contrabbando; in quanto arrivano non solo dalla CEE ma attraverso la CEE, da altri Stati, e che portano ovviamente maggior aggravio sia sulla situazione economica italiana, sia sull'aspetto che la siderurgia ha nel contesto europeo.
La decisione oltre a Domodossola ha colpite altre dogane importanti come Genova ed altre sparse in tutta Italia.
Il problema che noi abbiamo posto all'inizio è questo: di poter valutare, nell'ambito delle decisioni, se è opportuna la riconferma di questo decreto ministeriale, di togliere a Domodossola la possibilità dell'azione doganale sui materiali ferrosi, o se è opportuno esaminare se altre dogane sono meno preparate e meno adatte a svolgere questa funzione.
Abbiamo fatto presente, in questo contesto, che la dogana di Domodossola ha sdoganato nell'anno scorso 30-33 mila vagoni, per un totale di 650 mila tonnellate di materiali ferrosi, il che la porta ad essere una delle principali dogane. Ma occorre, secondo il Ministro, vedere tutto questo in un contesto di tipo economico, per capire l'importanza che il settore siderurgico ha nella nostra zona, in una valutazione di carattere globale cioè riferita alla produzione nazionale.
A questo proposito ci siamo impegnati - e con me sarà direttamente interessato l'Assessore all'industria - per fornire al Ministro tutti i dati di produzione relativi a questo settore, e valutare se è il caso di mantenere la dogana di Chiasso, abilitata per lo sdoganamento di materiali ferrosi o se non sia più adatta quella di Domodossola, anche alla luce della realizzazione del grosso scalo ferroviario Domo 2.
Tra i dati, anche di carattere economico, che cercheremo di far pervenire al Ministro in tempi più brevi possibili, vi saranno anche alcuni aspetti che incidono in questa decisione, cioè di far viaggiare per 240 chilometri i vagoni carichi di materiali ferrosi 'per raggiungere la dogana di Milano, poi sdoganarli e ritornare indietro, anche per il fatto che Pallanzeno, in modo particolare in questo momento, opera esclusivamente in trasformazione, cioè non tanto per produzione di materiali ferrosi di tipo nazionale, ma per lavorazioni per conto di Stati esteri.
Sono aspetti che noi riteniamo siano fondamentali e, soprattutto suffragati da dati obiettivi. Ci auguriamo che questo decreto ministeriale possa essere rivisto, alla luce di tutti i dati che cercheremo di far pervenire al Ministro in termini brevi e possa quindi essere ripristinata la dogana di Domodossola.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Biazzi.



BIAZZI Guido

Ringrazio gli Assessori, Marchesotti in precedenza, Cerutti ora, per l'impegno con cui hanno seguito questo problema, che ha una dimensione consistente per il Piemonte in quanto interessa due province, decine di imprese che operano nella siderurgia e nei trasporti.
Tuttavia, se sono soddisfatto dell'impegno della Giunta, non sono completamente convinto della giustezza, delle posizioni prese dal Governo pur comprendendo che esistono problemi di carattere nazionale che riguardano la siderurgia. Mi pare che in questo caso non si siano tenuti presenti tutti gli elementi prima di compiere le scelte.
A Domodossola, il personale è fermo, lo scalo è quasi deserto e a pochi chilometri, appunto alla dogana e allo scalo di Chiasso c'è congestionamento. L'Assessore ha già puntualizzato i riflessi sull'occupazione della zona, che è già colpita pesantemente nel settore industriale che per gran parte si basa sulla siderurgia e la lavorazione in conto estero.
Le decisioni sono state prese in contrasto con la scelta di costruire il nuovo scalo di Domodossola. Infine, e questo aumenta le perplessità, si privilegia Chiasso dove le compagnie di spedizione sdoganano in Svizzera per cui si deve esportare valuta estera quando esiste uno scalo nel nostro Paese con funzionari, case di spedizione e così via che rimangono inoperosi. Nella zona, alcune industrie sopravvivono per il tempo che potranno ancora sopravvivere lavorando in conto estero.
Sono elementi che possono far meditare ed eventualmente recedere il Governo dalle decisioni prese.
Ringrazio la Giunta dell'impegno manifestato e della volontà di continuare a seguire questo problema per assistere ad uno sbocco positivo.


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Interrogazione dei Consiglieri Beltrami, Bergoglio Cordaro, Devecchi Lombardi, Martinetti e Ratti, interpellanza del Consigliere Viglione e interpellanza dei Consiglieri Revelli, Guasso e Bontempi relative alla chiusura del Centro di Cardiochirurgia Blalock


PRESIDENTE

Passiamo all'esame di due interpellanze e di un'interrogazione riguardanti la chiusura del Centro di Cardiochirurgia "Blalock".
Risponde l'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

