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Dettaglio seduta n.316 del 21/03/85 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Punto primo all'ordine del giorno: "Approvazione verbali precedenti sedute". I processi verbali delle adunanze consiliari del 21 e 28 febbraio sono stati distribuiti ai Consiglieri prima dell'inizio della seduta odierna. Se non vi sono osservazioni si intendono approvati.


Argomento: Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati

Interrogazione dei Consiglieri Brizio, Carletto e Bergoglio inerente gli interventi nel settore penitenziario


PRESIDENTE

Punto secondo all'ordine del giorno: "Interrogazioni e interpellanze".
Esaminiamo l'interrogazione dei Consiglieri Brizio, Carletto e Bergoglio inerente gli interventi nel settore penitenziario.
La parola al Presidente della Giunta, Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

In riferimento all'interrogazione dei Consiglieri regionali Brizio Carletto e Bergoglio al Presidente della Giunta regionale a seguito della nota 15/2/1985 del Presidente della sezione di sorveglianza presso il Distretto della Corte d'Appello di Torino, si allega copia della nota inviata in data 5/3/1985 al Presidente della sezione di cui sopra e per conoscenza al Presidente del Consiglio regionale, al Direttore generale Istituti di prevenzione e pena, al Primo Presidente della Corte d'Appello al Procuratore generale, al Presidente del Tribunale, al Procuratore della Repubblica di Torino, ai Capigruppo dei Gruppi consiliari.
Più in particolare la risposta al primo punto dell'interrogazione è data nelle pagine da 3 a 6 di detta nota.
Ad integrazione, poi, di quanto precisato nella nota stessa riguardo alle presunte somme trasferite dallo Stato alla Regione e provenienti dal lavoro dei carcerati, oltre a quanto già precisato nella stessa nota a pag.6 (seconda metà), si ritiene di dover sottolineare ancora quanto segue: a) le somme che andavano a costituire la Cassa per il soccorso e l'assistenza per le vittime del delitto (dichiarata estinta con l'art. 1 bis del decreto legge 18/8/1978 n. 481, convertito in legge dalla legge 21/10/78 n. 641) sono formate dai 3/10 della remunerazione dei detenuti secondo quanto stabilito dall'art. 23 della legge 26/7/1975 n. 354 b) come già precisato più volte in altre sedi, dette somme non sono mai state trasferite dallo Stato alle Regioni, nonostante in sede nazionale i rappresentanti regionali abbiano avanzato richieste in tal senso c) a riprova di quanto sopra detto, la legge 22/12/1984 n. 887 all'art. 6 venticinquesimo comma detta: "il Ministero dell'Interno è autorizzato dal 1985 a corrispondere agli Enti locali, in applicazione dell'art. 132 del Decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, con i criteri e le modalità stabiliti con Decreto del Ministro dell'interno sentita l'Anci, le seguenti somme che affluiscono annualmente al bilancio dello Stato: c) le entrate della Cassa per il soccorso e l'assistenza alle vittime del delitto, dichiarata estinta con l'articolo 1 bis..".
Per quanto riguarda poi il terzo punto dell'interrogazione medesima, si rimanda alla pag. 7 e seguenti della nota di questa Presidenza sopra citata, al Presidente della Sezione di sorveglianza. Di questa nota legger solo alcune parti, relativamente all'intervento.
Dico intanto che la nota inviata dal Giudice di sorveglianza per certa parte è errata ed è stata da noi contestata in questa lettera.
Quanto poi alla deliberazione n. 25-23655 del settembre 1979 con la quale si è provveduto non solo a dettare indicazioni operative per gli interventi nel settore penitenziario e post-penitenziario, alle quali la S.V, fa riferimento, ma anche ad impegnare una somma di lire 100.000.000 destinata all'assegnazione di specifici contributi ad alcuni Comuni piemontesi sedi di Istituti penitenziari, si precisa che il finanziamento stesso nel novembre dello stesso anno è stato ridistribuito fra i Comuni stessi con assegnazione di contributi per l'attuazione degli specifici programmi di intervento assunti dai Comuni ed a suo tempo presentati e concordati in sede di Commissione regionale.
Nel corso degli anni 1980 e 1981, poi, sempre d'intesa con la competente Direzione generale e con gli organi periferici da essa dipendenti, questa Amministrazione regionale ha ritenuto di ampliare il proprio impegno in tale settore, sia incrementando i contributi agli Enti locali interessati, sia garantendo la propria disponibilità a nuove modalità di collaborazione. Ne è prova il fatto che i contributi assegnati alle diverse sedi di Istituti penitenziari sono stati nel corso dell'anno 1980 L. 260.000.000 e per gli anni 1981 e 1982 lire 700.000.000.
Gli interventi sono stati i più svariati, andando dall'ampliamento del centro legatoriale, di restauro libri, serigrafia ed altre attività artigianali, istituito con la collaborazione del Comune di Tortona, a fianco del quale si è anche provveduto a curare un corso di restauro di libri d'arte seguito da un grosso specialista, all'allestimento di una apposita comunità di pronta accoglienza diurna destinata a soggetti dimessi e/o semi-liberi di Saluzzo (con locali comuni per consumare i pasti provvedere al bucato, ecc, e con piccoli ambienti in cui i soggetti interessati potessero anche svolgere in proprio piccole attività artigianali), all'allestimento di una comunità alloggio per dimessi dall'Istituto di Cuneo, gestito dallo stesso Comune, con la collaborazione di obiettori di coscienza e con il sostegno economico della Regione.
Non meno importanti sono le iniziative curate all'interno di strutture penitenziarie, quali ad esempio l'allestimento, l'attrezzatura e l'avvio del corso per cuochi presso lo stesso carcere di Saluzzo, con buone possibilità di inserimento lavorativo per i qualificati del corso stesso.
Quanto poi alle attività di formazione professionale, da anni ormai l'Assessorato competente cura il piano dei corsi e l'attività concorsuale all'interno delle strutture penitenziarie piemontesi in adesione alle richieste provenienti dai Direttori degli Istituti.
A fine anno 1981, poi, il Consiglio regionale, come ben noto, ha ritenuto di adottare all'unanimità una deliberazione contenente le linee programmatiche di intervento su disadattamento, devianza e criminalità concordandole appieno con le competenti autorità. Ministeriali. A seguito di questo provvedimento si è così via via sempre più perfezionata tutta una serie di sperimentazioni tanto nel settore del recupero della cultura dei soggetti detenuti quanto nel settore di attività laboratoriali ed artigianali. A fianco a ciò si sono sempre più consolidate le attività di formazione professionale sia negli Istituti per adulti che per minori, fino a raggiungere una spesa di circa un miliardo all'anno. Al riguardo si pu precisare che si è sempre cercato di tener conto, nell'organizzazione dei corsi, della reale disponibilità del mercato del lavoro esterno.
Per quanto riguarda gli sbocchi occupazionali, pur non essendo specifico compito delle Regioni reperire posti di lavoro per soggetti disoccupati, questa Giunta regionale ha dimostrato la propria sensibilità al problema sia prevedendo modalità ad hoc per poter inserire nel "progetto di formazione- lavoro per disoccupati a reddito zero" un piccolo nucleo di soggetti detenuti (otto adulti più due minorenni), sia favorendo l'impiego temporaneo e straordinario di lavoratori disoccupati (tra i quali anche soggetti in detenzione) in cantieri di lavoro di Enti locali (vedi legge regionale del 18/10/1984 n. 55).
Di non minore peso, poi, si ritiene che siano gli altri svariati interventi attuati questi all'interno delle strutture penitenziarie piemontesi volti al recupero della cultura e della formazione di base con attivazione sia di corsi di lingua destinati alla possibilità di inserimento in certi settori di lavoro (informatica, interpretariato corrispondenza commerciale), sia di laboratori polivalenti per attività artigianali a livello individuale e a livello di piccole cooperative. Al riguardo si precisa che proprio in questi giorni la Giunta regionale ha deliberato la prosecuzione e l'ampliamento di tale attività, con l'istituzione anche presso strutture fino ad oggi considerate di difficile accesso per la "comunità esterna" a causa dei noti problemi di sicurezza (istituti di Cuneo, Novara ed Alessandria). Per la messa in opera di tali interventi, concordati sempre con la direzione generale degli Istituti di prevenzione e pena, questa Regione ha provveduto ad appositi stanziamenti per le nuove attività previste per il 1985 e per la prosecuzione di quelle già avviate, per un totale, ad oggi, di circa lire 150.000.000.
Per quanto concerne infine le somme che sarebbero state assegnate alle Regioni per tale delicato settore, paiono doverose alcune precisazioni.
A parte il primo passaggio di fondi e di personale dal Ministero di Grazia e Giustizia alle Regioni, avvenuto a seguito del DPR 616/77 nel corso dell'anno 1978, le Regioni non sono più state assegnatarie di fondi specifici per il settore che qui interessa. D'altra parte i fondi residui allora previsti erano pur sempre solo quelli relativi agli interventi di assistenza post-penitenziaria, assistenza alle famiglie dei detenuti, ed alle vittime del delitto, in quanto materia trasferita ai sensi dell'art.
23 del DPR 616. Infatti, anche quanto erogato precedentemente dallo Stato alla soppressa cassa per il soccorso e l'assistenza per le vittime del delitto (3/10 della remunerazione dei detenuti), non è mai stato assegnato dal Ministero del Tesoro alle Regioni, venendo invece a far parte del fondo unico spettante ai Comuni.
Tutto quanto fin qui impegnato di anno in anno nel bilancio regionale per gli interventi nel settore penitenziario e post-penitenziario sia minorile che adulto è perciò prova di un sempre più responsabile impegno di questa Regione nella sua opera di collaborazione con l'Amministrazione statale volto al recupero e reinserimento dei soggetti devianti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, occorre chiarire a fondo questo problema. Noi, presa visione della lettera del Presidente Fornace avevamo chiesto sostanzialmente due cose: in primo luogo, se corrispondesse al vero che si era avuto disponibili dei fondi e come eventualmente fossero stati utilizzati; in secondo luogo, quali iniziative la Regione aveva intenzione di assumere circa il problema della semilibertà.
Lei ha risposto comunicando tutta una serie di adempimenti che noi non abbiamo mai contestato la Regione svolgesse, e anche nell'incontro che è stato organizzato in IV Commissione col Presidente Fornace, questi ha detto che non aveva mai contestato il fatto che questi adempimenti venissero svolti così come altri interventi che sono compiti di istituto della Regione e che la Regione regolarmente ha svolto.
Circa il problema dei fondi specifici risultanti dai lavori che i carcerati fanno, che quando vengono alienati danno un certo introito e che vengono quindi ridistribuiti alle Regioni per interventi puntuali. Ella ci assicura che i fondi non sono mai stati erogati e noi non abbiamo ragione per non prenderne atto. Rimane però aperto il secondo problema; cioé quello di un'azione della Giunta relativamente al tema della semilibertà, perch quello che noi abbiamo capito anche nel colloquio avuto nella sede della IV Commissione, ancora meglio è che in sostanza il Presidente Fornace si riferisce a questo istituto ed alla necessità che la Regione, anche in attuazione della delibera assunta prima nel '79 e poi nell'81, avvii qualche iniziativa per far si che la semilibertà diventi un fatto possibile con interventi a sostegno dell'occupazione dei carcerati in semilibertà.
Alcuni Comuni hanno assunto delle iniziative in tal senso, come Vercelli Tortona ed altri ancora. Ora si tratta di vedere se la Regione ritiene in qualche modo di assumere un'iniziativa propria che renda possibile l'utilizzo di questa forma della semilibertà in modo più massiccio e non soltanto che la semilibertà si possa avere quando ci sono i parenti o gli amici che trovano il lavoro al carcerato, ma in presenza di una politica attiva da parte della Giunta regionale in proposito.
Questo rimane il punto interrogativo. Certamente siamo alla fine della legislatura, è difficile che si possa proporre un ddl o un provvedimento amministrativo immediato in questo settore, però è un problema che deve essere affrontato perché se l'istituto della semilibertà è un istituto che ha una sua validità, allora occorre che l'intervento pubblico in qualche modo ne costituisca sostegno.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

In merito al punto terzo dell'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico che sono in congedo i Consiglieri Chiabrando, Simonelli e Tapparo.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati seguenti progetti di legge: N. 508: "Modificazione dei confini della legge regionale n. 13 del 20/2/1985, relativa al parco Orsiera-Rocciavré", presentato dai Consiglieri Cerchio e Penasso in data 12 marzo 1985, assegnato alla II Commissione in data 14 marzo 1985 N. 509: "Modifiche alla legge regionale 3 settembre 1984, n. 51, 'Norme per la formazione e la gestione dei bilanci di previsione e dei rendiconti generali e per il controllo degli atti amministrativi degli Enti di gestione dei parchi naturali, delle riserve naturali e delle aree attrezzate della Regione Piemonte'", presentato dai Comuni di Albano Vercellese, Greggio, Oldenico, San Nazzaro Sesia, Villarboit e Villata in data 8 febbraio 1985, dichiarato ricevibile ed ammissibile dall'Ufficio di Presidenza in data 5 marzo 1985 ed assegnato alla I Commissione in data 14 marzo 1985 N. 510: "Partecipazione azionaria della Regione Piemonte alla Rivalta Scrivia S.p.A.", presentato dalla Giunta regionale in data 13 marzo 1985 N. 511: "Valorizzazione del patrimonio artistico-culturale e dei luoghi della lotta di liberazione in Piemonte", presentato dalla Giunta regionale in data 13 marzo 1985 N. 512: "Sottoscrizione di nuove azioni della S.T.E.F. S.p.A." presentato dalla Giunta regionale in data 13 marzo 1985 N. 513: "Sottoscrizione di nuove azioni della S.I.T.O. S.p.A." presentato dalla Giunta regionale in data 13 marzo 1985 N. 514: "Sottoscrizione di nuove azioni della SOCOTRAS S.p.A." presentato dalla Giunta regionale in data 13 marzo 1985 N. 515: "Primi adempimenti regionali in materia di recupero e di sanatoria delle opere edilizie abusive", presentato dalla Giunta regionale in data 13 marzo 1985 N. 516: "Estensione delle competenze del Difensore Civico regionale alle strutture delle Unita Socio Sanitarie Locali della Regione Piemonte" presentato dal Consigliere Brizio in data 14 marzo 1985 N. 517: "Estensione delle competenze al Difensore Civico", presentato dai Consiglieri Valeri, Acotto, Avondo e Barisione in data 14 marzo 1985 N. 51 8: "Modificazioni alla legge regionale approvata dal Consiglio in data 14/3/1985 relativa a 'Istituzione del Seminario di Bardonecchia per la Formazione federalista Europea'", presentato dall'Ufficio di Presidenza in data 19 marzo 1985.


Argomento:

c) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

Comunico che le deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nelle sedute del 5 e 7 marzo 1985 - in attuazione dell'art. 7, secondo comma della legge regionale 6/11/1978 n. 65, sono depositate e a disposizione presso l'Ufficio Aula.


Argomento: Edilizia pubblica (convenzionata, sovvenzionata, agevolata)

Comunicazioni della Giunta regionale sugli Istituti Autonomi Case Popolari


PRESIDENTE

La parola all'Assessore Bruciamacchie per una comunicazione sugli Istituti Autonomi delle Case Popolari.



