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Dettaglio seduta n.310 del 28/02/85 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


MARCHIARO MARIA LAURA


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

La seduta è aperta.
Punto primo all'ordine del giorno: "Approvazione verbali precedenti sedute" I processi verbali delle adunanze consiliari del 24 gennaio 1985 sono stati distribuiti ai Consiglieri prima dell'inizio della seduta odierna.
Se non vi sono osservazioni i processi verbali si intendono approvati.


Argomento: Edilizia pubblica (convenzionata, sovvenzionata, agevolata)

Interpellanza del Consigliere Vetrino inerente la legge regionale n. 457


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Passiamo al punto riguardante le interrogazioni ed interpellanze.
Esaminiamo l'interpellanza del Consigliere Vetrino inerente la legge regionale 457.
La parola all'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

La prima domanda chiede di conoscere l'ammontare del finanziamento all'impresa Geom. Vespa, la data dell'erogazione ed il preciso scopo del finanziamento.
Lo scopo è stato quello di costruire alloggi di edilizia agevolata nella spesa per la costruzione sono consentite nelle misure standard previste anche opere di costruzione di box e sistemazione delle aree.
La delibera del Consiglio regionale ha assegnato al consorzio delle imprese IES, consorzio che realizza il programma attraverso l'impresa Vespa, 38 alloggi di edilizia agevolata con un impegno aggiuntivo del consorzio a realizzare altri 23 alloggi con autofinanziamento.
L'interrogazione nella premessa si richiama ai fatti che attengono a 24 alloggi costruiti in Via Banchette dove l'impresa ha costruito 24 alloggi di edilizia agevolata (legge 457) più 12 alloggi di autofinanziamento.
Questi alloggi sono finiti mentre quelli del secondo lotto in Via Galliera sono a 3/4 di realizzazione.
Il finanziamento per gli alloggi di edilizia agevolata di Via Banchette è pari a 864 milioni corrispondente a 36 milioni per alloggio.
Il costo finito di convenzione (costo base più le revisioni prezzi riconosciute) è di I miliardo 897 milioni corrispondenti a 78 milioni per alloggio.
Chi ha comperato questi alloggi dall'Impresa gode di un mutuo agevolato di 36 milioni di fronte a Una spesa ad alloggi finiti di 78 milioni per alloggio.
Al miliardo e 897 milioni è sub judice una spesa ulteriore di 391 milioni e 800 mila lire, spesa già a consuntivo per la realizzazione di fondazioni che non erano state previste al momento della progettazione fondazioni determinate da una situazione di instabilità del terreno dove viene costruita la casa; era una instabilità già verificata nel momento in cui si erano costruiti gli edifici nella zona circostante.
La seconda domanda, articolata in più domande, chiede se la Regione non ritenga di disporre di una indagine per verificare se il terreno sul quale l'intervento venne a suo tempo localizzato avesse superato tutte le prove tecniche necessarie per essere ritenuto idoneo ad accogliere i due edifici.
Per rispondere richiamo che tale questione era emersa sulla base di una lettera del 1/10/1983 degli abitanti del condominio "Domus Pino" costruito nell'aprile del 1978 in adiacenza al lotto interessato dai lavori dell'impresa Vespa.
Nella lettera si lamentava che l'ulteriore rilascio di concessione edilizia nei lotti adiacenti comprometteva ulteriormente la stabilità delle aree.
Il servizio geologico ha compiuto un sopralluogo e con una lettera del 14 novembre 1983 si riferiva ai condomini richiedenti, al Comune e alla Prefettura di Torino dicendo che sarebbero state necessarie ulteriori indagini per valutare la situazione di stabilità dei terreni e in quella occasione si dichiarava disponibile a collaborare con l'amministrazione comunale per disporre un programma di indagini sull'intera area.
L'amministrazione comunale non ha mai dato riscontro a quella lettera.
Si era supposto allora che si formasse una Commissione apposita, ma non abbiamo mai avuto più nessun richiamo per cui la cosa è stata lettera morta.
Quindi il servizio geologico si era già mosso, ma trattandosi di lotti privati, al di là di un primo intervento conoscitivo non era andato.
Se l'Amministrazione comunale non ci risollecita, evidentemente il Servizio geologico non va a fare questo tipo di attività in un'area privata.
E' disponibile a riaprire questa indagine dietro sollecitazione del Comune di Pino.
Per gli aspetti tecnici (il carattere della progettazione, i materiali impiegati per qualità e costi, i fornitori) la Regione non ha competenza reale stante il fatto che l'agevolazione è data all'impresa, che poi la trasferisce agli acquirenti, e l'impresa opera nell'ambito di quella agevolazione, che tra l'altro non copre tutto il costo dell'edificazione come vero e proprio imprenditore libero entro i limiti dei costi ritenuti ammissibili, ma valutati dal Comune che stabilisce una convenzione con l'impresa. L'interpellanza chiede una verifica nell'ambito degli obiettivi della legge 457 anche di carattere sociale, cioè sui limiti della superficie per unità abitativa, possesso di requisiti richiesti da parte dei compratori, prezzi di cessione: L'esame sotto il profilo amministrativo, che la Regione è tenuta a fare, riguarda la dimensione degli alloggi, la dimensione degli eventuali box e la dimensione delle aree residenziali che si sistemano. Questa verifica è già stata fatta, sono in possesso della documentazione.
La Regione ha provveduto a rilasciare l'attestato che comprova il rispetto degli standards previsti dalla L. 457, il 19 settembre 1984.
La verifica del possesso dei requisiti dei soggetti acquirenti non è invece ancora stata compiuta, sono state presentate documentazioni per 26 famiglie da parte del consorzio, ma 23 pratiche sono incomplete per cui gli uffici stanno aspettando il completamento dei documenti per poter dar corso all'esame.
Il prezzo di cessione è fissato nella convenzione tra il Comune e l'impresa. E' il Comune che deve controllarne l'applicazione.
Si chiede poi di accertare i diritti dei cittadini beneficiari del contribuente regionale e che siano stati salvaguardati nel rispetto della L. 457.
La salvaguardia dello spirito della legge 457 e degli interessi dei cittadini che ne beneficiano, sarà determinata dal rispetto degli standards applicati per dimensione dell'alloggio e delle altre strutture annesse all'alloggio, dal rispetto della convenzione di cui è competente il comune quindi sarà un giudizio di carattere finale.
Il punto d) chiede di verificare quali ulteriori agevolazioni della legge 457 possono essere riservate ai futuri proprietari nel caso che malauguratamente l'onere di 391 milioni e 800 mila lire dovesse essere di loro competenza, quelle spese per le opere di fondazione che sono aggiuntive rispetto al miliardo e 800 milioni complessivi.
Devo dire che purtroppo non sono possibili altre integrazioni perché i nuovi limiti massimi di mutuo concedibili, 50 milioni, e che in una fase intermedia erano stati portati a 44 milioni, non sono applicabili oggi e nel momento in cui erano stati introdotti con i Decreti ministeriali, non c'erano i finanziamenti.
L'originario limite di mutuo era di 30 milioni, con una deliberazione integrativa era stato portato a 36 milioni, decisione che ha assorbito ai futuri programmi allora da fare. Quando l'entità massima del mutuo concedibile è stata portata a 44 milioni, non c'era nessun finanziamento ulteriormente utilizzabile e le decisioni ministeriali non avevano introdotto nuovi finanziamenti, quindi in quel momento non era assolutamente possibile adeguare sul passato alla nuova decisione.
La stessa cosa è avvenuta quando è stato portato il limite di mutuo a 50 milioni, questo limite è stato portato il 12 giugno del 1984. Anche in questo caso la decisione ministeriale non era accompagnata da ulteriori finanziamenti e la Regione non aveva a disposizione nessun finanziamento per eventualmente decidere di adeguare le operazioni già avviate nel passato.
Anche se ci fossero finanziamenti disponibili non è più possibile questo adeguamento perché nello stesso atto ministeriale che l'ha deciso, è impedito nel caso in cui sia già stata emessa la concessione del mutuo da parte della banca.
E' fatta comunque eccezione ma sempre nel tempo fino all'erogazione a saldo, qui è già avvenuto alla fine di dicembre 1984.
Se facessimo un adeguamento per questo intervento dovremmo farlo per tutti gli interventi regionali. Rimane il problema dei 391 milioni che ci risulta siano ammissibili nell'ambito della convenzione stipulata dal Comune con l'impresa. Il Comune, come ho già detto, ha dato l'incarico ai suoi tecnici di valutare l'entità di questa cifra e la motivazione per la sua ammissibilità.
In questo ambito la Regione potrà puntualizzare le sue osservazioni nell'ambito delle sue competenze. In sintesi la Regione se avesse i finanziamenti e se decidesse di fare questa operazione, non potrebbe aumentare il limite massimo di mutuo per questo intervento, perché già è andato a saldo, quindi il problema è da risolversi nell'ambito dei contraenti (enti locali, impresa e privati) con la partecipazione dirimente da parte del Comune.
Consegno copia della risposta con le date dell'erogazione dei mutui alla collega Vetrino.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Ringrazio della diffusa e molto precisa risposta alla mia interrogazione. Mi fa piacere constatare che un Assessore regionale conosce nel dettaglio una situazione comunale, addirittura i nomi delle vie che a me ovviamente sono familiari.
Il problema è molto grave. Ho presentato questa interrogazione con un duplice scopo, di evidenziare una situazione specifica ma anche di sollevare una situazione di carattere più generale che attiene all'edilizia agevolata convenzionata.
La situazione specifica ha riguardato tutte le risposte che mi ha dato l'Assessore. Devo riconoscere che c'é stata una carenza dell'amministrazione comunale. La mia preoccupazione è soprattutto quella di vedere come i 391 milioni potranno essere addebitati ai futuri compratori, che tra l'altro non hanno saputo nulla della maggiore spesa.
L'amministrazione per la verità, non se ne è preoccupata, contravvenendo tra l'altro ad una clausola precisa della convenzione, di informarli e di stabilire con loro le spese che si andavano ad aggiungere, modificando, tra l'altro, le condizioni della convenzione stessa.
Ma questi aspetti li esamineremo in un'altra sede, in quella sede si stabiliranno le responsabilità che per conto mio sono molto gravi.
La possibilità che la Regione possa intervenire per i 391 milioni è chiaramente definita dall'Assessore impossibile.
D'altra parte ho voluto avere questa certezza anche perché da parte della comunità piemontese si tende ad addossare alla Regione delle responsabilità che a volte la Regione non ha.
Il mio scopo era anche quello di chiarire la competenza della Regione e in questo caso la competenza era comunale.
Vorrei accennare ad un tema che può essere magari oggetto di discussione in sede della Commissione consiliare competente. La Regione Piemonte è stata molto attenta per quanto attiene all'applicazione della legge 457. Con tempestività e con solerzia ha potuto far crescere effetti importanti nella nostra comunità come poche altre Regioni hanno fatto.
Manca però da parte della Regione un'azione di controllo su come i finanziamenti vengono a svilupparsi.
Con gli interventi che si sono realizzati nel Comune di Pino Torinese mi sembra di poter dire che la legge 457 ha soltanto in parte raggiunto gli obiettivi che si proponeva. Di fatto il prezzo a cui vengono ceduti gli alloggi è di poco discostato dai prezzi di mercato.
Succede che questi alloggi finiscono per essere messi sul mercato ad un prezzo corrente e per produrre una azione di disturbo del mercato stesso.
Fatti del genere non succedono solo a Pino Torinese, ma anche in altri Comuni della Regione Piemonte. Devo poi osservare che una verifica puntuale dei requisiti che gli interessati espongono per ottenere il finanziamento della L. 457, dovrebbe anche essere fatta.
La Regione deve attenersi alla denuncia dei redditi che purtroppo molte volte non è il documento più puntuale e più probante rispetto la situazione reale delle persone. Speriamo che i recenti provvedimenti del Governo ci aiutino ad evitare che non si realizzi lo scandalo nello scandalo e cioè che una persona, che già non paga le tasse per il suo reddito reale approfitti di una dichiarazione falsa per ottenere le agevolazioni che la legge consente.
Ringrazio l'Assessore per la sua risposta puntuale e molto circoscritta che tra l'altro mi ha fornito degli elementi per verificare in loco questa situazione e fare in modo che nei limiti del possibile gli obiettivi della L. 457 e gli intendimenti regionali, possano svolgersi nel pieno rispetto di tutte le leggi che al proposito sono vigenti.


Argomento: Enti strumentali

Interpellanza del Consigliere Vetrino, inerente il coordinamento e la programmazione di Enti strumentali


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Interpellanza del Consigliere Vetrino, inerente il coordinamento e la programmazione di Enti strumentali.
Risponde l'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore al coordinamento degli enti strumentali

L'interpellanza ha un valore più di metodo che di merito, poiché sono trascorsi ormai mesi dalla fine di ottobre. Peraltro l'interpellanza era stata presentata quando già l'assemblea dei soci della Finpiemonte si era svolta.
Non per sfuggire a questa risposta, rimando la risposta sui contenuti degli indirizzi politici ed economici al documento programmatico che la Finpiemonte ha steso e ha presentato all'assemblea dei soci. Se la collega Vetrino non lo ha provvederò a farglielo avere. Richiamo il fatto che in questo documento programmatico la Finpiemonte sostanzialmente promuove la continuazione delle operazioni che ha in corso, riguardanti una pluralità di interventi. Tralascio di elencarli perché mi sembrano conosciuti, vanno dai servizi per le aree di insediamento produttivo, alla rilocalizzazione al sostegno al credito, agli interventi per l'energia.
Posso consegnare le relazioni a consuntivo degli anni passati. Per quanto concerne le indicazioni che la Regione ha dato in quella sede potrei leggere il verbale della seduta.
Per sommi capi i contenuti sono quelli che ho richiamato nell'intervento che ho fatto in sede di assemblea dei soci, come delegato dal Presidente della Giunta. Tralascio le valutazioni sulla attività della Finpiemonte che per parte mia erano state positive soprattutto in relazione al fatto che essendo risultata l'entità degli investimenti indotti di 92 miliardi, avevo sottolineato positivamente il dato come dimostrazione che le attività promozionali della Finpiemonte si erano tradotte in termini economici.
In secondo luogo avevo riscontrato nella gestione societaria un progressivo avvicinamento tra costi e ricavi istituzionali.
Per quanto concerneva il merito delle politiche da attuare, ho ribadito le politiche che erano contenute nel Piano di sviluppo regionale che era a quel momento approvato dalla Giunta regionale.
In questo ambito c'era la politica di sviluppo territoriale con le aree attrezzate che ho ritenuto di dovere, pur con le cautele e con le tempistiche diverse dal passato, ancora porre all'attenzione della Finpiemonte in quanto nella prospettiva di rilocalizzazione di nuovi insediamenti industriali, magari non aggiuntivi in termini di occupazione o in termini di nuove produzioni, ma necessari nel processo di ristrutturazione tecnologica.
Mi pare che sia necessario che la Regione continui a predisporre le condizioni di recepimento nelle varie aree piemontesi dove si ritiene di indurre lo sviluppo. Avevo indicato come linee portanti l'intervento nel campo dell'energia, tenuto conto che alcune leggi regionali forniscono contributi e che la Finpiemonte svolge un ruolo promotore e di partecipazione in apposita società. Avevo richiamato l'importanza degli interventi della Finpiemonte nel settore importante della depurazione della qualificazione ambientale, delle grandi infrastrutture da realizzare nel nostro territorio.
Avevo sottolineato l'importanza dell'intervento riguardante l'Interporto di Orbassano, decisione peraltro non solo contenuta nel documento di piano ma più volte sostenuta in Consiglio regionale e l'avevo posto come uno dei problemi di fondo della politica della Finpiemonte nel campo delle infrastrutture. Mi ero attenuto alle linee portanti infrastrutturazione, organizzazione del territorio, qualificazione dell'ambiente, energia che sono anche le linee portanti del Piano di sviluppo. Ho inoltre sollecitato, a sostegno di orientamenti, autonomamente espressi anche dalla Finpiemonte, l'intervento della Finpiemonte nelle politiche per la diffusione delle tecnologie, sotto le varie forme, della creazione di condizione di conoscenza e delle politiche di fidejussione e di credito perché le tecnologie si sviluppino.
La documentazione è allegata ai documenti di bilancio. Purtroppo quando si discute il bilancio i temi sono così vari e si perde la valutazione di fatti specifici, magari anche importanti come quelli dell'attività della Finpiemonte. E' un problema di metodo e di rapporto. Non sono andato in I Commissione perché i tempi dell'assemblea erano tali che mi hanno impedito di fare una comunicazione alla I Commissione. Non sono peraltro mai stato sollecitato in questo senso. Sono state ragioni di ordine pratico-temporale che hanno impedito, come normalmente faccio, di essere io stesso a chiedere, anche se magari formalmente non dovuto, un rapporto con la Commissione per informarla.
La collega Vetrino d'altra parte sa della fatica con la quale abbiamo operato nell'attività delle Commissioni in questi ultimi mesi, spesso oberati di problemi e spesso organizzativamente in difficoltà nell'affrontare tutti i problemi e nel garantire sempre tutte le necessarie presenze e del Consiglio e della Giunta.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Finalmente dopo quattro mesi, questa interpellanza ha più che altro un valore simbolico.
Non soltanto perché si è svolta il 30 ottobre l'assemblea ordinaria della società, ma perché nel frattempo il Consiglio regionale ha approvato il Piano di sviluppo, ha approvato il bilancio di previsione del 1985 e quelle due occasioni sono state anche motivo per far constare la nostra posizione rispetto ai temi sul quale ha voluto soffermarsi l'Assessore dall'energia, al Sito e a tanti altri.
Però questa interrogazione ha ancora una validità, purtroppo, perch stigmatizzava in quel momento il comportamento di questa Giunta regionale in questi anni, di aver fatto poco per assolvere l'impegno di promuovere l'indispensabile e più volte sollecitata non soltanto dal mio Gruppo, ma anche da altri, azione di coordinamento e di controllo degli enti e delle società strumentali. Tra l'altro questi compiti sono previsti dallo Statuto e dalle leggi istitutive dei medesimi. Nel Piano di sviluppo, tardivamente approvato, c'era un capitolo espresso che definiva l'importanza di questo coordinamento e la necessità che il Consiglio assolvesse sempre a questo compito come primo titolare dei poteri di indirizzo e di controllo amministrativo e politico, non solo sulla Finpiemonte ma su tutti gli enti strumentali.
Quello degli enti strumentali è un argomento sul quale in questi anni ci siamo soffermati con molto impegno. Credo però che né la Giunta e né il Consiglio abbiano rivolto quelle attenzioni che gli enti strumentali meritavano, soprattutto non hanno esercitato, se non in minima parte e per azioni il più delle volte sporadiche, sia l'azione di indirizzo, sia l'azione di controllo.