Spero di aver colto dai testi dell'interrogazione e delle interpellanze dei colleghi il senso generale. D'altro canto, su questa questione l'opinione pubblica, e per essa la stampa, e pure i Consiglieri regionali sono rimasti seriamente preoccupati dalla decisione della Sovraintendenza sanitaria dell'Ospedale S. Giovanni (assunta l'8 gennaio) di protrarre la chiusura del Blalock oltre il periodo delle feste natalizie, feste che come per altri periodi dell'anno, vengono usate per compiere operazioni di manutenzione e di pulizia generale. Va detto che per queste operazioni complessive il Blalock nel 1980 è stato chiuso in sette periodi, per un totale di 45 giorni.
Il Consiglio di amministrazione del S. Giovanni e la Giunta regionale hanno preso atto di questa autonoma, legittima e doverosa misura prudenziale assunta dalla Direzione sanitaria, ma nel contempo hanno richiesto una valutazione più generale e la proposizione di adeguate misure che garantissero la ripresa dell'attività della cardiochirurgia nel più breve tempo possibile.
Entro domani, come da assicurazione data direttamente al Presidente della Giunta, la Direzione sanitaria deve sciogliere le sue riserve dopo le misure adottate e gli accertamenti effettuati, dopo incontri con quanti anche in altre parti d'Italia, stanno sperimentando in situazioni analoghe alla nostra il drammatico problema della lotta contro le infezioni post operatorie.
Alla luce di quanto ancora ieri sera la Direzione sanitaria ha riferito al sottoscritto, è ragionevole pensare, sin d'ora, che l'attività possa riprendere nel corso della prossima settimana, riapertura certamente condizionata ancora a rigorosi criteri di limitazione del numero degli interventi per ogni seduta operatoria ed all'applicazione di scrupolosi accorgimenti operativi.
Nel merito è doveroso rassicurare la comunità piemontese che siamo nell'ambito di misure prudenziali. Nel 1980 sono stati effettuati 502 interventi; 21 sono stati i deceduti, pari al 4,2%. La tabella statistica comparativa permette di rilevare che i deceduti erano stati il 4,8% nel '79, l'8,2% nel '78, il 14,3 % nel '77, il 16,1% nel '76, il 17,1 % nel '75, il 19,8 % nel '74. E' possibile, quindi, dire che siamo nell'ambito di misure prudenziali. Queste cifre dimostrano di per sé la validità delle decisioni assunte a suo tempo e che hanno portato la cardiochirurgia ai livelli mondiali di efficienza, la quale sarà ancora maggiore con il completamento di ristrutturazione a suo tempo previsto, parte integrante e che esige concreti, ma successivi tempi tecnici di attuazione su cui mi permetterò di riferire più avanti.
Gli esperti del settore sanno bene che le infezioni post-operatorie costituiscono un problema serio, ricorrente in ogni parte del mondo, mai debellato una volta per sempre. Ieri sera ho ascoltato, per televisione, un dibattito su questo tema ed ho rilevato anche in questa occasione il parere di eminenti esperti in questo campo, che riferivano colpe recentemente a Parigi la cardiochirurgia è stata chiusa per situazioni analoghe alla nostra. Dicevo, il problema non è stato mai debellato una volta per sempre in quanto è nota la mutazione degli agenti patogeni ed il loro adattamento alle nuove sostanze disinfettanti. I casi di infezione nell' 80 sono stati 23, rispetto ai 500 e più interventi operatori, pari al 4,2 %, ossia contenuti entro i limiti medi della letteratura mondiale, che sono rappresentati dal 4 %. 1 decessi tra i malati infetti sono stati 7, di cui solo due imputati come causa principale al processo infettivo.
Va detto in proposito, in relazione agli agenti patogeni responsabili i quali sono in 13 casi lo Pseudomonas, in due il Serratia, in tre lo Stafilococco, in uno il Difterococco, in uno lo Streptococco, ed altri tre agenti patogeni - che si sono tutti cronologicamente alternati nel corso dell'anno e non manifestatisi in un unico stesso periodo. Anche le localizzazioni delle infezioni sono molto varie, si riferiscono ad ogni parte del corpo: 6 sternocutanee, 4 mediastiniche, 8 cutanee, 4 broncopolmonari, una pleuropericardica.
L'altissima percentuale di autopsie praticate nel reparto di cardiochirurgia, ossia sull' 82,6 % dei decessi, esprime un'alta consapevolezza scientifica e culturale degli operatori della cardiochirurgia, in quanto è ben noto che l'autopsia è la cartina al tornasole, per valutare le capacità di un servizio e di un tecnico ed esprime la capacità autocritica di questi operatori sulla loro condotta.
I casi di infezione, i 23 richiamati, sono così collocati nel corso dell'anno 1980: 4 nel gennaio-febbraio, 4 nel giugno-luglio, 3 nell'agosto settembre, 4 in ottobre; 6 in novembre, 2 in dicembre. In relazione a questo quadro l'apposita Commissione esistente, permanente al S. Giovanni ha proceduto periodicamente ad accertamenti ed ha adottato provvedimenti profilattici straordinari: la revisione dell'impianto di condizionamento dell'aria delle sale operatorie, pulizia e disinfezione straordinaria. Ma altre misure sono state intraprese: trasferimento dei malati infetti in un reparto di chirurgia generale; istituzione di schede di rilevamento per ogni atto operatorio; verifica delle procedure e del comportamento sul lavoro degli operatori sanitari sia del reparto di degenza che delle sale operatorie e della rianimazione post-operatoria.
Le indagini microbiologiche ed ambientali eseguite sull'aria delle sale operatorie e sulle superfici, il 3/10, hanno dato risultati favorevoli, ma dopo si sono verificati due nuovi casi, per cui si è ritenuto opportuno mantenere sospesa l'attività operatoria interrotta &tirante le vacanze di Natale, per ulteriori indagini e per una valutazione epidemiologica complessiva dei risultati delle varie ricerche, esami e rilevamenti degli ultimi mesi, al fine di trarre le indicazioni necessarie per una corretta impostazione di difesa dalle infezioni.
In questi ultimi giorni sono state eseguite le seguenti ulteriori indagini: su tutto il personale medico e non medico il tampone n a s o faringeo ed auricolare; il controllo batteriologico sui disinfettanti liquidi di perfusione, pomate e simili usate in cardiochirurgia, nonché su strumenti particolari (trasduttori di pressione); prelievi per esami batteriologici in tutti i malati di cardiochirurgia portatori di complicanze infettive post-operatorie, attualmente ricoverati o in cura ambulatoriale.
Il 6 gennaio, dopo radicali operazioni di pulizia e disinfezione straordinaria, sono stati ripetuti gli esami microbiologici ambientali nelle sale operatorie e nella rianimazione post-operatoria, che hanno confermato buone condizioni di asetticità ambientale. In particolare è risultato che l'impianto di condizionamento determina un efficiente abbattimento microbico nell'aria delle sale operatorie.
E' in ragione di questa dettagliata relazione della Sovraintendenza sanitaria che mi sono permesso di esprimere quel giudizio che sarà confermato domani (purtroppo le cadenze della riunione del Consiglio non coincidono con le cadenze operative per l'esecuzione di determinate opere ed accertamenti).
Ci sono ancora due aspetti: uno, il problema della sistemazione definitiva del Blalock. Va ricordato che la cardiochirurgia da marzo a fine anno sarà spostata in altri locali provvisori; mentre saranno spostati definitivamente la nefrologia del prof. Vercellone, la chirurgia del prof.
Morino, per permettere l'esecuzione di opere di ristrutturazione previste dal piano, che consistono: a) in una nuova sistemazione della rianimazione, il punto cruciale della cardiochirurgia, portando i posti-letto da 8 a 10-12, che permetterà la crescita della potenzialità di intervento verso i tre interventi/giorno b) revisione del blocco operatorio, anche tenendo conto delle ultime esperienze c) il funzionamento della emodinamica, le cui nuove macchine radiologiche saranno sistemate nei locali lasciati liberi dalla nefrologia.
Questi lavori, che saranno ultimati entro l' 81, comporteranno per l'attività operatoria ulteriori limitazioni, per cui sarà necessario adottare conseguenti provvedimenti. Si tratta però di una fase che guarda al futuro, con una ristrutturazione che oltre ad accrescerne efficacia ed efficienza risolverà al meglio anche il problema delle infezioni post operatorie.
E' necessario riflettere, inoltre, in legame alla prossima approvazione del piano, al problema più generale della cardiochirurgia in Piemonte puntando ad un esatto accertamento del fabbisogno. L'attuale utilizzo è più rispondente oggi alle esigenze piemontesi rispetto al passato, ma pesano ancora le prestazioni per il resto d'Italia. Rispetto al 1977 l'utenza piemontese è passata dal 46 % al 63%. In cifre concrete, gli interventi su piemontesi sono passati da 115 a 350, perché dal 1977 all' 80 si è raddoppiato il numero degli interventi. Resta all' 80, però, un servizio per utenti fuori regione pari al 37,2%, ossia circa 150 interventi; è credo, in una visione nazionale, ad un piano nazionale di cardiochirurgia che è possibile correttamente dimensionare le strutture piemontesi attualmente presenti al S. Giovanni ed al Regina Margherita per la cardiochirurgia infantile, oggi per un totale di 60 posti-letto teoricamente sufficienti al Fabbisogno piemontese se non vi fosse questa prestazione per altre regioni.
Ma, ogni vicenda deve farci compiere un ,alto nella direzione del miglioramento dell'efficienza dei servizi non solo al S. Giovanni ed al Blalock, ma in tutti gli ospedali; mi pare logico proporre una massima responsabilizzazione degli operatori contemplante una coraggiosa riflessione autocritica sul lavoro che viene compiuto ogni giorno. Ciò si può esprimere nella generalizzazione di quel fatto che ho ricordato, delle autopsie, che è uno strumento essenziale per riflettere sul lavoro compiuto e superando, in questo caso, anche comprensibili riserve dei familiari; più in generale il rispetto rigoroso di tutte le norme esistenti e di altre da suggerire ed adottare, ma ciò credo debba valere non solo per gli operatori, ma per la massa generale degli utenti, dei visitatori all'interno degli ospedali, che possono essere essi stessi nell'assolvimento di una funzione di supporto morale verso i malati veicolo di infezione.
Credo si debba puntare al corretto funzionamento ed all'istituzione dove non esistono, delle previste Commissioni di difesa dalle infezioni (quella che ho richiamato esiste all'interno del S. Giovanni), con la presenza delle varie categorie degli operatori, con l'introduzione di procedure quale il monitoraggio dei dati, che permetta la rapida adozione di misure in relazione agli accertamenti che vengono effettuati.
Ancora, l'adozione di provvedimenti attraverso appositi programmi, che riguardano il capitolo non sempre risolto dei rifiuti degli ospedali, degli aggiornamenti delle tecnologie, di procedure di organizzazione del lavoro i flussi di movimento all'interno degli ospedali, l'introduzione di tecnologie più sofisticate, l'attenzione al capitolo delle lavanderie, il riesame delle attrezzature di disinfezione e sterilizzazione, la stessa semplice pulizia dei muri e dei pavimenti, perché questo è un indice, uno stimolo a comportamenti corrispondenti da parte di tutti quanti frequentano le strutture ospedaliere.
L'articolo di un giornale, l'altro giorno, parlava dell'esistenza in corridoi di involucri con residui nucleari: l'accertamento effettuato era che è stato usato un involucro per funzioni improprie, ma certamente improprio era il permanere di questi rifiuti, non pericolosi al livello indicato dall'involucro esterno, nel luogo in cui erano stati trovati.
Ritengo sia necessaria una riflessione più generale sulle strutture edilizie, le organizzazioni stesse delle camere operatorie. Lo scarso utilizzo delle autopsie nella generalità delle strutture sanitarie piemontesi fa sì che noi non abbiamo quegli indicatori così esatti che emergono nei casi di morte per la cardiochirurgia. Da questo punto di vista è necessario riflettere maggiormente sulle strutture e, certamente alcune soluzioni adottate per quanto riguarda le più recenti strutture edilizie ci dicono che è possibile impegnarsi in questo campo, superando anche il condizionamento delle strutture ereditate dal passato che dobbiamo pure ancora per un lungo periodo, utilizzare.
Credo, finendo, che dovremo trarre lezione da queste vicende per proporre, oltre all'avvio di un gruppo di lavoro dell'Assessorato, in legame con gli esperti delle varie strutture periferiche e coinvolgendo, in particolar modo, le is ti tu e n de Unità Sanitarie Locali, un'iniziativa collegiale, esterna, che sia uno strumento per un rapporto più ampio con la collettività e rassicurare la stessa dell'impegno in questo campo delicato delle istituzioni ma anche degli operatori.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Nella relazione che l'Assessore Bajardi aveva presentato all'assemblea qualche settimana addietro, peraltro unanimemente accettata, un punto mi aveva colpito in modo particolare: la proposta di un'indagine per conoscere il motivo per cui i piemontesi vanno all'estero per gli interventi chirurgici.
Oggi, viene data una risposta al quesito che Bajardi poneva nella sua egregia relazione e noi abbiamo mosso questa interpellanza con lo spirito di evidenziare il problema, di farlo conoscere alla comunità e quindi di rendere più forte l'azione che ne consegue.
Siamo un paese importante dell'Europa e non un Paese in sottosviluppo in cui l'obiettivo, non è quello di dare il chinino o la pastiglia per l'influenza a tutti, questo l'abbiamo già raggiunto da molto tempo ma è quello di fare un vero, autentico salto di qualità nel campo della medicina.
La scuola di medicina torinese ha un valore nazionale ed internazionale, basti ricordare i nomi illustri che, dall'800 in poi, l' hanno guidata.
Nel quinquennio '75-'80 grossi sforzi vennero fatti per mantenere viva e forte questa tradizione.
Il discorso che intendo introdurre è meritevole di attenzione. Superata la fase del servizio di base che nella moderna medicina deve essere l'elemento dominante (si sono debellate le malattie infettive e si sono fatti progressi nella salute della comunità) è il momento dei salti di qualità, le cosiddette "punte della medicina". Il dibattito mondiale sulla cardiochirurgia del trapianto sì o del trapianto no, dal punto di vista meramente scientifico può essere inutile perché un cuore sostituito non ha lunga durata, ma, dal punto di vista della sperimentazione e della ricerca scientifica, ha determinato autentici salti di qualità.
Barnard con la sua arte operatoria sul cuore può aver avuto risultati modesti rispetto agli obiettivi ma ha aperto altre possibilità collaterali sul cuore che prima erano precluse o non erano individuate. Oggi parliamo della cardiochirurgia, ma possiamo parlare dei fatti renali, della ricerca sul cancro e di qualsiasi altro campo della medicina in cui il non dar credito a momenti importanti di ricerca e di punta, e credere che essi siano momento di mero prestigio senza valore scientifico o, come il Blalock all'inizio, di ridondanza fieristica.
Ha fatto bene l'Assessore a ricordare che anche Du Bois, a Parigi, ha avuto qualche mese addietro questo problema. Ma l'Assessore ha parlato anche di muri, di strutture, di assoluta igiene all'interno delle strutture.
Ci si chiede: perché nelle cliniche di Nizza, di Parigi, di Zurigo, di Verona, di Milano o in altre cliniche universitarie queste cose non accadono e a Torino nella sede del Blalock, dove opera il prof. Morea illustre scienziato degno erede della scuola torinese, queste cose accadono e riscuotono una risonanza maggiore che altrove? Ringrazio l'Assessore Bajardi che ha risposto con il rigore e la puntualità di sempre. Ma vorrei che il quadro non fosse limitato soltanto al Blalock. Altre punte possono essere ricordate, difese, potenziate sorrette. Decine di scienziati oggi sono umiliati; negli ospedali in questi giorni si è instaurato un clima pesante. Queste cose dobbiamo dircele per promuovere iniziative che abbiano il segno di una forte ripresa rispetto agli anni ruggenti del grande dibattito sulla riforma sanitaria in cui le speranze sono state alimentate da una serie di condizioni che in parte si sono avverate legislativamente.
Ma le condizioni di incertezza, di pesantezza, le contraddizioni esistono in tutto il mondo sanitario. Ho percorso in queste settimane molti cammini e ho riscontrato non soltanto il solito "mugugno italiano" ma motivi autentici di umiliazione, di non valorizzazione del personale anche para-medico: l'orizzontalizzazione, l'abbandono della meritocrazia il livellamento generale ha prodotto guasti anche al Blalock. A Zurigo è stato cacciato un medico raffreddato che, in sala operatoria, ha portato il braccio al naso! Allora bisogna anche capire quando l'Assessore parla di muri che devono essere imbiancati, di ambiente immune, di lindore, perché i batteri non abbiano ad avanzare.
Ringrazio l'Assessore Bajardi della sua risposta e mi dichiaro pienamente soddisfatto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, anch'io ringrazio l'Assessore Bajardi per la tempestiva ed esaustiva informazione che ha dato a seguito dell'interpellanza del mio e degli altri Gruppi.
Condivido molte delle cose dette qui dal Consigliere Viglione, e credo che gli aspetti della ricerca, della formazione del personale, della gestione complessiva della sanità devono avere, pure in un momento di forte accentramento di decisione sulle priorità, la capacità di instaurare un clima di forte responsabilizzazione meritocratica - come ha detto Viglione delle competenze ad ogni livello. E' questa la condizione per ottenere quella orizzontalità corale del lavoro di équipe che è necessaria. Questo di cui abbiamo trattato oggi, e che ci può portare a considerazioni più vaste che abbiamo fatto già in merito al dibattito sul piano sanitario e sull'elezione delle U.S.L., è, però, un problema specifico, purtroppo presente in Molti ospedali italiani ed in altri Paesi; non per questo accettabile. Ma voglio anche dire che alla modestia della scienza e dei ricercatori non sempre fa riscontro la modestia dei politici, i quali devono rispondere ad esigente dei cittadini preoccupati che chiedono giustamente, sempre di più dalle prestazioni sanitarie.
Vi è un problema molto impopolare che è fondamentale, cioè la vita ed il rapporto con l'esterno degli ospedali. Il Consigliere Viglione ha citato molte cose degli ospedali francesi e di altri ospedali stranieri: ce n'è una fondamentale, quella del non accesso al pubblico. L'accesso al pubblico è regolamentato in forme strettissime; è un problema di educazione generale. E' indubbio - Viglione lo ricorderà per esperienze dure personali e per il contributo che ha dato in una realtà ospedaliera come quella che ha citato - come sia indispensabile, per esempio, per un bambino malato grave di ogni tipo di malattia, ivi comprese le malattie infettive, che purtroppo non sono ancora tutte debellate, nella nostra provincia di Cuneo la presenza del padre, della madre, soprattutto: questa va regolamentata con interventi e spese molto importanti, perché aiuta il bambino a guarire ma al tempo stesso bisogna che si adatti ad una cultura che è quella dell'ospedale; nella stragrande maggioranza dei casi ci sono migliaia di persone che vanno e vengono nelle ore di visita. Le strutture per come si sono costituite non si prestano a questo accesso massiccio e, al tempo stesso, è difficoltoso regolamentarle in altro modo. Questo è il primo grande veicolo dell'igiene negli ospedali, e ci richiama ad un secondo problema: la questione dell'igiene pubblica: è un fatto fondamentale e comprende anche la sicurezza delle camere operatorie.
Nel dopoguerra è sorto il grande equivoco, in tutto il mondo (altri Paesi hanno posto rimedio), cioè di stabilire che le malattie da agenti patogeni esterne (quasi tutte, salvo alcune) fossero state definitivamente debellate e in modo moderno, non solo dal chinino e dagli antibiotici mentre in anni successivi si è poi capito che pur curati alla moderna si muore più rapidamente all'antica, perché i microbi appartengono alla natura, al mondo in cui viviamo, hanno le loro difese, quindi, cambiano e mutano. Ebbene, se andassimo a vedere - non certo per i medici che .fanno parte degli ospedali, dove vi è la parte più avanzata della medicina - come per certi medici di periferia fra dieci, quindici targhe di specialità manca sempre quella dell'igiene, che è fondamentale per la vita sul territorio e all'interno degli ospedali, saremmo in grado di farci tutta un'autocritica.
Io, Viglione, ho vissuto un episodio pericoloso per la mia vita: mio padre mi ha fatto operare dal più illustre clinico, lui presente. Una settimana dopo mi hanno dimesso e mi sono ritrovato lo pseudomonas e 50 cm di garza sul peritoneo. Sono cose che succedono. Mettiamo sotto accusa la classe medica e lo pseudomonas? Il problema è di raggiungere quei livelli di cui ha parlato Viglione e di cui ha parlato Bajardi, con un impegno complessivo anche di governo degli ospedali.
Ultima annotazione - e mi rivolgo alla stampa -: l'autopsia, di cui ha parlato Bajardi, in ogni Paese civile, anche dove la medicina è totalmente pubblica, come all'Est, è un fatto fondamentale, che dimostra garanzia per il pubblico, anche di fronte alla prevaricazione o all'incompetenza di certe équipes sanitarie. Mi pare che sia un grande fatto che arriviamo oltre l'80% delle autopsie, ma questa è un'educazione anche dei cittadini che debbono accettare le autopsie; così come è un problema importante per la stessa salute dei cittadini che ci sia un diritto da parte del singolo ma anche un diritto-dovere alla salute da parte di ognuno, quindi di essere sottoposti a dei controlli che in altri Paesi esistono e che qui la nostra stessa Costituzione non permette. Io ricordo che non si possono fare esami nelle Università francesi per qualunque studente se non ha il tampone sanitario, se non si è sottoposto a dei controlli. Ma, Garbarino - ti cito perché sei uno attento sulla stampa a queste cose -, non bisogna parlare di scandalo. Questo è un problema.
Nel nostro Paese non ci sono solo degli scandali, ma esistono anche dei problemi da affrontare. Questo dello pseudomonas è scandaloso se non lo affronteremo, ma non è uno scandalo e non ha nulla a che vedere con le vicende precedenti del Blalock, che sono di natura ben diversa. Viglione equilibrato Presidente, soprattutto in queste questioni, e lo stesso Presidente attuale della Giunta Enrietti, ricordano che la volta scorsa insieme al Rettore dell'Università, Cavallo, insieme al Presidente, insieme alla Facoltà di Medicina nel suo consesso, non abbiamo accettato neanche allora di parlare di scandalo per il Blalock quando non funzionava totalmente, perché ritenevamo che la modestia dei politici doveva corrispondere alla capacità della gente, degli esperti, di andare a verificare se una struttura funziona o meno. Non abbiamo accettato neanche noi - che pure abbiamo fatto grandi battaglie dall'opposizione, su questo qualche volta un po' demagogiche - di linciare delle persone; abbiamo chiesto che fossero degli esperti a dire se il centro funzionava. La rimozione di un incarico, il cambiamento di una équipe, il difficile e travagliato riavvio del Blalock, è tutto avvenuto in questo clima.
Non vorrei che oggi si ritirasse fuori questo problema urgente e grave che preoccupa i cittadini, con il collegamento di una ripresa di indagini ed anche di procedimento rispetto a quel passato, quando l'Università nella sua autonomia diede prova di alto senso di responsabilità ed anche di quello spirito di ricerca e di ruolo che deve avere, nella gestione della sanità, andando a dei cambiamenti. Ecco perché non è corretto leggere su alcuni giornali di avvicinare scandalo a scandalo: questo devia l'attenzione della gente, non aiuta affatto a risolvere dei problemi. Non siamo mai usciti su cinque colonne, in passato, dicendo: "Scandalo al Blalock, non sanno operare!". Nessuno si può permettere di dire questo in quest'aula. Si è riavviata una struttura che avrà ancora, nonostante i grandi risultati raggiunti, dei problemi.
C'è poi una questione, quella delle strutture: forse c'è da pensare all'ampliamento della cardiochirurgia pubblica, anche per garantire uno standard di intervento a tutta la comunità regionale ed anche perché un grande ospedale italiano deve in qualche misura tener conto di altre esigenze, non solo regionali. Penso che la questione, all'interno del dibattito sul piano socio-sanitario, debba porsi, per una seconda cardiochirurgia in Piemonte o per un ampliamento, tenendo conto che tutto ciò che è privato è in più ed è per cittadini che scelgono un'altra strada ed hanno il diritto di farlo; ma c'è un diritto fondamentale, ed anche la ricerca avviene soltanto in grandi strutture, soltanto dove c'è la possibilità di avere mezzi maggiori a disposizione.
Su questo io non chiudo con serenità, né senza preoccupazione, però ho fiducia nell'Assessore Bajardi, nella responsabilità delle forze politiche ed anche nel Consiglio di amministrazione, nel Presidente delle Molinette in tutto quel personale che ha le risorse per affrontare questi problemi nel senso di responsabilità della stessa Università di Torino.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ratti.