BRUCIAMACCHIE Mario, Assessore all'edilizia

Questo Consiglio regionale si è trovato più volte a discutere, e con frequenza crescente negli ultimi due anni, dei problemi relativi allo IACP di Torino. Numerose infatti sono state le interrogazioni avanzate dai Consiglieri che hanno rivolto la loro attenzione, di volta in volta, o a casi particolari, riguardanti l'Istituto torinese, od alla situazione più complessiva dello stesso.
Credo che questa attenzione sia dovuta essenzialmente alla non buona situazione finanziaria, operativa e gestionale in cui lo IACP si trova, ma anche alla consapevolezza della gravità dei problemi che assillano il settore dell'edilizia abitativa a livello nazionale e locale ed al ruolo che in questo quadro spetta all'intervento pubblico, principalmente in materia di edilizia sovvenzionata.
Non è mia intenzione svolgere qui un'analisi particolareggiata dei problemi del settore edilizio e del mercato delle abitazioni. Mi limito ad alcune brevi considerazioni che ritengo però importanti per la discussione di oggi al fine di evitare che si perda di vista la problematica complessiva in cui l'operato ed il ruolo dello IACP di Torino vanno inquadrati, e, soprattutto, per la giusta valutazione dell'operato, di questa Amministrazione regionale, teso al ristabilimento di una situazione di normalità finanziaria e di funzionalità operativa e gestionale.
A partire dalla legge 865 del 1971 e proseguendo con la legge 457/78 (piano decennale), si era formulata un'idea di programmazione per la costruzione e la distribuzione di un bene sociale, quale la casa, che vedeva nello Stato il soggetto attuatore per eccellenza.
La legge 382/75 e il DPR 616/77 investivano intanto di competenze anche le Regioni, senza che però si provvedesse da parte degli organi centrali dello Stato a fornire, per il loro svolgimento, i necessari supporti legislativi (la deliberazione CIPE con cui si fornisce la normativa quadro alle Regioni per un'organica disciplina delle assegnazioni e dei canoni degli alloggi di ERP, viene emanata infatti solo a fine 1981, dieci anni dopo la legge 865 e nove anni dopo il DPR 1035/72 con cui si stabiliva una disciplina dei canoni di fatto incerta e impraticabile).
Sbaglieremmo ora ad affermare che il processo avviato dalle leggi citate non abbia prodotto anche effetti positivi, come è dimostrato dalla quantità degli investimenti effettuati e delle abitazioni costruite e recuperate.
Ciò che non ha funzionato è il metodo della programmazione che è stato scardinato, in base alla logica dell'emergenza, da una serie di provvedimenti di urgenza quali le leggi 25/1980 e 94/1982 o, per arrivare ai nostri giorni, il DL 12 del 7/2/85. A questa azione si è affiancata l'altra relativa allo smantellamento di un organico regime dei suoli ottenuto con sentenza della Corte Costituzionale e con la mancata riproposizione di un'adeguata normativa da parte del legislatore.
Ora, a fronte di questi processi ci interessa, per definire quale deve essere il nostro intervento, quali i nostri obiettivi, specificare subito che la risposta alla crisi del ruolo dell'Ente pubblico in edilizia, non può certo essere quella di uno smantellamento dell'intervento pubblico stesso, e delle strutture attraverso le quali esso si compie. Questo tentativo che da alcune parti viene avanzato, e di cui l'attacco agli IACP non è che un momento, si propone come obiettivo il ristabilimento di un completo liberismo di mercato, un mercato regolato esclusivamente dalle leggi economiche della domanda e dell'offerta, quasi che la casa fosse un bene ad utilità sociale talmente limitata da non dover essere oggetto di attenzione da parte dello Stato.
In realtà una politica cosciente dell'importanza del bene casa per l'avanzamento civile di una società, non può prescindere da un ruolo determinante e ben definito dell'Ente pubblico. La strada da seguire perci è data dal rilancio dell'edilizia pubblica, da un rifinanziamento del piano decennale casa, accompagnato da una ridefinizione dei meccanismi di intervento, ad un risanamento e ad una ristrutturazione degli IACP, ad un rilancio del mercato dell'affitto a prezzi controllati, ad una politica di sperimentazione nelle tecniche di costruzione che porti ad un contenimento dei costi in presenza di inalterate caratteristiche di qualità.
Il grande ruolo economico e sociale svolto dall'edilizia pubblica, che da strumento di assistenza si è trasformata in strumento di politica edilizia, assolutamente necessario all'equilibrio del mercato delle abitazioni, richiede dunque miglioramento del modo di operare e l'accentuazione dell'imprenditorialità degli IACP, ma in presenza di una profonda revisione dell'attuale quadro istituzionale operativo, poiché una soluzione modificativa e migliorativa, soltanto interna agli enti stessi difficilmente potrebbe risolvere le disfunzioni attuali.
Fatte queste premesse di carattere generale, che certo non pretendono come dicevo apertura,di rappresentare un'analisi approfondita ma solo di richiamare alcuni concetti essenziali, veniamo dunque al nostro caso particolare.
La grave situazione dello IACP di Torino, ha radici lontane nel tempo connesse a disavanzi di gestione che risalgono agli anni antecedenti al 1975. Essa trova analogia nei situazione degli altri grandi Istituti Italiani che da soli producono quasi per intero il debito nazionale di questi enti che superano ormai i 1000 miliardi. Questa considerazione ritengo doverla fare, non già per giustificare in qualche modo il dissesto finanziario del IACP torinese, o come un atto consolatorio, ma per sottolineare come un intervento risanatorio del Governo, che del resto richiederebbe cifre inferiori a quelle che periodicamente si stanziano con provvedimenti speciali, potrebbe rimettere il sistema degli IACP italiani in grado di ripartire. Per contro non provvedendo sollecitamente a questo risanamento, la situazione è destinata ad aggravarsi in progressione geometrica, rendendo sempre più arduo un intervento risolutivo.
I disavanzi economici dello IACP della provincia di Torino per gli ultimi dieci anni da dati forniti dall'Istituto stesso, si possono così quantificare: (dati in milioni di lire) Anno Disav econ. Oneri finanz. Differ.
1975 10.720 11.913 - 1.193 1976 5.690 6.799 - 1.109 1977 4.931 6.408 - 1.477 1978 4.687 9.116 - - 4.429 1979 9.190 12.145 - 2.955 1980 15.022 14.739 + 283 1981 25.137 14.508 + 10.629 1982 15.379 |Dati tratti 14.862 + 517 1983 24.704 |da bilanci 23.886 + 818 1984 44.287 |preventivi 36.594 + 7.693 1985 68.371 45.181 + 23.190 TOT. 228.123 196.151 Dall'analisi condotta dallo IACP stesso risulta che la causa principale del disavanzo è dovuta agli oneri finanziari che derivano da: a) interessi passivi su mutui accesi per l'esecuzione di interventi di nuove costruzioni, che derivano dalla sommatoria degli interessi relativi all'accensione dei mutui contratti per la costruzione delle case del piano IACP Fiat (anni 1973/74) L'Istituto non è mai stato in grado di coprire, con i rientri dei canoni relativi alla locazione ed alle quote riscatto di quegli alloggi, le quote di ammortamento dei mutui accesi per l'attuazione del piano.
Tale situazione ha innescato un meccanismo perverso, in cui, alle rate scadute ed insolute, vengono applicati interessi di mora; inoltre l'Istituto di credito richiede ad intervalli la rinegoziazione del debito attraverso mutui di gestione che comportano la ricapitalizzazione degli interessi, l'applicazione degli interessi di mora, l'applicazione al debito di tassi aggiornati, progressivamente crescenti ed indicizzati (gli ultimi sono stati concessi con tassi del 23-24 per cento).
Inoltre con l'emanazione della legge 865/71 e dei decreti del Presidente della Repubblica 1035 e 1036, in data 30/12/72, gli IACP dovettero assorbire gli enti soppressi quali Ina-Case, Incis, Gescal, ecc.
con le relative passività ed impegnandosi ad onorarne i relativi mutui costruttivi b) l'altra causa del disavanzo deriva dagli interessi passivi di mora su consolidamenti e per anticipazioni derivanti dagli interessi sui "mutui di gestione" che lo IACP è stato costretto ad accendere per ottenere anticipazioni di cassa per consolidare le rate insolute dei vari mutui.
All'interno di questi oneri finanziari non sono comprese le quote di ammortamento del capitale, ma solo la parte relativa agli interessi; quindi è opportuno far presente che una quota rilevante delle differenze annuali fra disavanzo economico ed oneri finanziari, è da imputarsi alle quote di ammortamento del capitale.
A compendio delle cifre sopra riportate ed in particolare per i notevoli incrementi del disavanzo per gli anni 1981/85, vi sono inoltre alcune considerazioni da svolgere.
Fino al 1983 la redazione dei bilanci avveniva secondo uno schema comune ai vari Istituti e proposto dalla loro Associazione nazionale. Dal 1984 invece lo IACP della provincia di Torino, per addivenire ad una maggiore chiarezza, ma anche per sostituire un sistema a volte gravato da una eccessiva consuetudine pressapochista, ha deciso di adottare una diversa contabilità. Ciò ha comportato la variazione di alcuni parametri di riferimento, come ad esempio le quote di ammortamento dei fabbricati, che ora incidono per il 2,70 per cento del valore degli stabili, mentre prima veniva definita una percentuale sulla base dei mutui contratti per la costruzione di detti immobili.
Le incongruenze rilevabili dopo il 1981 sono anche da attribuirsi al fatto che a tale anno risale l'ultimo bilancio consuntivo approvato (gli altri sono in via di approvazione), e che le previsioni di bilancio per gli anni successivi non sono state redatte in modo omogeneo e fra loro confrontabili.
Ricordo che le entrate relative ai canoni degli alloggi di ERP sono praticamente rimaste invariate dal 1977 al dicembre '84, quando cioé questa Regione ha provveduto ad emettere la legge 26/7/84 n. 33 che è stata approvata all'unanimità in attuazione della delibera CIPE. Questo lasso di tempo ha coinciso con un periodo congiunturale del mercato dei beni e servizi particolarmente sfavorevole, in cui i costi di gestione e d'esercizio sono lievitati notevolmente.
Ciò premesso è necessaria l'ulteriore esemplificazione delle cause di disavanzo individuate dall'Istituto: Manutenzione dei fabbricati IACP. L' Istituto si limita per quanto possibile ad interventi estremamente urgenti che possono innescare ulteriori danni o per i quali venga emessa apposita ordinanza da parte del Comune in cui sono siti gli alloggi.
Sottoutilizzo delle strutture tecniche dell'istituto. L'Istituto lamenta la diretta attribuzione da parte dello Stato ai Comuni di finanziamenti per l'acquisto e la costruzione di nuovi alloggi. Tale operazione ad avviso dell'Istituto comporta la creazione presso i Comuni o Consorzi di Comuni di appositi servizi tecnici mentre, per contro, si sottoutilizzano quelli esistenti presso gli Istituti.
Gestione delle case del Comune di Torino. L'Istituto vanta nei confronti del Comune di Torino un credito pari a lire 13.137 milioni per la gestione delle case di proprietà del Comune stesso. Solo ora è in corso di stipula una convenzione fra l'Istituto ed il Comune per addivenire al pagamento di tale cifra.
Morosità dell'inquilinato. La morosità risulta al 31/12/83 pari a lire 5.504 milioni corrispondente all'8,07 per cento del monte canoni.
Dall'1/1/84 al 31/9/84 la morosità viene quantificata in lire 803 milioni pari al 4,38 per cento del gettito potenziale del corrispondente periodo.
L'Istituto di Torino procede al sistematico perseguimento delle stesse con un onere finanziario molto pesante, a causa delle alte spese di procedura e del ricavato irrisorio delle vendite giudiziarie. A tale proposito è opportuno sottolineare come lo IACP di Torino, abbia organizzato un'attività stragiudiziale, mirante a ridurre le grave incidenza di spesa e di tempo delle azioni giudiziarie: gli uffici provvedono a migliaia di convocazioni e solleciti prima di inoltrare le pratiche contenziose che attualmente ammontano per le ingiunzioni a circa 2.000.
Abusivismo. Dopo anni di crescita costante del fenomeno, questo si presenta oggi per una pluralità di fattori (diminuzione della pressione demografica e case costruite) in regresso. Inoltre l'articolo 22 della legge regionale 10/12/84 n. 64, consente la regolarizzazione della posizione per coloro che, in possesso dei requisiti, alla data del 31/12/83 occupavano senza titolo alloggi di ERP, a condizione che l'occupante provveda al pagamento di tutti i canoni e spese dovute a decorrere dalla data di occupazione abusiva, consentendo quindi un notevole recupero di fondi altrimenti difficilmente esigibili.
Gestione calore. La gestione calore dei fabbricati IACP è un altro grave problema economico, in quanto in base all'attuale giurisprudenza, il proprietario dell'immobile è tenuto comunque a fornire il servizio e a rivalersi in seconda istanza sull'utente moroso. Inoltre anche laddove esiste, l'autogestione, l'Istituto è tenuto a sostenere i costi derivanti dalle morosità degli inquilini inadempienti. Dalla previsione di bilancio 1985 si può evidenziare come la somma iscritta a bilancio per tale voce si sia incrementata rispetto al 1984 di 6.000 milioni.
Alienazione degli alloggi. Il patrimonio cedibile dell'Istituto consta di circa 4.000 alloggi. Solo però dagli anni '82/83 è stato costituito presso l'Istituto un efficiente ufficio di alienazione degli immobili. Questa iniziativa avrebbe dovuto, per dare riscontri positivi, essere attuata molto tempo prima e consentire così il rientro delle somme e la conseguente utilizzazione prevista dalla legge vigente. Inoltre non sempre è possibile convincere gli inquilini ad acquistare gli alloggi per una pluralità di motivi, evidentemente, i canoni bassi e così via.
Questa dunque la situazione dello IACP torinese, inserita nel quadro generale delineato in precedenza, a fronte della quale la Regione Piemonte si è trovata ad operare con scarsità di mezzi di intervento.
Infatti in assenza della legge quadro nazionale di riordino delle strutture preposte alla costruzione e gestione dell'ERP, alla cui emanazione il DPR 616 chiamava il Governo centrale, e nel cui ambito si sarebbe potuta collocare l'operazione di risanamento finanziario, questa Amministrazione ha assunto un complesso di iniziative che configurano i primi elementi di un disegno complessivo di risanamento economico gestionale del settore dell'ERP la cui competenza è stata trasferita.
Tali iniziative possono essere così riassunte: emanazione delle leggi regionali per la determinazione dei nuovi canoni di locazione e per l'assegnazione degli alloggi di ERP (ci riferiamo alle leggi votate recentemente: la legge 33 e la legge 64, in applicazione della deliberazione CIPE) approvazione delle modifiche dello statuto dello IACP di Torino che consentono l'alienazione dei locali destinati ad attività commerciali (su questo si sta andando avanti) disponibilità dimostrata con la messa a disposizione di fondi ERP ad individuare modalità e procedure attraverso le quali pervenire all'alienazione di quote del patrimonio residenziale dell'Istituto, non tali da pregiudicarne il ruolo, ma comunque sufficienti a consentire il parziale ripianamento del debito pregresso (sarà fatto il discorso del buono casa in precedenza, ecc.) deliberazione all'interno dei massimali fissati dal Ministero dei lavori pubblici dell'ammontare delle quote b) e c) di cui all'art. 19 del DPR 1035/72, di cui abbiamo approvato in Giunta la deliberazione pochi giorni fa.
La L.R. 33/84 consente agli IACP piemontesi di aggiornare i canoni di locazione degli alloggi altrimenti fermi al 1977 e favorisce inoltre il formarsi delle autogestioni con notevoli effetti positivi verso gli Istituti stessi. Ad oggi risultano essere solo otto le Regioni che hanno recepito quanto previsto dalla delibera CIPE.
L'aumentare delle somme che gli IACP introiteranno, derivanti dall'applicazione della legge 33, non è ad oggi quantificabile in quanto occorre attendere alcuni mesi per verificare, attraverso una corretta applicazione, e così non è stato in questa fase, quali sono gli effetti economici che essa produrrà e quindi verificare l'opportunità o meno di addivenire ad un'eventuale modifica della legge stessa.
In esecuzione delle LL.RR. 33/84 e 64/84, che prevedono la costituzione di un fondo regionale, per la corresponsione di contributi agli assegnatari di edilizia pubblica sovvenzionata, in condizioni economiche tali da determinare gravi difficoltà per il pagamento del canone di locazione, è anche in corso di esame da parte dell'Amministrazione regionale la possibilità di reperire a tempi brevi le risorse finanziarie necessarie alla costituzione.
In particolare per quanto riguarda lo IACP della Provincia di Torino contraddistinto, come tutti gli IACP operanti in aree metropolitane, da una elefantiaca grandezza e centralizzazione, con conseguenti diseconomie di scala, si impone la necessità di addivenire ad una riforma dell'Ente.
La necessità di una riforma generale degli Istituti, ad onor del vero è stata sostenuta a livello nazionale da diverse forze politiche, con l'espressione di diverse proposte di legge di riforma, mai concretizzatesi però in una legge nazionale.
A fronte di ciò questa Amministrazione ha ritenuto di formulare un proprio disegno di legge per una prima ristrutturazione degli IACP piemontesi, ddl già licenziato dalla II Commissione consiliare.
Questo ddl prevede al titolo II, norme specifiche per il territorio della provincia di Torino, con la creazione di comitati locali di gestione quali organi dello IACP provinciale, che dato il loro ambito circoscritto (si pensa ad unità da 2000 a 7000 abitazioni non di più), dovrebbero garantire una gestione più snella e corretta del patrimonio IACP.
Giova ricordare che nel ddl proposto al Consiglio, le funzioni di vigilanza spettanti alla Regione vengono meglio definite, pur riaffermando il principio di autonomia di un Istituto come lo IACP, dotato di un proprio Consiglio di Amministrazione e di un proprio Collegio sindacale, e quindi responsabile di ogni atto chiamato a compiere.
Voglio inoltre ricordare schematicamente al Consiglio le problematiche emerse dall'incontro avvenuto il 21/2/85 tra gli inquilini del quartiere Falchera ed i rappresentanti dei Gruppi consiliari regionali (PCI. PSI. DC.
PLI): 1) verifica delle possibilità di alienazione degli immobili IACP 2) verifica sull'applicazione della legge regionale 33/84 sui canoni 3) revisione del sistema di distribuzione dell'utenza in fasce di reddito così come previsto dalla L.R. 33/84, onde rapportarlo agli effettivi riscontri ottenuti in sede di prima applicazione dei canoni 4) accelerazione dell'iter di approvazione del ddl relativo alla ristrutturazione degli IACP 5) avvio immediato delle fasi conclusive dell'iter per superare la grave carenza di direzione dello IACP di Torino.
Su questi punti stiamo operando e sono convinto che siamo ancora in condizioni di assumere atti che permettono di portare a soluzione entro pochi giorni i problemi che in quella riunione sono stati posti.
All'iniziativa di carattere legislativo che mira a dare una risposta definitiva alla crisi dello IACP di Torino, si accompagna da parte della Giunta regionale, la volontà di addivenire ad una soluzione immediata della crisi direzionale dell'Istituto, divenuta particolarmente acuta a seguito delle dimissioni avanzate nel dicembre '84 dal Presidente e dal Vice Presidente del Consiglio di amministrazione.
Queste dimissioni trovano riscontro in oggettive difficoltà di ordine generale, sulle quali ci siamo già soffermati, ma a noi pare che siano venuti comunque emergendo anche problemi di direzione tecnico-gestionale dell'Istituto di Torino.
Traiamo questa convinzione da alcuni fatti che hanno già costituito oggetto di risposta ad interrogazioni discusse da questo Consiglio regionale, tra cui ad esempio: una politica della manutenzione degli immobili che non sempre è apparsa rispondere a criteri di programmazione e di chiarezza un'azione intempestiva e contraddittoria riguardo alla manutenzione e trasformazione degli impianti di riscaldamento la scarsa conoscenza del proprio patrimonio edilizio e dell'utenza, causa primaria della distorta applicazione delle leggi regionali, come la legge 33, che ha ingenerato grosse difficoltà in un numero consistente di inquilini.
Da ciò chiaramente si evince quanto sia urgente procedere a ridare funzionalità ed efficienza ad un Istituto che amministra in Torino quasi 50 mila alloggi.
Questo obiettivo può essere raggiunto o con il rinnovo delle rappresentanze di Provincia e Regione nel Consiglio di amministrazione - strada che abbiamo considerato noi percorribile nei mesi scorsi - o, e questo mi sembra che appaia oggi come la soluzione inevitabile, con la nomina di un Commissario che, per competenza ampiamente riconosciuta, sulla base di un preciso mandato, sappia affrontare gli impegni di intervento che nei prossimi mesi si porranno agli IACP e che supera il discorso e la fase della prorogatio del Consiglio di amministrazione attuale e che pu permetterci, se questo avverrà in tempi molto rapidi, di portare avanti una politica rigorosa nel campo del risanamento economico-gestionale, sulle linee di rinnovamento e di riforma che ho delineato oggi a nome della Giunta.



