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Dettaglio seduta n.3 del 28/07/80 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Costituzione Giunta delle Elezioni, Commissione Regolamento, Commissione Nomine e Commissione Vigilanza Biblioteca


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Invito i Capigruppo a segnalare i nomi degli oratori che intendono prendere la parola sul documento programmatico.
Nel frattempo comunico la formazione delle seguenti Commissioni.
Giunta delle Elezioni P.C.I.: Bontempi, Revelli, Sanlorenzo D.C.: Brizio, Picco, Cerchio P.S.I.: Viglione, Moretti P.S.D.I.: Mignone P.L.I.: Marchini P.R.I.: Vetrino Nicola M.S.I.-D.N.: Carazzoni Commissione Regolamento P.C.I.: Avondo, Marchiaro, Reburdo, Valeri D.C.: Fassio Ottaviano, Ratti, Pettini, Beltrami P.S.I.: Viglione, Salvetti P.S.D.I.: Cerutti P.L.I.: Turbiglio P.R.I.: Vetrino Nicola M.S.I.-D.N.: Carazzoni P.D.U.P.: Montefalchesi Commissione Nomine P.C.I.: Bontempi, Bruciamacchie, Ferro, Revelli D.C.: Carletto, Penasso, Villa, Paganelli P.S.I.: Viglione, Astengo P.S.D.I.: Mignone P.L.I.: Bastianini P.R.I.: Vetrino Nicola M.S.I.-D.N.: Majorino P.D.U.P.: Montefalchesi Commissione Vigilanza Biblioteca P.C.I.: Ariotti D.C.: Bergoglio Cordaro P.S.I.: Astengo


Argomento: Nomine

Proposta di ratifica di tre delibere adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, vi comunico inoltre che la Giunta ha adottato le seguenti deliberazioni: a) Art. 49 legge 23/12/1978 n. 833 -Integrazione organi di controllo con esperto sanitario.
b) Provvedimento di conferma assunto con i poteri del Consiglio regionale ai sensi dell'art. 40 dello Statuto, del dr. Giuseppe Salerno a componente le Sezioni di Torino ed Ivrea del CO.RE.CO. per l'esame dei provvedimenti delle Unità Sanitarie Locali (art. 49 legge 83311979).
c) Legge 10/5/1976 n. 319. Artt. 16 e 17. Proroga dei termini di cui all'allegato D) della deliberazione del Consiglio regionale del 24/5/1979 n. 469 C.R. 3826. Provvedimenti assunti con i poteri del Consiglio regionale ai sensi dell'art. 40; di cui propongo la ratifica.
Chiede la parola la collega Bergoglio.
Ne ha facoltà.



BERGOGLIO Emilia

Desidero un chiarimento sulla deliberazione che prevede la nomina di esperti sanitari e integrazione dei Comitati regionali di controllo, nella quale viene conferito l'incarico ai Medici provinciali. Non è chiaro il meccanismo di nomina degli esperti in sostituzione dei Medici provinciali qualora non fossero disponibili. Eventualmente è possibile un rinvio?



ENRIETTI Ezio

In tutte le Commissioni ed in particolare nei Comitati di controllo vi è la presenza di Medici provinciali e si è ritenuto di allargare la possibilità di nomina, dando mandato al Presidente della Giunta regionale.



BERGOGLIO Emilia

La mia perplessità nasce appunto da questo meccanismo di nomina degli eventuali sostituti. E' vero che i Medici provinciali non sono numerosi e che spesso sono oberati da molti incarichi, però è anche vero, specialmente nei Comuni grandi, esistono altri medici di sanità pubblica che potrebbero essere delegati di volta in volta dall'ufficiale Sanitario o dal Medico provinciale, in sostituzione.
Non riusciamo a vedere con quali criteri dovrebbe funzionare il meccanismo di nomina da parte del Presidente della Giunta. Potrebbe essere data una delega ai Medici provinciali che, a loro volta, si faranno sostituire nei casi di necessità. Mi sembra un meccanismo molto più rapido e più efficiente.



ENRIETTI Ezio

Mi pare più corretto e più rispettoso nei confronti del Consiglio regionale che a proporre gli esperti sia la Giunta.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Viglione per un chiarimento. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Signori Consiglieri, quando abbiamo proposto questa delibera ne abbiamo discusso anche con il Presidente del Gruppo democristiano. D'altra parte la deliberazione è valida fin quando il Consiglio non decide in modo diverso.
Non mi pare che vi sia un'estrema urgenza. Possiamo riunirci questa sera stessa per decidere sulla questione.



PRESIDENTE

Stando così gli intendimenti, la deliberazione riguardante: "Art. 49 legge 23/12/1978 n. 833 - Integrazione organi di controllo con esperto sanitario" è momentaneamente sospesa, in attesa che la Giunta la formalizzi in modo diverso.
La seconda deliberazione: "Provvedimento di conferma assunto con i poteri del Consiglio regionale ai sensi dell'art. 40 dello Statuto, del dr.
Giuseppe Salerno a componente le Sezioni di Torino ed Ivrea del CO.RE.CO.
per l'esame dei provvedimenti delle Unità Sanitarie Locali (art. 49 legge 833/1979)" è posta ai voti in modo palese. Chi è d'accordo alzi la mano.
La deliberazione è approvata e ratificata all'unanimità dei 60 Consiglieri presenti in aula.
La terza deliberazione: "Legge 10/5/1976 n. 319. Artt. 16 e 17. Proroga dei termini di cui all'allegato D) della deliberazione del Consiglio regionale del 24/5/1979 n. 469 C.R. 3826. Provvedimenti assunti con i poteri del Consiglio regionale ai sensi dell'art. 40" è posta ai voti in modo palese. Chi è d'accordo alzi la mano.
La deliberazione è approvata e ratificata all'unanimità dei 60 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni

Prosecuzione dibattito sul documento programmatico della futura Giunta


PRESIDENTE

Riprendiamo il dibattito sul documento programmatico della futura Giunta.
La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, signori Consiglieri, la scadenza statutaria ha finalmente, fatto giungere il dibattito che si è svolto nella comunità regionale e sulla stampa, in quest'aula dove finalmente le posizioni prendono corpo, dove vengono meno i sussurri e le illazioni, le previsioni e le anticipazioni. Ai comunicati, alle dichiarazioni dei singoli si sostituiscono le prese di posizione dei Gruppi sulle quali finalmente potranno essere giudicate le singole forze politiche, la loro coerenza con gli impegni che hanno assunto di fronte all'elettorato. Devo dire che per quanto ci riguarda il copione non ha presentato grosse sorprese. Per 45 giorni le forze che hanno governato il Piemonte nella passata legislatura e che complessivamente sono state ridimensionate hanno "pazientemente" operato per tenere all'opposizione la D.C. Nell'intervento del Consigliere Bontempi è sorto più volte il discorso della discriminazione e dell'emarginazione tra forze politiche. Direi che una volta che si è stabilito che due forze politiche sono alternative, e noi democratici cristiani su tanti problemi, come sul problema degli Enti locali, siamo alternativi al P.C.I., è pacifico che nessuno è contro un altro. E' bene però prendere atto che ci sono forze politiche che fra di loro sono alternative. Le forze che avevano governato il Piemonte hanno operato in questi 45 giorni pazientemente in alternativa alla D.C. Si sono aggregati innanzitutto il rappresentante del P.D.U.P., ed alla fine, proprio come prevedeva il copione da prima delle elezioni, ecco l'atteggiamento del P.S.D.I., tecnico o politico (lo sentiremo quando parleranno i rappresentanti socialdemocratici) che rende possibile in prima seduta l'elezione della Giunta.
Il tempo perduto a trovare pazientemente una soluzione; il tempo impiegato a comporre contrasti, a bilanciare rappresentanze, a fare posti e a determinare uscite illustri non indolori (tant'è vero che venerdì alla riunione dei Capigruppo c'è stato dato il documento senza la composizione della Giunta), questo tempo secondo un vecchio modo di agire deve poi essere recuperato dal Consiglio, il quale in tutta fretta deve discutere un generico documento di proposta e varare la Giunta. A pag. 2 di questo documento si legge che: "esigenza primaria è quella di conferire effettivamente al Consiglio regionale la centralità che gli compete realizzando tutte le scelte che tale centralità comporta". Ci auguriamo che questi buoni propositi possano realizzarsi in futuro perché, in questa prima seduta, non hanno potuto realizzarsi.
Il modo disincantato con cui abbiamo seguito le vicende di questi giorni - e guai se non ci avessero disincantato tutti gli eventi di formazione di maggioranza nella passata legislatura, l'elezione avvenuta perché era assente un Consigliere del Movimento Sociale, il fatto Rossotto evocato stamattina dal Consigliere Viglione, il finale quasi scontato e assai poco a sorpresa di oggi - ci rendono né stupiti né delusi, come ha scritto un pur bravo giornalista di cose regionali, ma sereni, tranquilli in alcune considerazioni che brevemente intendiamo avanzare.
L'atteggiamento della D.C. in questa vicenda è stato coerente e lineare.
Siamo il primo partito del Piemonte, abbiamo aumentato in percentuale i voti, non abbiamo perso seggi (stamane nell'intervento del Consigliere Bontempi mi pareva che le posizioni quasi fossero rovesciate, che la D.C.
in queste elezioni fosse quella che aveva perso e non mi pare che sia così) ebbene, nonostante la nostra posizione non abbiamo avanzato richieste né di predominio, né di posti.
Ci siamo posti il problema della governabilità e del rispetto del quadro politico nazionale e quando proprio il Partito Socialdemocratico ha avanzato la proposta della Giunta laica e socialista, abbiamo offerto la nostra adesione ed il nostro voto convinti che fosse una soluzione di larga maggioranza, non traumatica con il recente passato regionale e con altre realtà amministrative di segno diverso che, legittimamente, si vanno formando nella Regione.
Il Partito Socialista ha respinto questa proposta ed ha quindi scelto per i democratici cristiani il ruolo dell'opposizione. Ripetiamo in questa occasione che il ruolo dell'opposizione né ci sminuisce né ci emargina. La D.C. non ha paura di essere tagliata fuori (mi riferisco ad un articolo di un nostro autorevole collega di parte comunista). La nostra centralità è la forza che gli elettori ci danno. La D.C. la taglierete forse fuori da qualche stanza di Assessore, dalla Giunta, ma non dalla società civile in cui è radicata con il popolo che la vota. La D.C. non è certo in quella visione che stamattina il Presidente Viglione voleva dare di una forza da collocare in una posizione destrorsa dello schieramento politico italiano.
Siamo qui a rappresentare un terzo degli elettori piemontesi e dalla posizione che ci accingiamo ad assumere anche in questo momento ne sentiamo la dignità e l'orgoglio.
Il P.S.I. ci vuole qui in Piemonte all'opposizione, in realtà, dove è giusto che la D.C. sia all'opposizione, ed in realtà come questa regionale dove è assai meno giusto in rapporto al risultato elettorale e, così facendo, commette, a nostro avviso, una valutazione erronea nel raccordo che ci deve essere tra le forze politiche. Mi scuso di dover usare questa affermazione. Vedo molti uomini politici sicuri e certi delle affermazioni che fanno, personalmente invece sono sempre umile, timoroso di dare giudizi sulle altre forze politiche. E' innegabile infatti che un diverso ruolo svolto da forze politiche in realtà diverse, favorisce il dialogo e il confronto tra i partiti, mentre il quasi automatico e non necessitato ripetersi di schieramenti porta alla radicalizzazione di posizioni.
Il raccordo tra le forze politiche ci porta a parlare dei socialdemocratici, che sono il Gruppo determinante nelle scelte di questo inizio della legislatura. Mentre tanti ammonivano all'attenzione, noi abbiamo creduto all'impostazione di questo partito che è stato all'opposizione nella passata legislatura e che all'inizio di questa ha avanzato una seria proposta di governabilità. Se la sua scelta odierna è da intendersi come interpretazione sia pure riduttiva della sua proposta (è passato tempo, la situazione economica è grave e per garantire un governo che può anche essere limitato nel tempo, noi votiamo il Presidente e ci asteniamo sulla Giunta), possiamo dire che non condividiamo tale atteggiamento, proprio perché le proposte alternative con larghe maggioranze esistevano. Ma possiamo capirlo. Se, invece, ci troviamo di fronte alla politica dei piccoli passi, che il Presidente designato ha citato nella precedente seduta verso un inserimento organico dei socialdemocratici in una Giunta di sinistra, allora ci consentiranno i colleghi di questo Gruppo di essere chiari in quest'aula e fuori. Non si tiene una linea politica nazionale come quella che tiene il Segretario di questo partito, non si fa una campagna elettorale per strappare consensi ad una D.C. dipinta come l'infatuata di chissà quale accordi con il P.C.I.
per portare poi i voti determinanti per la messa in atto di un governo a centralità comunista. Rispettiamo i colleghi comunisti e particolarmente quelli che conosciamo con i quali ci siamo sempre misurati in quest'aula.
Nessuno può negare, però, che questo è un governo a centralità comunista e P.D.U.P. in una Regione di circa 4 milioni e mezzo di abitanti. Anche questa d'altra parte non è una novità. Personalmente nel corso della campagna elettorale, scandalizzando alcuni buoni amici socialdemocratici ho sempre detto che sarebbe finita in questo modo. E sulla Giunta e sulla maggioranza occorrono ancora delle puntualizzazioni. Si è parlato molto nei giorni scorsi di "debolezze di soluzioni" riferite ad ipotesi di Giunta che potevano contare sul voto in assemblea di 37 Consiglieri. Ma la Giunta che nasce oggi è forse meno debole di quella? E il discorso ritorna sui socialdemocratici perché o questi fanno parte di una maggioranza a pieno titolo, ma dall'intervento del Presidente Viglione non mi pareva di cogliere questo; allora lo si deve dire ed allora il governo regionale ha una sua autonoma maggioranza o il loro atteggiamento è più tecnico che politico (non firmano il documento, non entrano in Giunta, votano il Presidente, si astengono per la Giunta) ed allora la Giunta una sua autonoma maggioranza non ha, disponendo organicamente di 30 voti, P.D.U.P.
compreso.
E' vero che anche una maggioranza ristretta può essere aggregante, è vero che bisogna essere accettati dalla realtà, ma bisogna pur sempre ricordare ciò che si rappresenta ed i 30 Consiglieri dello schieramento di sinistra rappresentano addirittura meno voti dei 28 che rappresentano l'altro schieramento (lascio da parte i voti del Movimento Sociale, anche se - consentitemi questo riferimento - nessuno avrebbe ieri rifiutato i voti del Movimento Sociale, se fossero stati necessari per mettere in stato d'accusa il Presidente del Consiglio Cossiga). Se si dimenticano questi dati, questa sera si insedia una Giunta; se questa Giunta e coloro che la rappresentano non ricordano quello che rappresentano, anche in termini di voti nella realtà regionale, consentitemi di dire che il rispetto della democrazia e il rispetto dell'elettorato non ci sarà.
La formazione della Giunta si accompagna, secondo lo Statuto, ad un documento di larga proposta che attende una successiva concretizzazione e che, secondo collaudata pratica tende però a scaricare sempre sul Governo nazionale impegni e responsabilità. Pur nella ristrettezza dei tempi alcuni colleghi del mio Gruppo interverranno su alcuni aspetti del documento. A me è doveroso fare riferimento a quella parte del documento che è la più urgente e pressante e che si sofferma sulla situazione economica e sulla crisi occupazionale. Per tutta l'economia italiana i prossimi mesi si annunciano difficili e noi sappiamo quanto sia grave la crisi in Piemonte.
Prendiamo atto dell'intervento del Governo sulla crisi dell'auto e dell'iniziativa del Ministro Bisaglia. Senza entrare nel merito delle cause che hanno concorso a determinare questa condizione di difficoltà, peraltro mondiale come risulta anche dal documento, dobbiamo chiederci quale linea di risposta può essere efficace e credibile a questa situazione che non riguarda soltanto la Fiat e l'Indesit, ma tante altre situazioni che l'Assessore ai problemi del lavoro conosce e segue molto bene, gliene rendiamo atto. Nel momento in cui discutiamo le grandi linee di indirizzo è bene avere presente che il problema non può essere ridotto solo all'evitare i licenziamenti su larga scala. Quando anche si individuasse una gestione morbida delle crisi che ci stanno davanti, con la riduzione dell'attuale capacità produttiva attraverso un largo ricorso alla cassa integrazione e guadagni, al blocco del turn over, ai pre-pensionamenti, si riuscirà ad evitare un trauma sociale, ma non la perdita di un numero consistente di posti di lavoro e il restringersi quindi della base produttiva regionale e la caduta dei livelli di attività.
Allora ci si deve muovere subito in una duplice prospettiva da un lato individuando una linea di intervento che consenta di partecipare alla gestione della crisi per attuarne il contraccolpo sociale, dall'altro sviluppando un'iniziativa della Regione, in qualche misura compensativa sul terreno economico e non solo sociale per il ricostituirsi dei livelli occupazionali e produttivi compromessi nel settore automobilistico negli altri settori. Sia in ordine al primo che al secondo punto la Regione non può sostituire integralmente l'azione del Governo e del Parlamento, ma se sarebbe sbagliato, velleitario e demagogico far credere che la politica regionale possa risolvere i problemi strutturali dell'industria, non meno demagogico sarebbe scaricare ogni responsabilità sul Governo senza fare la propria parte.
Quale può essere allora il comportamento della Regione? Per quanto riguarda la gestione della crisi si deve concorrere a rendere praticabile quella più elastica ed intensa mobilità, all'interno e all'esterno delle aziende, attraverso un'attività politica del lavoro.
Penso, in sostanza, che si debba agire per rendere operante quella Commissione per la mobilità della manodopera ora denominata Commissione regionale per l'impiego, prevista dalla legge 675/1977 sul coordinamento della politica industriale. Tra i compiti di quella Commissione vi è quello di proporre programmi di attività e di intervento a livello regionale a sostegno della mobilità, dei trasferimenti della manodopera della formazione professionale conseguenti ai processi di ristrutturazione e conversione, in coerenza con i piani regionali di sviluppo socio-economico.
Quanto invece al secondo aspetto del problema che dobbiamo affrontare come ricostituire livelli di attività economica e di occupazione, dobbiamo distinguere un orizzonte lungo e di medio periodo. Nel lungo periodo la crisi dell'industria deve indurci ad accelerare e potenziare il processo di diversificazione della struttura economica piemontese come propone il documento, puntando non solo su attività industriali sostitutive, ma soprattutto sulla crescita del terziario qualificato, notoriamente assai debole in Piemonte. A tempi stretti si deve colmare attraverso la spesa regionale per investimenti il vuoto di domanda che la crisi produce. Penso ad un programma straordinario di lavori pubblici, al rilancio dell'edilizia, soprattutto attraverso i cosiddetti progetti integrati penso, per raggiungere certi obiettivi, ad una rapida approvazione della normativa in materia di opere e lavori pubblici, come è auspicato da un ordine del giorno della fine della passata legislatura, in modo che una serie di garanzie e controlli, magari da stabilirsi a posteriori, possa dare incentivazione ed accelerazione al settore. Il volume delle risorse di denaro della nostra Regione è tale da non porre ostacoli finanziari ad un programma di questo genere, occorre quindi definire rapidamente un pacchetto consistente di interventi guardando al volume di posti di lavoro attivabili e riesaminare le procedure di spesa per consentire l'avvio dei lavori in tempi ravvicinati.
Il documento, che si sofferma su ridondanti analisi e su indicazioni di alta economia, non cala su questi aspetti. Qui sta la vera operatività della Regione. La Giunta che si forma e gli uomini della Giunta precedente ci diano il quadro aggiornato della situazione contabile e finanziaria delle risorse utilizzabili, facciano proposte concrete, altrimenti siamo solo nel campo delle analisi e delle chiacchiere e non delle proposte.
Il Gruppo della D.C. chiede con vigore questi interventi concreti nel momento in cui le scelte di altre forze politiche ristabiliscono per noi un ruolo che gli elettori non ci hanno assegnato: quello dell'opposizione. Non possiamo essere noi i proponenti di queste iniziative. Nel ruolo di opposizione, nei confronti della Giunta che nasce noi ci collochiamo con molta serenità chiedendo innanzitutto quelle garanzie di funzionamento del Consiglio e dei Gruppi consiliari per poter svolgere il nostro lavoro con dignità e funzionalità altrimenti quel disegno al quale stamane il Presidente Viglione accennava finisce di essere qualche cosa di vago. Ci sono Gruppi di uguale consistenza: alcuni avranno in mano tutto, altri non riusciranno nemmeno a far arrivare le loro telefonate agli Assessori.
Eserciteremo il ruolo di opposizione con la dignità di sempre ed all'opposizione rimarremo se il quadro politico-regionale non muterà in modo da essere coerente con quello nazionale. Il nostro modo di intendere l'opposizione è di partecipare, di misurarci con i provvedimenti.
Cercheremo di perseguirlo anche se dai primi affrettati passi di questa legislatura abbiamo capito che il dialogo sarà più difficile e che il modo di atteggiarsi di chi si determina a maggioranza è assai poco discorsivo.
Non vorremmo essere costretti a modificare il nostro atteggiamento. Questa Giunta nasce avendo perseguito il motivo primario del mantenimento del potere da parte delle sinistre, il Presidente Viglione ci ha fatto stamattina una bella teorizzazione del potere dicendo: "guai al potere inteso in questo senso!" ma, consentitemi di dire, avete agito per il mantenimento di questo potere e questa accusa, che è stata rivolta tante volte alla D.C., oggi può essere rivolta ad altre forze politiche. Ci auguriamo che questa Giunta possa dimostrare con i fatti che altre e più nobili sono le ragioni del suo esistere. Vogliamo però sgombrare subito il campo da affermazioni che abbiamo sentito circolare in questi giorni e che questa mattina sono riemerse nell'intervento molto lucido del collega Bontempi le quali accrediterebbero soltanto ad una Giunta di sinistra la garanzia della pace sociale, oltre che della gestione della crisi, da un lato e - Bontempi non l'ha detto - della pace amministrativa dall'altro.
Respingiamo le ipotesi che vorrebbero una D.C. incapace di governare e di dirigere i tempi difficili che il Piemonte affronta. Forse che della situazione piemontese non dovranno occuparsene uomini della D.C.? Stamattina sentivamo appunto il riferimento ai governanti della D.C. che hanno posti di responsabilità nel Governo nazionale. Forse che non governiamo delle grosse realtà nella nostra Nazione e anche in Piemonte? E dove abbiamo governato l'elettorato ci ha notevolmente premiato.
Ho fatto delle proposte operative precise e, per quanto la riguarda, la D.C. non si accontenterà solo di telegrammi di proteste a uomini del Governo nazionale. Respingiamo anche le ipotesi di una D.C. tranquilla in un ruolo di opposizione che altri eserciterebbero ben diversamente. Non siamo mai stati per lo scandalismo, ma nessuno si illuda sulla presenza di un Gruppo democristiano sonnolente e disattento, anzi, con correzione rispetto alla linea precedente affermiamo l'impegno di un maggiore controllo in tutte le forme consentite sull'attività amministrativa e gestionale, passata e in divenire, perché anche questo è il compito principale dell'opposizione.
Nel pronunciare voto contrario a questa formazione di governo regionale, la D.C. assume in quest'aula e di fronte alla comunità regionale il suo ruolo senza tentennamenti e in conformità, questo è il nostro orgoglio, degli impegni che abbiamo assunto con l'elettorato. Anzi riconfermiamo il nostro ruolo di forza di governo dall'opposizione. Ci proponiamo di mantenere vivo questo contatto con gli elettori, perch dobbiamo farli partecipi di tutto, anche delle sfumature e dei sottintesi di questa vicenda politica piemontese da troppi anni dai contorni incerti.
Dalla formazione che una maggioranza si propone di votare per il governo del Piemonte scompare un nome prestigioso: quello del Presidente Viglione che abbiamo sentito stamattina in veste battagliera di Capogruppo del P.S.I., già in fase di superamento di quell'amarezza che un'ora prima avevamo letto in un'intervista che i quotidiani hanno portato. Siamo stati sul piano politico suoi oppositori tenaci, ma nel momento del suo distacco dalla Giunta, gli dobbiamo riconoscere, pur nel contrasto di posizioni, un impegno tenace ed un calore umano non comune; anche nel momento della lotta più dura, mai ci è venuta meno la sua amicizia. Sono valori che egli lascia dal suo seggio presidenziale e che tutti dobbiamo raccogliere perché oggi più che mai, se non vogliamo imboccare strade sbagliate - e su questo dobbiamo fare tutti attenzione - di questi valori anche in quest'aula vi è tanto bisogno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Com'è mio costume polemizzo subito con la Presidenza che non ha ritenuto di applicare la vecchia regola dell'alternanza. A questo punto, ci sarebbe piaciuto sentire qualche rappresentante della maggioranza esprimersi sugli intrecci politici della D.C.



PRESIDENTE

Consigliere Marchini, l'abbiamo fatto per quanto possibile, ma lei deve anche considerare l'elevato numero di Consiglieri che chiedono di intervenire.



MARCHINI Sergio

Presidente, lei sa meglio di me che i numeri non significano molto - ce l'hanno spiegato stamattina - significano gli interrogativi che ci sono e che il Capogruppo democristiano ha espresso in termini molto vivaci togliendo agli interventi che seguono, fin quando non si esprimeranno i socialdemocratici, molto della loro ragion d'essere.
E' mia abitudine vivere il clima del Consiglio interpretando e cercando di capire, piuttosto che preparare scritti, a casa, nei pomeriggi afosi dell'estate.
Ho trascorso il pomeriggio di ieri in un esercizio che raccomando a molti di voi, soprattutto a coloro che stamattina parlano di continuità. Ho letto il dibattito di insediamento della Giunta Viglione, in particolare l'intervento del collega Minucci. Ogni tanto dovremmo interrogarci del perché del rituale periodico delle elezioni.
Quel rituale è soltanto un'occasione per verificare il nostro indice di gradimento presso l'opinione pubblica? E' un'occasione per proporre delle soluzioni, delle panacee in loro mani? Secondo me è cosa molto diversa, è soprattutto un'occasione per riflettere per noi stessi, come forze politiche e come individui nei rapporti fra noi e nei rapporti con la società. Mi pare che l'attuale maggioranza non abbia fatto questo elementare esercizio di modestia e non abbia riflettuto se, quando parla di continuità, esistano ancora le ragioni e le giustificazioni politiche, sociali, economiche magari anche culturali magari anche etiche.
Cinque anni fa questo fatto anomalo del Partito Socialista, che non intendeva collaborare con la D.C., si incentrava bene in una vicenda politica anche di carattere nazionale: i ripensamenti dell'allora Segretario del Partito Socialista, il quale riteneva che ci volesse un periodo nel quale ritrovare una sua collocazione e funzione, che adesso pare abbia ritrovata, diventando la centralità socialista, essendo quindi perno di diverse alleanze e di diverse situazioni.
In quest'aula, per esempio, Minucci si vantava di due cose elementari che non sono più avvenute cinque anni dopo: 1) i "contratti" o i contratti di partito tra i partiti erano stati pubblici alla presenza dei giornalisti; questo non è avvenuto cinque anni dopo, quindi non siamo nella continuità, siamo nella degenerazione.
2) E' stata offerta per due volte la Presidenza del Consiglio non alla D C., ma alle opposizioni, che per due volte l'hanno rifiutata. Questa volta non vi siete neanche sentiti di offrirla, nonostante ci fosse più di una richiesta, anche una liberale motivata in modo diverso, perché non ci sembra giusto dire che la Presidenza del Consiglio deve tutelare le minoranze: noi siamo tutelati dallo Statuto, siamo tutelati dalla nostra capacità di essere, non certamente dal Presidente democristiano o di opposizione. Quindi non si tratta di continuità, quindi questo è un processo degenerativo.
Ma c'è un altro piccolo particolare. Questa mattina abbiamo sentito larghe considerazioni, larghi abbracci al rappresentante extra-parlamentare (come l'avreste chiamato nel '75).
Collega Montefalchesi, vai a leggere con che spocchia il Consigliere Minucci parlava dei vostri Gruppi, adesso invece sollecita il vostro voto.
Consulta il commento dei risultati elettorali fatto da Minucci, dove giudica il fallimento dei movimenti a sinistra e dove si compiace dei vostri fallimenti elettorali!