RATTI Aldo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, anch'io ringrazio l'Assessore Bajardi che ci ha reso una relazione ampia, dettagliata, documentata scientifica ed ho ascoltato con molto interesse anche le parole di Viglione e di Revelli che sono rimasti strettamente collegati al tema del Blalock citando analoghe esperienze italiane ed estere.
Abbiamo letto i giornali di questi giorni che si sono interessati vivamente al problema ma non credo possiamo dire che la stampa abbia fatto dello scandalismo; non lo possiamo dire perché non si possono contraddire gli argomenti, le citazioni, i fatti che i giornali hanno ripreso nel settore medico, para-medico, degli utenti. Si può parlare unicamente di sensibilità ad un tema che tocca profondamente la popolazione torinese.
Assessore Bajardi, sono d'accordo su tutto quello che lei ha detto, non c'è una virgola da modificare o da spostare: però, lei ha fatto un cenno che non ha sviluppato ed è l'opportunità di partire da questo episodio per fare un'esplorazione più ampia dell'organizzazione degli ospedali in Piemonte ed in particolare delle Molinette. Non vorrei restare nell'ampio campo della medicina generale, come in precedenti interventi abbiamo sentito, ma penetrare più addentro a quelli che sono i problemi che toccano la popolazione. Se parlassimo con tutti quei torinesi che hanno avuto necessità di contatti con gli ospedali, potremmo creare un'aneddotica negativa impressionante e credo che ciascuno di noi abbia episodi di scontentezza da raccontare, accanto a valutazioni estremamente positive di singole persone, di singoli reparti, di singoli medici, di singoli operatori.
Ricordo una conversazione fatta, lo scorso anno, al Rotary dall'attuale Presidente della Giunta, allora Assessore alla sanità, in cui analizzava i problemi ospedalieri ed elencava una serie di difetti allora esistenti e che, credo, continuino a sussistere tuttora. Che ciò avvenga lo rileviamo da una sorta di battibecco sorto nella circostanza del Blalock tra l'Amministrazione dell'ospedale ed i sanitari da una parte ed i sindacati dall'altra. Il che vuol dire che nell'interno dell'ospedale c'è un palleggiamento di responsabilità, ottenendo così quell'autocritica citata dall'Assessore Bajardi, che mette in risalto disfunzioni non ancora corrette.
Recentemente abbiamo parlato in quest'aula di produttività, ossia di resa di lavoro in qualità, quantità e costo. Questi elementi li possiamo quantificare un po' meno nel settore terziario, ma, nel settore sanitario come possiamo parlare di produttività? Dobbiamo identificarla con il numero dei pazienti visitati od operati oppure semplicemente con quelli guariti? Possiamo parlare di produttività in base alla valutazione che l'opinione pubblica, il cittadino, l'utente dà del servizio ospedaliero? Accanto a positive valutazioni di singoli reparti, o di medici o di infermieri, come abbiamo già detto, abbiamo una generale insoddisfazione nelle piccole come nelle grandi cose: insoddisfazione di fare delle ore di attesa in piedi, in un corridoio perché non ci sono sale di attesa sufficienti; insoddisfazione di fare delle prenotazioni di due o tre mesi per essere accolti in ospedale e di fare delle attese di settimane prima di essere operati. A causa del ritardo di anni nella ristrutturazione delle sale operatorie al C.T.O., i pazienti restano nelle camere di degenza, a volte, per settimane prima di avere il loro turno di operazione nella sala operatoria, con costi sociali facili da considerare.
Episodi come la chiusura del Blalock accentuano la sfiducia, perché la gente non crede che, alle Molinette in modo particolare, lo pseudomonas riuscirebbe a prevalere se nell'ospedale fossero attuate e rispettate tutte le norme igieniche che devono farne un ambiente assolutamente protetto dall'inquinante mondo esterno.
Non è soltanto problema di sterilità della camera operatoria o dei locali annessi, il controllo igienico va fatto su tutto l'ambito ospedaliero. Ancora stamattina, sui giornali il Rettore Cavallo raccomanda soprattutto l'igiene in tutto il complesso ospedaliero.
Qual è la situazione generale alle Molinette? Dai dati del '79 risulta che gli addetti, tra personale amministrativo, sanitario e para-medico sono 4.500; i posti-letto sono 2.130, pari cioè ad altrettanti degenti.
Una piccola città, in cui i parcheggi per le vetture sono assolutamente inadeguati, talché il personale sanitario introduce le vetture all'interno dell'ospedale da tutti i cancelli. Le vetture invadono i vialetti, i cortili, gli spazi tra i vari padiglioni, arrivano fin sotto alle finestre delle camere di degenza portando rumore, inquinamento atmosferico e quanti altri bacilli raccattati per le vie della città. Si aggiungano poi migliaia e migliaia di visitatori ogni giorno.
Gli uffici tecnici delle Molinette e quelli delle Università, per quanto attiene alle cliniche, da anni hanno proposto soluzioni che vanno dallo smantellamento delle rampe di Corso Polonia, che non servono assolutamente a nulla, all'utilizzo della fascia esistente tra Via Cherasco e Via Genova sul fianco dell'ospedale dove vi sono giardini e case fatiscenti e dove potrebbero essere creati parcheggi di superficie e interrati, come in tutti i principali ospedali esteri. Questo problema da noi non è mai stato affrontato e studiato sufficientemente dalle forze politiche regionali o cittadine.
Altra fonte primaria di inquinamento sono i cantieri edili. Le Molinette sono per Torino quella che è la fabbrica del Duomo per Milano: dà sempre, in atto, lavori edili. Pensiamo a che cosa significa per un ospedale avere aperti continuamente mai meno di dieci cantieri, con tutte le conseguenze che questi comportano.
L'aver lasciato invecchiare le strutture negli anni passati costringe oggi al recupero celere ed ecco che i lavori sorgono da tutte le parti per gli ammodernamenti necessari. Bisogna adesso correre ai ripari per quello che non è stato fatto in passato: travi, macerie, polvere, invadono tutto l'ospedale. La polvere si infila ovunque e non è certo il migliore disinfettante.
Nonostante gli sforzi compiuti dagli uffici tecnici perché i cantieri si organizzino in modo da provocare il minor disturbo possibile, vi sono lavori che, programmati per essere brevi, finiscono con l'essere lunghi perché i finanziamenti arrivano a singhiozzo. Nell'ambito delle Molinette alcuni esempi sono addirittura clamorosi.
In questo campo credo che l'Università abbia le maggiori responsabilità. La sopraelevazione delle cliniche medica e chirurgica (il quarto e il quinto ,piano dell'edificio su Corso Polonia) è iniziato oltre 20 anni fa: 10 anni per il quarto piano, 10 anni per il quinto piano. I lavori non sono ancora terminati. Nella clinica psichiatrica in Via Cherasco i lavori sono iniziati 11 anni fa. E' finito attualmente lo stanziamento, vi sarà probabilmente un'altra sospensione e non sappiamo quando quei lavori termineranno. Alla clinica di anestesiologia e di rianimazione in Corso Polonia, dopo 9 anni di lavori, l'edificio è finito fuori ma è vuoto di dentro. Per l'intervenuto cambio di destinazione di due piani assegnati a medicina nucleare, manca ancora la licenza edilizia per la variante e nessuno sa quando i lavori termineranno. In mezzo a questi esempi i 4 anni occorsi per ristrutturare le sale operatorie della chirurgia vascolare quasi non impressionano più. Per tutto questo tempo ci sono stati muratori, calcinacci, materiale che andava e veniva.
La lentezza dell'edilizia ospedaliera in Piemonte non ha soltanto questi esempi che toccano il complesso delle Molinette. Ne ha altri: Ospedale di Rivoli: il progetto di massima è del '62, il progetto definitivo è del '67, l'inizio dei lavori avvenne nel '71. Siamo nell'8 i mi chiedo se sarà l'anno dell'inaugurazione Ospedale di Via Farinelli: nel '70 l'inizio dei lavori, nell'81 i lavori vengono sospesi. Il quartiere di Mirafiori continua a protestare, ma non si riesce a sciogliere il no do delle responsabilità e delle competenze.
Queste cose sono note all'opinione pubblica ed essa esprime, una valutazione negativa sull'inefficienza con la quale questi problemi vengono condotti, sui costi che i tempi lunghissimi di costruzione comportano.



