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Dettaglio seduta n.321 del 26/03/85 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interrogazione del Consigliere Genovese, inerente lavori che comportano rischi


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto ventottesimo all'ordine del giorno: "Interrogazioni e interpellanze", si discute l'interrogazione del Consigliere Genovese inerente lavori che comportano rischi.
Risponde il Presidente Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

In riferimento all'interrogazione avanzata in data 21/2/1985 prot. n.
2132/1095 di cui all'oggetto, si fa presente quanto segue.
La L.R. 16/8/1984 n. 40 in materia di recepimento dell'accordo relativo al contratto nazionale di lavoro per il personale della Regione introduce all'art. 31 fra le indennità fisse previste nel trattamento economico spettante al personale, quella che compete esclusivamente a chi, inquadrato nella quarta e nella terza qualifica funzionale, è destinato a prestazioni comportanti condizioni di particolare esposizione a rischio in settori che è la stessa legge ad indicare.
In realtà le figure professionali nell'ambito dell'amministrazione regionale che svolgono attività considerata rischiosa dalle norme in materia di assicurazioni obbligatorie e come tali "tabellate" dall'Inail sono molteplici. E comunque trattasi di attività non sempre svolte esclusivamente da personale inquadrato nella 3^- e 4^ qualifica funzionale.
La L.R. 40/1984 succitata, invece, oltre a limitare l'individuazione dei soggetti cui deve essere corrisposta tale indennità, limita anche a chi è inquadrato nelle qualifiche suddette le attività ritenute rischiose, e le comprende in una elencazione nella quale non rientra il personale di che trattasi, vale a dire gli autisti.
In particolare l'allegato succitato considera rischiose tra le altre le prestazioni che comportano il trasporto con automezzi di cose, con eventuali operazioni accessorie di carico e scarico.
Gli autisti in servizio presso l'amministrazione regionale sono tenuti esclusivamente alla guida di automezzi e di conseguenza non rientrano nella casistica prevista dalla legge.
Questa amministrazione, tuttavia, in sede di trattativa sindacale per l'applicazione del contratto regionale, era propensa ad una interpretazione estensiva di tale norma, comprendendo fra gli aventi diritto a tali indennità anche gli autisti, ma tale interpretazione non ha avuto il consenso delle organizzazioni sindacali che si sono opposte richiedendo specificatamente l'applicazione letterale dell'allegato A) L. 5 del 16/8/1984 n. 40.
L'indennità di rischio è stata invece riconosciuta al personale addetto a prestazioni che comportano il trasporto con automezzi fuori strada ed altri veicoli di cose con eventuali operazioni di carico e scarico.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Genovese.



GENOVESE Piero Arturo

Signor Presidente, io non sono uno che ricorre frequentemente alle interrogazioni ed alle interpellanze, lo faccio quando normalmente non si riesce ad avere una risposta convincente in sede diversa. Mi ero rivolto in via informale al Presidente in merito a questo problema e per la verità per i problemi che riguardano in generale gli autisti fin dal 1982 avevo aperto una discussione con l'Assessore Testa in I Commissione. Nella prima risposta che mi è stata data attraverso un promemoria che mi ha convinto a presentare l'interrogazione, si richiamavano le cose che anche nella risposta del Presidente ora sono contenute e cioè che la figura professionale dell'autista non rientrerebbe tra quelle del terzo e quarto livello sottoposte a rischio, in quanto non sono addetti al trasporto con automezzi pesanti di cose.
Il Presidente ha aggiunto che questa interpretazione estensiva sarebbe stata data dalla Giunta, ma sarebbe stata rifiutata dalle organizzazioni sindacali che avrebbero richiesto l'interpretazione letterale dell'allegato A alla legge regionale che poi in fondo è la trascrizione esatta, e non poteva essere diversamente, dell'allegato B del contratto di lavoro per i dipendenti regionali nel contratto nazionale di lavoro.
Sono insoddisfatto e mi dico sorpreso e di quello che ha detto il Presidente e di quello che avrebbero detto i sindacati. Duramente sorpreso perché si tratta di un'interpretazione letterale dell'allegato b) del contratto dei dipendenti delle Regioni che è trascritto letteralmente nell'allegato A alla legge regionale e che recita: "prestazioni di lavoro che comportano in modo diretto e continuo esercizio di trasporto con automezzi" mentre nella risposta data dal Presidente della Giunta si dice che "gli autisti in esercizio presso l'amministrazione regionale sono tenuti esclusivamente alla guida di automezzi".
E gli automezzi sono compresi nell'allegato B: "Trasporto con automezzi, autotreni, autoarticolati, scuolabus, mezzi fuori strada ed altri veicoli per trasporto di cose".
Ma non si può dire, come viene affermato nella risposta e come già mi era stato detto informalmente, che l'indennità di rischio compete solo a chi guida automezzi pesanti per il trasporto di cose.
L'allegato afferma il contrario, perché lo scuolabus non è atto al trasporto di cose e l'automezzo neanche. L'allegato cita nell'elenco gli automezzi, nella risposta invece si dice che sarebbero esclusi. Se io facessi parte della categoria degli autisti, farei ricorso nei confronti di questo atteggiamento tenuto dalla Regione, perché è chiaro che qui non si dà applicazione ad una norma di contratto.
In Commissione avevo sollevato il problema degli autisti e ci fu una discussione con l'Assessore al personale. Ci sono parecchie cose che non sono comprensibili. E' una categoria che come figura professionale è inserita in parte al V, IV livello e normalmente al III livello. Non ha riconoscimenti che normalmente gli sono dati dalle amministrazioni provinciali. Non ha una copertura assicurativa adeguata alle responsabilità in cui possono incorrere anche involontariamente e in caso di responsabilità penale.
Io non sono il protettore degli autisti. Anzi, io gli autisti della Regione, caro Presidente, non li ho mai usati. Tu li usi da sempre, come gli Assessori.
Credo che la sensibilità dovrebbe essere maggiore da parte di chi ha più rapporti con questa categoria di lavoratori all'interno della Giunta regionale. Comunque io devo dire che ci sono problemi generali che se si discuterà dei profili professionali in I Commissione oggi, solleverò, ma devo anche dire che in questa sede per quanto riguarda l'interrogazione che ho presentato sono nettamente insoddisfatto e non comprendo la risposta.
E' la prima volta che dico queste cose in Consiglio regionale. Non lo comprendo perché c'è una mistificazione, viene letto dagli uffici in modo non corretto (poi non so se lo fanno anche i sindacati) il contratto nazionale di lavoro e la legge regionale. Si vuole leggere ciò che non c'è scritto, perché è una chiarezza lampare che nessuno può mettere in discussione. Io mi auguro che si ritorni e si receda da una posizione che non ha giustificazione.


Argomento: Stato giuridico ed economico del personale dipendente

Risposta scritta ad interrogazione ed interpellanza


PRESIDENTE

Comunico che è stata data risposta scritta all'interrogazione presentata dal Consigliere Montefalchesi inerente allo stato giuridico e il trattamento economico del personale regionale in applicazione dell'accordo relativo al contratto nazionale di lavoro ed all'interpellanza presentata dai Consiglieri Cerchio, Brizio e Carletto inerente i criteri che sono stati seguiti per il calcolo della ricostruzione di anzianità dei dipendenti regionali.


Argomento: Trasporti e comunicazioni: argomenti non sopra specificati

Interrogazione del Consigliere Brizio, inerente la tratta ATM Bruino/Torino


PRESIDENTE

All'interrogazione del Consigliere Brizio inerente la tratta ATM Bruino/Torino, risponde l'Assessore Cerutti.



CERUTTI Giuseppe, Assessore ai trasporti

In merito all'interrogazione presentata dal Consigliere regionale Brizio, cui ha fatto seguito un analogo esposto di alcuni cittadini di Bruino, occorre innanzitutto precisare che sulle autolinee extraurbane di competenza regionale è attualmente in vigore la tabella regionale per scaglioni tariffari al fine di differenziare il costo delle varie tratte di percorso. Premesso ciò, si fa rilevare che la località Alba Serena si trova tra Orbassano e Bruino. Poiché la predetta località non ha frazionamento tariffario, i passeggeri diretti verso Giaveno pagano la tariffa corrispondente da Orbassano e per la stessa ragione chi è diretto verso Torino paga la tariffa Bruino centro-Torino.
Tale procedura è comune a tutte le autolinee extraurbane, così come risulta anche dalle tabelle polimetriche in vigore. Tale problema è comunque all'esame di questo Assessorato per le opportune eventuali rettifiche che potranno determinare l'istituzione di una nuova fermata in località Alba Serena con relativo frazionamento tariffario.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

L'attuale situazione, come ha rilevato anche l'Assessore, è abbastanza assurda perché il percorso partendo dalla stessa fermata ha una valenza diversa a seconda che si vada in una direzione o nell'altra e quindi la modifica mi pare giustamente richiesta e sarò lieto se verrà attuata.
Chiederei all'Assessore di usarmi la cortesia di farmi avere il testo scritto della sua risposta.


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Esame deliberaziome Giunta regionale n. 174-42187: "Approvazione del programma di utilizzo del fondo sanitario regionale di parte corrente per l'anno 1985, quota a destinazione vincolata - quota ipotizzata per la Regione Piemonte pari a lire 39.545.000.000"


PRESIDENTE

Punto ventiduesimo all'ordine del giorno: "Esame deliberazione Giunta regionale n. 174-42187: 'Approvazione del programma di utilizzo del fondo sanitario regionale di parte corrente per l'anno 1985, quota a destinazione vincolata - quota ipotizzata per la Regione Piemonte pari a lire 39.545.000.000"'.
La V Commissione ha licenziato a maggioranza questa deliberazione. La relazione è già a mani dei Consiglieri. Ha chiesto di parlare il Consigliere Nerviani. Ne ha facoltà.



NERVIANI Enrico

In quest'aula attentissima vale poco la spesa intervenire su un problema peraltro così rilevante.



BONTEMPI Rinaldo

Pochi, ma attenti.



NERVIANI Enrico

Intendo dire che l'aula è poco attenta perché ha pochi dei suoi rappresentanti, comunque le osservazioni le ho già fatte in Commissione e l'Assessore penso abbia preso buona nota delle cose che sono state dette.
All'eccessivo ritardo con cui questa delibera viene presentata in relazione al tempo della sua approvazione abbiamo già fatto spesso riferimento anche nel tempo passato.
Segnalazioni di qualche perplessità sono state manifestate anche in ordine alla ricerca finalizzata ed alla mancanza della legge che dovrebbe regolamentarla in termini più precisi. L'Assessore ci ha risposto che in ordine a quella sarebbe dovuto intervenire il PSS che attualmente è tuttavia non sufficiente a dirigerla e a indicarla perché è presentato in termini non completi o comunque senza la completezza che l'Assessore sperava potesse avere. Io devo soltanto ricordare, perché è formalmente necessario farlo, l'impegno a continuare l'iniziativa in ordine alla costituzione dell'osservatorio della I.V.G. L'anno scorso avevamo stanziato cento milioni, di questi si sa che non è stato speso nulla perché la formazione dell'osservatorio non è ancora perfezionata. Io direi che almeno a titolo di memoria una cifra deve essere ripristinata nella delibera e soprattutto la raccomandazione è che le somme destinate l'anno scorso vengano interamente riprese e destinate a far funzionare l'osservatorio bene e nel più breve tempo possibile. So che è un'osservazione marginale quelle più complessive sono già state ripetutamente fatte, non intendo perciò far perdere altro tempo all'assemblea.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Bajardi per la replica.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

Il collega Nerviani sa già della risposta positiva al problema relativo all'osservatorio. Voglio ricordare per memoria ai colleghi che la delibera fissa criteri al fine della conclusione della fase di confronto che dura da due mesi con tutte le UU.SS.SS.LL. per elaborare il programma. Questa delibera, come anche l'altra degli investimenti che analizzeremo oggi sovrasta il ritardo derivato dal fatto che il Cipe non ha ancora definito le proprie scelte. Io mi auguro che queste scelte siano fatte in tempi ravvicinati e che le UU.SS.SS.LL. possano in tempi ragionevoli avere le risorse a disposizione. Il nostro lavoro si pone quindi in termini di accelerazione e di anticipazione. Qualora il decreto del Cipe introduca delle variabili, la Giunta ne terrà conto e vi adeguerà immediatamente la deliberazione con i poteri del Consiglio.



PRESIDENTE

Pongo in votazione la deliberazione della Giunta regionale il cui testo recita: "L'art. 7 della L. 22/12/1984 n. 887 (legge finanziaria 1985) riserva sulla quota del FSCN, di parte corrente, per l'anno 1985, pari a 39.200 miliardi una quota pari a 500 miliardi, sempre per l'anno 1985 per le attività a destinazione vincolata, da utilizzare dalle Regioni secondo programmi formulati sulla base di direttive da emanarsi dal Ministero della sanità sentito il CSN e verificati congiuntamente dai Ministeri della sanità, del tesoro e del bilancio e della programmazione economica.
Alla data odierna - seconda decade di marzo 1985 - l'amministrazione centrale risulta ancora inadempiente né sussistono elementi di riscontro sufficienti per ritenere che entro la fine del marzo del corrente mese gli organismi centrali competenti provvedano all'emanazione della prevista direttiva.
In questo contesto l'amministrazione regionale, tenuto conto in particolare delle imminenti scadenze di legislatura, considerato che l'assenza ovvero il rinvio di atti decisionali relativamente a questo ambito di interventi possono condizionare negativamente o quantomeno rallentare lo sviluppo del processo di programmazione e la politica di piano innescata con L.R. n.
7/82, ha ritenuto opportuno, anche nelle more delle previste disposizioni ministeriali, formulare specifiche proposte programmatiche (allegati A e B alla presente deliberazione), in ordine all'utilizzo della quota parte di FSN, di parte corrente, a destinazione vincolata, la cui entità complessiva, ipotizzata per il Piemonte pari a 39.545.000.000, nonché la sua articolazione interna prevista per ciascuna area di intervento corrisponde ai livelli di fabbisogno minimi emergenti all'interno del SSR verificati anche nell'ambito di specifici incontri con le UU.SS.SS.LL.
destinatarie dei finanziamenti.
Tale programma che fa parte integrante della presente deliberazione, giova inoltre sottolineare, è stato elaborato avendo presente i tre contestuali riferimenti: a) determinazioni finanziarie complessive nonché criteri e vincoli previsti ex art. 17 della L. 887/84, pure nelle more della più volte citata direttiva ministeriale b) quadro di obiettivi programmatici previsti dalla proposta di PSSR per il triennio 1985/87, in corso di approvazione, che costituisce la naturale prosecuzione e sviluppo logico del PSSR 1982/84 c) quadro di risultanze generali e specifiche emergenti dalla verifica dello stato di attuazione dei programmi 1981/82/83.
Resta in ogni caso inteso che questa amministrazione regionale procederà successivamente agli eventuali necessari adeguamenti del programma proposto in relazione alle indicazioni contenute nella direttiva ministeriale: vincoli prescrittivi, finanziari, ecc.
Il Consiglio regionale vista la deliberazione della Giunta regionale n. 164-42187 del 14/3/1985 sentito il parere favorevole espresso dalla V Commissione consiliare permanente delibera di approvare il programma di utilizzo del fondo sanitario regionale di parte corrente anno 1985, a destinazione vincolata, quota ipotizzata per la Regione Piemonte pari a L. 39.545.000.000, di cui agli allegati A) e b) che fanno parte integrante della presente deliberazione, fatti ovviamente salvi gli eventuali adeguamenti al predetto programma che si dovessero rendere successivamente necessari in relazione alle emanande direttive ministeriali previste dall'art. 17 della legge 22 dicembre 1984, n. 887.
La presente deliberazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte ai sensi dell'art. 65 dello Statuto".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvata con 20 voti favorevoli e 11 astensioni.