(Voci in aula)



MARCHINI Sergio

Cari amici, leggendo gli atti della seconda legislatura cercavo di capire dove erano gli elementi di continuità e dove sono gli elementi di diversificazione.
Ho indicato alcuni elementi di diversificazione e questo discorso è indirizzato soprattutto agli amici socialdemocratici, perché la situazione curiosissima di un voto positivo al Presidente e di un'astensione alla Giunta mi fanno pensare che ci sia ancora un travaglio, che mi auguro creativo e positivo, sul quale probabilmente avranno chiesto qualche mese per riflettere. Questa Giunta è una novità. Dopo cinque anni di esperienza insieme ci sono delle ragioni che hanno fatto ritenere opportuno il recupero del rapporto fra il Partito Socialista e il Partito Comunista e quindi l'allargamento ad un'altra forza politica. La prova che non è un fatto di continuità, ma di ragioni attuali di convergenza, è data dal sacrificio del Presidente Viglione.
Noi abbiamo molto rispetto per i sentimenti, ma quanto è stato scritto sulla "Stampa Sera" di oggi non è espressione di sentimenti, sono riserve precise sugli amministratori della Regione Piemonte e c'è l'assunzione da parte del Capogruppo socialista di una funzione di controllo nei confronti della Giunta, della sua correttezza, della sua onestà. Queste non possono essere considerate soltanto espressioni di un uomo deluso. Certamente la continuità non fa premio sulle ragioni nuove che hanno determinato questa maggioranza.
Allora, le ragioni di questa nuova maggioranza ci devono essere spiegate e non ci sono ancora state spiegate se non nella continuità.
Mi pare che ci sia una contraddizione grossa nel comportamento del Partito Socialista.
Mi fa piacere aver sentito ricordare dal Capogruppo democristiano che la paternità della Giunta del '75 non era liberale o poi liberaldemocratica. C'era un "viaggio" normale. E' normale che nella prima seduta di Consiglio un Consigliere missino vada a fare un viaggio! Quindi non era un trentunesimo voto quello che ha fatto nascere la prima Giunta era un ventinovesimo e questo, per la storia e per le facili polemiche di qualche partito, sarebbe bene che si ricordasse: la Giunta è nata sull'assenza di un Consigliere del Movimento Sociale, che in quel periodo è passato in Egitto poi a Democrazia Nazionale ed è rimasto tra i profani.
Forse questa vicenda andrebbe riscritta, rivista e riflettuta.
Ho letto l'intervento di Rossotto il quale aveva detto a chiare lettere che c'era alla base della coalizione di sinistra di allora una ragione precisa: il superamento di un certo tipo di costume, di un clima, di una condizione politica che aveva caratterizzato gli anni dal '70 al '75. Sono il primo a riconoscere che nel '75 sul P.C.I. e sulla sinistra in genere si erano concentrate attenzioni e speranze tali, da giustificare la volontà di questi partiti di lavorare insieme. Era, in definitiva, un'alleanza tra partiti che stavano creando per il futuro; che ritenevano, nella loro alleanza, la prospettiva degli anni a venire. Il sacrificio imposto al Piemonte per aver forzato la maggioranza in un senso anziché in un altro poteva avere una ragione sul piano politico e forse anche sul piano storico.
Oggi però chiedo al P.S.I.: c'è ancora il motivo per questa esacerbazione della centralità socialista in un senso, anziché nell'altro? C'è il quadro nazionale? Il Partito Socialista crede veramente che esistano le condizioni, a breve termine, per cui un'esperienza periferica in Piemonte possa ricostruire rapporti a livello centrale con il Partito Comunista che possano rendere meno inconciliabile una vicenda come quella del Piemonte (5 milioni di abitanti) con quella del Paese (56 milioni di abitanti)? Riflettiamo bene su questo interrogativo. Non è più un'alleanza di pari, è un'alleanza tra due forze che sono come le lame di una forbice, che ci auguriamo vadano lontano l'una dall'altra. Ci sono delle scelte politiche diametralmente e irrimediabilmente irriducibili: da una parte c'è il P.S.I. che ha fatto una sua scelta. Ricordo quanto, in quest'aula, si scherzava, si irrideva a Proudhon e al dibattito sul pluralismo. Dalla volontà di fare un po' di letteratura da parte di Craxi è venuto fuori un evento politico abbastanza significativo, il ritorno dei socialisti al Governo e, guarda caso, la sconfitta definitiva, almeno a tempi brevi, del P.C.I. e della sua linea, che certamente è sconfitto in Piemonte con la perdita di due seggi.
Mi pare sia opportuno sottolineare che se qualcuno ha perso le elezioni, questi non sono né i democristiani, né i liberali, né i socialisti, ma certamente i comunisti che sono letteralmente sconfitti in Piemonte, ma soprattutto sono sconfitti politicamente.
Dove è finita la linea dell'eurocomunismo? Mi pare che il P.C.I.
italiano abbia perso la leadership che nel '75 stava creando, mi pare che la linea del compromesso storico sia affondata. Non riusciamo a capire questo partito che in Piemonte crea le premesse, gli strumenti e, se vogliamo, anche la logica di partito di governo, e che non riesce a mantenere i rapporti con il suo retroterra naturale, quello sindacale.
Quanto è avvenuto nel Comitato Centrale del P.C.I. non lo sappiamo, ma leggiamo i giornali e sappiamo che il Partito Comunista si scontra anche con il sindacato.
Amici socialisti, questo è il Partito Comunista con il quale voi avete ritenuto di dover privilegiare un'intesa in Piemonte rinunciando per correttezza nei confronti delle altre forze politiche e democratiche di verificare i programmi, le disponibilità, le capacità. C'è stata una chiusura pregiudiziale nei confronti della D.C., del Partito Liberale e del P.R.I. e un'apertura verso il Partito Comunista che ha queste prospettive e questo destino. Se c'è un'alleanza tra due forze lo verificheremo nel programma. Certamente, non posso perdere l'occasione, signor Presidente per esprimere tutte le mie riserve su come è stata condotta questa vicenda.
Il Regolamento, il rispetto delle regole, della democrazia, della dialettica che impongono comportamenti corretti a tutti i protagonisti sono situazioni violate. L'Ufficio di Presidenza provvisorio ha tradito le aspettative dell'assemblea. Abbiamo dovuto aspettare questa mattina o ieri sera per conoscere la lista degli Assessori. Questa lista degli Assessori non è un'appendice, non è la bibliografia su cui possiamo andare a vedere da che testo è stato estrapolato un certo argomento.
L'elenco degli Assessori è estremamente significativo. Affermo, fuori dai denti, che è stato un colpo di mano molto bene orchestrato quello di depositare in Consiglio un programma senza che ci fosse l'accordo tra le forze politiche. Sono convinto che quando avete depositato il programma non avevate la lista degli Assessori e sono anche convinto che non avevate le firme (esistono delle cose curiose: delle macchine che fanno copie fotostatiche con certe firme e non con altre). Certamente venerdì mattina le firme non c'erano, c'era però un programma, questo è stato a mio avviso un vero e proprio blitz e noi stiamo qui, adesso, a balbettare su un programma che abbiamo letto nella canicola di ieri pomeriggio.
La forbice politica esistente tra il P.C.I. e il P.S.I. porta all'ambiguità politica delle scelte e delle decisioni. Diceva Viglione stamattina che si deve fare una scelta verso la democrazia occidentale privilegiando i rapporti tra forze politiche progressiste. Molto bene. Il Partito Comunista però questo non crede, il suo più illustre rappresentante torinese ha detto che non credeva nel futuro dell'Europa unita.
Da questi due discorsi viene fuori la funzione nuovissima e curiosissima del Piemonte, cerniera fra i Paesi sottosviluppati, fra i quali c'è il Sud e la Romagna solatìa e l'Europa. Da parte del P.C.I.
legato a certe alleanze militari è difficile accettare il discorso degli anni '80 e il discorso dell'Europa, grande area pluralistica dal punto di vista politico e liberista e dal punto di vista economico. Allora, la forbice si chiude con questa "minchioneria". Piemonte è definito "cuscinetto tra i Paesi emergenti". Tra l'altro vorrei sapere quali sono perché si scrive con un certo compiacimento, in questo documento, che finalmente questi Paesi dispongono per se stessi di loro fonti energetiche e non sono più sfruttati. Infatti, dai documentari sull'Iran e sulla Libia si vede come sono i Paesi di cittadini evoluti, ben pasciuti, colti raffinati, che hanno fatto veramente progressi dopo che si sono appropriati loro stessi delle fonti di energia! Cari amici, se riflettete, converrete con me che la crisi petrolifera prima di essere una crisi dei Paesi capitalistici è la crisi dei Paesi in via di sviluppo. La crisi del petrolio ha cancellato i Paesi in via di sviluppo; chi non ha petrolio e Coca Cola in un mondo in cui si baratta Coca Cola con petrolio, è destinato ad essere tagliato fuori dai Paesi in via di sviluppo. Quindi, la "minchioneria" del Piemonte che sarebbe un cuscinetto tra l'Europa e il mondo da venire ci ricorda le nostalgie lapiriane, oppure i tempi in cui filmarti elargiva prestiti all'Egitto negli anni '60.
Questo argomento ci indica l'ambiguità dell'alleanza che qui si è perpetrata.
Ci sono altri argomenti che ci fanno riflettere molto. Uno è di carattere istituzionale e ritorno alla seconda legislatura prima dell'era di sinistra, quando c'è stata una lunga diatriba sulla funzione del Vicepresidente e si era cercato di chiarire che la nostra, semmai, è una Regione presidenziale e non certamente una Regione Vicepresidenziale.
Sentiamo ora da voci di corridoio che esiste un Vicepresidente spogliato che quindi ha una funzione nell'esistere e non vorrei che stessimo uscendo dalle linee dello Statuto che prevede che gli Assessori sono tutti eguali e che il coordinamento è competenza del Presidente; se così non fosse ritornerebbero le preoccupazioni della prima legislatura.
C'è un altro particolare curioso di cui mi compiaccio come liberale già Minucci e Zanone avevano dissertato sull'opportunità di portare il numero degli Assessori a 7 o 8. Voi siete scesi a 11.
Non compete a me anticipare il giudizio che darà il nostro Gruppo. Sul piano personale devo pagare il mio debito nei confronti del P.S.D.I., in quanto, nelle riunioni di partito avevo detto che da parte liberale non ci sarebbe stato alcun urlo allo scandalo nel caso avesse fatto una scelta diversa da quella che, coraggiosamente e per molto tempo ha portato avanti di un'alleanza tra i partiti dell'area laica, intermedia e socialista. Ci auguriamo che riesca a supportare questa decisione nel tempo in cui riterrà di portarla avanti, perché ormai Viglione per cinque anni si sente il Capogruppo della maggioranza o quanto meno del P.S.I.; ragiona per cinque anni, è la sua dimensione, il suo periodo, non sa che esistono le ore, i giorni, i mesi, le settimane; tant'è vero che non aveva capito che i cinque anni erano finiti e aveva l'impressione che a quelli ne seguissero altri cinque. Ma non è così, ci sono anche i caporali, non ci sono solo i colonnelli e ci auguriamo che non ci siano solo tempi di cinque anni, ma ci siano anche tempi più brevi in cui il P.S.D.I. possa verificare l'opportunità di questa sua scelta, che certamente avrà le sue motivazioni.
Auguriamoci che la mobilità, che deve essere la caratteristica della vita politica, faccia si che in questo Consiglio si ricreino in tempi più solleciti possibile, condizioni in cui i rapporti tra il Partito Socialista, i Partiti dell'area liberale, il Partito Repubblicano e il Partito Socialdemocratico possano creare il fatto di novità in questa Regione.
Presidente Enrietti, gli elettori hanno punito alcune forze e hanno premiato noi ed i socialisti e questo mi pare significativo. Auguriamoci tutti insieme, di riuscire ad interpretare le aspettative della nostra gente e di rispondere loro nel modo migliore.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, signori Consiglieri, desidero iniziare questo intervento esplicitando subito la nostra posizione che renderà particolarmente arrabbiati i Consiglieri della D.C. e del P.L.I.; certo voteremo per il Presidente e gli Assessori componenti questa Giunta. Con questa dichiarazione i dubbi sono chiariti. Voteremo per questa Giunta perché ha la caratteristica di emarginare la D.C. - questo è per noi un dato rilevante - e di allontanarla per altri cinque anni, e noi ci auguriamo per sempre, dalla gestione della cosa pubblica. La sua guida del governo centrale più che trentennale è condotta in modo privatistico, per non dire altro.
Voteremo per questa Giunta pur dovendo fare delle critiche sia sul metodo, con cui si è arrivati a tale soluzione, senza il nostro coinvolgimento nella stesura del documento sia sui contenuti del documento stesso. Questo è anche uno dei motivi per i quali il documento non porta la nostra firma. Certamente ci sono delle diversità tra i partiti, che compongono questa maggioranza, guai se non fosse così! Ognuna delle tre forze della sinistra esprime un suo retroterra ideale e politico.
Certamente, l'obiettivo della pari dignità tra le forze che danno vita a questa maggioranza è ancora da raggiungere. Lavoreremo per questo.
Votiamo per questa Giunta per nostra scelta; non facciamo parte dell'esecutivo; politicamente - e questo è uno dei motivi che fa tanto arrabbiare i democristiani e i liberali - il nostro voto è decisivo, perch caratterizza una Giunta unitaria e di sinistra, aperta certamente al contributo e all'apporto di altre forze. E' una soluzione che avevamo indicato subito dopo le elezioni e che molte forze hanno tentato in ogni modo di esorcizzare; è una soluzione alla quale, con maggiore incisività e decisione da parte del P.C.I. e del P.S.I., si sarebbe potuti arrivare prima. Guai se ci appiattissimo e non rilevassimo le diversità. Il tentativo del P.S.I. è di imporre la centralità socialista, tentando di accreditare una interscambiabilità tra noi ed il Partito socialdemocratico.
Su questo c'è certamente uno scontro politico, noi siamo per la centralità della sinistra unita senza porre preclusione alcuna al confronto e all'apporto di altre forze, come il Partito Socialdemocratico, sulla base di una chiara indicazione programmatica. Come i fatti hanno dimostrato oggi, politicamente, l'unica soluzione possibile è quella che vede le tre componenti della sinistra dare vita ad un governo stabile nella nostra Regione. Per cultura e per tradizione, sono le uniche forze in grado di raccogliere e stimolare il contributo dei lavoratori, della classe operaia che riteniamo decisivo per affrontare e risolvere i gravissimi problemi sociali che stiamo attraversando. E questa mattina ne abbiamo avuto una conferma da parte dei lavoratori dell'Indesit. Guai se il Consiglio non avesse una grande sensibilità rispetto a questi problemi.
E' necessario che le tre forze di sinistra che danno vita a questa nuova maggioranza contribuiscano con pari dignità all'elaborazione del programma. In questo senso riteniamo che siano decisivi i contenuti programmatici.
Dobbiamo tuttavia fare dei rilievi critici al documento, perché ci pare che manchi una premessa politica che, partendo dall'isolamento della D.C. e dalla collocazione unitaria dei partiti di sinistra, indichi un progetto di trasformazione per la costruzione di uno schieramento sociale e politico che si proponga come forza di cambiamento nella nostra Regione e che sia un'indicazione generale per le forze di sinistra in tutto il Paese.
Sono necessarie indicazioni programmatiche,che siano legate tra di loro da un filo unico, da un filo rosso, che sia quello di un progetto di trasformazione costruito nel vivo della lotta e che sia sostenuto dai lavoratori, che abbia sviluppo nelle esperienze di democrazia diretta dei Consigli di fabbrica, che abbia il controllo di massa sugli strumenti di programmazione, che permetta di condizionare le scelte del padronato, le basi materiali e le gambe su cui marciare.
Dobbiamo capire dove vogliamo andare e renderci conto che quello che si sta giocando oggi nello scontro di classe, è se i lavoratori devono avere un ruolo subalterno alle scelte del padronato, alla Fiat in testa diventando i lavoratori e la classe operaia, le uniche variabili sulle quali agire in situazioni di crisi. La concezione del padronato individua il lavoratore come appendice del processo produttivo; il lavoratore non è una cosa diversa dalla macchina e quando la macchina non serve più si butta via e così, quando è necessario, i lavoratori si fanno venire dal Meridione, magari facendoli dormire in una prima fase a Porta Nuova e quando non servono più, non si tiene conto dei loro problemi familiari e si buttano, come una macchina. E' questo l'obiettivo che le forze moderate e il padronato tentano di operare nei confronti dei lavoratori.
E' nostra convinzione, invece, che si debba raggiungere l'obiettivo per il quale la sinistra ha lavorato e si batte, ossia un movimento dei lavoratori che abbia un ruolo centrale nella determinazione dello sviluppo nel Paese, nella trasformazione della società con l'allargamento della partecipazione dei lavoratori. Questo è il vero terreno e il vero retroterra della lotta al terrorismo. Non sono questionari anonimi ed individuali che negano l'esperienza collettiva fatta in questi anni dai lavoratori capaci di risolvere questi problemi.
Crediamo che questo sia il respiro che deve avere una proposta programmatica capace di rispondere alla strutturalità. La crisi dell'auto non è solo crisi della Fiat ma è crisi dello sviluppo fondato sui consumi individuali, sullo spreco di risorse energetiche. Lo sviluppo centrato sull'auto significa una crisi di altri settori determinanti dell'agricoltura, della ricerca, dell'edilizia; uno sviluppo fondato sulla costruzione di opere faraoniche e opere infrastrutturali, quali le autostrade, i trafori, permette che si costruisca il traforo del Frejus invece di edificare case per i lavoratori.
Questo tipo di sviluppo non è più in grado di assicurare n accumulazione, né occupazione. I lavoratori e la società pagheranno prezzi gravissimi se l'obiettivo del padronato di rilanciare quel meccanismo di sviluppo raggiungesse il suo fine. Il tentativo di rilanciare quel tipo di sviluppo significa un attacco all'occupazione; così come va avanti alla Fiat e in altre aziende, il rilancio dello sviluppo fondato sull'auto significa un peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori significa la distruzione delle conquiste democratiche che i lavoratori hanno raggiunto all'interno delle fabbriche, significa il licenziamento di lavoratori invalidi ed inidonei, spesso diventati tali, a causa del processo produttivo: questo attacco induce una involuzione anche di carattere culturale. Alla Fiat si sente dire: "se si deve licenziare incominciamo dalle donne". Ebbene, questo è un arretramento culturale significa relegarle ancora una volta a casa, come dire che non sono considerate forza produttiva, di lavoro da impiegare. Contro questa concezione il movimento delle donne ha fatto delle grandi battaglie vincendo anche.
La sinistra e il governo regionale non devono avere un intervento a valle dei processi di sviluppo che le forze padronali e moderate intendono attuare. Secondo noi, devono dare l'indicazione di uno sviluppo diverso fondato su settori determinanti quali l'agricoltura, l'edilizia, l'energia l'elettronica, la chimica, rimettendo in discussione anche gli accordi con il MEC, sulla divisione internazionale del lavoro che relega il nostro Paese a produzioni mature, come l'automobile. Accordi che permettono a Paesi progrediti come la Germania e gli Stati Uniti, produzioni tecnologicamente avanzate come l'elettronica. Questo significa aprire una battaglia politica per l'avvio di piani di settore da parte dello Stato per la programmazione regionale e nazionale, per l'inizio concreto di un rapporto con il sindacato che lo individui quale soggetto di programmazione. Tutto ciò, anche in funzione di un dato allarmante, che le elezioni hanno evidenziato: il distacco tra istituzioni e società, cioè quel 20% circa di astensione in Piemonte. Vorrà dire, pertanto, organizzare il funzionamento della Giunta e del Consiglio regionale in modo conseguente, coinvolgendo maggiormente le Commissioni nell'attività dell'esecutivo, riqualificando la finzione dei dipartimenti confrontandosi costantemente nel momento dell'elaborazione e della definizione delle iniziative del Consiglio, delle altre forze istituzionali e delle organizzazioni di massa dei lavoratori.
Crediamo, inoltre, necessario aprire una battaglia politica per la riforma della pubblica amministrazione, per il reperimento delle risorse per un più razionale utilizzo.
A me sembra che i frequenti richiami all'Europa da parte dei compagni Viglione e Bontempi, non possano saltare il nodo di una diversa collocazione internazionale del nostro Paese, in grado di svolgere una politica autonoma, svincolata dalle dipendenze delle multinazionali, con l'individuazione di diversi interlocutori. Concorrenzialità del nostro Paese con la Germania e con i Paesi forti d'Europa, significa produrre auto a costi inferiori a quelli della Germania dove marocchini e turchi vengono sottoposti a condizione di sfruttamento. O si cambia il tipo di sviluppo o in Italia i lavoratori devono assoggettarsi a quelle condizioni di vita e di sfruttamento.
L'insufficienza di questo programma è anche da valutare in rapporto a quel 20% di astensioni dell'elettorato che deve indurci ad una riflessione anche sulle carenze della passata Giunta. Esistono problemi gravi, a cui è necessario dare una risposta per recuperare quei lavoratori che non si riconoscono più nelle istituzioni. Esiste, poi, il problema dell'occupazione, il fallimento della legge sull'occupazione giovanile, la qualità dell'occupazione; vi è il problema dell'energia. Noi diciamo "no" all'energia nucleare e sollecitiamo lo studio di un piano regionale che permetta di individuare fonti alternative, quella idroelettrica nell'ambito del riassetto del territorio, quella della trasformazione dei rifiuti per il riscaldamento. Conveniamo per la regionalizzazione dell'Enel, per una battaglia politica per la casa, per la modifica della legge sull'equo canone, per l'utilizzo degli alloggi sfitti, contro la ghettizzazione di tossicodipendenti. E' necessario favorire l'abbandono degli stupefacenti perciò va articolata, a livello regionale, un'iniziativa sulla depenalizzazione delle droghe leggere e sulla legalizzazione e distribuzione controllata dell'eroina negli appositi centri socio-sanitari.
Questi sono i punti sui quali ci caratterizzeremo e che porteremo all'interno di questa maggioranza.
Riteniamo che questa maggioranza centrata sui tre partiti della sinistra e sul contributo del P.S.D.I., è un'indicazione politica a livello regionale e nazionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Beltrami.