Argomento: Veterinaria

Interrogazione del Consigliere Cerchio, inerente l'importazione di caprioli


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Interrogazione del Consigliere Cerchio, inerente l'importazione di caprioli.
Risponde l'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

Ovviamente rispondo per la parte sanitaria, perché tutti i meccanismi che sono a monte e che hanno prodotto i motivi che hanno indotto il Piemonte ad importare i caprioli dalla Danimarca è un problema di altro genere. Sono problemi di politica del patrimonio zootecnico.
Il servizio veterinario dell'Assessorato alla sanità, totalmente all'oscuro dell'iniziativa dell'importazione di caprioli, è stato informato telefonicamente, da Mario Prodi, esperto faunistico della Regione. Era richiesto l'intervento diretto del responsabile del servizio dott. Valpreda presso il veterinario di confine di Pollein, che negava il permesso di introdurre gli animali.
Una rapida inchiesta permetteva di appurare che la ditta importatrice (Interbat di Genova) non aveva inoltrato la prescritta domanda di importazione al Ministero della sanità.
Il dott. Valpreda prendeva contatti con il funzionario veterinario del Ministero della sanità responsabile del settore, dott. Ferrazza, e dava altresì indicazioni al dott. Pezzetti, veterinario dirigente dell'U.S.S.L.
n. 26 di Venaria, per richiedere un'autorizzazione di emergenza. La sede di La Mandria era infatti stata individuata come l'unica possibile per il periodo di osservazione quarantenaria, previsto in otto giorni.
La prassi adottata aveva dato buon esito ed il giorno successivo i caprioli potevano essere trasferiti nei ricoveri del Parco regionale.
E' ancora da sottolineare come il veterinario di confine, dott. Sechi abbia espresso forti perplessità sull'idoneità del mezzo di trasporto impiegato dalla Ditta Interbat e sull'opportunità di un trasferimento supplementare dei caprioli, avvenuto in territorio francese, dall'autocarro proveniente dalla Danimarca su quello usato per condurli a destinazione.
Il problema della vigilanza ai confini è di importanza cruciale ed è già stato considerato in relazione agli episodi di afta epizootica.
Nel caso specifico dei caprioli la vigilanza ha funzionato ed ha permesso di accertare una certa improvvisazione nelle operazioni di spedizione.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Questa vicenda ha avuto un'eco sugli organi di informazione perch vanno di moda la natura, l'ecologia, la difesa naturalistica oltre ad attivazioni politico-sociali ed ecologico-naturalistiche di verde scuro nell'avvicinarsi di scadenze elettorali.
Apprendiamo che l'amministrazione regionale, dopo un'esperienza di più di cinque anni, decide di affidare ad una ditta specializzata l'importazione in Piemonte di caprioli dalla Danimarca, ma questa ditta è così specializzata e così attrezzata che non ha presentato la prescritta domanda al Ministero competente e i 60 caprioli sono stati dimezzati al loro arrivo a "La Mandria".
Alcuni Istituti dell'Università e operatori naturalistici come anche gli stessi cittadini si sono scandalizzati di questo fatto. In effetti la Regione Piemonte ha attivato una iniziativa suicida, che per fortuna non ha coinvolto altri animali.
Quale servizio regionale o quali operatori pubblici o privati hanno curato l'organizzazione per il trasporto di questi animali? Per quali motivi all'ultimo momento una telefonata della Regione ha costretto a rimandare il lavoro a data da destinarsi? Quale sarà il costo finale dell'operazione di ripopolamento? Da chi sarà sopportato il danno subito non solo in termini economici, ma anche in termini naturalistici e ambientali? E' questa una iniziativa di difesa naturalistica? E' un atto di incremento della fauna a favore dei cacciatori? E' un atto di valorizzazione ambientale? A noi non pare.
E' invece un atto di irresponsabilità, di improvvisazione, di leggerezza e soprattutto di ulteriore depauperamento dell'ambiente.
All'Assessore Bajardi va il ringraziamento della tempestiva e coraggiosa risposta di fronte alla latitanza e al vuoto di altri Assessorati o della Giunta nella sua globalità. Esprimo però profonda preoccupazione e insoddisfazione.
Sarebbe stato più opportuno se la Regione si fosse astenuta dall'attivare una iniziativa del genere.
Sono in attesa da parte della Giunta di una risposta agli altri quesiti che ho richiamato nell'interrogazione e che riguardano le competenze, i soggetti titolati ad operare in queste iniziative ed il costo finale in termini finanziari e naturalistici dell'operazione.


Argomento: Tutela dagli inquinamenti atmosferici ed acustici

Interrogazione dei Consiglieri Valeri, Barisione e Bontempi, inerente l'inquinamento atmosferico


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Interrogazione dei Consiglieri Valeri, Barisione e Bontempi, inerente l'inquinamento atmosferico.
Risponde l'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

L'allarme suscitato da pubbliche dichiarazioni sulle condizioni di inquinamento atmosferico in provincia di Torino non trova riscontri nei fatti e soprattutto nelle misurazioni condotte quotidianamente, da oltre un decennio, almeno nella maggior parte dei centri più popolosi della Provincia e dell'intera Regione.
In effetti i valori di concentrazione dell'anidride solforosa sono permanentemente al di sotto di quelli indicati nella tabella annessa al D.P.R. 15.4.1971 n. 322.
Gli stessi sono assai prossimi a quelli indicati nel DPCM 28.3.1983 come limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e di esposizione relativi ad inquinanti dell'aria nell'ambiente esterno, il cui rispetto deve essere conseguito "entro e non oltre 10 anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto" e così a partire dal giugno 1983.
Analogo discorso può essere fatto per le concentrazioni del pulviscolo atmosferico.
La U.S.S.L. n. 1/23 di Torino che attraverso il Servizio di rilevamento dell'inquinamento atmosferico, inserito nel Servizio igiene pubblica effettua appunto il rilevamento dell'inquinamento atmosferico per mezzo di sette stazioni nel territorio della città di Torino ha segnalato che nell'intero anno 1984 nella zona della città di solito più inquinata, i limiti indicati nella legislazione italiana vigente sono stati superati: 4 volte (0.07 per cento dei casi) quello orario 1 volta (0,42 per cento dei casi) quello giornaliero 25 volte (10,68 per cento dei casi) quello più restrittivo indicato nel DPCM citato e non ancora in vigore.
Nella stessa stazione la media annua dei valori di concentrazione delle polveri è stata inferiore a tutti i valori indicati nelle norme ricordate.
In altre stazioni invece si sono avuti superamenti per il pulviscolo contenuti al più entro il 15 per cento dei valori indicati nel DPCM più volte citato.
Tale situazione evidentemente per quanto attiene la città di Torino non pare destare alcuna preoccupazione del tipo, almeno, ricordato nell'interrogazione.
Situazioni di emergenza dovrebbero essere corrette con il ricorso ai provvedimenti previsti nelle leggi vigenti e segnatamente all'art. 32 della legge 23.12.1978 n. 833, il cui terzo comma prevede che in materia di igiene e sanità pubblica sono emesse ordinanze dal Presidente della Giunta regionale o dal Sindaco di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa, rispettivamente a più Comuni della Regione o ad un solo Comune o parte di esso.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

La parola al Consigliere Valeri.



VALERI Gilberto

Ringrazio l'Assessore anche a nome dei colleghi. La nostra interrogazione è stata originata dalle preoccupanti dichiarazioni apparse sui giornali da parte del Ministro Biondi e anche dalle notizie sulle iniziative assunte dalla Provincia di Torino.
A Torino il tasso di inquinamento da anidride solforosa è decrescente dal centro verso la periferia in relazione agli effetti dell'inquinamento dovuto al riscaldamento domestico.
Assumendo le zone centrali di Torino come zone a maggior rischio queste, stando ai dati che sono trasparsi dall'iniziativa assunta dalla Provincia, non appaiono molto dissimili da quelle denunciate per altre zone d'Europa.
Anche a nome dei colleghi vorremmo avanzare un'ipotesi di lavoro e cioè che la Giunta valuti, nel prosieguo della sua attività, l'esigenza di avviare una azione permanente di monitoraggio e di intervento sull'inquinamento atmosferico, delle acque e del suolo.
Sarebbe opportuno un coordinamento delle iniziative che oggi avvengono sul territorio in modo scollegato le une alle altre.
Vi sono iniziative delle Province e degli enti locali. Sarebbe opportuno che gli Assessorati alla sanità e all'ecologia avviassero un' azione di coordinamento e di integrazione di questi interventi in modo da rispondere alle esigenze a cui l'Assessore Bajardi ha fatto riferimento.



PETRINI LUIGI


Argomento: Stato giuridico ed economico del personale dipendente

Interrogazione dei Consiglieri Brizio e Cerchio inerente i concorsi per i dipendenti regionali di ottavo livello


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

Interrogazione dei Consiglieri Brizio e Cerchio inerente i concorsi per i dipendenti regionali di ottavo livello.
Risponde il Presidente Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

In assenza di una normativa di carattere generale e di fronte alla necessità di definire nell'ambito del personale una serie di situazioni che dovevano essere rimosse da tempo, questi bandi di concorso hanno trovato in questa proposta di deliberazione un tentativo di definizione. La deliberazione non ha però avuto il visto del Commissario del Governo ed è ritornata con richiesta di chiarimenti. Venne approvata la legge di recepimento del contratto e vennero assunte iniziative atte a recepire queste situazioni che da tempo si trovavano in stallo.
Queste deliberazioni, a seguito di queste nuove iniziative complessive sono state revocate, pertanto si procederà a mezzo della legge e di altri concorsi.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Sarò telegrafico e sintetico come telegrafico ed efficentista mi è parso il tono del Presidente della Giunta.
Pongo un interrogativo: non valeva la pena di soprassedere ad una operazione tipicamente estiva in attesa di queste osservazioni e degli iter successivi che sono stati richiamati dal Presidente Viglione? Evidentemente la non approvazione dà anche un giudizio a questa vicenda. Sono concorsi banditi nel periodo estivo, quando in genere i dipendenti regionali riposano le loro stanche membra per il lavoro intenso che l'esecutivo attiva sia per le problematiche legate all'immagine esterna, sia per il lavoro interno della struttura.
Questa preoccupazione è emersa nell'estate del 1984 mentre i dipendenti prendevano il sole nelle nostre splendide spiagge o l'aria fresca delle nostre splendide montagne.
Questa preoccupazione poteva essere evitata per attendere le iniziative che il Presidente Viglione ha richiamato e che certamente farà decollare.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

Punto terzo all'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente".
Dichiaro che hanno chiesto congedo i Consiglieri: Ariotti, Astengo Calsolaro, Chiabrando, Devecchi, Gerini, Majorino, Mignone, Moretti Penasso, Turbiglio.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: N. 496: "Tutela e valorizzazione dell'artigianato in Piemonte" presentato dai Consigliere Cerchio in data 20 febbraio 1984, assegnato alla IV Commissione in sede referente ed alla I Commissione in sede consultiva in data 25 febbraio 1985 N. 497: "Modificazione alla legge regionale 12 aprile 1979 n. 18 'Istituzione del parco naturale Alta Val Sesia'", presentato dai Consiglieri Acotto, Valeri, Avondo e Biazzi in data 21 febbraio 1985 ed assegnato all'esame della II Commissione in data 25 febbraio 1985 N. 498: "Servizi sanitari a favore delle persone non autosufficienti ricoverate in strutture residenziali protette", presentato dal Consigliere Cernetti in data 21 febbraio 1985 ed assegnato all'esame della V Commissione in data 25 febbraio 1985 N. 499: "Riordino delle autonomie locali in Piemonte", presentato dalle Province di Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino e Vercelli in data 14 febbraio 1985, dichiarata ricevibile ed ammissibile dall'Ufficio di Presidenza per quanto riguarda la Provincia di Torino in data 21 febbraio 1985 (in attesa della regolarizzazione della documentazione presentata dalle altre Province, ai sensi della legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4) ed assegnata all'esame della I Commissione in data 25 febbraio 1985.


Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

Il Commissario del Governo ha apposto il visto: alla legge regionale del 17 gennaio 1985: "Disciplina dell'Istituto di ricerche economico e sociali del Piemonte. Abrogazione legge regionale 2/9/1974 n. 29 e successive modifiche ed integrazioni" alla legge regionale del 17 gennaio 1985: "Modificazione alla legge regionale 30/5/1980 n. 66 'Istituzione del parco naturale Orsiera Rocciavre'" alla legge regionale del 22 gennaio 1985: "Modifiche alla legge regionale 21 gennaio 1980, n. 3 e successive modificazioni 'Disciplina degli organi istituzionali del Servizio sanitario regionale e norme transitorie"' alla legge regionale del 24 gennaio 1985: "Integrazione e modifiche alla legge regionale 12 agosto 1976 n. 42 concernente 'Norme per il funzionamento dell'organo regionale di controllo'".


Argomento:

d) Mancata apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

Il Commissario del Governo non ha apposto il visto: alla legge regionale del 22 gennaio 1985: "Disciplina delle rivendite di giornali e riviste".


Argomento: Rapporti Regioni - Governo

Comunicazioni della Giunta regionale in merito al FIO


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

Ha ora la parola il Presidente della Giunta per una comunicazione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Informo come credo che i Consiglieri abbiano già appreso, che il CIPE ha assegnato alla Regione Piemonte il finanziamento FIO di 231 miliardi.
Fra qualche giorno potremo specificare la ripartizione delle somme.


Argomento:

Iscrizione all'ordine del giorno di altri argomenti


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

Propongo l'iscrizione all'ordine del giorno dei seguenti argomenti, per la seduta in corso: Esame deliberazione Giunta regionale n. 37-40615: "U.S.S.L. n. 27 di Ciriè - Ampliamento della pianta organica provvisoria finalizzato all'attuazione delle leggi 29/7/1975 n. 405, 22/12/1075 n. 685, 13/5/1978 n. 180 e 22/5/1978 n. 194 - Parziale autorizzazione" Esame deliberazione Giunta regionale n. 38-40616: "U.S.S.L. n. 28 di Settimo Torinese Ampliamento della pianta organica provvisoria finalizzato all'attuazione delle leggi 29/7/1975 n. 405, 22/12/1075 n. 685, 13/5/1978 n. 180 e 22/5/1978 n. 195 - Parziale autorizzazione" Esame deliberazione Giunta regionale n. 41-40819: "U.S.S.L. n. 50 di Gattinara Ampliamento della pianta organica provvisoria finalizzato all'attuazione delle leggi 29/7/1975 n. 405, 22/12/1975 n. 685, 13/5/1978 n. 180 e 22/5/1978 n. 194 - Parziale autorizzazione" Esame deliberazione Giunta regionale n. 56-40634: "U.S.S.L. n. 65 di Alba Ampliamento della pianta organica provvisoria finalizzato all'attuazione della legge 29/7/1975, n. 405 - Diniego di autorizzazione" Esame deliberazione Giunta regionale n. 59-40637: "U.S.S.L. n. 69 di Nizza Monferrato Ampliamento della pianta organica provvisoria finalizzato all'attuazione delle leggi 29/7/1975 n. 405, 22/12/1975 n. 685 e 13/5/1978 n. 180 Parziale autorizzazione" Esame deliberazione Giunta regionale n. 46-40540: "U.S.S.L. n. 76 di Casale Monferrato Ampliamento della pianta organica provvisoria finalizzato all'attuazione delle leggi 29/7/1975 n. 405, 22/12/1975 n. 685, 13/5/1978 n. 180 e 22/5/1978 n. 194 - Autorizzazione" Esame progetto di legge n. 494: "Delega alle Province delle funzioni amministrative relative al rilascio delle autorizzazioni per la circolazione su strade provinciali e comunali di trasporti e veicoli eccezionali".
Chi è d'accordo è pregato di alzare la mano.
L'iscrizione dei sopracitati argomenti è approvata all'unanimità dei 32 Consiglieri presenti.