Argomento: Spettacoli: teatro, musica, cinema, danza

Esame deliberazione Giunta regionale m. 143-42167: "Adesione della Regione Piemonte all'Ente Festival internazionale cinema giovani"


PRESIDENTE

Punto ventisettesimo all'ordine del giorno: "Esame deliberazione Giunta regionale n. 143-42167: 'Adesione della Regione Piemonte all'Ente Festival internazionale cinema giovani".
Questa deliberazione è stata esaminata dalla VI Commissione che l'ha approvata a maggioranza.
Se né l'Assessore o il Presidente della Commissione intendono illustrarla, aprirei la discussione generale.



BRIZIO Gian Paolo

Signor Presidente, siccome manca la collega Bergoglio noi chiediamo che tale deliberazione venga illustrata, dopodiché passiamo alla votazione.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Ferrero per l'illustrazione.



FERRERO Giovanni, Assessore alla cultura

Per il terzo anno consecutivo nel piano di attività culturali della Regione Piemonte è prevista l'adesione e il concorso finanziario da parte dell'amministrazione regionale al Festival internazionale cinema giovani che si svolge attorno al mese di novembre di ogni anno. Il piano di attività regolarmente sottoposto al parere favorevole della Commissione consiliare e della Consulta potrebbe dar luogo da parte della Giunta regionale all'erogazione del finanziamento al festival stesso. E' per preoccupazione precipua della Giunta regionale non procedere ad una erogazione di una qualche consistenza, trattasi come da piano di attività di 150 milioni, senza che venga offerta all'amministrazione che nascerà dopo le elezioni, insomma alla Regione dal punto di vista istituzionale una qualche possibilità di partecipazione e conoscenza, perché una deliberazione effettuata in questo periodo non ha ancora i termini di precisione e di decantazione che ha avuto negli anni scorsi quando la deliberazione avveniva a presentazione di un programma analitico e definito di date, di manifestazioni, di numero di proiezioni, di soggetti invitati ecc.
Risulta peraltro evidente che qualora l'ente in questione non avesse un'assicurazione di finanziamento regionale si vedrebbe nella condizione che a mio parere è assai malaugurata, di interrompere la terza edizione che credo avrà, un successo paragonabile a quelle precedenti.
La delibera in sostanza autorizza, sulla base di un deliberato del Consiglio, la Giunta regionale ad erogare la cifra peraltro già erogabile sulla base di presupposti amministrativi e politici esistenti ed altresì offre in contropartita alla Regione la possibilità di aderire avendo un rappresentante all'interno dell'associazione stessa, in modo tale che l'erogazione, il flusso finanziario e la possibilità di agire e di influire sulla programmazione del festival stesso sia assicurato.
Visto che faccio il relatore, lo faccio anche per conto dei Gruppi che non erano d'accordo. La discussione in Commissione si è imperniata sul seguente punto: se fosse questa adesione della Regione in qualche modo una legittimazione a scatola chiusa dell'ente stesso e quindi una indebita o comunque non opportuna o comunque eccessiva operazione di sostegno all'ente e questo fu sostenuto da alcuni Consiglieri del Gruppo della D.C.
oppure se - come fu sostenuto in quella sede - trattandosi di deliberare parecchi mesi prima dell'esperimento della rassegna, non si trattasse in realtà di un'adesione che, essendo revocabile, essendo condizionata alle decisioni che verranno nella prossima Giunta, offre in realtà uno strumento di controllo perché in mancanza di quest'adesione, una volta erogato un contributo, la Regione perderebbe ogni diritto ed ogni possibilità di agire e di influire sull'organizzazione dell'attività stessa.
Questo anche alla luce di un dibattito assai ampio che, sia pure in modo surrettizio, sulla questione Festival cinema giovani si era aperto in questo Consiglio e che verteva proprio su una considerazione di stile che la Giunta regionale troppo poco agiva e controllava l'azione di questo ente. A me pare quindi, in conclusione, valutando i pro ed i contro, che poiché mi pare da parte di nessun Gruppo è stato messo in discussione il sostegno dell'iniziativa stessa e la sua bontà, ma si tratta soltanto di valutare in che misura più opportuna la Regione assicura una sua presenza a fronte dei fondi, la maggioranza ribadisce la sua opinione generale e chiede quindi al Consiglio di voler con questo atto autorizzare la Giunta regionale attuale a procedere e dare quindi alla Giunta futura uno strumento perché il procedere di questa Giunta non sia in qualche modo incontrollabile o irrevocabile od affidato esclusivamente all'ente. In questo senso quindi io raccomanderei una considerazione benevola anche da parte di quelle forze politiche che con ragioni peraltro del tutto comprensibili e ragionevoli in Commissione hanno espresso delle perplessità non aderendo in modo positivo alla votazione.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Villa. Ne ha facoltà.



VILLA Antonino

Ritengo che l'Assessore parta da un concetto che può essere considerato esatto, quello cioè di avere una presenza operativa nell'Ente in modo da seguire consapevolmente lo sviluppo. Noi riteniamo tuttavia che soprattutto oggi, penultimo giorno di questa legislatura, proprio in limine mortis, istituzionalizzare l'entrata di un ente di rilevante importanza non sia opportuno.
Se vincoliamo una cifra, che è ragguardevole (150 milioni) a questa nostra presenza, non assolviamo più a un compito, cui noi crediamo, di promozione, che l'istituzione deve ritenere come proprio, ma entriamo invece in veste di attori. E' anche opportuno qui ribaltare il problema in un ambito più generale e più vasto. Come un ente pubblico, come un'istituzione, deve essere presente nelle iniziative e nelle manifestazioni sia culturali sia sportive, sia turistiche? Partecipare in pieno, come in questo caso, dà quasi il senso che più che una sorveglianza dall'interno si voglia una forzatura per sovrapporre con visione particolaristica o per determinare in modo eccessivo delle scelte.
La cifra di 150 milioni può essere considerato alta o bassa a seconda delle manifestazioni che vengono proposte, a seconda di quanto è già stato programmato. Sinora non abbiamo avuto, al di là delle informazioni di stampa, una verifica nel nostro interno, per vedere quali sviluppi, quali effetti può avere portato questo ente nella sua operatività. Sarebbe facile l'obiezione che entrando in questo ente lo si segue meglio. Io penso invece che vincolare l'eventuale erogazione di 150 milioni alla constatazione di quello che verrà veramente attuato senza essere all'interno dell'amministrazione dell'ente, sia una posizione migliore per l'istituzione. Se fosse possibile votare, disaggregando questa deliberazione, noi saremmo contrari all'entrata nell'ente, inserendovi dei nostri rappresentanti; e ci asterremmo sull'aspetto finanziario proprio perché non abbiamo la valutazione se la cifra che viene disposta è congrua o meno e in quale proiezione e quali risultati potrà avere. Visto che non è possibile l'uno e l'altro, propendiamo per la seconda ipotesi e cioé ci asteniamo dal dare un voto su questo argomento.



PRESIDENTE

Se non ci sono altri colleghi che intendono intervenire, porgo in votazione questa deliberazione.
Il testo recita: "Premesso che: nel quadro degli interventi regionali relativi alla promozione di attività culturali nel campo dello spettacolo sono state assunte in passato alcune iniziative di spesa per rendere possibile lo svolgimento della prima e della seconda edizione del Festival internazionale cinema giovani.
Tale rassegna è nata dopo la costituzione dell'Ente denominato 'Festival internazionale cinema giovani', il cui statuto è allegato alla presente deliberazione, con lo scopo di offrire periodicamente un panorama della produzione cinematografica ed audiovisiva nazionale ed internazionale incentrata sulle tematiche legate alle nuove generazioni, ed ha ottenuto notevoli consensi di pubblico e di critica.
In vista della terza edizione del suddetto festival, che dovrà svolgersi a Torino ed in altri centri del Piemonte entro il mese di ottobre 1985, e in considerazione della formale richiesta da parte della Presidenza dell'ente sopraindicato alla Regione Piemonte per- ottenere l'adesione all'associazione "Festival internazionale cinema giovani", così come indicato dall'allegato statuto (art. 2, lett. 'e', terzo comma), si propone l'adesione della Regione Piemonte, nella persona del Presidente della Giunta regionale o di un suo delegato, in qualità di socio dell'Ente in questione. Tale adesione potrà comportare la partecipazione di rappresentanti dell'amministrazione regionale al Consiglio direttivo dell'Ente così come previsto dallo Statuto di cui sopra all'art. 6, primo comma.
Si ritiene, così come previsto dal piano di attività 1985 dell'Assessorato alla cultura, che ha ottenuto in data 15/2/1985 il parere favorevole della competente Commissione consiliare, così come stabilito dalla L.R.
28/8/1978, n. 58, di autorizzare la spesa di L. 150.000.000 da parte della Giunta regionale per l'edizione 1985 del Festival internazionale cinema giovani.
Il Consiglio regionale visto il piano di attività 1985 dell'Assessorato alla cultura, ai sensi della L.R. 28 agosto 1978, n. 58 vista la deliberazione Giunta regionale 143-42167 del 14/3/1985, proposta al Consiglio regionale sentito il parere espresso dalla Commissione consiliare competente delibera di approvare, per le motivazioni e con le modalità indicate in premessa l'adesione della Regione Piemonte all'associazione 'Festival internazionale cinema giovani', autorizzando il Presidente della Giunta regionale o suo delegato a rappresentarla nell'assemblea dei soci secondo quanto previsto dallo Statuto allegato alla presente deliberazione di autorizzare la Giunta regionale alla spesa di L. 150.000.000 per la terza edizione del Festival internazionale cinema giovani a favore dell'Ente suddetto, impegnando tale somma sui relativi capitoli di competenza del bilancio di previsione 1985 e secondo un programma che dovrà essere presentato alla Giunta regionale.
La Giunta regionale provvederà negli anni successivi a definire gli impegni di spesa sui relativi capitoli di bilancio a fronte di dettagliati programmi presentati dall'Ente.
La presente deliberazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte, ai sensi dell'art. 65 dello Statuto".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvata con 20 voti favorevoli e 11 astensioni.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI


Argomento: Edilizia scolastica

Esame deliberazione Giunta regionale relativa a: "L.R. 412/75 - secondo programma triennale di edilizia scolastica 1978/1980 approvato con deliberazioni del Consiglio regionale n. 221 del 28/10/1977 e n. 252 dell'11/7/1978 - variazioni"


PRESIDENTE

Punto trentaduesimo all'ordine del giorno: "Esame deliberazione Giunta regionale relativa a: 'L.R. 412/75 - secondo programma triennale di edilizia scolastica 1978/1980 approvato con deliberazioni del Consiglio regionale n. 221 del 28/10/1977 e n. 252 del 11/7/1978 - Variazioni"'.
Il testo è stato licenziato all'unanimità dalla VI Commissione.
Lo pongo in votazione nel testo che recita: "Il Consiglio regionale visto l'ari. 3 della legge 5/8/1975 n. 412 che fa riferimento all'eventualità che si effettuino variazioni di programmi di intervento come approvati dalle Regioni vista la deliberazione n. 221 del 28/10/1977, con la quale il Consiglio regionale ha approvato il programma di localizzazione degli interventi per grado e tipo di scuola nel triennio 1978/1980 tra cui la realizzazione dell'edificio per la scuola materna in Rione Cristo del Comune di Alessandria vista la successiva deliberazione n. 252 dell'11/7/1978 con la quale il Consiglio regionale ha approvato la variazione al secondo programma triennale, prevedendo la realizzazione dell'edificio per la scuola media consortile nel Comune di Benna con l'attribuzione di un contributo di L.
70.000.000 considerato che né il Comune di Alessandria, né quello di Benna hanno finora, reperito i fondi a proprio carico per la realizzazione delle opere e che la somma complessiva di L. 224.250.000 comprensiva della quota di accantonamento pari al 15 per cento se non viene erogata entro il corrente esercizio dovrà essere considerata economia e quindi non più utilizzabile ai sensi dell'art. 20, secondo comma della legge 19/5/1976 n. 335 sentite le Commissioni consiliari competenti che hanno convenuto doversi provvedere all'utilizzo della somma sopraindicata nei rispettivi ambiti comprensoriali per quelle opere in corso di realizzazione che necessitano di ulteriori finanziamenti considerato che nell'ambito della Provincia di Alessandria sono tuttora in corso di esecuzione le seguenti opere e che in tale ambito si rende disponibile la somma di L. 143.750.000 Bistagno: Scuola Media Serravalle Scrivia: Scuola Media Gabiano: Scuola Elementare Castellazzo Bormida: Scuola Elementare considerato che nel Comprensorio di Biella sono tuttora in corso di realizzazione le seguenti opere e che in tale ambito si rende disponibile la somma di L. 80.500.000: la palestra della scuola media del Comune di Cavaglià la palestra della scuola media del Comune di Mongrando vista la deliberazione della Giunta regionale n. 35-42529 del 25/3/1985 proposta al Consiglio regionale sentito il parere espresso dalle Commissioni consiliari competenti delibera di approvare la ridistribuzione della somma complessiva di L. 224.250.000 a favore dei Comuni di: Bistagno - Scuola media: L. 60.000.000 Serravalle Scrivia - Scuola media: L. 30.000.000 Gabiano - Scuola elementare: E. 25.000.000 Castellazzo Bormida Scuola elementare: L. 28.750.000 Mongrando - Palestra scuola media: L. 40.000.000 Cavaglià - Palestra scuola media: L. 40.500.000 di comunicare formalmente la variazione al Ministero della pubblica istruzione a norma dell'art. 3 della legge 5/8/1975 n. 412 di disimpegnare la somma di L. 125.000.000 di cui al D.P.G.R. n. 3186 dell'1.7.1980 reimpegnata con DGR n. 80 dell'8/3/1983 imp. 21067 sub. 19 del Cap. 7755/83 di effettuare con successive deliberazioni della Giunta regionale gli impegni a favore dei singoli Comuni".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvata all'unanimità dei 31 Consiglieri presenti.


