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Dettaglio seduta n.292 del 13/12/84 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Punto primo all'ordine del giorno: "Approvazione verbali precedenti sedute". Il processo verbale dell'adunanza consiliare del 10/10/1984 è stato distribuito ai Consiglieri prima dell'inizio della seduta odierna. Se non vi sono osservazioni si intende approvato.


Argomento: Caccia

Interrogazione dei Consiglieri Sartoris, Chiabrando e Penasso inerente l'associazione venatoria "La Selva"


PRESIDENTE

Punto secondo all'ordine del giorno: interrogazioni e interpellanze esaminiamo l'interrogazione dei Consiglieri Sartoris, Chiabrando e Penasso inerente l'associazione venatoria "La Selva".
La parola all'Assessore Mignone.



MIGNONE Andrea, Assessore alla caccia

In merito all'interrogazione dei Consiglieri Sartoris, Chiabrando e Penasso, si espone quanto segue: l'art 15 della L.R. n. 60 sulla caccia prevede che il diritto di partecipazione alla Consulta regionale per la tutela della fauna e la disciplina della caccia spetta ad associazioni venatorie riconosciute.
Tale dizione, in assenza di una specifica normativa regionale circa il riconoscimento, non può che intendersi riferita al riconoscimento come associazione venatoria a livello nazionale ed essere altresì operante sul territorio regionale.
Per quanto riguarda il riconoscimento regionale a cui fanno riferimento i Consiglieri interroganti, si fa osservare che si tratta di un riconoscimento di personalità giuridica come ente morale, il quale ha meri effetti civili, con specifico riguardo all'autonomia patrimoniale, del tutto irrilevanti quanto al riconoscimento specifico ai fini venatori così come prevede l'art. 29 della L. 968/1977.
In buona sostanza cioè pare che stando alla interpretazione, così come abbiamo avuto modo di acquisire anche attraverso un parere dell'Ufficio legislativo, che poi potrò fornire in copia ai colleghi interroganti, come stabilisce la dicitura della lene, il riconoscimento cui si fa riferimento deriva dall'art. 29 della 968 (quindi associazione venatoria riconosciuta a livello nazionale) stante che il fatto di essere operante a livello regionale non è sufficiente rispetto al requisito di essere un organismo tecnico ai fini regionali.
Questa è anche l'opinione del nostro Ufficio legislativo. Ritengo che qualora nel corso delle modifiche della legge sulla caccia, cui il Consiglio prossimamente sarà chiamato, si tratterà di precisare meglio questa norma in modo da chiarire il dubbio e di tener conto della richiesta avanzata dall'associazione "La Selva" posto che la L.R. 60 pone un limite minimo di rappresentanti quindi l'esclusione del rappresentante della "La Selva" dalla Consulta non è dovuta ad un fatto numerico ma a questo dubbio dal punto di vista giuridico, del fatto cioè di essere un'associazione venatoria riconosciuta a livello nazionale, ai sensi dell'art. 29 della L.R. 968, non essendo sufficiente l'elemento "operante all'interno della Regione".
Penso che la questione che oltretutto si trascina da anni probabilmente potrà essere risolta con una modifica dell'art. 15 che chiarisca che cosa intende il legislatore regionale per "associazione venatoria" riconosciuta operante, cioè se la parola "riconosciuta" sta a significare riconosciuta operante nella Regione o associazione venatoria riconosciuta a livello nazionale come associazione venatoria ai sensi dell'art. 29 della L. 968.
E' un problema di interpretazione giuridica della norma.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Sartoris.



SARTORIS Riccardo

Ringraziamo l'Assessore per questa risposta, pur rimanendo convinti che la Regione avrebbe dovuto introdurre l'associazione "La Selva" tra quelle previste da' art. 15 della L.R. 60.
Con provvedimento n. 22329 il Presidente della Giunta regionale riconosce l'Associazione "La Selva" unione piemontese per la protezione della natura e dell'habitat naturale della selvaggina, con sede in Torino via Verdi n. 11, agli effetti regionali.
Coerentemente, tenuto anche conto che l'associazione "La Selva" è una delle poche, se non l'unica, riconosciuta a livello regionale a questi effetti, avrebbe meritato di far parte della Consulta regionale per la tutela della fauna e la disciplina della caccia.
L'Assessore stesso ci dice che permane il dubbio circa la valenza giuridica della esistenza di questa associazione agli effetti della legge quadro 968, credo però che non possa permanere il dubbio della valenza giuridica di questa associazione agli effetti della L.R. 60.
Insistiamo perché la Giunta prenda rapidamente in esame l'estensione anche all'Associazione "La Selva" della possibilità di avere un suo rappresentante all'interno della Consulta regionale.


Argomento: Agricoltura: argomenti non sopra specificati - Caccia

Interrogazione dei Consiglieri Chiabrando e Penasso inerente i danni causati dai cinghiali in agricoltura


PRESIDENTE

All'interrogazione dei Consiglieri Chiabrando e Penasso, inerente i danni causati dai cinghiali in agricoltura, risponde l'Assessore Mignone



MIGNONE Andrea, Assessore alla caccia

In merito all'interrogazione dei Consiglieri regionali Chiabrando e Penasso si espone quanto segue.
A norma dell'art. 60 della legge regionale 17/10/1979 n. 60 gli accertamenti relativi ai danni provocati dalla selvaggina alle produzioni agricole competono alle amministrazioni provinciali dietro tempestive segnalazioni da parte dei proprietari o conduttori interessati.
In base al provvedimento della Giunta regionale n. 122-20677 assunto in data 8 novembre 1982, d'intesa con il Comitato composto da rappresentanti delle organizzazioni agricole interessate più rappresentative sul piano nazionale e delle Associazioni venatorie nazionali riconosciute, tali accertamenti debbono essere esperiti dalle Province previi sopralluoghi da effettuarsi entro 10 giorni dalla data di presentazione della domanda da parte del richiedente, avvalendosi della collaborazione degli Ispettorati provinciali agricoltura o dell'assistenza delle organizzazioni agricole e venatorie oppure di tecnici delle Province medesime.
Per la liquidazione dei danni le Amministrazioni provinciali devono tener conto dei prezzi praticati per le colture agrarie (prezzi correnti di mercato) al 31 ottobre di ciascun anno adottando in tal modo uguale criterio per ogni agricoltore.
In ordine ai danni subiti dagli agricoltori nella Valle del Lemina e Chisone risulta attraverso informazioni acquisite presso l'Assessorato caccia della Provincia di Torino che la Provincia stessa ha provveduto ai relativi accertamenti ed in parte alla liquidazione.
Sono risultati già effettuati I27 accertamenti e risarcimenti di danni causati ad agricoltori delle valli Chisone e Lemina.
Lo stesso Assessorato provinciale alla caccia ha informato che per l'anno 1984 la Provincia cui compete la predisposizione dei piani di abbattimento delle specie cacciabili ai sensi dell'art. 222 della legge regionale caccia, non ha provveduto a specifici piani di abbattimento della specie cinghiale proprio in considerazione dell'elevata popolazione dei medesimi e, dei notevoli danni che arrecane all'agricoltura e dalla necessità di consentirne attraverso la libera caccia una consistente riduzione.
All'interno dei comparti della Provincia di Torino sono stati abbattuti alla data del 9 dicembre già 352 cinghiali e 1I nella zona di pianura. Gli interroganti fanno anche una osservazione di rilievo generale attorno ad una esuberanza di capi di questa selvaggina.
Il problema sta assumendo proporzioni di livello generale tant'è vero che anche all'interno della Consulta regionale per la caccia abbiamo costituito un comitato ad hoc perché studi questo problema anche perch oggi non siamo più in presenza di cinghiali selvatici, di vera e propria selvaggina, ma ormai si sono diffuse serie di ibridi e di incroci per cui oggi siamo in presenza di un animale che non rifugge dalla presenza dell'uomo ma addirittura sempre più si avvicina anche alle cascine, alle aie ed agli orti.
Si tratta da un lato di non autorizzare più allevamenti di cinghiale e questa è una direttiva che ha assunto ormai la Regione o comunque di autorizzarle con moltissima cautela e prudenza per evitare il diffondersi di questo ibrido.
Una commissione ad hoc sta studiando il problema per valutare anche gli opportuni interventi da predisporre al riguardo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Penasso.