BELTRAMI Vittorio

Signor Presidente, signori Consiglieri, era mia intenzione iniziare questo intervento con un saluto ed un augurio - non semplicemente rituali profondamente sentiti, umani, cordiali, politici, a lei e all'Ufficio di Presidenza, ma in seguito a quanto è accaduto stamane, che aggiunge incertezza e perplessità a quanto già conosciamo, vorrei rivolgere un augurio personale e di amicizia che è, pur sempre, un fatto non trascurabile e non certamente un augurio politico.
Il pensiero ritorna alla prima legislatura, alla prima seduta del '70 all'approvazione dello Statuto del Piemonte, all'atto solenne che sanzionava la nascita della Regione e ai funzionari largamente giovani che provenienti dalla Provincia e dagli Enti locali, iniziavano un'esaltante avventura che, nonostante qualche delusione, li ha resi compartecipi nella costruzione di questa nuova dimensione di governo locale.
Pensavo ai colleghi con i quali si è fatto molto cammino assieme, con grosse animazioni di amicizia, mai turbate anche nel confronto più acceso e al Presidente Oberto, al suo allontanarsi da quest'aula stanco appoggiandosi al suo fedele sostegno, dopo averci lasciato un patrimonio di esempio, di vivacità, di convinzione sempre spesa con entusiasmo, nella buona e nella cattiva sorte, un'incontenibile carico umano.
Fuori dai ricordi e dall'emotività, oggi, il rapporto delle forze, la distribuzione dei seggi consiliari, ripropone una serie di riflessioni, le stesse che taluni di noi avevano affrontato allora, nel '75, con intensità di interrogativi, inquietudine; eravamo in un quadro di precarietà, quello stesso che aveva caratterizzato - l'ha ricordato poco fa Marchini l'elezione della Giunta nella seconda legislatura. Una legislatura tormentata, nonostante l'apparente tranquillità creata con il noto iniziale artifizio, ma anche una legislatura centrale nella storia delle Regioni e nonostante le contraddizioni, le fughe in avanti, o le pudiche ritirate davanti ai problemi eccezionali, quale ad esempio quello delle fonti energetiche, ha visto registrare il parziale concludersi del lungo cammino intrapreso nel 1970 per la costruzione dello Stato delle autonomie, con il perfezionamento dei decreti delegati del '72, sino alla 382, sino a talune leggi fondamentali per un'articolata realizzazione del disegno costituzionale. Anche se c'era assenza di altre leggi fondamentali, quale ad esempio, la legge delle autonomie ed altre, che potevano offrire il quadro di ampie certezze per il lungo periodo. A ciò, aggiungasi, una deviazione o contraddizione che dir si voglia dell'Ente Regione nell'interpretazione del ruolo del Comune ed una concezione delle autonomie che abbiamo registrato nella seconda legislatura, in quanto sotto l'apparente esigenza di razionalizzarne e coordinarne le decisioni, ha finito per assegnare agli Enti locali, pesanti ruoli gestionali ed operativi, contemporaneamente, però, privandoli di un'autentica capacità di decisione politica. Per non parlare, poi, della mai sopita tentazione comune a molte altre aree politiche, di riproporre in Torino un quadro di arroccamento burocratizzante, centralizzatore, il cui prodotto finale non poteva che essere la riproposizione, la trasposizione nella capitale del Piemonte dei mali e dei guasti che un tempo abbiamo registrato e che erano appartenuti al centralismo romano.
Questo è un guasto che neppure la buona musica introdotta nel circuito del 57171, numero telefonico della Giunta (che ti tiene legato per mezz'ora all'apparecchio, senza magari riuscirti a passare il numero), in uno snervante colloquio tra la periferia e il centro, riesce a farsi perdonare.
E' un tema delicato quello della periferia e del centro, l'abbiamo conosciuto al tempo del super partito (è esistito in Torino il super partito non dimentichiamolo). Talune delle responsabilità che oggi vengono attribuite solo alla D.C. erano comuni, appartenevano in percentuali diverse, in dipendenza delle compartecipazioni a questa gestione superpartitica; ma è esistito, ha rappresentato un periodo storico nella nostra Regione e, contro questa tentazione, potrebbe esserci, almeno su questo, il coagulo delle forze politiche per il rispetto della periferia cosicché non accada a Torino quanto succedeva a Napoli con i Borboni o a Vienna con Cecco Beppe: "il potere è mio e il resto è tutto terreno coloniale". Eppure qualcosa è stato costruito anche qui, in Torino, con la nostra opposizione, fatta non di scontro, di muro contro muro, non rivolta al tanto peggio, al tanto meglio, senza ostruzionismo, senza creare difficoltà nell'esercizio delle cose dovute dalla Regione, divenendo per noi, Democrazia Cristiana, riferimento per quanti non convenivano sullo schieramento di maggioranza; in un clima esterno, signor Presidente, carico di tensione umana, di tragedia, di lacerazione del tessuto sociale, quale mai il Piemonte aveva conosciuto nel più recente passato. Quante volte nell'aula consiliare sono suonate, quasi ogni giovedì, in sede di riunione del Consiglio regionale, parole di esecrazione, di condanna, solidarietà su di un gesto, su di una tragedia, su un ferimento, sulle morti e ogni volta diveniva quasi impossibile dire, inventare nuove proposte, far violenza sulla fantasia del politico per assumere nuovi atteggiamenti: eppure c'era il senso della desolazione, dell'umano sgomento, della civile protesta contro la degenerazione degli atteggiamenti dell'uomo, la violenza, il terrorismo e molte volte, signor Presidente - ed è stato ampiamente ricordato dalle forze politiche - la D.C., nei suoi uomini migliori è stata al centro delle attenzioni del terrorismo e porta ancora su di sé i segni della violenza. La terza legislatura sembra ora avviata in un clima diverso, anche se altre tensioni stanno affacciandosi all'orizzonte di questo nostro Piemonte. La D.C. ha rivolto l'8 giugno ai cittadini del Piemonte una sua proposta per la gestione della Regione. Ieri abbiamo raccolto, avuto, in parte da documentazione consegnataci, in parte dai giornali, gli indirizzi che la Giunta (testè proposta per la votazione al Consiglio) vorrebbe assumere per la gestione di questa legislatura. Siamo convinti che di questo ne discuteremo a suo tempo, quando sarà possibile perfezionare e sviluppare ogni ulteriore approfondimento. Siamo convinti che questa terza legislatura dovrà passare attraverso due assi portanti e due filtri che, alla luce dell'esperienza vissuta, divengono essenziali per una corretta attuazione del disegno regionalista: da un lato il decentramento ed il pluralismo, dall'altro la programmazione e quindi la politica di piano.
Bisognerà dire subito che il termine pluralismo e decentramento regionale sono intesi concettualmente aperti e non chiusi, nel senso che nel primo si debbano comprendere non solo le istituzioni, ma anche ogni altro livello di presenza nell'ordinamento giuridico-sociale. Con il termine di decentramento regionale si intendono tutti gli altri strumenti di intervento sub-regionale che la Costituzione ha riconosciuto, la leve 382 ha sottolineato e il decreto 616 del '77 ha esaltato e quindi il pluralismo va percepito come momento di essere e di realizzazione di spazi di libertà, di individui e di gruppi, nell'ordinamento sociale. Il decentramento passa a sua volta attraverso la rivotazione o meglio, la riscoperta delle deleghe. Rinvio ad altro momento questo discorso, mentre sulla programmazione converrà solo affermare che l'art. 11 del D.P.R. 616 ha introdotto, per la prima volta, il riferimento procedurale per un disegno programmatorio, unitario, che veda coinvolti tutti gli Enti territoriali, dai maggiori ai minori. Il criterio centrale è che ci sia la possibilità di partecipare alle decisioni e alle scelte della Regione.
Esistono difficoltà di ogni tipo, riferite, ad esempio, al quadro economico nazionale - l'ha citato poco fa il rappresentante del P.D.U.P.
l'hanno citato stamane gli altri colleghi - prova ne è la tormentata vicenda dei provvedimenti anticongiunturali proposti avverso un processo inflazionistico, ad una caduta dell'economia, ad un super costo delle gestioni private e pubbliche, alla mancanza di competitività bloccante l'esportazione dei nostri prodotti industriali e il passivo di talune fasce di aziende pubbliche.
Ad esempio, non dobbiamo dimenticare che le aziende IRI perdono mezzo miliardo ogni ora di lavoro e che il deficit totale del gruppo ha ormai abbondantemente superato i 1.000 miliardi l'anno, che l'inflazione ha distrutto il risparmio, una parte del quale è rappresentata dalle stesse liquidazioni dei prestatori d'opera, dopo un'intera vita di lavoro - ripeto ha distrutto 50 mila miliardi in quattro anni. Se si pensa al costo del denaro per le attività imprenditoriali di ogni livello, salvo per quelle ammesse al beneficio del credito agevolato, con l'intervento pubblico ritengo proprio che l'imprenditore di ogni tipo si trovi nell'impossibilità fisica di mandare avanti la sua azienda.
Subentra il caso Fiat, che è qualcosa di più di una patata bollente che ci troveremo riscodellata puntualmente nei nostri incontri consiliari e che comporta la risoluzione di un grosso problema che è, prima d'altro umano, perché legato alla sopravvivenza di molte famiglie e poi sottolinea giudizi e valutazioni sul mondo imprenditoriale, sulla classe politica sulle scelte politiche - amministrative locali, con i problemi del riequilibrio del territorio, dell'urbanesimo, dell'integrazione locale, di un processo di immigrazione. Giudizi e valutazioni che appartengono alla conflittualità, al contrasto dialettico, allo stesso concetto di classe alla ricerca delle origini, delle cause, delle possibilità di sbocco, di una risposta a questo inquietante problema che nel passato ha registrato quale analisi storico-politica, interventi di uomini di grossa levatura (cito per tutti Amendola su "Rinascita" del novembre del '79); direi proprio che all'ombra di questa enorme bomba che è sulla piazza torinese senza volersi rifugiare in spazi che forse sanno più di filosofia che non di confronto politico, la classe politica regionale deve tirarne le conseguenze per un nuovo impianto dei problemi sociali. Per cui il problema non diverrà e non rimane semplicemente un problema di classe, nel quale si vede talvolta messo sotto processo lo stesso ruolo del sindacato, ma diventa il problema di tutto un popolo, dell'intera comunità piemontese.
Altri problemi sono sul tappeto, li trascuro, sono noti; vorrei toccare per ultimo - il mio non è un atteggiamento egoistico - il grosso problema della risoluzione dei nodi infrastrutturali che ancora ci fanno sentire tanto distaccati, quasi che non appartengano al Piemonte molte zone lontane emarginate di questa nostra Regione.
Ho sentito il Presidente Benzi parlare del Frejus dischiudente nuovi orizzonti, nuovi interessi alla comunità con un certo senso di commozione ed allora pensavo, mi si consenta questa parentesi, alla lontana Ossola alle sue istanze, alle sue attese, ai suoi problemi, alla sua depressione dove a dispetto della programmazione di ogni tipo, statale, regionale quattro gocce d'acqua riescono a sconvolgere un territorio e lo rendono irriconoscibile, dove i movimenti autonomistici sospingono la popolazione a rendersi cosciente di questo stato di difficoltà e di emarginazione peraltro evidenziato sia dal Consiglio regionale, svoltosi straordinariamente per la prima volta fuori della sede istituzionale, in Domodossola.
Mi sono anche particolarmente cari i temi della sicurezza sociale che investono un impegno di spesa per la metà del bilancio regionale. I prossimi due o tre anni dovranno registrare un serio impegno per recuperare i ritardi accumulati a livello centrale e periferico nell'attuazione della Riforma sanitaria, allontanando l'incombente pericolo di una caduta secca dei livelli assistenziali, riconoscendo ad ogni cittadino il diritto alla salute inteso come benessere fisico, mentale e sociale e non solo come assenza di malattia, quindi, mediante una programmazione sanitaria espressa attraverso il piano sanitario regionale, tendere all'abbattimento della cosiddetta frattura storica tra le attività igienico - profilattiche e quelle diagnostiche - terapeutiche.
L'intervento della Regione nel settore della sanità, dell'assistenza della sicurezza sociale deve tendere a manifestazioni promozionali dell'uomo, attore, protagonista e da ultimo fruitore di questi servizi proponendo una logica di governo che in qualche modo non sia appiattita sul servizio, sui bisogni primari, ma sia, in qualche modo, in grado di recuperare gli aspetti e le tendenze personalistiche, con riferimento agli stati di bisogno dei singoli cittadini, dell'uomo destinatario della sicurezza sociale, in ispecie dell'uomo capace di cogliere attraverso la protesta e il confronto il successo ed il beneficio personale.
Quasi superata la fase della soddisfazione dei bisogni di base, sono stati costruiti molti asili, ripristinati, sistemati, molti ospedali recuperate strutture assistenziali; fase sulla quale è stata costruita addirittura una cultura dei servizi. Altri problemi si presentano più complessi, più personali, più individuali: la cura del drogato, la rieducazione di un deviante minorile o al recupero degli handicappati. E' un discorso che ci porterebbe, ma lo rinviamo al più prossimo futuro, anche se il futuro non potrà non sottolineare e non penetrare in questi spazi dell'individualità, riaccendendo le speranze dei deboli, degli ammalati della popolazione anziana che sta costituendo la terza e la quarta fascia nella presenza della popolazione. Una fascia certamente corposa quella degli emarginati, di quanti non sono più protagonisti del processo produttivo e quindi privi degli strumenti di contrattazione e di pressione di confronto, di creazione, di conflittualità, dei quali abbondantemente sanno e possono usare le parti più efficienti delle componenti sociali quelle rappresentate dal mondo sindacale dei partiti Ed è la riscoperta di valori che appartengono ad un messaggio che, il più delle volte, riteniamo cristiano, ma altre volte, riteniamo semplicemente umano. Ed è proprio riflettendo su questo tema del deamicisiano e dell'umano che il pensiero corre al P.S.I. e al difficile quadro politico regionale, in parte collegabile ai risultati elettorali, all'arresto e all'inversione di tendenza nella lunga galoppata "al rialzo", in Piemonte e in Italia del P.C.I.
Un partito che consegue successi nelle zone di ceto medio e arretra in settori popolari e proletari, con un forte distacco dalle grandi masse del Mezzogiorno e dagli stessi giovani che hanno visto l'emergere di un altro partito di sinistra, un partito invisibile con il non voto, con le schede bianche, nulle, che ha veramente impressionato il popolo italiano.
Avevo accennato a Cecco Beppe e ai Borboni: "il potere è mio e il resto è terreno coloniale". Il gioco dei numeri prevale sempre, sta prevalendo anche in quest'aula ed è una regola della democrazia. E' espressione di democrazia e della domanda che con me si pongono molti cittadini di questo Piemonte, il modo con il quale oggi viene costituita la Giunta, con risvolti che sanno del coloniale nel senso migliore cioè, ad esempio, che la disamina di grossi problemi sul tappeto trova come asse portante, come principale elemento di riferimento la situazione di Torino-città dimenticando quanto sta succedendo alla periferia, che il Piemonte non è solo Torino e che c'è tutto un resto della comunità piemontese con una prorompenza, con un interesse, con una proposta di problemi a non finire.
Ed allora, in questa Regione si sta dando l'avvio, oggi, con le scelte che stiamo facendo, ad una filosofia del potere che fa impallidire le trascorse tentazioni democristiane, la cosiddetta "tracotanza della D.C.". Questa punta che nasce da Torino, a dispetto del voto della periferia, per tenere conto della situazione del capoluogo cos'è che non ha da spartire con il cosiddetto oscurantismo del Medioevo piemontese, rappresentato, allora, dal superpartito? Il pensiero, però, corre ancora al capitombolo elettorale della D.C.
del 1977 (Paganelli ha egregiamente dimostrato che c'è stato un grosso recupero); all'affogamento di allora nella Giunta della quasi intera rappresentanza del Gruppo del P.S.I. e ricordo quando, inascoltato, invitai i colleghi del P.S.I. a resistere alla tentazione di cotanto abbraccio, in riscoperta di valori mistici, peraltro immortalati da Raffaello Sanzio da Urbino nella famosa tela dedicata alla "Madonna della Seggiola"; alla sorpresa di "Rossotto", il cui cognome era l'unica giustificazione civile che gli consentiva di coniugarsi con la cosiddetta Giunta rossa; quindi, il discorso investe il P.S.I.: il suo ruolo, la sua storia, anche quella recente, le sue intuizioni per recuperare quegli spazi di fiducia e di consenso che aveva conosciuto nell'immediato dopoguerra (20,74 % dei voti) perso, poi, con una caduta verticale dopo il fronte popolare del 1948.
Un recupero concomitante con l'ingresso del P.S.I. nel Governo Cossiga recupero che il P.S.I. regolarmente consolida ogni qualvolta passa dall'opposizione al Governo della cosa pubblica. Il pensiero, dunque, e direi anche l'augurio è che il P.S.I. cresca ancora acquisendo quel ruolo di forza alternativa (non parlo più di centralità, perché dopo l'intervento del P.D.U.P. è sorta un po' di confusione), che è necessario al Paese e nel quale profondamente credo.
Ruolo che consente, però, nella tranquillità del confronto, nella certezza della salvaguardia dei valori di democrazia e del metodo democratico, il succedersi, l'alternarsi delle forze cattoliche e di quelle laiche; comunque, il succedersi, l'aggregarsi, l'incontro, tra le componenti popolari del Paese, così come avviene, all'interno delle grandi democrazie occidentali.
Per questo, di Enrietti, è piaciuto il suo tema sulla centralità; un po' meno è piaciuto il termine sulla corretta, giusta ambiguità socialista anche se è stato avvertito lo spirito, per la verità piuttosto contrario alla lettera e se lo spirito è da raccordarsi al noto articolo di luglio di Giolitti, sull' "Avanti", converrà dire che l'ambiguità del P.S.I. era sì, finalizzata all'alternanza socialista, ma era parimenti condizionata dalla maggiore e costringente ambiguità del P.C.I. - così almeno ha scritto Giolitti - e cioè: "l'ambiguità storica dei partiti comunisti, cioè l'impossibile c esistenza di ideologia rivoluzionaria leninista e di pratica riformista" ed ancora Giolitti scrive: "l'impegno del P.S.I. per la governabilità, perciò, si realizza a livello locale anche in alleanze con il P.C.I. nelle Giunte di sinistra dove la partecipazione del P.S.I. è determinante".
Questo credo che non sia soltanto uno scritto di Giolitti, ma appartiene alle decisioni e alle direttive del Comitato Centrale del P.S.I.
cioè all'ingresso del P.S.I. nelle Giunte di sinistra allorquando il suo ingresso diviene determinante. Il P.S.I. è stato dimostrato - non ripeto i numeri, i conti - non è determinante per una soluzione di sinistra, visto che il P.S.D.I. è solo tirato per i capelli, in funzione di salvataggio della Patria.
La domanda che si pone ancora il cittadino è: quali oscuri, tenebrosi condizionamenti, o quali suggestivi, esaltanti allettamenti, attraggono il P.S.I. verso tale sbocco? Si dice anche che è una conversione tardiva quella del P.S.D.I., e il suo è un sublimarsi, una riscoperta della vocazione a fare della politica pura. Così, almeno, pare dalle rinunzie che avete fatto su grossi Assessorati.
Una specie di francescanesimo prorompente e recuperato, in un partito che, avendo gestito nel passato tanti mezzi finanziari, oggi se ne spoglia e li scarica sul mega partito che con i suoi tre mega Assessorati gestirà quasi tutti i 2 mila miliardi del Piemonte. Il P.S.I. lascia i soldi, i beni terreni, passeggeri e transeunti e si arrocca in una specie di convento a fare della politica pura ed Enrietti, chiamato al ruolo di frate priore, saprà certamente far rispettare la regola.
Comprendiamo l'interesse del P.S.I. ad ottenere le migliori condizioni nella costituzione delle Giunte; comprendiamo anche l'opportunità per la Segreteria del P.S.I. di non offrire zone di fragilità all'esterno ed all'interno del partito. Questo consenso unanime, sorto sabato pomeriggio registrato dal Comitato del P.S.I., non appartiene alla storia del Partito Socialista Italiano e neppure alla notte dei lunghi coltelli che caratterizza il vostro riunirsi e, talvolta, anche quello della D.C. E' fuori della storia. Registriamo anche questo tipo di stranezze. Tuttavia dobbiamo anche dire che una somma di posizioni rigide verso la D.C.
potrebbe provocare un risultato opposto a quello desiderato, perché da molte parti ci viene mosso - pur con cautela, all'interno del partito della D.C. - un rimprovero, non del tutto arbitrario, di esserci posti troppo ingenuamente nelle mani dei socialisti.
Questo tipo di protesta, in assenza di segnali significativi, potrebbe avere conseguenze non tanto sulle alleanze centrali, ma sulla stessa credibilità del P.S.I. e richiederebbe un approfondimento critico-morale del concetto di ambiguità.
Non vado a rispolverare il tema dei veterostalinisti, che si contrappongono alle scelte laburiste del P.S.I. e quindi al discorso di Craxi a Milano; né a rinverdire sterili polemiche.
E' necessario prendere atto che quanto sta accadendo oggi, in Piemonte frustra, mortifica, arretra il balzo in avanti del P.S.I. con una lunga marcia, verso l'Europa, verso un socialismo aperto, dal volto umano, ripeto deamicisiano, con il quale è possibile incontrarsi ed intendersi.
Qualche settimana fa veniva assassinato a Milano Walter Tobagi - direi un cattolico socialista - ed è stato detto che con lui si era voluto colpire la fascia riformistica, di mediazione, all'interno della sinistra e della società. Ed era vero, perché, dovrebbe essere questa, la dimensione nuova a cui i socialisti - si dice - aspirano ad occupare nel mondo politico. E' un tipo di proposta che desta molte attenzioni all'interno della D.C. e che si pensa, contro interessi egoistici di partito, possa essere utile al Paese, alla democrazia.
A questo punto il passaggio è obbligato, filtra, si perfeziona attraverso la riscoperta del ruolo dei cosiddetti partiti minori o di democrazia laica. La funzione dei quali, De Gasperi, sin dal 1948 - in un tempo di fortune elettorali per la D.C., con risvolti di larga autosufficienza per governare il Paese - intuì felicemente. Un ruolo essenziale, la cui forza non si riscontra tanto nella corposità di una dimensione elettorale, quanto nella vivacità di una presenza nel Paese nella robustezza della proposta politica. Neppure tanto per sbloccare la cosiddetta tracotanza o arroganza della D.C., perché è stato dimostrato, in questa seconda legislatura, che è esistita ed ora non esiste più (non dimentichiamo mai, il superpartito; neppure per compensare forzature o impossibili, quanto per dare freschezza al dibattito politico, al quadro dialettico, in un civile confronto). Ed è una lezione avvertita anche a Roma - Presidente Benzi - se è vero, com'è vero, che a livello centrale c'è la proposta di allargare i margini della collaborazione governativa, magari in riparazione di formali ed iniziali restringimenti. Questo ci rendeva accetto e sopportabile il discorso sulla Giunta laica, che è forse meglio accantonare.
Dopo l'8 giugno abbiamo guardato con particolare attenzione al P.S.D.I., non fosse altro perché P.R.I. e P.L.I. si erano già espressi per un "no", autorevole e definitivo alla soluzione di sinistra. Il P.S.D.I.
sino a pochi giorni fa aveva assunto posizione unanime: da Longo a Romita da Nicolazzi a Benzi; aveva dichiarato la sua "non disponibilità" alla votazione di una Giunta di sinistra. Per coerenza con gli impegni elettorali, per rispetto ai risultati elettorali che, dalla Giunta laica al tripartito, al pentapartito, hanno offerto larghi spazi a soluzioni non di sinistra; mentre, nei risultati elettorali la Giunta di sinistra, in Piemonte, non c'è.
Una Giunta di sinistra che bisognava, ad ogni costo, impedire che nascesse, così come scrisse, autorevolmente, con sottile, intenzionale e finalizzato umorismo, il Presidente Benzi su "Notizie del Piemonte" di febbraio-marzo '80, segnalando la possibilità di fare alcune proposte concorrenziali alla politica legislativa della precedente Giunta (citava la pesca della trota in Piazza Castello, la proibizione della caccia del mammuth). Erano proposte buttate come satira, ma avevano un valore intenzionale e rappresentavano una scelta, e non solo una scelta, ma anche il giudizio del P.S.D.I. Era umano che non avessimo dubbi nei confronti del vostro modo di muovervi, colleghi del P.S.D.I., perché non molto tempo prima a Roma, ai primi del 1980, con altri amici delegato al Congresso della D.C., ero stato richiamato - uno, tra i congressisti - dal Segretario del P.S.D.I., Longo, a resistere all'invito di una parte della D.C., di aprire ai comunisti e a conforto di ciò Longo citava gli autorevoli "interventi - richiamo" dell' "Osservatore Romano". Figurarsi se noi in quel momento avessimo manifestato così, al di là delle forme, almeno un'attenzione di semplice simpatia al P.D.U.P. o avremmo così proposto delle soluzioni che passavano come passa questa di oggi attraverso il P.D.U.P. Nessuna cortina fumogena, dunque, neppure quelle che i sigari del signor Presidente, in formidabile e pestifera coppia con il collega Borando, avrebbero potuto offuscare questo nostro modo di credere, questo modo di muoversi del P.D.U.P.
Il ruolo della D.C. l'hanno svolto e sviluppato altri, avrei voluto citare in questo intervento dei richiami che il collega Bianchi aveva lasciato come memoria, come sollecitazione per il nostro modo di essere all'interno del Consiglio regionale, ma l'ora è tarda, il tempo fugge e la cortesia dei colleghi è stata ampiamente violentata. Il discorso voleva riproporre questi pensieri di Bianchi, magari anche in chiave di distorsione, ma è anche questo un modo solo umano per ricordare la sua presenza fra di noi nel passato la leadership del Gruppo democristiano.
Affrontiamo questa terza legislatura nonostante i risultati con entusiasmo rinnovato e nonostante quanto sta succedendo e che certamente all'esterno potrà dare a loro, a coloro che riescono ad incontrarsi in una sommatoria di presenze, di voti, un risultato che consente la gestione del Piemonte, ma crea certamente perplessità, senso dello smarrimento che costituirà altre occasioni per creare altra sfiducia nei giovani, che affrontano la politica senza calcoli, con generosa lealtà, aborrendo le macchinazioni, le tortuosità, il non rispetto degli indirizzi elettorali popolari, per cui potrebbe apparire magari strana la proposta di soprassedere, di rinviare, di aggiornare questo tipo di conclusione, perch qui c'è fretta, perché fuori Torino ci sono Giunte locali che attendono da tempo il coronamento, il concludersi, attraverso l'esplicitazione attraverso un passaggio di affidamenti gestionali, amministrativi, il risultato elettorale; qui oggi si deve a tutti i costi stabilire questa lunga galoppata.
Penso che si potrebbe comunque tentare questo tipo di riflessione, lo dico particolarmente ai colleghi socialisti e socialdemocratici, tutto è recuperabile, anche la Giunta che nasce oggi, meno recuperabile è la prospettiva che il Presidente Viglione offre per il lungo periodo. Ci auguriamo che questa Giunta che nasce oggi possa avere la vita necessaria per dare risposte che sono necessarie al Piemonte, ma dico anche con tanta semplicità, con la stessa umiltà del Presidente che noi dovremo percorrere o un altro tipo di strada ricercando un altro risultato e di quello assieme di riflettere sui mali e guasti che attanagliano questo Piemonte confrontarsi attraverso i programmi e assieme proporre una soluzione anche organica di gestione che possa rispondere e non essere contraria ai risultati che sono nati con le elezioni dell'8 giugno.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Situazione occupazionale Indesit. Presentazione di un ordine del giorno


PRESIDENTE

Mi è pervenuto un ordine del giorno riguardante la situazione dell'Indesit firmato da tutte le forze politiche. Tale documento verrà telegrafato a Roma, in vista della riunione che si terrà domani "Il Consiglio regionale del Piemonte, udite la relazione del Presidente Benzi e le risultanze dell'incontro dei Capigruppo con la delegazione del Consiglio di fabbrica Indesit e F.L.M., esprime la sua più profonda preoccupazione per la grave crisi in cui versa a complesso che interessa assieme ai lavoratori direttamente impegnati nell'area torinese e in quella del Casertano, anche centinaia di altre aziende dell'indotto con migliaia di altri lavoratori.
In particolare il Consiglio regionale ha preso atto che, dopo le sollecitazioni del sindacato, della Giunta regionale del Piemonte, della Campania e del Ministero del lavoro, l'Indesit ha presentato una bozza di proposta produttiva e finanziaria che dovrà essere ora verificata rapidamente per definire un preciso progetto per i settori dell'elettronica e del 'bianco' al fine di garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali, ed in questo ambito verificare la richiesta dell'Indesit di inserimento del complesso nei provvedimenti previsti dalla legge di riconversione e ristrutturazione industriale 675.
Il Consiglio regionale torna a ribadire in questo quadro l'importanza del credito immediato che, seppure di per sé non risolutivo, costituisce nella situazione data,la condizione essenziale per poter avviare la ripresa, consentire prime attività e primi pagamenti, rendendo così possibili quelle successive misure che l'azienda e lo Stato dovranno mettere in atto per realizzare il progetto produttivo. Ciò costituisce del resto l'impegno assunto presso la sede del Ministero del lavoro nella riunione del 17 luglio. Il Consiglio regionale ritiene che attorno a questo impegno di ordine immediato debba esprimersi l'iniziativa del Governo fin dalla riunione con gli Istituti di credito prevista per domani, mentre ogni altra ipotesi di fatto oggi risulterebbe dilatoria e quindi di grave pregiudizio rispetto ad una situazione che potrebbe rapidamente precipitare.
Il Consiglio regionale assume unanime il presente ordine del giorno, in quanto riconosce nell'Indesit S.p.A. le condizioni oggettive per superare le difficoltà contingenti di un'azienda che ha caratteristiche tali da poter avere concrete prospettive di ripresa produttiva e di conduzione economicamente attiva".
Pongo in votazione il documento.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato all'unanimità dei 60 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni

Prosecuzione dibattito sul documento programmatico della futura Giunta


PRESIDENTE

Riprendiamo la discussione sul documento programmatico della Giunta.
Ha la parola il Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ci dispiace di aver fatto attendere tanto quello che ci pare un interessamento, in parte interessato di alcune forze politiche. Vogliamo subito dire che nessuno di noi è salito sul Monte Sinai a prendere le Tavole della Verità rivelata, perchè nessuno di noi possiede, già confezionata, la verità in tasca. Siamo un partito laico e quindi pensiamo che le verità non si posseggano in assoluto o fideisticamente, ma che le verità, come la giustizia, si costruiscono con lo sforzo e con la collaborazione di tutti, quello sforzo e quella collaborazione di tutti cui ci richiamiamo nella nostra azione e che ancora una volta chiediamo alle forze presenti in questo Consiglio.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la terza legislatura regionale si è aperta in un momento non facile, specie per l'economia piemontese. Di qui una sollecitazione affinché tutte le forze politiche presenti in Consiglio responsabilmente collaborino per una rapida soluzione circa il nuovo assetto degli esecutivi regionali. Certo, attraverso scelte meditate coerentemente agganciate alle indicazioni generali emerse dalla consultazione elettorale, e sempre più e meglio radicate nel contesto sociale ed economico piemontese. Quindi scelte non frettolose, quale non è certamente quella che sta alla base delle indicazioni che il Gruppo socialdemocratico darà nel prosieguo di questo dibattito, né scelte definitive nel senso di ossificate aprioristicamente su posizioni da ritenersi immutabili, ma aperte ai vari contributi, secondo quella caratteristica di mobilità ed evoluzione (nel senso di rispondenza alla dinamica sociale) propria della politica.
Già nella nostra prima seduta di Consiglio avemmo occasione di sottolineare questa urgenza con la proposta di costituire subito un Ufficio di Presidenza e su tale indicazione riscontrammo il consenso pressoch unanime di quest'assemblea nella persona del compagno Benzi, Consigliere del Gruppo socialdemocratico. Occorre oggi continuare su questa strada; le notizie e le prospettive emerse dal mondo economico, in questo intervallo con maggior vigore ed enfasi ci debbono indurre a riflettere sull'opportunità di dare rapidamente anche alla nostra istituzione quella capacità di rappresentanza e di esecutività necessarie affinché la Regione possa, come deve peraltro, dare il proprio contributo nell'approfondire misure tecniche, strumenti operativi, nonché indicazioni programmatiche volte a superare un momento non facile per il Piemonte e per i piemontesi Occorre, forse, una volta tanto, riacquistare la dignità di rappresentante pubblico, di difensore estremo della cosa pubblica e accantonare per un momento il bagaglio dei tatticismi e delle formulazioni appiccicose, che troppe volte ci portiamo dietro, triste fardello del frazionismo talora esasperato.
E' sulle fondamenta di questo senso di responsabilità che il Gruppo socialdemocratico ha sviluppato la sua azione coerente subito dopo l'8 giugno, al fine di garantire in tempi correttamente brevi un governo regionale che, con fermezza e con atteggiamenti più pratici, affrontasse i nodi piemontesi. Dare al Piemonte una spinta decisiva per uscire dalle secche e farlo diventare un'area alternativa e concorrenziale con le altre aree forti europee in funzione del Mediterraneo, questo è l'obiettivo per il quale occorreva, e occorre ancor più oggi, impegnarsi tutti istituzioni, forze sociali, economiche, culturali, presenti nel contesto sociale piemontese, attraverso il ricorso a capacità di innovare, sforzi di immaginazione e volontà di percorrere vie nuove. Le indicazioni dell'elettorato davano peraltro conforto alla nostra riaffermazione della necessità di dare fiato e corpo ad un'iniziativa regionale meno grigia attraverso l'occasione importantissima assegnata ai partiti di democrazia socialista e laica di diventare centro e nerbo determinante di nuovi e rinnovati coaguli politici.
Una proposta socialista e laica per la crescita della società piemontese avrebbe rappresentato un'inversione di tendenza sui sempiterni un po' peraltro soffocanti, confessionalismi e dogmatismi. Mi consenta il Presidente Viglione, noi non parlammo di Giunta laica sic et simpliciter ma di una Giunta di area socialista che vedesse riaffermata o affermata finalmente la centralità delle forze socialiste con l'aggregazione anche delle altre forze di democrazia laica o delle altre forze democratiche presenti in Consiglio. La proposta originaria a cui il P.S.D.I. ha dato corpo ha fornito alla comunità piemontese una stimolante occasione di confronto e riflessione per la cultura profondamente laica del Piemonte e poteva diventare un momento importante di essere interprete fedele delle esigenze di sviluppo delle forze piemontesi nella varietà delle loro estrinsecazioni e nei diversi livelli di operatività.
Abbiamo constatato, attorno alla nostra proposta, reazioni positive anche lusinghiere, dimostrando che vi era la possibilità, numerica e politica, anche in Piemonte di percorrere questa strada. Purtroppo dopo le prime reazioni, sufficientemente incoraggianti, da parte del P.S.I. (che rappresenta un momento certamente decisivo in questa strategia), abbiamo constatato l'impossibilità di proseguire a percorrere questa strada.
Peraltro l'intervento del rappresentante socialista, nella seduta del 14 luglio, ne fu un'anticipazione. Ciò nonostante crediamo che ancora si possa tentare di riaprire una discussione attorno alla nostra ipotesi in un futuro più o meno lontano, auspicando nel P.S.I. un ulteriore esame complessivo sull'opportunità di approfondire la nostra proposta per costituire assieme un momento convergente ed aggregante di proposta politica e programmatica, uscendo dall'infelice stato, di cui parlava il rappresentante socialista, di una corretta ambiguità socialista. Caso mai è di maggior chiarezza che occorre circondare l'azione politica sui temi del tessuto sociale piemontese, specie di quello più degradato. Ma il ribadire questa nostra posizione non può arrivare al punto di farci accusare di testardaggine cieca e di indisponibilità preconcetta.
Responsabilmente ci siamo posti il problema della necessità di governabilità che oggi emerge con tutta forza dalla società. Ci ha stupiti la lettura della dichiarazione dell'on. Galdolfi, secondo il quale i licenziamenti annunciati sono una normale misura congiunturale. Crediamo che diverse debbano essere le valutazioni; sono problemi di mobilità problemi strutturali legati alla diversificazione produttiva e all'acquisizione di nuovi mercati.
Di qui la decisione del Gruppo socialdemocratico, ratificata dagli organi del partito, di qui l'indicazione del Gruppo a votare a favore del Presidente della Giunta, di qui l'astensione dall'elezione della Giunta. Il voto sul Presidente discende dalla necessità di assicurare un governo alla Regione Piemonte, tant'è vero che dove il nostro voto non è indispensabile e determinante per assicurare la governabilità alle Giunte di stretta socialcomunista, non viene assicurato. Questo atteggiamento è per un verso tecnico, nel senso che non vi sono né firme di sottoscrizione nel documento né presenza di rappresentanti del Gruppo socialdemocratico all'interno dell'esecutivo, ma è anche politico in quanto vuole riaffermare l'autonomia del Gruppo socialdemocratico anche di fronte ai grandi temi dell'occupazione. Il nostro atteggiamento ha carattere di temporaneità, se non vogliamo usare il termine provvisorietà, in attesa che inizi celermente il confronto e la verifica programmatica sulle scelte e sulle direttrici del governo piemontese e che maturino ulteriori indicazioni del quadro politico generale che in questa sede deve essere tenuto nella dovuta considerazione.
A settembre si faranno ulteriori valutazioni, si assumeranno atteggiamenti magari anche diversi in modo da coinvolgere altri partiti maggiormente ancorati alle verifiche programmatiche. Intendiamo aprire subito il confronto sui programmi e sulle scelte per dare risposte positive ai bisogni della comunità piemontese.
Anche noi avremmo già alcune considerazioni e valutazioni da fare sul documento presentato, ma credo che non sia questo il momento anche se diciamo subito che abbiamo rilevato uno scarso rilievo sul ruolo delle Comunità montane, che in Piemonte hanno un'incidenza notevole sul piano economico e sociale. Avremo altre occasioni per approfondire questi temi tanto più che il taglio che ha assunto oggi la discussione è meramente politico.
Mi avvio alla conclusione respingendo l'accusa di aver fatto passare una Giunta di sinistra minoritaria. Abbiamo tentato una strada diversa sulla quale però forze più responsabili, che gestiscono la politica nazionale, non hanno voluto seguirci fino in fondo. Di qui la nostra decisione improntata al senso di responsabilità e che risponde alle indicazioni dell'elettorato. Il Consigliere Capogruppo della D.C.
Paganelli, ci accusa di non aver seguito fino in fondo le indicazioni della politica nazionale. Vorrei ricordare la posizione del compagno Longo nei confronti della D.C., specie dopo il fatto, certamente non bello, del Cossiga/bis. La nostra posizione risponde alle indicazioni che abbiamo dato all'elettorato nella campagna elettorale. Non siamo andati in sintonia con la Democrazia Cristiana, abbiamo mosso rilievi ed osservazioni su alcuni aspetti dell'operato della precedente amministrazione. La nostra proposta colloca il nostro partito nell'ambito della sinistra democratica e progressista, quindi può dare delle indicazioni operative ai partiti della sinistra.
Un ultimo riferimento all'intervento del collega Montefalchesi stia tranquillo che anche noi non siamo per l'interscambiabilità con il P.D.U.P.
Mi consenta di rifiutare il settarismo che ha caratterizzato il suo intervento, peraltro male, storico della sinistra italiana nel suo complesso. La nostra storia ci colloca nell'ambito della sinistra democratica con buona pace del collega Montefalchesi, una sinistra democratica laica, non demagogica, senza catechismi pronti e confezionati.
Vorrei anche allontanare il sospetto che la difesa della classe lavoratrice debba per forza coincidere con il P.D.U.P.: vi sono anche nelle altre forze politiche capacità e modi di espressione a difesa e a tutela della classe lavoratrice.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Signor Presidente e colleghi, per la seconda volta dobbiamo eleggere la Giunta regionale attraverso un'operazione a sorpresa, che qualcuno chiama trasformistica, che comunque forza e non rispetta la volontà degli elettori.
Dopo il fatto dell'ex liberale Rossotto del '75, a consentire oggi l'operazione sulla quale è stato persino invocato l'aiuto-divino (ex P residente Viglione) sono ora tre socialdemocratici, i quali giustificano il loro comportamento nei confronti degli elettori che - credo - hanno dato loro un mandato anticomunista. Si propone oggi una formula più o meno corrispondente a quella precedente, all'insegna della stabilità, del buon governo e della continuità. Se così è, non comprendiamo perché sia mutato il vertice precedente e siano cambiati persona:ci illustri e prestigiosi della passata legislatura, come l'Assessore Astengo, il quale anche se non era da noi condiviso, aveva accolto nostri importanti suggerimenti e che ha concorso a dare un taglio importante e preciso alla politica regionale precedente. La realtà è che comunque il Piemonte sarà ancora governato secondo logiche e regole di potere che contrastano con la struttura economica e sociale, con il pluralismo, con la libertà nella cultura, nella scuola, nell'assistenza nei settori produttivi, specialmente in quelli delle campagne ove più stridente è stato e sarà il contrasto tra le decisioni dei governanti regionali e la vita delle popolazioni. Si continuerà, in sostanza, a governare contro la grande maggioranza della nostra gente, anche di quella che ha votato a sinistra, ma non certamente per modificare e compromettere il sistema economico e sociale, come ha affermato un illustre personaggio comunista recentemente scomparso che ha portato al Piemonte e all'Italia tanto benessere e tanta libertà.
La maggioranza socialcomunista ha compiuto nella passata legislatura molti atti che sono contro certe regole del nostro sistema e tanti e più gravi presumiamo ne compirà sicuramente nel prossimo quinquennio se gli amici socialdemocratici le daranno la forza per farlo fino a minare le fondamenta del nostro sistema di vita.
A seguito della decisione degli amici socialdemocratici e di questa operazione il nostro partito è rimasto l'unico polo di riferimento.
Aumenteremo il nostro impegno e la nostra azione per ridurre al minimo i danni per la nostra società. La nostra sarà un'opposizione costruttiva, più vivace e meno tollerante di quanto è stata in passato, per adeguare la nostra azione alla maggior forza operativa che la Giunta di sinistra forse tenterà di sviluppare nel secondo quinquennio, pur essendo sul piano politico meno omogenea della precedente e meno rappresentativa. Siamo curiosi ed impazienti di sapere dove passerà la linea di compromesso tra il P.S.D.I. e il P.S.I. rispetto al P.D.U.P. sui grandi problemi della nostra società. Già oggi sono echeggiati due discorsi diversi e contrastanti tra il Capogruppo del P.S.I. e il rappresentante del P.D.U.P. sui grandi problemi dei trafori, dell'Europa e sulle grandi democrazie occidentali.
Come ho già accennato, il contrasto maggiore con la politica di sinistra si avverte nel mondo dell'agricoltura: incomprensione dei problemi, incompetenza, incapacità operativa, mancanza di impegno politico scarsa sensibilità e conseguente insufficiente impegno finanziario rispetto al peso che l'agricoltura piemontese ha nell'economia generale sono emersi nei decorsi cinque anni e non c'è motivo per non ritenere che tutto ci permanga e aumenti, non per la mancanza di volontà e di impegno (più volte ho dato atto al collega Ferraris di aver fatto tutto quanto era nelle sue possibilità personali ed umane), ma per la rappresentatività quasi nulla e per l'inesistente collegamento politico con il settore, con la concezione ideologica troppo diversa esistente tra la Giunta che emana i provvedimenti e gli operatori agricoli che tali provvedimenti devono recepire e attuare.
Che il consenso in periferia a favore delle sinistre, già scarso in passato, si sia ancora ridotto è dimostrato dai numeri. Nella città di Torino le sinistre sono andate avanti, ma se il numero dei seggi è uguale vuol dire che da qualche altra parte i consensi sono venuti a mancare questo è un dato aritmetico. Se poi limitiamo il discorso al P.C.I. che ha perso due seggi pur avendo aumentato i consensi in Torino, il distacco aumenta ancora. Abbiamo avuto nelle campagne cinque anni non produttivi a volte disastrosi più sul piano gestionale e pratico che non sul piano legislativo, nonostante le sempre ottimistiche affermazioni, gli impegni e le promesse del Presidente Viglione.
La politica regionale anziché grandi benefici all'agricoltura ha arrecato in molti casi gravi danni, accresciuti da motivi extraregionali dalla svalutazione galoppante. L'attesa di tre, quattro anni per ottenere i benefici previsti dalle leggi ha rovinato aziende, famiglie, ha provocato l'abbandono delle campagne da parte di molti giovani, ha fatto aumentare gli oneri a carico degli agricoltori, alcune imprese che eseguono le opere sono sull'orlo del fallimento perché la Regione non versa nei tempi previsti i soldi che ha in cassa; gli uffici sono piombati in un caos grave, ingoiano tonnellate di domande che vengono manipolate da un numero eccessivo di nuovi funzionari costretti ad affrontare compiti per i quali non sono stati preparati, mentre i funzionari capaci più anziani vengono mortificati sovente e non incentivati. Così i documenti girano da un ufficio all'altro e per dirla in termini zootecnici "c'è una ruminazione perpetua che non arriva mai alla digestione".
Questa è la triste situazione in cui si trova il settore ufficialmente chiamato primario per il quale sia la Giunta uscente che quella entrante hanno assunto impegni di priorità e centralità. Prova ne è la difficoltà di avere situazioni aggiornate, richieste per scaglioni e per anni, sulle domande pervenute, verifiche più che mai utili per vedere se gli interventi hanno inciso e prodotto risultati positivi. Così non siamo riusciti ad avere i consuntivi politici e tecnici chiesti tante volte sulla cooperazione, sull'associazionismo. Altro che programmazione di cui tanto si parla! Si è agito nella più completa discrezionalità. Molti sono i dubbi e le voci su presunte irregolarità o su iniziative mancanti delle finalità e dei requisiti necessari. La Giunta si ripresenta o i con poco più di una pagina delle 27 del documento programmatico: senza dare una risposta ai tanti e gravi interrogativi, senza accennare ai gravi problemi che, sono convinto, l'Assessore avrà sul suo tavolo. Mi auguro che la Giunta tenga tonto di queste affermazioni ed assuma provvedimenti concreti quando presenterà i progetti operativi in quanto il documento si limita a fare generiche affermazioni di principio, parla di qualificazione del personale di efficienza e di tempestività. Questo già significa che ammette che molte cose non funzionano. Ebbene, stiamo in attesa e vogliamo sapere se c'è la volontà di rimediare a queste disfunzioni.
C'è una frase che direi un po' provocatoria: "rimuovere gli ostacoli frapposti dal Governo nazionale". Colleghi della Giunta che sta per insediarsi, prima di guardare le pagliuzze negli occhi degli altri guardiamo le travi nei nostri. Si vogliono accelerare i piani agricoli zonali, ma non si dice come. Persistendo nel voler operare contro gli agricoltori come abbiamo constatato recentemente o adeguando la normativa alla realtà? Anziché dare risposte ai problemi che sono sul tappeto, si va nell'utopia parlando di: "raccolta di redditi intersettoriali con vasto sistema di casse rurali". Qual è la traduzione di questa affermazione? Così è poco comprensibile e non realistica la proposta delle imprese associate di produzione formate da soggetti portatori di fattori produttivi differenti. Forse questo si può tradurre con parole più semplici. Si dica piuttosto quale frutto hanno dato i finanziamenti alle cooperative di produzione, costituite ai sensi della legge 285. Si dica come la Giunta che sta per insediarsi intende affrontare e risolvere il drammatico problema del latte e della zootecnia che interessa molte delle migliori aziende agricole piemontesi.
Dopo cinque anni di impegni e di promesse nel campo dell'irrigazione settore strutturale portante, si dice che l'irrigazione "deve avere un uso plurimo". Che fine hanno fatto il piano delle acque, gli studi e le indagini che tanti soldi sono costati alla Regione e alla collettività piemontese? Il Capogruppo Viglione ha citato varie volte la crisi agricola senza andare oltre a quell'affermazione. Che cosa propone la Regione per rimediare alla crisi agricola? Ho posti alcuni interrogativi e accennato a qualche problema per dimostrare l'inadeguatezza del documento programmatico nei confronti di vari settori e in particolare nei confronti dell'agricoltura, specialmente a seguito ed in riferimento alla gestione passata che consideriamo non positiva. Le poche parole del documento non danno alcun elemento che possa farci dare un giudizio positivo sugli intendimenti della nuova Giunta regionale. Pertanto, come già è stato espresso dai colleghi, siamo obbligati ad esprimere in questa occasione la non fiducia alla Giunta regionale che sta per essere eletta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Astengo.



ASTENGO Giovanni

Signor Presidente e colleghi Consiglieri, nella più circoscritta funzione che il partito mi assegna in questo momento mi corre l'obbligo di segnalare che, pur condividendo in complesso il disegno generale delineato dal documento programmatico presentato per l'elezione del Presidente della Giunta, non posso non rilevare alcune carenze e chiedere alcuni chiarimenti ai fini di una più corretta lettura del documento stesso.
La prima carenza che rilevo è un esplicito aggancio con il programma che fu posto alla base della nascita della prima Giunta di sinistra alla Regione Piemonte, nell'agosto del '75, il riferimento alla compiuta sua attuazione nei cinque anni trascorsi e la dichiarata volontà di esprimere con la Giunta che si va formando la continuità ideale e politica rispetto alla precedente. Manca il giudizio, peraltro verbalmente espresso in modo positivo negli interventi dei Capigruppo delle due maggiori componenti della passata e dell'attuale Giunta, ma la cui esplicitata conferma varrebbe ad eliminare ogni possibile ombra. Così come mi pare necessario aggiungere qui anche solo due parole sulla quinquennale guida della Giunta da parte del compagno Viglione. Soprattutto in questo momento noi tutti della Giunta di sinistra della passata legislatura e della maggioranza che l'ha sostenuta dobbiamo essere grati al Presidente Viglione per aver dimostrato in cinque lunghi anni una coerenza di indirizzo politico, una vivacità intellettuale e un'operosità indiscutibili oltre ad una stimolante lungimiranza di guida. Questa testimonianza va tenuta presente perché la linea tracciata dalla prima Giunta di sinistra passi con tutte le sue potenzialità nella Giunta che ora si va ad eleggere. Ma vi sono altre specifiche carenze che mi pare vadano colmate nel futuro programma dettagliato che è stato promesso per settembre. Occorre, ad esempio un'esplicita affermazione della difesa dei diritti regionali nei rapporti Stato-Regione, con la richiesta che il Governo nazionale assolva agli impegni assunti con il D.P.R. 616, come competenza dello Stato. Cito uno per tutti il mancato adempimento, finora, del primo comma dell'art. 81 del D.P.R. 616 ed in particolare la mancata identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale e così via, e cioè di quel quadro generale di riferimento in assenza del quale non potranno trovare coerenza i vari piani regionali che sono attualmente allo studio delle varie Regioni italiane. La, richiesta che questo adempimento sia al più presto avviato e realizzato da parte del Governo non può però essere soltanto un'espressione platonica, va sostenuta dall'impegno di portare il problema prima in sede interregionale e quindi in sede parlamentare. Manca inoltre ogni accenno alle varie iniziative interregionali, che nella passata legislatura furono condotte, sia pure settorialmente e che dovrebbero essere ora riprese anche in una visione di più stretti ed integrati rapporti e ciò per il necessario interscambio informativo e per concordare azioni comuni o comunque convergenti di fronte ai vari tentativi del Governo di discriminare le Regioni nell'approvazione delle leggi regionali, spesso in modo discrezionale ed arbitrario, e di fronte alle varie incombenze legislative ed amministrative che il Parlamento e il Governo assegnano via via alle Regioni; oltreché per rinsaldare la difesa delle Regioni stesse di fronte ai frequenti tentativi di apportare alle leggi nazionali vigenti sostanziali attacchi di tipo riduttivo.
Un accenno soltanto alla legge 10 è sufficiente per richiamare i vari tentativi di stravolgere, tentativi che sono tutt'altro che sopiti.
Un'azione quindi di vigilanza, di reciproca informazione, di scambio di esperienze in cui le Regioni tutte siano presenti e si recuperi nel concreto il divario strutturale e comportamentale esistente fra nord e sud e fra Regioni a differente maggioranza politica. Nel concreto infatti l'abbiamo constatato nelle riunioni interregionali tenute presso la nostra sede romana sui temi urbanistici e cartografico - informativi - le differenze strutturali e politiche si attenuano e un accordo su temi precisi si rende possibile. Lo fanno i Comuni con l'ANCI perché non possono organizzarsi in modo associativo anche le Regioni? Venendo ora ai temi più strettamente pertinenti della nostra Regione e senza la pretesa di sviluppare un discorso sistematico, ma solo per toccare alcuni punti salienti, accenno a tre temi essenziali: la politica industriale, la politica del territorio e quella della casa e dei servizi.
Sul primo tema vorrei dire solo che oltre alle linee trattate dal documento in senso generale dovrebbero, a mio avviso, esservi delle integrazioni più specifiche relative agli interventi che sono possibili nell'ambito delle competenze regionali. Il problema occupazionale che ci travaglia e che assumerà punte acute nei prossimi mesi è strettamente connesso al riordino e al riassetto di tutto il settore produttivo e non solo dell'automobile e del suo indotto. Una visione adeguata all'ampiezza dei problemi di localizzazione, di efficienza infrastrutturale e delle operazioni di intervento pubblico per il recupero e il riordino degli impianti produttivi in tutta la Regione. Certo, nell'area metropolitana torinese la presenza degli impianti industriali costituisce una serie enorme di problemi per la frammistione con le residenze in alcune aree, per la congestione disordinata di impianti in altre, per la loro irrazionalità complessiva nell'insieme che certamente non forma un sistema. Questo è uri nodo reale.
Le aree industriali dei 24 Comuni della prima e seconda cintura occupano 3.973 ettari, pari al 20 % della superficie urbanizzata, con una delle più alte percentuali di entità di impianti produttivi in aree metropolitane. Si noti che le aree Fiat rappresentano solo 1/3 di questa dimensione. Vi è quindi un tessuto estremamente ampio che deve essere esaminato e razionalizzato, con un lavoro lungo, paziente, sistematico che richiede innanzitutto analisi approfondite, l'individuazione di contro misure adeguate e un lungo e lento processo di attuazione. Ora il campo dell'analisi è già stato avviato e condotto a parziale compimento dalla Commissione da me a suo tempo promossa e i cui risultati dovrebbero essere pubblicizzati fra non molto, facendo parte delle varie iniziative cui far riferimento in chiusura. Non partire da questo processo analitico, che nell'intenzione di allora avrebbe dovuto quindi estendersi, mezzi permettendo, all'intera Regione e a mio avviso è indice di non sufficiente attenzione al problema.
Una maggior riflessione su questo argomento è dunque indispensabile se si vuole far sì che la Regione incida sul processo produttivo con iniziative non solo di generale indirizzo, ma con un lavoro costante e capillare che dia hic et nunc la risposta ai singoli localizzati problemi che certo non sono solo di aree - ne siamo tutti convinti - ma di organizzazione settoriale e intersettoriale, di promozione delle ricerche e dei trasporti, ma che dallo stato attuale delle condizioni localizzative comunque deve partire e ad uno stato di riordinata localizzazione deve tendere, in un quadro non più dominato dal solo colosso Fiat da una parte e dall'atomizzazione e disseminazione di tutto il resto, ma in cui l'attività produttiva nell'area metropolitana torinese in tutte le sue esistenti ed ampie diversificazioni trovi migliori condizioni di sviluppo e di qualità ambientale. Solo allora l'aspirazione ad una competitività europea potrà essere fondata su fatti accertati, voluti ed attuati, altrettanto dicasi per l'attività artigianale oggi troppo spesso mortificata da condizioni di lavoro arcaiche che debbono essere capillarmente risolte con piccole diffuse aree artigianali attrezzate, incentivando un processo peraltro già avviato.
Sulla politica del territorio vorrei invece spendere qualche parola in più, perché non posso tacere in questo settore il mio profondo dissenso sul testo che è stato distribuito, in particolare sulla pagina n. 18 del documento. Queste poche frasi che sono contenute in questa pagina contengono oggettivamente delle affermazioni non condivisibili e degli apprezzamenti ingiusti sulla passata gestione. Non è infatti per me condivisibile l'affermazione contenuta nel primo capoverso di pagina 18 laddove si afferma che per la legge 56 occorre passare da un'impostazione normativa di tipo ancora parzialmente vincolistico ad una impostazione più attiva e più articolata. Ora chiedo che cosa significa questo; cambiare la legge 56, già peraltro integrata e modificata dalla legge 50 di pochi mesi or sono, oppure incentivare una rapida attuazione in modo che i contenuti operativi che essa porta in sé abbiano a dispiegare la loro efficacia? Se si tratta del primo significato allora chiedo che mi si dica esattamente cosa si intende modificare e cosa si intende e se l'espressione usata richiede una correzione.
Il terzo periodo di questa pagina, mi si consenta, è del tutto inaccettabile. Non posso, sia come Assessore uscente e come Presidente del CUR subire l'invito a migliorare il controllo sugli atti di pianificazione dei Comuni, passando da una verifica limitata alla conformità normativa ad un procedimento attivo di coordinamento ed integrazione dei piani comunali entro la programmazione e pianificazione regionale. Questa affermazione contiene due distorsioni; una è distorsione della verità, perché mai in due anni e mezzo dalla sua costituzione né l'Assessorato né il CUR si sono limitati alla gretta "verifica di conformità normativa", come si legge testualmente, ma esso è entrato in ogni problema, nel vivo dei contenuti sempre tuttavia nel rispetto delle autonome scelte comunali e svolgendo anzi, un'azione dialettica, critica, soprattutto in fase di audizione e di discussione sui singoli atti amministrativi presi in esame. Chiedo dunque che questa affermazione sia modificata, perché altrimenti suonerebbe a censura dell'attività dei membri esterni e interni del CUR. ai quali invece colgo l'occasione in questo momento - mando tutto il mio ringraziamento per l'opera che è stata svolta con onestà, con intelligenza e perspicacia.
La seconda distorsione sta poi nel fatto che si possa ritenere che il coordinamento per aree geografiche tra pianificazione locali ed indirizzi programmatici regionali possa avvenire in sede di controllo sugli atti di pianificazione. Il processo di coordinamento va esercitato seriamente a monte con l'azione di stimolo, di assistenza, che peraltro è prevista dalla lettera h) dell'art. 74 della legge 56 che noi abbiamo attuato mettendo a disposizione degli Enti locali un certo numero di esperti cui ora è subentrato, dopo i concorsi, un identico numero di giovani funzionari. E' in quella sede che il processo aggregativo e di coordinamento può e deve essere esercitato aiutando e indirizzando i Comuni nelle loro scelte, ma non in sede di controllo degli atti, quando cioè le autonome scelte siano state compiute. E i risultati conseguiti in questo campo dall'assistenza tecnica sono stati vistosi. L'approvazione del piano intercomunale della Valle di Stura di Demonte, comprensivo di 11 Comuni, avvenuto con pieno compimento formale di tutti gli atti e l'approvazione lo testimoniano. Ecco quindi la necessità di operare un ridimensionamento di queste affermazioni e forse di aggiungere qualcosa in più perché nelle frasi che seguono non si dà per esempio conto del grosso sforzo che è stato compiuto dalla comunità piemontese. Sono giunti in Regione e sono in fase di istruttoria ed esaminati 340 programmi pluriennali di attuazione sui 500 Comuni che erano obbligati a redigerli. E' una cifra cospicua, è il risultato di uno sforzo rilevante della comunità piemontese.
Rettificate queste inesattezze, mi pare che ci sia ancora qualcosa da fare, perché manca in questo documento, e mi attendo che sia integrato con il documento finale previsto per settembre; mancano i riferimenti al futuro. Mi si consenta di riferirmi al documento 10 che fu predisposto da me a fine del mandato e che era mia intenzione portare in aula per una discussione generale sul tema, se ci fosse stato il tempo che invece è mancato nelle ultime sedute di Consiglio e se avessi ancora l'onore e la responsabilità di proseguire nell'opera intrapresa.
Mi riferisco soltanto ad alcuni elementi contenuti in queste proposte e cioè alla necessità di avviare un riordino delle unità amministrative locali soprattutto sotto il profilo dei servizi tecnici, la costruzione di un servizio tecnico regionale per la formazione dei piani e dei progetti di opere pubbliche per i Comuni che lo richiedessero, la costituzione di un fondo di rotazione per l'acquisizione di aree destinate ad interventi pubblici, residenziali ed industriali, la compiuta realizzazione del sistema informativo per gestione del territorio, il coordinamento e l'integrazione tra pianificazione urbanistica e locale e pianificazione territoriale con metodi operativi di studio e non solo di controllo, la realizzazione delle aree per impianti industriali ed artigianali, già avviata ma da diffondere sull'intera area regionale, la ricomposizione del tessuto urbanizzato e del paesaggio urbano, tema trascurato, ma che dovrà essere trattato nei prossimi dieci, vent'anni. L'esistente non può essere semplicemente risanato, o ristrutturato per singoli elementi. Va impostato un discorso globale di ristrutturazione del tessuto di valore storico e non solo di quello centrale, ma anche di quello periferico, dando quindi un nuovo volto al paesaggio urbano. Una particolare attenzione merita l'area metropolitana torinese e qui è necessario un enorme sforzo. Non soltanto le grandi idee possono dare contenuto ad un piano di larga dimensione, ma sono, a mio avviso, indispensabili operazioni capillari, modeste forse nella dimensione, ma estremamente pertinenti alle caratteristiche delle situazioni locali per recuperare l'intera area metropolitana. Quindi anche le proposte relative all'edilizia residenziale vanno viste in modo più articolato, più completo e più differenziato da quelle che sono contenute nel capitolo sulla casa, dove si fa riferimento solo al risanamento e alla realizzazione di nuovi quartieri.
Ritengo questo una specie di lapsus, perché i nuovi quartieri si fanno andare indietro nel tempo, mentre l'esigenza nostra attuale e del futuro è l'inserimento nel tessuto esistente, utilizzando tutti gli interstizi tutte le aree libere di edilizia pubblica e privata, di edilizia convenzionata per rivitalizzare l'intero tessuto urbano e non creare ghetti esterni.
In sostanza queste proposte, che sono peraltro contenute nel documento ufficiale del mio partito, costituiscono punti irrinunciabili per un coerente sviluppo della politica di riforma nella gestione del territorio avviata dalla Giunta precedente. Su di essa, quindi, così come sulla continuità della corretta applicazione della legge 56, attendo una risposta ufficiale che, sostituendo le dizioni restrittive contenute nel documento a pagina 18, ampli il discorso, dia respiro e dia prospettive. Questo chiarimento è indispensabile perché si tratta di sapere se continuare nell'azione di riforma intrapresa nel quinquennio per arrestare il processo di irrazionale consumo del suolo e per instradare le iniziative pubbliche e private verso forme di più oculata gestione del territorio.
Farò un brevissimo accenno alla questione dei servizi. Manca, a mio avviso, un'indicazione, essenziale in questo momento. Costituendosi le Unità Sanitarie Locali e avviando il discorso delle Unità Locali dei Servizi in questo ambito i servizi vengono rivisti per essere riordinati riorganizzati, anche gerarchicamente e funzionalmente, in modo da costituire dei sistemi integrati dei servizi per ogni area del territorio.
Signor Presidente e signori Consiglieri, queste osservazioni, che sono fatte nel pieno convincimento e che rispondono a qualcosa di sottinteso che occorre esplicitare saranno - e spero che la risposta sia positiva oggetto di attenzione nella formazione del documento finale che sarà presentato a settembre.
Queste osservazioni potranno essere agevolate da un'ampia discussione in quest'aula sulla politica territoriale ed urbanistica, che chiedo al Presidente del Consiglio di iscrivere nel calendario dei lavori del Consiglio non solo perché essa risponde ad una promessa e ad un impegno assunti allo scadere della legislatura, ma anche perché alla riapertura del Consiglio dovrebbero essere pronti i sei volumi del rapporto sulla pianificazione urbanistica in Piemonte, dal '75 all'80, che chiederò al Presidente del Consiglio di poter illustrare in una seduta, o meglio, in una assemblea aperta, indetta ai sensi dell'art. 44 del Regolamento. Quei sei volumi consentiranno a tutto il Consiglio di prendere conoscenza dello stato effettivo della pianificazione urbanistica in Piemonte e della sua evoluzione dal '50 ad oggi, di afferrare in tutta la sua ampiezza la riforma legislativa attuata, di verificare le prime esperienze dei programmi di attuazione, il significato e l'uso delle perimetrazioni, di conoscere nell'estensione e nelle caratteristiche l'intera rete infrastrutturale per acquedotti e fognature esistente in Piemonte e di avere infine una completa informazione sul laboratorio cartografico che con il collaudo delle apparecchiature in calendario per il mese di settembre, sarà presto messo in funzione e in grado di poter funzionare. La completa conoscenza di tutto questo materiale dovrebbe dare, a mio avviso la misura del camminò percorso in cinque anni, dei problemi aperti e delle vie già tracciate per la loro soluzione.
La discussione dovrebbe essere quindi estremamente proficua perch fondata su elementi di conoscenza oggettiva. Allora sarà a tutti più chiaro che cosa ha significato la riforma nella pianificazione e nella gestione urbanistica e che cosa significa ora il mio sereno ma fermo appello ad una continuità di azione, intelligente e tenace. A quell'appuntamento quindi attendo Giunta e Consiglio.