REVELLI Francesco

Sono d'accordo con te; facciamo parte tutti di una cultura dove l'efficienza è difficile da raggiungere, ma penso all'eredità.



RATTI Aldo

Pensa all'eredità, ma guarda al presente; quando il presente desidera modificare il passato, deve dimostrare di saper governare in modo diverso.
Comunque ho indicato dei dati, non delle responsabilità.
Ho citato due grosse fonti di inquinamento, ma ve ne sono molte altre.
I muri dei corridoi delle Molinette sono costellati da cartelli con: "Proibito fumare". Per i trasgressori l'ammenda va da 1.000 lire a 10.000.
Qual è l'autorità che ha il dovere di far rispettare questa norma? Nel 1980 quante ammende sono state comminate? Chi stabilisce se devono essere 1.000 2.000 o 10.000? Quei cartelli sono messi lì per il rispetto di una disposizione di carattere generale ma non servono assolutamente a nulla anche perché vediamo medici ed infermieri fumare tranquillamente davanti ad essi.
In ogni ora del giorno i corridoi sono affollati da estranei. Il regolamento prevede che la visita ai malati sia fatta da un solo congiunto vediamo invece arrivare le famiglie al completo, con pacchi, pacchetti ed ogni altra cosa. Questi estranei transitano nei corridoi tutto il giorno in quegli stessi corridoi transitano gli, ammalati in barella per andare dalle camere di degenza agli ambulatori o per andare e tornare dalle sale operatorie. Se non passano in questi corridoi passano nei corridoi sotterranei che sono stati creati per i servizi generali, quindi accolgono i sacchi di rifiuti a cui si riferiva l'Assessore Bajardi.
Alle Molinette non è mai stato studiato un sistema di percorsi riservati agli ammalati. Problemi di carattere generale, da sempre, sono sotto gli occhi di tutti, ma solo adesso sono evidenziati perché la stampa si è resa sensibile e ci ha fatto conoscere il nome dello pseudomonas.
Qualche anno fa tutti i torinesi avevano conosciuto il nome della salmonellosi; era un qualche cosa di analogo: gli ospedali non sono quella cittadella igienica, difesa dall'esterno, in cui il cittadino entra per trovare il silenzio, le cure, le attenzioni, sono un luogo pubblico in cui l'infezione entra dalle porte e dalle finestre. Migliore igiene ed organizzazione.
In questa direzione bisogna incominciare ad operare perché il cittadino, in ospedale, non si senta sperduto come attualmente succede.



PRESIDENTE

La parola, brevemente, all'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

I colleghi hanno colto l'occasione per spaziare, io non ne approfitterò, perché altrimenti le conclusioni sarebbero di altro tipo, ma non mancheranno certamente occasioni per riprendere tutte le questioni e la Giunta si propone, su questa vicenda, come ho accennato - forse il collega Ratti era disattento - di assumere quelle iniziative generali per affrontare il problema a livello di tutti gli ospedali. Informeremo i colleghi.
Una recente interrogazione del collega Viglione chiedeva alla Giunta un'esatta rendicontazione sullo stato di avanzamento di tutte le opere edilizie finanziate: è stata un'opera poderosa, ma il materiale è stato preparato e nella prossima settimana sarà data documentazione per ogni finanziamento che c'è stato dal '75 in poi, sullo stato di attuazione delle singole opere. Da ciò emergerà, per esempio, che il ritardo principale è la decisione assunta dalla Cassa Depositi e Prestiti di non finanziarci quelle opere per i dipartimenti di emergenza e di accettazione, per un importo di oltre 10 miliardi, che noi avevamo già finanziato prima e che oggi non hanno ottenuto le risorse. Sono problemi su cui dovremo discutere.
Ritengo che dovremo riflettere seriamente sul problema più generale riguardante il personale ospedaliero. Devo dire, onestamente, che la conclusione della vertenza sui generici non ha certamente contribuito a creare all'interno degli ospedali uno stato d'animo di alta responsabilizzazione, considerando i valori monetari su cui questa questione è stata risolta. Certamente , in questo capitolo non possiamo non scontare il prezzo dell'avvio di una politica di riforma che, volendo omogeneizzare - non orizzontalizzare - servizi e tutto quanto, comporta ripensamenti ed elementi di contraddizione.
Credo di poter condividere le esigenze sottolineate dal collega Viglione di concentrare la nostra attenzione anche su quelle punte, ma nello stesso tempo, di raccogliere quel suggerimento del collega Revelli perché la soluzione di tanti problemi sta anche in quell'attività igienistica generale sul territorio che modifica i comportamenti dei singoli ed aiuta a risolvere in termini non repressivi, quei quesiti che il collega Ratti enunciava. Credo che guardando alle cose più grandi riusciamo a risolvere quelle piccole, perché se ci mettiamo a correre dietro a quelle piccole finiremo di disperderci e non orientarci nella direzione giusta per la soluzione dei problemi.
E' certamente un grande problema quello della barriera di Nizza, che riguarda la grande concentrazione, come è anche un grosso problema l'altro del decentramento sui territorio, il quale avvicina le strutture all'utente, però avvicina in molti casi una struttura difficilmente organizzabile a quei livelli di efficienza e di efficacia come sarebbe augurabile.
E' mia abitudine considerare anche il più pregiudiziale atteggiamento critico come un contributo. Credo che nel discorso più generale, al di là di valutazioni che ognuno di noi può trarre su questa e su altre vicende dal confronto delle idee, dall'opinione pubblica, dalla stampa dobbiamo attenderci un grande contributo a sostegno di quelle iniziative che dovremo proporre, particolarmente, in relazione al prossimo documento di piano.


Argomento: Opere pubbliche

Interpellanza dei Consiglieri Martinetti, Martini e Lombardi inerente l'applicazione dell'art. 33, sesto comma, legge regionale n. 56


PRESIDENTE

Infine, esaminiamo l'interpellanza dei Consiglieri Martinetti, Martini e Lombardi inerente l'applicazione dell'art. 33, sesto comma, legge regionale n. 56.
Risponde l'Assessore Simonelli.



SIMONELLI Claudio, Assessore all'urbanistica ed al coordinamento e gestione delle opere pubbliche

L'interpellanza dei Consiglieri Martinetti, Martini e Lombardi riguarda la distribuzione, nel primo semestre 1980, dei fondi relativi a contributi per acquedotti, fognature, sedi municipali, dopo che il piano di riparto dei Comprensori era stato effettuato.
Si è trattato in effetti di tre delibere che la Giunta regionale ha adottato nei mesi tra gennaio ed aprile del 1980, relative ad un'integrazione di contributi. Le copie delle delibere, se gli interroganti lo ritengono, sono disponibili.
La motivazione di questi contributi era quella di accelerare i tempi per l'esecuzione di opere da parte delle Amministrazioni locali, nella fase che prevedeva il rinnovo dei Consigli regionali, provinciali e comunali fase che non avrebbe più consentito il completo iter procedurale previsto dalla legge. In effetti, l'esame dei piani di riparto dei Comprensori aveva impegnato i mesi da settembre a dicembre: su questa base erano stati ripartiti i fondi. Immediatamente dopo Il riparto dei fondi a far carico sul bilancio 1980, erano emerse richieste, sollecitazioni, domande integrazioni per aumenti d'asta, pervenute, in qualche caso, dagli stessi Comprensori, i quali non erano riusciti, nel primo piano di riparto, a soddisfare tutte le necessità emerse nella loro comunità. Tali richieste ci hanno consigliato di procedere ad un riparto, senza più attivare l'esame dei Comprensori, perché i tempi erano estremamente stretti.
Si tenga presente che parte di questi contributi hanno rimediato ad aumenti di costi dovuti, ad aumenti d'asta e, quindi, hanno consentito il completamento delle opere.
Siccome mi pare di cogliere tra le righe dell'interpellanza, un velato sospetto su criteri di parte che avrebbero potuto determinare il riparto dei contributi, ritengo che i Consiglieri interroganti, dopo aver letto l'elenco dei Comuni che hanno beneficiato, si renderanno conto che non c'è stata assolutamente alcuna indiscriminata propensione verso Comuni di una determinata parte politica, ma si è cercato di sovvenire a tutte le necessità evidenziate.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Martinetti.