Argomento: Enti Istituti Fondazioni Associazioni di rilevanza regionale

Esame deliberazione Giunta regionale relativa a: "Approvazione della convenzione per la costituzione del Centro studi e documentazione per la cooperazione e lo sviluppo"


PRESIDENTE

Punto trentatreesimo all'ordine del giorno: "Esame deliberazione Giunta regionale relativa a: 'Approvazione della convenzione per la costituzione del Centro studi e documentazione per la cooperazione e lo sviluppo".
Il testo è stato licenziato all'unanimità dalla VI Commissione. Lo pongo in votazione: "Premesso che: emerge in misura sempre maggiore l'esigenza di coinvolgere la collettività regionale e locale per sostenere i soggetti pubblici e privati che svolgono iniziative dirette a favorire il progresso economico e sociale, tecnico e culturale dei paesi in via di sviluppo.
L'area piemontese assume particolare rilevanza per le attività rivolte alla cooperazione e allo sviluppo, sia per i suoi connotati geografici e culturali, sia per il suo peso nell'economia e nell'innovazione tecnologica.
Appare opportuno promuovere un'iniziativa che, sorgendo dall'associazione delle principali istituzioni pubbliche territoriali e della realtà produttiva e scientifico-culturale del Piemonte si ponga come punto di riferimento per tutti quei soggetti - a carattere pubblico e privato - che intendono favorire ed utilizzare una struttura permanente di servizio per le ricerche, gli studi, la documentazione ed ogni altra attività rivolta alla cooperazione ed allo sviluppo, nel quadro delle leggi vigenti, delle direttive e dei regolamenti della Comunità Economica Europea, e collaborare alle iniziative ed ai programmi dell'Ipalmo, per gli aspetti che riguardano l'area piemontese o che sono rivolti in particolare ai problemi di cooperazione allo sviluppo scientifico-tecnologico industriale e finanziario.
A tal fine si propone di approvare la convenzione tra la Regione Piemonte la Provincia di Torino, il Comune di Torino, la Camera di Commercio industria artigianato ed agricoltura di Torino, l'Università degli Studi di Torino ed il Politecnico di Torino, per la costituzione in Torino, Via M.Vittoria n. 12, del 'Centro di studi e documentazione per la cooperazione e lo sviluppo'.
Il Consiglio regionale visto il programma di attività 1985 dell'Assessorato alla cultura, ai sensi della legge regionale 28/8/1978 n. 58 ravvisata l'opportunità di costituire il 'Centro di studi e documentazione per la cooperazione e lo sviluppo', per le motivazioni e con le modalità indicate in premessa sentito il parere espresso dalla Commissione consiliare competente delibera di approvare, per le motivazioni e con le modalità indicate in premessa la costituzione del 'Centro di studi e documentazione per la cooperazione e lo sviluppo' di approvare, quale parte integrante della presente deliberazione, lo schema di convenzione per la costituzione del 'Centro di studi e documentazione per la cooperazione e lo sviluppo', cui è allegato lo statuto del Centro stesso di autorizzare il Presidente della Giunta regionale a procedere ad assolvere gli eventuali adempimenti di rito e la Giunta regionale ad erogare contributi per il sostegno dell'attività del centro, fissando in L.
10.000.000 l'importo da impegnare per l'impianto ed il primo avvio sul cap.
11835 del bilancio di previsione 1985.
La presente deliberazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte ai sensi dell'art. 65 dello Statuto".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvata all'unanimità dei 31 Consiglieri presenti.


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Esame progetto di legge n. 437: "Piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1985/1987"


PRESIDENTE

Punto ventinovesimo all'ordine del giorno: "Esame progetto di legge n.
437: 'Piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1985/1987'." La V Commissione ha esaminato a lungo il provvedimento e lo ha licenziato a maggioranza, nominando relatore il collega Barisione che ha facoltà di parlare.