PRESIDENTE

La parola alla collega Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca

Prima di porgere il nostro intervento sull'argomento all'ordine del giorno vorrei sottoporre alla cortesia del Presidente tre piccole questioni. La prima riguarda la collocazione in aula del Gruppo repubblicano. Non amiamo molto i posti, però in questo caso una definizione logistica più opportuna ci farebbe piacere.
Secondariamente vorrei richiedere al signor Presidente, come peraltro avevo già detto in sede di riunione dei Capigruppo, di avere la possibilità di scindere il mio intervento in due parti: la prima parte è riferita al documento che è stato presentato e la seconda parte alla dichiarazione di voto. In ultimo chiedo di essere autorizzata a parlare da seduta.



PRESIDENTE

Le rispondo brevemente. Appena la Giunta si sarà insediata vi saranno posti vuoti nei banchi dei Consiglieri.



VETRINO Bianca

E' una questione di oppressione democristiana!



PRESIDENTE

Per quanto riguarda il suo intervento lei è libera di svolgerlo come ritiene più opportuno, parlando da seduta.



VETRINO Bianca

Il documento di proposta al Consiglio regionale sulle linee programmatiche politiche ed amministrative presentate dai Gruppi comunista e socialista deve, a norma dell'art. 32 dello Statuto, originare un dibattito, soltanto al termine del quale si passerà alla votazione del Presidente e della Giunta. Tale documento è definito dagli stessi esponenti della maggioranza generico ed aperto a tutti i contributi e credo che debba innanzitutto essere aperto al Consigliere di maggioranza Astengo che sulla questione del territorio ha qualche cosa da aggiungere e da controbattere come ha già fatto in questa sede.
Pur nel breve tempo avuto a disposizione per la sua analisi e per la sua valutazione (tempo che peraltro stride con i 50 giorni avuti a disposizione per predisporlo) il Partito Repubblicano ha evidenziato nel documento alcune considerazioni che intende sottoporre all'attenzione del Consiglio.
Condividiamo che la seconda legislatura regionale si sia chiusa in una situazione di grande tensione internazionale, con uno spiraglio appena aperto sulla soluzione del problema del terrorismo e con la preoccupazione di una grave crisi economica ed occupazionale che coinvolge la nostra maggiore industria ed anche altre industrie. Va aggiunto che altri inquietanti fenomeni di segno diverso hanno investito negli ultimi tempi il nostro Paese e segnatamente la nostra Regione e la sua struttura produttiva. La crisi energetica con la conseguente esaltazione dei prezzi l'evoluzione tecnologica sul piano internazionale e la dinamica dei costi di lavoro, hanno determinato degli impatti pericolosi per l'industria, ma anche per l'agricoltura, sempre più in difficoltà a tenere dietro all'evoluzione delle consorelle europee. Ai problemi vecchi di riequilibrio territoriale, di adeguamento dei servizi a livello di industrializzazione se ne aggiungono dei nuovi, particolarmente inquietanti. La struttura produttiva del Piemonte è gravemente minacciata da un'evoluzione tecnologica rapidissima e da una concorrenza internazionale agguerrita. Non si tratta più di discutere se e come la nostra industria può continuare ad espandersi, ma se e come può trasformarsi sul piano qualitativo per garantire la stabilità della base produttiva.
Il contesto nel quale la Regione Piemonte si accinge a vivere gli anni '80 non è certo roseo e deve far ampiamente riflettere coloro che hanno gli strumenti per rendere ancora possibile la crescita sociale, civile economica della comunità piemontese. Tra questi certamente vanno annoverati gli amministratori regionali i quali debbono organizzare i loro interventi sulla base di metodi gestionali che attingano la loro forza in una corretta interpretazione dei diversi ruoli istituzionali ed in un costante arricchito raccordo e rapporto tra gli stessi. I passi del documento che enfatizzano questi aspetti ci trovano consenzienti, così come ci trovano consenzienti le intenzioni di conferire al Consiglio la centralità che gli compete, promuovendo, aggiungiamo noi, e realizzando gradualmente una sistematica revisione della legislazione regionale al fine di rendere omogenee le procedure amministrative e di intervento con l'articolato sistema della programmazione e di determinare quindi una gestione degli interventi finalizzata a specifici obiettivi individuati e non indirizzata al soddisfacimento di esigenze corporative e clientelari. Un più incisivo coinvolgimento del Consiglio consentirà verifiche costanti e graduali aggiustamenti dell'attività amministrativa, un'organizzazione funzionale e moderna della macchina regionale e soprattutto una chiara impostazione di rapporti tra la Giunta e il Consiglio stesso. Ribadiamo che la Regione dovrà potenziare il proprio ruolo istituzionale di programmazione e di ente legislativo riducendo progressivamente l'attività puramente gestionale alle funzioni amministrative tenuto conto, comunque, che tale operazione non pu realizzarsi completamente e soprattutto non può produrre efficaci risultati fino a che lo Stato non avrà riformato il sistema istituzionale e finanziario delle autonomie. Anche in un sistema istituzionale più razionalmente definito e caratterizzato da un più organico coordinamento tra i diversi livelli di Governo, dallo Stato alla Regione e agli Enti locali, è tuttavia necessario prevedere che alla Regione deve rimanere la gestione diretta di quei progetti che rappresentano caratteristiche economiche e sociali di rilevanza regionale e interregionale.
In linea generale poi, deve essere compito e responsabilità del Consiglio realizzare in concreto il collegamento tra programmazione economica e territoriale e programmazione finanziaria sia nella fase di predisposizione dei programmi pluriennali e annuali di attività sia nelle fasi di gestione degli stessi. Ciò comporta nel rispetto dei presupposti legislativi esistenti di rivedere i metodi di formazione e gestione dei piani sul piano operativo e di favorire il raccordo tra gli organi e le strutture di programmazione e quelle di gestione amministrativa e finanziaria. Al di là delle esigenze di controllo giuridico contabile degli atti amministrativi, che hanno caratteristiche esplicitamente formali esiste infatti la necessità di utilizzare le fasi di controllo della gestione ai fini della programmazione e in particolare poter verificare costantemente lo stato di attuazione di programmi e progetti in termini di compatibilità rispetto agli obiettivi che si perseguono. Si tratta cioè di utilizzare al meglio e di più quegli strumenti che già esistono e che sono costati miliardi ai cittadini piemontesi, rendendoli funzionali al sistema della programmazione e ad una gestione moderna della cosa pubblica.
Dal 1976, infatti, la Regione si è dotata di un sistema automatico per la gestione del bilancio e per il trattamento dell'informazione, ma tale sistema risulta ancora oggi sottoutilizzato rispetto alle immense potenzialità che offre poiché esaurisce le sue funzioni all'interno degli uffici finanziari in un'ottica limitata alla pura e meccanica gestione contabile peraltro di dubbia produttività ed efficienza. Basti pensare ai tempi che occorrono per effettuare un pagamento! A nostro avviso, poi, sarebbe anche necessario operare una più organica ripartizione delle funzioni amministrative della Giunta per ricondurle all'indispensabile unitarietà di gestione e, dal documento presentato, non appaiono queste intenzioni. Per la verità, il documento prevede soltanto la lista degli Assessori, senza le indicazioni delle competenze specifiche.
Comunque, nel documento e nelle linee programmatiche a questo argomento non si fa cenno. Infatti, nella passata legislatura le competenze erano frantumate tra i diversi Assessori in base a criteri di equilibrio politico, che ben poco avevano a che fare con una gestione razionale, anche sotto il profilo economico, della tosa pubblica. Basti pensare che, per esempio, ben cinque Assessorati gestivano interventi connessi con la tutela dell'ambiente, talvolta con criteri e indirizzi diversi e che nel settore della spesa pubblica e delle infrastrutture intervenivano quasi tutti gli Assessorati.
Ritornando ai rapporti con gli altri Enti istituzionali di raccordo con la Regione, Stato e Comuni e ribadendo quanto abbiamo già avuto modo di esplicitare in occasione dell'altra seduta del Consiglio regionale riteniamo che gli stessi debbano essere impostati su basi di pari dignità evitando le situazioni di superiorità che lo Stato verso le Regioni negli anni passati ha continuato a riconoscersi e le situazioni di inferiorità che i Comuni hanno avvertito e sofferto nei confronti della Regione. Un dignitoso e paritario rapporto sarà di stimolo al superamento della conflittualità che in qualche caso sarà anche beneficamente inevitabile, ma che non dovrà rappresentare un sistema sul quale operare. Così come è auspicabile il corretto rapporto tra maggioranza e minoranza che nei loro ruoli dovranno garantire una gestione del Consiglio ispirata a principi di rispetto. Questo significa che lo strumento che lo Statuto affida ai Consiglieri, come per esempio le interpellanze e le interrogazioni risulteranno valide se i mittenti e i destinatari sapranno usarle non con lo spirito polemico, ma con intento collaborativo esaltando la loro funzione di informazione ed occasione di confronto. Sarà quindi necessario che quando i Consiglieri regionali presenteranno le interrogazioni e le interpellanze, gli Assessori di competenza rispondano e non tacciano come è avvenuto, per esempio, qualche volta nella passata legislatura! Su un punto di questa prima parte destinata all'attività regionale nel suo complesso, il documento risente di una carenza fondamentale che soltanto in parte recupera nelle ultime righe del documento stesso.
Convinti come siamo che la Regione debba essere di tutti, così come lo Stato è di tutti e come i Comuni sono di tutti, non abbiamo trovato nel documento una volontà politica determinata al coinvolgimento dei cittadini piemontesi nella gestione della loro Regione. Questo può apparire tanto naturale da ritenersi sottinteso, ma riteniamo che vada precisato, così come riteniamo che per la futura legislatura vadano ripresi ed arricchiti i rapporti ed i ruoli con le Consulte regionali, per esempio quella europea quella femminile ed altre, e che debba essere esaltato il loro ruolo di consultazione e di rappresentanza di specifici problemi che meglio di altri possono interpretare ed esplicitare. Nel documento non appare in evidenza ma le informazioni colte fanno presupporre un'intenzione dei Gruppi che si propongono per il governo, in tal senso di dover accrescere il numero delle Province sia pure in una nuova dimensione con compiti ed attribuzioni rivisti. E' nota la nostra posizione dì fronte alla Provincia; siamo stati presentatori di un disegno di legge che prevede appunto la soppressione della Provincia, ma concordiamo sulla necessità di ricomposizione di un livello istituzionale che nell'ente intermedio unificato dovrebbe trovare il superamento della Provincia e del Comprensorio. La nostra preoccupazione è soltanto quella che la moltiplicazione degli enti significhi moltiplicazione di spese, sperperi e duplicazioni in un panorama di organi ed enti già abbastanza parcellizzati in Italia nel quale 20 Regioni, 95 Province, 8.075 Comuni, 353 Comunità montane, 760 Distretti scolastici, 640 Unità Sanitarie Locali, 262 Comprensori e migliaia di Consorzi dovrebbero incoraggiare ad accorpare piuttosto che a far proliferare nuovi enti.
Passando più concretamente ai problemi specifici, occorre dire che se è vero che il documento indica nella programmazione lo strumento per affrontare e risolvere i problemi - e su questo non possiamo che essere molto consenzienti - il documento stesso elenca tutti i problemi e ne indica tutte le soluzioni. Ci rendiamo conto che un documento programmatico generale non possa scendere in eccessivi dettagli, ma va detto che elencare i problemi, significa certamente averli saputi individuare e definire.
Un'amministrazione, però, deve anche sapere indicare le loro priorità. Di qui la necessità di scelte che nel documento non ci sono. Poiché non viviamo in tempi facili e di abbondanza, la strada del tutto a tutti, in buona misura peraltro percorsa dalla passata Giunta regionale, risulta la più semplice, ma anche la più demagogica e certamente la meno adeguata per rispondere alle esigenze più reali e più profonde dei cittadini. Ecco perché mentre abbiamo apprezzato le linee programmatiche in tema di iniziative per lo sviluppo del terziario, dell'agricoltura, della casa della cultura, avremmo atteso indicazioni più precise, per esempio, sul decentramento dell'attività produttiva, sulla rete dei trasporti, sulla mobilità del lavoro, sull'istruzione professionale, sulle prospettive di risoluzione dei problemi di fabbisogno energetico della Regione, troppo generiche e poco impegnative. Queste linee programmatiche generali e quindi necessariamente carenti, ci impongono una sospensione di giudizio che perfezioneremo in sede di presentazione dei progetti attuativi del programma che il documento promette. Infatti, se le linee programmatiche sono discrete per gli obiettivi che perseguono, questo non significa che i risultati della loro attuazione saranno apprezzabili. Saranno i metodi e gli strumenti di attuazione che determineranno la loro efficacia e la loro validità. Sarà nostro compito tallonare la maggioranza giorno per giorno per verificare i metodi e gli strumenti con i quali agirà, per far sì che il rigore amministrativo, la correttezza politica, l'onestà, che devono accompagnare tutti coloro che si avvicinano alla cosa pubblica, siano i capisaldi sui quali gli amministratori piemontesi dovranno agire, nella convinzione che questa nostra azione di stimolo, di controllo e anche di critica costruttiva, di contributo, di integrazione sulle cose buone che ci verranno, proposte, se ci verranno proposte, risponda alla linea di servizio alla comunità che il Partito Repubblicano ha fatto propria da sempre.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, dall'intervento del Capogruppo comunista di stamane, che abbiamo attentamente seguito, noi siamo stati sollecitati, o meglio, saremmo stati sollecitati ad informare ad un taglio diverso il nostro discorso, perché quella tesi relativa alla "cultura di governo" che le sinistre avrebbero fatto crescere il Piemonte durante i loro governi merita senza dubbio attenzione e necessita di una più puntuale risposta Purtroppo in questa sede non possiamo occuparcene, perché le circostanze vogliono che innanzitutto si dica qualcosa sulle cause che hanno determinato o che stanno per determinare il sorgere di un governo regionale di sinistra.
Partiamo da qui, dando innanzitutto una precisazione, come è dovuta, al collega Marchini del Partito Liberale, il quale si è compiaciuto di poter fare risalire la paternità del primo governo di sinistra all'assenza di un Consigliere allora del Movimento Sociale. Verità storica vuole che si dica invece che quel comportamento fu del tutto accidentale in quanto - e noi non siamo portati all'umiltà e quindi abbiamo buona memoria e non abbiamo bisogno di trascorrere gli afosi pomeriggi in lettura degli atti consiliari passati - ricordiamo che ai 30 voti allora andati al Presidente Viglione si contrapponevano 29 schede bianche, che sarebbero state 30 nel caso della presenza del Consigliere Curci; quindi poteva semmai essere impegnata l'immediata esecutività della deliberazione, ma non contestata la nascita del governo di sinistra. E' ben differente.
Detto e chiarito questo, dobbiamo anche richiamarci ad una considerazione che faceva stamane il Presidente Viglione, quando diceva che questo governo nasce nello spirito della seconda legislatura; infatti, la prima Giunta di sinistra andò al potere o, se il Consigliere Marchini lo consente, si consolidò nel potere cinque anni or sono, grazie non ad un'assenza di un Consigliere missino, ma ad una squallida operazione trasformistica che portò allo schieramento socialcomunista il trentunesimo voto del Consigliere Rossotto (che adesso forse si vuole rivalutare, magari in accoglimento delle dichiarazioni aperturiste del Segretario Zanone e magari, per accettare il consiglio di Viglione, al quale si vuole dare oggi una tessera ad honorem a posteriori). Dicevamo, cinque anni or sono il governo nacque in virtù di questa operazione squallidamente trasformistica.
Oggi, a cinque anni di distanza, la seconda Giunta di sinistra pu riconfermarsi nel potere solo a seguito di un'altra operazione non diremo più di trasformismo politico, ma certamente di cedimento politico che vede i Consiglieri socialdemocratici buttare alle ortiche il loro impegno anticomunista elettorale e presentarsi ad una compiacente quanto determinante manovra di appoggio all'esecutivo socialcomunista.
Sfrondata di tante vuote parole, di tante promesse non mantenute, di tanti ammiccamenti complici, questa è la sola realtà che rimane e di cui occorre prendere atto se non si vuole andare a caccia di farfalle, come hanno fatto per oltre 40 giorni coloro che sino all'ultimo si sono illusi di poter dare vita ad una Giunta laica. In politica contano i fatti, non le intenzioni, e i fatti dicono che il lasciapassare alla Giunta rossa è stato dato oggi dal Partito Socialdemocratico.
In tempi in cui la coerenza è scomoda, e soprattutto non paga ricordiamo tante solenni affermazioni, che il P.S.D.I. non ha esitato a lasciarsi alle spalle senza alcuna incertezza o, meglio, senza alcun pudore, quelle che ad esempio il Consigliere Benzi faceva dalle colonne della rivista "Notizie" n. 1 del gennaio 1980 dicendo: "siamo sicuri che il 'no' alla Giunta di sinistra sarà netto. Si vuole cambiare e si cambierà" e ribadendo con forza, sempre in "Notizie" nn. 2 e 3 del febbraio e marzo 1980 (il Consigliere Beltrami ha ricordato prima talune proposte umoristiche, se si vuole satiriche, contenute in quell'articolo; ma a noi preme sottolinearne un'altra parte): "il nuovo modo di governare è stata una bella favola, perciò diciamo a tutti: impedite che si rinnovi il Parlamento regionale così come è composto oggi. Dobbiamo cambiarlo".
A distanza di poche settimane il Consigliere Benzi e i suoi colleghi non sentono più la necessità di un cambiamento. Adesso, anzi, il P.S.D.I.
avverte la necessità di andare ancora avanti con la Giunta di sinistra "per garantire la governabilità del Piemonte nel rispetto della centralità socialista". Bel gioco di parole che, in concreto, serve solo a dissimulare l'ennesimo giro di walzer del P.S.D.I. che, tra l'altro, nel condurlo, è stato particolarmente accorto. Fedele alla linea, questa sì, di tutti i socialismi (e si sbaglia il Presidente Viglione quando critica la nota frase di Andreotti che "il potere logora chi non ce l'ha". Tutti i socialismi hanno ben capito che il potere logora effettivamente chi ne è fuori), fedele a questa linea, dunque, di continuare a giocare su due tavolini si accinge a dare una mano alla Giunta rossa in Piemonte, per senza parteciparvi, per il momento, cosa da non compromettere l'eventuale ritorno, in sede nazionale, al governo centrale. Al di là di quello che abbiamo sentito qui affermare, che può aver fatto piacere magari ai colleghi della D.C. o del Partito Liberale o del Partito Repubblicano, che possono illudersi di riaprire il discorso sulla Giunta laica; fatte salve le aspirazioni ministeriali di Longo o di Nicolazzi, qui, per adesso, si accontentano di entrare nella maggioranza accanto al P.C.I., accanto al P.S.I. e, giova ricordarlo, accanto al P.D.U.P. Più acanti ci penseranno a rivendicare altri posti! Ma ecco allora che questo esecutivo, che già rappresenta di per sé una forzatura, e lo si è ammesso, nasce non soltanto contraddittorio rispetto alla situazione governativa centrale; non soltanto sul comportamento ambiguo - ci si passi il termine, per non usarne di più forti - del partito che si presta a sostenerlo; ma anche nasce all'insegna, quanto meno, della provvisorietà, perché è nell'aria, è pressoché sicuro, un rimpasto. In questa luce, mentre da un lato viene a cadere la tesi dell'urgenza a fronte dei gravi e drammatici problemi piemontesi, perché la drammaticità non la si affronta e tanto meno la si risolve con un governo regionale impostato sull'ambiguità e sulla transitorietà, dall'altro si legittima la domanda: quale credito può essere dato al documento che ci è stato presentato? Dopo una lettura sommaria, quale quella cui siamo stati costretti nel breve tempo disponibile, possiamo concludere che si tratta di un programma generico e approssimativo che necessita di specificazioni più analitiche e dettagliate, Carenza del testo questa anche ammessa dai presentatori, i quali, appunto alla pagina 27, prendono impegno di fare seguire nel tempo una serie di progetti attuativi. L'esame della crisi economica nazionale e regionale, cui fa riferimento la parte iniziale del documento, è condotto senza individuare quelle che a nostro avviso sono le cause del totale dissesto economico-sfidale in cui ci troviamo. Se non ci si ferma alla superficie delle molte aziende in difficoltà e se non si crede, Consigliere Montefalchesi, alla favola del padrone che vuole comunque licenziare occorre dire che la crisi che ha colpito alcune grandi industrie della nostra Regione, la Fiat, l'Indesit, non è solo congiunturale poich presenta non soltanto una riduzione della domanda, ma anche una perdita di quote di mercato. Occorre allora riconoscere che si è sbagliato in Piemonte a perdere del tempo nel continuare a discutere sui pericoli della monosettorialità, nel cercare sbocchi verso mercati ancora più garantiti di quelli dell'auto, nello scoraggiate con i fatti tutte le iniziative non ruotanti intorno alle grandi imprese.
Si doveva e si deve cogliere l'opportunità di valorizzare il piccolo che cresceva autonomamente. Solo con questa politica, che presuppone per radicali mutamenti nel complesso di interventi economici, sia di vertice sia di base, sarà possibile venire fuori dal tunnel della crisi e dare concreto contenuto a quell'ipotesi delineata nel documento di un Piemonte area forte, in grado di competere con le altre grandi aree forti del nord Europa. Un'ipotesi che al momento resta solo una più o meno suggestiva immagine, suggestiva immagine sulla quale non è dato troppo sperare se si guarda al programma presentatoci, che in larga misura ripropone obiettivi già posti e già mancati nella precedente legislatura, in modo che le linee di intervento proposte per l'industria, per l'agricoltura, per l'organizzazione del territorio sono al momento, nel più benevolo dei giudizi, un "documento di intenti" tutti da verificare, alcuni chiaramente velleitari, altri - e sono i più - fatti dipendere da riferimenti nazionali che ancora mancano, vedi la legge di programmazione economica, vedi il piano energetico, vedi lo stesso piano auto o più ancora il progetto di riforma delle autonomie locali. D'altra parte mai come in questa circostanza le vaghe ed abborracciate linee indicative ci sono apparse come lo spolverino gettato di tutta forza a coprire le contraddizioni interne della maggioranza di cui abbiamo avuto proprio oggi stesso una dimostrazione più che evidente nel discorso del P.D.U.P., largamente contrastante (per ciò che riguarda l'impostazione europea) con il discorso dell'ex Presidente Viglione, largamente carenti (ed è venuto a dirlo qui un Consigliere della maggioranza, il prof. Astengo), largamente elusivo. In sostanza si è cercato di coprire con questo documento di intenti più che altro le laceranti lotte di potere che all'interno della maggioranza si sono svolte e di cui siamo stati in questi lunghi 40 giorni testimoni anche noi e che soltanto il fair play dell'ex Presidente Viglione nella sua dichiarazione ha cercato di dare per superate, ma che sono ancora ben presenti nell'intervista della "Stampa" di stamane.
Per concludere, torniamo all'assunto iniziale. Questa è una Giunta che nasce nel compromesso, che nasce nell'ambiguità dei suoi componenti, che nasce nelle contraddizioni stesse dei partiti che si prestano a sostenerla e a votarla. Ad un governo viziato in partenza da siffatte interne caratteristiche, il Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale dichiara la propria ferma ed irriducibile opposizione, opposizione che a differenza di quelle che condurranno e che si spera vorranno condurre alle forze politiche, non sarà opposizione costruttiva, cioè complice; ma neppure sarà opposizione distruttiva, cioè eversiva, e sarà invece opposizione alternativa, in linea con quella che il Movimento Sociale Italiano conduce a livello nazionale e che postula l'esigenza, visto anche le poche edificanti vicende che prima abbiamo ricordato, di una "Nuova Regione" in una "Nuova Repubblica".