MARTINETTI Bartolomeo

Vorrei sottolineare la gravità della risposta data dall'Assessore alla nostra interpellanza, cioè il fatto che dopo aver sancito in una legge, in modo chiaro, che i finanziamenti per opere pubbliche si stanziano attraverso i Comitati comprensoriali; dopo aver, con una circolare e ripetute riunioni di Presidenti comprensoriali, stabilito le modalità precise con cui questa ripartizione avviene, garantendo che tutti i fondi dell'assestamento del '79 e dell'80 erano compresi in quella ripartizione nell'immediata vicinanza delle elezioni si sia proceduto ad una ripartizione di fondi di cifra enorme, secondo le informazioni che ho e che controlleremo certamente dalle deliberazioni che l'Assessore ci produrrà.
Si tratta di due deliberazioni soltanto, posteriori al 1 aprile, che superano i 5 miliardi e mezzo; in due Comprensori della mia provincia si sono dati contributi per circa 3 miliardi di lire per opere nuove, rimaste fuori dai programmi comprensoriali e non affatto dovuti ad integrazione di fondi per variazioni di prezzi o cose del genere. Quindi, la validità della critica che emerge dalla nostra interrogazione, resta pienamente confermata dalla risposta avuta dall'Assessore. Ma, siccome non ha senso limitarsi a deprecare quello che è avvenuto, e che è avvenuto proprio da parte di chi ha sempre sostenuto la volontà di fare una programmazione seria, basata sulle indicazioni di priorità stabilite, non sempre difficoltà, dai Comitati comprensoriali, mi auguro soltanto che - poiché la Giunta ha messo di nuovo nel programma che abbiamo recentemente dibattuto, l'affermazione della volontà di credere in questa programmazione e la volontà di esaltare la funzione programmatoria di base dei Comprensori - per il futuro queste disfunzioni, questi improvvisi cambiamenti di rotta non abbiano più a verificarsi. Certo è stato un episodio, questo degli ultimi due mesi prima delle elezioni, che non è valso a dare credibilità all'attività programmatoria della Regione, né a dare un giusto riconoscimento a quei numerosissimi operatori di tutti i Gruppi politici che nella periferia del nostro Piemonte hanno creduto nella necessità della programmazione e hanno fatto maturare faticosamente questo processo.



PRESIDENTE

Le interrogazioni ed interpellanze sono così discusse.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

a) Congedi Circa il punto terzo all'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente", comunico che sono in congedo i Consiglieri Bruciamacchie e Mignone.
b) Presentazione progetto di legge E' stato presentato il seguente progetto di legge: N. 44: "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 27/4/1978 n.
20: 'Norme per la formazione e l'approvazione dei piani zonali di sviluppo agricolo ' ", presentato dai Consiglieri Chiabrando, Lombardi, Penasso e Devecchi in data 14 gennaio 1981 ed assegnato alla III Commissione consiliare.



PRESIDENTE

c) Apposizione visto Commissario del Governo



PRESIDENTE

Il Commissario del Governo ha apposto il visto: alla legge regionale del 18/12/1980: "Modifica alla legge regionale 17/12/1979 n. 74, art. 25 - Commissione giudicatrice dei concorsi" alla legge regionale del 18/12/1980: "Provvedimenti per la realizzazione di impianti di depurazione degli scarichi degli insediamenti produttivi in attuazione dell'art. 20 della legge 10/5/1976 n. 319 e dell'art. 5 della legge 24/12/1979 n. 650".



PRESIDENTE

d) Delibere assunte dall'Ufficio di Presidenza



PRESIDENTE

Rendo nota la deliberazione assunta dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale nella seduta del 16/12/1980 in attuazione della legge regionale 6/11/1978 n. 65: SEDUTA DEL 16 DICEMBRE 1980 Affidamento al signor Angelo Mannino dell'incarico di provvedere al riordino delle raccolte delle "Leggi d'Italia" (EDIPEM) in dotazione agli uffici del Consiglio regionale.
Durata dell'incarico: 6 mesi a decorrere dal giorno 22/12/1980.
Spesa totale: L. 2.588.235.
Le comunicazioni del Presidente sono così terminate.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Comunicazioni della Giunta regionale sul gruppo Montedison in crisi


PRESIDENTE

Il punto nono all'ordine del giorno ci richiama alle comunicazioni d ella Giunta regionale sul gruppo Montedison in crisi.
La parola all'Assessore al lavoro, Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Assessore al lavoro

Mercoledì 14 gennaio, la Montedison ha preannunciato alle organizzazioni sindacali una serie di provvedimenti di licenziamento che si riferiscono a quasi tutti gli stabilimenti del gruppo, sull'intero territorio nazionale.
Come i giornali di questa mattina hanno riportato, la procedura di licenziamento è iniziata ieri per lo stabilimento di Castellanza per oltre 800 operai che hanno già ricevuto le lettere di licenziamento.
La questione interessa 9.509 lavoratori del gruppo Montedison, di cui 515 nel solo Piemonte. Se si aggiunge il comparto Montefibre, che per il momento non è minacciato direttamente, nel senso che non sono state comunicate intenzioni esplicite in queste direzioni, la cifra sale di altre 3.000 unità e questo mi pare offra già la dimensione del problema che abbiamo di fronte.
In Piemonte, i licenziamenti sono stati annunciati per: 214 lavoratori dello stabilimento di Villadossola 105 lavoratori dello stabilimento Ferroleghe 100 nello stabilimento di Novara 96 a Spinetta Marengo.
Esistono anche altre attività Montedison in Piemonte di minore rilevanza, ma queste non sarebbero toccate. Tali cifre sono, per il momento, ricavate da ciò che è stato pubblicato sui giornali, perch ufficialmente non esistono comunicati e per questo motivo abbiamo richiesto ed ottenuto per domani un incontro con la Direzione nazionale della Montedison, che si terrà alla presenza degli amministratori locali dei Comuni e delle Province del Piemonte, dove hanno sede gli stabilimenti in questione.
E' la prima iniziativa che intendevo comunicare. Naturalmente terr informato il Consiglio regionale degli sviluppi della vicenda.
La questione appare di particolare gravità perché le cifre complessive non riguardano essenzialmente il Piemonte, ma l'occupazione industriale di un settore così strategico come quello della chimica, in tutto il Paese. La nostra preoccupazione non deriva solo dal fatto che altre minacce di licenziamento si aggiungono a quelle di cui ci stiamo occupando per la questione Fiat ma dal terremoto di un altro settore industriale importantissimo che investe prevalentemente il sud.
I nuclei più importanti minacciati sono quelli di Priolo, di Brindisi di Casoria, di Crotone e poiché tutta l'attenzione del Paese, in questo momento, è rivolta alla ripresa produttiva e alla ricostruzione delle zone terremotate, di questo nuovo terremoto che incide in altre zone non possiamo non occuparcene e dobbiamo farlo non soltanto con l'ottica piemontese ma con l'ottica nazionale, che ci è indicata dallo Statuto e da considerazioni di politica economica generale.
La preoccupazione nasce poi dal fatto che queste decisioni, che non sono frutto di contrattazione, pare si muovano nella direzione di un'emarginazione dell'industria chimica italiana, al di fuori di qualsiasi politica concertata a livello comunitario europeo.
Occorre in questo caso partire dal necessario riconoscimento che lo stato di crisi della Montedison c'è, non è un'invenzione. Credo che questa legislatura non faccia altro che pagare il suo doveroso pedaggio di coerenza ad una questione che ci ha accompagnati dal sorgere della Regione Piemonte. Il Consigliere Paganelli ha avuto un ruolo come Assessore proprio in una vicenda che aveva tanto interesse in Piemonte, perché poteva rappresentare la prima esperienza di produzione alternativa a quella della Montedison, per cui si mossero i Comuni del Piemonte, si arrivò a fasi mai più sperimentate di ricerca e di sistemazione di terreni per attività sostitutive. La questione finì in modo negativo: i Comuni fecero tutto quello che dovevano fare, ma la Montedison cambiò decisione e non si concluse assolutamente nulla.
La crisi della Montedison la sentiamo come nostra. Conosciamo la storia del passato e sappiamo qual è stato il nostro impegno nell'occuparci di questa vicenda.
Quello che non è chiaro, nella dichiarazione dei licenziamenti è, se esiste, o meno, un piano strategico di risanamento dell'azienda e se si tratta soltanto di prendere atto di questa decisione, di contrapporvi una resistenza sindacale o non di interrogarci tutti assieme sul futuro della chimica italiana.
La questione non può che riguardare il Governo, gli organi della programmazione che devono avviare rapidamente l'attuazione del piano chimico nazionale.
A questo proposito propongo di inviare un telegramma a Pandolfi affinché convochi le Regioni interessate alla questione Montedison per verificare immediatamente a livello nazionale la portata della crisi che finisce di interessare oltre 12.000 lavoratori. Si tratta di vedere se ci sarà la ricapitalizzazione del gruppo o no; si tratta di appurare se l'azionista pubblico assolve fino in fondo il proprio ruolo. Forse subisce registra, le decisioni dell'azionista privato. La preoccupazione si accentua per il fatto che la chimica è tin settore in cui tutte le Nazioni industriali segnano un attivo. Proponiamo al Consiglio di richiedere assieme alla Giunta, che la Lombardia si faccia Regione coordinatrice degli interventi delle Regioni, così come il Piemonte è capofila per le questioni Fiat.
La Giunta si impegna a riferire in Commissione lavoro o in altre Commissioni ed in Consiglio sull'evolversi della situazione.
La Giunta non entra in giudizi più particolareggiati e più specifici intanto perché le notizie che oggi ha fornito sono quelle che risultano dagli incontri con i sindacati e dall'informatica generale del problema e poi perché l'incontro avviene domani, impostiamo una questione metodologica che sottoporremo al Consiglio, poi informeremo il Consiglio di tutte le iniziative che saranno necessarie sulla base di un'informazione più accurata che la Direzione della Montedison domani pomeriggio farà al sistema delle autonomie locali del Piemonte.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Alasia.