PRESIDENZA DEL CONSIGLIERE FERRO



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Picco. Ne ha facoltà.



PICCO Giovanni

Avrei preferito parlare dopo qualche esponente della maggioranza perché ritengo che qui chi è chiamato in causa non sia tanto la minoranza quanto la maggioranza politica che ha retto le amministrazioni di sinistra nella nostra realtà territoriale e quindi conseguentemente che ha generato e partorito la gestione delle strutture politico-amministrative connesse e derivanti da queste maggioranze. Naturalmente noi ci dobbiamo inserire in questo confronto, perché l'argomento è già stato ampiamente sollecitato in altre circostanze e sempre abbiamo dimostrato l'insoddisfazione del dato fornito in aula e senza possibilità di riscontri, perché, caro Assessore non dispongo ora degli appunti della comunicazione che lei fece su questo stesso argomento alcuni mesi fa, però queste cifre sono elastiche e scorrevoli ed ogni volta vengono fornite con delle aggregazioni o dei riferimenti diversi, per cui non è possibile, se non avendoli esaminati precedentemente al dibattito, rispondere puntualmente rispetto alle cifre fornite. Io ho fatto con il Consigliere di amministrazione Pignocchino alcuni mesi fa dei conteggi molto precisi sommando i deficit economici a quelli finanziari, al 1984 erano cifre che superavano i 400 miliardi. Io non riesco adesso dalle somme che lei ci ha fornito, anche con riferimento all'aggiornamento dei dati sui deficit finanziari del 1985, arrivare a vedere se questo confronto è possibile o meno.
Mi riservo di ritornare sull'argomento per quanto attiene questo specifico dato che viene fornito nelle sedute della prossima settimana perché è materialmente impossibile fare dei confronti sulla base di dati che io devo confrontare rispetto a quelli che abbiamo noi disponibili come opposizione.
Entro nel merito della comunicazione per lamentarmi e criticare in modo abbastanza forte il taglio che l'Assessore ha dato alla prima parte della stessa. Quando ha ricordato una serie di provvedimenti dello Stato che anche solo per quanto attiene alla loro definizione sono palesemente ingiusti e non collocabili nella definizione data.
Quando si parla di scardinamento della struttura operativa dello Stato in termini di edilizia economica e popolare con la legge 25, stiamo attenti a dare delle valutazioni di questo tipo, perché dobbiamo valutare la domanda sociale, gli effetti che questa domanda richiedeva e valutare la complessività delle emergenze che si edificavano nelle aree metropolitane italiane. Non possiamo valutare solo ciò che è successo a Torino e che comunque per certi aspetti semmai da ribaltare in senso favorevole alla nostra critica potrebbe venire lo scardinamento, ma non nella direzione di un obiettivo che lo Stato si è proposto per esautorare il ruolo delle strutture amministrative che gestivano il patrimonio edilizio economico popolare.
Semmai lo scardinamento, ripeto, è venuto in una serie di riferimenti complessivi al sistema dei costi, al sistema dell'offerta sul campo delle costruzioni ed è questo però un tipo di responsabilità che non è attribuibile assolutamente né all'ideatore l'on. Andreatta della legge 25 né credo al Parlamento che ha emanato il provvedimento, semmai al tipo di applicazione che questo provvedimento ha trovato nelle varie realtà, dove si è preferito in alcuni casi attendere e maturare decisioni che andavano prese, sia dal punto di vista delle localizzazioni, sia dal punto di vista dei riconoscimenti del patrimonio offerto con oculatezza, ed in altri casi dove invece certi accordi politici di vertice e ancora tutt'oggi coperti da grandi ipoteche di mistero su come siano state così felicemente portate in porto, hanno prodotto. Io non riapro questo capitolo, perché trattandosi di affermazioni fatte in sede pubblica, non voglio aprire degli scenari che non sono propri di questa discussione, ma non vi è dubbio che non si pu imputare di scardinamento di ruoli delle strutture amministrative del patrimonio dell'edilizia pubblica un provvedimento nato per sopperire a gravi carenze dal punto di vista dell'offerta rispetto ad una domanda sempre più incalzante.
E così dicasi anche per la legge 382. Non pensiamo che si possano imputare a questi provvedimenti nazionali riferimenti nella direzione di un progressivo annullamento di un ruolo di decentramento di certe decisioni ma purtroppo di necessità di intervenire per ragioni di emergenza diffuse in parecchie realtà a ruoli che comunque lo Stato in termini di programmazione è opportuno provveda, perché esiste un certo riparto della finanza pubblica soprattutto con riferimento agli enti locali che ha già delle dimensioni eccessive rispetto ai ruoli sopportati da questi enti e quindi è giusto che lo Stato, per particolare necessità di emergenza intervenga con dei provvedimenti a dimensione finanziaria contenuta che siano quindi rapportabili ai benefici che si vogliono ottenere. Non voglio comunque soffermarmi su questo argomento, quanto piuttosto alle considerazioni sulle strutture degli IACP in generale, ed in particolare di quello di Torino.
Io credo che i dati finanziari ed economici di confronto tra 1985 e 1974/75 sarebbero più che sufficienti per poter trarre delle conclusioni abbastanza facili. Questo perché il dato va messo a confronto con i paralleli investimenti che venivano fatti in quegli anni e quindi agli oneri di natura finanziaria che venivano sopportati per costruire nuove case di abitazione, mentre invece oggi ci troviamo di fronte ad una voragine totale di deficit che viene progressivamente accrescendosi a fronte di una scarsissima attività dal punto di vista costruttivo di nuove abitazioni. Ed è quindi questo il dato che rende non confrontabile assolutamente al limite in termine di percentuale. Si dice che i 68 miliardi del deficit economico del 1985 sono qualche cosa come il 120 per cento rispetto a quello del 1974 e 1975. Questo potrebbe ancora essere un dato che ha delle attenuanti, ma è un dato che deve essere raffrontato al panorama ed al complesso delle attività che si svolgevano in quegli anni e si svolgono attualmente.
E qui entrano in considerazione cose che l'Assessore ha già denunciato e che non sono solo la morosità che, a quanto dice l'Assessore, non raggiungerebbe quote superiori al 10/12 per cento e che se così fosse tutto sommato sarebbe in percentuali molto contenute, quanto il divario tra il canone che viene pagato, anche da coloro che lo pagano, e quello che dovrebbe essere pagato. Su questo noi non possiamo attestarci certo al riconoscimento di un ruolo propositivo e di iniziativa della Regione che sia tempestivo. Gli stessi provvedimenti che lei ha ricordato si collocano in una fascia che va dalla fine del 1983 ad oggi e si tratta di provvedimenti estremamente tardivi e assolutamente insufficienti, anche nel merito, rispetto alle esigenze che erano da affrontare. Non stupiamoci quindi delle scorrette applicazioni, quando l'istituto regionale è preposto al controllo ed alla promozione nei confronti di questi enti, di un'etica di gestione per quanto attiene la gestione di un patrimonio che non è della Regione, ma della comunità.
E qui si interviene dopo otto-nove anni di governo; io credo che sia logico questo riferimento, perché le responsabilità vanno rapportate anche ai colori delle amministrazioni ed in una situazione certo che ormai registra vacche uscite dalle stalle da tutte le direzioni e quindi situazioni non riconducibili più ad un quadro di chiarezza e di confronti per cui tutt'al più si salvano in questa situazione le piccole realtà provinciali che registrano percentualmente, sempre rispetto al dato economico generale, deficit sia di gestione, sia di morosità, che sono del tutto trascurabili rispetto al dato della provincia di Torino.
Per quanto riguarda il problema di Torino mi dolgo che in questa sede sia stato fatto un appunto alla gestione tecnico-amministrativa dell'istituto, non certo perché si possa dire che le successioni che avvengono nella logica di riferimento alle strutture burocratiche interne sia sempre quella giusta; ma quanto perché il dato comunque non è accettabile: sarebbe come se un sindaco o una amministrazione si lamentasse dell'insuccesso del proprio ruolo politico, dei propri consuntivi attribuendone le responsabilità alla struttura burocratica o al segretario generale.
Credo che questo sia un tipo di discorso che, al di là dell'inopportunità in questa sede che andrebbe invece esaminata più opportunamente in altre, è un dato che rileva sostanzialmente la debolezza anche in un atteggiamento di autocritica rispetto a questa gestione.
Autocritica che invece registra alcune affermazioni che sono state qui ricordate dall'Assessore in ordine alla tardività, sia dal punto di vista dell'adeguamento dei canoni, sia dal punto di vista della registrazione dei deficit, sia dal punto di vista delle alienazioni, tardività che però di fatto non ha alcuna attenuante rispetto ai provvedimenti di natura nazionale, perché da almeno 5/6 anni queste alienazioni avrebbero potuto essere fatte ed anche con criteri di elasticità per conseguire alienazioni tempestive. Siamo in presenza invece di dazi sconfortanti, cioé offerte che andavano deserte, una situazione quasi di paradossale, incredibile incapacità di alienazione a fronte di costi del tutto stracciati, come si direbbe sul mercato.
Tutto questo sconta, certo, errori anche di natura amministrativa e tecnica rispetto alla struttura, ma sconta il principio politico dell'aver preteso e voluto conservare il più possibile ed a lungo la gestione politica di questi canoni e la gestione politica delle strutture insediative, arrivando alla conclusione ed alla convinzione diffusa da parte degli inquilini che non era il caso di darsi da fare per riscattare gli appartamenti e venire così a capo di responsabilità, mentre è così scomodo e tranquillo sottostare ad un regime di locazione finché questo dura. Invece, questo discorso del riscatto e dell'alienazione aveva avuto negli anni '76 e '77 dei momenti caldi, interessanti, quando c'era la disponibilità da parte degli inquilini a subentrare, quasi con orgoglio a possedere questi appartamenti in una situazione non di degrado ambientale e fisico, quale è quello raggiunto in questi anni, ma in una situazione comunque di non sperequazione rispetto alla morosità che finiva poi per coinvolgere i riscattandi in una situazione di confusione coabitativa rispetto a soggetti che avevano nessuna intenzione di allinearsi su questa ipotesi.
E' chiaro che quando la politica del riscatto e dell'alienazione non è perseguita con la coerenza dovuta, tutto poi si sbrindella e si sfascia in un atteggiamento che è poi di difficile controllo.
Veniamo ora alla situazione che ci interessa di più. Noi siamo di fronte ad una proposta di razionalizzazione del sistema dei controlli e della struttura degli IACP che non ci convince assolutamente. Non siamo assolutamente d'accordo che questo disegno di legge passi per una serie di ragioni che sono insite all'esigenza di fare chiarezza sull'eredità che queste strutture rinnovate, così come si pretenderebbe, verrebbero ad assumere. E questa chiarezza, per quanto riguarda l'Istituto case popolari di Torino in particolare, non può che essere fatta con il Commissario, un Commissario che duri tre anni si badi bene, un Commissario che abbia il tempo sufficiente per poter andare ad aprire tutti gli armadi, verificare tutte le situazioni, mettersi in condizioni di chiarezza assoluta da tutti i punti di vista, sia dei deficit che sono affrontabili con risorse proprie dell'Istituto, sia di quelli che non essendo affrontabili richiedono un intervento eccezionale dello Stato e della Regione. Noi ripetiamo questa richiesta perché riteniamo non contrabbandabile con un regime di redenzione questo disegno di legge che ci avete presentato. Tanto più proprio per quegli istituti nuovi, come i Comitati di gestione, che sono assolutamente improponibili in una realtà come quella dell'area metropolitana torinese e sono direi forse un grosso pericolo di salto nel buio e un grosso pericolo di demagogizzare ulteriormente il problema della gestione, mascherandolo dietro a false responsabilità. Qui, signori, i problemi sono molto chiari: i Comitati di gestione non potranno mai avere il ruolo dei Consigli di amministrazione. I Consigli di amministrazione su questo tema specifico si troverebbero in una situazione di conflittualità politica ed amministrativa coi Comitati di gestione che non è chiarita nel disegno di legge e non vediamo come questo possa essere il nodo di saldatura tra un'etica che non esiste assolutamente ed una che si verrebbe a creare solo perché è diffusa la partecipazione nei Comitati di gestione. Magari bastasse tutto questo! Noi riteniamo che si debbano innescare dei meccanismi incrociati molto più rigorosi a partire dalle responsabilità e dai collegamenti tra i Consigli di amministrazione e la Regione la quale ovviamente dovrebbe dotarsi nel suo stesso disegno di legge di strutture proprie ed adeguate per sopperire ed affrontare questi compiti di controllo, ma in modo più convincente di quanto non sia stato proposto e quindi in un clima sostanzialmente di chiarezza anche istituzionale che potrebbe forse maturare in questi anni di commissariamento anche con riferimento a decisioni che non lo ignoriamo possono essere di competenza dello Stato.
Per queste ragioni, Signori Consiglieri, io arresto qui il mio intervento perché so che l'economia dei lavori del nostro Consiglio richiede questo buon senso, però io mi riservo di chiedere la parola nelle prossime sedute, quando avendo avuto i dati forniti dall'Assessore ed avendo potuto operare alcuni confronti, voglio che si chiarisca fino in fondo fino a che punto i dati forniti corrispondono effettivamente alla realtà.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Sono convito che questa comunicazione, anche se i tempi in cui dobbiamo collocare i nostri interventi sono per ragioni di economia, come ricordava Picco, obbligatoriamente brevi, sia comunque un momento utile ed importante in una fase molto delicata della vita degli IACP, ma più in generale dell'edilizia economica popolare nella regione in particolare e nella nostra città. Io devo dire che la relazione mi sembra abbia toccato tutti i punti del problema: non condivido assolutamente il giudizio che veniva qui dato da Picco di facile assolvimento di grandi responsabilità nazionali che peraltro vengono indicate in qualsiasi dibattito parlamentare da parte di tutte le forze politiche, non capisco perché dover fare a tutti i costi gli ascari del Governo o addirittura del Parlamento quando in realtà il problema di una linea progressiva che ha fatto mancare i fondi che non ha mai riformato questi istituti è il nodo centrale.
Devo dire che mi sembra assolutamente improprio. Credo che sia d'obbligo per tutti confrontarci sui nodi strutturali di una crisi lunga che non a caso si sta verificando a livelli di alto allarme perfino sul piano del deficit in tutte le grandi aree metropolitane. Quindi il nodo di una mancata riforma di fondi insufficienti, di una legislazione che ha relegato, a mio avviso, tutta la partita IACP in un ruolo tutto sommato marginale rispetto all'evoluzione ed agli aggiornamenti anche istituzionali che in altri settori si sono dati è uno dei punti che l'Assessore Bruciamacchie ricordava e su cui mi sembra che occorra partire. Occorre partire perché ad esempio lo stesso ddl che certo ha dei limiti, cerca di delineare una strada che va nell'indirizzo di intervenire sulle questioni strutturali. Le questioni strutturali sono enormi. E' molto facile sotto le elezioni fare l'operazione tipica di scaricare le responsabilità sugli altri. Io dirò subito che invece non farò così, nel senso che mi pare giusto che quando si hanno responsabilità generali di Governo si cerchi di assolvere a queste responsabilità e di dare delle risposte.
Dobbiamo pur dire però oggi che se sbagliassimo indirizzo, se sbagliassimo posto in cui collocare gli elementi critici e se questi "baracconi" non vengono profondamente riformati, io credo che non ci sia la possibilità, praticamente per nessuno, di risolvere i problemi. Credo che occorra partire di qui e allora rilancio una domanda o una questione alle forze politiche del Consiglio regionale, anche se è una questione che credo non possiamo certo affrontare in questo brevissimo scorcio di legislatura.
C'è la possibilità di avviare, a partire da una ricognizione attenta della situazione reale degli IACP piemontesi, una proposta di riforma e un dialogo a livello governativo che veda l'unità forte di molte forze politiche, io mi auguro tutte; senza di questo credo che non sia possibile parlare proficuamente di uscita da una situazione difficile degli IACP sia semmai comunque garantito un terreno di coltura abilitatissimo a qualsiasi tipo di polemica sul passato remoto, sul passato recente e io temo anche sulle cose che possono accadere d'oggi in poi.
Secondo punto. Ritengo che vada fatta chiarezza sul ruolo della Regione e qui Picco devi convenire con me che c'è stata un'interpretazione che abbiamo legittimamente voluto dare e bada bene in altri atti, in altri istituti, è stata sostenuta spesso anche dal vostro Gruppo, credo in coerenza con l'impostazione autonomista in largo senso, per cui quando si creano degli istituti autonomi, degli enti autonomi, la funzione di controllo, di vigilanza della Regione è intesa in senso lato e si affida a quelle potenzialità, io dico con maggiore controllo forse di quello che è avvenuto.
Sul problema del rapporto tra istituto che legittima e nominati, noi abbiamo affrontato una legge sulle nomine, su cui abbiamo cercato di porre molto l'attenzione su cosa deve cambiare tra chi nominiamo e noi in un rapporto di verifica costante che preveda le audizioni, che preveda meccanismi, di verifica di cosa è successo dopo la nomina di queste persone.
Detto questo, credo che sul concetto di autonomia si sia in questi anni viaggiato tutto sommato così come si è fatto per gli enti strumentali, cosi come si è fatto per tutti i bracci operativi della Regione, tenendo conto qui poi in particolare che l'azione di vigilanza e di controllo regionale era incardinata su enti le cui valenze di legittimazione erano plurime: Province, sindacati, sindacati inquilini, anche questo credo vada riformato, perché quando hai soggetti con una provenienza così disparata ed alla fine con scarsi legami di responsabilità con enti precisi, anche la funzione generale di indirizzo e di controllo diventa difficile, per cui credo che dobbiamo ripensare non solo al sistema dei controlli, ma dobbiamo ripensare sul piano in qualche modo anche della teoria istituzionale a come l'esplicazione di autonomia degli enti si raccordi ad un'azione di governo e di responsabilità politica finale che poi, e l'abbiamo visto negli incontri che abbiamo avuto anche con gli inquilini, viene a cadere sulla Regione.
Non accetto in altre parole Picco, per dirla molto chiaramente, una critica cosi superficiale e facile a quello che è stato il ruolo della Regione. Dico invece, accettando un altro discorso, che se ripensiamo a questi nodi possiamo vedere come equamente una politica svolta dagli Enti locali e segnatamente dalle Regioni in questo settore, abbia inciso e abbia potuto produrre un dialogo costruttivo nei confronti degli istituti che sono stati deputati a gestire questo.
Io credo che se partiamo da una messa in fila dei problemi così fatta (ed io ho tentato di dare due accenni sia pure elementari) dobbiamo poi andare pure all'ultimo punto che veniva con chiarezza detto nella relazione dell'Assessore Bruciamacchie su cui mi voglio esprimere e cioé le vicende dell'istituto. Partiamo dalle due premesse: a) una situazione quasi ingestibile dei grandi istituti ovunque dovuta a cause strutturali b) una messa a punto tardiva, perché tardiva ne è stata la coscienza dei rapporti tra indirizzo, responsabilità di governo generale delle assemblee elettive e enti strumentali od enti autonomi. Se partiamo da questo, io credo che derivi anche una lettura non superficiale, non faziosa, ma non assolvente, della situazione attuale, per esempio lo IACP di Torino.