Argomento: Consulte, commissioni, comitati ed altri organi collegiali - Psichiatria

Relazione finale della Commissione d'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della riforma psichiatrica in Piemonte


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

Punto quarto all'ordine del giorno: "Relazione finale della Commissione d'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della riforma psichiatrica in Piemonte".
La parola al relatore Consigliere Barisione.



BARISIONE Luigi, relatore

Dopo circa un anno di lavoro la Commissione speciale d'indagine istituita dal Consiglio regionale per conoscere lo stato di attuazione della riforma psichiatrica in Piemonte presenta quest'oggi al Consiglio regionale le sue conclusioni.
Prima di cominciare la lettura della relazione è doveroso da parte mia un ringraziamento a tutti i membri della Commissione speciale d'indagine alla Vice Presidente, Consigliere Signora Bergoglio; ai funzionari della V Commissione che si sono attivati in modo encomiabile per seguire i lavori della Commissione stessa.
La commissione di indagine conoscitiva, nel terminare i suoi lavori con questa relazione al Consiglio regionale che l'ha istituita, desidera innanzitutto precisare le metodologie adottate, onde evitare si ricerchino indicazioni assolute sia sul piano dei dati numerici, sia su quello dei dati qualitativi.
Occorre innanzitutto partire dalle premesse sulle quali ha lavorato la commissione, date dalla delibera del Consiglio regionale (Allegato 1).
L'obiettivo della commissione, occorre sottolinearlo, non era, e non poteva essere, raccogliere elementi di valutazione pro o contro la legge nazionale di riforma, la L. 180 (Allegato 2), bensì quello di verificare come si è operato nel concreto della nostra Regione in attuazione di quella legge nazionale ed, in particolare, lo stato di realizzazione degli obiettivi indicati nell'allegato 18 del 1° PSSR (Allegato 3) e le verifiche ed i controlli posti in essere dalla Giunta regionale.
Ciò non significa, tuttavia, che non possono essere indicate ipotesi di soluzioni a problemi che sono emersi e che potrebbero essere sperimentate per avere maggiori elementi di confronto e di proposta.
Il lavoro della commissione, quindi, non si è svolto a tavolino sui dati raccolti dall'Assessorato alla sanità, o sulla copiosa letteratura esistente in materia, o sulle varie proposte di legge di modifica della L.
180, bensì ha teso a verificare le diverse realtà del Piemonte, in un rapporto per quanto possibile diretto con esse e soprattutto (dove possibile) con gli operatori e gli utenti dei vari servizi di tutela mentale attivati nella nostra Regione.
Ovviamente, essendo il tempo disponibile per la commissione abbastanza ristretto (sovente ritagliato con grande fatica tra i lavori delle Commissioni permanenti e del Consiglio regionale), non si potevano visitare tutte le U.S.S.L. del Piemonte. E' stata fatta, quindi, una scelta campionaria di 2 U.S.S.L. per quadrante, oltre a quelle sedi di ex O.P. in cui effettuare le visite (All. 4).
Le visite sono avvenute a: 9/3/1934 - U.S.S.L. di Vercelli (sede di ex OP) 16/3/1984 - U.S.S.L. di Valenza; U.S.S.L. di Novi Ligure; U.S.S.L. di Alessandria (sede di ex O.P.) 22/3/1984 - U.S.S.L. di Savigliano (sede di ex O.P. di Racconigi) 23/3/1984 - U.S.S.L. di Saluzzo; U.S.S.L. di Alba 12/4/1984 - U.S.S.L. di Collegno (sede di ex O. P.) 13/4/1984 - U.S.S.L. di Perosa Argentina; U.S.S.L. di Rivoli 16/4/1984 - U.S.S.L. di Novara (sede di ex O.P.) 4/5/1984 - U.S.S.L. di Domodossola; U.S.S.L. di Verbania 25/5/1984 - Visita alla Casa di riposo di Marentino e a "Villa Anna Maria" di Pino Torinese 28/5/1984 - Visita alla U.S.S.L. di Torino (sede di ex O.P.) Da ciò discende che le considerazioni che verranno di seguito esposte soprattutto quelle qualitative, potranno essere influenzate dal metodo prescelto.
E' ovvio, infatti, che, per una valutazione quanti-qualitativa della tutela della salute mentale in Piemonte, occorre una conoscenza puntuale e diretta di ogni realtà, essendo diversa la situazione dei servizi, del numero degli operatori, della presenza del disagio mentale, del metodo di lavoro, da U.S.S.L. a U.S.S.L., e, talvolta, all'interno di una stessa U.S.S.L., da servizio a servizio.
La commissione, per cercare di ovviare a questa carenza di indagine diretta sulla totalità delle U.S.S.L. del Piemonte, ha realizzato un questionario che ha inviato a tutte le U.S.S.L. (Allegato 5), per conoscere alcuni dati di base possibilmente omogenei su tutto il territorio. Le difficoltà di raccolta di tali dati sono state notevoli, sia per la mancata risposta di alcune U.S.S.L., sia per la difficoltà di interpretazione di alcune domande del questionario; emerge, inoltre, in questa raccolta di dati, l'assenza di rilevazioni organiche e con metodologia predeterminata presso le singole U.S.S.L.
Quindi, i risultati dell'indagine, sia qualitativi ma soprattutto quantitativi, hanno bisogno di ulteriori approfondimenti, se si vogliono trarre delle conclusioni di ordine scientifico assoluto confrontabili con altre indagini effettuate su scala nazionale o di altra Regione.
Constatiamo che a 7 anni dalla promulgazione della legge 180 non esistono ancora, a livello nazionale, dati attendibili globali e di valutazione degli obiettivi fissati e raggiunti, o meno. I dati raccolti dalla commissione sono quindi incompleti e non totalmente affidabili purtuttavia, rappresentano un primo passo verso la conoscenza della realtà della riforma psichiatrica più attendibile del puro dato emozionale derivato dai singoli episodi e un contributo alla conoscenza di questa realtà a livello nazionale.
Fatta questa premessa sulle metodologie adottate, si può ritenere che il risultato del lavoro della commissione ha valore indicativo di tendenze in atto, mirante soprattutto a far emergere i problemi da affrontare nella legislazione regionale (e, per alcuni aspetti anche rilevanti, non solo regionale), per far avanzare in modo più uniforme sul territorio la tutela della salute mentale.



SINTESI DEI DATI RACCOLTI

Le tabelle che seguono sono organizzate in modo da dare un quadro generale di tutti i servizi per tutte le U.S.S.L., organizzate per quadrante.
Ciascuna tabella è opportunamente commentata, sia per indicare eventuali carenze di dati, sia per avere una interpretazione più qualitativa dei dati stessi.



TABELLA I

Sono evidenziati i dati relativi alle attività ambulatoriali e territoriali dei servizi di salute mentale nel 1983.
Nella tab. I sono riportati i dati per Quadrante e complessivi Nella tab. Ia sono riportati i dati del Quadrante Nord Ovest Nella tab. Ib sono riportati i dati del Quadrante Nord Est Nella tab. Ic sono riportati i dati del Quadrante Sud Ovest Nella tab. Id sono riportati i dati del Quadrante Sud Est Dall'analisi di dette tabelle si possono effettuare alcune considerazioni.
Intanto, il dato più evidente è che nella Regione Piemonte, nell'anno 1983, si sono rivolti ai servizi di salute mentale 31.785 cittadini, vale a dire che 70 cittadini ogni 10.000 abitanti hanno usufruito almeno una volta nell'83 del servizio (Tab. 1).
Il dato di 70 utenti per 10.000 abitanti è un dato medio regionale risultante dai 61/10.000 del Quadrante N/O, 69 del Quadrante N/E, 96 del Quadrante S/O e 82 del Quadrante S/E.
Si discosta dalla media regionale il Quadrante S/O (prov. Cuneo).
All'interno dei singoli quadranti e tra tutte le U.S.S.L. esistono variazioni anche accentuate (escludendo la U.S.S.L. 71 di Valenza il cui dato è da sottoporre a verifica e le U.S.S.L. con O.P., in cui forse sono compresi i ricoverati): si va da un minimo di 25 utenti delle U.S.S.L. 74 (Ovada) e U.S.S.L. 47 (Biella) a 177 della U.S.S.L. 25 di Rivoli.
Da tali dati non sembra potersi evincere in assoluto un tasso di presenza della patologia nelle varie aree, in quanto l'accesso ai servizi di salute mentale dipende da parecchie variabili (n. di ambulatori attivati e loro collocazione sul territorio, accessibilità dei servizi, numero operatori presenti e modalità di lavoro). Purtuttavia si possono segnalare come aree a maggior rischio le Comunità Montane e le forti concentrazioni urbane.
Una ulteriore riflessione, con serie storiche di dati, potrebbe far emergere una più precisa analisi della presenza della malattia mentale nelle varie aree.
Altro dato interessante da sottolineare è il n. di dimessi dagli ex O.P. presi in carico dal servizio territoriale (Tab. 1 - 5 colonna) che risulta essere di 4.660; per un numero rilevante di ex-pazienti degli O.P.
pertanto, esiste e prosegue nel tempo un collegamento con i servizi territoriali, di qualità e continuità diversa a seconda delle realtà, con alcune situazioni soddisfacenti ed altre del tutto insufficienti. Sui problemi ancora aperti si rimanda alla parte finale della relazione.
Infine (sempre dalle tabelle I), si segnalano il numero di visite domiciliari effettuate dai servizi territoriali di U.S.S.L.
Nelle tabelle I sono pure riportate il numero di domande d'urgenza afferenti al territorio: mancano molti dati, poiché non sempre i servizi territoriali sono interessati dalla domanda di urgenza, in quanto in molti casi afferiscono direttamente al DEA.
Un discorso a parte merita la classificazione in casi gravi e casi di lunga assistenza: numerosi servizi di U.S.S.L. non hanno risposto, in quanto la classificazione proposta non era facilmente interpretabile.
TAB. II - a b c d Riporta il numero di ambulatori attivati, l'orario ed i giorni di apertura. Si è voluto evidenziare in una colonna a parte, la presenza di attività ambulatoriale in sedi diverse da quelle dell'ambulatorio centrale.
Dalle tabelle II e dalla tabella I riepilogativa viene evidenziato come in ciascuna U.S.S.L. (e in ciascuna attuale circoscrizione a Torino) è attivato almeno un ambulatorio funzionante per 5 giorni alla settimana per 8 ore giornaliere. Il totale degli ambulatori attivati, comprendendo le presenze anche saltuarie ma calendarizzate (per esempio una volta ogni 15 giorni), risulta essere di 116 unità.
Emerge, inoltre, dalle tabelle, una situazione diversificata nelle varie U.S.S.L. per quanto riguarda il personale, anche in rapporto alle previsioni minime di piano.
Esistono pertanto i presupposti per avere una buona integrazione dei servizi di salute mentale con le altre strutture di U.S.S.L.
(poliambulatori) e di esercitare una efficace funzione di supporto alle attività distrettuali.
TAB. III



ANDAMENTO DEI RICOVERI NEGLI O.P.

Prima di analizzare i dati di questa tabella, occorre ricordare che dalla data di entrata in vigore della L. 180 (dicembre 1978), non era più possibile il ricovero negli O.P., salvo che per gli ex ricoverati.
I dati partono dal 31/12/75, perché non tutte le Province sono state in grado di fornire dati anteriori. Sarebbe molto utile poter fare un confronto con l'inizio degli anni 70, perché è da quei tempi che inizia una nuova politica nei confronti della malattia mentale ed alcune Province iniziano un processo di svuotamento degli O.P., persistendo pero i nuovi ricoveri.
Si può osservare come la più alta percentuale di dimessi da O.P. nel periodo 31/12/75 / Marzo 1984 è degli ospedali psichiatrici di Torino con l'80,8% seguito da VC con il 70,7%, da Alessandria con il 62%, Racconigi (CN) con il 61,1% ed infine Novara con il 59,1 ?/o E' interessante anche il confronto tra le presenze al 37/12/80 (data di passaggio delle competenze effettive per il settore psichiatrico dalle Province alle U.S.S.L. per la Provincia di Torino 31/12/1981) e il marzo '84. Ciò permette di verificare se l'entrata in vigore della 833 ha in qualche misura influenzato il processo di destrutturazione degli O.P. nelle varie Province. Va tenuto presente, ovviamente, che, all'inizio, il processo di dimissioni era più facile, in quanto esistevano 2 condizioni buone di partenza: un buon numero dei dimissibili senza eccessive difficoltà, possibilità di reperire posti in case di riposo o strutture convenzionate.
Dal grafico di tabella III si può dedurre che il processo di ridimensionamento, dopo l'80, degli O.P. non ha comportamenti omogenei tra le diverse realtà.
Sono evidentemente sorte delle difficoltà per le U.S.S.L. a gestire questa parte del servizio, di cui diamo conto nella parte finale della relazione.
Nella tabella III b sono riportati i dati relativi ai soggetti tuttora ricoverati negli O.P. e la loro provenienza rispetto ai quadranti territoriali.
Una particolare nota merita il numero di ricoverati per 100.000 abitanti: solo la Provincia di Torino con 19/100.000 abitanti si discosta significativamente dal dato generale, che è intorno ai 60 ricoverati per 100.000 abitanti.
Altro dato significativo e la presenza di 256 ricoverati (il 13,8 % del totale) con meno di 40 anni di età. Si evidenzia, inoltre, che più del 500/a dei ricoverati ha meno di 60 anni e che solo il 664 del totale mantiene dei rapporti continuativi con la famiglia. Quindi, il fenomeno dei "dimenticati" o dei "soli" è notevolmente alto.
TAB. IV



SERVIZI PSICHIATRICI DI DIAGNOSI E CURA

Vengono riportati i dati dei ricoveri nei servizi ospedalieri divisi tra volontari e con trattamento sanitario obbligatorio. Emerge dato significativo ed è che la inedia regionale dei TSO è il 10% del totale ricoveri, media già verificata nel 1980 da una indagine nazionale e quindi con costanza nel tempo. Le variazioni tra le U.S.S.L. sono apprezzabili: possono dipendere dalle caratteristiche con cui si evidenziano le malattie mentali nelle diverse realtà, ma soprattutto, dalle modalità di approccio delle singole équipes e dei medici di base nei confronti del T.S.O.
Altro dato significativo è la variazione della durata media di degenza in giorni che va dagli 8,5 di Novara ai 20,6 di Ivrea, denotando fattori complessi come quelli dovuti alla pressione del territorio (Particolarmente forte a Novara e meno forte a Ivrea) o approcci terapeutici diversificati infine, il n. indice posti letto/10.000 abitanti segnala una carenza rispetto al bacino di utenza assegnato per Rivoli-Chieti-Vercelli (0,2 0,3/10.000) od un dimensionamento per eccesso a Pinerolo - Casale (1,2/10.000); ovviamente, il numero indice non può essere preso come valore a sé stante, ma va correttamente correlato con il tasso di presenza nel territorio di riferimento della acutizzazione della malattia mentale.
TAB. V



STRUTTURE RESIDENZIALI ATTIVATE

Una avvertenza è d'obbligo: non sempre a denominazioni diverse corrispondono diversi tipi di servizio. La tabella illustra le comunità ed i servizi extra - ambulatoriali ed extra - ospedalieri attivati sul territorio. Si nota una forte concentrazione nel quadrante Nord-Ovest con significativi, ma numericamente limitati, interventi negli altri quadranti.
Da notare che solo 16 U.S.S.L., più Torino hanno attivato strutture alternative sul territorio; quindi sono chiaramente insufficienti alle esigenze della collettività.
TAB. VI



PAZIENTI PSICHIATRICI DIMESSI DA O.P. E RICOVERATI PRESSO STRUTTURE



PUBBLICHE E PRIVATE CONVENZIONATE O DEI QUALI LA RETTA E' A CARICO DEL

S.S.N.
In generale, non si notano forti concentrazioni di dimessi in poche strutture, salvo casi limite di istituti funzionanti esclusivamente per ex dimessi.
La divisione per quadranti è puramente indicativa, in quanto si sono verificati trasferimenti da quadrante a quadrante verso, ovviamente, i luoghi dove esistevano le strutture, così come non è significativa la presenza più o meno massiccia di istituti in una singola U.S.S.L. Il totale di 1440 ospiti attuali nelle istituzioni costituisce certamente un problema che va seguito con attenzione, ma va tenuto presente che solo dal '75 al marzo '84 sono stati dimessi dagli O.P. 4422 ricoverati. Quindi si può dire grossolanamente che "solo" 1/3 ha avuto sistemazioni in istituzioni.
Infine, i 1440 ospitati in istituti vanno rapportati con i 1855 ancora ricoverati in manicomio.