ALASIA Giovanni

L'Assessore ci ha portato adesso, con molto senso di responsabilità ed io credo anche con la tempestività necessaria - questo problema della Montedison e della Montefibre che, se è vero che ci impegna ormai da anni è altrettanto vero che ha assunto negli ultimi giorni dei toni ancora più allarmanti con gli annunciati licenziamenti che Sanlorenzo ricordava, i quali hanno riflessi immediati nella chimica, ma si ripercuotono anche nel gruppo fibre che per noi ha forse maggiore rilevanza.
Nel dichiarare il nostro pieno assenso alle proposte operative ed alle iniziative che l'Assessore ha avanzato qui (credo che non è solo utile, ma anche necessario l'incontro di domani per chiarire con la Montedison i termini di questi provvedimenti) vorrei fare alcune brevi puntualizzazioni che mi sembrano necessarie proprio per la storia che ci sta alle spalle e che Sanlorenzo ricordava.
Credo che certamente vi sono delle differenze fra il settore della chimica ed il settore della fibra, differenze tra l'altro anche di mercato oltreché di struttura produttiva ed occupazionale che la Regione, questo Consiglio, la sua Giunta, si è sempre dichiarata disposta ad esaminare e valutare anche nelle sue conseguenze di ristrutturazione. Questa è anche la posizione dei sindacati. Chi ha letto i giornali stamani avrà visto che la Segreteria del Sindacato Chimici dichiara la propria disponibilità a discutere anche degli esuberi, ma nel quadro di una politica industriale quella che pare non esserci in questo momento. Del resto questa Regione, e la sua Giunta, si è adoperata attivamente per ogni singolo comparto della Montedison e della Montefibre, tanto che gli ultimi accordi per il Cotonificio di Collegno, che è andato completamente a posto dal punto di vista occupazionale e produttivo, per la Ghisolfi a Tortona, per il CVS di Rivarolo, come sapete, sono stati stipulati in Regione; non parliamo poi delle vicende di Villadossola, di Verbania, di Ivrea, di Spinetta, di Vercelli e della ricerca che ancora oggi è in piedi con enorme fatica, per sistemare Lanzo, che ci hanno visti impegnati in alterne fasi, discusse a suo tempo da questo Consiglio.
Allora, si può trarre una prima conclusione: che non c'è mai stata per parte della Regione Piemonte una difesa statica ed aprioristica dell'esistente. Ci rendiamo perfettamente conto che esigenze di riconversione e di ristrutturazione oggi aperte in questi settori hanno delle connessioni (come per l'auto) su scala internazionale. Ma, quel che non riusciamo ad intuire (lo dico per il partito che rappresento; abbiamo tenuto alcuni mesi fa un convegno nazionale sulla chimica) è una seria progettualità da parte della Montedison e del Governo, per la fibra e per la chimica, che sono entrambe allo sfascio nel nostro Paese.
Nell'incontro che la Giunta aveva avuto a suo tempo con il sen. Medici esattamente il 16 novembre 1979 - ci fu in sostanza detto, ed autorevolmente dal sen. Medici, in quanto Presidente della Montedison, che mentre per il settore della fibra erano aperti seri problemi, il settore della chimica si era assestato bene e poteva così procedere ad un programma espansivo. Ancora di recente, poche settimane fa, nella sua riunione del 9 dicembre 1980, la Giunta piemontese ha assunto una delibera di parere, per progetti di ristrutturazione sulla 675, per Novara, Villa e Spinetta, per 139 miliardi e 500 milioni, parte di un programma nazionale di 1.000 miliardi per la quota relativa al Piemonte e ciò mentre si era chiuso il biossido di titanio a Spinetta, l'acetato di vinile a Villa e, sempre a Villa, si minaccia la chiusura del carburo di calcio.
La questione delle garanzie del mantenimento del livello occupazionale è stata esplicitamente richiamata in questa delibera della Giunta regionale piemontese. Allora c'è da dire "no" ai tagli occupazionali previsti nella chimica, ed in particolare in quelle situazioni economiche e territoriali che presentano una particolare gravità, come l'Alto Novarese. Qui si sono fatti sforzi, la Regione è intervenuta con l'area attrezzata, ha dato delle indicazioni privilegiate per la 902, ha fatto a suo tempo un accordo con lo stabilimento di Verbania per la formazione professionale, per assecondare la ricerca di quelle che vennero chiamate attività sostitutive, delle quali non abbiamo visto niente nell'Alto Novarese.
La Montedison deve darci una sua progettualità di sviluppo e potenziamento del settore se ha un senso questa richiesta di 1.000 miliardi sul piano nazionale. In quest'ambito credo che si dovranno vedere poi le singole produzioni (come per esempio la progettata chiusura del carburo di calcio a Villa che, a quanto ci consta, è una produzione quasi esclusiva in Italia) e solo in questo ambito vedere quali riutilizzi interni si debbono fare per la manodopera.
Per quanto riguarda la fibra si sapeva da sempre che saremmo arrivati alla conclusione dell'amministrazione controllata: ebbene, il subentro del consorzio di banche avrà al suo interno una presenza Montedison.
Anche qui si devono capire i progetti complessivi del gruppo, perché i sacrifici che erano stati ipotizzati da tempo al nord, parlo di Vercelli Verbania, Ivrea, erano stati presentati come esigenza di sviluppo al sud e del decollo dello stabilimento di Acerra.
Ora pare che i tagli dovrebbero venire in tutta l'area nazionale, come ricordava l'Assessore. Anche qui, quindi, rivendichiamo di essere messi in grado di discutere il piano complessivo della chimica e della fibra; poi di qui in avanti, vedere le questioni degli esuberi che certamente si pongono perché, come l'Assessore diceva, siamo in presenza di una crisi reale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Prendiamo atto della comunicazione del Vicepresidente Sanlorenzo e, per quello che riguarda gli interventi immediati, cioè l'incontro con la Direzione della società e con i Sindaci dei Comuni interessati, e poi la richiesta al Ministro dell'Industria Pandolfi di assumere iniziative per una valutazione complessiva, certamente concordiamo.
Non possiamo non vedere con preoccupazione questo nuovo fatto che colpisce un'industria nazionale, che sembrava arrivata a superare le proprie difficoltà, e le ripercussioni che questa crisi ha a livello nazionale e piemontese.
E' indubbiamente un fatto diverso dalla questione Fiat: tocca il Piemonte e a livello nazionale ha anche delle implicazioni in qualche modo più complesse: una crisi quindi diffusa, che colpisce un complesso di stabilimenti e crea delle difficoltà occupazionali in zone che sono già fortemente colpite. Per quanto riguarda il Piemonte, anche se escludendo il fatto Montefibre il numero appare marginale, la situazione è grave proprio perché si colpiscono delle zone dove le alternative sono scarse. Nel Novarese - come diceva Alasia - c'è un'area attrezzata, però esse non bastano se non esiste un accordo con le imprese nel riequilibrio territoriale e nella rilocalizzazione. Anche la crisi Montefibre, in definitiva, ha depauperato delle zone anch'esse in grave difficoltà a beneficiare di rilocalizzazioni; il caso di Lanzo è emblematico, tra l'altro è una di quelle situazioni in cui la cassa integrazione sta arrivando ai trenta mesi, con le conseguenze che, come il Vicepresidente ben sa, possono emergere. Questo fa seguito alla chiusura senza ritorno, di Pessinetto negli anni precedenti, quindi ad una situazione veramente grave in determinate vallate.
Il problema esiste dunque e, in qualche modo, dobbiamo affrontarlo con realismo, perché dobbiamo prendere atto che l'azienda probabilmente cerca una via di economicità, proprio nell'ottica di quel discorso di ricapitalizzazione cui ha fatto cenno Sanlorenzo.
Non soltanto c'è una crisi aziendale, ma c'è una crisi delle grandi imprese che è comune all'Europa, e non soltanto ad essa, in determinati settori, la quale impone scelte di economicità. Si tratta di conciliare la ricerca dell'economicità aziendale con la necessità di mantenere l'occupazione.
Noi sappiamo che per la ricapitalizzazione l'IRI sta compiendo uno sforzo enorme (c'è tutta la ricapitalizzazione del settore telefonico delle banche di interesse nazionale); c'è la ricapitalizzazione da parte dell'ENI, della SIR e della Liquichimica, senza di che queste aziende non possono ripartire.
Il ricorso alla ricapitalizzazione con capitale privato, in una società come la Montedison, che è pubblica, ma che puntava alla riprivatizzazione probabilmente esige, in questo momento, che la Montedison abbia una capacità di presentare conti economici che meglio corrispondano a quelle che sono le esigenze degli operatori privati. In questo momento c'è una favorevole accettazione degli aumenti di capitale da parte del mercato (cioè sostanzialmente da parte del risparmio) però indirizzata verso quelle società che hanno dei conti economici positivi. Non può certamente dirigersi verso quelle società che non hanno risolto la propria situazione economica e quindi non possono dare per il futuro delle garanzie al risparmiatore circa il ritorno dei capitali investiti. C'è questo grosso problema al centro della Montedison e non a caso i sindacati come prima posizione, credo, vorranno chiarire proprio il discorso finale sulla Montedison, cioè il discorso della riprivatizzazione e delle condizioni che essa richiede.
Siamo tutti contrari all'allargamento dell'area pubblica nell'industria italiana, però occorre si creino le condizioni per cui ciò sia possibile cioè la competitività, la capacità di operare. Quindi il problema è grosso perché ha questa duplice faccia: la necessità di garantire i posti di lavoro e di rilanciare l' azienda, allo stesso tempo ottenendo quell'economicità che è garanzia del ritorno nell'area privata di questo grosso complesso. E' un problema che tocca anche il Piemonte.
Abbiamo visto di fronte a questa crisi, con una certa sorpresa, nelle dichiarazioni fatte per il consuntivo di fine anno, posizioni abbastanza contraddittorie: da un lato abbiamo sentito Simonelli dire che la crisi non c'è, particolarmente in Piemonte; dall'altro abbiamo sentito Rivalta dire invece, che la crisi c'è, eccome. Noi abbiamo la sensazione che la Giunta di fronte a questo problema non abbia piena contezza di quella che è la situazione industriale e produttiva del Piemonte e che non la abbia analizzata attentamente, soprattutto in vista di quello che dovrà essere il nuovo piano di sviluppo della nostra Regione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente, ritengo che parlare di privato nel campo della chimica e delle fibre sia fuori luogo perché tutti i capitali privati (che peraltro erano pubblici) sono stati completamente divorati, quindi, il concetto del privato in questo campo è astratto perché tutti i gruppi chimici, petrolchimici e delle fibre hanno divorato 6-7.000 miliardi e tutto è diventato pubblico per necessità, per il semplice fatto che i capitali pubblici dai privati non sono più stati restituiti.
Parlare di riprivatizzazione del capitale è molto difficile. Il discorso deve essere invece allargato ad una programmazione generale della chimica e delle fibre all'interno del nostro Paese, ma anche a livello mondiale, così come si sta aprendo per l'automobile. E' stata insediata un'apposita Commissione e a questo proposito non possiamo permettere che le Commissioni parlamentari o governative operino a distanza costringendo le Regioni a recepire soltanto le indicazioni che vengono date.
Se da un lato apprezziamo l'azione che il Ministro Demichelis conduce nell'ambito delle Partecipazioni Statali, dall'altro dobbiamo dire che, per un verso o per l'altro, tutto quanto è ricondotto nell'ambito del pubblico deve avere il nostro contributo.
Dobbiamo saperci collocare nello scontro mondiale che ormai si è aperto. Ci sono i colossi americani, tedeschi, inglesi e francesi e la crisi della Montedison collocata in questo quadro generale.
Vorrei rispondere a Brizio. Noi socialisti rispetto al problema della crisi abbiamo una nostra precisa idea: il sistema occidentale non è esente da crisi, d'altronde non ne è esente nemmeno quello dell'est. Il dominio dell'economia globale avrebbe eliminato la crisi e i fenomeni inflattivi la realtà ha dimostrato invece che il fenomeno di crisi percorre la nostra società e percorre anche quelle società che la volevano superare in modo diverso.
Noi siamo per la società occidentale e percorriamo la lunga strada della società occidentale. La nostra scelta è ben precisa. Noi abbiamo detto che non c'è crisi, abbiamo detto che di sono dei settori in crisi ed altri fiorenti, talché il rapporto lordo generale nel nostro Paese è aumentato nel 1980 in misura consistente e superiore alle attese. Occorre trovare momenti di autentica riforma dall'interno, che contribuiscano a superare la crisi e qui, probabilmente, l'accordo non c'è più. Noi siamo perché all'interno si operino vaste azioni di riforma che ti riconducano al meglio delle grandi democrazie europee nelle quali ci troviamo. Ma non sempre siamo d'accordo: ci unisce il disegno generale, ma ci dividono i modi e i mezzi per raggiungerlo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, innanzitutto ci permettiamo considerare la comunicazione fatta dall'Assessore al lavoro come una risposta all'interpellanza urgente che abbiamo presentato per avere informazioni sul piano Montedison.
Una risposta che - ti rendiamo conto - non poteva andare oltre i limiti nei quali il Vicepresidente Sanlorenzo l' ha contenuta. Siamo in una fase fluida e abbiamo appreso con interesse la notizia di un incontro fissato per il pomeriggio di domani con la Direzione nazionale della Montedison.
Naturalmente chiediamo di essere tempestivamente informati dei risultati che questo incontro potrà produrre. Vogliamo solo aggiungere, a commento di quanto abbiamo udito, che abbiamo l'impressione che la crisi Montedison ci sia effettivamente, ma che sia anche dovuta, oltre che ad obiettive difficoltà di mercato, di concorrenza, a ragioni di manovre finanziarie. Lo diciamo chiaramente e vorremmo essere il più possibile rassicurati su questo punto, in quanto non è pensabile che si debbano privare decine e centinaia di posti di lavoro unicamente per manovre d'ordine finanziario.
Siamo d'accordo che questo è un grande problema che interessa tutta la Nazione e che va quindi riguardato con un'ottica non strettamente regionale, vogliamo però fare presenti - e raccomandazioni in questo senso ne sono venute anche da altre parti - le situazioni particolari e di estrema tensione che esistono qui in Piemonte e che riguardano in particolare il settore delle fibre.
L'Assessore Alasia citava il caso dello stabilimento di Villadossola del gruppo Montedison. Abbiamo letto sui giornali di questi giorni che addirittura si minacciano circa 200 licenziamenti per la chiusura del reparto di carburo, uno degli ultimi in Italia per questa produzione. Ci siamo appuntati una frase che Alasia aveva detto un tempo: "la chiusura del reparto carburo costringerebbe le aziende che usano questo prodotto a rifornirsi all'estero con un aggravio della bilancia dei pagamenti".
Questo è un caso specifico atto a dimostrare che non c'è una crisi di produttività, in quanto la chiusura eventuale di questo reparto potrebbe rispondere soltanto a manovre d'ordine finanziario. Nulla diremo sulla situazione tragica di Verbania, dove nel '72 i dipendenti della Montefibre erano 4.450 e oggi, da notizie di giornali, apprendiamo che si parla di una riduzione entro il 1983 a 1.560 unità: questo il ridimensionamento che ha avuto nell'arco di un decennio lo stabilimento di Verbania e che tuttavia si è voluto in parte giustificare - ricordiamo quanto ci venne detto a suo tempo - con la necessità di rilanciare lo stabilimento di Acerra. Questa situazione va tenuta ben presente sia pure agendo nel quadro di un'ottica non piemontese, ma nazionale. Soprattutto, non lasciamoci ancora una volta illudere che riduzioni di personale possano essere compensate con manovre di insediamenti sostitutivi. Ne abbiamo avuto, proprio a Verbania, una durissima esperienza! Il Vicepresidente alludeva al fatto di Mergozzo noi ci permettiamo di dichiarare che è stata soprattutto una solenne presa in giro a fronte dell'opinione pubblica da parte della Direzione aziendale. Non vogliamo che questo abbia ancora a ripetersi e raccomandiamo in particolare che si tengano presenti i casi di Villadossola, di Verbania, dell'Alto Novarese che è diventato ormai una zona di completo disinvestimento industriale e che certamente non potrebbe reggere a questo nuovo durissimo colpo che pu essere portato dalla Montedison alla sua economia.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Ringrazio l'Assessore per le informazioni fornite. Sono d'accordo cori le iniziative da lui annunciate e brevemente vorrei esporre alcune opinioni rispetto a questo problema della chimica e della Montedison, anche perch sono dell'avviso che le crisi non piovono dal cielo e che nel dare alcune risposte ai problemi bisogna anche individuare i livelli di responsabilità.
A me pare che in questa vicenda Montedison si cumulino una serie di contraddizioni e un livello di sfascio notevole: fino a pochi mesi fa l'attuale Presidente Mario Schinberni annunciava - di fronte ad un attivo di 30 miliardi nel primo quadrimestre - per l' 80 ottime prospettive; oggi ci annuncia i licenziamenti. Lo sfascio in questo settore è notevole ed è testimoniato dai 3.000 miliardi di deficit.
Oggi, credo, non sfugga a nessuno che i licenziamenti dei 13.000 lavoratori, in qualche modo, rappresentano la volontà di liquidare 0 ridimensionare in maniera decisiva questo settore e la Montedison in particolare. Questa decisione che sembra già in stato avanzato, è tanto più grave in un campo che porterebbe la nostra economia ad una sempre maggiore dipendenza rispetto alle multinazionali internazionali, un settore, tra l'altro, che ha perso negli ultimi anni 10.000 unità in termini di occupazione.
Questa scelta mi sembra dimostrare un disimpegno sostanziale della Montedison ed è maggiormente aggravata dal fatto che, purtroppo, l'Italia nel settore chimico ha accettato di diventare un po' la "pattumiera d'Europa", accettando le produzioni più nocive e più inquinanti ed oggi, di fronte ad una crisi di quelle produzioni, invece di attrezzarsi in termini di ricerca decide di andare ad un ridimensionamento del settore che porterebbe, probabilmente, ad una dipendenza completa del nostro Paese da altri.
Un altro aspetto preoccupante in questa vicenda Montedison mi sembra il fatto che con la trasformazione in holding della Montedison, questa azienda tenda a privilegiare sostanzialmente la commercializzazione del prodotto diventando sempre più un'impresa commerciale, affidando la produzione alle piccole e medie aziende; rispetto a questa scelta, infatti, ci risulta che la Montedison abbia creato un circuito parallelo di produzione in piccole e medie aziende e quindi i licenziamenti sono in funzione di questa scelta.
Un altro aspetto che fa pensare ad obiettivi contrari allo sviluppo del settore, è la vicenda di Castellanza, un po' emblematica. E' uno stabilimento largamente inattivo e non si capisce perché qui dovrebbero arrivare dei licenziamenti; eppure, è il primo stabilimento in cui, invece si effettueranno i licenziamenti: indubbio che si voglia affossare un'esperienza, probabilmente unica in Italia, di controllo operaio rispetto alle condizioni di lavoro, ma anche rispetto all'ambiente, di battaglie sociali rispetto a tutta l'esperienza sulla salute che si è fatta in questa azienda.
Ricordiamo qui il Consiglio di fabbrica, i lavoratori stessi della Montedison di Castellanza, hanno investito la Presidenza del Consiglio regionale del Piemonte, durante la battaglia dei mesi scorsi, per evitare lo smantellamento dello stabilimento che è unico in Italia, per cui sarebbe poi necessario andare ad utilizzare ricerche fatte all'estero.
Mi sembra, quindi, che rispetto a tutta questa problematica sia necessario individuare soluzioni che mantengano drasticamente i livelli occupazionali; certamente, rispetto a questo punto non possiamo non dirci che il Governo ha grossissime responsabilità, essendo un'azienda pubblica per cui per il mantenimento dei livelli occupazionali è necessario andare subito ad un confronto sul piano di risanamento, con il Governo e con il Ministro delle Partecipazioni Statali.
Credo sia anche il caso - è mia opinione personale - di incominciare a verificare se questo gruppo dirigente della Montedison è ancora in grado di condurre l'azienda o se, invece, non sia il caso di rimuoverlo.
Ho finito. Annuncio che è mia intenzione proporre in quest'aula un ordine del giorno che sottolinei la preoccupazione del Consiglio e delle forze politiche rispetto al problema Montedison.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Esame "Nuovo Statuto della Consulta femminile regionale del Piemonte"