BARISIONE Luigi, relatore

Signor Presidente, egregi Consiglieri, il secondo piano socio-sanitario della nostra Regione rappresenta il naturale prosieguo del primo piano 1982/85 in scadenza in questi giorni.
Continuità non significa riproposizione meccanica di obiettivi e strumenti ma un loro approfondimento derivato dall'esperienza di applicazione del primo piano, dalle osservazioni delle UU.SS.SS.LL., degli operatori, delle associazioni, dei cittadini.
Non mi soffermo a lungo sullo stato di attuazione del piano precedente in quanto la Giunta regionale ha presentato lo scorso anno una relazione in tal senso come naturale premessa alla formazione del secondo piano.
Ormai è invalso nella cultura programmatoria della nostra Regione il concetto di pianificazione come processo continuo senza salti né censure tra uno strumento ed il successivo, pertanto anche questo piano che per arco temporale, copre il prossimo triennio, rappresenta e recepisce molti dei contenuti del piano precedenti sviluppandoli, precisandoli aggiornandoli.
1 - DEFINIZIONE DEI LIMITI AL CONTORNO: INFLUENZE NAZIONALI E REGIONALI La formazione di uno strumento programmatorio è sempre condizionata da una serie di fattori che lo limitano al contorno e che influiscono sui suoi contenuti ed il piano socio-sanitario della Regione Piemonte non pu sfuggire a tale regola, pertanto è necessario che questi fattori siano ricordati. Alcuni di essi si individuano in fatti, provvedimenti ed esperienze interne alla Regione, mentre altri, invece, sono rappresentati da atti e pronunciamenti estranei alla Regione stessa.
Il primo e principale fattore esterno, del quale non può non tenersi conto si individua a livello centrale con : a) la mancata approvazione del piano sanitario nazionale b) lo sviluppo di iniziative riduttive dell'applicazione della legge 833 c) le incertezze in ordine alle dotazioni finanziarie che sono state superate solo con la legge finanziaria per il 1984, ma sottostimando la previsione di spesa.
Vanno ancora ricordati: d) lo sviluppo della politica dei tickets, a danno dei cittadini maggiormente pesanti per quella parte di essi che più di altri sono costretti a richiedere con più frequenza prestazioni sanitarie e) la tendenza a favorire la privatizzazione delle attività sanitarie.
Il fatto più rilevante, però, va individuato nel crescente numero di Regioni che hanno scelto la via della programmazione dotandosi di piani sanitari: Emilia Romagna, Piemonte, Marche, Valle d'Aosta, provincia di Bolzano e Veneto già dispongono di leggi di piano ed il Consiglio regionale della Toscana l'ha già votata. Altre Regioni hanno predisposto documenti di piano (Lombardia, Umbria). Va però osservato che questo processo si è sviluppato con maggiore ampiezza nelle regioni del centro-nord, con il pericolo che si distinguano due Italie sanitarie: l'una che programma e con ciò dimostra che vuole una riforma reale e l'altra che non programma dimostrando così di accontentarsi di una riforma puramente nominale.
Quest'ultima asserzione nasce dalla considerazione che i profondi danni inferti alla sanità italiana in tutto il periodo che va dalla proclamazione del diritto alla salute, data della costituzione repubblicana, al 1978 anno di emanazione della legge di riforma, non possono essere risanati con un colpo di bacchetta magica, ma, al contrario, occorrono tempi non brevi coerenza di comportanti, impegno costante, metodicità d'impiego di risorse fatti tutti che non possono essere attuati sporadicamente, una tantum ma richiedono l'ampio respiro che solo un processo di programmazione, ancorato a salde basi scientifiche, può consentire.
Il secondo fattore esterno, che va ricordato, è la mancata approvazione di una legge nazionale di riforma dell'assistenza, alla quale si è tentato di sopperire, in Piemonte, con la legge 20.
Il terzo fattore esterno, che non può essere ignorato, è che, nel primo semestre dello scorso anno, il Ministero della sanità ha definito le sue "disposizioni per la pianificazione sanitaria regionale", documento che richiede attenzione se non altro per il fatto che il piano per il nuovo triennio sarà valutato secondo le linee ivi contenute. Contenuti di quelle disposizioni sono poi stati riportati nella legge finanziaria 1985 che costituiscono vincoli ed obblighi per la programmazione regionale.
Il principale dei fattori interni, a sua volta, lo si ritrova nei fatti che, a suo tempo, venne predisposto il piano socio-sanitario regionale 1982/1984 e che, successivamente, si è dato corso alla sua attuazione, come già ricordato.
2 - DAL PIANO 1982-1984 ALLA PROPOSTA DI PIANO 1985-1987 Per valutare le principali caratteristiche della proposta di piano socio sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1985/1987 è opportuno ricordare le peculiarità del piano relativo al triennio che sta per scadere. Esso è caratterizzato dalla impostazione di un modello di servizi di tipo nuovo (allegato n. 1), da una visione organica della rete regionale dei presidi sanitari (allegato n. 28) e dalla definizione di numerose indicazioni comportamentali per servizi specifici o per definite aree d'intervento (allegati dal n. 2 al n. 27).
Va sottolineato che questo piano, nella nostra Regione, ha significato l'abbandono di politiche estemporanee e parziali, sostituendole con il metodo della programmazione.
Tale metodo, come è noto, si articola nel tempo per cicli successivi ciascuno dei quali, ricomprende quattro fasi: l'analisi dello stato di fatto, l'elaborazione del piano, la sua attuazione e la sua verifica. Il primo di questi cicli si è concluso e la verifica di ciò che si è compiuto diviene nuova analisi dello stato di fatto, che dà vita ad un secondo ciclo e così via. Questo processo iterativo é, alla prova dei fatti, l'unico a consentire, in maniera metodologicamente corretta e con riferimento oggettivo alla realtà in evoluzione, la fissazione di obiettivi concreti la previsione di tempi per la loro attuazione e l'individuazione degli strumenti occorrenti a conseguire gli obiettivi stessi. D'altra parte occorre essere profondamente convinti del fatto che la trasformazione degli strumenti operanti, separatamente e con duplicazioni, prima della legge 833 in un sistema di servizi di tipo nuovo, non poteva essere risolta con un colpo di bacchetta magica conseguente l'entrata in vigore della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale.
Il processo di programmazione, tra l'altro, è garanzia per dare avvio a quella corretta politica di prevenzione, che costituisce l'essenza e la caratteristica innovativa della riforma sanitaria. Più volte ed in più sedi è stata richiamata l'attenzione sul significato che assume il termine prevenzione. Questa non ha nulla a che vedere con la diagnosi precoce anche se questa talvolta è chiamata prevenzione secondaria, perché scoprire in anticipo una malattia non solo significa che stiamo operando in campo diagnostico-terapeutico e non preventivo, ma è la dimostrazione che in quel caso specifico la prevenzione non è stata applicata oppure è rimasta sconfitta perché qualcuno dei numerosi fattori di rischio (sia esso clinico, fisico, biologico o sociale) ha fatto centro.
Prevenzione significa rimuovere i fattori di rischio, dopo averli conosciuti. Ma li conosciamo tutti? Molto sappiamo dei fattori di rischio biologici (microbi e virus), ma permangono alcune lacune. Esempio: esistono virus che provocano un cancro? Più limitate sono le conoscenze in ordine ad altri fattori di rischio. Nel convegno di Cuneo sui problemi dell'oncologia, il prof. Terracini ci informava che, delle oltre trentamila sostanze adoperate nell'industria, solo duemila, ad oggi, sono state analizzate e vagliate nell'intento di sapere se esse favoriscano o no la diffusione di un cancro.
La conoscenza e la rimozione dei fattori di rischio non è un fatto risolvibile con misure una tantum, ma richiede programmi di periodo più o meno lunghi, che individuano traguardi da raggiungere, strade da percorrere e mezzi da impiegare.
Si può affermare che lo sviluppo del processo di programmazione costituisce la condizione necessaria ed obbligatoria per sviluppare un sistema di servizi di tipo nuovo e per dare al servizio sanitario quell'indirizzo eminentemente preventivo indicato dalla legge, perché oggettivamente necessario di fronte all'incremento delle malattie pluricausali, generate da fattori di rischio che non sono solo quelli biologici.
3 - LA PROPOSTA DI PIANO SOCIO-SANITARIO DELLA REGIONE PIEMONTE PER IL TRIENNIO 1985/87: CARATTERI GENERALI Tutto questo processo, che si è cercato di ricordare, è confluito nella proposta di piano socio-sanitario per il triennio 1985/87.
Per questo il piano per il nuovo triennio costituisce continuità del piano 1982/1984.
Tale continuità, d'altra parte, è resa anche necessaria dal fatto che tutti gli obiettivi contenuti nel piano vigente e relativi al nuovo modello di servizi non potevano essere raggiunti nell'arco di un triennio per il fatto che modifiche di assetti organizzativi possono essere vincolate sia da oggettive difficoltà in ordine alla disponibilità di risorse umane (limiti al reclutamento per scarsezza di figure professionali richieste) o finanziarie, sia da condizionamenti nelle infrastrutture che richiedono di essere modificate.
Nel 1982, va ricordato, si è navigato alla cieca perché la reale disponibilità di risorse finanziarie è stata conosciuta ad anno ben avviato, e non si tratta di un anno anomalo. E' solo con la previsione triennale, introdotta dalla legge finanziaria ancorché le cifre riportate non fossero state all'origine stabilite come congrue con le necessità, che si è data possibilità di operare conoscendo anticipatamente le disponibilità.
Deve però essere chiaro che continuità non significa e non vuole significare pedissequa riproposizione del piano relativo al triennio che sta per scadere. Per questo il piano 1982/84 è stato riletto con occhio attento a quello che ha prodotto, ma anche a quello che non è riuscito a produrre e al perché.
L'accento che il piano vigente aveva posto sul modello dei servizi, ha avuto come conseguenza, in molti casi, l'ingenerarsi di un equivoco che è molto pericoloso e che consiste nel ritenere obiettivo primario del piano socio-sanitario la costruzione dei servizi e la loro organizzazione. Tale obiettivo è necessario, è indispensabile, ma non è quello fondamentale perché se lo fosse il piano si esaurirebbe con la definizione e attuazione degli assetti organizzativi. L'organizzazione, in ogni campo, deve essere funzionale a quello che si vuole ottenere, ma è proprio quello che si vuole ottenere che diventa l'obiettivo principale, mentre l'organizzazione che deve essere messa in moto rappresenta solo un mezzo, uno strumento.
L'assetto dei servizi sanitari e socio-assistenziali non è fine a se stesso, ma va realizzato per attuare quelle azioni che hanno lo scopo di migliorare la salute e la qualità di vita dei piemontesi. Per questo è opportuno che sia chiaro che migliorare salute e qualità di vita rappresenta l'obiettivo sostanziale del piano socio-sanitario e che per raggiungere quel fine è necessario disporre di un certo tipo di organizzazione, la cui attuazione costituisce mero obiettivo strumentale.
Ed è necessario far crescere sempre di più il convincimento che gli strumenti operativi che già operavano prima della legge di riforma vanno cambiati quando il loro assetto organizzativo, la filosofia che indirizzava la loro azione, definiti all'insegna di vecchie esigenze, possono entrare come entrano, in contraddizione con la nuova politica sanitaria che vogliamo perseguire per tutelare la salute dei cittadini, passando dalla logica limitata della cura alla malattia per passare alla logica della prevenzione.
Per contro si riscontra l'esigenza di nuove funzioni e di nuove metodiche nell'esercizio delle funzioni, che si richiede sia esercitata, quale ad esempio l'applicazione alla medicina di nuove tecnologie.
L'organizzazione sanitaria deve poter essere sufficientemente elastica al fine di poter variare in dipendenza sia delle mutate esigenze, sia dei contenuti operativi.
Problemi analoghi si pongono, ovviamente, anche per i servizi socio assistenziali.
Il raggiungimento degli obiettivi sostanziali non è sempre possibile nell'arco temporale di un triennio. Un esempio: oggi, in Piemonte, è garantita una piena assistenza agli uremici cronici, ma questo non è il risultato solo del piano 1982/84, ma occorre ricordare che su tale comparto si lavora con tenacia ed insistenza a partire dalla specifica programmazione quinquennale 1975/1980. Anche per realizzare gli obiettivi strumentali l'arco triennale può risultare troppo stretto. Di qui la necessità, per l'individuazione dei termini entro i quali un obiettivo vuole essere raggiunto, di disporre di una griglia temporale diversificata così articolata: breve termine, coincidente con un triennio medio termine, coincidente con tre trienni lungo termine, con proiezione nell'anno 2000, che costituisce riferimento internazionale per la grande campagna dell'OMS "La salute per tutti nell'anno 2000".
L'allegato A della proposta di piano indica gli obiettivi sostanziali che di regola, sono riferiti al medio e lungo termine.
L'allegato B, a sua volta, contiene gli obiettivi strumentali, riferiti, di regola, al breve e medio termine.
4 - ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI A SISTEMA La trattazione delle politiche particolari, le indicazioni comportamentali dei servizi specifici o per definite aree di intervento, era stata svolta nel piano 1982/1985, attraverso allegati specifici (dal n. 2 al n. 27) distinti e separati.
Tale metodo espositivo può avere ingenerata la sensazione che ognuna delle politiche indicate potesse essere considerata totalmente autonoma dalle altre, derivando da ciò che autonoma e separata, ed al limite autarchica potesse essere la logica d'azione del o dei servizi operativi chiamati in causa.
Questa sensazione, se esiste, non può essere accettata perché porta alla conservazione di una visione di servizi distinti e separati, che costituisce esattamente l'antitesi di una concezione dei servizi a sistema.
Tutti i servizi che costituiscono l'insieme delle risorse operative di ogni USSL rappresentano un sistema unico che opera per risolvere, in un'unità intrecciata, i problemi di salute e di qualità di vita dei cittadini. Tale sistema unico deve operare secondo un programma generale ed unitario, che determini le competenze attribuite a ciascuna unità operativa, nell'ambito dell'autonomia, sempre relativa, che ad essa compete.
Anche al fine di evitare questa sensazione di settorializzazione, la proposta di piano 1985/1987 comprende due soli allegati: quelli relativi agli obiettivi sostanziali e strumentali prima ricordati e tutte le politiche settoriali delegificate, vengono rinviate a provvedimenti successivi e dovranno integrarsi con il piano.