PENASSO Alfredo

Signor Presidente, signor Assessore, ringrazio l'Assessore per i dati che ha voluto fornirci.
L'Assessore è certamente a conoscenza che questo problema sta diventando un trauma a livello regionale tant'è vero che ci sono lettere e petizioni sottoscritte dai Consiglieri comunali.
Permettetemi però di fare una brevissima considerazione: oggi stiamo chiudendo la stalla quando ormai i buoi sono usciti. Questa situazione l'ha provocata la Regione con le sue leggi.
Per esempio la legge n. 19 del 23 marzo 1984 sulle fonti rinnovabili dell'energia è stata approvata all'unanimità dal Consiglio regionale, ma a distanza di otto mesi, le domande degli operatori non vengono accettate perché ancora manca la convenzione con le banche per l'attivazione dei mutui.
La Regione Piemonte forse approva troppe leggi e spesso non è in grado di gestirle sotto tutti gli aspetti, soprattutto sotto l'aspetto burocratico ed economico.
Queste leggi vengono applicate nella parte peggiore come è stato per le leggi sulla caccia e sui parchi (si sono applicati i vincoli e si è impedito l'esercizio della caccia).
Ci sono i risarcimenti dei danni, ma sovente sono insufficienti a coprire il danno reale. Cito un caso. La Regione indennizza nel caso di distruzione di un campo di mais, il valore del reimpianto senza tenere conto del danno economico finale. Ma ciò che mortifica di più il coltivatore è il vedersi risarcire i danni a distanza di uno o due anni.
Un allevatore ha avuto riconosciuto un risarcimento di danni di un milione e ottocentomila lire per la distruzione di una parte considerevole del foraggio della sua azienda avvenuta nel 1983.
Due mesi fa non era ancora stato indennizzato. Qual è l'aspetto che più umilia il Consigliere regionale quando si reca in queste zone? E' il constatare la mortificazione dell'attività professionale di quella gente che rivede distrutti i raccolti e che subisce l'inadempienza e la scorretta applicazione della legge.
L'accusa che ci viene rivolta è che noi valorizziamo l'animale più dell'uomo. Questa è l'accusa che ho sentito rivolgere al legislatore regionale nel corso di violente riunioni piene di accuse ed anche di insulti.
lo ho difeso in queste circostanze la legge perché sono convinto che è una buona legge, però ho dovuto con rammarico estraniarmi dalle responsabilità di applicazione della legge e ho dovuto dare a Cesare quello che è di Cesare.
Sento dalla relazione dell'Assessore che alcune iniziative sono state intraprese, mi auguro che queste iniziative siano veloci e risolvano questo annoso problema che ormai è esteso a tutta la Regione.


Argomento: Cultura: argomenti non sopra specificati

Interrogazione del Consigliere Marchini inerente il progetto Ignitor


PRESIDENTE

All'interrogazione del Consigliere Marchini inerente il progetto Ignitor risponde l'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore alla cultura

Propongo al Consigliere Marchini di spostare l'interrogazione al fine di permettere di acquisire le ulteriori notizie che ci perverranno anche dalle decisioni della CEE.


Argomento: Albo professionale agricolo

Interrogazione del Consigliere Moretti inerente l'albo degli imprenditori agricoli


PRESIDENTE

Interrogazione del Consigliere Moretti, inerente l'albo degli imprenditori agricoli.
Risponde l'Assessore Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura

L'albo professionale degli imprenditori agricoli è stato istituito in Piemonte con la L.R. n. 27 del 12/5/1975. Successivamente sono state apportate alla legge modifiche ed integrazioni con le leggi regionali n. 4 del 23/1/1979, n. 44 del 16/5/1980 e ultimamente con la n. 18 del 23/8/1982. Il primo regolamento di attuazione risale all'anno 1978 l'attuale, a seguito dell'ultima modifica legislativa, è stato emanato dal Consiglio regionale nel luglio del 1983.
I requisiti necessari per ottenere l'iscrizione all'Albo, in una delle sezioni in esso previste, sono quelli stabiliti dalla legge nazionale di recepimento delle direttive CEE, la n. 153 del 9/5/1975 art. 12 e della legge di modifica n. 352 del 10/5/1976 art. 8, che hanno individuato la figura dell'imprenditore agricolo a titolo principale; trattasi in particolare: 1) Età: aver compiuto 18 anni 2) Tempo e reddito: svolgere i 2/3 del proprio tempo di lavoro complessivo nell'attività agricola e ricavare almeno i 2/3 del reddito di lavoro globale dall'attività agricola. Per le zone montane tempo e reddito sono ridotti al 50 per cento.
3) Capacità professionale: viene ritenuta presunta quando sussiste una delle seguenti condizioni a) essere compresi, da almeno tre anni, negli elenchi nominativi dei coltivatori diretti, coloni e mezzadri redatti a cura del Servizio contributi agricoli unificati a norma della legislazione vigente d) dedicarsi, da almeno tre anni, personalmente e abitualmente all'attività agricola c) possedere un titolo di studio a livello universitario nel settore agrario, veterinario, delle scienze naturali, di un diploma di scuola media superiore di carattere agrario.
Negli altri casi la capacità professionale viene accertata da apposita Commissione. L'accertamento consiste in un colloquio che deve vertere su nozioni tecnico-economiche necessarie per la conduzione dell'azienda tenendo conto dell'indirizzo produttivo della stessa.
Circa la capacità professionale la legge istitutiva dell'Albo prevedeva quale prova l'iscrizione allo S.C.A.U. senza precisare l'anzianità di iscrizione stessa.
Ai fini dell'inclusione in una sezione od in altra dell'Albo, risulta quindi fondamentale il possesso di uno dei precedenti requisiti riferiti alla capacità professionale. Infatti per l'inserimento nella sezione dei coltivatori diretti titolari o coadiuvanti, oltre al possesso dei requisiti di età, tempo e reddito viene considerata valida l'iscrizione allo SCAU mentre, invece, per l'inserimento nella sezione dei conduttori titolari o coadiuvanti è ritenuto sufficiente il possesso di uno dei restanti requisiti.
Pertanto il requisito SCAU è sempre risultato determinante ai fini dell'iscrizione all'Albo nella sezione dei coltivatori diretti.
Inoltre, la stessa modulistica adottata per l'iscrizione nella sezione dei coltivatori diretti, prevedeva il solo requisito d'iscrizione allo SCAU, come dimostrazione del possesso della capacità professionale. Occorre a questo punto ricordare che, dall'anno 1978 ai primi mesi dell'anno I984 sono pervenute alle Commissioni provinciali oltre 126.000 domande di iscrizione. La situazione relativa alle domande presentate di cui parte definite e parte da definire è la seguente: Domande (riferite a marzo 1984) Perven. Accolte Resp.
Da def.
Alessandria 14.044 13.200 554 290 Asti 14.156 9.900 3.284 972 Cuneo 54.200 37.761 5.000 11.439 Novara 6.998 6.151 19 828 Torino 27.203 9.757 1339 15.907 (riferiti a agosto 1982) Vercelli 10160 7.029 1.760 1.371 Totale 126.761 83.798 12.156 30.807 E' evidente che con un numero così elevato di domande le Commissioni provinciali (non sempre confortate dai pareri delle commissioni consultive comunali) hanno dovuto lavorare in condizioni disagiate valutando solo in parte, con il necessario approfondimento, tutti gli elementi emersi.
Pertanto è possibile che tra le migliaia di iscritti vi siano alcuni che meritino un esame più approfondito.
La Regione, proprio nell'intento di rimediare ad eventuali ingiustizie ha previsto nell'ultimo regolamento del luglio 1983 l'Istituto della revisione, nelle seguenti distinzioni: ordinaria annuale, straordinaria, a campione.
In particolare con quest'ultima formula si intende sottoporre nell'arco di un quinquennio, a partire dall'anno 1985, a revisione tutti gli iscritti.
Soprattutto nella fase iniziale può darsi che l'iscrizione allo SCAU abbia fatto testo per l'inserimento finale nell'albo qualora la commissione comunale abbia detto che tutto va bene e non abbia mosso alcuna obiezione.
Quindi è possibile che le informazioni in possesso del collega Moretti siano veritiere.
Di qui, nell'Ultimo regolamento, la previsione di quella serie di revisioni in modo da eliminare coloro che non abbiano titolo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Moretti.