PRESIDENTE

La parola al collega Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Signor Presidente, signori Consiglieri, il dibattito per la formazione del governo della Regione Piemonte volge al termine senza fatti nuovi senza aver saputo fare emergete dalla posizione delle diverse forze politiche quegli elementi di chiarezza che, dopo 40 giorni di difficile confronto, forse era lecito attendersi.
Credo che l'interpretazione più convincente dell'esperienza che il Piemonte sta vivendo in questa fase sia il riferimento ai dati di novità che il quadro politico italiano, dopo il 1979, ha iniziato a dare; un quadro politico che è rimasto stagnante per oltre un decennio su una costante tenuta dei partiti maggiori, D.C., P.C.I., che ha avuto nel '75 proprio nel rinnovo delle Amministrazioni locali e delle Regioni, il momento di più accelerato balzo in avanti del P.C.I., ma che invece, dal '79 ad oggi, ha introdotto un elemento di novità tenue, debole e, se mi consentite un aggettivo forse non adatto alla polemica politica, delicato.
E' il ruolo nuovo, diverso che le forze minori, le forze intermedie cominciano ad avere nel dibattito politico; è soprattutto la speranza che questo elemento delicato di novità nel panorama politico abbia a crescere nel futuro.
Sono i risultati delle elezioni che confortano la speranza di un diverso rapporto nell'area della sinistra tra socialisti e comunisti risultati delle elezioni tanto più apprezzabili se si tiene conto come sul collo socialista ancora pesante pesi l'ipoteca comunista, ruvida, a richiamare i socialisti all'ordine non appena questi nel comportamento come partito o come forza sociale, tentano di individuare delle linee diverse per la società italiana, di non riconoscere passivamente l'egemonia del Partito Comunista; sono i risultati elettorali che confortano la ripresa dei liberali, la tenuta dei repubblicani, la tenuta dei socialdemocratici, malgrado le loro troppo frequenti oscillazioni di linea che erodono, progressivamente sostituiscono l'egemonia della D.C. sull'area di centro della politica italiana. E' un elemento di mobilità delicato, in un quadro politico che è stato per anni stagnante o che dava soltanto come indicazione barometrica l'alta pressione solo per comunisti e solo per democristiani.
Credo che su questo elemento debba essere fatta qualche riflessione e un'attenta considerazione. In questo senso, questo fortunato slogan della "centralità socialista" a cui una volta tanto corrisponde un contenuto nella politica italiana che troppo spesso ci ha abituato a degli slogan dietro i quali si nascondevano soltanto delle manovre tattiche, a noi sembra sia davvero un'indicazione di strategia e non di tattica sui tempi medi e sui tempi lunghi della politica nazionale. Le forze intermedie, i liberali da sempre, malgrado spesso abbiano evidenziato i punti di dissenso e di rottura con i socialisti, i repubblicani da meno tempo dopo le grandi litigate con i socialisti, sulla collocazione nei riguardi del Partito Comunista, guardano a questa proposta di "centralità socialista" con interesse.
E' evidente che la centralità socialista apre non solo nuove prospettive e nuove dignità al ruolo dei socialisti, ma apre nuove prospettive e nuove dignità al ruolo delle forze intermedie. E noi giochiamo questa carta coscienti delle profonde differenze che sul piano dei contenuti e sul piano della collocazione nei riguardi delle forze sociali abbiamo oggi e avremo domani con i socialisti, ma convinti che tra il socialismo delle democrazie dell'Europa delle libertà e il liberalismo nuovo dell'Europa delle libertà vi sia più possibilità di confronti e di dialogo di quanto non vi sia tra socialismo dei Paesi dell'Europa delle libertà con la struttura ancora accentrata e burocratica del P.C.I. Era un fiore delicato, ben colto se non avessimo il sospetto della sceneggiata dei socialdemocratici quando hanno formulato la proposta coraggiosa di dare un'indicazione coerente con il voto di giugno, che aveva visto premiati in seggi e in voti i socialisti ed i liberali, e con i socialisti e i liberali aveva visto la tenuta sostanziale dei repubblicani e dei socialdemocratici.
I socialisti piemontesi hanno rinunciato il gioco di questa carta.
Quando mi preparavo questi appunti mi era venuto in mente di non usare il termine "rinuncia", ma di usare il termine "rifiuto" un po' avvicinando l'Enrietti del brutale intervento di lunedì di 14 giorni fa a Celestino V.
Rinuncia dei socialisti piemontesi ad assumere un ruolo centrale per il governo della Regione Piemonte, un ruolo che avrebbe portato alla formazione di una maggioranza che non avrebbe consegnato al P.C.I. i 4/5 circa del bilancio della Regione.
Rinuncia dei socialisti piemontesi, almeno in questa fase, a sperimentare una soluzione cui era stato assicurato un numero ampio, una stabilità dalla dichiarata disponibilità della D.C. a garantire per il quinquennio il proprio consenso e il proprio appoggio ad una soluzione di questo genere, una soluzione che, tra le altre cose, non avrebbe dovuto lasciare per strada le competenze di Astengo, che ha fatto il primo discorso vero di opposizione in questo Consiglio, magari per un confronto duro, aspro, serrato, su che cosa si doveva cambiare o si doveva fare, ma che avrebbe valorizzato il P.S.I. nella sua totalità insieme con le forze laiche minori intermedie, per una diversa proposta di governo politico della Regione Piemonte.
Quando oggi il Capogruppo del P.C.I. indicava come la proposta su cui questa maggioranza si presenta al confronto con le forze politiche, è una proposta di lavoro insieme, è una proposta tesa ad allargare il consenso e la partecipazione delle forze democratiche alle responsabilità di governo della Regione, non potevamo dimenticare come la prassi della partecipazione comunista al potere sia della progressiva esclusione delle collaborazioni come ben insegna l'esperienza della Regione Emilia Romagna dove i socialisti hanno preferito la strada del disimpegno alla strada del perpetuo asservimento al ruolo egemone nella sinistra del P.C.I. In politica le scelte non sono mai dei drammi.
Non è un dramma che oggi si proponga ancora una Giunta di sinistra, non è un dramma che, nel nome delle tante "a" con l'accento che caratterizzano questa fase della vita politica italiana, i socialdemocratici scoprano la possibilità i correggere l'anticomunismo frontale della loro ultima collocazione politica per dare invece consenso al governo ad egemonia comunista in una Regione importante come quella piemontese, in una fa se importante della vita economica nazionale e della comunità piemontese stessa.
Non commetteremmo l'errore di arroccarci in una posizione di ripicca d'isolamento, di divaricazione rispetto a questa scelta che le altre forze politiche hanno ritenuto opportuno fare, anche perché rileviamo, nella soluzione che si dà oggi, ben maggiore dignità della soluzione che si è voluto dare cinque anni fa allo stesso problema, mediante l'acquisizione di un consenso mercenario, con rate a scadenze, non ultima quella dell'immissione in un Consiglio di amministrazione di una grande banca.
Questa è una soluzione che ha una sua dignità. Noi la possiamo avversare ma passa al confronto delle forze politiche. I socialdemocratici faranno i conti con il loro elettorato per questa scelta. E' una risposta che non condividiamo, che non avremmo coperto, ma che rientra nel quadro, nel panorama delle cose lecite in politica. In fondo bisogna anche sempre fare un po' la parte degli altri. Noi comprendiamo i timori, le paure, le riserve dei socialisti davanti alla proposta delicata di questa Giunta laica e minoritaria, che doveva, di fatto, reggersi sul voto di uno dei grandi partiti, non potendosi pensare che la moneta buttata in aria rimanesse in piedi, che cioè ci potesse essere un accordo pendolare, una volta da una parte, una volta dall'altra. Non saremmo giusti nei riguardi dei socialisti se non tenessimo conto di queste oggettive difficoltà, se non tenessimo conto della contraddittorietà di questo voto, che ha visto il P.C.I. molto indebolito, al di là delle cifre che vengono, come sempre lette ed interpretate ciascuna a suo modo, nella realtà piemontese di periferia, ma che vede il P.C.I. con un grande successo nel Comune capoluogo, dove maggiore è la possibilità di esplosione delle tensioni sociali. I timori e le preoccupazioni dei socialisti sono chiari e legittimi.
E' un partito che già subisce, per la sua coraggiosa collocazione al Governo della Nazione, gli attacchi duri, brutali, spietati del P.C.I. sul piano degli uomini e sul piano del partito: l'uso spregiudicato che il P.C.I. fa dell'arma dell'opposizione, il difficile rapporto di controllo e di egemonia che il P.C.I. stesso di nuovo cala sui sindacati, le violenze contro i sindacalisti socialisti, il brutale richiamo a Lama (quasi non dovessimo avere il coraggio di riflettere e di far riflettere e il Partito Comunista che, senza dubbio, ha fatto dei grandi cambiamenti - inserito com'è all'interno di un determinato sistema - rispetto alle posizioni che abbiamo conosciuto dai libri di storia e che altri hanno conosciuto per vicenda diretta), come ci sia sempre il timore dell'autonomia strumentale che il Partito Comunista porta a dare ai corpi dell'organizzazione del sociale, cioè di un'autonomia riconosciuta in quanto strumentalmente utile ad accrescere legittimamente la penetrazione, il controllo, la tenuta di questa grande forza politica, popolare, nel nostro Paese.



ALASIA Giovanni

Ci spieghi questo "brutale". Se non discutiamo non siamo democratici se discutiamo siamo brutali.



BASTIANINI Attilio

Siccome non avevo intenzione di creare delle divisioni, ma di introdurre degli elementi di riflessione, se disturba il termine "brutale" lo tolgo.
La posizione socialista di timore di sperimentare nuove vie, in una situazione oggettivamente difficile, sia per i problemi di carattere generale che per i problemi di carattere particolare, può aver convinto a battere una strada più sicura, una strada che esponeva a meno rischi con il P.C.I. La linea liberale è di non drammatizzare quanto succede oggi in Consiglio regionale, di riconoscere legittimità alla maggioranza che si forma, di non utilizzare in termini strumentali e qualunquistici le correzioni di tiro, di rotta, di mira delle diverse forze politiche, di non ritenere in altre parole strappata, né in termini generali né per il futuro anche prossimo della Regione Piemonte, questa sottile speranza, sorta dall'elemento di novità che la politica italiana ha dato nel più recente passato, e su cui costruiamo un'indicazione diversa di prospettiva politica.
Ancora un tema politico ritengo dover toccare in questo intervento, e mi spiace perché resterà poco tempo per affrontare i problemi importanti e concreti del governo della Regione Piemonte, ma non mancherà occasione in sede di ripresa del dibattito.
Si è fatto grande scandalo sui giornali (anche in questo Consiglio) sugli esiti del nostro ultimo Consiglio nazionale, sulla posizione del P.L.I. nei riguardi della sinistra e in particolare nei riguardi dei rapporti con il P.C.I. per la formazione delle Giunte. Il P.L.I. è una forza politica a cui si può senza dubbio rimproverare la sua debolezza numerica ma non la sua attenzione ai problemi di cambiamento della società il P.L.I. si pone, con impegno, a valutare con attenzione, nei partiti come nelle organizzazioni sociali, i cambiamenti in atto nell'ambito della sinistra, ivi compreso il P.C.I., ad analizzare con rispetto e con attenzione questi cambiamenti, valutandone le luci e anche le ombre, al di là degli aggettivi che possono creare delle divergenze, delle diversità, ed a chiedere agli altri di valutare con attenzione gli stessi cambiamenti che in noi abbiamo portato e stiamo portando. Non è l'ideologia la strada migliore per il governo delle cose concrete. Abbiamo attenzione alle organizzazioni della sinistra, allo sforzo del P.C.I. di immaginarsi delle forme di partecipazione al governo delle autonomie locali diverse da quelle del passato, tradizionali al partito stesso, delle forme di partecipazione meno ideologizzate rispetto al passato, delle forme di partecipazione addirittura tali da spiazzare altre forze dell'arco costituzionale riguardo ai temi dell'efficienza, della correttezza amministrativa, della presenza.
Questo riconoscimento che noi abbiamo fatto in tutte le assemblee elettive non vuol dire confusione di ruoli.
Una seconda considerazione va fatta, non volendo ridurre la sofferta maturazione della linea politica di cambiamento nel nostro partito, o in un titolo elettorale o in una battuta da Consiglio regionale. Una considerazione sulla stranezza del Paese in cui siamo costretti ad operare.
Un Paese tale per cui una nostra posizione ferma e chiara sul tema della formazione delle Giunte, cioè il rifiuto chiaro ed aprioristico ad aprire una qualsiasi trattativa per la nostra partecipazione o la nostra copertura a Giunta in cui il ruolo del P.C.I. fosse egemone, non solo non porta a riconoscere la dignità dell'opposizione, ma addirittura viene assunta a pretesto per escluderci anche dalle soluzioni alternative di qualsiasi natura ove queste fossero possibili. Le responsabilità della D.C. e degli altri partiti intermedi su questa strada sono gravi Non si può chiedere ad un partito la lealtà di una collocazione politica chiara, predeterminata non soggetta a dubbi e ad interpretazioni, non soggetta neppure alle seduzioni della governabilità e dall'altra parte verificare nei fatti che i liberali sono discriminati non solo dalle Giunte di sinistra, ma dalle Giunte di centro-sinistra, dalle Giunte tripartite, dalle Giunte bipartite dalle Giunte monocolori, come sistematicamente la D.C. fa in giro per l'Italia. Ecco allora questo partito che deve avere il coraggio del suo ruolo e della sua posizione, di chiedere pari dignità, di non poter essere escluso solo perché parla più chiaro degli altri, solo perché forse, avendo meno problemi di partecipazione al potere o essendo più abituato a non parteciparvi, ha una specie di callo dell'opposizione che indurisce i suoi piedi! Questo partito che deve essere sistematicamente ghettizzato anche ove maturino delle condizioni diverse! Ma c'è una terza considerazione che come liberali noi dobbiamo avere il coraggio di fare, e che attiene all'interpretazione vera delle parole di Zanone: la tipicità della situazione italiana, dove, accanto a situazioni di governo locali, specialmente nel nord, in cui il potere o l'opposizione per chi non ha problemi di carattere personale, è probabilmente la stessa cosa, in termini di ruolo, di dignità, di peso nella determinazione delle decisioni che contano per il governo della collettività, vi è anche un profondo sud dove se non si ha potere non si è nulla, dove spesso il potere è incrostato, inquinato dai legami con la mafia, dai legami con le peggiori parti della società, da legami in cui le prospettive di cambiamento sono così remote, così lontane, da richiedere forse anche ad una forza politica come la nostra il coraggio di un taglio netto, di un taglio deciso per modificare queste incrostazioni, certo a noi non dovute, che sono un disonore non solo della forza politica a cui spesso vengono attribuite ma dell'intero quadro di carattere nazionale.
E mi soffermo ancora su questo punto per dare dignità a questa rivendicazione di ruolo che i liberali chiedono, prendendo il testo autentico delle dichiarazioni di Zanone, non quello che fa comodo per fare notizia sui giornali. Vanno attentamente meditate dalle forze politiche le parole di un Segretario che dice: "Oltre le Giunte locali bisogna guardare al corso del futuro per scorgere i possibili sviluppi. Il momento che attraversiamo è stato giustamente definito un parossismo della tattica dobbiamo superarlo per guardare più lontano, cercare alla politica liberale un più vasto terreno, magari accidentato, ma che offra una maggiore solidità. Dobbiamo sapere e soprattutto guardare senza pregiudizi al mondo ormai variato e multiforme della sinistra politica e sociale cercando di distinguere varietà di fisionomie, anche tra quelli che stanno sull'altro argine, e avvicinare la discussione, dopo aver dato anche ai critici interni più severi tutte le prove della prudenza" e ancora: "Discernere le diverse tendenze che si agitano nel travaglio della sinistra per individuarvi i segni di una trasformazione che prima o poi potrà consentire alla politica italiana un quadro di movimenti meno obbligati". Questa è la posizione dei liberali nei riguardi della sinistra e dei rapporti con il P.C.I. per la formazione delle Giunte.
Vorrei aggiungere qualche breve parola sul tema del programma. Il P.L.I. ha svolto nello scorso aprile in preparazione delle consultazioni elettorali un convegno sul governo delle Regioni e dei Comuni. Abbiamo, con rude franchezza, dato grande attenzione alle novità e all'uso spregiudicato, in senso non spregiativo, ma spregiudicato nel senso di capacità di fantasia, di soluzioni nuove che le Giunte di sinistra ed in particolare i comunisti avevano portato nel modo di gestire le cose.
Su questi elementi, nella diversità delle soluzioni contingenti, c'è un campo di sintonia comune, che non vuol dire consenso alle vostre proposte ma temi di discussioni; quando si individua la necessità di rilanciare il ruolo dell'ente intermedio, ma di rilanciarlo fuori da ogni equivoco clientelare, fuori da ogni equivoco di spartizione ulteriore di fette di potere, ma come elemento reale di riorganizzazione del sistema delle autonomie, cioè conte risposta adeguata al le modificazioni territoriali sociali ed economiche in corso in Italia dal '45 ad oggi, si mette sul tappeto un elemento sul quale sarà sempre possibile discutere con i liberali; quando si parla della necessità di valorizzare le autonomie locali, di interpretare la Regione come strumento non di accentramento, ma di ampia delega di valorizzazione del ruolo dei Comuni, di nuovo è un campo sul quale sarà sempre possibile discutere con i liberali; come sarà sempre possibile parlare con i liberali della necessità di un uso diverso degli enti strumentali di spesa, della necessità di calare nelle sclerotizzate strutture del nostro governo locale dei meccanismi nuovi, più agili, più capaci di affrontare in tempi reali i problemi che la società pone, cioè di introdurre anche nel nostro Paese società a controllo pubblico con metodi e meccanismi di comportamento privato. Anche su questo problema con i liberali sarà sempre possibile parlare. Come, ancora, sarà possibile parlare con i liberali quando, indipendentemente dal fatto che lo sviluppo debba andare a sud, a nord, o ovest, a est, si capisce finalmente che la programmazione territoriale non è solo - e sottolineo questo "solo" per non mancare di attenzione all'impegno dell'Assessore Astengo nel quinquennio passato - una legislazione protezionistica e di ordine minuzioso, ma è la messa in moto di ambiziosi progetti di cambiamento e di trasformazione.
C'è un dubbio, e cioè che tra i tanti alibi e le tante giustificazioni che i socialisti possono gettare avanti per la loro "rinuncia", per la loro mancanza di coraggio di provare ad essere loro determinanti centrali di una formula di governo costruita questa davvero sì sulla centralità socialista possa esserci il ritardo su questi temi di altre forze politiche ben maggiori della nostra, in particolare della D.C. Spaventerebbe anche noi una D.C. che non può, pena una decadenza della tensione democratica nel nostro Paese, ripiegarsi sugli andamenti attuali, cioè un rifugiarsi nelle campagne, nelle aree periferiche della Regione, perché nelle grandi città viene battuta, e viene battuta perché a noi sembra - e l'esperienza di dieci anni di Consiglio comunale di Torino ce l'ha insegnato - che troppo lenta, troppo tarda, troppo timorosa sia ad individuare gli elementi di cambiamento e di novità nel comportamento delle forze politiche riguardo ai problemi della società.
Su altri temi sarà più difficile il rapporto con la maggioranza che si forma. Vi saranno maggiori difficoltà perché diversa è la concezione sul ruolo dell'Ente locale. In fondo l'insieme delle cose che abbiamo detto prima devono portare ad un'efficienza programmata del ruolo della spesa pubblica, intesa come elemento di trascinamento, di guida, di conduzione di moltiplicazione dell'opportunità degli investimenti privati. Gli altri temi, che ora ricorderò brevemente, richiederebbero una maggiore definizione e una maggiore messa a punto. Quando ci si divide tra maggioranza e minoranza si ha tendenza invece ad accentuare i caratteri distintivi della propria personalità. Se si potesse ipotizzare un'intesa anche su questi temi, forse, al di là dei nominalismi e degli ideologismi si potrebbe trovare qualche maggiore elemento di confronto. Questi temi sono: la sfida dei grandi problemi occupazionali, di cui abbiamo avuto un campanello d'allarme oggi con quel drammatico incontro. Chi, come me, vive in un mondo di lavoro diverso da quello delle fabbriche, questa mattina ha toccato con mano un'esperienza drammatica, un'esperienza sulla quale non si può scherzare, che non si può risolvere solo con immaginazioni tecnocratiche. Se voi notate, nell'ordine del giorno unitario votato dal Consiglio vi è un'ultima frase che come liberali abbiamo richiesto venisse inserita, cioè che l'ordine del giorno è votato in modo unanime in quanto nell'Indesit specificatamente si riconoscono le condizioni per il ripristino di un'economicità di produzione. Noi temiamo, di fronte a questa falla che si sta aprendo nell'economia nazionale, che soprattutto il Consiglio regionale, in cui facilmente prevalgono fatti evidenti di condizionamento locale, di legame con le realtà sociali locali, di fatto risolva la sua presenza nella sfida dei grandi problemi occupazionali in una richiesta di provvedimenti protezionistici, in una rivendicazione "sindacale"; tra virgolette in quanto non spetta al Consiglio il ruolo che spetta ad altre organizzazioni, in una tutela a tutti i costi della difesa dei posti di lavoro, quelli che sono oggi senza cambiamento e non s'impegni invece a ricercare le condizioni perché lo sviluppo riprenda il suo corso perché (per riprendere un'infelice recente affermazione dell'on. Gandolfi) possa essere considerata fisiologica la perdita di lavoro in un settore in quanto la società è in grado contemporaneamente di creare diverse opportunità di lavoro.
Questo serrarsi fra di loro delle forze politiche di fronte ad una sfida grave come quella dell'occupazione potrebbe anche portarci in fondo a dimenticare la coraggiosa autocritica sui miti del passato che insieme dobbiamo fare; noi per la nostra parte l'abbiamo fatta (il non capire come alcuni meccanismi di controllo e di orientamento che superano gli egoismi dei Gruppi debbono essere introdotti in economia), ma altre parti politiche, non capire come, ad esempio, non ci si possa baloccare con i miti culturali, di una cultura di seconda mano, della fine dell'auto, della crisi di un'area congesta, come se oggi non conoscessimo proprio nell'area torinese i bubboni più gravi, pericolosi di una caduta della tenuta del tessuto economico-sociale della nostra Regione.
Un secondo elemento su cui più difficile sarà la sintonia, che non vuol dire accordo, ma possibilità di discutere nel dettaglio dei problemi, è il problema della gestione del credito agevolato. Il nostro è un Paese che conosce alti livelli di inflazione, che ha un'economia incapace di autoalimentare le proprie prospettive di investimento, e spesso non ha le possibilità neppure di alimentare le proprie possibilità di sopravvivenza.
Il fiume di credito agevolato che dallo Stato attraverso le Regioni viene convogliato su settori produttivi, in particolare agricoltura, commercio artigianato, edilizia, diventa un elemento reale, vero, pesante di condizionamento dei rapporti tra i gruppi e all'interno dei gruppi. Ecco che il pluralismo delle forze economiche, quel pluralismo a cui noi tanto teniamo come condizione unica, vera, reale, irrinunciabile di tutela delle libertà, può subire, anche al di là della volontà precostituita di chi governa, una pericolosa finalizzazione per modificare in modo programmato gli equilibri tra i gruppi e all'interno dei gruppi, tra i diversi soggetti portatori del credito agevolato stesso.
E' davvero difficile sintetizzare in poco tempo 40 giorni di confronto serrato, aperto, dignitoso, tra le forze politiche inserendo queste valutazioni in un disegno più ampio, perché governare la Regione Piemonte non è un fatto secondario dell'assetto delle istituzioni nel nostro Paese.
Ho voluto dare fin d'ora alcune coordinate che guideranno l'azione del nostro Gruppo nel lavoro di opposizione che per ora ci attende in questa legislatura regionale.



PRESIDENTE

La parola al collega Cerutti.