PICCO Giovanni

Perché continui a dire "superficiale" quando ne parliamo da 5 anni?



BONTEMPI Rinaldo

Non è una polemica, dico solo che se le cose vengono rese come tu le hai rese, io le ritengo una lettura superficiale senza nessuna offesa, dico solo che il grado, il livello dei problemi è maggiore di quello che mi sembra tu abbia qui indicato, non dico che tu pensi o per cui tu abbia cercato di ragionare nel passato o chissà dove.
Comunque mi sembra che quando Picco dice "occorre andare a vedere tutto", occorre renderci conto che le condizioni di grande difficoltà dell'istituto derivano da un insieme di cause e cioè: a) cause strutturali, dati anche fortemente oggettivi. Non li ripercorro, sarebbe facile farlo, ma ci sono questi dati e sono purtroppo assolutamente nodi duri da affrontare e dobbiamo sapere che o hanno alle spalle una chiarezza riformatrice, l'idea cioé di cosa si deve cambiare oppure non leveremo capo b) le caratteristiche peculiari dell'ente, la sua storia e le varie eredità che per queste ragioni, senza particolarmente additare a responsabili questa o quell'epoca politica, hanno segnato nella vita degli istituti e noi sappiamo perché questa è purtroppo la storia degli IACP come quel tipo di inquilinato una gestione fatta certo all'insegna dell'autonomia, ma a volte molto all'insegna di una troppa esposizione politica da parte dell'emanazione degli Enti locali per il tipo di inquilinato, per la miriade di problemi, abbia portato negli anni a situazioni inaccettabili di morosità, di lassismo e in molti casi di non intervento tempestivo, deciso, a mettere sui binari corretti una gestione di istituti di questo genere.
Alla fine però devo dire che messe in conto queste cause oggettive messi in conto questi grumi storici, di cui non possiamo sbarazzarci e che non possiamo secondo me molto profittevolmente sviluppare qui un discorso "era meglio prima o dopo", io credo che si potrebbe facilmente argomentare l'una cosa e l'altra, dobbiamo invece sapere che una responsabilità collettiva delle forze politiche, specie nel momento in cui ci si muove sul piano della riforma e delle istituzioni locali, passa anche attraverso la richiesta precisa, e in questo sono d'accordo, per un esame puntuale di una situazione, che ci porta in questo momento ad evidenziare ad esempio una confusione ai vertici dell'istituto che non riteniamo possibile accettabile. E qui poi se sia colpa dei fatti, sia colpa delle persone, è tutto da vedersi. E' uno e l'altro probabilmente. Però è chiaro che una situazione di confusione di questo genere non può essere a lungo perpetuata e quando si instaurano, anche qui occorre bene capire perché, dei conflitti tra collegio sindacale e consiglio di amministrazione, con dei rilievi pesanti, quando dei problemi, ad esempio come quelli delle caldaiette, non vengono affrontati, se non a metà, lasciando in uno stato come avete ben visto di grande confusione ed anche di grande rabbia poi l'utenza; quando su problemi di gestione delle varie partite, dalle costruzioni alle manutenzioni, abbiamo la netta impressione che la stessa Regione abbia grandi difficoltà a reperire sistematicamente tutti dati, tutti gli elementi, tutte le informazioni, io credo che in questa situazione noi non possiamo accettare che non solo non si veda tutto, ma che già oggi si diano dei segnali che vadano in una direzione che sarà lunga. E' un'operazione graduale e lunga, guai e lo dissi anche in quell'incontro con gli inquilini, se potessimo dare delle risposte che risolvano immediatamente dei problemi vecchi (il riscatto è uno ma non il solo) i problemi di gestione, problemi di cura, ad esempio degli stabili in certe situazioni dell'impiego dei fondi: è un percorso lungo, assolutamente graduale, ma deve avere dei punti e dei segnali di chiarezza per riuscire a rimontare una situazione data.
In questo senso credo sia stato l'atto iniziale compiuto da parte del Presidente e del Vicepresidente di annunciare le loro dimissioni: poi il nostro Vicepresidente le ha date, ma con una richiesta al Consiglio di amministrazione tutto di dimettersi per porre in essere le condizioni per un rinnovo oppure per il commissariamento ma noi preferivamo il rinnovo allora. Questo non è avvenuto. Con questo noi non ci chiamiamo fuori per sia ben chiaro. Le responsabilità, avendo contribuito a governare lo IACP noi ce le assumiamo, vorremmo che però fosse fatta quest'operazione con uno slancio ed una forza reale ed adeguata ai problemi che sono sul tappeto da parte di tutti, perché sappiamo anche che se le responsabilità di direzione sono state del vertice, sappiamo anche che il Consiglio di amministrazione per buoni o giusti o meno motivi ha praticamente sempre votato tutto all'unanimità e che su questa linea a cui in parte anche i fatti hanno costretto l'istituto, non credo di soggettivizzare tutto, però i risultati prodotti sono stati purtroppo dei risultati negativi, al punto che oggi abbiamo una situazione, ormai gli stessi inquilini non hanno un interlocutore totalmente abilitato, anche per le vicende delle dimissioni e di fronte alla quale si rischia di avere un corto circuito non produttivo con la Regione perché la Regione non può dar risposte sulla gestione, non può dar risposte sulla legge e sui principi, e si tratta quindi di una situazione confusa ed ingestibile.
Partendo da questo punto io credo che un percorso lungo e graduale debba avere almeno tre capisaldi: 1) un impegno delle forze politiche in Consiglio regionale oggi, da proseguire immediatamente nella prossima legislatura, ad un lavoro che ristabilisca, che imposti linee di riforma e nel frattempo riesca insieme all'istituto ed agli organismi di governo dell'istituto, quali essi siano a quell'operazione di chiarezza su tutta la partita. Questa è la prima linea su cui credo dobbiamo impegnarci.
2) Credo che questa situazione di confusione e di incertezza al vertice non sia produttiva, utile per nessuno. Noi eravamo per il rinnovo e ci siamo trovati stranamente in una situazione di solitudine, di isolamento nell'operazione rinnovo. Fatta mesi fa avrebbe avuto un significato, certo doveva sottostare quella base comune di intenti per riuscire a risollevare le sorti dell'istituto e questo non è avvenuto. Noi diciamo che c'è ancora oggi la possibilità di intervenire attraverso un commissariamento che a noi pare un'operazione a termine, con mandato preciso, da affidarsi a chi riesca ad affrontare, anche qui con gradualità, ma con un grande segnale nei confronti dell'inquilinato, i problemi che esistono, perché vorrei far presente a tutti che il tempo che intercorre tra la rielezione dei Consigli regionali ed il tempo in cui anche per i meccanismi legislativi riusciamo a rieleggere i Consigli degli IACP è molto lungo.
Questa fase di incertezza e di confusione allora, se si protrae ad esempio per un anno, io credo che sia di grande pericolo, non ci permette più di riprendere neanche le cose al livello in cui sia possibile trovare una sufficiente unità e di intenti e di azioni.
3) Avviare concrete azioni di riforma. A me sembra che la legge presentata dalla Giunta sia una legge che non vuole essere piú di quello che é, ma un passaggio operativo ad un livello senza pregiudicare altre soluzioni forse più forti. C'è qui un problema di aziendalità e di partecipazione come sempre da risolvere, ma mi sembra che questa legge non pregiudichi e rappresenti un primo passo nel momento in cui a municipalità ed a Comuni affida il ruolo per gli aspetti gestionali di entrare nel merito dei problemi.
Se quindi non mettiamo in fila questi fattori essenziali: e cioè quello strutturale, quello dei ruoli tra autonomia degli enti ed enti come la Regione e quello di una direzione in grado di affrontare con impegno anche straordinario questo problema.
Lì c'è la parte della popolazione, non tutta, ma certo stragrande, più sfavorita e quindi risolvere i problemi di questo tipo di gente, è una questione politicamente essenziale.
Creso sia necessario quindi un giusto mix tra aziendalità che deve riguardare anche le strutture, perché sarebbe sbagliato e scorretto scaricare sulle strutture responsabilità che sono comunque dei politici, ci sono però questioni vecchi e nodali anche nella struttura e nel modo con cui è stata concepita, con cui lo stesso istituto si è strutturato ed il fatto che ad esempio - torno alla vicenda caldaiette - non è ignoto che proprio funzionari dell'istituto attraverso un tacito assenso hanno in alcuni casi ingenerato la convinzione, magari già presente nell'animo degli utenti che volevano fare queste mutazioni, della liceità dell'installazione delle caldaiette. Ci sono davvero problemi grossi di aziendalità, sia per quanto riguarda l'azienda in sé e quello che rimarrà anche con la riforma dell'azienda, sia per quanto riguarda i vertici, che devono sapere che lì si gestisce un grosso patrimonio che non è solo in denaro, ma anche umano ed è questo il punto per cui aziendalità, trasparenza, capacità di rendicontazione, impegno politico non partitico, per venire contro a dei problemi nodali di queste fasce di popolazione che anche di fronte ad una legge che tutto sommato credo sostenibile, quella dei canoni, si trova in grosse difficoltà, perché la legge è applicata male, perché non si sono predisposte le strutture per riuscire ad applicarla in maniera incisiva perché il mix di sbagli e anche di inerzie magari dell'inquilinato stanno provocando enormi problemi. Allora noi oggi in fine legislatura possiamo fare un atto serio: a) chiedere qui che si risolva la situazione della direzione b) darci un impegno politico ed affrontare questo problema già all'inizio della prossima legislatura e io credo che per esempio uno dei punti qualificanti delle piattaforme programmatiche dei partiti che daranno vita alla maggioranza, sarà la capacità su questo punto di avere una visione chiara, non faziosa e non di parte, capace di raggiungere sufficiente unità tra le forze politiche.
Questo sta fuori, e non per scappare da una polemica che pure è legittimo ci sia, ma che mi sembra se viene fatta nella chiave elettorale fa perdere i contorni ad un problema enorme i cui prodromi nel passato, la cui consistenza ad oggi, ci impongono un intervento in qualche misura straordinario ed impongono come ultima conclusione che davvero anche su questo tema ci sia una ritrazione, non di responsabilità, ma di presenza pervasiva da parte dei partiti.
Credo che questo tema sia uno dei segnali da dare nella chiave per esempio della legislazione che ci siamo dati e dei criteri di professionalità e di impegno politico piú generale che abbiamo chiesto alle istituzioni.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Moretti.