MORETTI Michele

Ringrazio l'Assessore per la risposta. Mi sta bene il discorso della revisione. Questa interrogazione non è per sollecitare l'Assessore a darmi delle risposte solo riferite alle normative.
C'è differenza fra revisione e indagine. Nell'interrogazione io ho parlato di indagine perché ci troviamo di fronte ad un alto numero di richieste d'iscrizione all'albo professionale degli agricoltori.
Mi starebbe bene se risolvessimo il problema dal punto di vista economico, visto che siamo in una Regione ad alto tasso di disoccupati però il fatto è molto strano mentre si pensa di rivedere a livello nazionale le normative sul sistema pensionistico, siamo di fronte a molte richieste di iscrizione nel settore dell'agricoltura che, secondo me, sono da verificare e valutare se realmente i richiedenti hanno diritto. Non vorrei passare per un persecutore degli agricoltori, anzi, sono del parere che bisogna incentivare il settore dell'agricoltura però nell'incentivare bisogna essere accorti: vedere quanti sono, chi sono, se svolgono effettivamente dopodiché la Regione dovrà impegnarsi per un supporto economico.
Invito l'Assessore a svolgere un'indagine, perché è vero che l'esclusione è di 12.000 richiedenti, ma le richieste sono di circa 126.000.
Pertanto prego l'Assessore a darmi delle ulteriori notizie al di là della risposta di questa mattina.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interrogazione dei Consiglieri Reburdo e Montefalchesi inerente il reintegro in Fiat dei lavoratori cassa-integrati


PRESIDENTE

Interrogazione inerente il reintegro in Fiat dei lavoratori in cassa integrazione Risponde l'Assessore Tapparo.



TAPPARO Giancarlo, Assessore al lavoro

La sentenza del Tribunale di Torino in merito alla validità dell'accordo Fiat stipulato nell'autunno 1983, ha ridato un potere contrattuale, in una fase estremamente complessa di restringimento della base industriale, di processi di cambiamento all'interno del mondo della struttura produttiva, che non permettono di utilizzare schemi che forse potevano essere validi in fasi precedenti.
Ancor oggi sul piano delle ristrutturazioni industriali abbiamo uno scenario estremamente complesso ed a volte imprevedibile.
Il problema dell'eccedenza strutturale della Fiat, degli oltre 10.000 cassintegrati nel settore auto, è stato più volte sollevato in più sedi anche in quella regionale, dove per queste eccedenze non sono accettabili disimpegni da nessuna delle parti.
Negli incontri avuti in preparazione della conferenza sull'occupazione e nell'incontro svolto con la I IV e VI Commissione riunite congiuntamente sui temi della disoccupazione e su quelli relativi ai problemi dei cassintegrati Fiat, sono stati abbozzati alcuni percorsi, si parla di prepensionamenti e di altre iniziative, tuttavia Si sottolinea che questa è una strada dl intervento parziale, Si coglie nell'interpellanza la necessità di rivedere il meccanismo del pareri regionali e dei finanziamenti. Ho già detto in altre occasioni che il nostro parere nel campo dei finanziamenti previsti da leggi nazionali come la 675, arriva dopo quello della FLM.
Non abbiamo mai trovato da parte sindacale un rifiuto netto a procedere ad esprimere parere favorevole al finanziamento. Si fa un accenno anche allo straordinario. Ovviamente noi sottolineiamo che in una fase di restringimento della base industriale e di difficoltà occupazionale, l'uso strutturale dello straordinario diventa contraddittorio; se invece lo straordinario rientra nell'ambito dei patti stabiliti fra le parti, sia a livello nazionale, sia a livello aziendale, ovviamente questa è materia sulla quale noi abbiamo un puro intervento di carattere di orientamento



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Reburdo.



REBURDO Giuseppe

Mi pare di poter interpretare la risposta dell'Assessore Tapparo in termini interlocutori nel senso che è stato evidenziato il fatto, per certi aspetti positivi, ma anche per certi aspetti nativi.
Si è restituito in mano alla contrattazione un contenzioso che era passato alla magistratura. E' chiaro, la Fiat ha inapplicato una sentenza del pretore, ha disatteso questa sentenza fidando sulla sentenza successiva del Tribunale di Torino.
Questo fatto non depone sicuramente a favore di un'azienda che dovrebbe essere all'avanguardia nella correttezza dell'interpretazione delle sentenze di carattere giudiziario. Accanto a questa osservazione vorremmo rilevare che rimane aperta nella sua drammaticità la questione degli 11.000 cassintegrati, che gli accordi precedenti di carattere sindacale non hanno affrontato con la dovuta pregnanza. Le istituzioni pubbliche debbono tener conto degli accordi delle parti, ma debbono anche cogliere l'elemento politico di questi accordi che avvengono su un piano di debolezza della parte dei lavoratori e di grande capacità di imporre la propria volontà da parte della struttura imprenditoriale padronale.
Secondo noi si pone l'esigenza di una scelta di parte, di un tentativo di forzare, a favore della parte più debole, una situazione che corre il rischio, attraverso questi accordi stipulati in condizione di disuguaglianza, di sfavorire le fasce più deboli del mondo del lavoro.
Noi abbiamo posto la questione del parere della Regione sui finanziamenti come una delle questioni da utilizzare, in termini istituzionalmente corretti, ma con una prevalenza di interesse rispetto alla parte più debole che sviluppa una contrattazione in termini non di parità. Negli incontri con le tre Commissioni si è iniziato ad affrontare il problema del piano regionale, ma noi sottolineiamo che rimane aperto in tutta la sua valenza umana, morale ed anche economica, la questione degli 11.000 cassintegrati. Nè il sindacato né le organizzazioni padronali, né le istituzioni pubbliche possono considerare questo problema come elemento prioritario nella definizione dei rapporti di carattere sindacale e di carattere istituzionale.
Consideriamo la risposta dell'Assessore interessante, ma ancora interlocutoria.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interrogazione del Consigliere Montefalchesi inerente la disoccupazione


PRESIDENTE

Interrogazione del Consigliere Montefalchesi inerente la disoccupazione. Risponde l'Assessore Tapparo.