La classificazione di tali politiche usata nel piano 1985/87 è diversa da quella precedente, ma sistematicamente più chiara ed evidente nella sua articolazione in quattro classi: a) criteri per un'organizzazione dei servizi in coerenza con le finalità della riforma sanitaria. In questa classe si trattano le problematiche relative all'assetto dei servizi sanitari, il cui ruolo è essenziale per la costruzione del sistema e che sono il funzionamento dei distretti socio sanitari di base, l'integrazione unitaria a livello territoriale dell'attività di diagnostica terapia e riabilitazione, le azioni nei casi di emergenza, gli interventi di sanità pubblica nell'ambiente, la profilassi veterinaria, l'uso dei farmaci e dei prodotti correlativi, la raccolta e distribuzione di sangue umano a fini terapeutici ed i rapporti con i presidi non gestiti direttamente dal servizio sanitario nazionale b) sviluppo coordinato delle azioni sanitarie e socio-assistenziali. In questa classe si affrontano, in coerenza con la scelta della Regione Piemonte di gestire unitariamente i due comparti, le problematiche nelle quali l'interconnessione appare più rilevante e che sono la tutela della procreazione responsabile, della salute della donna, della maternità dell'infanzia e dell'età evolutiva, la tutela sanitaria e socio assistenziale delle persone anziane, le azioni di tutela della salute mentale, la prevenzione delle tossicodipendenze ed assistenza ai tossicodipendenti e la prevenzione dell'handicap ed assistenza agli handicappati c) azioni rivolte a problematiche di particolare rilevanza, siano esse sanitarie o socio- assistenziali, quali la tutela della salute dei lavoratori in ogni ambiente di lavoro, la prevenzione ed assistenza alle emarginazioni, la prevenzione dei tumori ed assistenza oncologica, le azioni contro le malattie cardiovascolari, contro l'uremia, contro le allergopatie e contro il diabete d) politiche delle risorse, che indirizzano l'educazione sanitaria (che non è tanto attività propagandistica, ma azione tendente a far conoscere al cittadino come meglio conservare quella grande risorsa rappresentata dal suo corpo e dalla sua mente), il sistema informativo, la ricerca sanitaria finalizzata, l'utilizzazione delle risorse fisiche (presidi e dotazioni strumentali), l'impiego e formazione del personale e la spesa.
Le problematiche anzidette saranno in parte di nuova trattazione ( i rapporti con presidi non gestiti direttamente dal SSN, la prevenzione ed assistenza delle emarginazioni, le azioni contro le allergopatie e quelle contro il diabete, l'utilizzazione delle risorse fisiche e l'impiego del personale e ovviamente, la politica della spesa), mentre le altre trovavano già posto nel piano vigente e devono essere integrate od aggiornate (il funzionamento dei distretti, l'integrazione unitaria a livello territoriale delle attività di diagnostica, terapia e riabilitazione, le azioni nei casi di emergenza, la raccolta e distribuzione del sangue umano, il progetto materno-infantile, la prevenzione dell'handicap, la tutela della salute dei lavoratori, la prevenzione dei tumori, il sistema informativo, la ricerca sanitaria finalizzata e la formazione del personale). In altri casi le esperienze maturate e lo sviluppo delle conoscenze suggeriscono di abbandonare i vecchi testi e di sostituirli con nuove trattazioni (la profilassi veterinaria, l'uso dei farmaci, il progetto anziani, la tutela della salute mentale, la prevenzione delle tossicodipendenze, le azioni contro le malattie cardiovascolari e quelle contro l'uremia).
5 - FUNZIONAMENTO DEI DISTRETTI SOCIOSANITARI DI BASE La relazione sullo stato di attuazione negli anni 1982/1983 del PSSR 1982/1984 ci fornisce i dati dai quali si evince che i distretti sono stati delimitati da tutte le UU.SS.SS.LL., Torino esclusa, e raggiungono il numero di 298 e che i distretti realmente attivati, a fine '83, erano pari a 146.
In questa situazione l'obiettivo di fondo non può che essere quello della piena e totale attivizzazione entro il 1987 ed in vista di ciò la fissazione di tappe intermedie: entro il 1985: costituzione formate del gruppo di base nomina del coordinatore di distretto istituzione in ogni distretto di almeno un punto di prelievo collegato con un laboratorio pubblico di analisi chimico-cliniche e microbiologiche che di regola è quello ospedaliero entro gennaio 1986 (e successivamente tutti gli anni): predisposizione della relazione sullo stato di salute della popolazione del distretto nell'anno 1985 predisposizione del programma di attività per l'anno 1986 entro il primo semestre 1986: distribuzione del libretto sanitario individuale ed educazione al suo caso: entro il secondo semestre 1986: predisposizione delle mappe di rischio entro il 1987: periferizzazione e distrettualizzazione delle attività odontoiatriche.
A medio termine, per quanto riguarda i distretti, si prevede soltanto il completamento della strutturazione del sistema informativo.
Si tratta come è chiaro, di una scelta centrale, basata sulla convinzione che senza il distretto non si attua la riforma e ciò vale per la sanità e per l'assistenza.
6 - SVILUPPO DELLA RETE DEI POLIAMBULATORI Il completamento della rete poliambulatoriale, equilibratamente distribuita nel territorio, e la condizione, unitamente alla completa attivazione dei distretti, per ridurre i ricoveri ospedalieri o per favorirne la dimissione anticipata di tipo protetto, riducendo così il carico gravante sugli ospedali.
Gli obiettivi di settore sono così determinati: entro il 1985: inizio dei lavori relativi alle opere ricomprese nel progetto pilota poliambulatori inizio dei lavori di trasformazione dei presidi che attuano ricoveri impropri, che sono da dismettere completamento dei poliambulatori di tipo B nelle zone più periferiche entro il 1986: entrata in esercizio degli ambulatori iniziati l'anno precedente avvio degli interventi per il completamento della rete dei poliambulatori entro il 1987: completamento dei poliambulatori di tipo A.
Nel medio termine si prevede l'entrata in esercizio di tutti i poliambulatori previsti.
7 - STABILIMENTI OSPEDALIERI Il P.S.S.R. 1982/1984 partiva da una dichiarata disponibilità di 32.411 posti-letto esistenti negli ospedali pubblici e nei quali ogni giorno erano mediamente presenti 21.217 degenti, occupando così i posti al 65,46 per cento, al di sotto del potenziale della rete ospedaliera piemontese che per le dimensioni dei suoi ospedali, avrebbe dovuto avere un'utilizzazione piuttosto al di sopra del 75 per cento. Operare al di sotto dell'indice di convenienza è sintomo di spreco per il fatto che le strutture esistenti risultano sopra- dimensionate rispetto all'attività da svolgere.
Si partì allora dall'assumere come carico da soddisfare il numero delle giornate di degenza maturate evitando di formulare, al momento, ipotesi di riduzione sia del numero dei ricoveri, sia della durata media di degenza e ponendo l'obiettivo di portare le dotazioni dei posti-letto alla quantità necessaria a soddisfare il carico anzidetto. L'obiettivo di 27.815 posti significava sì ridurre i posti-letto, ma far crescere l'occupazione media al 76 per cento.
A fine del 1982 i posti letto, secondo i dati Istat, erano scesi a 29.252.
A fine 1984 sono scesi attorno ai 27.000 posti.
Senza trionfalismi è bene dire che molti dei posti ridotti non esistevano erano solo posti sulla carta, inventati all'epoca in cui il maggior numero di letti giustificava un più cospicuo quantitativo di mezzi finanziari. Ma altri sono stati effettivamente chiusi.
Ma il fenomeno più importante è che, per effetto della riduzione dei ricoveri e della durata media di degenza, è diminuito il numero dei presenti medi giornalieri, risultato pari a 19.103 nel 1982 e l'occupazione media ospedaliera si è ancora ridotta, sia pure di poco, scendendo al 65,30 per cento.
Due novità, per quanto riguarda il comparto ospedaliero, esistono nel piano 1985/1987 rispetto a quello precedente: a) gli obiettivi relativi al numero dei posti-letto non vengono più indicati solo con il numero totale attribuito ad ogni USSL, ma vengono ulteriormente suddivisi per ogni specialità.
Gli obiettivi così definiti sono da considerarsi proposta di piano. Essi diventeranno definitivi alla data del 21/12/1985 e da quel momento saranno assunti a riferimento per il calcolo di spesa corrente ospedaliera, salvo che le UU.SS.SS.LL. non propongano motivate e giustificate correzioni, con proposte formulate in sede di P.A.S.
b) oltre ai posti-letto come sopra definiti, in tutti gli stabilimenti ospedalieri dovranno essere previsti posti-letto riservati, a norma di legge e di contratto, all'esercizio libero professionale dei medici ospedalieri.
In questa situazione, con ragionamento analogo a quello fatto per il piano 1982/84, i posti-letto necessari risultano pari a 23.134, ai quali se ne aggiungono 951, pari al 4 per cento dei precedenti, al fine di garantire l'esercizio libero professionale ai medici ospedalieri, a norma di legge e di contratto. L'obiettivo 1987, pertanto, è di 24.085 posti ospedalieri nella rete pubblica, il che consentirebbe sulla base delle presenze giornaliere 1982, un'occupazione media pari al 79 per cento.
Questi posti letto di obiettivo garantiscono una disponibilità pari al 5,20 per mille abitanti.
Le indicazioni nazionali fanno riferimento al 6 per mille, compresi i letti privati convenzionati ed il dato prima riportato è pertanto valido ai fini anche di questa verifica.
L'azione costante nella direzione di ridurre i posti-letto al numero realmente necessario è uno degli aspetti di una linea che ha per obiettivo la qualificazione del servizio ospedaliero, linea che viene perseguita sull'altro versante, dallo sviluppo dell'impiego in ambito ospedaliero delle necessarie tecnologie applicate, anche avanzate.
La riduzione dei posti letto avviene anche attraverso una politica di incremento dei trattamenti non in degenza (hospital day) di assistenza domiciliare anche specialistica con eventuale intervento anche di tipo economico, di deospedalizzazione protetta in presidi funzionalmente collegati con reparti ospedalieri.
8 - IL PIANO 1985/1987 Il piano 1985/1987 ha l'ambizione di portare avanti la realizzazione della rete dei L.S.P., progettando le sedi previste ed avviandone i lavori, con priorità a quelli localizzati in comuni non capoluogo di provincia, nella considerazione che la loro entrata in esercizio ridurrà i carichi gravanti sui servizi già localizzati nei capoluogo.
9 - SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI Il piano, per la sua valenza di socio-sanitario, affronta le problematiche dei servizi socio-assistenziali.
In precedenza, dando il quadro generale della proposta di piano, ho ricordato che esiste una parte specifica che tratta dello sviluppo coordinato delle azioni sanitarie e socio-assistenziali (materno-infantile anziani, salute mentale, tossicodipendenza e handicap) e che sono previste azioni rivolte a problematiche di particolare rilevanza tra le quali rientra la prevenzione delle emarginazioni.
Tutto ciò non ha escluso di affrontare il sistema dei servizi assistenziali a carattere residenziale, così come sono regolamentati dalla legge 20.
E' opportuno chiarire che le dizioni "residenze assistenziali" e "residenze protette" non individuano un solo modello risolutivo. A titolo di esempio ricordo che la comunità alloggio è prevista per cittadini (anziani e non) tendenzialmente autosufficienti, talvolta priva di personale (anziani) e talvolta dotata (minori) e che la casa-protetta è prevista per cittadini (anziani e non), tendenzialmente non autosufficienti, dotata di regola di personale tutelare, ma con possibilità di personale infermieristico in altri casi. Le due dizioni, in definitiva, non individuano due tipologie rigide, ma due famiglie di tipologie.
Tale elasticità è accentuata nel piano proposto (possibilità di organizzare le residenze assistenziali in comunità-alloggio, di mini appartamenti assetto di comunità terapeutica per i servizi psichiatrici o per il trattamento di tossicodipendenti).
Poiché su questo tema si è discusso a lungo in questi mesi, sono certo che altri interverranno: corre l'obbligo di dichiarare che le indicazioni di piano paiono corrispondere alla globalità delle esigenze rimarcate dal dibattito sviluppatosi nella nostra Regione, sia per le tipologie che per il sistema autorizzativo.
10 - CONCLUSIONE A conclusione di questo tentativo di dare una visione d'insieme della proposta di piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1985/1987, esprimo una riflessione che ha attinenza al processo di passaggio da un'organizzazione sanitaria sorta all'insegna della cura della malattia ad un sistema sanitario ad indirizzo eminentemente preventivo.
E' noto che la salute dell'uomo è messa in crisi ogni volta che dall'ambiente sorgono fenomeni capaci di attaccarla, sempre che, beninteso l'organismo umano non abbia in sé la capacità, naturale od acquisita, di respingere l'aggressione ed è anche noto che ogni fatto capace di aggredire la salute - che viene assunto come fattore di rischio - appartiene a quell'insieme di fattori fisici, chimici, biologici e sociali che costituiscono quell'ambiente che esercita influenza sull'uomo. L'azione dei fattori di rischio comporta, a rischio avvenuto, un danneggiamento dell'uomo - parziale o totale, temporaneo o permanente - sia del suo assetto sociale (emarginazione, morte), sia nel suo assetto bio-psichico ed in questo caso appare il fenomeno "malattia", intesa come stato patologico per alterazione della funzione di un organo o di tutto l'organismo e che costituisce fatto anomalo rispetto alla condizione normale costituita dallo stato di salute.
Per curare la malattia è necessario fare riferimento ad una sola professionalità, quella medica, ma per tutelare la salute occorre intervenire con più professionalità differenziate, per il motivo che diversi sono i fattori di rischio che contro la salute possono manifestarsi.
Il tipo ed il carattere dei fattori di rischio, infatti, sono tali da obbligarci ad affrontarli in maniera sistematica con un'azione multidisciplinare.
Nello stato di malattia, la figura del medico - con le sue specializzazioni, i suoi supporti umani (l'infermiere, il tecnico), le sue dotazioni strumentali (dalle mani con le quali percuote petto e schiena del paziente per ricavarne primi elementi diagnostici al più sofisticato apparecchio di formazione di immagini atto ad osservare l'uomo al suo interno) - questa figura di medico, che si può ben definire terapeuta, è essenziale ed insostituibile al fine di sconfiggere la malattia. Tale ruolo resta valido, con le sue caratteristiche, anche nel caso della diagnosi precoce.
Lo stato di salute, a sua volta, va tutelato dall'aggressione di agenti fisici, chimici, biologici e sociali, ed il medico non dispone di una formazione enciclopedica tale da consentirgli di poter intervenite sullo sviluppo di tutti quegli agenti, perché è proprio questo sviluppo che bisogna contenere se si vuole evitare l'insorgere della malattia, n d'altra parte esiste un tipo di professione capace, per le acquisizioni raggiunte, di garantire un intervento globale.
Ne consegue che l'azione atta a contenere lo sviluppo di fattori di rischio fisici, chimici, biologici e sociali, non potendo essere svolta da "uno" ma non potendo essere ignorata o trascurata, deve essere necessariamente svolta ricercando i modi per fare intervenire, in serie o in parallelo tutte le figure di professionalità specificamente formate per operare nei campi necessari: medici e biologi, per contrastare i fattori di rischio biologici, mentre fisici, chimici, ingegneri, architetti e quanti altri occorra debbono operare per avversare i fattori di rischio chimici e fisici, ma resta sempre fondamentale il ruolo del medico per la valutazione del potenziale rischio di ogni fattore.
L'intervento contro i fattori di rischio sociali, pur esso necessario, non richiede specialisti strictu sensu, ma lo sviluppo di tutti gli elementi di democrazia, ivi compreso il processo di partecipazione.
La storia ci mostra esempi significativi del valore dell'intervento multidisciplinare: le grandi opere di bonifica delle paludi, ad esempio sono il prodotto dell'azione congiunta di agronomi, di igienisti e di ingegneri.
Si aggiunga che, essendo stato prima considerato normale lo stato di salute ed eccezionale quello di malattia, devono necessariamente essere considerate normali le attività svolte contro i fattori di rischio ed eccezionali quelle contro la malattia.
Il piano indica le strade da percorrere in tale direzione: le UU.SS.SS.LL.
dovranno calarlo nella loro realtà specifica, confermarne i contenuti e proporne modifiche, ma soprattutto dovranno operare per tradurre in azioni comportamenti, iniziative e l'obiettivo fondamentale del piano: la tutela della salute del cittadino.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