CERUTTI Giuseppe

Prendo la parola semplicemente per puntualizzare, se ce ne fosse ancora bisogno, alcuni aspetti che il mio Capogruppo ha già esposto all'attenzione del Consiglio.
Voglio subito precisare che non siamo disponibili al ruolo di alleati di comodo, non lo siamo in Regione, non lo vogliamo essere in altri Enti dove il caso vuole che il P.S.D.I. non ha quel peso oppure non è determinante come forza politica per altri tipi di scelte che partiti che si trovano in schieramenti diversi in questa sede hanno voluto sottolineare. Siamo passati dal plauso incondizionato indubbiamente per l'atteggiamento che il partito ritiene di dare per la votazione del Presidente della Giunta questa sera da parte della sinistra, rappresentata dai compagni socialisti e comunisti, alla delicata critica che ci è stata rivolta dai più alti esponenti della D.C., delicata critica per scelte che magari richiameranno sia il nostro Gruppo sia altri Gruppi e che potranno determinarsi in quest'aula.
Quella che il collega liberale ha chiamato sceneggiata, per noi è una grossa proposta politica di innovazione e di vera alternativa alle formule in atto nel nostro Paese. Abbiamo inteso con il nostro voto assicurare tre elementi fondamentali: non perdere il collegamento con una forza che ci è vicina, il P.S.I., con il quale abbiamo molto in comune, assicurare alla Regione Piemonte la governabilità in una parentesi di due-tre mesi. E' facile limitarci a semplici documenti o ad enunciazioni senza pensare alla possibilità operativa che anche nel breve periodo si può assicurare all'esecutivo. A questo proposito rivolgo un piccolo inciso all'Assessore Rivalta: giacciono presso il suo Assessorato migliaia di richieste di cittadini del Piemonte che attendono risposta in ordine ai problemi della casa. Ritengo che questo tempo verrà utilizzato anche in quella direzione anche per evitare la grossa erosione che la svalutazione compie giornalmente.
In questi due mesi di riflessioni impegneremo la maggioranza che viene a formarsi in una verifica programmatica e noi porteremo il nostro contributo in tutti i settori. Non riteniamo di avere alcunché da spartire con il Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale dal quale ci divide da sempre una barriera di fondo per quello che ha rappresentato e per quello che rappresenta, quindi non accettiamo le osservazioni politiche sul nostro comportamento così come non accettiamo dal P.D.U.P. lezioni di etichetta.
Visto che si è fatto riferimento all'Europa, il nostro è un partito che nel quadro del socialismo democratico europeo svolge il ruolo di partito guida. Ci auguriamo che il Piemonte segua quella strada nelle scelte di carattere politico e di rinnovamento sociale. Con queste brevi puntualizzazioni confermo quanto il nostro Capogruppo ha già avuto modo di precisare nel suo precedente intervento.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Signori Consiglieri, essendo state dette molte cose in quest'aula in occasione di questo dibattito, spettano a noi come forza politica di maggioranza relativa, seppure relegata ad un ruolo di minoranza, alcune parole che spero siano di chiarezza, per evitare che questo clima di ambiguità sovrasti ulteriormente le dichiarazioni e quindi anche il significato politico del dibattito.
Sono state date molte definizioni sulla nuova Giunta di sinistra. Credo che, al di là di tutte le affermazioni in positivo che sono certamente enfatizzanti e giustificative, ve ne debbano essere alcune di precisazione su che cosa non è questa Giunta. Riteniamo che non sia suffragata da una maggioranza di forze politiche che abbiano come indirizzo culturale, come tradizioni storiche e come impegno comune recentemente dimostrato sia a livello nazionale sia nel governo locale come nella conflittualità esterna sui grandi temi nazionali ed internazionali la possibilità di dare soluzioni politiche coerenti ai problemi che esige la comunità piemontese.
Questa maggioranza e questa Giunta non sono sorrette da una maggioranza numerica che possa ricomporre le contraddizioni e non rendere condizionante quegli apporti sia pure numericamente insignificanti ma certamente distorcenti che sarebbero stati volentieri scaricati se i risultati elettorali l'avessero consentito.
In terzo luogo non si presenta con i caratteri di alcuna continuità nonostante tutte le affermazioni che sono state fatte (credo che sia stato significativo l'intervento del Consigliere Astengo) e che non sia il persistere della posizione egemonizzante del P.C.I., il quale è il grande patrono dell'aggregazione e quindi anche il garante in questa situazione all'interno ed all'esterno dell'assemblaggio e di una continuità vigilata e protetta del sottogoverno, almeno fin tanto che ciò converrà alla logica interna e fin tanto che saranno sufficientemente onorati i contratti esterni.
In quarto luogo questa maggioranza e questa Giunta non sono coerenti al risultato elettorale - questo è stato ribadito da molti e credo che vada riaffermato - sia per quanto concerne il riconoscimento di una penalizzazione che sarebbe stata almeno logica a quelle forze politiche che hanno perso oggi seggi rispetto alla passata legislatura sia per quanto concerne il rispetto dei contenuti e degli indirizzi politici che queste forze sono andate sulle piazze a propagandare, quando hanno chiesto il consenso agli elettori e che i singoli partiti hanno cercato di portare qui con la loro rappresentanza elettorale.
Nella sua ambiguità, in quinto luogo, questa Giunta nasce in una logica necessitante per il governo ad ogni costo sotto qualsiasi bandiera. E la nuova maggioranza supera anche il baluardo del cosiddetto arco costituzionale delle forze politiche, ignorando i profondi dissensi che non sono certo rimarginati nel campo della sinistra, le profonde lacerazioni se è logica la dialettica che è stata qui ricordata e sussistita fino a ieri con il P.C.I. che vedeva proprio questo partito ed altre forze che fanno parte di questa maggioranza nettamente contrapposti su problemi e fenomeni di grande rilievo nella nostra società civile.
Nasce quindi questa Giunta con il segno delle contraddizioni, delle riserve, con delle lacerazioni palesi di spinte come un lenzuolo conteso a destra e a sinistra e che quindi, secondo noi, va detto chiaramente, non offre garanzie di stabilità che non siano ancorate all'artificio dei meccanismi di sopravvivenza. Vuole accreditare una sua scontata ineluttabilità al limite anche transitoriamente, debole dal punto di vista numerico, ma forte di una garanzia di presenza, quella comunista, in grado di coprire qualsiasi cattiva coscienza, qualsiasi operazione scorretta sia dal punto di vista politico che dal punto di vista gestionale. Ed è la presenza del P.C.I. che diventa il nodo cruciale nella situazione reale del Piemonte, almeno dopo i risultati elettorali dell'8 giugno. Una presenza numericamente paritaria del P.C.I. e della D.C. è stato un argomento snobbato nella valutazione dei risultati elettorali. Questa presenza paritaria non ha accreditato alcuna ipotesi di rafforzamento del bipolarismo e ciò noi riteniamo non tanto e non solo per le posizioni preamboliste prevalenti nell'area della D.C., quindi per il conseguente rifiuto di disponibilità del P.C.I., quanto - e questo dobbiamo dirlo sinceramente al P.S.I. - per un'eccessiva velleità trionfalistica conseguente ai loro risultati elettorali, velleità che li ha portati a sopravalutare gli effetti di un consenso elettorale senza minimamente soffermarsi a valutare le cause, cioè le reali motivazioni di un'inversione di tendenza rispetto ad alternanze di stagnazioni o di insuccessi delle ultime consultazioni politiche. Anche la velleità si alimenta di consensi e di luoghi comuni. Potremmo parlare dei servilismi d'occasione degli organi di informazione, di quel conformismo dei cosiddetti addetti alla cultura quelli che in genere ruotano qui nelle aree delle consulenze regionali potremmo parlare delle componenti sociali organizzate, quelle che sono pronte alla minima sollecitazione ad emettere comunicati di indispensabilità di formule più che ad indicare contenuti politici. Ma voi capite che se dovessero essere credibili questi tipi di servilismo e di luoghi comuni credo che alcune forze politiche che hanno disposto della maggioranza in questi ultimi cinque anni avrebbero avuto ben altri consensi. Invece ci troviamo qui a varare una situazione ben più difficile ben più angosciata rispetto ai risultati numerici e al tipo di aggregazione politica che ne viene fuori. Riteniamo che i consensi ed i luoghi comuni che purtroppo molte volte rischiano di risultare determinanti, quando nascono nell'alambicco di forze politiche alla ricerca di una motivazione esistenziale debbono essere smascherate e debbono essere evidenziate a tutti, all'interno ed all'esterno delle istituzioni.
Quando invece queste motivazioni, questi luoghi comuni hanno un riscontro nell'esigenza reale della società, nei problemi reali della gente che vive tutti i giorni e soffre delle congiunture, anche drammatiche quando hanno riscontro nella salvaguardia di valori da far salvi nell'anelito profondo che può promanare da componenti sociali non tutelate allora certo questi consensi, questi luoghi comuni possono, Presidente Viglione, faccio soprattutto riferimento al suo intervento, essere veramente credibili, destinati ad aggregare, a coinvolgere, a rafforzare la sia pur varia articolazione del nostro scenario politico locale.
Si è parlato molto in questi giorni di questa centralità socialista e confessiamo di aver subito nei primi passi degli approcci e dei contatti che sono avvenuti tra le forze politiche, quand'anche noi ne siamo stati ampiamente discriminati. Confessiamo di averne subito il fascino di una definizione, anche se non riuscivamo sempre a coglierne la collocazione. E' stato detto: centralità rispetto a quali aree o a quali tipi di esigenze reali della società? E ritenevamo ingenuamente che, comunque, il concetto presupponesse la ricerca di un ruolo autonomo di queste forze politiche che la rivendicavano nel modo di essere non più in termini di mediazione o di collocazione neutrale quanto di un ruolo di essere forze responsabili capaci di un'interpretazione autentica di equilibri e di governo necessari ad un Paese come il nostro - lo riconosciamo - che ha innegabilmente operato uno spostamento a sinistra in questi ultimi anni. Ora, un ruolo siffatto, quand'anche concorrenziale con la D.C., riteniamo che sia un ruolo che ha delle prospettive, sia un ruolo che debba essere rispettato e che debba quindi muoversi in direzione di quelle reali condizioni di alternanza che siano nella direzione del rafforzamento della democrazia. E' con questo tipo di intenti che abbiamo cercato di rafforzare questa ipotesi.
Abbiamo dichiarato la nostra disponibilità incondizionata ad una Giunta laica, cioè ad una soluzione che nei numeri e nella partecipazione alle responsabilità reali delle forze laiche acconsentisse l'effettiva realizzazione di questa centralità, cioè una centralità dei partiti socialisti laici per il governo della Regione, per provare effettivamente lo spessore di capacità autonoma di queste forze a reggere il discorso di un'iniziativa politica, non a rimorchio di altri ruoli e di altre forze. Ma era chiaro che ciò non doveva presupporre un agganciamento ad altri ruoli e ad altri ricatti. Era chiaro che doveva presupporre una reale autonomia di indirizzo e di iniziativa soprattutto nei confronti del P.C.I. , tutore finora di ogni minima iniziativa dei socialisti in tema di politica regionale. Dico tutore, non dico garante.
Il nostro appoggio esterno, a differenza del rifiuto del P.C.I., non era e non è tuttora possibile, qualora si verificassero le condizioni dettate da preconcetti disegni di governo della Regione. Noi siamo consci del patrimonio di proposte e di realizzazioni costruite finora assieme e soprattutto sul piano legislativo e di quanto debba ancora arricchirsi questo patrimonio per affrontare le nuove dimensioni congiunturali e di prospettiva europea verso la quale la nostra Regione si va avviando.
Noi volevamo e vogliamo valorizzare un ruolo propositivo autonomo che avesse con il nostro apporto la garanzia di una continuità e di una stabilità per assicurarne quella rispondenza alla politica nazionale ed europea della quale vi siete per anni resi promotori, soprattutto amici socialisti, e corresponsabili sia nel Governo nazionale come nella scena del Parlamento europeo.
Queste cose la D.C. le ha già dette però ritengo opportuno ribadirle ed è forse il caso che vengano evidenziate qui ed abbiamo evitato in forme di iniziativa autonoma di contrastarne altre in corso dei partiti socialisti per contribuire ad accrescere ed allargare il dialogo tra quelle forze laiche, che nonostante tutto pare così difficile e così lacerante. Per volevamo anche porre alla prova in quali condizioni di autonomia, rispetto al P.C.I., questo dialogo si potesse esercitare. Se socialisti e socialdemocratici non lo hanno capito, riteniamo che il giudizio che si debba dare su questa operazione è sconcertante, cioè l'aver scambiato la nostra disponibilità a riconoscervi uno spazio con la disponibilità a privilegiarlo a qualsiasi costo ed in presenza di una sostanziale incapacità di autonomia.
Non vorremmo continuamente ricorrere a queste specificazioni e non vorremmo ritornare su queste tesi in gran parte già sostenute in altri interventi se non fosse lo stesso documento presentato a convincercene.
Potremmo anche parlare di una certa sfacciataggine, di un certo eccessivo opportunismo nel voler affrettare questa presentazione, ma certamente vi è un'ambiguità di fondo che è in funzione di una neppur troppo necessaria ricerca di consensi, questa ambiguità che finisce per emergere nel documento, che si caratterizza per contenuti che dovrebbero essere e sembrare presupposti di un accordo e che invece di fatto si collocano nella logica di giustificazione pura fine a se stessa. E l'ambiguità più evidente purtroppo è la reiterata e ricorrente pretesa di rivendicazioni di meriti e di ruoli alla maggioranza che ha governato negli ultimi cinque anni, meriti che dobbiamo riconoscere, perché è stato questo riconoscimento ampiamente sottoscritto e scritto in varie sedi, non possono essere solo patrimonio delle forze di maggioranza, ma è il dialogo e la concorrenzialità dialettica nel crescere qualitativamente il livello delle nostre leggi che ha visto crescere il livello delle istituzioni in quanto tali e cioè di quelle forme di autodeterminazione e di crescita propria di tutta la società. Questa è una prerogativa delle democrazie: nella misura in cui le democrazie crescono e si espandono anche questo tipo di spessore qualitativo può crescere. Ma le tentazioni del P.C.I. di volersi identificare ad ogni costo e in ogni circostanza con le istituzioni appaiono solo una volta purtroppo accondiscese dai socialisti in una serie di definizioni ambigue, generiche, assolutamente lontano da un riferimento specifico; l'abbiamo verificato negli interventi che si sono succeduti rispetto proprio alla politica europea. Affermazione che certo sarebbe opportuno verificare al vaglio di un reale consuntivo di incidenza della società, nei giovani, nelle fabbriche, rispetto alle risposte che si sono date ai problemi, ad esempio, economici, occupazionali in questi ultimi cinque anni, nonostante la mediazione esasperata di un Assessorato nonostante la capacità di coinvolgere in dialoghi e in polemiche, a volte le forze imprenditoriali, a volte il Governo nazionale; però una capacità che poi non ha dimostrato nei fatti di sapere calare queste realtà e queste politiche nei contenuti della spesa regionale e quindi in quella incisività che era richiesta appunto dalla società. E come è possibile, credibile l'esaltazione del documento di una unità politica e morale delle forze politiche e sociali che avrebbe avuto nella Regione il suo riferimento quando nella società e nel sociale, proprio laddove voi operate come forze politiche, noi operiamo? Il P.C.I. e il P.S.I., che sono i principali autori della presentazione di questo documento, non sono in grado di produrre valutazioni e propone che abbiano nei confronti proprio della politica nazionale ed internazionale un minimo di coerenza. Diciamo che al di là delle false enfatizzazioni il documento doveva giustificare comunque una aggregazione preordinata, alla presenza indispensabile del P.C.I. per assicurare che esso vi sia ad ogni costo. Ed anche in questo clima e in questo scenario la governabilità che cosa viene ad essere? Il Piemonte credo che non abbia bisogno di mascherare dietro a queste definizioni il superamento di una logica di coerenza politica, non abbia bisogno di mascherare dietro a queste giustificazioni il superamento del rispetto dei risultati elettorali, di ogni contraddizione sui grandi temi che sono anche emersi dal problema delle infrastrutture, del nucleare, dal problema della casa dei trafori, delle comunicazioni. Come è possibile e come può essere credibile da parte del P.C.I. e del P.S.I. proporsi di governare la Regione in presenza di un atteggiamento comunista, ad esempio, nei confronti del Governo, dei provvedimenti economici che sono stati varati recentemente e faticosamente con una dialettica anche con le organizzazioni sindacali, in presenza di una valutazione così difforme rispetto ai quali si dovrebbe poter collocare una logica coerente di politica regionale già tanto difficile da immaginare e da prospettare? Credo che la risposta non potrà non venire dai fatti e mai come in questo momento le lacerazioni profonde che possono sussistere tra le dichiarazioni, cioè tra le parole e i fatti avranno modo di evidenziarsi in tutta la loto drammaticità. E ci spiace perché questo si va delineando in una fase che come è stato sottolineato in un recente documento del Movimento Federalista e dalle organizzazioni federaliste prospetta per la nostra Regione un'ipotesi ed una realtà di transizione da una società prettamente caratterizzata dal settore industriale, dal secondario, tante volte vituperato e rispetto al quale abbiamo operato tutti le necessarie autocritiche, verso una società post industriale che deve cominciare a prefigurare ruoli diversi della nostra Regione sia in termini strutturali sia in termini infrastrutturali per poter assolvere a dei compiti specifici e propri rispetto alla realtà internazionale.
Ma questo ribaltamento che è stato qui voluto enfatizzare anche dal principale organo di opinione pubblica della nostra città, che ha avuto modo di radiografare il documento con una serie di letture e di precisazioni che noi abbiamo trovato nelle pagine del documento stesso questo ribaltamento del problema del Piemonte come area forte è veramente sconcertante così come viene prospettato, cioè l'ipotesi di un'area forte concorrenziale con le aree forti europee, ma che non sia un'area forte.
Questo è un tipo di definizione molto ambiguo nella sua genericità.
Dobbiamo dire chiaramente qual è il discorso. Mentre tutto propende nel fare modificare il tessuto connettivo e strutturale dell'attività produttiva per poterlo adeguare alle nuove realtà, che necessariamente dovranno vedere delle contrazioni nel settore secondario, alcune forze politiche, in particolare il P.C.I., non perseguono questi obiettivi e non li perseguono in una serie di coerenza rispetto ai propri obiettivi di tipo politico, di tipo partitico, rispetto alla presenza elettorale e alla presenza nel sociale che esse sono riuscite ad imbastire nelle aree metropolitane.
Queste contraddittorietà emergono in altre pagine del documento, che non sto per brevità di tempo a sottolineare, ma che sottolineano come il Piemonte possa favorire assi di scambio e di comunicazioni che affrontino in pari potenzialità concorrenziale i ruoli che sono svolti dalle Regioni francesi. Questo quando abbiamo cercato fino all'altro ieri di fare di tutto per impedire una rapida soluzione dei problemi dei collegamenti e ci siamo solo adeguati nella misura in cui la reazione poi violenta che sarebbe derivata dal sociale e anche dai settori vitali e produttivi della nostra realtà piemontese e nazionale, avrebbe posto alla berlina certi atteggiamenti e li avrebbe necessariamente condannati. Ma queste contraddizioni come sono emerse nell'intervento del rappresentante del P.D.U.P., Consigliere Montefalchesi, sono presenti ancora nella realtà composita di questa maggioranza, sono presenti forse nella stessa contrapposizione all'interno di due componenti del P.S.I. e credo che come non produrranno effetti concreti rispetto alla soluzione dei problemi relativi alle relazioni con le nostre aree limitrofe, purtroppo non produrranno effetti rispetto alle ambiguità celate di affermazioni sul problema energetico, rispetto ad un potenziamento complessivo della nostra capacità produttiva, proprio per adeguarla a quei livelli e a quelle modificazioni strutturali che tutti noi riconosciamo necessari.
Mi potrei dilungare su molti aspetti relativi alle politiche del territorio, alle politiche di riequilibrio, ai problemi della casa, delle infrastrutturazioni, problemi che ha già evidenziato il Consigliere Astengo e che non sto a ripetere. Alcune sue affermazioni giustamente si collocano in una segnalazione, per lo meno, dell'affrettata redazione di un documento che doveva essere tipico di una aggregazione di consensi più che non di una specificità di interventi e quindi di una volontà di dirottamento di una linea politica.
Mi chiedo come si farà a ricomporre tutte queste carenze ed ambiguità quando si dovranno portare avanti disegni ben precisi che sono stati ora innescati. Quando sento le affermazioni del Consigliere Astengo relative ai nuovi insediamenti penso a che cosa succederà all'ora dell'accordo tra gli Enti locali torinesi e i costruttori torinesi per la costruzione della mega città satellite ovest di Torino, cosa succederà quando si dovranno innescare delle scelte precise relative alle infrastrutture dei trasporti che delineano certamente non solo un'ipotesi di ricucitura o di riaggregazione dell'esistente ma possono essere economicamente giustificate, politicamente producenti solo nella misura in cui producono degli effetti precisi rispetto al decentramento sia delle industrie sia delle residenze. Credo che tutto questo sarà oggetto di valutazioni successive, certo non possiamo che limitarci a segnalare come queste prospettazioni e queste indicazioni non siano credibili rispetto alle reali risposte che si aspetta la comunità piemontese, rispetto alle critiche che sono state svolte da molte parti in campagne elettorali, ivi comprese le forze stesse di maggioranza che avevano governato la Regione e che quindi i riferimenti di contenuto non mancheranno di evidenziarsi poi in una lacerazione profonda anche rispetto alla conduzione gestionale di questa amministrazione.
Mi avvio quindi alla conclusione dicendo che su questi presupposti lasciando salve le valutazioni già, fatte su altri aspetti, la D.C. con molta dignità affronta questo nuovo ruolo di governo dall'opposizione, che non vuole assolutamente dire alcuna acquiescenza o alcun atteggiamento strategico per modificare un atteggiamento coerente tenuto in questi ultimi cinque anni. Siamo consci di avere commesso anche degli errori e quindi siamo disposti ad accettare da tutte le forze politiche una coscienza critica che sia in condizione di porci di fronte ai problemi che non avremmo, come da qualcuno ci è stato detto, affrontato o che avremmo visto con ritardo; però credo che nel fare questa dichiarazione di disponibilità accettare che troppe coscienze critiche e troppe cattive coscienze si muovano a giustificazione di una logica di governo come quella che si va formando. Sulle coscienze cattive del P.S.D.I. credo che già il nostro Capogruppo abbia dato una valutazione più che responsabile e non mi vado a soffermare ulteriormente, però credo che la presunzione che caratterizza altre coscienze critiche, in particolare quella del P.C.I., di una sua indispensabilità per affrontare i problemi di occupazione ad esempio della Regione, una sua indispensabilità che poi si traduce di fatto in una capacità dialettica solo di analisi e di ricerca di consensi a cui però non corrisponde alcuna credibilità automatica nella delineazione delle prospettive di intervento; una presunzione come quella del P.S.I. di una centralità fallimentare, di un ruolo che è anacronistico rispetto alle stesse vicende elettorali, rispetto alla vicenda regionale e nazionale; un ruolo di cattiva coscienza come quello del P.D.U.P. che certo non si aspettava tanta fortuna, ma che certo non mancherà di far rilevare (mi auguro con coerenza) la sua vera identità e la sua vera capacità di collocarsi alla sinistra del P.C.I. Nel dare battaglia ai problemi che il Consigliere ha qui rapidamente evidenziato nel suo intervento, che già prima ho ricordato, ma che non possono essere complessivamente taciuti come se fossero degli aspetti che non avranno incidenza nelle future decisioni di questa Giunta (parlo del problema infrastrutturale, problema nucleare e il problema di che cosa sia e di come possa essere ottenuta una maggiore produttività, il problema della politica europea della nostra Regione). Noi auspichiamo che in questa seconda fase della legislatura (la prima fase ormai è stata caratterizzata da questi approcci e da queste conclusioni) si apra finalmente quel dialogo che ci è stato precluso e si possa costituire nel confronto effettivo un'ipotesi di gestione alternativa che non consacri nessuna preconcetta emarginazione di forze politiche ma nemmeno ne privilegi assurdamente solo talune altre. Auspichiamo che sia una fase caratterizzata da una reale centralità del Consiglio, che esalti i contenuti del confronto e della costruzione politica e che li sostituisca alla vuota enfaticità, alle definizioni dei fenomeni come obiettivo principale di presenza politica e di ricerca di consensi. Ed in questo credo che la D.C. non abbia problemi di collocazione né di coerenza. Credo che debba essere riconosciuto un suo ruolo di insostituibilità nella società che può non essere tale nelle istituzioni, perché alternativamente nelle istituzioni si possono affacciare le responsabilità e quindi i governi di alcune forze rispetto ad altre, ma che indubbiamente non possono essere relegate all'assenza totale rispetto ai problemi che emergono nella società.
Riteniamo che questa fase, per quanto breve, sia un contributo preoccupante che comunque viene a determinarsi rispetto alla contrazione nell'allargamento della democrazia, perché abbiamo assistito in questi anni, nonostante tutta l'enfatizzazione, e qui è stato ricordato anche dal Capogruppo del P.S.D.I., come le realtà autonome e locali, dai Comprensori alle Comunità locali, siano state ampiamente snobbate, quindi su questo si misurerà in questo periodo la capacità di un allargamento del fronte di questa partecipazione e quindi di possibilità di incidenza reale delle decisioni che si andranno a prendere.
Riteniamo di essere, nella nostra indispensabilità rispetto al sociale garanti di una continuità della democrazia e quindi garanti di una lunga stagione ancora di democrazia e di sviluppo civile, sociale ed economico della nostra Regione. Non vogliamo con questo assumere degli atteggiamenti rinunciatari e quindi, come è stato detto, la nostra opposizione non mancherà di assumere dei connotati di rigidità che forse in passato non si sono evidenziati come tali. Però riteniamo con questo di poter assolvere ad un ruolo specifico, preciso di prospezione e di introspezione di una realtà che richiede creatività, che richiede consensi, ma che richiede anche la coerenza rispetto ai valori fondamentali sui quali abbiamo costruito questi 30 anni di democrazia nel nostro Paese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

Non tocca a me, non ho nessuna intenzione di trarre delle conclusioni da questo dibattito, credo che le conclusioni potranno e dovranno essere tratte dalla Giunta che sta per nascere e dovranno tradursi in un programma che deve essere presentato certamente in tempi brevi e che deve tener conto dei contributi positivi, a volte critici, che sono venuti sia dalla maggioranza che sta per nascere, sia dal fronte delle opposizioni che hanno dato vita ad un dibattito serio, secondo la tradizione e la cultura di questo Consiglio regionale. Intendo soltanto dare alcune risposte a problemi politici, ad interrogativi, a critiche che sono state avanzate alla maggioranza che sta per nascere, perché questo può essere un contributo alla chiarezza. Qui non può avvenire un dibattito fra sordi o un monologo che ciascuno fa, quasi che davvero qui ci fosse la possibilità di trasformare in echi verso le grandi masse popolari le parole che ciascuno pronuncia, ed invece il confronto fra di noi non fosse intanto la prima forma di colloquio positivo che deve svolgersi nell'aula per poi trasformarsi anche in un dialogo con l'esterno. Tenterei di dare qualche risposta alle critiche e alle osservazioni che, soprattutto i colleghi della D.C., hanno sollevato verso questa maggioranza che sta per nascere perché a me pare che non tanto quello che hanno detto meriti una risposta (torno a precisare che toccherà alla Giunta dare una risposta più convincente a tutto questo), ma quello che non hanno detto, pur avendo parlato parecchi oratori - per cercare di spiegare, secondo la mia versione, perché oggi nasce qui in Piemonte una Giunta democratica di sinistra (dopo l'esito numerico delle elezioni) ed una maggioranza che non prevede la partecipazione della D.C. Perché uno sforzo di dare questa spiegazione non c'è stato nei vostri interventi - che pure sono stati interessanti ed anche abili come quello del Consigliere Beltrami, ma in fondo di tutti quelli che sono intervenuti - ma una spiegazione razionale lucida del perché nasce una Giunta democratica di sinistra con queste novità (ha ragione il Consigliere Marchini) e con questa continuità.
Perché nasce questo? Voi avete saputo, nei vostri interventi, solo rimproverare alle altre forze politiche di non aver tenuto conto della vostra centralità. Già, ma questa centralità che non è più riconosciuta dalle altre forze politiche è forse colpa delle altre forze politiche? Perché in nessuno dei vostri interventi non è apparsa nemmeno la preoccupazione, la consapevolezza, direi la necessaria angoscia che dovrebbe esserci in un partito che a Torino tocca da due anni il minimo storico del proprio consenso elettorale (che arriva attorno al 20 % tanto quanto il Partito Socialista a Milano) in un partito che è il partito che governa il Paese dal 1947, che è stato ed è partito di governo in tante Regioni italiane e tornerà ad esserlo anche dopo questo esito elettorale in un partito nel quale si agita l'inquietudine di ricercare un'identità (che qualcuno pensa persino che si sia perduta), la necessità di definirne una nuova e in qualcuno c'è persino la paura di perdere la funzione ed il ruolo storico che la D.C. ha avuto in Italia dal '47 ad oggi. Questi sono problemi reali che qui non sono emersi. Qui è emerso il rimprovero al P.S.D.I. per la sua autonomia, voi avete rimproverato al P.S.D.I. di essere autonomo da voi e da noi, perché la dichiarazione che è stata fatta qui dal P.S.D.I. è una dichiarazione di autonomia di un proprio apporto all'elezione del Presidente della Giunta, di autonomia nella distinzione della definizione nei confronti della Giunta, di un contributo aperto e da misurarsi sul confronto programmatico, di una posizione autonoma.
Voi rimproverate al P.S.I. di aver assunto in piena autonomia una posizione che non è omogenea, nella formazione di una Giunta regionale alla formazione del Governo nazionale, quasi che tutto il senso della nascita delle Regioni in Italia non comprendesse anche il fatto di dare vita, nelle singole realtà regionali, a Giunte e a maggioranze che rispondono alla tradizione culturale e storica, oltre ai dati di fatto delle realtà che sono così differenti da Regione a Regione. Forse tutti assieme abbiamo enfatizzato la nascita delle Regioni pensando ad un fatto unitario e comune, che certo è il fatto delle autonomie locali, che certo è un disegno che deve rinnovare lo Stato, che certo è la più grande scommessa e la più grande originalità della nostra Costituzione, ma guai a pensare a processi di omogeneizzazione che partono dal vertice per andare necessariamente alla base nelle Regioni e nei Comuni, come illudersi di far nascere delle Giunte che siano contro il Governo nazionale, al di là degli elementi di dialettica necessaria ed opportuna di ogni Regione con il Governo nazionale, come opportunamente ricordava l'Assessore Astengo per quanto riguarda tutta una serie di questioni. Quella che nasce qui non è una Giunta ideologica e non è neanche una Giunta che nasce per stato di necessità. E' una Giunta autonoma e in questo senso coerente con lo spirito e la lettera dello Statuto regionale e con il disegno più generale di previsione delle Regioni e della Costituzione. Credo che dobbiate porvi qualche interrogativo. Avevo raccolto alcuni interrogativi che alcuni vostri dirigenti, di tutte le correnti, si erano posti subito dopo le elezioni e che angosciosamente si ponevamo, con frasi impietose, i problemi che ho sollevato qui. "Fare la campagna elettorale nei conventi e negli istituti religiosi non serve più a nulla" sostiene con foga Giuseppe Botta "Questa D.C. è tutta da rifare" dice Umberto Giardini. Un altro esponente della D.C., non ultimo venuto, come l'on. Arnaud dice: "Il fatto è che a Torino i padroni delle tessere continuano a comandare". E' vero che a Torino non si scrivono più i morti, e va avanti così descrivendo tutte le cause che non sono di oggi.
Cari colleghi democristiani, venite qui a porre il problema della non legittimità politica, della non corrispondenza della Giunta che sta per nascere con il risultato elettorale, quasi fosse più legittimo che un partito come il vostro, che raggiunge il 31%, cerchi di aggregare attorno a sé altre forze politiche. La legittimità è pari, la ricerca degli accordi e delle intese è comune. Spesso nei vostri scritti dite che è stato tradito l'elettorato, che l'elettorato non vi aveva confinato all'opposizione.
L'elettorato vi ha dato il 32% dei voti, al P.C.I. il 31% e a tutti i partiti politici ha posto il problema di formare una maggioranza e una forza di governo che avesse una cultura di governo e fosse in grado di interpretare le novità e la continuità con il passato.
Questa Giunta è nuova e nello stesso tempo esprime la continuità. E' la continuità che rende possibile la novità di oggi. Se non ci fosse stata quella continuità non sarebbe possibile la novità di oggi che permette a forze politiche che si definiscono di sinistra, che sono di sinistra e che hanno un elettorato di sinistra, di convergere su momenti particolari della costruzione di questa Giunta con motivazioni autonome e differenti. Quello che nasce è poca cosa? Penso che sia invece una cosa importante. Non è la sonda speranza a cui faceva riferimento il collega Bastianini, e cioè che questa Giunta laica nascesse e aggregasse attorno a sé, attorno a forze intermedie una centralità di governo. E' un'aspirazione dei laici non da oggi bensì dal '47, ma badate che questo problema non è mai stato insensibile. E' stato il problema dell'Italia dal '48 al '53 in modo particolare. Chi ha letto il documento scritto da Togliatti "Per un giudizio equanime dell'opera di De Gasperi" (qui ricordato, secondo me, non a proposito) ricorderà il problema politico che si posero i costituenti, e altri dopo, sul fatto che questa forza politica intermedia non nasceva.
Tutti i tentativi del partito d'Azione e di altri erano caduti e quello era un problema della democrazia italiana che doveva essere affrontato e risolto da quelle forze che avessero saputo misurarsi con la tradizione della cultura laica risorgimentale e avessero saputo aggiornarla e avesse saputo collegarsi con le forze emergenti del movimento operaio. Il dato peculiare dell'Italia di allora, come quello di oggi, è questo. Il dato con cui dovete confrontarvi continua ad essere, oggi come nel '75, la questione comunista che non potete esorcizzare, né risolvere nel senso di dire che il voto che è stato espresso da molte forze è un voto anticomunista, quasi che la realtà italiana e della nostra Regione fosse ferma allo schema del '48 o del '53 o del 1960.
Questo problema è aperto e tutte le volte che ci viene ricordato con delle prediche non inutili, secondo la cultura di Einaudi, non ci trova e non ci troverà insensibili ad affrontarlo. Tant'è vero che forse sarà affrontato in qualche zona del Piemonte; tant'è vero che troverà non insensibile il nostro partito a dargli una soluzione positiva. Quindi non c'è nessuna pregiudiziale ad affrontare un problema di questa natura.
Noi abbiamo detto "no" alla proposta della Giunta laica, intanto per la sua debolezza organica, ma soprattutto una Giunta laica che avrebbe avuto bisogno di sostegni per gestire la Regione. Abbiamo detto e ripetuto che non siamo forze intercambiabili nell'appoggio della Giunta laica. Non si possono fare le stesse cose che si fanno con la D.C., perché la distinzione è profonda su questo terreno. Per far funzionare la Regione ci vogliono 26 o 30 incarichi a seconda della strada che si sceglie. Di questi la Giunta laica ne avrebbe coperti 14 o 17 e in questo caso 12 o 13 sarebbero stati coperti da una forza che ritengo laica e che si chiama Democrazia Cristiana. E siccome il documento programmatico previsto dallo Statuto avrebbe avuto bisogno di 3 o di 6 firme della D.C. - quindi di una forza fondamentale nella definizione di un programma di gestione - quella sarebbe stata un'altra cosa, sarebbe stato un pentapartito o un quadripartito che sarebbe nato con un determinato programma. Allora bisognava chiamare le cose con il loro nome, e ne abbiamo tratto la conseguenza di ricercare con le altre forze della sinistra la soluzione possibile, spinti da un'urgenza democratica, economica e sociale, dalla gravità della crisi - che non è inferiore a quella del '75 perché sono più gravi la spinta inflazionistica e la minaccia per l'occupazione - che ha bisogno di soluzioni antiche e nuove ad un tempo. Quelle antiche hanno portato nel '76 alla riduzione del tasso di inflazione ma hanno poi riportato al galoppo la spinta inflazionistica che sappiamo quanto micidiale sia non soltanto per l'economia del nostro Paese ma per le sorti della democrazia. Sappiamo che la crisi di ristrutturazione industriale del '75 aveva in realtà delle basi strutturali così profonde che ha portato la minaccia non solo di qualche migliaio di spostamenti di operai da un settore produttivo ad un altro, ma al pericolo per migliaia di posti di lavoro in un settore intero dell'economia piemontese che tanta parte ha nell'economia italiana.
Non nelle espressioni delle forze di sinistra, non certo nel documento programmatico, ma nel dibattito è mancata una riflessione sulla gravità e sulle connessioni della crisi internazionale. Questa consapevolezza noi l'abbiamo piena, ma in quest'aula è apparsa poco. E' emerso il riferimento all'Europa, ma nei termini in cui è stato fatto assomiglia ad uno spazio libero, ad una giaculatoria, ad un'espressione di rito. Noi crediamo profondamente che non ci sia prospettiva di sviluppo per il Piemonte se non è agganciato all'economia europea; il 54 % delle esportazioni piemontesi è rivolto ai Paesi del MEC. Come si fa ad ignorare questo dato di fatto? Ma altre ragioni politiche hanno portato il nostro partito, con un travaglio durato anni, ad assumere una posizione coerente. Chiariamoci le idee. Non rispondiamo nemmeno che la nostra risposta è più avanzata della vostra, che vogliamo un'Europa dei popoli, delle Regioni, della partecipazione; l'Europa dove i sindacati siano uniti ed incomincino ad essere una forza contrattuale autentica nei confronti delle multinazionali europee. Vi diciamo che l'Europa è qualche cosa che se non si chiarisce bene è molto ambigua. L'Europa è stato il Paese di Carlo Marx, di Beethoven, di Shiller, Shakespeare, dei colonnelli, dei campi di concentramento. Non basta dire Europa, né storicamente, né culturalmente, e oggi dire Europa non basta dire Parlamento europeo, perché le elezioni di un anno fa hanno dato una maggioranza moderata e conservatrice. L'Europa che vogliamo noi non è né quella della signora Thatcher né quella di Strauss. L'Europa che vogliamo noi è quella che, ci auguriamo, sta emergendo e che ha collegamenti con l'Europa di Brandt, con milioni di lavoratori tedeschi, francesi e degli altri Stati europei, non comunisti ma che sono legati al progetto di trasformazione dell'Europa.
Il progetto Piemonte non deve essere un progetto di dominio della crisi congiunturale, non deve essere di aggiustamento senza un disegno. Abbiamo coscienza che in questo momento siamo collegati alla sorte dell'Europa e alla sorte degli uomini che vivono nel mondo, secondo 131 scale di gradualità di reddito e di condizione. C'è un uomo nel mondo che vive a quota 1 e ci sono milioni di uomini dall'altra parte che vivono a quota 131; c'è il cittadino di Amburgo che ha un reddito cinque volte, superiore al cittadino della Calabria. Dobbiamo capire che cosa vuole dire un nuovo rapporto di forze nell'Europa, tra le forze del progresso e le forze della conservazione, se vogliamo schematizzare in grande. Noi ci battiamo per aggregare queste forze che hanno un progetto di rinnovamento come l'ultimo rapporto di Brandt rappresenta, sul quale non si può non convenire sul piano della coesistenza pacifica, della necessità del disarmo dell'utilizzazione di immensi miliardi in un progetto di trasformazione dei rapporti economici fondato su una nuova cooperazione internazionale nello sviluppo fra i Paesi. Ecco la necessità dell'approfondimento, ecco la necessità di non fare della retorica europeistica, ecco la necessità di una coerenza nell'impegno per la costruzione dell'unità europea, senza la quale non c'è possibilità nemmeno di inserire il discorso programmatorio piemontese in un disegno che ci veda non nemici né dell'Unione Sovietica n degli Stati Uniti, ma bisognosi di rapporti economici internazionali su cui la nostra economia piemontese può avere una speranza di sviluppo programmato e non casuale che affondi le sue radici nelle riforme strutturali. Queste sono le idee forza del documento che, appunto, deve essere riempito di tanto. Idee forza che hanno permesso l'aggregazione. La ragione vera della convergenza dei 32 voti sta lì.
Allora lasciate che concluda questa riflessione - che qualcuno ha definito sermone - ad alta voce. D'altra parte dipinta la Giunta laica si presuppone un Presidente priore, qualcuno lo voleva Papa, altri richiedevano che andasse a rimeditare sul Sinai: una Giunta così potremmo definirla tutto fuorchè laica.
Concludo facendo riferimento al fatto che sta per succedere oggi qui nel Comune di Torino e domani alla Provincia. Non è un fatto da enfatizzare, ma non è neanche banale. Credo di avere un po' di memoria storica e politica, ma non ricordo un altro episodio in cui P.C.I., P.S.I.
P.S.D.I. e P.D.U.P., ferma restando la loro piena autonomia ideologica e politica, abbiano trovato una forma di convergenza non costretti dalle circostanze, non spinti da nessuna egemonia, ma in libera scelta ed autonomia. Questo fatto è molto importante non perché noi lo valutiamo così. Questo è un discorso che riguarda i compagni socialdemocratici, i compagni socialisti, i compagni comunisti, i compagni del P.D.U.P. Un operaio, in una riunione del dopo lavoro ferroviario Lingotto, nel corso della campagna elettorale mi ha detto: "Fra i nostri partiti c'è una battaglia e una polemica feroce. Fate attenzione a quello che dite perch può essere legittimo nella distinzione delle posizioni ma, quando arriva in fabbrica, produce effetti tremendi e noi siamo più deboli nei confronti del padrone". Quando usciremo di qui, quando andremo a salutare il Sindaco Novelli, quando domani leggeremo quello che la Provincia ha fatto, cari compagni, Athos, Boienti, Vadalà, Viglione, Astengo, tutti quelli che hanno lavorato per dare vita a questa cosa, la sottile speranza che ci guida pu anche diventare un filo rosso che fa una lunga tela, può essere anche il contributo originale del Piemonte alla ricerca non astratta dell'unità della sinistra che intanto, qui, manifesta un punto di convergenza, senza enfasi, senza ottimismi fuori luogo, ma con grande fiducia nella ragione nelle idee, nel confronto, nel pluralismo politico, nella cultura del Consiglio regionale, nella ricerca paziente, come è stata fatta nella precedente legislatura, di ogni convergenza che sia utile a costruire un progetto di rinnovamento assieme a tutte le forze democratiche che vi vorranno contribuire con limpidezza, autonomia, senza costrizioni e senza egemonie.