TAPPARO Giancarlo, Assessore al lavoro

All'inizio di quest'anno la Giunta aveva posto in evidenza al Governo la situazione particolare della disoccupazione nell'area metropolitana torinese.
Da allora c'è stata particolare attenzione a questo problema. Si era verificato se nella pubblica amministrazione potevano esserci spazi occupazionali soprattutto per le fasce a più bassa qualificazione.
Nell'incontro ufficiale avuto con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel mese di ottobre si è rimarcato questo aspetto e da parte del rappresentante del Governo è stato sottolineato come fosse stata recuperata la nostra ipotesi nel decreto dell'inizio dell'anno e via via fosse stato perfezionato il meccanismo.
Purtroppo su questo obiettivo si sono rincorse le più svariate voci.
Posso dire oggi, sulla base degli elementi disponibili, che la situazione è di questo tipo: alle amministrazioni dello Stato verrebbe data l'autorizzazione ad effettuare assunzioni con procedure straordinarie nell'ambito dei posti disponibili nelle piante organiche.
Le amministrazioni dello Stato riguardano il Piemonte, la Liguria, la Lombardia e la Sardegna.
I destinatari dell'iniziativa sarebbero cassintegrati in disoccupazione speciale, t posti dovrebbero essere attorno ai 5.000, di cui 1.600 circa per l'area piemontese.
I limiti di età sono 45 anni, con un anno in più per ogni membro della famiglia a carico. Le assunzioni verrebbero fatte in base ad una graduatoria che dovrebbe essere gestita dalla Commissione regionale per l'impiego.
E' prevista anche l'effettuazione di brevi corsi di riqualificazione professionale per l'inserimento nei posti di lavoro.
Va anche detto che insieme a questa ipotesi è emersa la possibilità per le amministrazioni dello Stato di bandire concorsi ordinari con procedura concorsuale semplificata per le assunzioni della fascia di professionalità bassa. Siamo molto preoccupati sui tempi di questa procedura, che paiono essere ancora indeterminati e non certi da vederne la realizzazione nei prossimi mesi.
Il Governo ha approvato recentemente un disegno di legge per l'assunzione straordinaria di 30.000 giovani dai 18 ai 29 anni, con contratti di formazione-lavoro, dando la priorità a progetti realizzati in aree di maggiore crisi economica e sociale, all'assunzione di disoccupati ad alta scolarità (questo vale particolarmente per il Mezzogiorno, dove c'è una forte disoccupazione di laureati e di diplomati) ed anche per l'assunzione di altre categorie.
L'aspetto particolare di questo contratto di formazione-lavoro è che verrebbe riconosciuto alle imprese il 15 per cento della retribuzione dei giovani ed il 20 per cento per quelle aziende che operano in settori tecnologicamente avanzati. E' previsto il prolungamento di questi contributi per un periodo di 12 mesi oltre il periodo di contratto di formazione-lavoro, per le imprese che perfezionano il contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Ringrazio l'Assessore per la risposta. Finalmente si comincia ad intravvedere un minimo di chiarezza su questa vicenda, gestita finora in modo semplicistico e con leggerezza.
Il progetto per l'assunzione di 5.000 persone nella pubblica amministrazione del triangolo industriale (Piemonte, Lombardia e Liguria) si inquadra in una serie di altri provvedimenti di iniziativa del Governo tendenti a facilitare l'occupazione dei soggetti più colpiti dalla crisi.
Di questo progetto si parla ormai da vari mesi. E' stato "venduto" prima ai cassintegrati Fiat, poi ai disoccupati con rischio di conflitti fra i lavoratori.
Estrema leggerezza quindi, soprattutto da parte di chi ricopre posti di responsabilità a livello nazionale, come il sottosegretario Amato che mi risulta in assemblee di disoccupati e di lavoratori Fiat abbia promesso questi 5.000 posti.
Si incomincia ora ad intravvedere un minimo di chiarezza nel senso che questo progetto finalmente comincia a concretizzarsi. La Regione ora deve predisporre i necessari strumenti per la gestione.
E' necessario stabilire quali lavoratori cassintegrati debbono essere privilegiati tenendo conto dei lavoratori della Fiat e delle altre aziende in cassa integrazione e dei 3.000 lavoratori in cassa integrazione, ai sensi della legge n. 301, per i quali entro il 1985 scadrà la cassa integrazione.
Il problema è delicato e deve essere gestito con estrema cura.
Ringraziamo l'Assessore che ha fatto un minimo di chiarezza su questa vicenda.
Credo però che sia necessario dal momento in cui il progetto andrà in porto, cominciare ad individuare i criteri per la formazione delle graduatorie.


Argomento: Università

Interrogazione del Consigliere Marchiaro relativa alla situazione di disagio all'Università di Torino


PRESIDENTE

All'interrogazione del Consigliere Marchiaro relativa alla situazione di disagio all'Università di Torino, risponde l'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore all'istruzione

Ringrazio il Consigliere signora Marchiaro di questa interrogazione.
Ero già parzialmente a conoscenza del fenomeno per informazioni avute indirettamente da docenti universitari.
Sulla base di una disposizione che proviene dal direttore generale del Ministero della pubblica istruzione si è proceduto alla riduzione, sia pure non ancora catastrofica come entità, del numero di lettori di lingue straniere.
Questo può diventare particolarmente complesso e difficile per i lettori stranieri di lingua madre che già risiedono a Torino in previsione di svolgere queste attività.
Il mio giudizio è preoccupato e negativo. Non voglio fare altro che ricordare come in una deliberazione del consiglio universitario nazionale approvata all'unanimità, proprio in materia di lettori di madre lingua straniera, veniva raccomandato al governo di non procedere in detta direzione.
Le argomentazioni che mi sembrano molto convincenti, sono appuntate attorno alla considerazione fondamentale che un'estensione di queste attività diventa sempre più importante per qualificare la formazione degli studenti universitari e per caratterizzare l'aspetto internazionale ed aperto che oggi ha necessariamente la cultura e che passa non soltanto attraverso la conoscenza delle lingue intesa in senso veicolare, ma anche attraverso l'apertura di orizzonti culturali.
Ritengo pertanto che le preoccupazioni che sono avanzate, non soltanto dalla categoria, ma da moltissimi docenti in Torino, sono già state fatte proprie dal Consiglio universitario nazionale.
Suggerirei, e gradirei, ascoltare ulteriori suggerimenti che possono venire dall'interrogante, di procedere tempestivamente all'invio di un telegramma al Ministro della pubblica istruzione che, richiamando il parere espresso dal Consiglio universitario nazionale, ribadisca anche per parte dell'amministrazione regionale il suo sostegno a questo tipo di attività.
Nello stesso tempo manterremo i contatti con gli atenei torinesi per valutare gli sviluppi della situazione da un lato e le possibilità di efficace intervento dall'altro. Non ho ribadito e ripreso tutti gli argomenti sostanziali, ma credo che questi siano abbastanza evidenti all'intero Consiglio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchiaro.



MARCHIARO Maria Laura

Ringrazio l'Assessore. Non si scusi per la brevità della risposta che peraltro è una risposta completa e pienamente soddisfacente.
Mi sembra giusto che la Regione si attivi nei confronti del Ministro della pubblica istruzione per vedere se è ancora possibile porre rimedio alla situazione per quanto riguarda l'anno accademico 1984/85, con l'integrazione dei sei posti di lettorato che con il provvedimento del Ministero verrebbero a mancare all'Università di Torino.
Mi sembra anche giusto stabilire un rapporto con il Consiglio di amministrazione dell'università, che nella seduta del 17 prossimo dovrà assumere decisioni in merito. Nella raccomandazione ad entrambi - credo dobbiamo inserire una riflessione nostra, che fra l'altro - come ha detto l'Assessore - non è nuova, ed è questa: la qualità dell'insegnamento universitario non poco dipende anche dall'insegnamento delle lingue straniere affidato a docenti di madre lingua, non solo nelle facoltà in cui ufficialmente questi insegnamenti sono compresi, ma anche nelle facoltà che in questi anni - per l'estensione delle materie e dei rapporti con istituti di cultura ed università straniere - hanno bisogno di insegnamenti di lingue straniere tradizionali e di lingue come il giapponese, il cinese.
Queste ultime, fra l'altro, verrebbero ad essere sacrificate dalla restrizione dei lettorati.
Confermo la soddisfazione per questa risposta e sono perfettamente d'accordo che si intervenga secondo le indicazioni che ha dato l'Assessore.



PRESIDENTE

Il collega Tapparo mi ha pregato di informare che non ha ancora a disposizione tutti gli elementi della risposta all'interrogazione del Consigliere Reburdo sulla siderurgia.