MORETTI Michele

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, non vorrei che sfuggisse il problema casa in Piemonte e Torino e né la situazione degli IACP che sarebbe stato opportuno affrontare con alcuni dati rispetto alle carenze e predisporre un piano decennale.
Prima di rivolgere la critica al Governo ed al Parlamento bisogna per analizzare la complessa situazione abitativa.
Abbiamo in questi anni seguito molte conferenze e molti dibattiti: abbiamo sentite molte proposte fatte da Partiti, a cominciare dal mio, su questa questione. Siamo a fine legislatura ed è molto grave parlare di un problema delicato, che viene accennato tutti i giorni da tutte le parti politiche, dalle parti sociali, non solo i sindacati dei lavoratori, ma anche dagli imprenditori e dobbiamo dire che il problema è irrisolto.
Irrisolto dal punto di vista di piano ed irrisolto dal punto di vista degli interventi effettuati in questi anni.
C'è stata sì l'attenzione da parte della Giunta e degli Assessori, per penso che la questione debba e deve essere posta in termini concreti.Occorre predisporre un piano pluriennale diverso dall'attuale tenendo anche conto dei risultati e dei dati di riferimento delle domande presentate. Perché non si fa un'indagine delle domande presentate per conoscere la situazione degli esclusi e come affrontare il problema? La crisi dello IACP di Torino risale a molti anni, direi decenni, nel modo con cui sono stati gestiti gli IACP da trent'anni a questa parte; non bisogna considerare gli ultimi dieci anni, sarebbe limitativo rispetto alla funzione svolta da trent'anni, tenendo conto che dovevano soddisfare una esigenza sociale caratterizzata in forma assistenziale. Questa tesi è stata portata avanti da tutte le forze politiche. C'è qualcuno che tende ad individuare una parte politica responsabile del problema, direi che sono tutte responsabili le forze politiche. E non basta oggi tenere conto della situazione finale, cioé di questo deficit che è un accumulo che parte non dal 1975, ma dagli anni precedenti; occorre considerare che peso avevano allora i bilanci deficitari degli IACP; quale è stato poi l'aumento del deficit dopo il trasferimento gestionale del patrimonio comunale, cosa ha trasferito il Comune allo IACP; quale è stato ancora il debito che lo IACP ha accumulato per quanto riguarda questo tipo di gestione, perch l'intervento per la manutenzione e le ristrutturazioni ha pesato sul bilancio negativamente; quale è stata la causa della morosità degli inquilini e il momento in cui ebbe origine questa situazione. Tutte ragioni da accertare. Non vorrei si desse la martellata in testa e la responsabilità agli attuali amministratori.
L'abusivismo è un altro dei problemi, cioé lo IACP non ha regolato la situazione degli abusivi sotto un profilo di carattere giuridico altrettanto gli abusivi non pagano il canone da molti anni.
Della gestione riscaldamento nelle case popolari da parte dello IACP se n'è molto discusso, non vorrei si prendessero in considerazione come punte di rilevazione la situazione economica della gestione del riscaldamento i dati relativi alla gestione di quest'ultimo anno e quindi le caldaiette occorre considerare il debito degli anni precedenti.
In merito all'alienazione degli alloggi, esiste una legge in discussione alla Camera e presso la Commissione lavori pubblici sul trasferimento del patrimonio ai lavoratori; questo consente di recuperare non solo un patrimonio, ma sopportare minori costi di manutenzione e maggiore rispetto patrimoniale.
Bisogna individuare alcuni problemi a partire dall'alienazione dei locali adibiti ad attività commerciali. E' necessario rivedere tutta l'impostazione relativa alla gestione.
Sarei stato del parere che la legge di ristrutturazione degli IACP venisse discussa contestualmente al dibattito odierno.
Il nostro Partito è dunque favorevole alla sostituzione degli amministratori dello IACP ed alla verifica della procedura, le designazioni sono di spettanza per una parte della Provincia e per un'altra parte del Comune di Torino. Non bisogna fare di questa questione una ragione puramente elettoralistica, ho visto circolare alcuni volantini sui quali sono individuati i responsabili della situazione attuale dello IACP di Torino, dobbiamo verificare effettivamente chi sono i responsabili, non vorrei trovarmi di fronte ad alcuni che sono stati individuati e ad altri che sfuggono.
Bisogna evitare di fare di questo problema una questione puramente strumentale, dobbiamo avere la capacità e la responsabilità politica, non solo di avere il coraggio di affrontarlo oggi, ma fare un discorso in prospettiva sulla gestione di questo ente.
Pertanto, concordiamo in linea di massima con la relazione dell'Assessore, siamo per affrontare in tempi brevi la situazione degli amministratori.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Io credo che per un'economia dei lavori, alla quale siamo molto attenti tutti, sarebbe stato forse interessante associare questo dibattito a quello che inevitabilmente faremo nel momento in cui andrà in aula la prossima settimana il ddl 478 "Prima ristrutturazione degli Istituti autonomi case popolari della Regione Piemonte", questo indipendentemente dall'esito che potrà avere nell'aula il ddl e indipendentemente dal suo contenuto.
Credo che le cause di una gestione fallimentare come quella della quale ci stiamo occupando in questo momento possano essere infinite, soprattutto in una dimensione come quella che abbiamo di fronte. Ho a disposizione soltanto i dati dell'IACP di Torino, ma se è vero quello che scrive ed afferma l'ente soltanto qualche giorno fa, la situazione debitoria a consutivo esercizio '85 dovrebbe raggiungere la cifra di 228 miliardi.
Credo che questa sia una cifra che non richieda molti commenti e quindi autorizza le preoccupazioni che abbiamo tutti noi di fronte a questo problema e che affrontiamo seppure in fine di legislatura, ma mi sembra con abbastanza responsabilità e senso altissimo di convinzione della gravità di questo problema.
Le colpe possono essere infinite, credo però che una colpa non secondaria spetti a chi avrebbe dovuto vigilare sulla gestione degli IACP perché attraverso il decreto 616 del 1977 è stato trasferito alla Regione il compito di vigilanza sugli IACP; ora si potrebbe anche discutere su che cosa possa consistere questa vigilanza; tra l'altro in una difficoltà di individuazione anche di protagonisti, accennava Bontempi, le interferenze di varia natura che ci sono in una situazione di questo genere con una dimensione che riguarda 50.000 alloggi, quindi 50.000 famiglie. Ritengo però che sia indiscutibile che la Regione Piemonte avrebbe dovuto svolgere un maggior controllo su questo settore, anche perché non mi risulta che la Regione Piemonte abbia fino ad oggi sollevato alcun rilievo ufficiale dello IACP di Torino, per esempio né si sia mai impegnata ad eseguire dei controlli metodici, prestabiliti; non mi risulta che sia mai stato fatto un controllo sui bilanci, sul loro modo di presentazione, sul loro contenuto né peraltro su azioni amministrative.
Mi risulta invece che il collegio sindacale avesse ripetutamente invitato la Regione a svolgere questo ruolo che è suo ed è proprio.
L'Assessore si è molto soffermato sulla situazione finanziaria, e questo mi sembra ovvio, vista la dimensione. Io pero devo ricordare che pur di fronte ad una situazione finanziaria fallimentare e che non ci è nota solo da oggi ma da molto tempo, la Regione ha ritardato ben due anni e mezzo nell'emanare una legge sull'adeguamento dei canoni che determinano nel complesso un gettito inferiore a quanto previsto dalla delibera CIPE del 1981 e questo sono gli stessi IACP a farcelo rilevare, anche attraverso un recente ordine del giorno.
La Regione Piemonte in fondo non ha utilizzato quello che la legge avrebbe consentito e cioé di consentire un maggior gettito attraverso l'utilizzazione della percentuale, non dico quella massima, ma vicina a questa.
Questo grave ritardo ha intanto comportato un danno per un mancato introito dello IACP di circa 43 miliardi oltre gli interessi, inoltre i nuovi canoni che non sono stati adeguati secondo le previsioni che potevano essere attuate determinano una perdita di circa 18 miliardi rispetto alle indicazioni della delibera CIPE. Quindi nel complesso tenuto conto degli oneri finanziari gravanti, la Regione ha procurato, indirettamente attraverso degli atti amministrativi e legislativi che potevano essere legittimamente diversi, allo IACP sino ad ora una perdita di 60 miliardi.
E' ovvio che essendo lo IACP un ente non assistenziale, ma un ente economico, questo deficit dovrà essere ripianato da un finanziamento regionale, tant'è vero che da parte dello IACP c'è una richiesta precisa alla Regione Piemonte di accreditare questi 60 miliardi, proprio partendo dal presupposto che il ritardo nell'applicazione della delibera da parte della Regione e l'introduzione di canoni ridotti rispetto alla delibera CIPE ha determinato un mancato introito di circa 60 miliardi.
Tra l'altro il ddl 478 che stiamo per esaminare non accenna assolutamente a questo tema. Credo invece che nel momento della discussione, dovrà essere messo in evidenza questo aspetto in qualche modo: mentre occorre fin da oggi trovare questi 60 miliardi per il ripianamento credo anche che per il futuro occorrerà rapidamente passare ad una modifica dei canoni più rispondenti alla delibera CIPE e d'altronde anche più equa a livello sociale; cioé ci deve essere una maggiore giustizia tra gli utenti di edilizia residenziale pubblica e gli inquilini di edilizia libera ad equo canone.
Qualcuno ha anche accennato alla necessità di un maggior raccordo tra i Consigli di amministrazione, comunque coloro che si occupano nel caso specifico delle case popolari, e la Regione che ha quest'azione di vigilanza. Questo raccordo non c'è stato negli anni passati; credo che lo IACP sia stato convocato per la prima volta per una consultazione proprio alla fine del mese di febbraio per discutere insieme del ddl 478.
Probabilmente ci sarebbero stati altri momenti importanti di necessità di consultazione, come per esempio quello che riguardava l'assunzione della delibera CIPE da parte della Regione ed altre incombenze che attenevano a questi aspetti in particolare.
Il commissariamento nella situazione nella quale ci troviamo appare l'unica via di uscita. Io mi chiedo però come si fa a commissariare un organo da parte della Regione, senza che la Regione non abbia mai ufficialmente rivolto dei rilievi a questo Consiglio di amministrazione. La situazione è certamente gravissima, le cifre giustificano ogni azione anche traumatica da parte della Regione Piemonte; credo però che qualche difficoltà anche di rapporto con questo Consiglio di amministrazione lo avremo e in ogni modo è intenzione di tutti affrontare con molta responsabilità, con molta serenità, non facendoci prendere la mano dal momento elettorale per fare in modo che, come giustamente ricordava qualcuno, ci stiamo occupando di una fascia di popolazione, certamente non tutta, ma tra la meno protetta, quindi occorre che anche di questo teniamo conto nel momento in cui definiremo gli atteggiamenti urgenti necessari importanti, per cominciare a risolvere una situazione che convengo anch'io sarà molto lunga, ma che avrà possibilità di soluzione dalla serietà e dalla determinazione con la quale la Regione Piemonte, in questo caso il Consiglio regionale, la affronterà quindi noi siamo disponibili ad un ordine del giorno che raccolga questa determinazione, queste esigenze questa volontà di portare ordine in una situazione molto disordinata e molto confusa.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il Gruppo Liberale registra con disappunto la situazione che c'è stata illustrata e non pu evidentemente non richiamare la Giunta a responsabilità. Stamattina per cercare di ridurre il peso di queste responsabilità, un rappresentante della maggioranza ha riscoperto la guerra dei trent'anni, perché la sinistra dovrà poi abituarsi a una terminologia diversa da quella usata sempre nei confronti delle Giunte non di sinistra e dei governi non di sinistra, perché qui la sinistra ha governato dieci anni, non ha governato alcuni mesi, non è stato una foruncolosi il governo della sinistra in Piemonte cd a Torino, sono dieci anni. Ed allora per carità, le responsabilità politiche, non le responsabilità storiche, si misurano in dieci anni, collega Bruciamacchie: le responsabilità storiche si giudicano in trent'anni, le responsabilità politiche si giudicano nell'epoca dell'informatica in dieci anni. Voglio dire con questo che per quelle che attengono le responsabilità di ordine locale, la sinistra, l'Assessore, la Giunta, hanno tutte le loro responsabilità e la soluzione che ci viene prospettata e che noi riteniamo funzionalmente la più accettabile quella del commissariamento è veramente la pietra tombale di una gestione fallimentare. Il commissario nella parola stessa sta ad indicare il fallimento del sistema ordinario. Nei sistemi elettivi di nomina si è sostituito un atto di imperio del Governo a ciò preposto.
Visto che stiamo parlando di politica, ricordo come sulle questioni la sinistra proprio delle case popolari avesse giocato una delle carte vincenti dell'anno domini 1975. Ci ricordiamo tutti che cosa avveniva nei quartieri delle Case popolari di Torino.
Ci ricordiamo benissimo il tipo di rapporto che c'era tra assegnatari che tali non erano, inquilini che tali non erano, tra la gente che c'era lì dentro e l'assoluta impossibilità degli amministratori comunali di allora che attengono questi sì all'infausto trentennio, ad intervenire in una realtà che guarda caso, vedeva le forze di sinistra a tutela di queste situazioni di totale non governo e di totale disordine.
Si fanno le elezioni del centro sinistra, cambia tutto da un giorno all'altro. Improvvisamente diventa tutto quieto, tutto tranquillo, tutto semplice, i vigili urbani riescono di nuovo ad entrare, cosa che non avveniva più, queste cittadelle nel deserto, queste allas mediterranee improvvisamente diventano accessibili all'ordine, alle divise dei vigili ed al sindaco Novelli.
Qualcuno che vede queste realtà era convinto che quindi fosse scesa la pax novelliana anche in questi quartieri e poi scopriamo che invece c'è il disordine più totale e più assoluto che però è rimasto ovattato attraverso il sistema del consenso che la sinistra è riuscita a creare su queste cose.