PRESIDENTE

Termina così il dibattito. Prima di passare all'elezione, per appello nominale, del Presidente do la parola al Consigliere Vetrino Nicola per dichiarazione di voto.



VETRINO Bianca

Il Gruppo repubblicano, al termine di questo dibattito, sentite le posizioni di tutti i Gruppi e constatato che la gravità dei problemi aperti e la necessità di dare un governo alla Regione in una situazione politica tesa richiedano un atteggiamento di grande responsabilità da parte di tutti i Gruppi; pur nella determinazione di essere coerente alla linea politica del P.R.I. sulle alleanze di governo locale perseguita durante la campagna elettorale ed in questi 50 giorni di trattative e rifiutando quindi un voto favorevole alla Giunta di sinistra che sta per insediarsi; rammaricandosi che la soluzione proposta dal P.R.I. di un governo tripartito allargato a forze omogenee ed affini non abbia potuto trovare applicazione per la scelta determinata e decisa del P.S.I. di perseguire comunque la strada della continuità socialcomunista, e che altre soluzioni, che pure avrebbero trovato il nostro assenso, non abbiano avuto la forza politica per imporsi prendendo atto della volontà dei Gruppi di maggioranza (evidenziata ed esaltata dal Gruppo socialdemocratico negli interventi dei suoi rappresentanti) di considerare la soluzione non immutabile, ma temporanea capace comunque di garantire la governabilità per qualche mese (questo è un elemento di profonda novità anche soltanto rispetto alle dichiarazioni del P.S.D.I. di questa mattina); prendendo atto altresì che il programma è aperto ai contributi di tutti i Gruppi del Consiglio, disponibile quindi a correzioni anche sostanziali delle sue linee politiche ed amministrative che siano in grado di assicurare al Piemonte il suo sviluppo e la sua riaffermazione come Regione d'avanguardia; con lo spirito con cui questa mattina proponevamo in un Presidente del Consiglio democristiano il superamento di situazioni di rottura all'interno del Consiglio e la garanzia di una sintesi politica di grande valore per l'armonica vita del Consiglio, con questo stesso spirito, mentre confermiamo il nostro giudizio sospeso sul programma e quindi sulla Giunta, esprimeremo l'astensione sulla votazione del Presidente, socialista, rappresentante peraltro di un partito al quale ci lega in questo momento una comune azione di governo a livello nazionale.
Per quanto riguarda la Giunta esprimeremo voto contrario. Ciò tuttavia non significa una chiusura pregiudiziale ad affrontare nei prossimi mesi i nodi programmatici che si presenteranno e a dare il nostro apporto in termini di proposta alla soluzione dei gravi problemi del Piemonte. Il P.R.I. misurerà questa Giunta in base alle soluzioni politiche e programmatiche che perfezionerà e dalla sua disponibilità ad accogliere i contributi delle altre forze democratiche del Consiglio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, il Gruppo del P.S.I. voterà compatto per il Presidente e per la Giunta.
Amici della D.C., del P.L.I., del P.R.I. non rimproverateci di essere riusciti a fare un governo! Mi è parso di cogliere nelle vostre parole forse un accenno in quel senso, quasi un rimprovero di essere riusciti oggi, con tempestività, a dare un governo alla Regione Piemonte. Mi è sembrato a volte di cogliere qualche aspetto di dramma. Il dramma semmai c'è nella situazione in cui viviamo, nei problemi che dovremo affrontare fra pochi mesi nelle prospettive incerte che vi sono nella nostra comunità regionale. Vi diciamo che vogliamo operare insieme a voi, non vogliamo essere in nessun modo chiusi, vogliamo respingere, come abbiamo già fatto nella seconda legislatura regionale, ogni ipotesi del cosiddetto potere che spesse volte appare come uno degli elementi conduttori dell'azione politica. Nel nostro caso non c'è, vogliamo aprire a voi, a tutta la società, essere chiari, trasparenti, avere un costume. Questa per noi continua ad essere una sfida. Citatemi un caso in cui nei cinque anni passati vi sia stato un episodio non di scelta, che abbia costituito violazione a questi principi. Si può procedere insieme, discutere insieme ma la scelta occorrerà pur farla, le distinzioni necessarie fra le forze debbono emergere.
Sotto questo aspetto noi vogliamo dare continuità alla Giunta precedente. Vogliamo dire al prof. Astengo, che per cinque anni ha guidato con competenza, intelligenza, capacità, rigore l'Assessorato nella gestione urbanistica, che ha dimostrato ancora oggi coerenza nel suo rigore, che non cambierà nulla rispetto alle leggi portate avanti nel campo urbanistico se non nel senso migliorativo, se non nel senso che lui ha indicato. Questo è l'impegno che vogliamo assumere. Semmai abbiamo parlato di miglioramento di evoluzione, in senso positivo, abbiamo parlato di rimettere ancora di più alle istituzioni locali ogni momento decisionale e di partecipazione al processo della costruzione del territorio, in senso pubblico e sociale, non in senso privato. Su questa strada vogliono procedere i socialisti.
Vogliamo dirvi che nessuno sarà escluso, tutti parteciperanno; la chiarezza, come nella seconda legislatura, sarà garantita in modo assoluto.
Per questo votiamo compatti il Presidente e la Giunta che oggi ci vengono proposti.



PRESIDENTE

La parola al collega Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, signori Consiglieri, non avevo dubbi che l'abilità del Presidente Sanlorenzo avrebbe dato calore alla discussione e avrebbe nobilitato certi aspetti che ci sono in ogni formazione di governo e in ogni formazione di Giunta. Il Presidente Sanlorenzo ci ha portato sui grandi temi, sull'Europa, sulle grandi idee-forza. Credo che le forze che hanno dato vita a questa Giunta abbiano parlato molto poco di Europa e abbiano parlato molto di altre cose. Avremo comunque occasione di confrontarci anche sulle cose che il Presidente Sanlorenzo addebitava a noi di non avere o i sufficientemente trattato.
La fretta con cui questa Giunta nasce ed alla quale non ci siamo opposti, non ha consentito quell'ampiezza e quella profondità di dibattito che erano necessari.
Questa Giunta nasce, per la verità, tra molte incertezze ed ambiguità basti pensare all'intervento critico del prof. Astengo, basti pensare agli interventi dei Consiglieri socialdemocratici i quali però danno un certo voto tecnico per favorire un loro raccordo con il P.S.I. e con la primitiva proposta di Giunta laica, basti pensare all'intervento del rappresentante repubblicano che cerca un aggancio con il P.S.D.I. Non abbiamo preoccupazioni in questo momento di cercare degli agganci al di là di quelli che abbiamo dimostrato stamane. Proprio stamattina il Gruppo della D.C., nel modo con cui si è atteggiato in tutte le votazioni per l'Ufficio di Presidenza, ha dimostrato come intende il rapporto e il confronto con le altre forze politiche. Sulla Giunta il nostro è un voto contrario, un voto di chiarezza e non di preoccupazione. Non vi rimproveriamo, Consigliere Viglione, di dare vita a questo governo, anzi, apprezziamo gli interventi che lei ha fatto oggi e che guardano non soltanto alla Giunta che sta per formarsi, ma anche, con difesa appassionata, alla Giunta che lei ha portato avanti in questi anni. A questa Giunta, che come ci è parso di capire proprio dagli interventi dei rappresentanti socialdemocratici è a termine e al suo Presidente noi non auguriamo una lunga attività, perché le debolezze e le contraddizioni che sono emerse nel dibattito non possono portarla ad avere lunga vita.
Al Presidente, agli Assessori, alle forze politiche di maggioranza noi diciamo che finché questa Giunta vivrà ci troverà ogni giorno pronti a discutere, a confrontarci e in sostanza a governare, proprio come dice il Presidente Viglione.



PRESIDENTE

La parola al collega Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Il Gruppo liberale non ha, fatto drammi in questa discussione, non rimprovera alle forze che si preparano a dar vita al governo di aver dato un governo alla Regione. Dopo l'intervento del Capogruppo repubblicano non ci rimproverate di voler dare anche ma opposizione a questo governo, di cercare nella sostanza dei fatti l'intesa tra i partiti democratici contro lo spirito della divisione, ma fino a quando questa intesa non si profilerà, il Partito Liberale terrà ferma e costruttiva la linea dell'opposizione.
Concludo con la stima personale del Gruppo al Presidente in pectore e agli Assessori ed auguro loro buon lavoro, come auguro a noi buon lavoro dai banchi dell'opposizione.


Argomento: Presidente della Giunta Regionale

Elezione del Presidente della Giunta regionale


PRESIDENTE

Terminato il dibattito ricordo che l'art. 32 dello Statuto prescrive: "Sulle linee politiche ed amministrative proposte si svolge un dibattito, al termine del quale il Consiglio procede con votazioni successive all'elezione del Presidente e quindi della Giunta.
E' proclamato eletto Presidente il Consigliere che ha conseguito la maggioranza assoluta dei voti dei Consiglieri assegnati alla Regione.
Ove non sia raggiunta la maggioranza richiesta, l'elezione è rinviata ad altra seduta da tenersi non prima di otto, e non oltre quindici giorni".
Passiamo alla votazione del Presidente della Giunta regionale che avviene per appello nominale: dicendo "sì" si intende approvare il programma, il suo contenuto ed il Presidente proposto.
Prego un Consigliere Segretario di procedere all'appello nominale.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti n. 60 maggioranza richiesta n. 31 hanno risposto SI n. 33 hanno risposto NO n. 25 si sono astenuti n. 2 A seguito di tali risultanze proclamo eletto Presidente della Giunta regionale il Consigliere Ezio Enrietti che ha conseguito la maggioranza richiesta dallo Statuto e lo invito a prendere posto al banco della Presidenza della Giunta.



(Il neo Presidente della Giunta regionale prende posto)


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni

Elezione della Giunta regionale


PRESIDENTE

Per l'elezione della Giunta regionale il settimo comma dell'art. 32 dello Statuto recita: "Avvenuta l'elezione del Presidente, il Consiglio procede all'elezione della Giunta a maggioranza semplice, con votazione della lista ad esso collegata".
Porto a conoscenza dei signori Consiglieri la lista degli Assessori proposti e pongo la medesima in votazione per appello nominale: "Gianni ALASIA - Sante BAJARDI - Elettra CERNETTI BERTOZZI - Bruno FERRARIS Giovanni FERRERO - Domenico MARCHESOTTI - Michele MORETTI - Luigi RIVALTA Gabriele SALERNO - Dino SANLORENZO - Claudio SIMONELLI - Gian Luigi TESTA".
Prego un Consigliere Segretario di procedere all'appello nominale.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti n. 60 hanno risposto SI n. 30 hanno risposto NO n. 27 si sono astenuti n. 3 Proclamo eletti i Consiglieri Gianni Alasia, Sante, Bajardi, Elettra Cernetti Bertozzi, Bruno Ferraris, Giovanni Ferrero, Domenico Marchesotti Michele Moretti, Luigi Rivalta, Gabriele Salerno, Dino Sanlorenzo, Claudio Simonelli e Gian Luigi Testa che hanno raggiunto la maggioranza dei voti richiesta. Li invito a prendere posto al banco della Giunta.



(I neo Assessori prendono posto)



PRESIDENTE

Ai sensi dell'art. 49 della legge 10 febbraio 1953 n. 62, propongo che le deliberazioni relative all'elezione del Presidente della Giunta e della Giunta regionale siano dichiarate immediatamente eseguibili. Ricordo che tale proposta deve essere approvata per alzata di mano a maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti n. 60 maggioranza richiesta n. 31 favorevoli n. 58 astenuti n. 2 Dichiaro, quindi, immediatamente eseguibili le deliberazioni testè votate ed approvate.
La parola ora al Presidente della Giunta, Enrietti.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, non posso iniziare queste brevi considerazioni dopo l'elezione della Giunta regionale senza ringraziare tutti i Consiglieri, quelli che hanno votato per questa maggioranza, quelli che si sono astenuti e quelli che hanno votato contro.
In un sistema democratico l'opposizione ha lo stesso valore della maggioranza. Un particolare ringraziamento al compagno Viglione per il suo intervento di così alto valore politico, culturale ed umano. La logica politica che ho riscontrato nell'intervento del Capogruppo del P.C.I.
Bontempi, merita una particolare sottolineatura; un franco, caloroso apprezzamento per gli interventi dei Consiglieri Mignone e Cerutti che sono stati così determinanti nella costruzione di questa maggioranza come pure un apprezzamento per la posizione del P.R.I. e un grazie al P.D.U.P. Mi corre pure l'obbligo di registrare il preciso, austero e concreto intervento del Capogruppo della D.C., Paganelli; un rammarico invece per quello del Consigliere Marchini, perché ha ridotto in maniera faziosa e strumentale un confronto politico, serio ed appassionato a lotte fra generali e caporali: lo voglio assicurare che nel P.S.I. non ci sono n generali né caporali, ma compagni seri, legati profondamente al movimento operaio e alla sua storia, che sanno risolvere in maniera unitaria i propri problemi. Diverso il discorso del Consigliere Bastianini sul quale non concordiamo, ma rispettiamo il rigore morale e sul quale intravvediamo alcuni punti utili per il futuro.
La seconda legislatura si è caratterizzata con un periodo di stabilità e di buon governo. Le forze della sinistra che hanno retto la Regione nel corso di questi difficili e travagliati anni hanno lavorato bene svolgendo il programma che si erano dati nel '75, risparmiando ai cittadini del Piemonte anche un solo giorno di crisi, dimostrando di saper governare i fenomeni che emergevano dalla società piemontese. Sono stati anni duri, nel corso dei quali sul Piemonte si è abbattuta una crisi economica di portata così vasta da non scorgersene ancora i connotati, anni che hanno visto acuirsi pericolosamente il fenomeno dell'eversione terrorista che ha colpito in modo terribile la nostra Regione e in modo particolare il suo capoluogo e che è costata un numero troppo grande di vittime umane; anni che hanno visto aggravarsi la crisi delle istituzioni del Paese con due scioglimenti anticipati delle Camere così ravvicinati da collocarsi all'interno dell'arco di tempo coperto dalla seconda legislatura.
In questo periodo la Giunta, guidata dal Presidente Viglione, ha dimostrato capacità di governo presentandosi all'elettorato dell'8 giugno con le carte in regola e con la coscienza di aver lavorato per il bene della Regione. I risultati dell'8 giugno non hanno bocciato quell'esperienza di governo, se è vero che proprio la forza politica di cui è espressione il Presidente uscente, è stata premiata dall'elettorato, che ha senza dubbio approvato la scelta per la governabilità del Governo nazionale, effettuata dal P.S.I., fattosi interprete di un'esigenza di stabilità sempre più sentita a livello di opinione pubblica, ma che ha pure dimostrato di apprezzare il lavoro delle Giunte di sinistra.
All'indomani dell'8 giugno è apparso a molti chiaro che per la peculiarità della Regione Piemonte la migliore soluzione possibile per il governo regionale era rappresentata da un accordo che indicasse nella centralità socialista il fattore di movimento, di evoluzione, di novità per sfociare in un governo formato con la partecipazione del P.C.I. La soluzione offerta oggi al Consiglio regionale è il risultato di alcune settimane di intenso dibattito tra le forze, ma nasce proprio da un accordo a sinistra che riconosce il ruolo centrale delle forze socialiste.
L'urgenza dei problemi che ci stanno di fronte non permetteva dilazioni alla soluzione della crisi apertasi con il rinnovo del Consiglio. Il Piemonte sta vivendo una crisi economica di proporzioni vastissime e le sue conseguenze possono essere disastrose se non vi sono tutte le forze sociali e politiche, ciascuna con il suo ruolo e i suoi compiti, pronte ad affrontarli. Il Piemonte non poteva permettersi di arrivare alla soluzione dell'autunno senza un governo. I partiti hanno sentito profondamente questa esigenza e grazie al loro grande senso di responsabilità il Piemonte è oggi una delle prime Regioni d'Italia ad avere la Giunta. La situazione economica è allarmante, si, pensi alla crisi dell'Indesit, agli annunciati licenziamenti della Fiat e del suo indotto nonché alle conseguenze sociali che essi avranno nel Piemonte. Non è questa l'occasione per un'analisi approfondita delle cause della crisi economica che si è abbattuta sull'Italia e sul Piemonte, ma è questa la sede per ribadire con forza che la Regione intende continuare a svolgere un ruolo di governo nei processi economici e di interlocutore delle forze sociali, che ha ferma intenzione di operare con propri progetti politici ed amministrativi per trasformare le strutture e le condizioni economiche, per agevolare e stimolare l'avanzamento di una politica complessiva di rinnovamento e di sviluppo economico e sociale. Nei cinque anni trascorsi la Regione ha dato prova di sapere operare in questa direzione, nei cinque anni che ci attendono occorre continuare su questa strada per fronteggiare i problemi che emergono e la straordinaria gravità di questi problemi non deve farci tentennare ma essere un ulteriore stimolo per lavorare di più e meglio.
L'area piemontese deve essere in grado di competere con quelle più avanzate della Comunità Europea, approfittando della sua posizione naturale, di assi di scambio e di collegamento fra l'Europa e il Mediterraneo.
Obiettivo primario è quello di promuovere, agevolare e governare una riorganizzazione dei settori economici del territorio piemontese che trasformi la Regione in un'area economica capace di diventare punto di riferimento nelle relazioni economiche internazionali. Quanto più il Piemonte sarà parte integrante dell'Europa, tanto più l'intero Paese ne trarrà giovamento. L'intervento più urgente a favore dell'economia e della società piemontese è certamente quello da effettuarsi nel settore automobilistico, dove la crisi ormai è una drammatica realtà e le cui conseguenze sociali possono rivestire particolare gravità. Proprio dalla drammaticità di questa crisi si può comprendere la vastità della portata degli interventi cui è chiamata la Regione per assolvere il ruolo di governo dei fenomeni della società di cui essa è espressione. E proprio la vastità degli interventi rende indispensabile per il governo regionale la creazione di un rapporto di franca collaborazione con le forze politiche chiamate a svolgere il ruolo di opposizione all'interno del Consiglio. Sono certo che questa collaborazione vi sarà, che si instaurerà un dialogo costruttivo ed utile per la comunità, che i problemi saranno affrontati e risolti con l'apporto di tutti.
La maggioranza è conscia dell'importanza che riveste tutto ciò e si impegna qui solennemente a ricercare sempre in tutte le condizioni il dialogo e la collaborazione con i partiti laici rimasti all'opposizione e con la D.C. Alla stessa maniera il confronto e la collaborazione fra il governo regionale e le forze sindacali dovrà essere costante ed aperto. Con loro, infatti, con il loro apporto decisivo si potrà governare la crisi dalla quale il Piemonte è attanagliato; restituire impulso all'economia piemontese e disinnescate le tensioni sociali che ne sono conseguenza diretta.
Un'adeguata attenzione dovrà essere rivolta alle forze imprenditoriali del Piemonte che hanno così grande importanza sia per la politica economica regionale che per la politica economica dell'intera Nazione. Ma i problemi del Piemonte non si esauriscono nella crisi industriale ed occupazionale che è pure così vasta e grave. Occorre raccogliere tutte le forze per stroncare l'attacco che il terrorismo porta alle istituzioni democratiche.
Compito della Regione è scavare un fossato sociale intorno al terrorismo eliminare le cause profonde che si annidano nella nostra società rendendola più giusta, più aperta si deboli, ai giovani, agli emarginati.
Il terrorismo non passerà, ma esso non deve essere l'occasione per ridurre gli spazi di libertà nel nostro Paese, anzi, allargando gli spazi di libertà costruendo una società migliore, esaltando quei valori supremi di eguaglianza e di democrazia che sono alla base della nostra Repubblica, che guidarono tanti giovani sulle nostre montagne a combattere il fascismo, si sconfiggerà il terrorismo.
Nel quinquennio che ci sta davanti occorrerà lavorare con programmi precisi in molti settori: energia, scuola, cultura, agricoltura riorganizzazione commerciale, pianificazione territoriale ed urbanistica (a questo proposito dovranno essere presi in seria considerazione i suggerimenti del Consigliere Astengo), inquinamento atmosferico, protezione idrogeologica del territorio ed ancora il problema della casa, la piena attuazione della riforma sanitaria e lo sviluppo turistico. Per una trattazione completa di tutto ciò rimando il Consiglio alla seduta in cui verrà illustrato il programma completo per il periodo '80-'85.
Signori Consiglieri, ci attendono anni difficili nel corso dei quali il ruolo di amministratore sarà duro e difficile. La strada maestra è segnata è nostro dovere amministrare secondo le tradizioni illustri degli amministratori piemontesi, tradizioni di rigore morale e di onestà che ci indicano la via. Le conquiste sociali e gli ampliati spazi di democrazia del passato recente, devono fare il resto. E' nostra intenzione governare con la gente, collegare la nostra azione di governo alle esigenze che emergono dalla società piemontese, essere la voce e il braccio della parte migliore della comunità piemontese. Ci attendono anni difficili, la difficoltà del compito noti deve abbatterci, ma esaltarci. Esistono in Piemonte, nella sua società, in seno di questo Consiglio le risorse capaci di costruire per i milioni di piemontesi un futuro migliore. Un futuro migliore: questa è la nostra scommessa di fronte alla comunità piemontese e al Paese intero, questo è il nostro impegno solenne per la terza legislatura.


Argomento: Università

Presentazione ordine del giorno su situazione in atto nelle opere universitarie e nel Politecnico di Torino. Legge


ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

sul diritto allo studio nell'ambito universitario rinviata dal Governo



PRESIDENTE

Ringrazio il Presidente Enrietti.
Al punto terzo all'ordine del giorno è iscritto un progetto di legge sul diritto allo studio. Tra le forze presenti non c'è l'accordo; tutte le forze però si sono rese conto dell'urgenza del provvedimento. E' stato stilato un ordine del giorno, firmato dai Gruppi consiliari: dopo averne data lettura lo metterò in votazione: "Il Consiglio regionale del Piemonte, sentita la comunicazione del Presidente del Consiglio in ordine alla situazione in atto alle opere universitarie dell'Università e del Politecnico di Torino in seguito al rinvio da parte del Governo della legge regionale sul diritto allo studio nell'ambito universitario invita la Giunta regionale a garantire con mezzi idonei continuità di gestione alle opere universitarie in attesa della definitiva e tempestiva approvazione di un provvedimento legislativo in materia".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 60 Consiglieri presenti in la aula.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 21.30)



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