Argomento:

Interrogazione del Consigliere Marchiaro relativa alla situazione di disagio all'Università di Torino

Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento: Organizzazione regionale: argomenti non sopra specificati

a) Sistema automatico di stenotipia "Michela"


PRESIDENTE

Informo che nel corso della seduta odierna si provvede alla resocontazione con il sistema automatico di stenografia "Michela".
Tale sistema, impiegato da anni presso il Senato della Repubblica consente attraverso la decodifica degli ideogrammi l'immediata trasformazione del testo da parlato in stampato. Lo stenoterminale "Michela" può realizzare la trascrizione simultanea del discorso parlato con l'inserimento automatico del testo in un sistema di gestione testi.
In sostanza l'innovazione di questo sistema consiste nell'eliminazione della stesura dattilografica successiva del testo.


Argomento:

b) Congedi


PRESIDENTE

Rendo noto che sono in congedo i Consiglieri Astengo e Cerutti.


Argomento:

c) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: N. 464: "Integrazione alla L.R. 6/8/1984 n. 36 'Rendiconto dell'esercizio finanziario 1983" presentato dalla Giunta regionale in data 6 dicembre 1984 N. 465: "Finanziamento dei servizi tutelari residenziali", presentato dalla Giunta regionale in data 6 dicembre 1984 N. 466: "Integrazione del disegno di legge n. 453: 'Approvazione del bilancio pluriennale 1985187', presentato dalla Giunta regionale in data 7 dicembre 1984 N. 467: "Riforma dell'organizzazione turistica e deleghe in materia di turismo", presentato dalla Giunta regionale in data 10 dicembre 1984.


Argomento:

d) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Il Commissario del Governo ha apposto il visto: alla legge regionale dell'8 novembre 1984: "Disciplina delle assegnazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica ai sensi dell'art. 2, comma secondo della legge n. 457 in attuazione della deliberazione CIPE pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 348 in data 19 dicembre 1981".


Argomento:

e) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

Le deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nelle sedute del 22 27 e 29 novembre scorso in attuazione dell'articolo 7, primo comma della L.R. 6 novembre 1978, n. 65 - in materia di consulenze ed incarichi, i cui elenchi sono depositati e a disposizione presso l'Ufficio Aula.


Argomento: Bilancio pluriennale

Predisposizione ai sensi dell'art. 6, secondo comma L.R. 43/1977, del secondo Piano regionale di sviluppo. Modifiche ed integrazioni delle D.G.R. n. 71-34865 del 31/5/1984 e n. 1-35321 del 21/6/1984 (seguito)


PRESIDENTE

Punto quarto all'ordine del giorno: Predisposizione ai sensi dell'art.
6, secondo comma L.R. 43/1977, del secondo Piano regionale di sviluppo.
Modifiche ed integrazioni delle D.G.R. n. 71-34865 del 31/5/1984 e n. 1 35321 del 21/6/1984.
La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

L'esperienza della programmazione generale in Piemonte è, per ora limitata al piano regionale 1977/80 al quale non è seguito, nei termini previsti, o comunque, nella prima fase della terza legislatura, il nuovo Piano di sviluppo.
E' opinione comune che, in questa ultima legislatura, sia mancata la capacità, da parte del Governo regionale di predisporre il quadro generale di riferimento, certo e definito, indispensabile alla necessaria azione operativa della Regione. Di fronte all'emergere di una difficile fase economica sì è preferito il rinvio di una decisione globale e la ricerca mutevole ed episodica di progetti contingenti.
Si è passati così attraverso l'iniziativa estemporanea ed immaginifica dei famosi "84 progetti" ridotti poi a 11 e rimasti, in parte, nel cassetto. Non si è trattato, dunque neppure in questo caso, di proposte chiare, limitate e fattibili che pure venivano richieste dall'opposizione e dal Capogruppo socialista Viglione, allorché sedeva sui banchi del Consiglio regionale.
Malgrado le ripetute richieste dell'opposizione, talora attraverso iniziative dei singoli Gruppi, tal'altra con prese di posizione congiunte di D.C., P.L.I., P.R.I.; malgrado ancora che il Gruppo D.C. avesse, fin dall'ottobre 1982, presentato uno studio su "Il Piemonte negli anni '80" contenente puntuali indicazioni per il secondo Piano di sviluppo della Regione, si è dovuto attendere la fine del I982 e l'inizio del 1983 per vedere apparire una proposta di secondo Piano di sviluppo da parte della Giunta regionale.
Vorrei leggere all'assemblea un passaggio illuminante del testo ufficiale del dibattito sull'occupazione tenuto nel mese di novembre 1981.
Diceva allora Sanlorenzo: "Noi dobbiamo presentare il Piano di sviluppo entro la fine dell'anno e se non lo presentiamo ci direte quello che ci viene. Dobbiamo presentarlo senza ambiguità".
C'è una mia interruzione nella quale dico: "Sia messo a verbale".
Riprende Sanlorenzo con la sua sicurezza: "Certo. Sia messo a verbale.
La Giunta regionale nella sua ultima riunione ha esaminato questi tempi ed ha convenuto che questi sono tempi da rispettare".
Noi vi abbiamo detto più volte quello che, a nostro avviso, vi veniva ma senza successo. Nel piano del 19/1/1983, a prescindere dall'inaccettabile ritardo" fu subito immediatamente chiara l'inosservanza della procedura di legge e l'incompletezza formale e sostanziale di quel documento che, tra l'altro, non teneva in alcun conto gli schemi di piano comprensoriali pure approvati dal Consiglio regionale. Avviata dalla I Commissione permanente la fase delle consultazioni in quell'ambito era emersa con tutta evidenza l'inadeguatezza di un piano fortemente datato generico nei contenuti, privo di qualunque indicazione di risorse.
La sintesi ed il giudizio su quelle consultazioni, allora preparati dall'Ires, fecero luce sull'insufficienza del documento sotto un profilo analitico ed insieme diagnostico, nonché sull'opportunità di un vero raccordo fra la messa a punto del Piano di sviluppo e la redazione del piano pluriennale della Regione.
La I Commissione, facendo proprio il documento dell'Ires lo trasmise alla Giunta non ritenendo di poter entrare nel merito di un piano che più che di modesti aggiustamenti, necessitava, anche a parere dell'organo esecutivo, di una sostanziale rielaborazione" di una totale nuova stesura.
Infatti, nel frattempo e dopo la presentazione del bilancio annuale 1983 e del bilancio pluriennale, la Giunta aveva presentato un quadro programmatico di riferimento per "La politica regionale ed interventi operativi mirati alla scadenza amministrativa del 1985" che da un lato si poneva l'irrealistico obiettivo di approvare congiuntamente entro il 1983 il programma pluriennale, il bilancio pluriennale ed il Piano di sviluppo dall'altro enunciava linee tali da richiedere una totale rielaborazione del documento di piano pubblicato il 19 gennaio 1983.
Dopo gli eventi del marzo 1983e la lunga crisi, la nuova Giunta Viglione sembrava intenzionata a procedere ad una rapida approvazione del Piano di sviluppo, ma doveva convenire, sia sotto l'aspetto sostanziale che sotto quello formale, sulla impossibilità di una ripresentazione diretta al Consiglio della primitiva proposta aggiornata e sulla necessità della presentazione di un nuovo documento da assoggettare al previsto iter legislativo.
Lo scadimento dell'azione regionale sul terreno della programmazione è apparso via via più evidente: un quadro di grande incertezza di proposte e contenuti.
Solo nell'estate del 1983, iniziato ormai l'ultimo anno della terza legislatura regionale, la Giunta presentava la seconda proposta del secondo Piano di sviluppo che, dopo affrettate consultazioni, viene ora portata all'esame del Consiglio.
Come i rappresentanti D.C. della I Commissione hanno sostenuto apertamente, su una linea condivisa dalle altre opposizione, il tentativo di recupero del tempo perduto sul terreno della programmazione appare non solo impossibile e velleitario, ma anche poco corretto sotto il profilo istituzionale e dei rapporti politici. Infatti la presentazione a fine legislatura del Piano di sviluppo non può certamente avere valenza di un disegno generale di intervento ed assume di fatto significato di discutibile atto politico di un governo che finisce e che non può pertanto vincolarti l'assemblea che verrà eletta tra pochi mesi.
E' opportuno ricordare che l'art. 5 della legge "Procedure della programmazione", numero 43 del 19 agosto 1977, stabilisce che il Piano di sviluppo deve essere predisposto dalla Giunta regionale entro quattro mesi dalla data della propria elezione, perché, concettualmente, il Piano di sviluppo altro non è se non il programma della Giunta, ovvero il complesso degli interventi e delle azioni che essa ritiene necessarie ed opportune per lo sviluppo regionale.
Proprio perché il Piano di sviluppo a fine legislatura appare improponibile, il Gruppo della D.C. ha ripetutamente ed esplicitamente richiesto alla Giunta regionale di non procedere alla formulazione della proposta definitiva del Piano ed alla sua trasmissione formale per l'approvazione, al Consiglio regionale; ed invece, di "consegnare" la proposta stessa alla futura assemblea che autonomamente, attraverso la rielaborazione e gli aggiornamenti ritenuti necessari ed opportuni, dovrà provvedere a riavviare in concreto l'esperienza piemontese di programmazione.
La Giunta e la maggioranza sono state di diverso avviso ed intendono procedere ad una approvazione formale del documento.
Il Gruppo D.C., conferma la propria contrarietà alla prosecuzione dell'iter di formazione ed approvazione del Piano che appare non solo politicamente inopportuna, ma anche di dubbia legittimità. E' mistificatorio il tentativo di sostenere da un lato che in questi anni si è fatta, nel concreto, della programmazione anche senza il Piano, e dall'altro che il Piano proposto non è che la conclusione di un lungo ponderoso, pluriennale lavoro di programmazione. Al contrario è la riprova di un vuoto anche gestionale non estraneo al grave declino economico e sociale del Piemonte.
Non esistono, quindi, le condizioni per quel confronto nel merito che avremmo volentieri affrontato con l'obiettivo di dare il nostro contributo propositivo se fosse stata accolta la nostra proposta di rinvio degli atti alla futura Assemblea.
Non possiamo e non vogliamo dare il nostro apporto, il nostro consenso e neppure partecipazione critica all'approvazione di un documento che la D.C. non intende riconoscere.
Il Gruppo D.C. non parteciperà, quindi, né al dibattito, né al voto.
La Democrazia Cristiana ha assicurato in questi quattro anni, per il profondo rispetto del funzionamento delle istituzioni, le condizioni necessarie per l'approvazione di strumenti legislativi anche non condivisi perché una maggioranza, per quanto discutibile, ha il diritto di governare e legiferare, pertanto l'azione della D.C. non va intesa come una posizione anti istituzionale, come da talune parti si vorrà sostenere, ma è un atteggiamento realmente istituzionale perché orientato a garantire nella sostanza l'attuazione della lettera e dello spirito della legge che la Regione si è data e a denunciare quella che è, di fatto, una prevaricazione della Giunta e della maggioranza.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Majorino. Ne ha facoltà.