Sulla relazione del Consigliere Barisione è aperta la discussione generale.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Gastaldi. Ne ha facoltà.



GASTALDI Enrico

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questo secondo piano socio sanitario regionale, nonostante tutto quanto è stato detto e sarà detto secondo me, necessario prima della fine della legislatura anche se non vi è ancora il tanto atteso piano socio sanitario nazionale ed anche se non vi è sicurezza che esso possa diventare legge regionale. Era già stato necessario il primo piano. Io non credo che quanto si è ottenuto in Piemonte per l'attuazione della riforma sanitaria si sarebbe ottenuto senza il primo piano e solo con circolari, delibere od altri documenti che si sarebbero riferiti ad argomenti di limitata estensione, e si sarebbero rivolti a settori singoli ed avrebbero costituito un complesso disomogeneo di norme ed indirizzi senza una visuale di insieme, indispensabile per creare un'organizzazione ordinata della sanità e dell'assistenza. Tanto più che le UU.SS.SS.LL. allora, nel 1980, stavano facendo i primi passi, gli elettori dell'assemblea e dei comitati di gestione, per essere Consiglieri comunali, erano prevalentemente politici con scarsa o senza conoscenza in campo sanitario e portati perciò a soddisfare piuttosto esigenze particolari e singole locali, che mal si sarebbero innestate in un quadro generale, per il quale la 833 aveva dettato norme molto sommarie e soltanto indicative.
Il primo piano è stato necessario ed utile anche se, per essere un primo esperimento di piano socio sanitario regionale, dettava norme su tutto, anche se pareva voler risolvere, nei tre anni della sua durata tutto quanto riguardava la sanità e l'assistenza, tanto da essere stato definito da più parti un "libro dei sogni".
E come è stato necessario il primo, altrettanto necessario ed indispensabile è questo secondo piano.
Senza di esso i tre mesi attuali di ritardo diverrebbero certamente per le difficoltà che le nuove elezioni creano, molti di più e si determinerebbe certamente un periodo di intervallo tra i due piani sicuramente dannoso per la società nel campo socio-assistenziale. La sua totale attuazione sarà ancora, come per il primo, difficile e forse impossibile. Potrà anche diventare insufficiente perché si rivolge ad una materia, la sanità, che è in continua e rapida evoluzione nella diagnosi nella terapia e nella tecnologia. Gli resterà però il merito di avere rivisto e ripresi i problemi posti dal primo piano, di averne adeguata la proposta di soluzione e di averne facilitata l'eventuale correzione.
Sarebbe, d'altra parte, inconcepibile che un servizio che consuma 2000 e più miliardi all'anno e che dà lavoro a migliaia di occupati nelle industrie a monte ed a valle (chimiche, farmaceutiche, meccaniche elettroniche ed altre..) restasse mesi e mesi senza un piano di riferimento.
E senza riferimento ancora in un periodo nel quale si tende a porre in dubbio la stessa riforma e si propone addirittura l'abolizione o delle parti più importanti od anche di tutta la 833. Passando ora all'esame, che intendo fare nel modo più oggettivo possibile, del piano nella sua globalità, debbo subito osservare che sotto il punto di vista formale è certamente molto migliorato in Commissione relativamente alla prima stesura, ma potrebbe anche essere migliore. Anche se l'aspetto formale è legato al modo di vedere a di scrivere e alla mentalità di chi lo ha compilato, é, pur tuttavia, importante perché incide sulla chiarezza, sulla leggibilità e facilità di interpretazione e quindi sulla sua applicabilità.
Io avrei preferito un documento più schematico (l'allegato B, ad esempio, si sarebbe dovuto dividere nei capitoli corrispondenti ai servizi e presidi sanitari distretti-poliambulatori ed ospedali) e strutture assistenziali e svolgere sotto un solo ed unico titolo tutte le indicazioni che loro si riferiscono, senza diluirle in più capitoli separati e distinti per sottotitoli (quali, ad esempio, obiettivi nel tempo, strutturazione organica, orientamenti per portarli a regime).
Si sarebbe ottenuto così un documento di più facile lettura per le UU.SS.SS.LL., che avrebbe avuto il valore di conciso documento quadro per i PAS nelle varie UU.SS.SS.LL.
Oltre questi difetti il piano presenta alcuni difetti che non sono soltanto formali: 1) Manca, secondo me, di documentazione statistica (senza di essa è difficile leggere e rendersi ragione, ad esempio, di certi dati delle tabelle, quali il numero dei posti letto e la loro distribuzione negli ospedali di UU.SS.SS.LL. e di riferimento, la cui riduzione non è giustificata nel piano in modo chiaro: se sia legata al carico storico o se sia obbligata dalla legge finanziaria nazionale).
2) Manca poi, nelle tabelle, la distribuzione dei posti letto delle case di cura private e convenzionate e la distribuzione dei mezzi tecnici diagnostici; distribuzioni che sarebbero dovute essere parallele a quelle dei posti letto e divise, per la parte tecnica, nei vari ospedali di UU.SS.SS.LL. e di riferimento, a seconda della difficoltà, del costo economico e della rarità di uso.
3) Manca poi un capitolo sulle case di cura private e convenzionate e sui criteri di convenzionamento che devono fare, anche per l'articolo 43 della 833, parte integrante dei servizi e dei presidi pubblici.
Per questo il piano si presenta un po' monco ed incompleto e con caratteri negativi, che, forse, si sarebbero potuti evitare se non vi fosse stata la fretta imposta dal momento di fine legislatura.
4) Un altro grave difetto sostanziale è quello che si trova negli articoli che riguardano l'assistenza e che modificano la legge 20 e che, in pratica riducono di molto e quasi annullano quello sforzo fatto dalla legge 20, di portare uguaglianza in campo socio-assistenziale.
La parte sull'assistenza, che porta modificazioni alla legge 20 in seguito all'invito dell'ordine del giorno approvato dal Consiglio, è stata discussa a fondo in Commissione.
Noi, nelle varie occasioni che si sono presentate in Consiglio per la discussione del problema dell'assistenza, avevamo appoggiato, convinti la filosofia della legge 20 (la deghettizzazione e la non marginalizzazione l'uguaglianza dei doveri e degli obblighi del privato, a quelli del pubblico nella risposta ai vari bisogni emergenti nella società).
E per questo avevamo accettato un'imposizione delle tipologie delle strutture come mezzo per evitare la ghettizzazione e l'autorizzazione come strumento di controllo che l'uguaglianza del trattamento fosse garantita.
Anche perché, secondo noi, per un ragionamento che ho più volte ripetuto in questo Consiglio, né l'imposizione della tipologia, né l'autorizzazione imposta al privato, erano contrarie a quella "libertà" di cui parla l'art.
38 della Costituzione.
Ci siamo poi convinti che alle strutture esistenti come fa la 56 per le attività produttive già esistenti e ubicate in sede impropria non era logico imporre modificazioni edilizie talora anche impossibili per mancanza di mezzi economici sufficienti se non in occasione di ristrutturazioni importanti, ma che era necessaria una verifica, da attuarsi in modo obbligatorio per tutti e rapido nel tempo, delle loro condizioni igieniche sanitarie e funzionali; sia perché l'esistenza di tali condizioni era da più parti messa in dubbio e sia perché siamo convinti che solo con essa era possibile garantire alle persone che già si trovano in condizione di bisogno più o meno grave, o per età o per handicap, un ambiente che per quantità di aria, di luce e di pulizia non l'aggravasse.
E' vero che esiste la deliberazione regionale approvata il 21/6/84, che chiarisce il significato, il modo e gli aspetti perché sia completa la vigilanza di cui agli articoli 23-24 di questa legge. Però la sua applicabilità è resa dubbia perché in questa legge non è più ricordata la deliberazione degli articoli 23 e 24 della legge 20, alla quale, come si dice alle pagine 23-28 e 29 della deliberazione, erano legate le norme per attuare la vigilanza.
E poi non è sufficiente perché, pur imponendo una verifica totale non detta norme nel tempo di attuazione di tale vigilanza. Chiederei all'Assessore che, in sede di replica, potesse rispondere e chiarirmi questi dubbi. Tutto sarebbe stato possibile, anche senza nuove deliberazioni o adeguamenti della deliberazione precedente sulla vigilanza se si fosse mantenuto l'ultimo comma dell'articolo 23 come era stato formulato nella sua prima stesura.
Confesso che non riuscirò mai a capire perché non si sia potuto prevedere per l'assistenza in modo chiaro, preciso, indiscutibile, le stesse norme che altre leggi prevedono ad esempio per gli alberghi, le pensioni, gli stessi opifici e negozi di generi alimentari. E non riuscir mai neppure a capire l'intransigenza della D.C. a rifiutare la formulazione iniziale dell'ultimo comma dell'art. 23 (obbligatorietà-totalità e rapidità di attuazione della vigilanza).
Rivolgerei però l'invito a leggere due documenti: 1) il testo unico delle leggi sanitarie del 1984, che riprende norme di una legge del 1907 ed il regolamento di igiene di qualsiasi comune del Piemonte e verificare quanto tali documenti richiedevano per le case private, per le scuole o addirittura per le mondine sotto l'aspetto igienico, e le penalità che proponevano per i trasgressori 2) la lettera della stessa conferenza episcopale al Presidente della Giunta, datata 4/12/1984, nella quale, a parte le ricattatorie considerazioni e minacce fatte al punto quarto e nella conclusione, al punto sesto, si dice testualmente: ". chiediamo l'applicazione imparziale di un ragionevole principio di vigilanza, per verificare la correttezza e l'idoneità di tutte le iniziative assistenziali, anche se gestite da enti ecclesiastici".
A me pare di poter dire che la conferenza episcopale avrebbe sottoscritto la prima formulazione dell'art. 23.
Accanto ai difetti, il piano presenta certamente elementi positivi anche importanti: 1) l'aver ridotto l'allegato A e l'avere eliminato le appendici fa perdere al piano quell'aspetto di politicizzazione della sanità e dell'assistenza che prima aveva, di intervento cioè della politica anche su aspetti esclusivamente medici e tecnici e legati alla cultura ed alla materia che fanno della facoltà universitaria di medicina una cosa ben diversa da quella, ad esempio, della facoltà di ingegneria o in legge.
Si perde, in pratica, la pretesa, che era evidente in tanti passaggi dell'allegato A e delle appendici che la politica sia autorizzata a dettare norme di comportamento agli operatori e a negare che la professionalità ed il ruolo medico debbano dipendere in modo precipuo dei rispettivi ordini professionali e dai relativi codici deontologici.
Le appendici, nel futuro, dovranno essere ripensate ed aumentate per le nuove ed importanti patologie che stanno comparendo (l'Aids ad esempio) e costruite con l'aiuto di competenti: solo i medici possono avere la cultura per individuare i mezzi necessari e, volta a volta, migliori e più nuovi per risolvere le patologie speciali o nuove ed adeguate alle varie importanze che tali patologie possono assumere nelle varie UU.SS.SS.LL.
2) Un altro aspetto positivo è quello di avere perfezionato l'organizzazione dei servizi e dei presidi sanitari del primo piano sia in senso orizzontale che in senso verticale e per i vari momenti di prevenzione, cura e riabilitazione, ed una buona distribuzione della risposta ai bisogni, con la sua localizzazione a scala, nei distretti poliambulatori ed ospedali di base e, a seconda delle difficoltà, in sedi di riferimento soprazonali, di quadrante o regionali.
3) Un altro aspetto positivo, ed è il maggiore, è quello di avere compreso la necessità dei distretti e di averne preteso la rapida attuazione e di averli presentati in quella importanza e in quella luce che hanno e nella organizzazione che loro compete.
La 833 aveva soltanto detto "le UU.SS.SS.LL. devono essere divise territorialmente in distretti".
E' merito, certamente, dei dibattiti, che si sono svolti dopo la 833 l'aver intuito l'importanza fondamentale del distretto, nella costruzione della sanità secondo le indicazioni e la filosofia della riforma. Solo infatti a tale livello può iniziare la prevenzione e la partecipazione del cittadino (elementi che differenziano la sanità post-riforma da quella prima della riforma): prevenzione, che si ottiene con la vigilanza sull'ambiente naturale di vita e di lavoro e sugli alimenti, partecipazione che si ottiene con l'educazione e colla formazione di una nuova mentalità sia nell'operatore che nel cittadino per il rapporto diretto operatore cittadino.
Solo a tale livello si può ottenere il lavoro di gruppo più volte ricordato dalla 833 e dalle convenzioni, e può iniziare il contenimento della spesa sanitaria per la sua azione di filtro ai servizi ed ai presidi superiori (poliambulatori ed ospedali) il cui costo, si sa, consuma la maggior parte dei finanziamenti per la sanità.
Esso così ripete orizzontalmente alla base le diverse attività delle UU.SS.SS.LL. e diventa, come deve essere, una piccola USSL. che risolve alla base le cose più semplici della sanità e dell'assistenza permettendo e facilitando, attraverso i dovuti rapporti, ai vari uffici centrali delle UU.SS.SS.LL. le cose più gravi e più complesse.
Personalmente poi sono convinto che solo attraverso la formazione dei distretti si può riavere quella umanizzazione della medicina, che gradualmente si è persa colle burocratizzazioni che la 833 ha introdotte, e che i vecchi medici condotti ben conoscono.
Umanizzazione che non vuole dire solamente uguaglianza, ma rapporto sociale tra malato e medico, per cui il medico vede nel malato non un individuo da studiare con esami ed analisi ed al quale somministrare medicine, ma un individuo che soffre e che va curato non compatito, che cioè ha bisogno di un sollievo fisico e morale.
Questa umanizzazione, che è difficile nei poliambulatori e negli ospedali è possibile nei distretti, perché solo in essi, per il tipo di rapporto che si stabilisce tra operatori e cittadini, essi vengono visti nel loro ambiente di vita, di lavoro, di società e di famiglia, ambiente talora negativo e difficile e dal quale dipende la loro integrità fisica e psichica. Un altro elemento positivo di questo piano socio sanitario sono le tabelle. Anche se non complete nel senso che prima avevo detto, sono certamente migliori di quelle del primo piano. Esse diventano un buon documento di consultazione nelle mani degli operatori soprattutto di base e di distretto e dei pronto soccorsi perché permetteranno di indirizzare senza perdite di tempo e senza peregrinazioni, tra i vari servizi e presidi, come ora succede, dei vari casi patologici, specie di quelli più gravi.
5) Altri elementi positivi sono quelli che, variamente distribuiti nel testo, tendono a portare alla uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini nei confronti del servizio sanitario e ad eliminare gli isolamenti, la divisione in categorie, ecc.
La geriatria, ad esempio, perde quell'aspetto di segregazione e di separazione del malato anziano, che una volta prima aveva, perché non divide più tale malato dagli altri in base all'età, ma in base alla particolare patologia da età, riservando ad essa attraverso i suoi operatori il compito di consulto, ospedaliero ed extraospedaliero, per adeguare, nelle varie patologie, le cure alle esigenze dell'età del malato.
Lo stesso fine ha il ridimensionamento proposto per gli attuali ospedali monospecialistici: ad essi devono rivolgersi i casi più difficili e complessi e non tutti i casi anche i più semplici che possono trovare soluzione negli ospedali USSL o di riferimento, casi che, si sa, ora sono quelli dei favoriti e di quelli che più contano nella società.
Concludendo debbo dire che questo piano presenta scelte e indicazioni in parte positivi ed in parte o negativi o meno positivi per la realizzazione in Piemonte della riforma della sanità e dell'assistenza e della sua filosofia.
Elementi negativi che, forse, e lo auguro, potranno essere corretti nella discussione dell'attuale legge di piano.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Devecchi. Ne ha facoltà.