PRESIDENTE

Passiamo ora al punto quinto all'ordine del giorno: Esame "Nuovo Statuto della Consulta femminile regionale del Piemonte".
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Viene oggi sottoposto alla nostra approvazione il nuovo testo dello Statuto della Consulta femminile. Testo che - non si scandalizzi nessuno per le nostre affermazioni - riteniamo non sincero, antidemocratico elitario, fazioso ed addirittura disatteso dalle stesse consultrici. Lo dimostreremo.
Recita l'art. 2 al punto 2: "La Consulta favorisce l'effettiva partecipazione di tutte le donne all'attività politica economica e sociale della comunità regionale". Tutte le donne? Non ci pare, perché le donne aderenti al MSI-DN e le lavoratrici della CISNAL sono escluse dalla stessa Consulta. Continua sempre l'art. 2, questa volta al punto 3: "La Consulta promuove il pieno inserimento della donna in posizione di effettiva parità nella società". Ma poi l'effettiva parità viene negata perfino all'interno della Consulta, cioè nell'organo che dovrebbe battersi per la parità.
Le affermazioni contenute in questo articolo, pertanto, non corrispondono a verità.
L'art. 3, viceversa, se fosse applicato secondo le sue enunciazioni non potremmo che approvarlo. Si legge, infatti, in quell' articolo : "Possono far parte della Consulta le forze femminili democratiche organizzate nei partiti o nelle associazioni.. .". Perché, allora, la discriminazione nei confronti delle donne del MSI-DN? Non sono democratiche? Ma in base a quali canoni? Colleghi Consiglieri, non ci sfiora certo l'intendimento di iniziare una disquisizione storica o filosofica sul concetto di democrazia. Ci limitiamo a dire che se l'Italia ha un suo reggimento democratico democratiche sono quelle forze che ne accettano le regole sottoponendosi al giudizio degli elettori. Come fa il MSI-DN, che è presente per volontà degli elettori in tutte le assemblee, che conta rappresentanti femminili nei vari consessi, anche in Piemonte; e al quale i suoi elettori chiedono di portare il proprio contributo di suggerimento e di proposte nella soluzione dei problemi che affaticano la nostra società.
Queste sono le regole del .gioco democratico alle quali venite meno voi, quando, discriminando una parte politica, le impedite di assolvere al mandato avuto dal corpo elettorale.
Con l'art. 4 siamo davvero all'intolleranza e all'elitarismo, dove per "razza eletta" si intendono le donne dei "partiti democratici è antifascisti" e per "paria" le donne che Militano nel MSI-DN o che per questo partito votano. Insomma, le nostre consultrici pretendono di lottare per la parità di tutte le donne, ma poi si arrogano il potere (non si sa se per diritto divino o di arco costituzionale) di costringere all'emarginazione donne italiane - elette ed elettrici - civilmente impegnate a portare il loro contributo per una migliore organizzazione della società. E con le quali, le donne dei "partiti democratici ed antifascisti", se sicure delle proprie convinzioni, dovrebbero cercare, e non evitare, il confronto: per solidarietà di donna e per buon costume democratico.
Queste le ragioni prime che ci indurranno a votare contro lo Statuto della Consulta femminile che, a nostro avviso, il Consiglio stesso dovrebbe bocciare, almeno per non dare al Piemonte la palma della faziosità, se è vero, come è vero, che in al tre Regioni alle Consulte femminili partecipano anche le donne del MSI-DN.
A questo punto intendiamo fare qualche altra considerazione: per dovere di amministratori e per dimostrare la veridicità della nostra affermazione iniziale secondo cui le consultrici stesse hanno disatteso lo Statuto.
Per la verità ci saremmo attesi che, insieme al nuovo Statuto da approvare, la Consulta ci proponesse il consuntivo del lavoro svolto almeno a scopo di documentazione - perché il Consiglio regionale deve essere informato del come svolgono la loro attività e quali risultati ottengono associazioni che, se pur consultive, gravando sul bilancio regionale, usufruiscono di denaro pubblico.
Ci dispiace sinceramente che la Consulta femminile non abbia avuto questa sensibilità, che poi altro non sarebbe stata che concretezza di lavoro e di collaborazione, oltre che atto dovuto. Sta infatti scritto all'art. 2, punto 3, dello Statuto che la Consulta "promuove indagini conoscitive e ricerche sui problemi relativi alla condizione femminile". E ancora al punto 1: "La Consulta contribuisce attivamente all'elaborazione della programmazione, pianificazione, legislazione regionale, con particolare riferimento alla condizione di vita e di lavoro della donna".
Ebbene, colleghi Consiglieri, quando mai abbiamo qui discusso una sola legge suggerita o proposta dalla Consulta; o quali mai documenti abbiamo avuto dalla Consulta a sostegno del nostro lavoro? Eppure non era neanche necessario uno sforzo di fantasia per individuare i problemi che nella realtà umana, sociale ed economica del Piemonte interessano le donne ed abbisognano di soluzione.
Un esempio: il 70 % dei 900.000 impegnati nel settore tessile - arco portante dell'economia della nostra regione - sono donne. Il settore è in crisi e perde unità lavorative. Che cosa ha proposto la Consulta, a parte i 6 milioni a suo tempo stanziati dalla Regione, perché la triplice sindacale organizzasse manifestazioni folcloristiche di sostegno? Con quali iniziative di studio, di ricerca, di proposta si intende affrontare il grave problema dell'esplosiva richiesta di lavoro femminile? Che cosa ha fatto la Consulta per cercare ipotesi di soluzioni o vie alternative? Perché non impegnarci (e cito a caso alcuni temi, ma altri ce ne sarebbero) per evitare e prevenire l'uso scorretto del part-time, che in gran misura interessa le donne, opponendo le necessarie tutele attraverso una normativa che scaturisca da una contrattazione collettiva e risolva i problemi contributivi legati al trattamento previdenziale ed assistenziale? Ancora, hanno dimenticato le nostre consultrici che delle molte centinaia di migliaia di lavoratrici "nere", tante, tantissime sono piemontesi? Che cosa propongono perché questo lavoro non controllato, non sostenuto da provvedimenti opportuni: nero quasi per necessità, esca dalla clandestinità? Non si rendono conto che essendo la donna a dare (e a voler dare) un contributo ingente al lavoro a domicilio, tutelare e disciplinare questo settore significa migliorare la condizione della donna nella società ed offrirle vie alternative alla disoccupazione? E perché non hanno appoggiato le richieste delle casalinghe - ne tono giunte anche alla passata Presidenza del Consiglio e segnatamente all'allora Presidente Sanlorenzo - che vogliono un loro assegno non per monetizzare questo lavoro, ma per testimoniarne il valore sociale e dare alla donna un'altra possibilità per essere più: libera nelle sue scelte di vita? E l'istruzione professionale femminile - essenziale per consentire un inserimento non marginale del lavoro della donna nel processo produttivo quanto ha camminato nella nostra Regione per merito dei consigli della Consulta femminile? E, sulle leggi socio-sanitarie, niente ha avuto la Consulta da proporre o da chiedere? Allora, crediamo che dovrebbero per lo meno arrossire di imbarazzo le donne della Consulta per non aver costretto - sì, proprio costretto - gli Enti interessati, a cominciare da questo Consiglio, ad affrontare - e non con l'acquisto dei libri del Centro Abele - ma con il rigore scientifico e la solidarietà umana necessari, il dramma della droga.
Possibile che, proprio come donne, non sentano il bisogno di ribellarsi contro l'inerzia del potere pubblico e la mancanza di strutture? O non ne hanno il coraggio? O hanno deposto sulle sedie della Consulta tutto il loro furore pro-emarginati? (Magari traducendolo nel loro Statuto in crociata pro-emarginazione delle donne di destra)? Ci sembra piuttosto vuoto il paniere delle nostre consultrici - o pieno soltanto di tavole rotonde e di qualche viaggio -; il fallimento di questa Consulta è nelle cose (nelle cose non fatte). Non è riuscita neppure a far notizia: è ignorata. E per la verità non merita altri sentimenti, dal momento che non ha saputo vivere ed interpretare le ansie, le aspirazioni i problemi delle donne piemontesi; venendo, altresì, meno a quei doveri così solennemente sanciti al punto 1 dell'art. 2 dello Statuto che già abbiamo ricordato.
Lo slogan programmatico poi, "Lavorare per rendere migliore e più uguale la donna" è davvero un non senso: primo, perché non si rendono migliori e più uguali le donne discriminandone - addirittura per Statuto una parte; secondo, perché nessun lavoro utile è stato fatto per le donne della nostra regione; terzo, perché la donna piemontese non ha bisogno di migliorarsi o di uguagliarsi (a chi o a che cosa poi? ). Se mai, ha bisogno che ci si impegni a risolvere le sue difficoltà di donna che non trova occupazione; ad affrontare i suoi problemi di donna che, lavorando, non riesce a conciliare l'attività esterna con quella familiare; a sostenerla nella sua preoccupazione di donna che è madre; e ancora ha bisogno che la si aiuti a prendere coscienza di una personalità non inferiore n superiore, solamente diversa da quella dell'uomo, ma indispensabili l'una e l'altra allo sviluppo armonico della società.
Ecco una parte del vasto campo in cui avrebbero potuto - anzi, dovuto operare le donne della Consulta per poi dare al Consiglio regionale materia di lavoro onde contribuire davvero alla "programmazione, pianificazione e legislazione regionale", come vorrebbe lo Statuto. Ma così non è avvenuto e la riprova sta nel programma presentato dalla Giunta, che ignora totalmente lo abbiamo già detto in altra occasione - qualsiasi problematica femminile.
Certo con più dignità e concretezza avrebbe potuto agire l'Assessorato per la condizione femminile proposto dal MSI-DN. Ma le donne della Consulta, le donne dei partiti "democratici ed antifascisti" non hanno voluto sostenere quella proposta: all'interesse di tutte le donne hanno preferito la faziosità di parte. Crediamo sia stata una battaglia perduta per le donne piemontesi; così come crediamo che se questo Statuto - che sancisce divisione, discriminazione, ghettizzazione per talune donne, per volontà di altre donne - sarà approvato, molti passi indietro si faranno sulla strada della solidarietà femminile e nell'agire concreto in favore di quei problemi che non consideriamo esclusivi della donna, ma che sicuramente vedono la donna protagonista prima.
Torniamo a chiedere ancora una pausa di riflessione prima del voto a questo Consiglio. Questo Consiglio regionale che ha avuto l'alto merito di essere primo in Italia ad istituire una Consulta femminile, non pu perpetuare in continuo una discriminazione che non ha ragione d'essere e soprattutto non trova riscontro in altre Consulte di altre Regioni. Se questo non avverrà saremo costretti a votare contro lo Statuto.