MAJORINO Gaetano

Presidente e colleghi Consiglieri, ho chiesto di intervenire non sul Piano di sviluppo, ma ai fini di porre una questione di carattere pregiudiziale e preliminare avvalendomi dell'art. 61 del Regolamento, in forza del quale prima della discussione di qualsiasi provvedimento, è consentito di porre questioni di carattere costituzionale o statutario o questioni preliminari di merito.
La questione che pongo ha un carattere per così dire misto che abbraccia i tre aspetti della pregiudiziale menzionata nel regolamento.
La pregiudiziale riguarda aspetti costituzionali, statutari e preliminari di merito.



BONTEMPI Rinaldo

La discussione è già stata aperta dal Consigliere Brizio.



MAJORINO Gaetano

Io non potevo prevedere che fosse aperta la discussione sul piano da parte del Consigliere Brizio.



PRESIDENTE

La discussione in verità è aperta già dalla presentazione che la Giunta ha fatto nella seduta precedente.



MAJORINO Gaetano

Allora, mi permetto di osservare che l'aver dato la parola al Consigliere Brizio è stato un fatto irrituale perché la discussione non è preceduta dalla relazione da parte del relatore.
E' un rito che è sempre stato attuato in questa assemblea. Qualsiasi provvedimento, o di carattere amministrativo di carattere legislativo è preceduto da una relazione scritta o orale.



PRESIDENTE

E' chiaro che la discussione è in pieno svolgimento.