VALUTAZIONE QUALITATIVA

a) GLI AMBULATORI DEI SERVIZI PSICHIATRICI TERRITORIALI La presenza di almeno un ambulatorio per U.S.S.L. garantisce, per questo aspetto, una sufficiente tutela territoriale su tutta la Regione. In alcune U.S.S.L., secondo le esigenze degli utenti, sono attivati anche ambulatori in altri Comuni diversi da quelli sede di poliambulatorio.
Generalmente, gli orari di apertura danno una copertura di presenza limitata nei 5 giorni alla settimana e per alcune ore al giorno.
Indubbiamente la peculiarità dell'utente del servizio imporrebbe una apertura più ampia, ma ciò si scontra con problemi qualitativi e quantitativi di personale e potrebbe far si che il servizio territoriale si esplichi prevalentemente a livello ambulatoriale, a scapito dell'intervento domiciliare e a livello distrettuale, o a scapito delle consulenze al medico di base.
Il lavoro di équipe risulta non essere applicato in modo prevalente. Il rapporto ambulatorio e altre strutture di base sembra scarso.
b) GLI S.P.D.C.
Sembrano corrispondere, come numero complessivo generale di posti letto, alle esigenze di ricovero in fase acuta, con alcune carenze di attivazione che gravano essenzialmente su quelli esistenti (Vercelli-Novara e Torino). E' da quantificare la presenza di ricoveri impropri e le lungodegenze. E' significativo quanto riportato nella tabella sulla durata media delle degenze che può denotare approcci diversi alla cura c/o pressioni diverse dal territorio per l'intervento e anche l'esistenza, o meno, di strutture esterne alternative. In generale, i cosiddetti repartini sono pensati e strutturati come normali reparti ospedalieri, senza tener conto delle necessità di assistiti non allettati e con evidenti necessità di movimento. Ovunque si configurano come reparti chiusi ed avulsi dalla realtà ospedaliera circostante; occorre, quindi, che si ponga maggiore attenzione nella costruzione dei reparti, per tener conto delle particolari esigenze degli utenti.
c) LE COMUNITA' ALLOGGIO E LE COMUNITA' OSPITI Sono nate soprattutto per gli ex degenti O.P., ma hanno sviluppo estremamente ineguale e inadeguato nella Regione. La maggioranza delle comunità alloggio è concentrata nella provincia di Torino, così come le comunità ospiti sono maggiormente sviluppate nell'ex Ospedale Psichiatrico di Collegno - Grugliasco, mentre negli altri O.P. piemontesi sono a livello di prime esperienze.
d) LE COMUNITA' PROTETTE E I CENTRI-CRISI Ancora poco sviluppate sono le comunità protette (Barrocchio - Torino Settimo - Fossano). Esistono vari livelli di assistenza: dalla presenza di un operatore inserito nella comunità (v. Fossano), a presenze più significative di operatori durante un arco ampio della giornata (v.
Torino), alla presenza, infine, di operatori nell'arco delle 24 ore.
Sembra interessante sottolineare l'esperienza del Barrocchio la quale accanto a due comunità ospiti (semi-protette), si collega a un centro crisi con assistenza tarata sulle esigenze degli utenti nelle varie fasi della giornata.
In quasi tutte le U.S.S.L. si fa riferimento ad esigenze di strutture per ospitalità più lunghe o per ospitare pazienti privi di idonee residenze autonome o di possibilità di assistenza familiare. In talune U.S.S.L. sono in programma servizi in tal senso, in molte non si è ancora preventivato un servizio idoneo. Le strutture alternative sono indicate nella tabella V e appaiono chiaramente insufficienti.
e) LE STRUTTURE OSPITANTI PAZIENTI DIMESSI DAGLI EX O.P.
1) Delle comunità alloggio e comunità ospiti si è già parlato in precedenza.
E' importante rimarcare alcune significative esperienze realizzate da ex pazienti di O.P., come le cooperative di lavoro a Collegno, Fossano e Alessandria, esperienze che, pur con i limiti inevitabili, dimostrano come è possibile tentare un recupero al lavoro e ad una relativa autonomia economica da parte di soggetti anche con lunghe esperienze manicomiali alle spalle. Tali soggetti dimostrano partecipazione spontanea e interesse a percepire redditi anche non elevati e ciò rappresenta un elemento di recupero.
2) Esistono in Regione, alcune esperienze di assegnazione di alloggi in case popolari ed ex-degenti O.P. con risultati soddisfacenti.
3) Le case di riposo sono state ampiamente utilizzate dai primi anni '70 come strutture alternative al manicomio. Un massiccio trasferimento di degenti dagli ex O.P. alle case di riposo è stato realizzato dalle Province dagli anni '70 agli anni '80.
La soluzione della casa di riposo non è ottimale, specie quando la concentrazione dei soggetti psichiatrici o il rapporto con il n. degli altri ospiti sono elevati: purtuttavia si è resa necessaria per creare le condizioni della ristrutturazione, prima, C del superamento, poi, del manicomio stesso. Dalla tabella VI risultano i dimessi da O.P.
che sono ancora oggi nelle case di riposo ed il cui numero è elevato.
Certamente le caratteristiche psicofisiche degli attuali ospiti delle case di riposo fanno sì che non tutte le strutture esistenti e convenzionate siano adatte. Infatti, si tratta per lo più di persone anziane in condizioni psicofisiche precarie, la cui collocazione ottimale è una struttura protetta.
4) Le case albergo o pensioni. Non si discostano molto per le loro caratteristiche dalle case di riposo, anche se, in genere, in esse sono ospitate persone più giovani, con meno anni di esperienza manicomiale.
A tale riguardo è molto difficile dare indicazioni precise, perché le dimensioni qualitative e quantitative di questo fenomeno sfuggono alla rilevazione statistica ed anche perché pare che alcuni ospiti non siano assunti in carico alle UU.SS.SS.LL. Un problema generale di tutte le strutture per dimessi da O.P. è quello di come realizzare, da una parte una attenta vigilanza da parte delle U.S.S.L. per prevenire abusi alle spalle di ospiti chiaramente indifesi, in generale, non si notano grosse concentrazioni di ex dimessi in grandi strutture.
f) LA DESTRUTTURAZIONE DEGLI EX O.P.
un processo lento e forse non compreso nella sua potenzialità di prima fase di passaggio dalla condizione di ricoverato alla condizione di ospite, necessaria per il processo curativo e riabilitativo dell'ex degente manicomiale.
Infatti, solo Collegno ha una percentuale di ospiti superiore al numero di ricoverati. Nelle altre realtà esistono esperienze molto limitate nel numero ed in generale funzionanti da breve tempo.
Preoccupazioni di ordine amministrativo, sindacale o terapeutico frenano il processo di riconversione dei reparti manicomiali in comunità ospiti.
Nell'ultima parte della relazione si metteranno in evidenza alcuni dei problemi suaccennati, sollevati durante gli incontri con le U.S.S.L.
interessate.
In sintesi vediamo le varie esperienze: 1) Collegno-Grugliasco: la situazione a marzo '84 dimostrava la presenza di 514 ricoverati e di 564 ospiti in comunità. C'è stato, e prosegue, lo sforzo per superare il tradizionale reparto a cameroni con soluzioni abitative più adeguate, con autogestione di una parte delle attività giornaliere. Risulta stridente il contrasto tra i vecchi reparti dell'O.P. e le nuove strutture comunitarie, non solo per le condizioni ambientali, ma soprattutto per le differenze "visive" degli ospiti dai degenti, anche negli aspetti esteriori: modi di vestire, di accogliere i visitatori, ecc.
Il salto qualitativo risulta notevole, soprattutto dal punto di vista di una possibilità di socializzazione e di privacy, totalmente mancante nelle vecchie strutture.
2) Novara: la situazione a marzo '84 dimostrava la presenza di 18 ospiti in comunità interna e di 360 ricoverati, oltre una comunità esterna di una decina di ospiti. L'esperienza comunitaria è giudicata positivamente ed anche qui il contrasto è notevole tra le 2 realtà comunità-reparti. Il processo è fermo per mancanza di finanziamenti, per le ristrutturazioni necessarie. Valgono, per le differenze, le considerazioni di cui sopra.
3) Vercelli: la situazione a marzo '84 dimostrava la presenza di 5 ospiti (tutte donne) in comunità. L'esperienza era attivata da pochi mesi e ne viene sottolineata la positività. Il processo è fermo per le perplessità di ordine amministrativo esistenti nel comitato di gestione poiché, secondo una interpretazione della norma, gli ospiti di cui sopra non sarebbero più a carico del S.S.N.; ciò comporta anche delle tensioni con il personale infermieristico che teme di perdere la equiparazione professionale.
4) Alessandria: a marzo '84 risultavano 22 ospiti in comunità contro 366 ricoverati. Alcuni reparti inseriti in locali più moderni sono organizzati tipo comunità e potrebbero costituire una prima fase di passaggio per l'inizio della destrutturazione dell'O.P., come chiaramente enunciato nel corso della visita.
5) Racconigi: a marzo '84 risultavano 7 persone in comunità (donne) e 389 ricoverati; nel giorno della visita era iniziato un altro esperimento di comunità parziale. Problema grave esistente è la presenza di 15 handicappati giovani (fisici e psichici) anche gravi, non facilmente gestibile per l'assenza di operatori adatti, nonostante la buona volontà del personale addetto.
Come si vede dal prospetto III, a Racconigi c'è stata una massiccia dimissione nell'80 dall'O.P., con trasferimento in infermerie principalmente nell'U.S.S.L. di Saluzzo.



PROBLEMI DI NATURA GIURIDICO - AMMINISTRATIVA

a) PROBLEMI DELLA TUTELA PER I RICOVERATI NEGLI O.P.
Esistono notevoli diversità quantitative nell'applicazione dell'istituto della interdizione e, quindi, della tutela nelle diverse realtà del Piemonte. La nomina del tutore è discrezionale da parte del giudice e quindi si va dalla concentrazione di numerose tutele in capo ad un'unica persona, a più tutori.
Poiché gran parte dei soggetti posti sotto tutela sono titolari di pensioni o altri redditi, le somme complessive sono anche ingenti, ponendo problemi delicati di amministrazione.
Fatto salvo il principio che man mano che si procede al reinserimento sociale dell'ex degente occorre procedere a sollecitare la revoca della tutela, quando ne sussistano le condizioni (anche come strumento di riabilitazione), occorre nello stesso tempo studiare dei meccanismi che permettano la sostanziale trasparenza della gestione dei fondi dei ricoverati.
E' auspicabile che le differenti esperienze vengano confrontate, per trovare un modo di operare comune a livello regionale. E' un problema urgente, sia per le deviazioni riscontrate dall'autorità giudiziaria, che esigono risposte tali da garantire la corretta applicazione dell'istituto tutelare, sia perché ciò ha creato una situazione di tensione (e anche di rifiuto) da parte di coloro che in qualche modo contribuiscono a gestire i fondi per i tutelati.
Altro aspetto, nelle singole U.S.S.L. sedi di ex O.P., è l'accumularsi di somme anche considerevoli dei degenti, che vengono poi ereditate da parenti che non si erano mai fatti vivi, fino a quando il congiunto era in vita.
Sarebbe utile sperimentare una qualche forma di partecipazione alle spese di mantenimento da parte degli ospiti che ne hanno la possibilità ciò pare già possibile nella comunità ospiti, in quanto non dovrebbe più esistere tutela.
Più problematica è la questione per i ricoverati; occorre quindi studiare il problema dal punto di vista giuridico e giungere a soluzioni legislative che permettano l'utilizzo di tali fondi, fatto salvo il principio che essi sono ancora a carico del S.S.N., sia in veste di ricoverati che di ospiti.
b) PROBLEMI ECONOMICO-FINANZIARI I finanziamenti regionali per la creazione di strutture alternative al ricovero, pur avendo la Regione Piemonte fatto un certo sforzo in tal senso, non sono ancora adeguati alle esigenze. Occorre una verifica dello stato di attuazione dei progetti finanziati e, nella misura del possibile superare gli ostacoli di varia natura che si frappongono ad una piena realizzazione dei programmi. Gran parte dei fondi stanziati non sono stati pienamente utilizzati, per difficoltà derivanti, principalmente dall'individuazione di strutture atte ad accogliere i dimessi da O.P. o da altre strutture.
Particolarmente significative le difficoltà ad attivare il "progetto Torino" che, probabilmente, andrebbe ripensato e indirizzato verso strutture già esistenti, anche periferiche. Indicative, al riguardo, le proposte avanzate dall'U.S.S.L. di Torino durante le consultazioni sul P.S.S.R. 1985/1987.
E' doveroso, per obiettività, aggiungere che, in attesa di soluzioni che assicurino il totale inserimento nella società, le uniche esperienze quantitativamente e qualitativamente significative che si possono indicare sono rappresentate dalle comunità-ospiti all'interno della struttura dell'ex O.P. di Collegno che, opportunamente riadattata e trasformata, ha consentito un miglioramento dell'assistenza alle persone affette da malattia mentale.



PROPOSTE DI LINEE DI INDIRIZZO PER IL II P.S.S.R.

Vengono indicate alcune proposte, tra le tante emerse nel corso dei lavori svolti dalla Commissione, che potrebbero essere verificate con i contenuti del piano socio-sanitario già in discussione.
Servizi territoriali. Sottolineare l'esigenza di una maggiore integrazione con il livello distrettuale, coinvolgendo maggiormente gli operatori di distretto (medici di base, infermieri, assistenti sociali educatori, ecc.) nella gestione della tutela della salute mentale nel territorio di loro competenza. E' utile, inoltre, una informazione ed aggiornamento costante dei dati distrettuali interessanti i fattori di rischio per le malattie mentali.
Questa integrazione è tanto più necessaria nelle U.S.S.L. con territorio molto vasto e poca popolazione, in cui l'organizzazione di un servizio territoriale parallelo per la tutela della salute mentale comporterebbe un dispendio di risorse non rispondente ai reali bisogni.
Sempre a livello territoriale, è necessario che i vari, anche se insufficienti, servizi sociali esistenti prestino particolare attenzione ai problemi di socializzazione dei disturbati mentali (sia provenienti dagli ex O.P. sia per i nuovi utenti dei servizi). In particolare, i centri di incontro e le strutture di quartiere, ove esistono, oltre che essere ovviamente aperte anche per loro, dovrebbero organizzare iniziative comunitarie particolari, atte a contribuire alla aggregazione e risocializzazione degli utenti dei vari servizi psichiatrici. Tale problema si pone in generale nella Regione, ma, in modo particolare, per la città di Torino, ove la presenza di numerosi dimessi da O.P. pone evidenti problemi sociali ed umani; se, da un lato, l'aver procurato una soluzione abitativa ai dimessi può aver risolto il problema della loro sopravvivenza dall'altro permangono situazioni di non pieno recupero dell'autonomia gestionale della persona, che conducono molti ex degenti ad una situazione di non recupero o di peggioramento della loro condizione, soprattutto in assenza di attività lavorative o di impegno della giornata, con il rischio di finire, talvolta, vittime di persone senza scrupoli e di frequentare ambienti non certo riabilitanti. Nelle città con problemi di aggregazione e di solidarietà già tra i "normali", per i più deboli vengono ad accentuarsi le difficoltà e sono più gravi le emarginazioni; inoltre, la presenza di ex degenti ospitati in pensioni cittadine, talvolta con una forte concentrazione di ospiti, crea problemi di aggregazione sociale, di servizi quali mense ed utilizzazione del tempo libero, che non possono essere demandate alle associazioni di volontariato esistenti nella città, seppure in rapporto con l'Ente locale. Le iniziative del centro terapeutico di corso Novara e le comunità alloggio sono esperienze importanti da sviluppare e da potenziare; obiettivo nel 11 piano potrebbe essere la costruzione di almeno 1 centro per ogni U.S.S.L. di Torino con altrettante comunità, potenziando anche i servizi territoriali di tutela della salute mentale, per garantire una iniziativa terapeutica costante nei confronti degli ex dimessi sia da O.P. che dai servizi psichiatrici di diagnosi e cura.
Sempre a livello territoriale, fatto salvo il principio, più volte enunciato, della necessità di non creare delle strutture esclusive per i dimessi da O.P. o per gli utenti del servizio di tutela della salute mentale, sembra necessaria una riflessione su iniziative interessanti come il "Barrocchio" o il centro crisi di Settimo.
Pare opportuno far rilevare come una soluzione integrata che veda la presenza di dimessi da O.P., dagli SPDC e dall'emergenza del territorio possa, da un lato, rispondere al problema di una piena utilizzazione del personale inserito nel servizio e, dall'altro, dare risposte complessive alle esigenze di un territorio coincidente con la U.S.S.L. o a livello di sub U.S.S.L. (distretto di dimensioni più grandi).
La comunità esterna agli O.P. può rappresentare una seconda fase di risocializzazione degli ex ricoverati dopo il passaggio in comunità ospiti interna (ovviamente quando ciò è necessario) prima del ritorno nella residenza di origine o a soluzioni abitative autonome, come già sperimentato in alcune realtà.
Per tale servizio di comunità che tende ad essere autogestita occorre ovviamente, un supporto almeno giornaliero di operatori paramedici e sociali, con interventi mirati di operatori medici o psicologi.
Il livello di protezione dipende quindi dalle necessità degli ospiti.
Accanto a tale funzione, sono attivabili spazi letto limitati (2 o 3) per le emergenze territoriali non risolvibili a domicilio dell'assistito e che non necessitano di ricovero negli S.P.D.C.
La presenza degli operatori può essere risolta con presenze diurne prolungate e con l'istituto della reperibilità e, successivamente, con la presenza di 24 ore su 24, se necessario. La comunità cosi organizzata potrebbe rappresentare una delle risposte ad una esigenza che emerge dalle consultazioni e dalle visite che la commissione ha effettuato e che è propria degli assistiti ricoverati negli S.P.D.C. che non possono essere reinseriti, dopo la fase acuta, immediatamente nella famiglia o nel contesto sociale di provenienza, poiché esiste il rischio del ricrearsi delle condizioni che hanno portato all'esigenza del ricovero.
La comunità può accogliere temporaneamente (anche solo di giorno) i dimessi dagli S.P.D.C., ovviamente sulla base di un progetto terapeutico ben definito, mentre gli operatori si impegnano ad analizzare e possibilmente, a risolvere le cause familiari o sociali che hanno concorso a determinare l'insorgere della patologia acuta. In tale sede può essere utilmente utilizzata l'esperienza delle comunità terapeutiche oggi esistenti.
Gli spazi da destinare a tale attività devono essere ridotti, per non più di 3 o 4 ospiti contemporanei. La risposta a tre possibili necessità di un territorio in un unico centro ha il vantaggio di utilizzare appieno gli operatori necessari per le varie esigenze; ovviamente, la comunità (protetta, semiprotetta, centro crisi, terapeutica) non deve diventare residenza permanente per nessuno degli ospiti e deve essere di dimensioni ridotte, tale da non configurare, anche per la sua organizzazione interna di funzionamento, un mini manicomio.
Anche per ciò non deve essere estranea al tessuto sociale del territorio in cui è inserita e quindi deve essere aperta al contributo volontario esterno ai servizi sociali e sanitari del S.S.N.
In particolare tale soluzione, se accettata dal piano, e se attuata da tutte le U.S.S.L. del Piemonte, potrebbe contribuire ad attenuare, se non eliminare, un fenomeno abbastanza diffuso, che è quello del passaggio del disagiato mentale in innumerevoli strutture ed, in particolare, il circolo vizioso che si è creato tra il ricovero ospedaliero, clinica privata o convenzionata, casa di cura, ospedale, ecc., senza nessun giovamento per l'assistito, con un notevole aggravio di costi per il S.S.N. e per il singolo cittadino.
E' una proposta che viene messa in discussione e da verificare con gli operatori del settore, che però rientra nelle possibilità indicate dalla L.
833 e non escluse dalla E. 180. A tale proposito si richiede alla Giunta regionale la predisposizione di un piano orientativo per la realizzazione delle strutture alternative.
Un'ultima considerazione sui servizi territoriali: pare opportuno che i servizi territoriali delle U.S.S.L. prendano in carico terapeutico e sociale gli ex degenti da O.P. ricoverati nelle case di riposo o in altre strutture secondo il principio territoriale di esistenza delle strutture stesse e non. come oggi avviene, secondo la U.S.S.L. di provenienza.
Ovviamente, in una fase transitoria, sarà necessaria una collaborazione con l'equipe di provenienza. Si comprende lo spirito informatore dell'attuale organizzazione del servizio che tende alla continuità terapeutica, del rapporto anche personale con l'assistito e l'impegno per superare la situazione del ricovero nella casa di riposo distante dal luogo di provenienza.
Ma tale organizzazione implica un notevole dispendio di energie da parte degli operatori e, talvolta, l'abbandono progressivo dell'assistito per ragioni oggettive o, comunque, un rapporto molto saltuario e provoca pure in qualche caso un disinteresse degli operatori medici, paramedici e sociali del territorio in cui esiste la struttura: le conseguenze di tale situazione portano ad uno scadimento o all'assenza dell'assistenza, un non sufficiente controllo complessivo sulla struttura (con le possibili degenerazioni), alla mancanza di un progetto di reinserimento nella comunità d' origine dell'ospite della casa di riposo.
Ovviamente, tale soluzione implica un potenziamento degli organici delle U.S.S.L. in cui sono inserite le strutture; tale potenziamento pu anche avvenire tramite trasferimenti temporanei dalle U.S.S.L. che oggi hanno in carico gli assistiti, in modo da non configurare come permanente l'esistenza di ex dimessi nelle case di riposo o di "cura", ma come fase transitoria da gestire fino al reinserimento domiciliare o il ricovero definitivo nella struttura protetta (per i non autosufficienti).
I servizi di diagnosi e cura: si ribadisce la sufficienza globale dei posti letto assegnati alla Regione, a condizione che vengano attivati tutti quelli previsti nel I piano socio-sanitario. Ovviamente, tale sufficienza è collegata all'estendersi dei centri-crisi esterni alle strutture ospedaliere, che dovrebbero progressivamente contribuire a ridurre i posti letto ospedalieri. Alternative al ricovero possono essere l'istituzione di day - hospitals (v. Saluzzo) con posti letto limitati (2-3) presso gli ospedali non sedi di DEA e di S.P.D.C., in cui si effettuano terapie che necessitano di presenza medica.