DEVECCHI Armando

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il piano socio-sanitario che la V Commissione ha licenziato a maggioranza e che viene sottoposto all'esame del Consiglio regionale è sostanzialmente e radicalmente diverso da quello che era pervenuto alla Commissione stessa dopo essere stato approvato dalla Giunta regionale la prima volta il 28 agosto successivamente integrato e rettificato sempre dalla Giunta regionale il 20 settembre 1984.
Si trattava di un documento, di un volume cioè (come sanno i colleghi) la cui consistenza assommava inizialmente a 350 pagine, successivamente ed ulteriormente integrate con l'aggiunta di alcune appendici che da 25 sono passate a 30. Una ulteriore aggiunta quindi al progetto originale che, come ha detto il collega Barisione nella sua relazione introduttiva, era venuto articolandosi in un disegno di legge originariamente di 21 articoli, ora ne ha 33, alla quale si aggiungevano come parti integranti l'allegato A quello che dava gli indirizzi e indicava gli obiettivi sostanziali l'allegato B - quello degli obiettivi strumentali - integrato da due tabelle e dalle 30 appendici. Il tutto, come si è detto, per un insieme di circa 380 pagine (240 se si tolgono le 137 tabelle allegate all'allegato B) di non sempre facile lettura, né di facile interpretazione. Il ponderoso elaborato ha iniziato in data 12 novembre 1984 l'iter delle consultazioni meno ampie e più ravvicinate nel tempo di quelle seguite per il piano 1982/1984.
In poco più di un mese la V Commissione ha tenuto 16 sedute per consultazioni vere e proprie, più una serie di incontri con alcune categorie ed associazioni varie.
Inoltre anche in questi ultimi giorni sono pervenute circa 220 memorie scritte, molte delle quali ampie e documentate, contenenti suggerimenti proposte integrative e modificative del piano consistenti cioè in documenti abbastanza ponderati e ponderosi. Ritengo opportuno ricordare questi dati e quelli che andrò a precisare anche perché non solo è giusto sottolineare l'ampiezza del lavoro e l'impegno cui sono stati sottoposti i commissari della V Commissione ed i tre, dico tre, collaboratori che compongono in tutto l'ufficio operativo della Commissione stessa ai quali va dato un pubblico e meritato riconoscimento, ma ritengo di doverlo ricordare perch in queste settimane di lavoro intenso, ma anche di discussioni vivaci ed accalorate, si è voluto talvolta adombrare ed altre volte indicare responsabilità dilatorie e da parte del Gruppo della D.C. facente parte della V Commissione e da parte di chi vi parla.
In meno di due mesi, in circa 50 giorni cioè, dal 30 gennaio al 21 marzo, la V Commissione ha dedicato solo all'esame del piano ben 15 sedute per un totale di circa 55 ore di lavoro e di approfondimenti e di discussioni.
Ricorderò per inciso che al piano 1982/1984 erano state dedicate 28 sedute in un arco di tempo di circa 6 mesi, quindi nessuna volontà dilatoria da parte della D.C., ma l'affermazione cosciente e responsabile che i tempi a disposizione e la natura del documento che ci era stato proposto richiedevano maggior tempo a disposizione e quindi ritenevamo, e riteniamo, che non fosse il caso di forzare a tutti i costi la mano di coloro i quali avrebbero e devono decidere. I fatti pare ci stiano dando ragione.
Debbo per amor del vero ricordare e ribadire che se qualcuno è stato latitante, se qualche Gruppo o qualche Consigliere non ha sempre seguito i lavori della Commissione o lo ha fatto passivamente, questo qualcuno non va certo individuato nel Gruppo della D.C., che si è fatta carico del funzionamento della Commissione alla quale tutti avevamo, ma soprattutto la maggioranza aveva il dovere di assicurare la capacità decisionale sia pur nelle forme e nei modi regolamentari. E' nel diritto di una parte politica di usare modi e forme consentiti dai regolamenti per affermare e realizzare le proprie proposte. Non è perfettamente legittimo che si proponga all'approvazione di norme che non si condividono, non solo, ma che reputa fortemente pregiudizievoli di quello che ritiene l'interesse delle popolazioni.
Oggi come ho detto ci sta di fronte sostanzialmente una nuova proposta di piano, qualcosa che è profondamente cambiato non solo nella mole del documento ridotto circa ad un quinto dell'originale, una cinquantina di pagine scarse in tutto, se si escludono le 137 pagine che formano la tabella 1 dell'allegato B; è un piano notevolmente mutato, in gran parte riscritto e soprattutto mancante di quelle 30 appendici che come ha detto il relatore sono state delegificate. Di fatto sono state accantonate perch il tempo materiale di esaminarle è mancato, perché su di esse abbiamo, e non solo noi democratici cristiani, ritengo, notevoli riserve, ampie richieste di modifiche anche sostanziali.
Anche su di esse pensiamo debbano pesare i giudizi fortemente critici che da più parti sono stati espressi e documentati che gli operatori e gli utenti del servizio socio-sanitario nelle loro espressioni più qualificate hanno fatto sentire. Oggi siamo di fronte secondo noi ad un dignitoso stralcio di piano socio-sanitario, occorre avere il coraggio di ammetterlo.
Io ho apprezzato lo sforzo del relatore di giustificare e di dare una validità più ampia e più completa di quanto in realtà non rivesta questo nostro piano. Mi sembra però di dover ricordare che i cosiddetti fattori esterni richiamati ancora una volta, quali la mancata approvazione del piano socio-sanitario nazionale, i tentativi di non dare o ritardare l'applicazione della L. 833, le incerte e tardive indicazioni finanziarie la asserita dannosa - per i cittadini - politica dei tickets, la tendenza a favorire la privatizzazione, non possono da noi essere accolti tutti come elementi frenanti o distorcenti.
Sono argomenti del resto già sufficientemente abbondantemente sfruttati da una parte e dall'altra e tirati in ballo quasi a giustificare un parto prematuro, certamente molto faticoso, dal quale nasce una creatura che senza dubbio è il frutto di travagli e di ripensamenti molto profondi, per tanti aspetti meritori, se è vero come è vero che il documento attuale è passato attraverso una prima rielaborazione che ha accolto molti suggerimenti provenienti dall'esterno, seguita da una seconda rielaborazione che recava già la volontà di accorpare le appendici all'interno dell'allegato B, con uno sforzo di sintesi notevole e che era degno forse di migliore successo se non fosse stato tardivo.
E' stata questa l'espressione di una tenace volontà dell'Assessore che pur di arrivare all'approvazione di un documento non ha esitato a richiedere ai suoi collaboratori ed alla complessa macchina che aveva elaborato il progetto originario un ulteriore sforzo di sintesi. A volte si è avuta l'impressione di un lottatore che spasmodicamente cercava di non essere travolto dalla stessa macchina complessa e costosa e di non facile coordinamento che egli stesso aveva messo in moto ed aveva guidato. Ma anche questo sforzo non è stato sufficiente per fare approdare il piano in aula completo, seppur ridotto, siamo arrivati di fatto allo stralcio del piano: una legge cioè, l'allegato A più l'allegato B, più le tabelle. Ed anche questo è il frutto, come ho accennato, di critiche, suggerimenti proposte che per brevità vorrei sintetizzare, ma che non vanno taciute perché in molte di esse ci ritroviamo.
Mi limiterò soprattutto per comodità a raggrupparle in quattro gruppi omogenei: a) Di natura formale: si trattava, e lo ripetiamo, di un documento scritto per iniziati, per addetti ai lavori, in un linguaggio "burocratese" ripetitivo nei concetti, di difficile comprensione, che non invogliava certamente il cittadino a leggerlo e ad accostarlo per conoscere le soluzioni proposte atte a risolvere i problemi della sua salute.
b) Un secondo gruppo di osservazioni e che noi condividiamo in gran parte viene e veniva rivolto al piano perché nato da una precisa impostazione ideologica e centralizzatrice che non favoriva e non favorisce certamente la libera manifestazione dei momenti autonomistici delle varie UU.SS.SS.LL., ma finisce fatalmente per comprimerne la vitalità sull'altare della sempre più dilagante burocratizzazione dei servizi.
E' questo un momento di particolare importanza perché sottolineiamo che se deve veramente crescere una nuova cultura della salute che tenta di servire il cittadino e questa è la persona che va posta al centro del sistema, che deve garantire uguali diritti ed uguali doveri a tutti i cittadini e non dev'essere servita l'istituzione che rischia di diventare sempre più elefantiaca e soffocante dell'uomo stesso.
c) Un altro gruppo, e non mi dilungherò, sugli obiettivi sostanziali perché riconducibili come ha detto il relatore ad uno solo: migliorare la salute e la qualità della vita dell'uomo, che non possiamo non condividere anche perché molte affermazioni discutibili che ne facevano da contorno sono scomparse nell'ultima stesura dello stralcio di piano.
d) Sugli obiettivi strumentali e sulle scelte conseguenti che si riversano nella tipologia, nella distribuzione e nella quantificazione dei vari servizi e dei vari presidi, non possiamo non sollevare forti riserve, e per l'impostazione generale e per le concretizzazioni proposte ed attuate.
Ricordo qui alcune delle osservazioni più pregnanti che sono state fatte durante le consultazioni dalle quali traggo soltanto alcuni spunti. "Le scarse indicazioni di obiettivi da raggiungere entro il triennio di vigenza del piano, appaiono in gran parte non adeguatamente verificate sul piano della concreta fattibilità. La metodologia applicata per la determinazione del numero globale dei posti letto necessari per ogni singola USSL e per ogni singolo ospedale, basate sull'analisi numerica del carico storico di ricoverati e di ricoveri, non ha tenuto conto della domanda insoddisfatta nelle strutture pubbliche per molteplici cause non certamente irremovibili a breve o a medio termine, quali il carico improprio di malati anziani dimissibili che limita la possibilità di accoglimento di malati bisognosi di ricovero ospedaliero; carenze di personale infermieristico qualificato inadeguatezza degli organici medici di alcune discipline; deficienza dei servizi generali ospedalieri di supporto che non consentono di utilizzare appieno le strutture disponibili; la caduta di produttività del personale ospedaliero per vari fattori inerenti l'organizzazione del lavoro; la necessità di mantenere delle divisioni destinate al ricovero dei malati contagiosi (malattie infettive, pediatria, ecc.) una riserva di posti letto per un corretto inserimento e l'evoluzione della patologia.
Ed ancora: l'inserimento di strutture specialistiche ad alto contenuto tecnologico e di qualificazione sanitaria dotate di un numero di posti letto inferiore ai minimi compatibili con un'efficiente gestione funzionale ed economica.
L'individuazione delle divisioni e dei servizi specialistici basata sul carico storico delle strutture istituzionalizzate e non su una pianificazione coerente con la realtà nosologica e con le esigenze di completamento interdisciplinare ha portato e porta ad evidenti distorsioni quale ad esempio l'attribuzione di posti letto o di riabilitazione limitata alle strutture ospedaliere che già ne dispongono e non riconosciuta nelle altre strutture. La mancanza nel prospetto generale delle divisioni e servizi riprodotto in ogni USSL del servizio di angiologia che pure è indispensabile struttura specialistica integrativa dell'attività di chirurgia vascolare; la presenza negli ospedali di Torino per esempio di un'unica struttura pneumologica prevista all'ospedale Molinette; la scelta di una rigida rete di ospedali generali unici che contrasta con realtà documentabili nelle reti sanitarie di tutti i paesi ove sono operanti anche ospedali specializzati e centri oncologici il che comporta la dispersione del prezioso patrimonio di esperienza ed alta qualificazione tesaurizzato negli anni con la presenza nella stessa sede di più reparti e servizi afferenti alla stessa specialità od a branche affini e complementari".
E si potrebbe proseguire, ma faccio grazia di altre citazioni.
e) Si era detto poi per il piano 1982/84 (l'avevamo detto noi) che quello era il libro dei sogni, meglio, che peccava di realismo. Ne ritroviamo puntualmente il riconoscimento e nel nuovo piano e nella stessa relazione se bene ho capito del Consigliere Barisione che sostanzialmente a pagina 6 dice che non potevano essere raggiunti nell'arco di un triennio quegli obiettivi che per il fatto che le modifiche di assetti organizzativi possono essere vincolate sia da soggettive difficoltà in ordine alla disponibilità delle risorse umane o finanziarie, sia da condizionamenti nelle infrastrutture che richiedono di essere modificate. Ma questo era abbastanza facile prevederlo e quindi quando dicevamo che ci trovavamo di fronte al libro dei sogni non avevamo torto.
Anche così ridotto il pericolo esiste ancora oggi di fronte allo stralcio di piano. Quello che non è stato realizzato è riproposto, forse non potrà mai essere realizzato. Ma lo diciamo soprattutto per chi e quando verranno all'attenzione del Consiglio le parti stralciate che ben più diffusamente entrano nel merito dei vari problemi.
f) Gli squilibri permangono e tra i vari quadranti e all'interno degli stessi quadranti. Le scelte operate ed indicate per alcuni presidi sono quanto meno discutibili perché c'è sempre fra gli uguali chi è più uguale dell'altro.
g) Un'altra parte che è stata stralciata è quella che riguarda i rapporti tra il pubblico e il privato. Io direi che per arrivare alle soluzioni che erano state proposte originariamente o a quelle che erano state suggerite dopo le prime modifiche è meglio siano state stralciate. Noi non vogliamo privilegiare il privato, l'abbiamo detto, noi non vogliamo però sia visto con un occhio punitivo.
La Regione, se sa e se vuole, corregga quelle storture e quegli indirizzi che non sono accettabili, ma non deve assolutamente soffocare l'iniziativa privata. Già più volte lo abbiamo sottolineato, mi pare anche che se non vado errato la Regione Veneto abbia ad essa struttura privata riservato una percentuale precisa di attività entro cui muoversi il che è una forma di duplice garanzia e per chi deve programmare e per il futuro e per la libertà di scelta dei cittadini. Certo si è che affermazioni quali quelle contenute nella prima bozza del piano sono decisamente per noi inaccettabili.
h) Non mi soffermerò poi sul settore socio-assistenziale che è quello che ha subito le maggiori e piú profonde e radicali trasformazioni perché altri colleghi lo faranno in maniera dettagliata e dopo di me. Quanto sta scritto in questo stralcio di piano è secondo me la risultante abbastanza realistica dei problemi e le conseguenti indicazioni delle possibili realistiche soluzioni.
i) Un altro degli aspetti che viene trascurato è quello della formazione del personale. E' un problema che abbiamo sentito risuonare anche qui durante le consultazioni perché non si può pensare di programmare seriamente senza fare una riflessione molto attenta sul personale, sulla sua formazione, sul suo aggiornamento. E' necessario che il personale sia attribuito nelle piante organiche secondo standards ben precisi, altrimenti le piante organiche non saranno adeguate agli obiettivi da raggiungere e saranno quindi semplicemente la sommatoria delle precedenti piante organiche.
Questi che ho cercato di raggruppare e di sintetizzare i motivi principali di dissenso emersi in modo diffuso e raccolti perch condivisibili in larga misura. Non v'è dubbio a mio avviso che l'attuale stesura del documento, vuoi perché estremamente ridotta, vuoi perch tralascia alcuni aspetti essenziali, è molto migliorata rispetto al documento originario.
E' ancora un libro dei sogni? In parte, l'ho già detto, ritengo di sì.
Basti vedere quei frequenti richiami al piano 1982/84 delle parti non attuate e difficilmente attuabili, certe affermazioni molto ottimistiche (vedi quelle sui distretti: quanti ne sono a proposito funzionanti ad oggi e quanti riusciranno le UU.SS.SS.LL. a metterne in atto? ).
E sta bene ripetere e reiterare i vari convegni, nell'ultimo a proposito la partecipazione è stata veramente molto scarsa. La problematica aperta è notevole e di notevole interesse, ma mi raccomando non si crei il mito del distretto e soprattutto non si cerchi di far diventare il distretto un'isola nel mare della sanità.
Abbiamo poi la sensazione che il documento sia di più facile lettura e forse più comprensibile. In altri termini abbiamo l'impressione che pur recando ancora l'impronta originaria che non lo sottrae alla tentazione dell'esortazione e della predicazione riscontrate in tante parti alla volontà cioè di scendere nei particolari e nelle indicazioni minuziose che lasciano scarsa autonomia agli operatori ai vari livelli pur agendo in ambiti propri e ben precisi, debbono invece essi operatori avere a nostro avviso un maggior coinvolgimento e poter partecipare più responsabilmente alla formulazione dei piani e dei programmi.
Per questo abbiamo chiesto in Commissione l'inserimento per esempio del secondo comma dell'art. 29 nella legge di piano ed abbiamo contribuito a modificare sostanzialmente gli artt. 32 e 33. L'art. 29 tratta della modifica dei provvedimenti successivi di modifica e soprattutto per quanto riguarda l'aggiornamento del piano tende a farvi partecipare tempestivamente anche le UU.SS.SS.LL. con le loro proposte e la loro esperienza. Così come riteniamo che sia necessario, ed in questo mi pare che in Commissione si sia verificata una larga convergenza, mettere mano al riordino anche territoriale delle varie UU.SS.SS.LL. sia modificandone i confini laddove è stato richiesto, sia in alcuni casi accorpando le più piccole e cercando di ridisegnare una nuova mappa delle UU.SS.SS.LL. sul territorio regionale.
Pensiamo cioè che questo stralcio di piano rappresenti un notevole passo in avanti rispetto all'impostazione originaria e rispetto allo stesso piano 1982/84.
Le luci e le ombre si alternano. Pensavamo e pensiamo che un documento più agile, più snello, incentrato su pochi, ma fattibili e concreti obiettivi, su un'analisi realistica della situazione e della società piemontese, potesse essere concettualmente impostato in maniera più semplice, più chiara, più leggibile in tutti i sensi e da tutti abbandonando obiettivi troppo ambiziosi che tali sono rimasti e rimangono e soprattutto quella volontà livellatrice e troppo raziocinante che porta fatalmente e facilmente all'appiattimento, alla mortificazione dell'iniziativa e della professionalità, che sono secondo noi i mali di cui sta soffrendo il nostro servizio sanitario regionale e che fa sentire i suoi effetti negativi su tutti i cittadini.
Questo piano, forzatamente, è ridotto nel numero delle pagine, ma risponde ancora in molte parti alla logica che inizialmente lo ha ispirato e che noi non condividiamo perché secondo noi dovrebbe un piano essere più elastico, meno prescrittivo nei tempi e spesso nei modi di attuazione, meno burocratico (vedi per esempio quando si prescrive che i distretti annualmente debbano fornire le relazioni, si scende minuziosamente nei dettagli e nelle prescrizioni; vedi nella distribuzione minuziosa e puntuale dei posti letto nei vari servizi ospedalieri).
Abbiamo più volte detto ed affermato che credere nella riforma sanitaria, come noi vi crediamo, non vuol dire accoglierne quelle indicazioni e quelle implicazioni che si sono rivelate alla luce dell'esperienza poco rispondenti alle esigenze dei cittadini. Siamo convinti che si serva la vera riforma socio-sanitaria, realizzandone intelligentemente gli aspetti più concreti, più realistici, meno utopistici. Se è vero che la nostra Regione in materia sanitaria non è delle ultime e che aspira a diventare la prima, non va dimenticato che non è mai stata tra le ultime e che forse i servizi non hanno certamente e uniformemente compiuto salti di qualità in virtù del primo piano socio sanitario.
Se è vero questo, occorre pur avere l'umiltà e il coraggio di dire che della L. 833 vi sono parti che vanno rimeditate, che vanno aggiornate alla luce dell'esperienza e dell'evoluzione dei tempi. E questo non si ottiene impostando programmi utopistici e volendoli fare approvare nei tempi brevi.
Se ci fosse il tempo sarebbe interessante andare a rileggere le pagine della prima stesura del piano intitolata: "Superamento dei grandi equivoci", ci sono affermazioni alle pagg. 11, 12 e 13, che tralascio per brevità, che noi non solo non condividiamo, ma che respingiamo fermamente.
E' un piccolo estratto cioè della filosofia del piano originario nella quale non ci riconosciamo per nulla. Anche per questo, oltre che per gli altri motivi, noi ritenevamo e riteniamo che sarebbe stato più utile rivedere radicalmente l'impostazione del piano per renderlo più snello, più accessibile, meno vincolante in alcune parti perché riteniamo si serva meglio la causa dei propugnatori della riforma sanitaria, meglio la causa della salute dei cittadini, rendendo chiare semplici ed accettabili le norme che si vanno ad indicare.
Non si eliminano i disservizi imponendo minuziosamente dall'alto direttive vincolanti, talvolta soffocanti. Per questo abbiamo anche pensato che un aggiornamento autocritico del piano 82/84 fosse forse più necessario di un nuovo piano e bastasse alla bisogna, prima di imbarcarsi sulla strada di una nuova avventura in fondo alla quale dopo le disavventure sta un documento molto modesto sotto alcune parti, velleitario in altre accettabile sotto alcuni aspetti in minima parte.
Vorrei prima di concludere aggiungere che nel nostro Paese non è sempre colpa il non legiferare, il non aggiungere norme alla piramide di norme, di regolamenti, di leggine esistenti, che schiacciano e frastornano il cittadino. Non è certo il nostro Paese che soffre di mancanza di leggi e nemmeno la nostra Regione. Forse con minore fretta tenendo maggiormente conto delle indicazioni dell'esperienza degli operatori periferici ricercando una migliore e più attenta partecipazione, dando maggiore ascolto alle voci delle commissioni degli specialisti che pure sono stati costituiti, i risultati, sarebbero stati nel complesso meno deludenti nella sostanza certamente più utili per gli utenti, forse meno accettabili per chi voleva costruire un nuovo monumento alla sanità piemontese del quale forse non ha mai sentito il bisogno, certamente non ne sentiva un ulteriore bisogno. I colleghi del Gruppo della D.C. che interverranno dopo di me entreranno negli argomenti più specifici proponendo emendamenti e alla conclusione della discussione il Gruppo definirà, dopo aver ascoltato anche gli altri Gruppi, il proprio atteggiamento.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Reburdo. Ne ha facoltà.