Gli organi non funzionano, ci sono i debiti, non si sa se siano legittimi o meno gli affitti che si fanno pagare, gli alloggi vanno a rotoli. Poi scopriamo questa incredibile vicenda delle caldaiette. Pensare che nell'anno quasi 2000 esiste una situazione per cui in un grandissimo quartiere, qualcuno, nella logica del "fai da te", decide di risolvere in proprio il sistema di riscaldamento, magari adottando quello tecnicamente più significativo e valido, e contemporaneamente l'Istituto Autonomo Case Popolari ignori che alcune centinaia di alloggi non sono più collegati con l'impianto centrale e continua ad emettere bolletta, ha qualcosa di Kafkhiano sicuramente.
Allora, presidente Viglione, saremo certamente la Regione che ha il più alto numero di computer e il maggior numero di laser di potenza, mi pare però che se queste tecnologie non ci consentono quanto meno di far pagare le spese condominiali in modo giusto ad alcune centinaia di utilizzatoti voglio veramente capire dove passerà questa rivoluzione tecnologica dell'intelligenza artificiale. La situazione certamente è più drammatica di quanto la leggerezza del nostro intervento non voglia essere. Ci rendiamo conto che è scorretto politicamente, anche sul piano dei rapporti personali, in un Consiglio come questo destinato alla chiusura, alla liquidazione di un'esperienza di cinque anni per quello che attiene al calendario, di dieci anni speriamo noi, per quello che attiene alla vita della nostra Regione, evidentemente non ci consente di andare nell'approfondire. Noi abbiamo peraltro assunto un impegno nei confronti di molti degli utilizzatori di questi contenitori a risolvere o comunque a testimoniare la nostra attenzione ad una serie di problemi. Mi risulta che alcuni colleghi stanno predisponendo un ordine del giorno con cui avvieremo all'attenzione del Commissario tutta questa tematica; saremo presenti a questa trattativa per sincerarci che tutti i problemi siano stati messi all'ordine del giorno. Certamente potremo, sarà difficile, risolvere i problemi nella misura in cui sono di nostra competenza.
Rimarrà certamente il fondo grosso, quello che è stato già evidenziato da alcuni colleghi, della necessità di modificare alla radice questo carrozzone, queste cose strane che riusciamo a fare soltanto in Italia (avete letto sul giornale di ieri che è ancora possibile ottenere i danni dei nonnetti del '48 in Italia; se qualcuno ha un nonno che ha fatto le guerre del '48 in Italia ha diritto alla pensione di 60.000 lire e la legge finanziaria prevede puntualmente queste cose nell'anno 1984). Quindi è probabile che sarà una lotta contro i dinosauri pensare di ridurre a ragione questi mostri che abbiamo lasciato crescere nella nostra cultura istituzionale. Certamente, ci vorrà lo sforzo di tutte le forze politiche ma anche quando avremo risolto, e solo quando risolveremo il problema dal punto di vista istituzionale, riconducendo alla ragione queste anomalie queste neoplasie del sistema istituzionale e democratico che sono questi enti, rimarrà il problema di fondo di come affrontare in una società civile e moderna il problema della casa. Noi liberali non siamo su questo reaganiani, non crediamo che la casa sia una cosa che tutti possono pagarsi; non è così, la casa per larga parte è un bene che è certamente desiderato, voluto e, soprattutto in Italia, realmente utilizzabile a livelli anche qualitativi superiori a molti altri paesi. E' abbastanza apprezzabile, noi siamo abituati a parlare male di noi stessi, a dipingerci come un paese scialacquatore, consumista, poco attento ad alcune realtà.
Guarda caso, il bene della casa nel nostro Paese è molto più apprezzato come elemento della qualità della vita di quanto non sia in gran parte dei Paesi europei. Io non sono un grosso viaggiatore, non sono tra l'altro mai stato presente nei viaggi regionali per mia fortuna, con alcuni altri colleghi che hanno questo tipo di allergia; devo però dire che, per quel poco che conosco dell'Europa, pochi Stati possono vantare un livello abitativo rapportato al reddito dei cittadini che lo abitano quale l'Italia.
Quindi, un bene come questo certamente per larghe fasce popolari non è rapportabile ai redditi che questa società, non loro, consente a queste fasce sociali. Bisogna quindi evidentemente intervenire con una serie di interventi che probabilmente in questo momento non sono più quelli tradizionali della casa popolare intesa nei termini in cui la andiamo a descrivere. Piaccia o non piaccia la casa popolare è legata al fenomeno dell'industrializzazione, è sostanzialmente un intervento straordinario sul territorio destinato a rispondere sì a un'esigenza di case, ma non ad un'esigenza in una qualche misura radicata nella storia del territorio di quella realtà, ma di una esigenza straordinaria emergente rispetto a degli interventi di industrializzazione del territorio.
Questi interventi sono legati a queste cose. In un processo, non di deindustrializzazione, ma certamente di rilocalizzazione industriale, che non vede più nel trasferimento delle residenze, ma probabilmente nel pendolarismo e soprattutto nel sistema dei trasporti l'asse portante di questa rivoluzione della localizzazione industriale, certamente la politica della creazione delle case popolari non risponde più alla logica sulla quale è nata. E' nel nostro tempo uno dei canali che si seguono per risolvere il problema al quale abbiamo accennato, di dare una casa coerente alle esigenze di qualità della vita dei nostri tempi a percettori di reddito non adeguati rispetto alla maturazione del bene di cui parliamo.
Non è quindi probabilmente più questa la strada da seguire, o soprattutto non è soltanto questa la strada da seguire. Probabilmente bisogna come negli altri Paesi rinunciare ad alcuni tabù, tipo l'equo canone, intervenire in termini di intervento pubblico sui canoni che vengono pagati da alcuni nuclei familiari (questo è il sistema francese e sembra che funzioni), non si capisce proprio perché si debbano fare delle diseconomie in termini di capitale, se è possibile ottenere tutto questo riconoscendo che alcuni nuclei familiari, non in termini assistenziali hanno diritto ad un concorso pubblico rispetto a un bene che è da considerarsi per larga parte un servizio pubblico. Non c'è da scandalizzarsi su questo. Il non voler passare a questa strada, cio dell'intervento dello Stato, ma diversificato rispetto alle situazioni, e che non punti soltanto ad un sistema fallito e che non esiste più: l'equo canone da una parte e dall'altra parte il grosso intervento pubblico probabilmente rileva la volontà non di ridimensionare il dinosauro dell'IACP, ma probabilmente di continuare ad alimentarlo.
Questa è una preoccupazione che il nostro Partito avverte a livello nazionale e che noi dobbiamo rappresentare in quest'aula. Cerchiamo quindi gli strumenti più flessibili, più moderni per rispondere ad un'esigenza sulla quale evidentemente tutti quanti conveniamo. Il nostro Gruppo peraltro prende atto che la soluzione commissariale al livello di degrado di governo di questa materia è l'unica che possa darci delle risposte non soddisfacenti, ma comunque minimali in tempi accettabili e concordo su questa impostazione della soluzione del problema; rinvio le ulteriori considerazioni sulle questioni di natura più specifica in ordine ai problemi precisi dei quartieri popolari di Torino alla occasione in cui andremo a scrivere, esaminare e discutere l'ordine del giorno relativo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La discussione è conclusa.
La parola al Presidente della Giunta per la replica.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Colleghi Consiglieri, alla relazione dell'Assessore vorrei solo aggiungere alcune osservazioni riservandoci poi di comunicare le decisioni che la Giunta assumerà a seguito di questo dibattito. L'obiettivo dello IACP, vorremmo precisarlo chiaramente, non è quello di amministrare un patrimonio edilizio, bensì quello di costruire delle nuove abitazioni.
Purtroppo, nella storia, non soltanto recente, è capitato, che lo IACP si è trovato nel complesso a costruire ed a gestire un patrimonio di 50.000 alloggi.
Certo è stato un errore, perché se le leggi fossero state più chiare e se gli indirizzi governativi e legislativi fossero stati più aderenti a questa realtà che noi andiamo rappresentando, evidentemente lo IACP oggi non avrebbe un patrimonio così immane, non in grado certamente di gestirlo compiutamente, ma invece si troverebbe in condizioni oggi attraverso le vendite operate, sia pure in condizioni di favore, per i lavoratori che non hanno dei redditi così elevati da essere esclusi dalla rosa di coloro che possono partecipare ai vari bandi, di liquidità tale da poter far fronte alle varie realtà, specialmente nella provincia di Torino (non parlo degli altri IACP perché si trovano in condizioni assai diverse, gestendo unità molto più piccole e quindi assai dominabili). Invece ci troviamo con un patrimonio immobiliare di circa 1000 miliardi e con un'esposizione che va ricondotta solo a medio termine, ma anche a lungo termine per le costruzioni delle case con mutui fondiari che hanno scadenze di 10, 15 o 20.
E' inutile qui che noi stiamo a ripercorrere la strada alle nostre spalle, perché evidentemente vi fu un tempo in cui si pensò che la casa anche giustamente, fosse un bene sociale, che quelli che avevano i redditi più bassi, spesso reddito zero, dovessero beneficiare di particolari condizioni, perché in questa società si è calcolato che soltanto a Torino 10.000 erano le famiglie a reddito zero, quindi senza alcuna possibilità nemmeno di sopravvivere, e pertanto che almeno per costoro una fetta di questi alloggi fosse riservata in condizioni di utilizzazione veramente ottimale, senza esborso particolare. Però, esclusa questa fetta di redditi bassi o di redditi zero, c'è un'altra fetta invece di attuali occupanti inquilini delle case popolari che io ritengo debbano corrispondere almeno il costo della manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile, oltre al pagamento di quelli che sono i mutui che l'Istituto ha contratto per la loro costruzione, talché non si tratta di cifre che siano elevate, si tratta di cifre molto basse, ma che devono essere da tutti corrisposte.
Nel frattempo, attraverso l'azione della Regione, ma soprattutto attraverso l'opera parlamentare, perché soltanto il Parlamento potrà svincolare la maggior parte di questi immobili che si trovano oggi in una situazione di stallo in quanto non possono essere compravenduti (si calcola soltanto che da 4 a 5.000 siano gli immobili che possono essere compravenduti), questi immobili devono essere compravenduti non soltanto agli occupanti, ma qualora l'occupante che ha diritto di prelazione rifiuti l'acquisto, debbano essere offerti in graduatoria a chi, lavoratore o con redditi molto bassi, abbia diritto di accedervi. Una delle difficoltà che ha trovato lo IACP è di non poter arrivare alla vendita dell'immobile pur in una condizione di estremo favore, perché molti occupanti con canoni di locazione assai bassi non hanno nessun interesse ad andare anche ad acquistare questo immobile.
Il livello di manutenzione ordinaria e straordinaria non può essere addebitato a qualcuno, perché deve essere addebitato almeno all'occupante.
Non si può richiedere oggi che la Regione intervenga sulla manutenzione ordinaria e straordinaria, perché riteniamo che almeno chi occupa le case popolari debba corrispondere un canone che serva a garantire almeno l'aspetto della manutenzione ordinaria e straordinaria.
Ne possiamo accedere alla critica che ci viene formulata da due versanti: l'un versante è che il Consiglio regionale non abbia adempiuto all'adeguamento del canone, e l'altro, che abbia adempiuto all'adeguamento di un canone previsto direttamente dalle leggi. Il Consiglio regionale molti mesi addietro ha provveduto ad adeguare attraverso una sua legge i canoni che dovevano essere corrisposti. Questi canoni vengono pagati ovviamente non da tutti perché c'è sempre qualcuno che contesta la legge e la formazione dei canoni. Il Consiglio regionale, quindi, sotto questo aspetto ha compiuto il suo dovere.
Per quanto riguarda poi quello che è l'elemento della vigilanza, lo IACP dispone di un collegio sindacale, il quale si è espresso soltanto negli ultimi mesi con alcune critiche, mandando anche alcune relazioni specialmente nelle ultime settimane, all'Assessore ed al Presidente.
L'aspetto della vigilanza da parte del Consiglio regionale, da parte della Regione, per essa, da parte dell'esecutivo o per esso da parte del Consiglio regionale, perché la vigilanza non è riservata esclusivamente al governo, la vigilanza è un fenomeno complessivo di tutto il Consiglio rispetto all'aspetto dell'indirizzo delle case popolari, è stato sempre esercitato. Ora si tratta quindi di procedere.
La situazione è di per se stessa molto difficile. Anche la Regione Lombardia non ha una situazione migliore della nostra. L'altro giorno infatti, il Consiglio regionale della Lombardia si è occupato di questo problema in un lungo dibattito, dando il via però ad alcune iniziative atte a compravendere il patrimonio anche dello IACP della provincia di Milano.
Cosa che io penso dovrà poi fare il Consiglio regionale del Piemonte evitando che si innestino anche delle speculazioni, per cui chi è dentro ed occupa un alloggio e non lo voglia acquistare, nonostante che gli sia offerto, solo perché paga una somma talmente irrisoria di affitto e non ha nessuna convenienza ad acquistarlo.
Ora si tratta di decidere che cosa fare per il futuro. La Giunta valuterà tutte le proposte che sono emerse qui in sede di dibattito, si rende conto del problema e della sua gravità anche e pertanto affronterà le due soluzioni che sono emerse dal dibattito: l'una soluzione è quella del rinnovo del Consiglio di amministrazione, quindi dando vita ad un nuovo Consiglio di amministrazione, oppure attraverso un'opera di commissariamento. Bisognerà che la Giunta a seguito delle opinioni che sono qui emerse in una direzione o nell'altra si muova. Quindi ci impegnamo a seguire attentamente tutto ciò che voi avete detto ed esposto e giustamente vi ringraziamo per il contributo che avete dato; siamo consci della gravità del problema. Abbiamo già predisposto un ddl che attualmente è già licenziato dalla commissione che divide il complesso dell'istituto, che oggi ha una massa immane di questioni da dominare, in piccoli acquartieramenti, quindi dominabili nei loro aspetti più propri.
E' stato dato fino ad oggi un contributo sostanziale per potere aiutare lo sforzo dello IACP, altri sono ancora in corso; siamo per una corretta gestione e su questo vigileremo.