CONSIDERAZIONI FINALI

E' doveroso, da parte della Commissione, esprimere un ringraziamento a tutti coloro che hanno collaborato all'iniziativa dell'indagine e, in particolare, al personale del servizio della V Commissione che ha fornito un contributo apprezzabile ai lavori della Commissione di indagine.
LE FINALITA' Occorre, innanzitutto, premettere che la Commissione aveva finalità conoscitive e quindi, come tali, non implicano necessariamente un giudizio complessivo sull'attività della Regione nel campo specifico della tutela della salute mentale.
Tale giudizio spetta al Consiglio regionale nel suo complesso e la Commissione auspica che si formi attraverso un dibattito aperto e libero da pregiudizi sulla legge 180 e sulle indicazioni del P.S.S.R.
La Commissione ha operato proficuamente per raccogliere dati quantitativi, per rendersi conto del funzionamento dei servizi, per raccogliere dalla viva voce dei soggetti interessati la realtà della tutela della salute mentale.
b) L'ATTUAZIONE Pare di poter dire che le U.S.S.L. del Piemonte hanno cercato di affrontare le situazioni esistenti, di attuare la legge 180 ed il Piano socio-sanitario regionale. Ovunque, gli sforzi si sono orientati a ridurre i tempi di ricovero e ad attivare i servizi territoriali esterni, pur con i limiti derivanti dalle singole realtà, dalle strutture preesistenti, dalla carenza di personale e, talvolta, di qualificazione del personale stesso.
Sembra in via di superamento la situazione determinatasi prima della L.
180, e proseguita dopo, sulla contrapposizione ideologica tra chi negava l'esistenza della malattia mentale in quanto tale e chi invece tendeva ad enfatizzarla ed a proporre soluzioni affidate esclusivamente alla medicina ed alle strutture. Pare di riscontrare in generale un atteggiamento che tende a dare risposte concrete ai bisogni di tutela che emergono dal territorio. Sia i sostenitori che i detrattori della L. 180 sono impegnati ugualmente a darne attuazione. I processi di attuazione non sono omogenei in tutta la Regione, così come la sensibilità culturale e politica. Non esiste nemmeno omogeneità assoluta tra l'attuazione più avanzata della L.
180 e del P.S.S.R. e schieramenti politici. Programmi e realizzazioni avanzate nelle linee tracciate dalla 180 si riscontrano sia in realtà amministrate dalla sinistra (v. U.S.S.L. 24) che in realtà da sempre amministrate da altri schieramenti politici (v, alcune U.S.S.L. del Cuneese), così come ritardi si riscontrano in realtà politicamente diverse.
Lo spartiacque è molto complesso e certamente attiene anche alla sfera politica ma, in primo luogo, alla sfera sociale e culturale del territorio all'intreccio tra gli orientamenti degli amministratori e degli operatori alla presenza delle vecchie strutture psichiatriche.



DELEGA E PARTECIPAZIONE

In generale si assiste, anche per la malattia mentale, ad una delega da parte dei familiari e della società alle strutture sanitarie, richiedendo interventi risolutivi.
Se ciò non è in assoluto possibile per tutti i tipi di malattia, come ampiamente riconosciuto, lo è ancor meno per il disagio mentale, la cui origine ha cause estremamente diversificate da individuo ad individuo. E' quindi impensabile che esistano strutture o servizi in grado di dare delle risposte a tutti i bisogni che emergono attorno alla malattia mentale. Le soluzioni del passato erano la istituzionalizzazione e la segregazione del malato di mente o presunto tale: certo erano in apparenza risolti i problemi della famiglia, della società, ma non certo dell'internato che aveva come prospettiva il passare tutta la vita rinchiuso tra quattro mura.
Eppure anche in passato alcune comunità, soprattutto quelle agricole, erano riuscite in qualche modo a convivere con il "diverso", ad integrarlo in qualche modo nella società. Quella vecchia solidarietà non può più esistere, occorre costruirne una nuova, nella realtà urbana, sociale di oggi.
Creare le condizioni sociali, culturali per cui il problema del "diverso" non è solo problema della famiglia, ma è il problema di una comunità, di un condominio, di un quartiere; problema da non rimuovere con l'allontanamento permanente del disagiato mentale perché disturba, ma affiancando l'opera della famiglia e del tecnico per non escludere o segregare il non normale.
Si comprende e si capisce il dramma dei familiari del malato di mente il dover convivere con esso, assisterlo nei momenti di crisi, non condurre una vita "normale". Inoltre, esiste il rischio che la presenza in una famiglia di un disagiato mentale porti a situazioni di tensione tali da influire negativamente anche sui famigliari, soprattutto sui minori, o determinino la rottura del nucleo famigliare o la preoccupazione dell'assistito di rimanere solo, quando conviva con genitori anziani.
La famiglia, indubbiamente, si sente sola nella sua azione quotidiana.
Le strutture, i servizi possono dare un contributo, non sempre decisivo, a superare lo stato di disagio mentale, ma non potranno mai sostituire l'azione della famiglia, della comunità: terapie, farmaci possono aiutare il superamento di alcune fasi della malattia mentale, ma decisivo è il clima in cui vive il malato, il suo non sentirsi escluso dal lavoro, dalla famiglia, dalla società.
LE ISTITUZIONI E I SERVIZI In questo quadro le istituzioni e, quindi, la Regione ed i Comuni associati devono realizzare dei servizi che sappiano rispondere a gruppi di problemi; tali servizi devono essere sufficientemente elastici, in modo da permettere agli operatori di dare risposte le più personalizzate possibili ai singoli individui, alle singole realtà concrete. La tutela della salute mentale è uno dei settori dell'intervento socio-sanitario che più di ogni altro funziona grazie alla capacità degli operatori di interpretare i bisogni e di dare ad essi delle risposte corrette.



GLI OPERATORI

Oltre la qualità degli operatori e la loro motivazione sul lavoro esistono nella regione problemi di quantità di presenza di personale. In generale, gli organici risultano sottodimensionati rispetto alle indicazioni di piano. Per il personale medico è un problema di adeguamento di piante organiche da parte delle U.S.S.L., adeguamento possibile essendo la L. 180 una delle deroghe previste al blocco delle assunzioni (ovviamente esiste sempre il problema della copertura finanziaria delle nuove assunzioni); per il personale infermieristico esiste una carenza oggettiva delle figure professionali, dovuta in parte al non pieno recupero della formazione professionale in sostituzione dell'infermiere generico e dell'infermiere psichiatrico presenti come qualifiche ad esaurimento, ma anche ad una sottovalutazione da parte delle U.S.S.L. delle esigenze dei servizi territoriali ed in particolare di quelli psichiatrici. Sembra che il fatto di aver reso obbligatorio e più lungo il tirocinio degli allievi infermieri nei servizi psichiatrici abbia determinato una crescita di interesse anche per tale attività, tale da far presagire per il futuro una scelta più indirizzata in tale settore. Esistono e permangono difficoltà per l'utilizzo degli infermieri psichiatrici che sono all'interno degli O.P. nei servizi territoriali. Difficoltà di carattere sindacale, ma anche di tipo soggettivo, routinario; i prepensionamenti, le dimissioni, il lento processo di svuotamento degli ex O.P. hanno anche determinato, in alcuni casi, delle carenze di organico negli stessi O.P. E' impensabile in questo caso procedere a nuove assunzioni, semmai è necessario spingere in avanti il processo di destrutturazione, impegnando nuove figure professionali come ad esempio gli educatori più rispondenti ad esigenze non più sanitarie ma di tipo sociale.
Degli interrogativi si pongono per quanto riguarda gli operatori dei servizi di tutela della salute mentale, soprattutto per i paramedici che sono per molte ore a contatto con la malattia mentale: non rappresenta questo tipo di attività un fattore di rischio per la loro stessa salute? Non è ipotizza bile una maggiore mobilità da e per i servizi di tutela mentale, con rotazioni sia pure decennali nei servizi? Non favorirebbe anche il superamento di una certa mentalità di ruotine che si viene a creare in un settore che non deve avere nulla di ruotinario? Un confronto con gli operatori e le organizzazioni sindacali su questi temi sarebbe auspicabile.
Nella nostra Regione si riscontra, in generale, un buon rapporto tra il servizio di tutela della salute mentale e gli operatori sociali del territorio: ovviamente si auspica sempre più l'integrazione, avendo la malattia mentale una forte valenza sociale.
LE U.S.S.L. E I SERVIZI DI TUTELA DELLA SALUTE MENTALE Un qualche problema si è creato con il passaggio delle competenze psichiatriche dalle Province alle U.S.S.L. Le Province, sino alla fine '80 hanno gestito il settore psichiatrico come un tutt'uno, cioè sanità ed assistenza insieme, senza avere i vincoli ben noti derivanti dalla separazione netta tra sanità e assistenza. Inoltre le Province avevano da gestire solo questa fetta della sanità e quindi potevano, se volevano dedicare una attenzione particolare al problema. In generale, in Piemonte tutte le Province hanno lavorato bene, creando i primi servizi territoriali e agendo sul fronte delle dimissioni dagli O.P. anche prima della legge 180. I limiti dell'azione erano dovuti alla scarsa integrazione con gli altri servizi sanitari e soprattutto con i servizi sociali gestiti dai Comuni.
Spesso, però, le dimissioni non sono state accompagnate da ricerca di strutture idonee, cosi precostituendo, in parte, situazioni difficili, che anche oggi sussistono, di ricoveri in strutture improprie, case di riposo in particolare.
Ora, con il passaggio delle competenze alle U.S.S.L. (gennaio 1981), il servizio di tutela della salute mentale è divenuto uno delle tante attività delle U.S.S.L. e talvolta non viene valutato, nella sua peculiarità e delicatezza, come servizio che ha un impatto immediato con il modo di pensare e di agire da parte della collettività: da qui alcuni impacci e ritardi riscontrabili qua e là nel ripensare il servizio nel nuovo contesto organizzativo della U.S.S.L., non escluse anche alcune resistenze degli operatori a sentirsi parte di un complesso di interventi più ampio e meno settoriale.



ISTITUZIONI PRIVATE

Occorre infine segnalare come, accanto alle strutture e servizi pubblici, esistano numerose realtà private, alcune convenzionate (7) altre non convenzionate, che si occupano del settore psichiatrico sotto varie denominazioni: neurologia, geriatria, ecc. Fatto salvo il principio dell'iniziativa privata, anche in questo settore è opportuno, per la garanzia dell'utente trovare forme di integrazione e di collaborazione tra le case di cura e le strutture pubbliche, in modo da evitare sia duplicazioni degli interventi sia metodologie nettamente in contrasto le une con le altre, anche perché molti pazienti collezionano ripetuti brevi ricoveri in ciascuna struttura, trasformandosi, di fatto, in malati itineranti.
Questa relazione non vuole essere definitiva né omnicomprensiva dei problemi legati alla tutela della salute mentale, né delle soluzioni da dare per la cura ed il recupero sia per quanto riguarda le strutture, sia per quanto riguarda l'ambiente, né contempla tutti gli orientamenti, oltre che ideologici, anche di sensibilità personale di ciascun commissario che ha partecipato ai lavori della Commissione.
Si lascia al dibattito consiliare l'approfondimento e l'illustrazione di valutazioni individuali sul problema della tutela della salute mentale.
La relazione può costituire, tuttavia, una buona base di conoscenza per una ulteriore riflessione che investa l'insieme della collettività piemontese per ricreare una nuova sensibilizzazione sui temi della emarginazione.
Alcuni problemi particolari segnalati da U.S.S.L., operatori, cittadini sono stati posti all'attenzione dei servizi regionali competenti, al fine di un esame e possibilmente di una loro soluzione.
Tutto il materiale utilizzato per la stesura della presente relazione è a disposizione dei Consiglieri presso la V Commissione.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

La parola al Consigliere Ratti.