REBURDO Giuseppe

Anche se siamo a fine legislatura, credo che questo atto sia un atto non solo doveroso per il Consiglio regionale, ma indispensabile per la comunità piemontese e non poteva sicuramente sopportare, in un momento non certamente facile anche per questi problemi, un vuoto e una serie di incertezze che avrebbero contribuito a rendere più complessa la gestione della sanità e dell'assistenza nella nostra Regione. E' un atto politico di un certo rilievo perché si inserisce in un momento in cui le polemiche molte volte strumentali, sulla riforma sanitaria in modo particolare si fanno via via più stringenti, in cui oggettivamente vi è un attacco generale alla sostanza democratica innovatrice che la riforma conteneva nella sua formulazione rispetto alla quale ci sono stati nella gestione nazionale gravi momenti, non solo di incertezze, ma tentativi di ritorni all'indietro che solo le Regioni e molte UU.SS.SS.LL. sono riuscite in parte a tamponare. Esiste poi un discorso, che adesso sintetizzo, in una difficoltà di finanziamenti e di orientamenti nazionali che diano un quadro non dico di certezze, ma di minore insicurezza rispetto all'operatività delle Regioni. Questo problema rimane aperto, accanto a quello della mancata riforma dell'assistenza e delle autonomie locali che indubbiamente sono elementi che rendono più difficoltoso operare a livello regionale in un contesto di programmazione che esige un quadro generale indispensabile sia di livello istituzionale, che di livello programmatico.
E' in questo contesto che la nostra Regione ha definito il primo piano socio sanitario che ha costituito un punto di riferimento, certo non completo, alcune volte criticabile, che però ha obbligato le UU.SS.SS.LL. e la comunità piemontese a fare i conti con un tentativo di razionalizzazione, non sempre chiaro, ma sicuramente stimolatore di esperienze, di suggerimenti che oggi ci permettono di acquisire elementi di maggiore puntualizzazione. Ecco perché non penso che il primo piano socio sanitario fosse un piano accentratore e dirigista. Penso invece, dal consenso che ha avuto la formulazione di questo piano e dal modo con cui indipendentemente dagli orientamenti politici, le UU.SS.SS.LL. si sono mosse rispetto ad esse, che questo piano era sicuramente accettato nella sua filosofia, anche se rimanevano aperti problemi e contraddizioni oggettivamente inevitabili. Credo che anche questo vada detto e che quindi debba costituire un elemento di cui noi non possiamo che prendere atto grazie anche all'esperienza, al sacrificio che amministratori ed operatori della riforma sanitaria e delle UU.SS.SS.LL. hanno sviluppato in questi anni nonostante gli attacchi generali al processo di riforma, di una riforma qualificante come questa.
Ci troviamo oggi a dover affrontare i contenuti di un secondo piano che anche inevitabilmente non poteva uscire nella proposta che è emersa dalla V Commissione. Frutto di un confronto che ha potuto essere grazie ad altri due elementi. Il primo elemento è il fatto che la Giunta abbia riproposto un secondo piano in modo articolato, che abbia in qualche modo obbligato quanti intendevano invece rinviare un'applicazione continuativa del processo programmatorio nella nostra Regione e che ha comunque risollecitato certi interessi all'interno della società che parevano essere in parte messi in secondo piano dalle difficoltà che sono emerse ed emergevano e quindi il fatto di avere presentato una proposta globale è stato un atto di un rilevante significato politico che ha permesso che si riaprisse in modo pubblico un dibattito che si correva il rischio fosse limitato agli specialisti, agli esperti, o comunque a fasce ristrette di popolazione. Averlo buttato dentro la comunità ha sicuramente contribuito ad allargare questo dibattito e questo confronto. E quindi sta qui la valenza politica della proposta formulata dalla Giunta, Oggettivamente siamo poi stati messi di fronte ad alcune strettoie che forse erano inevitabili: quella del tempo, della fine legislatura, della necessità di fare i conti con una realtà che per alcuni settori, in modo particolare quello socio-assistenziale, è più complessa di come appariva nella formulazione del primo piano socio-sanitario. Questo, inevitabilmente, anzi direi in modo positivo, ci ha portati a dover fare i conti con il tentativo di affrontare in modo più articolato questa problematica. D'altra parte, la ristrettezza dei tempi non ci avrebbe sicuramente permesso di approfondire con la dovuta necessità tutta la parte degli allegati del piano e credo sia stato giusto, intanto, aggiornare gli allegati del piano precedente, per la parte non in contrasto con i principi della proposta che stiamo discutendo ritenendoli validi e in secondo luogo di aver acquisito, anche dal punto di vista metodologico, un elemento, non dico "positivo", ma comunque innovativo, che ci permette di passare attraverso deliberazioni del Consiglio regionale nella formulazione di proposte rispetto ai progetti ed agli altri allegati non contenuti nel piano emerso dalla V Commissione.
Dico questo, perché mi pare che siano in corso delle discussioni e mi riferisco, per esempio, a quella polemica di bassa lega che stamattina l'Assessore repubblicano Franco Ferrara del Comune di Torino ha fatto rispetto ad una iniziativa della nostra città, polemica di cattivo gusto a cui credo che il giornale "La Stampa" abbia dato forse più spazio di quello che si meritava, e cioè ad un'esperienza come quella del Comitato contro la droga, l'indifferenza che vede presenti le forze politiche più significative, per dimostrare come su una serie di aspetti di specificità forse è stato importante avere demandato successive deliberazioni l'intervento del completamento del piano socio-assistenziale.
Abbiamo poi modo di discutere domani, ultimo punto all'ordine del giorno, la proposta di un ordine del giorno sulla droga per capire come siamo di fronte ad un attacco di persone che poco hanno a che fare con esperienze concrete in questi settori.
Ho voluto richiamare in modo esemplificativo questo aspetto perché mi pare emblematico di una superficialità con la quale saremmo stati obbligati ad affrontare certi problemi che meritano approfondimenti più attenti.
Vorrei ancora riferirmi ad una preoccupazione che credo oggettivamente tocchi tutte le sensibilità politiche e culturali della nostra Regione: quella che siamo di fronte ad una certa caduta di tensione sul problema della salute ed in particolare per quanto riguarda la tematica della prevenzione. Indubbiamente, dopo certe battaglie e certe impostazioni parlo per esempio di quelle relative alla salute negli ambienti di lavoro che negli anni passati sono state condotte in prima fila dal movimento operaio e da quello sindacale, oggi si risente di una certa difficoltà proprio in un momento in cui sarebbe necessario un rinnovato impegno per i problemi che emergono di fronte ai processi di ristrutturazione all'interno dei luoghi di lavoro e che pongono problemi e sollecitazioni nuove di fronte alle quali non abbiamo tutti gli elementi per poterle capire nelle loro dirette conseguenze e dall'altra anche per i problemi che ormai toccano il nostro territorio e il nostro ambiente, compreso il problema, lo dico per inciso, che pone una centrale nucleare in una situazione come quella di Trino con tutti gli aspetti e la necessità di un intervento più approfondito sulle tematiche della prevenzione. Ma non solo questo: basti vedere appunto quello che sta capitando sul nostro territorio regionale per avere la sensazione da questo discorso più generale della prevenzione debba fare riferimento alle tematiche dell'ambiente sia di lavoro che sul territorio come elemento portante del discorso della prevenzione. Credo anche che andare a definire, sia pure in modo parziale, ma abbastanza preciso, il secondo piano, con i problemi irrisolti a cui prima accennavo sia sicuramente necessario, perché le UU.SS.SS.LL. e la comunità piemontese devono avere punti di riferimento espliciti, elementi di certezze portanti e quindi la riformulazione e l'impegno che assumiamo in questo Consiglio sicuramente risponde a queste esigenze.
Rimane aperto ed è un elemento di riflessione anche nella formulazione qui contenuta, il problema più generale, relativo ai soggetti istituzionali che hanno competenza precisa e netta rispetto a responsabilità ed a deleghe che debbono essere date. Le UU.SS.SS.LL. dal punto di vista sanitario soffrono e perché sottoposte ad attacchi di carattere generale generalizzato e qualunquistico, e anche per problemi oggettivi che stanno dentro ad esse: una certa indefinizione istituzionale del loro ruolo e anche dal punto di vista delle responsabilità politiche e dell'espressione che esse dovrebbero in qualche modo esprimere, ratificare, come quella dei Comuni, che rimane invece un problema tutto aperto. E in questo senso vorrei sollevare, credo che sia anche nella coscienza dell'Assessore e della Giunta, qualche problema di ulteriore incertezza istituzionale che avviene nel campo dei servizi socio-assistenziali nel momento in cui prendendo atto anche di certe difficoltà attuative della legge 20, noi prolunghiamo i tempi di passaggio delle competenze dai Comuni alle UU.SS.SS.LL. Mi pare che questo atto possa essere preso, ma con la coscienza che indubbiamente, permanendo una incertezza tra le responsabilità dei Comuni e quelle delle UU.SS.SS.LL. fa sì che esse possono trovare rispettivamente alibi per non sufficientemente lavorare in modo pregnante nell'integrazione dei servizi sanitari e socio-assistenziali come elemento fondante della visione culturale del nostro intervento in campo sanitario e socio- assistenziale e dall'altro quello di non fare sufficientemente forse e questo quindi comporterà uno sforzo di sollecitazione da parte delle strutture regionali, lo sforzo per esempio di continuare ad attuare interventi fondamentali ed essenziali che sono anche per certi aspetti più importanti ancora dei presidi a carattere residenziale. Mi riferisco in modo particolare alla necessità dei servizi sul territorio e quindi dell'importanza che essi debbono avere in un discorso di prevenzione.
Nelle proposte che andremo ad approvare troveremo alcune novità, alcune positive ed altre che hanno qualche elemento di incertezza o comunque richiedono una riflessione ulteriore. Siamo di fronte sicuramente ad una articolazione positiva dei presidi a carattere residenziale in campo socio assistenziale, mi pare che questa sia una scelta importante. Siamo di fronte ad una valorizzazione ulteriore del volontariato, e questo sicuramente fa acquisire una pregnanza ulteriore, ma esiste il pericolo di puntare solo sulla tematica dei presidi a carattere residenziale, senza sufficientemente valorizzare in modo fermo e preciso, proprio per le incertezze di competenza istituzionale che si possono creare tra Comuni ed UU.SS.SS.LL. in campo socio assistenziale, gli interventi di assistenza domiciliare, l'assistenza economica, il miglioramento e potenziamento dei servizi sul territorio, in grado di essere oggettivamente, non da filtro ma di aiutare, di creare il massimo di condizioni perché le persone nel limite del possibile usufruiscano al massimo delle potenzialità familiari o del loro territorio nel quale sono inseriti. Questo problema secondo me rimane in parte, non dico aperto, ma che può porre qualche elemento di preoccupazione e richiede evidentemente una attenzione particolare nella gestione del piano da parte della Regione per far sì che questa esigenza venga mantenuta e in qualche modo anche rafforzata aiutando a superare queste incertezze che oggettivamente potrebbero esistere. Vorrei anche dire che mi pare, essendo io stato tra quelli che avevano preso atto di questa situazione, che si sia compiuto un passo in avanti di fronte anche alla difficoltà di attuare certe impostazioni, secondo me giuste e corrette, e della legge 20 e del piano precedente sui presidi a carattere residenziale ma che esse venivano a scontrarsi in qualche modo con la realtà del Piemonte che è una realtà estremamente diversificata non solo tra area e area, ma all'interno della stessa area ed all'interno di situazioni paragonabili dal punto di vista territoriale, strutturale, produttivo e sociale, e quindi inevitabilmente l'impostazione originaria non poteva proprio perché non siamo sradicati dalla realtà dentro la quale operiamo e proprio perché siamo a servizio di essa, prendere degli aggiustamenti anche sostanziosi e sostanziali che andavano fatti proprio a partire dalla constatazione che grazie all'impostazione precedente la comunità e noi abbiamo potuto e dovuto fare per rispondere in modo più articolato ai problemi che si presentavano e quindi la suddivisione delle residenze assistenziali e delle residenze protette così come è formulata è frutto non della parte più conservatrice della società, ma è frutto della esperienza maturata nelle strutture pubbliche e nelle strutture private che con più attenzione in questi anni si sono battute per l'attuazione fondamentale dei principi della riforma sanitaria e degli elementi di riforma che noi abbiamo innescato con la legge 20 nel campo socio-assistenziale. E credo che questa parte della società, di diversa estrazione culturale e politica sia la parte vincente, cioè quella che è stata in grado, non di compromettere i principi fondamentali della riforma sanitaria della legge 20, ma di acquisirne gli elementi fondamentali ed innescarli anche all'interno di proposte che si sono oggettivamente concretizzate nella fase successiva. La cartina di tornasole di questa mia affermazione sta nel punto delle autorizzazioni. C'è stata una polemica in parte inevitabile rispetto a proposte precedenti di quella famosa deliberazione; io credo che le polemiche siano stare interessanti ed opportune, sia per far compiere a noi un ulteriore ragionamento ed ancora una più attenta riflessione, ma anche per capire di più ancora chi all'interno della società si opponeva a una deliberazione di questo genere, per difendere propri interessi consolidati e chi invece difendeva non propri interessi consolidati, ma gli interessi di chi compiva delle esperienze concrete e che di fronte ad una deliberazione di questo genere si trovava in una situazione alquanto complessa.



MARCHINI Sergio

Parla a nome del P.C.I. o come indipendente?



REBURDO Giuseppe

Io sto parlando come Consigliere regionale, fino a quando il Gruppo comunista non mi smentisce.



MARCHINI Sergio

A che parte politica appartieni? Io devo capire. Normalmente non mi rivolgo alle persone. Devo capire se è una posizione personale o del Gruppo.



REBURDO Giuseppe

Non c'è solo un problema di collocazione partitica ma anche un problema di sensibilità sociali e culturali che uno esprime a livello individuale.



MARCHINI Sergio

Tu hai il diritto di parlare, ma io ho il diritto di capire. Dimmi solo se è una valutazione personale o di Gruppo.



REBURDO Giuseppe

Non sta a me risponderti. Saranno gli interventi successivi a farlo. Io faccio una interpretazione di sensibilità mia che sta dentro sicuramente non in contrasto con la sensibilità, del Gruppo comunista, anche se poi evidentemente ci saranno delle differenziazioni, altrimenti non sarei indipendente, prenderei la tessera ed avrei risolto ogni problema di coerenza, quindi questo sta dentro ad un'ambiguità inevitabile. Marchini qui devi prendere atto, ma come liberale credo che sia importante che questa ambiguità tu la debba sopportare.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI



PRESIDENTE

Collega Marchini prenda atto che è un indipendente eletto nella lista comunista.



REBURDO Giuseppe

Dicevo che ci ha permesso anche di valutare che nella società esistono forze reali, radicate in esperienze concrete di campi e di settori diversi ma in particolare nel campo chiamiamolo così cattolico, dei credenti in generale, che invece guardava con preoccupazione a quella deliberazione per superare certo alcune contraddizioni di essa, ma non per rompere quella posizione che ci aveva permesso di emanare la legge 20 e di elaborare il primo piano socio sanitario, cioè di confermare fino in fondo i principi ispiratori dentro i quali si collocava questo tipo di esperienza. Le proposte, qui formulate relativamente ai presidi a carattere residenziale in modo così articolato e per certi aspetti complesso che necessita una sperimentazione e quindi una responsabilizzazione ulteriore delle UU.SS.SS.LL. in grado di recepire ulteriormente queste esperienze così diversificate presenti nella nostra Regione senza mettere in discussione alcuni elementi fondamentali del processo riformatore che abbiamo sviluppato, o tentato di sviluppare nella nostra Regione, costituiscono l'elemento vero di novità, che va acquisito per quello che è e che, se esso andrà avanti, sarà sperimentato e verificato.
Questo elemento è importante, ma non per innescare delle polemiche. Io ho partecipato come tutti noi penso, a diversi dibattiti ed incontri e non mi pare di aver potuto leggere, se non in parti marginali molto limitate della nostra società, attacchi strumentali, ma invece ho assistito ad un tentativo serio approfondito di verifica sui problemi e sulle situazioni ed è questo l'elemento vero attorno al quale riflettere.
Vorrei qui porre non so se è una questione, un interrogativo o una affermazione, giudichi l'Assessore. Io credo che permanga comunque un problema non risolto, ma che richiede un qualche cosa che in modo polemico il Consigliere Marchini molte volte ha posto, e cioè la questione di quale è il rapporto corretto tra la società cosiddetta civile e le istituzioni e in essa come si collocano i diritti dei cittadini. E' un tema che non investe solo questo aspetto, ma credo che sulla riforma sanitaria e socio assistenziale, non solo per essa, ma direi in modo forse più esplicito, si pone indubbiamente il problema di come salvaguardare la centralità delle persone, di come il cittadino venga sostanzialmente ulteriormente rafforzato nei suoi diritti e quindi garantito nel non essere stritolato in una situazione che è complessa che non si può addebitare né al singolo impiegato né alla struttura generale ma che rimane un problema di un certo rilievo. So che la nostra Regione ha compiuto un atto importante in accordo col Tribunale dei diritti del malato diffondendo la carta dei diritti penso che questo avrebbe dovuto sollecitare la nascita di nuove esperienze del Tribunale dei diritti del malato, in alcune realtà questo è avvenuto e sicuramente è stata indicata una strada, sono state date delle disponibilità, perché cresca anche dall'autonomia dei cittadini una forza organizzata in grado appunto di garantire dialetticamente in modo costruttivo questi diritti senza che essi possano essere così problematici come in qualche situazione sono oggi. E in questo senso rimane aperto non per noi soltanto, ma per le stesse UU.SS.SS.LL., il problema della partecipazione che secondo me non si affronta solo con dei regolamenti.
Alcune UU.SS.SS.LL., cito quella di Chivasso in modo esplicito, ha tentato di formulare una proposta di regolamentazione sulla partecipazione che mi pare di estremo interesse, ma che ha cozzato contro una difficoltà oggettiva a mobilitare ulteriori risorse partecipative in un settore della società non disinteressato, ma direi per certi aspetti prudentemente lontano dalle sollecitazioni che invece dovrebbero provenire dall'esigenza di un coinvolgimento più organico nella formulazione dei programmi e nel controllo dell'attuazione di essi da parte dei cittadini.
E' un problema di grande rilievo che la nostra Regione ed alcune UU.SS.SS.LL. hanno cercato di affrontare, ma questo rimane un discorso più generale che evidentemente parte di qui, ma che deve poi toccare il sistema dei rapporti complessivi delle strutture pubbliche con la comunità.


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

Dei 45 punti iscritti all'ordine del giorno delle sedute di questi tre giorni ne sono stati svolti 26. Dei restanti 19 punti sette verranno esaminati oggi pomeriggio e 12 nella giornata di domani.
I lavori riprenderanno puntualmente alle ore 14.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12.45)



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