MAJORINO Gaetano

Lo so, ma io non potevo immaginare che chi si era già iscritto a parlare entrasse nel merito, che poi non è stato un merito perché, se vogliamo sottilizzare, mi pare che la questione posta dal collega Brizio sia anch'essa una preliminare di merito di contenuto politico . L'art. 61 del regolamento prevede di potere porre questioni pregiudiziali o preliminari, di costituzionalità statutarie o di merito. A me pare che la questione posta dal Consigliere Brizio sia stata una questione preliminare di merito di contenuto politico, perché se conclude dicendo: "noi non partecipiamo alla votazione" mi pare che abbia questo senso. A parte questa considerazione, io mi avvalgo sempre dell'art. 61 del regolamento in forza del quale si dice: "Le questioni preliminari pregiudiziali sospensive devono essere proposte da un Consigliere prima che abbia inizio la discussione. Il Presidente ha tuttavia facoltà di ammetterle anche nel corso della discussione, qualora la presentazione sia giustificata da nuovi elementi emersi dopo l'inizio del dibattito". I nuovi elementi sono per me l'affermazione politica del Consigliere Brizio che il suo Gruppo non partecipa alla discussione e per questo mi richiamo alla seconda parte del regolamento. E' un fatto come dire anomalo rispetto alle discussioni che normalmente si verificano in questa sede.
La questione che pongo è in questi termini. Il piano si caratterizza per un vizio di forma, non è solo un formalismo accademico, in quanto non è stato proposto nella forma della leve ed in questa affermazione c'è una violazione statutaria e Costituzionale voglio subito sbarazzare il terreno di un'osservazione che magari, a guisa di interruzione potrebbe essermi fatta a caldo, cioè a dire: "Il primo Piano di sviluppo è stato approvato con delibera". D'accordo ma questo non costituisce ancora un precedente perché, io che ho avuto la cura di leggermi attraverso i verbali delle sedute consiliari del 1977 la discussione, ho rilevato che nessuno ha ritenuto o ha pensato di porre la questione. Però la questione è seria perché come tenterò di dimostrare trova il conforto di politologi e costituzionalisti. Vengo subito alla sostanza di questa preliminare affermazione. Gli artt. 16 e 17 dello Statuto elencano le attribuzioni del Consiglio regionale, senza precisare se queste attribuzioni dettagliatamente elencate debbano essere attuate nella forma della legge o della delibera, mentre altri Statuti come vedremo con riferimento al Piano di sviluppo, precisano quale debba essere la forma seguita. Per cui, i commentatori dello Statuto della Regione Piemonte hanno rilevato come si debba, caso per caso, attribuzione per attribuzione, stabilire se debba essere questa attribuzione attuata con delibera o con legge. Vedendole rapidissimamente, lo Statuto dice che: "la Regione esercita la potestà legislativa ai fini di disciplinare le materie conferite dall'art. 117". E' chiaro che qui è la legge. "Approva il bilancio preventivo" non dice come ma col supporto dell'art. 81 della Costituzione che pone la riserva di legge in materia di norme di bilancio, nessuno ha mai dubitato fin dai primi giorni dell'istituzione delle Regioni, che il Consiglio debba approvare i bilanci con legge. La stessa cosa per lo storno da un capitolo all'altro è sempre detto espressamente dallo Statuto. Delibera in ordine ai tributi regionali, anche qui non dice come, ma il supporto è dato dagli artt. 23 e 53 della Costituzione che pongono la riserva di legge in materia di tributi.
Delibera sull'ordinamento degli uffici e servizi regionali sull'istituzione o soppressione di enti o aziende (la settimana scorsa abbiamo appunto discusso sull'Ires ed era una legge) sulla partecipazione della Regione in società per azioni. Sempre con il sistema della legge. Non è detto dallo Statuto, ma l'interpretazione trova il supporto dell'art. 97 della Costituzione che prevede che per tutte queste materie occorre la legge. Poi, finalmente, sempre all'art. 16 dello Statuto dice: "Il Consiglio regionale approva il Piano di sviluppo presentato dalla Giunta".
In quale forma? Qui rispondono alcuni politologi, rispondono alcuni costituzionalisti dicendo che, allorquando lo Statuto di una Regione non preveda la forma con la quale dev'essere approvato il Piano di sviluppo si deve considerare l'art. 41 della Costituzione che testualmente stabilisce una riserva di legge in tale senso, infatti l'art. 41 della Costituzione dopo di aver affermato il principio che "l'iniziativa economica privata è libera, soggiunge "la legge determina i programmi ed i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali". Ecco quindi costituzionalizzato il principio della programmazione che limita l'iniziativa privata, ma anche costituzionalizza la riserva di legge. I costituzionalisti che si sono occupati di questa materia hanno appunto rilevato che il testo dell'art. 41 della Costituzione non può lasciare spazio a emanare leggi di programmazione con una forma diversa dalla legge. Rilevano: "Le Regioni sono anch'esse vincolate da questo principio costituzionale? " Soggiungono: "si potrebbe dubitarne per la programmazione regionale se si vuole considerare la programmazione regionale un aspetto di quella nazionale".
Però programmazione nazionale non c'è, quindi qui non possiamo certo considerarla come un aspetto di quella nazionale. Poi soggiungono che quando i Piani di sviluppo contengono particolari prescrizioni per l'attività legislativa ed amministrativa della Regione, questa prescrizione, proprio perché è incisiva, proprio perché disciplina come dire lo scheletrato di massima delle future leggi e delle future attività amministrative, deve essere attuata con la forma della legge.
A questo punto il discorso sulla questione che ho posto potrebbe anche finire, però ci sono altre argomentazioni di contorno a mio avviso sostanziali.
La prima è questa: che alcune Regioni e precisamente le Regioni Veneto Abruzzo, Molise e Marche prevedono espressamente nello Statuto l'approvazione del Piano di sviluppo, cioè della programmazione, con legge.
Perché lo prevedono? Perché hanno inserito - nello Statuto, hanno costituzionalizzato nel loro Statuto il principio dell'art. 41 della Costituzione in forza del quale è prevista la riserva della legge per tutto ciò che è programmazione. Quindi apparirebbe quanto meno strano, proprio in base a un principio di parità degli ordinamenti, in base a un principio di carattere generale che riguarda lo stato delle autonomie, che alcune Regioni approvino la loro programmazione con le, :e ed altre con delibera.
Il che non è certo cosa di poco conto. Perché non si può certo dire che legge e delibera consiliare siano la stessa cosa negli effetti e nella sostanza.
Altri supporti vengono a sostegno di quanto tento di dimostrare e vengono dalla stessa legge sulla programmazione n. 47 del 1977, la quale venne paragonata in aula dal collega dell'epoca, Consigliere Bianchi, ad una legge di procedura e fece il paragone fra codice penale e codice di procedura penale. Diceva: "La legge sulla programmazione sta alla programmazione come il codice di procedura penale sta al codice penale".
Infatti è proprio una legge prevalentemente procedurale. Che cosa si ricava dal contenuto di questa le:e? Dall'art. 1 si ricava il principio espresso secondo il quale la Regione "esercita la propria azione legislativa amministrativa e regolamentare col metodo della programmazione che viene individuato nel Piano di sviluppo", il che significa che azione legislativa, amministrativa, regolamentare, se e in quanto il Piano di sviluppo venisse formato, venisse predisposto e venisse attuato entro i 4 mesi previsti dalla stessa legge sulla programmazione, vincolerebbe, come poi dice testualmente "ha efficacia di vincolo", l'intera azione legislativa, amministrativa, regolamentare della Regione.
Se poi si vuole ricavare implicitamente dal contesto della legge sulla programmazione la necessità che il .Piano di sviluppo venga approvato con legge allora occorre una disposizione espressa, laddove si dice, dopo di aver previsto il Piano di sviluppo abbia efficacia di indirizzo, di prescrizione e vincolo, che ad esso Piano di sviluppo si può derogare solo in base a specifiche disposizioni di legge. Questa enunciazione sarebbe perfettamente inutile, che cioè si possa derogare al Piano di sviluppo approvato, in ipotesi con delibera, solo attraverso la legge, se non fosse necessaria appunto la legge stessa.
Non si comprende questo inciso "necessità della legge per derogare" a seconda delle circostanze di opportunità e sconvenienza al Piano di sviluppo con legge" se non fosse implicitamente la legge a dover approvare il Piano di sviluppo. Questa è l'argomentazione principale a sostegno della pregiudiziale. Ma ce n'è una come dire secondaria e subordinata ed è in questi termini.
Se si volesse disattendere tutto quanto finora ho esposto, c'è, a mio avviso, un vizio intrinseco del Piano di sviluppo, un vizio intrinseco che può essere qualificato tranquillamente come eccesso di potere rispetto alla legge sulla programmazione. Perché? Perché lo spirito della legge sulla programmazione e qui in un certo senso le mie argomentazioni collimano con le argomentazioni del collega Brizio, era quello di far sì che la Giunta regionale, eletta al governo della Regione in un determinato momento storico della vita regionale, cioè immediatamente dopo le elezioni, avesse quel congruo tempo di sei mesi (se non sono 6 sono anche 12, non stiamo a vedere il termine formalisticamente) per predisporre lo scheletrato di tutta l'azione amministrativa. Uno scheletrato che non è cosa di poco conto se, come ho già avuto occasione di rilevare, vincola l'azione legislativa amministrativa e regolamentare della Regione. Che quindi lo spirito della legge sulla programmazione fosse nel senso di uno strumento (Piano di sviluppo) che deve abbracciare l'intera legislatura, nell'ambito del quale inserire poi i singoli programmi attraverso i bilanci preventivi ed attraverso i bilanci pluriennali, lo si ricava come dall'intero contesto della legge ed anche da una disposizione espressa.
La legge sulla programmazione è stata emanata in un momento, agosto del 1977, in cui era già in predisposizione e formazione il Piano di sviluppo per cui la legge contiene una norma transitoria che prevede espressamente per il primo Piano di sviluppo il periodo 1977/1980, Evidentemente il legislatore dell'epoca si era fatto carico di ragionare in questa maniera e di dire: la legge sulla programmazione entra in vigore nell'agosto 1977, il Piano di sviluppo ha una previsione minimale di tre anni e la norma transitoria per questo periodo va dal 1977 al 1980.
C'è una norma che prevede come minimo tre anni, il che significa che può anche avere una durata di 4, 5 o 6 anni. La norma transitoria proprio perché la legge veniva emanata nell'agosto 1977, prevedeva uno sbarramento di soli 3 anni 77/80, perché si prevedeva che nell'80 sarebbe finita la legislatura.
Io volevo solo osservare e ribadire brevissimamente che siccome la legge sulla programmazione prevede un piano minimo di tre anni (può anche essere di 4 o di 5, cioè legare l'intera legislatura) nell'emanare la legge sulla programmazione ci si è fatti carico di dire che il primo piano avrebbe dovuto avere la sua durata con la fine della legislatura proprio perché è tale lo spirito che domina l'intera legge.
Sulla questione quindi di un piano che viene formulato, se può venire formulato con deliberazione, in maniera inutile perché fatalmente verrà a morire con questa legislatura, salvo che la volontà della maggioranza che si formerà con la legislatura che nascerà il 12 maggio, con un atto di poche righe, faccia proprio questo piano.
Se ci sarà una maggioranza che dirà questo, il piano che oggi si formula con riferimento a tre anni della prossima legislatura, potrà acquisire una sua legittimità istituzionale, se non ci sarà questa manifestazione di volontà sarà un documento perfettamente inutile.
Il problema temporale era stato colto all'epoca, tant'è vero che nel corso del suo intervento il Consigliere Alberton il 10/2/1977 richiamava un quotidiano dell'epoca che conteneva un'intervista resa dall'onorevole Libertini, il quale diceva: "Siamo in ritardo nella formazione del piano" e ne attribuiva la causa al livello zero da cui la Giunta ha dovuto partire Non so se quelle considerazioni possono essere trasferite ad oggi ed allora anche noi attribuiamo il ritardo al livello zero da cui la Giunta del 1980 ha dovuto partire.
Però, se è partita a livello zero, il livello zero è stato determinato dalla consorella Giunta installatasi alla Regione nel 1978.
A conclusione dell'intervento nel quale appunto mi sono sforzato di dimostrare queste questioni, ribadisco alla fine che il precedente del 1977 non è certo vincolante perché in allora non venne posto neppure il problema.
Sulla questione pregiudiziale, penso che, ai sensi del regolamento, si debba pensare quando sarà il momento di votare.