RATTI Aldo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la relazione sullo stato di attuazione della riforma psichiatrica in Piemonte, se da un lato offre interessanti spunti meritevoli di considerazioni e chiarimenti, mi suggerisce dall'altro l'opportunità di enucleare dal contesto generale un tema specifico e di approfondirne contenuti ed implicazioni.
Accennerò quindi solo di sfuggita alle note di carattere generale anche per non soffermarmi su concetti oggetto degli interventi dei colleghi, riservandomi di conferire maggior rilievo alla trattazione dell'argomento specifico e cioè del ruolo della famiglia.
Come considerazioni di fondo dirò che le citazioni statistiche, che della relazione rappresentano informandone contenuti e conclusioni la base principale, evidenziano dati relativi a ricoverati o ex ricoverati in O.P.
in misura preponderante rispetto ai problemi degli ammalati che vivono soli o in famiglia, privi comunque di esperienza manicomiale.
La relazione, da questo punto di vista, risulta non equilibrata. Lo sforzo e lo spazio dedicati ad analizzare come il passato è stato colpito e modificato dalla legge 180 soverchiano l'approfondimento della realtà in tutti i suoi aspetti, le sue componenti, le sue lacune.
Si ha l'impressione che la chiusura dei manicomi rappresenti la "soluzione finale" del problema, come a dire: "Il più è fatto!".
Volendo aprire una piccola parentesi sulla metodologia di lavoro della commissione, alla quale la relazione dedica le prime pagine, dobbiamo dire che forse non sarebbe stato male passare qualche ora a tavolino per una umile rilettura, commentata, della legislazione vigente che rinfrescasse la mente ai commissari e li aiutasse a guardare con occhio critico la realtà investiganda. Questo è stato dato per fatto dallo zelo di ciascuno.
Giusto è stato cercare il rapporto con gli operatori e gli utenti affidato purtroppo per evidenti esigenze ad una scelta campionaria; ma gli utenti, che preferiamo chiamare pazienti, sono stati solo quelli delle strutture vecchie e nuove. Nessun contatto al di fuori di esse, nessun contatto con le famiglie, nelle famiglie.
Questa è la vera grande lacuna. Ma torniamo al tema dell'indicatività statistica.
I dati relativi alla verifica dello "stato di realizzazione degli obiettivi" assumono reale attendibilità nella misura in cui rappresentano il risultato di contatti diretti con operatori e utenti, al di là delle tabelle predisposte su dati forniti dagli enti interessati.
Su questi dati e lo abbiamo detto in Commissione non possiamo fare troppo affidamento. A volerci soffermare su di essi in approfondite considerazioni si corre il rischio e la relazione lo corre di giungere a risultati fuorvianti.
Nel 1983, dice la relazione, 70 cittadini su 10.000 si sono rivolti ai servizi di salute mentale: che significato possiamo dare a questo dato se consideriamo che nel territorio i servizi sono molto differenti come qualità e quantità, quando non sono del tutto assenti? In Torino, dicono i dati, sono state effettuate sempre nell'83 6.600 visite domiciliari (che pensiamo comprendano tutte le visite di medici paramedici, assistenti, ecc.) a fronte di 6.000 utenti.
Se è vero ed abbiamo dei dubbi si tratta mediamente di circa una visita all'anno, il che proverebbe la pochezza, per non dire la quasi inesistenza dell'assistenza domiciliare.
Significativo come lo definisce la relazione il dato relativo ai trattamenti sanitari obbligatori: 10% sul totale dei ricoveri.
Non abbiamo elementi per dubitare dell'esattezza di tale dato statistico e tuttavia, nello spirito di approfondimento che informa queste considerazioni, appare quanto meno lecita la formulazione di taluni interrogativi: se su 100 ricoverati solo 10 lo sono in forma coatta; gli altri 90 chi sono? Malati mentali o magari alcoolizzati o drogati in crisi di astinenza vera o simulata? E degli ammalati mentali quanti hanno dato un consenso "vero"? E ancora: quante famiglie richiederebbero un trattamento sanitario obbligatorio se non fossero a conoscenza delle condizioni di vita dei cosiddetti repartini? Non mi soffermo su quanto riportato alla tabella 5: a Torino 54 posti in comunità alloggio e 7 in centri crisi. Di fronte alle esigenze questa non è carenza: è quasi assenza.
E comunque, come ultimo rilievo, mi pare che la particolare materia richiederebbe trattazione, deduzioni e proposte formulate non già in termini di posti-letto, ma, come giustamente afferma anche la relazione, in termini di spazi per offrire ai malati psichici che non tengono il letto ma si muovono, e come, ambienti idonei ed umani. Nelle visite che abbiamo fatto abbiamo sempre visto spazi angusti e letti ammucchiati.
Ma veniamo al ruolo della famiglia.
Quando si parla di ricoverare un ammalato psichico, sorge subito un sospetto o quanto meno un dubbio sull'opportunità, utilità e addirittura legittimità di tale ricovero.
Si teme infatti che, più o meno apertamente, Si voglia non tanto ricercare una più efficace terapia ma piuttosto si cerchi un luogo dove isolare e custodire un ammalato che distrugge la famiglia, disturba i vicini e, spesso, pub essere pericoloso a sé ed agli altri.
Questi dubbi e sospetti sono ampiamente giustificati dal fatto che negli Ospedali Psichiatrici la filosofia della custodia e dell'isolamento dalla società ha per lungo tempo predominato nei confronti dell'azione terapeutica.
E' chiaro che tale filosofia non poteva più essere accettata e una legge di riforma era necessaria.
Adesso è parere generale che tutti coloro che operano in questo campo devono tendere primariamente al recupero degli ammalati. Ora, ciò che a parole sembra facile è invece infinitamente difficile, specie nei casi gravi, quando l'ammalato vive chiuso nei suoi deliri e nelle sue allucinazioni, ha paura di tutti e di tutto, rifiuta il contatto con altre persone, rifiuta le cure.
Bisogna dunque rifuggire dalla ideologizzazione del problema e accingersi con umiltà e sano pragmatismo a: 1) accertare quale sia la reale situazione della malattia mentale nella nostra società 2) definire un programma ottimale di interventi 3) confrontare tale optimum con le possibilità reali in termini di finanziamenti, di professionalità degli operatori, di strutture idonee.
Per quanto attiene al primo punto, occorre dire che siamo molto lontani dal possedere un panorama sufficientemente ampio del "pianeta malattia mentale". La nostra indagine conoscitiva, come si è detto, si è sforzata di raccogliere dati relativi soprattutto a ricoverati o ex ricoverati constatando l'assenza anche di dati nazionali, che sarebbero stati utili quali elementi di raffronto.
Sugli ammalati che non hanno o non hanno mai avuto esperienze manicomiali si è saputo ben poco.
Questo poco diventa nulla nei confronti di quegli ammalati che vivono in famiglia e non sono mai stati "presi in carico" dai servizi di assistenza psichiatrica. Mai "presi in carico" o perché le famiglie (ancora dominate da un doloroso se pur errato pudore) cercano di nascondere la loro tragedia, oppure perché detti servizi non hanno voluto o potuto interessarsi di tali casi.
Dall'indagine è emerso che le strutture pubbliche preferiscono che gli ammalati si rechino "spontaneamente" ai Centri, non avendo spesso personale e mezzi per un'azione adeguata sul territorio, ossia presso le famiglie.
Ma questi, bene che vada, funzionano 5 giorni alla settimana per 8 ore giornaliere. In qualche caso hanno solo "presenze saltuarie ma calendarizzate". Se il malato entra in crisi fuori dall'orario di servizio la famiglia non ha in alternativa che il ricovero ospedaliero, sperando vi sia posto nel "repartino". I malati, quindi, anche in crisi, rimangono spesso in famiglia.
Ma le famiglie si sentono sole. Vivono tragicamente la loro situazione sempre sull'orlo dello sfascio, in attesa di un aiuto che tarda a venire.
Abbiamo sentito i loro accenti nella consultazione fatta dalla commissione e la relazione, sia pur brevemente, ha recepito la situazione.
"Le strutture ed i servizi non potranno mai sostituire l'azione della famiglia". "Decisivo è il clima in cui vive il malato, il suo non sentirsi escluso dal lavoro, dalla famiglia, dalla società". Chiunque conosca ed abbia a cuore il problema non può non condividere questi principi, che la relazione enuncia nelle sue considerazioni finali.
E tuttavia il "principio" per non restare astratto e realizzarsi in pratica ha bisogno di determinati requisiti, di concreti presupposti che è necessario individuare, richiamando quanto meno i problemi emergenti.
Si tratta, in buona sostanza, di dare soddisfacente risposta ad un solo fondamentale interrogativo: a quali condizioni la famiglia può far convivere nel suo ambito un malato psichico? La risposta è una sola: se è sostenuta con continuità ed efficacia.
Se così non dovesse essere dovremmo fare un passo indietro e porci una più tragica domanda: "E' in grado la famiglia di conservare nel suo seno un malato psichico senza correre il rischio di sfasciarsi nella sua struttura e salvando l'integrità dei suoi membri?".
La risposta, temo, sarebbe negativa e vedremmo riaffiorare, per necessità di cose, la tentazione di invocare il ricovero coatto, sia pure in luoghi che nulla abbiano di simile ai vecchi manicomi.
La relazione, esaminando i problemi degli "operatori", si chiede se l'essere per molte ore a contatto con la malattia mentale non rappresenti un fattore di rischio per la loro stessa salute. Propone in proposito criteri di rotazione.
Perché non ci poniamo la stessa domanda per i familiari che assistono un malato 24 ore su 24 e per una vita? Anch'essi corrono gli stessi, e più gravi rischi.
Perché allora non studiare la possibilità di ospitare per brevi periodi di tipo, ad esempio, climatico i malati, alleggerendo la famiglia per qualche settimana, consentendo di riprendere fiato e di ricaricarsi psicologicamente? Anche questo è un aiuto necessario.
Occorre quindi intervenire senza frapporre troppo lunghi tempi di studio con iniziative specifiche, innovative magari, ma certo migliorative delle attuali strutture.
Perché non pensare all'istituzione di un Pronto Soccorso Psichiatrico funzionante a tempo pieno e facente capo a personale medico e paramedico specializzato? Tale Centro dovrebbe agire in stretto collegamento con i Servizi per la Tutela Mentale (STM) e accogliere, in virtù della sua specializzazione soltanto gli ammalati psichici.
Non ritengo necessario sottolineare le benefiche conseguenze indotte dalla realizzazione di una tale iniziativa: per l'ammalato che potrebbe immediatamente disporre della appropriata diagnosi e terapia e per la famiglia cui si offrirebbero il sollievo e la fiducia di poter contare su appoggi tempestivi e concreti.
Un grosso contributo potrebbe essere offerto dagli stessi Servizi per la Tutela Mentale (STM) se messi in condizione, con le opportune strutture di operare una sorta di censimento della malattia nell'ambito delle USSL di competenza.
Naturalmente attraverso il coinvolgimento della famiglia che da un lato potrebbe collaborare per l'apporto ed il completamento informativo e dall'altro verrebbe a disporre nel momento del bisogno di un valido punto di riferimento in grado di fornire consigli, orientamenti, istruzioni o al limite anche e soltanto una competente e calda espressione di conforto e di solidarietà.
Fondamentale poi una vera ed efficace assistenza domiciliare da realizzarsi nei periodi di particolare tensione dell'ammalato psichico. A cura naturalmente di personale specializzato, in grado di definire indirizzi comportamentali e adeguata assistenza terapeutica.
Lo sforzo da fare non è poco, ma si avrà l'evidente grosso risultato di poter ricuperare la famiglia come luogo di socializzazione dell'ammalato.
Mi pare infine doveroso richiamare l'attenzione sul futuro del malato sul momento in cui in forza di una legge naturale potrebbe sopravvivere ai componenti della famiglia.
Si tratta, come è facile intuire, di una grossa preoccupazione recepita dalla relazione, e solo l'approntamento di valide, umane strutture che possano accogliere il malato al verificarsi di un tale evento, pu temperare questo ulteriore motivo di angoscia nei familiari, che anzi da tale consapevolezza trarrebbero nuova forza e sollievo nell'affrontare la sofferenza di ogni giorno.
Abbiamo chiesto al padre di una ragazza malata di mente, che vive in famiglia, un giudizio sullo stato di attuazione della riforma psichiatrica.
Ci ha risposto: "Siamo partiti da Torino per andare a Roma e non siamo ancora arrivati a Moncalieri".
Forse siamo già andati oltre Moncalieri, di certo però vi è ancora parecchia strada da fare prima di giungere ad un soddisfacente grado di assistenza psichiatrica a tutti i livelli.
Mi rendo conto che l'argomento richiederebbe una ben più estesa trattazione, ma mi premeva in questa sede richiamare i principali problemi collegati al mondo della famiglia e porgere sia pure in termini non definiti taluni suggerimenti, nella fiducia che il problema venga affrontato e risolto da chi di dovere con la necessaria determinazione e competenza.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

La parola al Consigliere Gastaldi.