PRESIDENTE

Con la discussione di tale comunicazione, si intendono discusse, sullo stesso argomento l'interpellanza n. 289 dei Consiglieri Bontempi e Ferrari e l'interrogazione n. 1084 del Consigliere Moretti.


Argomento: Delega di funzioni regionali agli enti locali - Artigianato

Esame progetto di legge m. 118: "Norme per la valorizzazione degli organi rappresentativi dell'artigianato e per la delega alle Province ed alle Comunità Montane di funzioni concernenti la materia"


PRESIDENTE

Punto quarto all'ordine del giorno: "Esame progetto di legge n. 118: 'Norme per la valorizzazione degli organi rappresentativi dell'artigianato e per la delega alle Province ed alle Comunità Montane di funzioni concernenti la materia'." La parola al relatore Consigliere Barisione.



BARISIONE Luigi, relatore

Il presente disegno di legge trova le sue premesse in precedenti atti di natura politica e legislativa.
Già la I Conferenza regionale dell'artigianato tenuta ad Alessandria nel gennaio 1980 aveva avviato una analisi e una proposta per la delega agli enti locali di funzioni amministrative nel settore e per una incisiva valorizzazione degli organi di tutela e di autogoverno della categoria.
La stessa legge regionale 14 marzo 1980 n. 14, ha disciplinato, in una prima attuazione del D.P.R. n. 616/1977, il quadro dei trasferimenti alla Regione delle funzioni esercitate dalle Camere di Commercio. Tali funzioni avrebbero dovuto successivamente, e questo disegno di legge se ne incarica essere riprese e riorganizzate adeguatamente.
La II Conferenza regionale dell'artigianato svoltasi a Stresa l'11 ed il 12 luglio 1981 ha costituito una ulteriore occasione di analisi di tale problematica che ha portato ad un obiettivo miglioramento del testo originariamente predisposto.
Tale testo è stato esaminato dalle Commissioni consiliari competenti ben due volte: la prima nel 1982 e la seconda nelle ultime settimane per tenere conto delle modifiche proposte dalla Giunta a seguito della recente approvazione di provvedimenti vari in favore dell'artigianato.
In coerenza con le indicazioni programmatiche sviluppatesi per quanto concerne l'artigianato soprattutto in quest'ultima legislatura, il presente disegno di legge si articola pertanto su due caposaldi: 1) la delega di funzioni amministrative alle Province ed ai Comuni e l'attribuzione di specifici compiti alle Comunità Montane, costituendo così un riferimento unitario ravvicinato territorialmente alla realtà dell'artigianato piemontese 2) la valorizzazione ed il potenziamento delle Commissioni provinciali e della Commissione regionale per l'artigianato favorendo la costruzione di un sistema dei suddetti organismi più autonomo, coordinato e arricchito di funzioni.
Nel merito della delega alle Province ed ai Comuni e delle attribuzioni alle Comunità Montane si tratta di funzioni di notevole importanza che possono permettere, nel quadro di una politica regionale di sviluppo dell'artigianato elaborata con il concorso dell'apposita Consulta, il coordinamento e la gestione amministrativa delle funzioni in un rapporto più ravvicinato con le categorie interessate.
Nell'attribuzione delle funzioni oggetto di delega ai diversi livelli di governo locale, si è tenuto conto, ovviamente, del diverso ruolo istituzionale che ciascuna categoria di Enti è chiamata a svolgere. Così mentre le Province vengono chiamate a concorrere alla elaborazione degli indirizzi della programmazione settoriale ed a svolgere funzioni amministrative a scala intermedia, i Comuni diventano titolari di diverse funzioni in parte già attribuite dal DPR 616, di interesse esclusivamente totale.
Le attribuzioni alle Comunità Montane, limitate ad una parte delle funzioni rispettivamente delegate alle Province, concernono le funzioni generali di concorso nell'elaborazione degli indirizzi della programmazione settoriale e le funzioni specifiche di promozione, per il rispettivo territorio, dell'artigianato artistico e tipico. Il senso politico di questa scelta nasce dalla necessità di perseguire l'equilibrio economico territoriale della Regione e di imprimere un nuovo impulso all'economia montana. Suddette attribuzioni pongono indubbiamente problemi delicati nella loro attuazione, dati i limiti tecnico-organizzativi di molte Comunità Montane. Per fronteggiare tale esigenza il disegno di legge prevede la possibilità che siano le Province stesse, d'intesa con la Regione e le Comunità interessate, ad istituire uffici operativi distaccati presso le sedi montane in cui più gravoso si presenta l'espletamento delle funzioni meramente gestionali oppure qualora si renda necessario costituire un più ravvicinato punto di servizio per le richieste degli artigiani.
Per quanto concerne l'attuazione delle deleghe sono previste apposite norme che, mentre da un lato fissano termini temporali entro cui è possibile strutturare i necessari rapporti con gli Enti delegati, impongono dall'altro alla Giunta regionale un importante ruolo di iniziativa e di coordinamento senza cui le norme previste non potrebbero trovare uno sbocco concreto.
In ordine agli organi di tutela e di autogoverno dell'artigianato il presente disegno di legge, pur rinviando esplicitamente la disciplina di alcuni aspetti funzionali e di composizione degli organi all'entrata in vigore della legge quadro nazionale, attua un importante riassetto della materia.
Vengono precisati innanzitutto i rapporti con le Camere di Commercio relativamente alle residue competenze camerali in materia di artigianato.
Ciò consente di dare compiuta attuazione all'ordinamento introdotto con la legge regionale 14 marzo 1980 n. 14 per ciò che concerne la tenuta dell'albo artigiani.
La soluzione auspicata a questo riguardo é quella che si giunga ad apposite convenzioni con le Camere di Commercio che permettano, da un lato di recuperare tutto il bagaglio di professionalità e di mezzi già predisposti nelle sedi camerali e, dall'altro, di definire in modo chiaro e preciso la titolarità dei soggetti istituzionali cui competono funzioni di governo nella materia.
A tal fine è previsto che la Regione incameri tutti i diritti derivanti dall'attività certificativa degli albi compresi i diritti annuali dovuti da ciascuna impresa artigiana iscritta.
In merito alla possibilità di acquisire anche questi ultimi proventi giova considerare che il disegno di legge detta una norma che scaturisce dalla logica interpretazione della sentenza n. 307 del 1983, che la Corte Costituzionale ha emesso in punto a tale questione.
E' pur vero infatti che con tale sentenza la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale poste da alcune Regioni all'epoca dell'introduzione dei diritti annuali. E' altrettanto vero per che con la stessa sentenza la Corte ha anche dichiarato non esservi ostacolo alcuno "... all'esercizio della potestà legislativa regionale: sia per indirizzare gli interventi delle Camere, sia per incidere sulle premesse dalle quali dipende la stessa spettanza o la sfera di applicazione dei diritti annuali".
A tale logica indicazione risulta ispirata la norma regionale che pertanto, si preoccupa di introitare i diritti correlativamente all'assunzione da parte della Regione stessa, ai sensi dell'art. 64 del DPR 24 luglio 1977 n. 616, delle funzioni esercitate dalle Camere di Commercio nella materia dell'artigianato.
Apposite disposizioni affrontano infine il problema degli organici degli uffici di segreteria delle Commissioni provinciali e della Commissione regionale per l'artigianato.
Vengono in questo modo ad essere superate difficoltà operative più volte lamentate e garantito un rapporto funzionale più diretto tra il personale addetto ai servizi di segreteria ed il Presidente di ciascuna Commissione.
Da sottolineare che al contingente di personale individuato si provvede all'interno della dotazione organica complessiva già prevista per la Regione.
Gli aspetti finanziari del disegno di legge sono regolati ricorrendo alle maggiori entrate derivanti dai diritti attualmente riscossi dalle Camere di Commercio per quanto concerne l'esercizio delle deleghe e agli stanziamenti disposti dalla Regione nel proprio bilancio per quanto concerne l'attuazione degli interventi oggetto di delega.
Con questo la IV Commissione, congiuntamente con la I, ha licenziato a maggioranza questo disegno di legge e se ne raccomanda l'approvazione del Consiglio regionale.
Nello specifico del disegno di legge i singoli articoli prevedono: art. 1, indica-le finalità del DDL art. 2, definisce l'oggetto della delega alle Province art. 3, definisce l'oggetto della delega ai Comuni art. 4, definisce l'oggetto delle attribuzioni alle Comunità Montane art. 5, disciplina le modalità di attuazione delle deleghe art. 6, definisce a titolo riepilogativo le funzioni di competenza regionale in materia di artigianato art. 7, disciplina il funzionamento delle Commissioni provinciali per l'artigianato e la titolarità regionale dei diritti di segreteria e dei diritti annuali dovuti dagli imprenditori artigiani art. 8, disciplina il funzionamento della Commissione regionale per l'artigianato art. 9, individua gli organici assegnati ai servizi di segreteria delle Commissioni provinciali e della Commissione regionale per l'artigianato art. 10, fissa le disposizioni finanziarie derivanti dall'applicazione del disegno di legge art. 11, reca disposizione transitoria atta a consentire il funzionamento delle Commissioni attualmente in carica fino all'emanazione dei provvedimenti di ricostituzione delle Commissioni stesse.



PRESIDENTE

Sulla relazione del Consigliere Barisione è aperta la discussione generale.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Cerchio. Ne ha facoltà.