PRESIDENTE

La parola alla collega Ariotti.



ARIOTTI Anna Maria

Vorrei intervenire su due punti, che sono stati fatti presenti da parte del collega Carazzoni e che dimostrano, secondo me, una non conoscenza del lavoro svolto dalla Consulta femminile.
Innanzitutto, sono sempre esaminate le leggi che hanno interesse per la Consulta e che riguardano, anche solo lontanamente, i problemi da essa trattati. Ma la Consulta non si limita ad esaminare le proposte o le leggi presentate sia dalla Giunta che dai singoli Consiglieri; su alcune v'è stata la presa in esame, un giudizio negativo, quindi un rifiuto di farle proprie e di portarle avanti. Come, ad esempio, quella relativa alla richiesta dello stipendio per le casalinghe. Su altre si è deciso positivamente. Si è organizzato un lavoro per Commissioni ed esse hanno proceduto proprio sul terreno indicato dal Consigliere Carazzoni esaminando la condizione del lavoro femminile e la formazione professionale.
Tutto questo si è tradotto in documenti, come l'indagine sui servizi sociali, di notevole livello, o addirittura in leggi che il Consiglio regionale ha votato. La tutela del bambino negli ospedali ha avuto la convergenza di due proposte di legge, una proposta dal Consigliere Marchini, se non sbaglio, e l'altra portata avanti dalla Consulta femminile.
Il Consigliere Carazzoni deve ricordare che è stata votata una legge in cui il lavoro svolto dalla Consulta femminile è stato determinante.
Potrei accettare il consiglio che di tutto questo lavoro sia data una documentazione più esplicita (anche se è sufficiente che ognuno di noi si informi).
Vorrei intervenire anche su un altro punto, che a me sembra il più interessante: un'accusa di discriminazione. Su questo dobbiamo essere molto chiari. Ricordo che all'atto costitutivo della Consulta le associazioni femminili, all'unanimità, decisero di dare al nuovo organismo un chiaro indirizzo di affermazione dei valori democratici, di libertà, e quindi antifascisti. La revisione dello Statuto ha riconfermato questi principi.
Il Consiglio regionale non fa che rib adire la volontà esplicitamente espressa dalle associazioni femminili, che non sono tutte rappresentazione di partito, anzi, la maggior parte è espressione autonoma della struttura sociale; volontà che è condivisa da tutte le forze politiche dell'arco costituzionale. In questo momento, perciò, non faremmo che ribadire l'operato, attraverso anni di lavoro e la volontà condotta dalle associazioni autonome che dobbiamo rispettare e che tutte le forze dell'arco costituzionale hanno riconosciuto.



PRESIDENTE

La parola alla collega Vetrino.



VETRINO Bianca

Mentre annuncio il voto favorevole del mio partito allo Statuto rinnovato, della Consulta regionale piemontese, colgo l'occasione per evidenziare come questa sia un'occasione per compiacerci, ancora una volta dell'esistenza della Consulta regionale femminile (la prima in Italia, tra l'altro) che credo abbia dato nei suoi primissimi anni di attività un contributo considerevole ai problemi riguardanti più direttamente la tematica femminile.
Io non credo che il programma regionale, che aveva molte carenze per molti aspetti, accusasse mancanze circa gli aspetti femminili. Le donne rifiutano l'esistenza di problemi femminili nella società: ci sono dei problemi, nella società, che per la loro tematica hanno bisogno di un maggiore confronto all'interno delle associazioni femminili, delle Commissioni femminili di partito, e per questo esiste la Consulta regionale femminile. Rifiuto di considerare i problemi sotto questo aspetto, quindi non accetto l'affermazione fatta dal Consigliere Carazzoni, così come non condivido la tesi della discriminazione. Le donne hanno liberamente scelto le loro rappresentanti nella comunità piemontese; se da questa è risultato escluso un gruppo, ciò non toglie comunque che l'elezione sia stata naturale. D'altra parte, se dobbiamo considerare quello che ha rappresentato il fascismo per la donna, negli anni del suo fulgore, un periodo di vituperio, abbandono, di considerazione nulla della donna, non possiamo pensare che ciò sia dimenticato. Quindi, non c'è stata discriminazione, ma una scelta responsabile, attuale.
Credo anche che la Consulta femminile debba essere maggiormente considerata da parte del Consiglio regionale negli anni a venire.
L'osservazione che ha fatto Carazzoni è giusta: è mancata nell'ambito del Consiglio un'analisi, una valutazione della sua attività. Le donne hanno fatto al loro interno questa valutazione, nel momento in cui la Consulta si è rinnovata, c'è stato un programma molto dettagliato, molto preciso e responsabile, relativo ai problemi ai quali è più direttamente interessata è mancata probabilmente questa elencazione, questo programma al Consiglio regionale.
Raccolgo questa sollecitazione ed essendo consultrice, mi farò parte attiva nel presentare alla Consulta questa richiesta e se questo pu favorire un maggiore collegamento tra il Consiglio e questo organo a latere, che è la Consulta stessa, tanto di guadagnato.
Ritengo, quindi, che sia anche un'occasione questa, per fare degli auguri alla Consulta appena insediata, che abbia la possibilità negli anni a venire di lavorare secondo i suoi obiettivi fondamentali, quelli cioè di contribuire a risolvere tutti i problemi della comunità piemontese attraverso l'apporto di un impegno più diretto della responsabilità della donna.



PRESIDENTE

Possiamo mettere in votazione la deliberazione relativa all'approvazione dello Statuto della Consulta femminile. Ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale vista la propria deliberazione n. 59 - C.R. 811 del 5 febbraio 1976 con la quale si istituiva la Consulta femminile regionale del Piemonte e se ne approvava il relativo Statuto preso atto che quest'ultimo prevedeva - all'ultimo comma del suo unico articolo - che 'Le proposte di Modifica dello Statuto devono ottenere la maggioranza dei due terzi dei componenti là Consulta e sono poi presentate al Consiglio regionale per l'approvazione' vista la lettera in data 12 dicembre 1980 con la quale il Presidente della Consulta comunica che la Consulta stessa ha provveduto ad approvare con la maggioranza richiesta - un nuovo testo del proprio Statuto vista la legge regionale 14 gennaio 1977, n. 6, modificata con legge regionale 11 agosto 1978, n. 49 delibera di approvare il nuove Statuto della Consulta femminile regionale del Piemonte, nel testo allegato".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata con il seguente esito: presenti e votanti 41 favorevoli 39 Consiglieri contrari 2 Consiglieri Comunico che il Consiglio proseguirà i suoi lavori nel pomeriggio con appuntamento alle ore 15,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,35)



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