GASTALDI Enrico

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, due erano i quesiti posti alla Commissione sulla psichiatria: stato di attuazione in Piemonte della 180 e del Piano socio-sanitario regionale e verifica del controllo su tale attuazione da parte degli organi della Regione.
La 180 in pratica afferma due cose: la terapia e l'assistenza devono avvenire sul territorio con presidi e servizi ambulatoriali e domiciliari e se non se ne può fare a meno in un repartino di 15 letti in un ospedale civile gli ospedali psichiatrici devono essere soppressi e non ne devono sorgere di nuovi. L'allegato 18 del P.S.S.R. si limita ad una elencazione di principi teorici e di comportamento che devono guidare l'assistenza psichiatrica, indica e fissa il numero teorico del personale necessario e identifica, in modo sommario, prendendo a prestito e dall'allegato 14 e dalla sperimentazione effettuata in qualche territorio, non ancora provata scientificamente come utile, qualche struttura (comunità ospiti, comunità terapeutiche, comunità alloggio e protetta).
La relazione, in sintesi, dice che lo smantellamento degli ospedali psichiatrici era già iniziato nelle Province prima della 180 (anche per gli effetti positivi ottenuti sulla malattia dagli psicofarmaci) e continua ora in modo più oculato ed anche più lento perché limitato e condizionato dall'attuazione dei presidi alternativi agli ospedali psichiatrici stessi non tanto di quelli localizzati negli ospedali generali in sede di DEA che, a parte qualche difetto facilmente correggibile, sembrano sufficienti e funzionanti, per i casi acuti e in crisi, ma piuttosto di quelli localizzati sul territorio per i quali i problemi sono più gravi e difficilmente risolvibili per difficoltà varie che non sono solo di natura economica e finanziaria. Per cui, la soluzione del problema è ancora lontana. Non era compito della Commissione dare giudizi sulla 180, sulla 833, ma non è possibile giudicare se quello che è stato fatto per la cura delle malattie mentali, è poco o tanto o se è sufficiente, senza fare riferimenti ai momenti particolari o ideologici o di altra natura esistenti negli anni di emanazione delle leggi 180-833 e del piano socio sanitario regionale e la cui persistenza condiziona la soluzione del problema del malato mentale.
La 180 era stata emanata in un periodo nel quale si tendeva a rifiutare il sistema di società passata e si voleva ottenere una società migliore basata sulla valorizzazione della dignità della persona; era stata preceduta sì da dibattiti e discussioni, durati molti anni, e da studi, ma limitati ad ambienti facili all'accettazione delle nuove idee sociali della non istituzionalizzazione e della non segregazione del malato mentale. Essi però oltre che presentare erroneamente la malattia mentale più come frutto dell'ambiente che come una vera malattia, avevano dimenticato e non analizzato in modo sufficiente, i problemi degli ambienti sociali e soprattutto delle famiglie nei quali sorgevano e dove sarebbero dovuti tornare i casi e le malattie mentali.
Esistevano, mai risolte nella famiglia, concezioni della malattia mentale, derivate da situazioni dei tempi passati, quale fonte di vergogna e quindi da nascondere; e realtà e momenti di difficoltà e di disagio insormontabili, quali l'impatto negativo sia del malato sulle possibilità di lavoro e sulla pericolosità fisica, sulla modificazione del cara nere e delle doti psichiche dei componenti della famiglia, e sia della famiglia sul malato.
Anche la società non era stata preparata ad accogliere il inalato mentale nelle sue varie organizzazioni ed associazioni. Che tutto ciò sia vero e perduri tutt'oggi, lo dimostrano le testimonianze degli operatori interpellati dalla Commissione. Ad Alba, per esempio, crudamente ma realisticamente si dice: "la famiglia non se la sente di prendere il malato di niente in casa perché vuole tenere nascoste certe patologie e non c'è l'accettazione della malattia in sé"; il verificarsi e l'aumentare degli atti contro la persona propria ed altrui da parte di malati mentali non ricoverati; le statistiche che ci dicono che dei dimessi dagli ospedali psichiatrici e dagli ospedali non più del 10% torna nella famiglia e nella società di origine, ma deve andare in altre sedi quali le case di riposo o altre.
La 180 parlava in modo generico di servizi e presidi e lasciava alle Regioni la loro identificazione e organizzazione. Compito non facile, tanto più se si pensa che la 180 precedeva di poco nel tempo la 833, che imponeva la riforma di tutto il settore sanitario senza che fossero state date indicazioni di priorità e schemi pratici di attuazione con un PSSN, che oltretutto, era richiesto dalla stessa legge 833.
Tenendo ben presente queste considerazioni, va letto l'allegato 18 del PSSR e la relazione della Commissione e va considerata l'attuazione della 180 in Piemonte.
Per questi motivi (e da tutta la relazione questo si può dedurre) i tre anni trascorsi dall'emanazione del PSSR vanno giudicati non tanto di attuazione ma di sperimentazione della localizzazione, della cura e del recupero del malato mentale secondo le sommarie indicazioni della 180: di sperimentazione cioè per identificare quei presidi non identificati dalla 180 ma che sono indispensabili anche per l'attuazione della stessa legge.
Bisogna qui riconoscere ml merito degli operatori del settore, che nonostante tante difficoltà economiche e non economiche, con passione, al di fuori delle proprie ideologie pro o contro la 180 e le politiche e senza precise indicazioni delle leggi si sono dedicati alla cura della malattia mentale e ad attuare le stesse leggi.
Se questa fase deve essere considerata sperimentale, ci si deve chiedere logicamente allora, quali sono i difetti ed i pregi riscontrati e se la sperimentazione sia sufficiente e quali sperimentazioni siano valide e utili e qui idi da adottare da parte della Regione nel nuovo piano socio sanitario 85/87.. Compito della Commissione non era di dare una elencazione materiale di quanto era stato fatto (sarebbe per questa bastata una indagine fatta dai locali della Regione con questionari e circolari senza visite sul territorio regionale), ma di valutare pregi e difetti di quanto si era fatto nella cura della malattia mentale.
E la relazione soddisfa questa osservazione; presenta infatti le rilevazioni attuate, le giudica sul piano funzionale e onestamente conclude con un dubbio sulla loro sufficienza sia quantitativa che qualitativa ammettendo che la cura della malattia mentale resta ancora un problema aperto. Restano aperte ancora tante cose e molto importanti. Resta aperto per gli ospedali psichiatrici non solo la dimissione degli ammalati ancora ricoverati che è legata alle altre strutture, ma anche l'utilizzo ed il destino delle aree, di solito molto vaste, e delle strutture esistenti negli stessi e non più utilizzate.
Mi sembra che sarebbe necessario fare dei progetti per nuove utilizzazioni sanitarie o non sanitarie, sia perché le strutture non utilizzate vanno rapidamente in sfacelo e perché non si possono giustificare spese per il loro mantenimento o ristrutturazione, per ipotetici cambiamenti di uso diversi dal sanitario, a carico della sanità.
Questo è un obbligo ricordato dalla stessa 180 all'art. 7: dice infatti la 180: "le Regioni attuano la diversa utilizzazione delle strutture esistenti e di quelle in via di completamento". Resta ancora aperto il problema di adeguare il numero dei posti letto alle esigenze effettive dei singoli territori, di adeguare il numero del personale alle esigenze del territorio, del servizio e del presidio in modo da garantire se necessaria una presenza continuativa anche per tutte le 24 ore.
Si potrebbe prevedere, visto che gli infermieri sono scarsi come afferma l'Assessore e come risulta dalle statistiche, nuove forme di professionalità specie per la prevenzione, e per la riabilitazione.
Le cooperative di educatori ad esempio convenzionate a Collegno e Saluzzo, potrebbero essere usate anche per i malati mentali. Resta aperto il problema più importante di tutti: quello delle strutture. E' il problema che la 180 non ha preso in considerazione e che i ben 11 progetti di legge esistenti in Parlamento vogliono ora risolvere. Tutto quanto è stato sperimentato (Comunità ospiti, comunità alloggio e protette, Comunità terapeutiche, centro crisi, Comunità di lavoro, Cooperative e non cooperative, day - hospital e i loro vari aggregamenti e raggruppamenti) è certamente utile ma non sufficiente per risolvere in pieno la cura della malattia mentale.
Bisogna qui, secondo me, chiarire alcune cose: non basta cambiare il nome alle strutture o il numero dei ricoverati, per cambiare la natura e il destino delle strutture e per far dimenticare gli ospedali psichiatrici, o per negare che esiste il malato o il disagiato mentale.
Non bisogna paragonare il bisogno e il trattamento che esige l'anziano e il tossico-dipendente ed in parte anche il nevrotico, con quelli dei veri malati di mente. Non bisogna dimenticare che la malattia mentale è una vera malattia che ha alla sua base alterazioni nella correlazione dei centri delle funzioni più nobili del cervello: correlazioni elettriche, fisiche chimiche, di recettori, di mediatori agonisti o antagonisti, alterazione che è ereditata e sulla quale l'ambiente interviene scatenando, modulando e aggravando.
La ricerca e la scienza hanno fatto passare in seconda linea per la malattia mentale, sia le concezioni psico-analitiche di Freud, sia quella comportamentale di Wadson ed hanno dimostrato che la natura della malattia mentale è biologica ed organica e per la quale esistono già cure che per ora anche se non guariscono, alleviano, modificano e migliorano la malattia soprattutto se praticata sotto controllo, possibile solo in ambienti adatti a curare e non solo ad assistere.
Nè si possono classificare i malati mentali soltanto in auto sufficienti o recuperabili, in non auto-sufficienti o non recuperabili e acuti o in crisi, ma occorre ricordare che esiste il malato mentale in malattia, per il quale non bastano né la famiglia, neppure con i sostegni che proponeva il collega Ratti, né la società né le comunità alloggio e protette, ma per il quale è necessaria una struttura o un centro di ricovero specializzato con attrezzature, con personale, con dimensioni adatte a curare e non solo ad assistere.
E' vero, e me ne rendo conto, che allo stato attuale delle leggi questo discorso sulle strutture è fuori tempo e luogo e possibilità legale. Penso però che esso dovrà avere uno sbocco in una riforma della legge 180, che giudico indispensabile. E nell'attesa però devono attuarsi indagini statistiche sui malati e sull'ambiente, continuazione della sperimentazione e valutazione delle strutture per i malati recuperati e per i quali non è possibile il ritorno in famiglia e per i non recuperabili, estendendo tale sperimentazione su tutto il territorio e in tutte le UU.SS.SS.LL. come consiglia la stessa relazione in modo molto preciso, attraverso la presentazione di un relativo piano di attuazione.
Occorre insistere soprattutto sull'educazione e istruzione dei cittadini a considerare i malati mentali come malati e a non sentire riprovazione, irritazione o vergogna nei loro confronti, ma la stessa compassione che tutti abbiamo per altri malati gravi, per i malati di cuore, ad esempio, di tumore maligno, di tbc.
La società deve pervenire a considerarle un tipo di malattia come qualsiasi altra e non come qualcosa che evochi timore e vergogna e della quale ci si debba vergognare.
Questa educazione nuova deve preparare la strada alle modifiche della legge 180, secondo me indispensabili e renderà possibile e giustificabili quelle strutture dove queste malattie si curano e si seguono veramente perché non saranno più tacciate di segregazione e di istituzionalizzazione come negli attuali O. P. che la 180 ha voluto eliminare.
Concludendo il discorso sulle strutture, a me pare di poter dire che le sperimentazioni fatte sono indispensabili per risolvere certi aspetti e certe situazioni e certe fasi della malattia, ma non sono sufficienti a risolvere tutto il problema del malato di mente.
Le determinazioni che saranno assunte dal nuovo Piano socio sanitario regionale a proposito delle residenze assistenziali protette, delle comunità terapeutiche, mi pare vadano in questa direzione, perché prevedono la partecipazione e la presenza di personale sanitario e parasanitario.
Secondo me, però, non basteranno.
Un altro problema che resta aperto e dal quale nella relazione non accenna è quello del rapporto con l'Università richiesto dall'art. 38 della legge 833, alle quali va garantita la dotazione di strumenti operativi necessari allo svolgimento delle attività didattiche e di ricerca.
La teoria biologica della malattia mentale, la dimostrazione che sostanze chimiche (medicine) hanno portato al miglioramento, fa prevedere che attraverso ricerche e sperimentazioni, più facili in ambienti universitari, si avranno progressi rivoluzionari nella psichiatria, come si sta verificando in altre patologie.
Un altro problema dimenticato dalla Commissione è quello della psichiatria infantile. L'analisi dell'applicazione dell'allegato 18 del Piano socio sanitario regionale nel trattamento delle malattie nell'età pediatrica, forse avrebbe chiarito tanti aspetti del rapporto malato famiglia - società - operatore psichiatrico, perché l'età infantile richiama più facilmente la comprensione e la compassione.
Se questi due problemi non sono stati affrontati dalla Commissione non è certamente colpa della Commissione, perché non erano stati previsti tra i temi proposti. Mi pare però che ricordarli sia necessario come indicazione e memoria per il nuovo Piano socio sanitario regionale.
Vorrei chiudere questo capitolo con due osservazioni sulle strutture private convenzionate e non convenzionate.
Per le convenzionate. Non sono riuscito a conoscere i termini della convenzione della quale parla espressamente la legge 180 all'art. 7. So però che in pratica per essa non esiste quella esigenza e quella fretta di dimettere che esiste invece per le strutture pubbliche, obbligate dagli esigui numeri dei posti letto ammessi, non più di 15 e solo negli ospedali sedi di DEA.
Le private convenzionate possono ricoverare più volte a distanza molto ravvicinata e per periodi anche molto lunghi malati mentali in trattamento volontario che, dobbiamo ammetterlo, non sempre sono volontari.
Per quelle non convenzionate vi è un dato certo: vanno aumentando certi presidi privati, in sostituzione degli O.P. per il ricovero dei casi cronici, specie se con possibilità economiche piuttosto elevate, ora, senza veri e propri controlli e che stanno diventando i veri e propri manicomi di questi anni. Non voglio negare che il privato non possa predisporre luoghi per la cura della malattia mentale, voglio solo dire che bisogna fare presto una scelta per le strutture e per le sue tipologie, e a disporre gli opportuni finanziamenti per la loro realizzazione, perché se le strutture private dovessero, nella mora della legge, aumentare e costruirsi in modo non conforme agli intendimenti delle leggi, si potrebbero poi verificare quanto si è verificato in altri casi vicini e ben noti, che cioè il privato non solo con la sua forza numerica, ma anche con le minacce di ricatti potrebbe poi impedire l'applicazione delle scelte future delle istituzioni pubbliche.
Per quanto si riferisce al secondo quesito proposto alla Commissione "azione di controllo da parte della Regione", non esiste nella relazione alcuna risposta.
Con questa osservazione intendo soltanto invitare a ricercare attivamente una soluzione al problema della psichiatria. Devo dire che una circolare dell'Assessorato del 21 novembre 1984 obbliga ad una prima statistica dei malati di mente ancora ricoverati negli O.P. con richieste molto precise e particolareggiate. Questo mi sembra voglia dire che la Regione ha iniziato a percorrere una strada giusta perché solo con le statistiche, si sa, si possono fare previsioni per i presidi, i servizi e le strutture e per la loro quantificazione.
L'attiva presenza dell'Ente pubblico con le rilevazioni, con i controlli, con la cooperazione e la programmazione è utile agli operatori stessi, che anche se ora ad essi va riconosciuto il maggior merito di aver portato il Piemonte tra le Regioni che hanno fatto di più per curare le malattie di mente, avranno maggiore sicurezza, possibilità e soddisfazione morale nell'esplicazione della loro professionalità per la cura di una malattia grave, che, secondo statistiche fatte su base nazionale, interessa quasi il 3% degli italiani.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, senza avere la pretesa di emulare i brillanti interventi dei colleghi Ratti e Gastaldi, noi vogliamo entrare in questo dibattito con umiltà, più che altro per rappresentare il punto di vista del cittadino comune, dell'uomo qualunque. Crediamo di poterlo fare partendo da ricordi di carattere personale.
"Troppi interrogativi sono stati lasciati senza risposta: che cosa si è fatto e si fa, in concreto, per controllare il reale o potenziale psicopatologico del dimesso? Quali sono, in oggi ma anche in prospettiva le condizioni dell'organizzazione psichiatrica nel territorio? Se si sostiene che il malato può, anzi deve, resta, fuori dalle istituzioni, è almeno necessario che le 'antenne psichiatriche', vale a dire i tanto attesi servizi psicosociali, escano finalmente dai programmi teorici per entrare nella realtà concreta. Purtroppo, il documento non riesce a convincerci che questo traguardo sia vicino".
Così, nel luglio 1982, chiudevamo un nostro commento sull'allegato 18 del Piano socio sanitario della Regione, dedicato alla "Tutela della salute mentale".
Ed oggi, la relazione che viene proposta alla nostra valutazione nonché le peregrinazioni che abbiamo compiuto nei mesi scorsi, confermano purtroppo quelle previsioni.
Dimentichiamo per un momento la legge 180 o, meglio, la sua filosofia per fermarci alla sua applicazione, anzi alla sua non applicazione. Nessuna casa può essere cominciata dal tetto e nessuna riforma può essere applicata, se non la si fa precedere dalle strutture che la riforma stessa richiede.
Non c'è dubbio invece ed è la relazione della Commissione di indagine a con fermarcelo che i servizi psicosociali non sono usciti dai piani teorici per calarsi nel vivo della concretezza; le strutture continuano a mancare e, insieme a queste, il personale paramedico professionalmente preparato.
Mancano anche i medici, pur essendo l'adeguamento possibilissimo perché la legge 180 prevede la deroga al blocco delle assunzioni e perché l'Italia non difetta certo di laureati in medicina disoccupati. Ma, ancor prima e soprattutto, mancano i dati statistici necessari indispensabili anzi, per avere un quadro "affidabile" della situazione: e, questo, a sette anni dall'entrata in vigore della legge ! Si dice, ad esempio, che nel 1983 oltre 31.000 persone si sono rivolte ai servizi di salute mentale, cioè 70 ogni 10.000 abitanti in media.
Ma, a nostro avviso, già questo dato medio e discutibile, per la concorrenza involontariamente attuata dal servizio di neurologia ambulatoriale delle USSL ove perlomeno il 50% dei fruitori appartiene al dominio psichiatrico: riteniamo, quindi, che Potenza reale abbia a superare il rapporto 70/10.000. Quanto sostenuto vale, più in particolare, per la mancanza di una qualsiasi analisi dettagliata sulla sorte dei dimessi dagli ex-O.P., se non di quelli che hanno avuto una ricollocazione "istituzionale" in Istituto di Riposo. Infatti, se non si danno notizie sul numero dei suicidi o dei responsabili di reati contro la persona: quindi non si è in grado di conoscere con precisione la percentuale dei suicidi dopo l'avvento della legge 180, non solo tra gli ex-ricoverati degli O.P.
ma anche tra tutti coloro che, successivamente, si sono rivolti ai servizi di salute mentale. Eppure, anche soltanto dalla lettura dei giornali di questi anni, sappiamo che tale percentuale è molto aumentata: ma non vengono presi in considerazione l'importanza del fenomeno (che appare anzi, addirittura "rimossa" per oscuro senso di colpa) e la sua gravità; e conseguentemente, non viene indicata e questa ci pare essere obiettivamente una carenza della relazione della Commissione di indagine alcuna strategia per limitarne la diffusione nonché i suoi costi sociali.
La situazione, dunque, è così caotica e confusa che neppure questa indagine riesce a fare chiarezza, non foss'altro perché le UU.SS.SS.LL. in molti casi non sono state in grado di interpretare il questionario loro inviato dalla Regione: incapace questa di formulare le domande oppure vicino all'analfabetismo le UU.SS.SS.LL.? Poniamo l'osservazione in tono scherzoso affidandola però, colleghi Consiglieri, alla vostra meditazione perché è la riprova di una incapacità burocratica che appare inaccettabile se ha come posta l'impossibilità di presentare dati attendibili. Se seguiamo la relazione nel suo svilupparsi, leggiamo infatti, alla pagina 2 che "i risultati dell'indagine, sia qualitativi ma soprattutto quantitativi noi avremmo detto invece: sia soprattutto qualitativi, sia quantitativi, ma lasciamo perdere ... hanno bisogno di ulteriori approfondimenti": è la confessione di un insuccesso di partenza, che ci porterà a trarre conclusioni incomplete e non credibili, mentre per una valutazione della tutela della salute mentale nella nostra Regione, sarebbe occorsa una conoscenza puntuale di ogni realtà, tra l'altro molto diverse le une dalle altre.
Esaminando le varie voci, rileviamo che solo 16 UU.SS.SS.LL. e Torino hanno attivato una qualche struttura alternativa sul territorio di loro competenza: è, questa, una macroscopica insufficienza, sottolineata ripetutamente nella relazione, alle pagine 26, 36, 37 e 38: per lo scarso rapporto tra ambulatorio e strutture di base; per il lavoro di équipe scarsamente applicato; particolarmente, per gli orari d'apertura che coprono soltanto alcune ore al giorno per cinque giorni alla settimana: quasi fosse possibile, per questo tipo di servizio, la "settimana corta"! Come siamo lontani, qui, dalle utopie del Piano socio sanitario, che profetizzava ambulatori aperti 24 ore su 24 ...
Quanto ai "repartini", constatiamo che sono pensati e strutturati come normali reparti ospedalieri, senza tener conto delle necessità di assistiti non allettati, con esigenze di movimento che richiedono, quanto a spazio un rapporto di l a 6 nei confronti dell'ammalato normale. Le comunità alloggio e le comunità-ospiti le troviamo, le prime concentrate nella Provincia di Torino; le seconde, nell'O.P. di Collegno-Grugliasco: anche qui, un quadro ineguale ed inadeguato. E la situazione non migliora per le strutture ospitanti dimessi dagli ex-O.P. che, quando non sono pazienti itineranti fra istituti vari, vengono per lo più "confinati" in case di riposo, dove si registrano alte concentrazioni di soggetti psichiatrici in confronto al numero degli altri ospiti, con situazioni di grave nocività per tutti.
E, a conclusione di questo bel quadro, leggiamo alla pagina 48 che "si richiede alla Giunta regionale la predisposizione di un piano orientativo per la realizzazione delle strutture alternative": il che significa che alcuni anni dopo l'approvazione del Piano socio sanitario e l'approvazione della legge 180, l'esecutivo non ha predisposto neppure ..., un piano orientativo!!! Nella parte riservata alle proposte di linee di indirizzo per il secondo Piano socio sanitario troviamo che "sono attivabili spazi letto limitati (2 o 3) per le emergenze territoriali non risolvibile a domicilio dell'assistito e che non necessitano di ricovero nei SPDC": ma, se così si facesse, noi pensiamo che si arriverebbe ad una inaccettabile moltiplicazione dei costi. Meglio, molto meglio ecco la nostra proposta instaurare un più stretto rapporto con le strutture convenzionate esistenti, come già avviene per i casi di assistiti ricoverati negli SPDC che, dopo la fase acuta, non possono essere immediatamente reinseriti in famiglia o nel contesto sociale di provenienza.
Siamo d'accordo, invece, sull'opportunità che i servizi delle UU.SS.SS.LL. prendano in carico gli ex-degenti O.P., secondo il principio territoriale di esistenza delle strutture stesse e non, come oggi avviene secondo le UU.SS.SS.LL. di appartenenza, ovviamente con una indispensabile collaborazione con l'équipe di provenienza. Un po' meno d'accordo ci troviamo su quella specie di "fiore all'occhiello" che sarebbero le comunità-ospiti di Collegno. A parte i tristi fatti di cronaca, a parte il numero dei morti accidentali, troppo accidentali, noi a Collegno ci siamo stati.., e, beh, non crediamo di poter condividere tanto ottimismo! Infine, osserviamo che non ci sembra adeguatamente valutato, per quanto riguarda le istituzioni private, il rapporto di collaborazione con le strutture pubbliche: circa la metà dei letti convenzionati (e si tratta di un numero di gran lunga superiore a quello dei SPDC) è di fatto occupato da pazienti dimessi da repartini, ma non ancora idonei per essere reinseriti nel proprio ambiente oppure da malati itineranti da una struttura o pubblica o privata all'altra, in quanto, per motivi suicidi o più frequentemente per la gravità della malattia, non riescono a non possono essere assistiti sul territorio.
Per concludere: le cose più serie della relazione le abbiamo lette laddove si parla del difficile rapporto tra società e malato mentale, e fra malato mentale e famiglia, tentando di riscoprire il valore di questo istituto, sino a qualche tempo fa tanto bistrattato.
La famiglia è un'istituzione nella quale noi profondamente crediamo: ma, forse mai come in questa situazione, è essa stessa impotente. Anche perché, è certamente vero che la presenza al suo interno di un disagiato mentale porta a tali tensioni da influire negativamente su tutti i familiari, specie se minori, o addirittura da determinare lo spezzarsi del nucleo familiare.
Se d'altro canto si chiede una rotazione sia pur decennale per i paramedici considerando un fattore di rischio per la loro stessa salute stare a lungo in contatto con la malattia mentale, come pensiamo che la famiglia possa affrontare il problema 24 ore su 24, per settimane, per mesi, per anni? La famiglia è sì una radice insostituibile: ma, in questo campo, la società non può delegare ad essa il compito di assistere quelle persone poche o tante che siano, che un tempo erano ricoverati negli O.P.; e che adesso sono state affidate, se facoltose, all'assistenza privata ma che per la maggior parte, sono finite ed è la relazione stessa a dichiararlo in istituti inadeguati, in squallide pensioni, sulla strada: come barboni involontari ed inconsapevoli, in attesa di morire di fame, di freddo, di suicidio, perché vittime della loro cupa disperazione: o come protagonisti di atti di incontrollata violenza: con la società che dopo averle volute "uguali", le trasforma in "criminali".
La verità è, colleghi Consiglieri ma la Commissione d'indagine non poteva certo giungere a questa esplicita ammissione che la legge 180 è semplicemente inapplicabile e che tutti noi, sulla strada della tutela della salute mentale, dobbiamo deciderci a camminare, dimenticando quel certo ancor vivo anche se non più vigoroso, come ha dimostrato il recente congresso di "Psichiatria democratica" utopismo antipsichiatrico ed antimedico, sulla scia della devastante "filosofia basagliana".
Filosofia basagliana alla quale pur riconosciamo il merito d'aver accelerato lo svecchiamento ed il superamento di istituzioni ormai sorpassate ed obsolete nella moderna coscienza civile; ma che ci espone oggi a commenti negativi oppure ironici di tutto il mondo, per la pretesa d'essere giunta a risolvere il problema della follia umana con la semplice chiusura degli ospedali psichiatrici.
Il problema, invece, esiste, è drammatico, dobbiamo affrontarlo con realismo. A noi amministratori il compito di batterci, lasciando ai medici la scelta della strada terapeutica per dare le strutture adeguate, i medici necessari, i paramedici professionalmente preparati. E la relazione almeno nel suo sottofondo forse inconscio non giunge così almeno ci pare a conclusioni molto diverse dalle nostre.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