CERCHIO Giuseppe

La questione artigiana, come il Presidente ed i colleghi certamente sanno, è stata in questi ultimi mesi particolarmente al centro dell'attenzione di questo Consiglio regionale, creando non poche aspettative da parte di una categoria che, in mezzo a difficoltà non indifferenti e ad una situazione economica altrettanto difficile, ha rappresentato nonostante tutto un punto di riferimento non indifferente sul piano della soluzione di problemi occupazionali e di attivazione in un settore economico che certamente presenta notevoli difficoltà. E se quindi la "questione artigiana" è stata al centro di una serie di problematiche di prese di posizioni, di normative proposte e poi decollate, di normative proposte e non decollate, sostanzialmente dovrebbero gioire gli artigiani categoria direttamente interessata, dovrebbe guadagnarci l'occupazione dovrebbe attivarsi una ripresa in considerazione del ruolo che il comparto artigiano ha, svolge, e che certamente è all'attenzione di tutti i Consiglieri di questa sala, nell'economia regionale.
Dovrebbe in sostanza decollare il ruolo anche di un Assessorato alla Regione che negli anni passati si è collocato obiettivamente con molti punti interrogativi ed esclamativi nel senso di chiedersi cordialmente in termini ironici da parte del nostro Gruppo consiliare se valga veramente la pena di ancora inserire questo Assessorato nella mappa dell'esecutivo regionale, se il Gruppo della D.C. si pone questo quesito questo problema nel momento in cui tutto il settore del commercio di fatto ha avuto una inoperatività per una sostanziale non gestione dell'unica legge del credito al commercio o se l'ha avuta in questi ultimissimi mesi o l'ha avuta con una riduzione tale di investimenti e di possibilità di addivenire al credito in quel settore, come lo ha avuto nella sostanza il vuoto legislativo, organizzativo e programmatico sul piano dell'artigianato e così via tanto da porsi il problema se è il caso ancora di mantenere questo Assessorato. Lo dico indubbiamente in termini cordialmente ironici. Questo per dare un salto di qualità, per dare una occasione di potenzialità di voce autentica a quel mondo del lavoro autonomo, di cui tanto noi ci riempiamo la bocca come elemento trainante in una situazione economica disastrata nel nostro Paese e nella nostra Regione Piemonte, che nonostante tutto e nonostante alcuni interventi certamente non di favore a livello nazionale e soprattutto a livello regionale, nonostante tutto, attivano una presenza di lavoro non indifferente e di soluzione alla domanda di occupazione che molte volte le grosse imprese, le grosse industrie, i grossi progetti regionali, la grossa guida, il grosso progetto del Piano regionale di sviluppo che avrebbe dovuto rappresentare il volano per creare le condizioni di una programmazione non ha, tutta questa pluralità di soggetti o di occasioni, fatto decollare.
Ma a tante aspettative che la questione artigiana ha creato, a tante proposte di legge che sono state presentate e attivate, se dovrebbero teoricamente, gioire gli artigiani, perché la questione artigiani in questi mesi è stata comunque al centro dell'attenzione regionale, le risposte concrete che noi verifichiamo in pratica e in applicazione non ci sono in realtà sostanzialmente giunte. E' vero sì che alcune normative sono decollate in questi mesi o in queste settimane in estremo ritardo e con una costante ormai abitudinaria di questo settore, di questo spaccato, in sostanza, lo scollamento fra le esigenze del settore e la programmazione regionale. Vero è che all'inizio dell'anno è finalmente decollata la legge si fa per dire, del credito, noi diciamo; dice la maggioranza della Regione o meglio dice l'Assessorato regionale all'artigianato, poi vedremo se lo dice anche la maggioranza, è una legge quadro regionale, è omnicomprensiva di tutti i problemi, ma nell'omnicomprensività non ci sta ad esempio l'Agenzia di sviluppo, nella omnicomprensività non ci sta un interesse diretto per l'operatore singolo, soggetto autentico di questo rilancio occupazionale che con difficoltà il Piemonte tenta di attivare, è certo decollata questa nuova normativa, ma è decollata con molti sforzi, dopo un vuoto di anni e con alcuni aspetti negativi quali sono quelli citati poc'anzi dalla mancanza dell'Agenzia di sviluppo.
Vero è anche che nei confronti di questa legge il Gruppo della D.C. si è espresso in termini di astensione, significando con questa astensione una occasione ulteriore di indicazione polemica, perché nonostante l'accoglimento di decine di suggerimenti e di emendamenti da parte della D.C. e quindi una attivazione di una normativa certamente migliore, più aderente alle esigenze degli artigiani stessi non ha raggiunto quel senso ottimale che noi ritenevamo dovesse essere raggiunto e che era stata anche fatta oggetto di una nostra proposta di legge. Ma se questo è il quadro che ci troviamo come riferimento attuale normativo e se in questo quadro ci sta una cornice superiore, qui tanto sbandierata del secondo Piano di sviluppo cornice che avrebbe dovuto rappresentare il punto di riferimento obbligato come strumento reale di programmazione, quale finalità di indirizzo su questo settore, Piano regionale di sviluppo che ostinatamente è stato approvato nei mesi scorsi in zona di chiusura di legislazione e quindi non supportando minimamente questo disegno e questa strategia; l'altro punto interrogativo che ci fa esprimere un dissenso è la vicenda certamente emblematica, curiosa e anomala ed unica in questa storia ormai quindicennale di assemblea di Consiglio regionale, relativa ad una proposta di legge che il Gruppo della D.C., ha presentato, e su questo tema altre proposte di legge sono state presentate dal Gruppo del Movimento Sociale e dal Gruppo Socialdemocratico, su un tema certamente collegato, tanto che la Presidenza di questa assemblea ha pensato, offendendo magari qualcuno, e non era il caso di discutere questa tematica insieme bloccata giustamente da una battuta del nostro (per nostro si intende il nostro Assessore) perché tutti noi come riferimento istituzionale nel passato e nel presente il futuro sarà lasciato al giudizio degli elettori e quindi nella fattispecie intanto degli artigiani.
Se questo è il quadro che noi ci troviamo di fronte oggi affrontando il discorso del disegno di legge predisposto dalla Giunta regionale nel lontano 1981, noi ci troviamo di fronte ad un problema anche qui anomalo perché esiste, ormai in termini evidenti, la ricerca di una ostinazione mentre prima avevamo l'ostinazione di non fare andare avanti il decollo anche solo istituzionale, di una proposta di legge sull'agenzia per cui ne abbiamo discusso, l'abbiamo richiamata in aula, abbiamo fatto una strategia di ordine del giorno che entro i trenta giorni si doveva discutere in aula si è portato in Commissione, si ritorna in aula, la si calendarizza ma non si discute, intanto le h 24 del 27 marzo si avvicinano e quindi speriamo che si giunga a quell'ora senza discutere della Agenzia di sviluppo ostinazione in un senso; ostinazione di 360 gradi per l'altro verso, perch dopo quattro anni di dibattito, di attenzione, di pause e di riflessioni magari anche motivate e giustificate da parte dell'esecutivo, esiste una accelerazione chiaramente sospetta in queste ore e in questi giorni per far decollare questa iniziativa, per togliere in sostanza ciò che è consolidato in una esperienza,in una produttività, in una professionalità legata all'azione che le Camere di Commercio fanno su questo settore, per passare a quelle famose deleghe agli Enti locali e quindi alle amministrazioni in un'attività frenetica e certamente nervosa, simbolo e testimonianza di una certa volontà di chiudere dei pregressi, ma come sempre capita, il rischio di chiudere in fretta porta a consigli magari certo non obiettivi.
Detto questo, noi riteniamo, in questa prima di una lunga serie di osservazioni che faremo su questa tematica, che a fronte di una constatazione dell'attesa, certo lunga, ma ormai si pensa volta al termine di un quadro di riferimento nazionale sulla legge quadro dell'artigianato e in attesa che abbia almeno la capacita e la possibilità di decollare la nuova normativa della legge regionale n. 17 del 1985, diventata esecutiva nelle scorse settimane, noi riteniamo che esistono dei sufficienti, buoni validi, giustificati obiettivi e motivi per considerare intanto questa proposta di legge che si intende in "zona Cesarini" far decollare, quanto meno esista la necessità di fare un momento di attenzione in considerazione del decollo di queste due realtà. Anche perché noi siamo dell'avviso, senza togliere ruoli, spazi, competenze legittime alle autonomie locali, che l'autogoverno dell'artigianato debba essere considerato nel giusto rapporto con un legittimo interesse dell'esecutivo regionale, come esecutivo e come guida, quindi delle politiche regionali sul piano dell'artigianato. Anche perché alcune considerazioni che emergono dalla lettura dell'articolato del ddl 118 vengono in realtà a frizionare ed a contrastare con alcune norme che proprio questa maggioranza, insieme ad alcuni altri partiti, ha attivato nella recente e approvata legge n. 17.
Ci pare quindi quanto meno esagerata la considerazione di attivare delle deleghe di funzioni trasmesse alle realtà degli Enti locali, Province e Comunità Montane, per questo aspetto e ci pare quindi che un discorso di utilizzo di una competenza e di una professionalità che intanto è consolidata all'interno del rapporto con le Camere di Commercio, debbano essere garantite e non frettolosamente abbandonate per un punto interrogativo che tutto è da spiegare, è da verificare, da organizzare.
Non bisogna nel frattempo dimenticare la realtà di queste 130.000 aziende artigiane localizzate in Piemonte che tra l'altro nella loro sostanziale unitarietà esprimono anche la preoccupazione di un salto nel buio e comunque di un salto verso l'incertezza, mentre attualmente i servizi che le Camere di Commercio danno in termini di certezza di servizi certezza di assistenze, sono intanto un dato di fatto consolidato e garantito.
Il relatore nella sua esposizione ha citato certo alcune problematiche per ricercare una risposta a quesiti che certamente le categorie hanno espresso nel corso della consultazione a dei dubbi di legittimità che le Camere di Commercio hanno attivato nel rapporto in sede di IV Commissione non ritenendo io sufficienti, motivate e giustificate queste osservazioni ma ritenendole, per la verità, legittime e certamente valide.
Io ritengo quindi che i riferimenti che il collega Barisione faceva in ordine ad alcune prese di posizione della Corte Costituzionale nei riferimenti di alcune sentenze, relative a ricorsi inoltrati da alcune Regioni come la Lombardia, l'Emilia Romagna, siano da prendere in considerazione in misura non indifferente, proprio perché su questo problema la vertenza è certamente aperta e non vorrei che si innescasse anche in Piemonte un discorso più che legittimo di ricorsi e di eccezioni che verrebbero in realtà a danneggiare, non solo la categoria, ma la produttività di un rapporto che certamente non è facile, ma è necessariamente auspicabile nella ricerca fra governo della Regione e partecipazione attenta, non supina delle categorie interessate.
D'altra parte le stesse realtà che si stanno esprimendo attraverso il decentramento che le Camere di Commercio hanno attivato in questi mesi e in questi anni con sedi localizzate in territori decentrati di subaree rappresentano intanto una ubicazione funzionale che soprattutto le Camere di Commercio hanno attivato, dando ulteriori risposte concrete ad una domanda di decentramento che certamente era auspicabile e che si è raggiunta.
Ritengo quindi che tutto un discorso legato a questo fenomeno, al mantenimento dell'Albo delle imprese artigiane nell'ambito camerale rispecchia intanto i riferimenti di legge e rispecchia i riferimenti di competenza e di esperienza che in questi anni noi abbiamo avuto l'occasione di verificare. E quindi esiste tutta una serie di obiettive perplessità nei confronti di una normativa che con il ddl 118 viene presentata e che quindi ci porta ad esprimere in questo intervento introduttivo una preoccupata considerazione di fronte alle metodologie, ai tempi ed alle volontà espresse in questa sede dall'Assessorato competente.
Sui temi più specifici avremo modo di entrare negli interventi che certamente seguiranno articolo per articolo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi, l'ora è tarda e tuttavia noi non possiamo dare inizio a questo nostro intervento senza una considerazione di confessato sapore polemico, ricordando quanto avvenuto qui una settimana fa. Allora noi avanzammo la proposta di rinviare l'esame del ddl 118 motivandola soprattutto con la necessità di poterla più meditatamente approfondire; e subito ci fu chi, dai banchi della maggioranza, ci riferiamo in particolare al collega Montefalchesi, adesso fuori aula, volle insinuare che la nostra richiesta era soltanto strumentale, destinata a far perdere tempo, tanto più che di questa normativa si stava discutendo da oltre tre anni.
Bene, sono passati da allora sette giorni, tanti quanti noi avevamo allora richiesto ed oggi eccoci qui puntuali ad affrontare la discussione sulle deleghe agli Enti locali in materia di artigianato, segno evidente e prova inconfutabile che non avevamo intenzioni dilatorie o ritardatrici che i nostri critici restano in perenne malafede nel giudicarci, che sul problema indubbiamente delicato ed importante noi siamo pronti ad assumerci qui tutte le nostre responsabilità e tutte le nostre motivate posizioni.
Intenzioni ritardatrici e dilatorie, vorremmo notarlo per inciso, sono invece quelle che tali abbiamo definito e che ancora definiamo e che hanno portato al rinvio sino ad oggi di altra proposta di legge, fervidamente invocata da tutto il mondo artigiano. E' fuori di dubbio che sia stato compreso il nostro richiamo all'agenzia di sviluppo, già chiamata in aula e poi rinviata pretestuosamente in Commissione oltre un mese fa; ma sulla quale adesso, e proprio in virtù delle posizioni assunte dal Gruppo della D.C. e del M.S.I., tutte le forze politiche saranno quanto prima sollecitate e costrette a venire allo scoperto; e vedremo, allora, chi all'interno di quest'aula fa manfrina, come si usa dire, sempre giocando sull'equivoco di promesse rilasciate e non mantenute, di assicurazioni date e quindi smentite, di proposte di legge fatte e poi ritirate. Vedremo chi interpreta le legittime aspirazioni, attese, richieste del mondo artigiano e chi al contrario, solo considerando le 130.000 imprese artigiane come un serbatoio di voti, si comporta in ben altra maniera! Ma di tutto questo avremo modo di parlare non appena si passerà alla discussione del successivo punto all'ordine del giorno.
Venendo ora al ddl 118, tanto vale passare subito a quello che a nostro avviso rappresenta il nodo centrale della questione e, cioé, esiste contraddizione nel fatto di sostenere da un lato che la Regione deve delegare le più ampie competenze agli enti locali e dall'altro avanzare poi dubbi e riserve su questa normativa di delega? Questo è quello che ci viene rimproverato dai nostri avversari e su questo punto noi crediamo, dunque che valga la pena di soffermarsi un poco. Soffermarsi per rispondere che in linea di principio noi siamo e restiamo favorevoli alla maggiore estensione possibile dell'istituto della delega dalla Regione verso le Province, verso le Comunità Montane e verso i Comuni; ma che in linea di fatto non possiamo approvare quanto ci viene presentato con il ddl n. 118. E perché? Ma per almeno due motivi di fondo: anzitutto perché il Parlamento sta per approvare, e ci sia consentito aggiungere finalmente, la legge quadro per l'artigianato che, superando l'ordinamento finora previsto dalla legge n.
860, fisserà i principi generali cui dovranno attenersi le Regioni nel legiferare in materia di artigianato. Poi, perché questo Consiglio ha di recente approvato, lo ricordava anche il collega Cerchio, la legge 17/85 che ora, a distanza di poche settimane, viene ad essere profondamente mutata dalle nuove norme portate adesso al nostro esame.
Richiamati questi due motivi e riflettendo sulla intempestività e sulla inopportunità della proposta alla luce delle considerazioni fatte, noi ci dobbiamo chiedere che cosa abbia spinto il governo regionale a varare proprio sul finire della legislatura, questa legge ed a chiederne così insistentemente l'approvazione. Forse che non sarebbe stato preferibile o forse anche più saggio attendere il varo della legge quadro ed il rodaggio della legge 17/85, in modo da varare poi norme che fossero più consone e più adeguate a quelle nel frattempo intervenute e consolidate dall'esperienza? Si è scelto invece di non suggerire questa strada, strada che, vogliamo poi ancora una volta ripeterlo, sembra a noi essere la più corretta e la più saggia.
Ed allora ecco che diventa oneroso, legittimo, domandarsi, e domandarlo soprattutto all'Assessore al commercio e all'artigianato, domandarlo ai colleghi di maggioranza, che cosa vi sia in realtà dietro il ddl 118. Quali finalità recondite, quale disegno politico esso sottenda, esso nasconda con esso ci si prefigga di perseguire? Il potenziamento dell'autogoverno dell'artigianato o non piuttosto il potenziamento del potere regionale? Ecco la domanda. Devono risultare chiare, in ogni caso, alcune considerazioni che non ci possiamo esimere dal fare. Noi contestiamo, e lo contestiamo anche e soprattutto dal punto di vista giuridico, lo svuotamento di funzioni che, con questa legge, si viene ad infliggere alle Camere di Commercio, le quali sono - e giova qui sottolinearlo - enti pubblici locali, anche se non territoriali, lo ammettiamo, verso i quali la Regione, in forza della legge 22/7/1985, n. 382, può subdelegare le funzioni che ha avuto delegate dallo Stato.
Noi contestiamo l'eventualità che le Camere di Commercio non siano più sedi delle Commissioni provinciali per l'artigianato commissioni provinciali per l'artigianato che sono organi giuridicamente istituiti e funzionanti e che le stesse non possono più alloggiare presso le sedi delle Camere di Commercio, continuando ad usufruire degli uffici di segreteria e dei mezzi finanziari camerali. Noi contestiamo o ancora la possibilità che gli albi provinciali delle imprese artigiane non abbiano a rimanere presso le Camere di Commercio alle quali a nostro avviso deve o dovrebbe continuare a venir riconosciuto il diritto di rilascio dei certificati d'iscrizione all'albo con esazione conseguente dei diritti di segreteria.
Noi contestiamo infine il trasferimento alla Regione della titolarità del diritto annuale pagato dalle imprese artigiane alle Camere di Commercio ai sensi della legge 51/82, sono ben 5.200.000.000 di lire all'anno che la Regione con questa legge intende incamerare, così sottraendoli ai cospicui interventi che le stesse Camere di Commercio con sostegni diretti all'esportazione, con contributi in conto interesse, con incentivi per l'assunzione di apprendisti, finora avevano potuto dedicare all'incremento del settore artigiano. Che ne farà la Regione di questi soldi? Noi non vogliamo dare una risposta personale. Vogliamo limitarci a riportare qui la risposta che al quesito è stata data da un'organizzazione sindacale consultata: "Inventerà fumose strutture decentrate? Le doterà di una pletora di funzionari? Oppure incentiverà, come succede da anni, la creazione di aree attrezzate, le quali oltre ad avere servito finora soltanto 97 imprese su 130.000, assomigliano in verità più che ad insediamenti produttivi ad una sorta di costose riserve per pellirosse in via di estinzione? ".
In conclusione, noi siamo contrari allo sfratto dato alle imprese artigiane dalle Camere di Commercio che sinora sono state prodighe nei loro confronti di servizi, di assistenza, di strutture efficienti e funzionali.
Ma siamo contrari soprattutto, ed è la nostra ultima considerazione all'immagine della Regione che da questo ddl viene ad emergere: una Regione dispotica, accentratrice, lontana, sempre più lontana, dalle speranze e dalle attese del mondo artigiano.
Invitiamo accademicamente, perché non è che contiamo molto sull'efficacia di questi nostri inviti, la maggioranza a fare un'opera di ripensamento ulteriore, tanto più che a quanto ci si dice sono in preparazione degli emendamenti che una componente di maggioranza, il P.S.D.I., intenderebbe presentare e che forse per la loro entità meriterebbero di essere ridiscussi in commissione e non affrontati direttamente in quest'aula. Ma se questo ulteriore ripensamento non verrà se non ci sarà data nessuna possibilità, allora tanto vale dire subito che il MSI-DN è fortemente critico verso questo ddl e che il voto conseguente non potrà che essere un voto negativo.


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

Colleghi Consiglieri, vi comunico che sono convocate per le ore 14,30 la VI e la VII Commissione; la V Commissione per proseguire l'esame del piano socio-sanitario e la II Commissione per esaminare la proposta di legge del Gruppo della D.C. sul Decreto Galasso ed il bando per gli IACP, a questa riunione è richiesta anche la presenza degli Assessori Rivalta Calsolaro e Bruciamacchie.
Infine alle ore 14,30 è convocata la Commissione Nomine.
Bisognerebbe essere puntuali perché alle ore 15 si possa riprendere il dibattito in aula.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Moretti. Ne ha facoltà.



MORETTI Michele

Siccome gli orari di convocazione delle Commissioni coincidono con quello del Consiglio, mi domando come è possibile essere presenti nella VI Commissione e nella Commissione Nomine, oppure in Consiglio regionale.
Occorre regolare meglio questi orari. Poiché io riesco ad essere presente nelle riunioni di Commissione, perché nel momento in cui ho assunto questa responsabilità ho deciso di essere puntuale, prego la Presidenza di programmare l'orario di convocazione delle Commissioni.



PRESIDENTE

D'accordo. La Commissione Nomine è convocata per le ore 14.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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