La parola al Consigliere Montefalchesi per l'ultimo intervento della mattinata.
Informo che sono iscritti a parlare nella seduta pomeridiana i Consiglieri Cernetti, Nerviani, Reburdo, Marchiaro, Bergoglio ed infine l'Assessore Bajardi per la replica.



MONTEFALCHESI Corrado

Spesso in questi anni da varie parti si è teso ad utilizzare singoli episodi e il dato emotivo che da essi ne deriva per esprimere giudizi spesso sommari di valore e di validità sulla legge n. 180. Alcuni sono spesso partiti da tali fatti specifici per tentare di rimettere in discussione un processo, in alcuni casi avviato prima della legge 180, di destrutturazione di quelle brutture che nulla hanno a che vedere con una società civile, che sono gli ospedali psichiatrici. Certamente questa indagine ha un grande merito che è quello di fornirci prima elementi concreti di conoscenza e di valutazione dai quali tutti dovremmo avere il dovere di partire, elementi di valutazione sui quali ragionare e dai quali partire per analizzare cosa si è fatto per quanto riguarda l'attuazione della riforma psichiatrica e in generale per quanto riguarda la malattia mentale nella nostra Regione e per comprendere meglio cosa ancora bisogna fare per la sua piena applicazione.
Dalla relazione del Consigliere Barisione emerge un quadro diversificato sullo stato di applicazione della riforma psichiatrica nei vari quadranti .-e nelle varie UU.SS.SS.LL.
Credo che in un processo difficile, complesso come quello avviato con la legge 180, per molti versi all'avanguardia a livello internazionale, nel momento in cui facciamo un primo bilancio sui risultati raggiunti, dobbiamo tendere a valorizzare e mettere in rilievo le esperienze più avanzate, dove più avanti è lo stato di applicazione di una legge che è legge dello Stato qual è la riforma psichiatrica, e ciò non per sottacere ciò che non va, i ritardi, gli errori, che certamente ci sono, ma per far sì che le esperienze più avanzate siano utili punti di riferimento per le situazioni di ritardo, per correggere gli errori dove ci sono e che vanno analizzati a fondo e superati.
Spesso si è tentato di accreditare un'immagine della riforma psichiatrica che, svuotando i manicomi, butta i pazienti, non si sa bene dove o in braccio alle famiglie, mettendole in gravi difficoltà.
Può darsi che questo in alcuni casi sia avvenuto, ma vorrei partire dai dati che ci fornisce la relazione.
Dai dati emerge un quadro ben preciso: dei 4422 dimessi dal 1975 al marzo 1984, ben 21 07 pazienti sono stati dimessi prima dell'entrata in vigore della legge 180, prima del dicembre 1978; mentre dopo l'entrata in vigore della legge 180 sono stati dimessi 231 5 pazienti dei quali 616 sono ospiti in comunità che sono riconosciute il primo gradino del percorso di recupero e riabilitazione del paziente.
Se si guardano poi situazioni più specifiche, come la situazione di Torino, che è quella di più grandi dimensioni e dove l'applicazione della riforma è andata più avanti, come giustamente si sottolinea in alcuni passi della relazione, troviamo che i dimessi dal 1975 sino all'entrata in vigore della legge sono stati 1025, mentre dopo l'entrata in vigore della legge stessa sono stati 1140, dei quali ben 564 sono nelle comunità ospiti approntate nell'ospedale psichiatrico di Collegno.
Da questi dati emerge il fatto che con l'entrata in vigore della legge 180, soprattutto nelle situazioni più avanzate non si è fatta un'opera di dimissioni indiscriminata, ma che questa opera di dimissioni è stata più limitata che nel periodo precedente, appunto perché ha teso ad essere un'opera di dimissione mirata e con passaggi intermedi nelle comunità ospiti.
Per quanto riguarda gli ex O.P., se per applicazione della riforma psichiatrica non si intende un processo di svuotamento attraverso dimissioni indiscriminate, ma deve intendersi come un processo che individui un percorso, che attraverso l'attivazione di strutture adeguate si ponga l'obiettivo del recupero e della riabilitazione dei degenti, come condizione per fare delle dimissioni mirate, ebbene, non possiamo non riconoscere che in questo senso l'esperienza più avanzata da assumere quale punto di riferimento, è quella dell'ex O.P. di Collegno dove il numero degli ospiti nelle comunità è superiore al numero dei ricoverati.
Credo che il processo di riconversione dei reparti manicomiali in comunità ospiti, è un primo passaggio decisivo verso la riabilitazione degli ex degenti.
Bisogna aver visto o vedere i reparti manicomiali ancora esistenti e le comunità ospiti per rendersi conto del salto qualitativo dal punto di vista della socializzazione e della possibilità di riabilitazione dei pazienti che deriva dall'attivazione delle comunità.
Se sulle comunità ospiti il giudizio è unanimemente positivo, allora credo non trovano giustificazione e vanno rapidamente recuperati i ritardi nell'attivazione di queste strutture negli ex ospedali psichiatrici della Regione ad esclusione di Collegno dove, come dicevo, questo processo è in fase molto avanzata.
Credo che in nessun caso, preoccupazioni di carattere amministrativo o sindacale, possano impedire o frenare l'attivazione di queste strutture.
Sempre per quanto riguarda il reinserimento sociale, dalle cose che abbiamo visto, non possiamo non sottolineare la positività dell'esperienza avviata in alcune situazioni come Collegno e Fossano di inserimento al lavoro di ex degenti.
Ancora una volta credo che abbiamo potuto verificare che il lavoro è un elemento essenziale e strumento fondamentale per il reinserimento sociale e il recupero dei pazienti, anche attraverso il recupero di una autonomia finanziaria dei pazienti. Per lo più queste attività lavorative sono costituite da cooperative che vanno sostenute dall'Ente pubblico. Le esperienze attivate, con il recupero di pazienti degenti da decenni, ci dimostrano anche un'altra cosa, che è errato parlare di cronicità per quanto riguarda la malattia mentale.
I recuperi fatti ci hanno dimostrato che pazienti, degenti anche da decenni è possibile recuperarli. Quindi il segnale che emerge è che occorre un forte impulso verso l'attivazione di strutture alternative e la creazione di occasione di lavoro; in questo senso occorrono maggiori risorse e maggior impegno da parte delle UU.SS.SS.LL. e degli amministratori.
Per quanto riguarda i servizi territoriali, pur essendoci una considerevole diffusione sul territorio, non possiamo che giudicare ancora insufficiente il periodo di prestazione del servizio per cinque giorni alla settimana e per otto ore giornaliere. Quindi bisogna rapidamente risolvere il problema della quantità insufficiente del personale per ampliare il servizio. Certo, non è un problema di facile risoluzione, in quanto coinvolge i problemi di disponibilità di risorse degli enti locali che spesso costituiscono una barriera difficilmente valicabile.
Per questo non possiamo non rivendicare l'assunzione di responsabilità da parte del Governo con adeguati finanziamenti per rendere operativa la legge 180.
Sempre per quanto riguarda il personale non si può non sottolineare che oltre al problema quantitativo vi è anche un problema qualitativo. Non sempre il personale che presta servizio negli ex O.P. è professionalmente preparato a prestare il servizio nelle strutture alternative sul territorio.
Vi sono certamente anche altri problemi evidenziati dalla relazione quale la inadeguatezza dei cosiddetti "repartini" inadeguatezza rispetto alla peculiarità di questo tipo di pazienti, alla inadeguatezza di alcune case di riposo o pensioni che in alcuni casi non hanno nulla da invidiare ai manicomi e sulle quali la vigilanza ed il controllo va rafforzata soprattutto da parte delle UU.SS.SS.LL.
Vi sono i problemi delle tutele che vanno affrontati e risolti, sono problemi adeguatamente affrontati nella relazione e che non intendo sviluppare ulteriormente in quanto concordo anche con le proposte che nella relazione vengono fatte per affrontare e risolvere questi problemi.
Debbo esplicitare la mia forte perplessità rispetto a quanto affermato a pag. 53 della relazione, dove sostanzialmente si dipinge il malato di mente come elemento pericoloso per la famiglia, in quanto rompe il nucleo familiare, distrugge la famiglia stessa. Non voglio sottovalutare i problemi che ciò comporta, e spesso il dramma delle famiglie, però mi sembra che tali affermazioni siano più delle opinioni che delle valutazioni suffragate da dati oggettivi.
I dati della relazione ci dicono alcune cose chiare. Nel 1983 si sono rivolte ai servizi di salute mentale 31.785 persone, di questi sono stati ricoverati nei servizi psichiatrici ospedalieri di diagnosi e cura, 6302 persone, cioè circa il 20%. Di questo 20% coloro che sono stati ricoverati in trattamento sanitario obbligatorio, quindi in crisi gravi sono il 10%.
Non mi sembra che questo sia un dato da sottovalutare, esso dimostra che è falsa una immagine del malato di mente che comunque generalmente distrugge la famiglia, rifiuta le cure è intrattabile. Certo, ci sono delle eccezioni, che purtroppo fanno cronaca, che suscitano emozioni, ma non credo che sia un buon servizio al progresso civile di questa società amplificare e generalizzare fatti di cronaca ed emozioni. Certo, a volte bisogna avere il coraggio anche di andare contro corrente rispetto al senso comune. Certo, occorre un adeguato sostegno alle famiglie, sostegno che passa anche attraverso un adeguamento numerico del personale, delle cui carenze le responsabilità non sono solo degli enti locali, ma debbono essere fatte risalire anche a chi ha posto gli enti locali nelle condizioni di non disporre delle risorse necessarie ad assumere il personale, cioè anche alle responsabilità del Governo.
Credo che il giudizio che complessivamente si può dare è che vi è una situazione diversificata sullo stato di applicazione della riforma, che il grado di applicazione inteso non solo come destrutturazioni degli ex ospedali psichiatrici, in questo senso debbo dire per inciso che non possiamo che salutare positivamente l'avvenuto smantellamento dell'ex ospedale psichiatrico di Grugliasco, ma inteso anche come attivazione di strutture alternative, è più avanzato in alcune realtà, come il quadrante nord-ovest che debbono essere assunte come esempio da seguire e punto di riferimento.
Certo, questo deriva anche dal fatto che gli amministratori e gli operatori hanno forse creduto più di altri nella riforma, deriva anche dal fatto che forse in questa area c'era un problema anche dimensionalmente più impellente.
Credo che queste esperienze più avanzate di applicazione della riforma non possono che essere un riconoscimento della validità dell'operato e degli indirizzi della Regione.
E sta a dimostrare anche un altro dato, che questa riforma psichiatrica, non quella che ognuno vorrebbe, ma questa che è una legge dello Stato, è possibile applicarla e il grado di applicazione in alcune aree e in alcune zone ce ne mostra anche la potenzialità qualora vengano superati i ritardi in ordine a problemi del personale e alla scarsità di risorse che è spesso condizione per l'attivazione di nuove strutture.
In questo senso va richiesto maggiore impegno al Governo, un maggiore impegno su queste questioni invece di esercitarsi alla preparazione di contro-riforma.
Certo, questa è una battaglia di civiltà, per alcuni versi anche ideologica e in questo senso deve essere combattuta, a mio avviso, la posta in gioco è una società che salvaguardi e valorizzi la dignità della persona a partire dai più deboli, andando quando è necessario, anche contro corrente rispetto al senso comune della gente. Una battaglia di civiltà contro un concetto di società in cui i forti, sono sempre più forti e i deboli sono da assistere e quando disturbano da rinchiudere.
E in questo senso che ritengo necessario, ad esempio, che la Regione approfondisca i fattori di rischio della malattia mentale.
Quanto incidono sullo sviluppo della malattia mentale situazioni sociali, come lo stato di cassintegrato o di disoccupato? Le notizie circa i suicidi di lavoratori in cassa integrazione la dicono lunga a questo proposito.
Credo che questa sia materia di un'altra indagine, da avviare alla prossima legislatura, perché credo che prevenzione significa operare scelte anche in campo economico, che rimuovano le situazioni sociali, cha accentuano i fattori di rischio. E in questo senso allora probabilmente va approfondito questo terreno perché quando ci sono delle battaglie, delle richieste, delle lotte, per esempio per la fine della cassa integrazione a zero ore, probabilmente ci potremo accorgere che questo incide anche sullo stato e sulla quantità dei pazienti che ricorrono alle cure dei servizi psichiatrici e che questo è spesso anche opera di prevenzione; è il caso di incominciare a fare questi collegamenti, oltre che per una ragione di economicità complessiva del sistema, per una ragione di civiltà per una società diversa, più umana, più giusta che vogliamo costruire.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

La seduta riprenderà puntualmente alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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