PRESIDENTE

Ai sensi dell'art. 61, a cui si è richiamato il Consigliere Majorino la pregiudiziale che il Presidente ha ammesso nel corso della discussione presentata dal Consigliere Majorino è, come tutte le questioni pregiudiziali, una questione di carattere incidentale che quindi richiede da parte del Consiglio una discussione sul merito e quindi una votazione prima di poter procedere alla discussione generale.
Vi sono richieste di parola? Chiede di parlare il Consigliere Vetrino. Ne ha facoltà.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, signori Consiglieri, le riserve espresse attraverso la pregiudiziale che ha posto il collega Majorino, ai termini dell'art. 61 dello Statuto, mi sembrano opportune e mi appaiono così profonde circostanziate e chiaramente riferite a termini di legge e di documentazione che probabilmente richiedono un ambito di discussione preventiva a quella della seduta odierna. La pregiudiziale è così importante che probabilmente meritava di essere portata nella sede della I Commissione quando licenziò il provvedimento e lo licenziò nella forma rispetto alla quale nello stesso modo si era atteggiato il Consiglio regionale che aveva approvato il primo Piano regionale di sviluppo.
Le conclusioni che sono state portate dal collega Majorino e che sono state suffragate da tutti questi supporti giuridici importantissimi, che andrebbero verificati e confrontati, portano a concludere appunto che di questo documento, il secondo Piano regionale di sviluppo non si pu discutere e quindi lo stesso non può essere posto in votazione.
Le conclusioni giuridiche del Consigliere Majorino combaciano perfettamente con le considerazioni di carattere politico che fa la mia forza politica. Anche noi siamo dell'opinione che questo documento di piano non possa essere discusso e sia politicamente inopportuno che esso venga dibattuto oggi in quest'aula e rispetto ad esso si determinino le condizioni per passare alla votazione e per farlo diventare quindi provvedimento della Regione Piemonte da dare alla comunità piemontese.
Ci sembra che presentare a tre mesi dallo scioglimento del Consiglio regionale questo documento-bussola che avrebbe dovuto essere dato alla comunità piemontese ben cinque anni fa ecco, sia un ritardo che si commenti da sé.
Non occorre dire altro.
Questo, come dice Majorino, non è un piano legittimo ad essere votato nei tempi e nei metodi voluti dalla Giunta regionale.
In cinque anni si può sbagliare una politica, si possono fare delle scelte sbagliate, ma non si può dulcis in fundo prenderci in giro e prendere in giro la società piemontese e le sue istituzioni.
Non si può unire la beffa al danno. Un Piano di sviluppo è l'interpretazione programmatica di una volontà politica, è la carta degli intenti, il filo conduttore cui, nel bene e nel male, tutta la società deve riferirsi nelle scelte economiche e sociali di sviluppo.
E' quanto la Giunta di sinistra non ha compiuto, non è un'ingiunzione pretestuosa di un'opposizione pregiudiziale. In questi anni abbiamo assistito ad un'attività episodica e frammentaria, documentabile fino alla noia, anche sfortunata perché gli incidenti di percorso non li ha voluti nessuno di noi ma ci sono successi, non abbiamo assistito ad una politica di programma, ad una politica di idee coordinate ed analizzabili.
L'Assessore Rivalta nell'intervento dell'altro giorno che apriva questo dibattito ha detto che in fondo c'erano state delle difficoltà da parte della maggioranza a confrontarsi con l'opposizione.
Questo non è vero perché non è stato possibile confrontarci su documenti globali, di riferimento, come è il Piano regionale di sviluppo ma non mi sento di dire che su temi importanti, il Consiglio regionale non abbia dibattuto in questi anni.
Sul Piano di sviluppo non c'è stata possibilità di confronto come avrebbe dovuto esserci perché i tempi sono stati determinati da una serie di circostanze che hanno portato a questi tempi che oggi non sono più credibili.
Il gioco delle parti ha purtroppo messo da una parte la Giunta che anche dal suo punto di vista giustamente intende perfezionare il suo programma attraverso la votazione di questo documento.
A noi sembra però che questi tempi non siano credibili. Le consultazioni hanno finito per essere retoriche. La gente veniva, si consultava, dava le sue osservazioni però nella consapevolezza che avvenivano in un tempo rispetto al quale un documento di piano non poteva essere valido e non poteva essere creduto.
Dunque questo documento non vincola per i tempi nei quali viene posto assolutamente nulla. Non è espressione di una maggioranza politica perch una maggioranza politica vive sul consenso.
Nelle consultazioni quanti e quali sono state quelle che si sono espresse a sostegno del piano, che hanno trovato in esso la possibilità di avere un'ancora per realizzare le loro possibilità nell'economia della società piemontese? Presidente Viglione, se una struttura amministrativa va guidata con dei criteri di efficienza aziendale e noi dobbiamo dire che apprezziamo l'impegno suo personale, quello del Vice Presidente e degli Assessori che vivono quasi tutte le ore della loro vita negli uffici regionali un'espressione politica però opera nei cicli istituzionali che iniziano e finiscono con le consultazioni elettorali. L'elettorato dà delle indicazioni che vanno rispettate in tempi molto precisi.
Un piano di sviluppo non è l'adeguamento di un programma aziendale che può essere gestito in un modo o in un altro da un direttore generale piuttosto che da un altro e alla stregua di ciò l'opposizione non è il consiglio di fabbrica ..



PRESIDENTE

Consigliere Vetrino, la richiamo alla questione procedurale. Cioè la discussione ora è soltanto sulla questione preliminare posta dal Consigliere Majorino e non nel merito della discussione generale.



VETRINO Bianca

Io credo che il Piemonte avrebbe guadagnato qualcosa se, fallita la piattaforma politica del Piano di sviluppo, la Giunta avesse assunto quei tre o quattro provvedimenti da realizzarsi nei pochi mesi che rimangono.
Questo è quello che noi abbiamo costantemente detto e che lei stesso Presidente Viglione, ha detto in quest'aula non meno di una settimana fa.
Questo piano invece vincola unicamente le forze politiche di maggioranza. Al di là delle questioni pregiudiziali che devono essere esaminate io credo che soprattutto le condizioni di carattere politico vanno esaminate e che portano i repubblicani a concludere che oggi di questo argomento non è giusto discutere e soprattutto attorno ad esso non è necessario votare.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Noto che la Presidenza in questo caso tiene un atteggiamento diverso da quello che ha tenuto in altri casi. Perché in altri casi la Presidenza ha ritenuto di assumere in proprio la valutazione se un certo incombente regolamentare avesse diritto di procedibilità o meno. Mi riferisco alla eccezione che io avevo sollevato sulla valutazione della I Commissione sulla questione di ordine finanziario. In questo caso io chiedo alla Presidenza di chiudere la discussione generale perché la pregiudiziale è posta fuori termine. La seduta precedente, non era una seduta in cui il relatore illustrava perché non c'era una relazione. L'Assessore Rivalta ed i colleghi non erano relatori ma erano soggetti del dibattito. Il dibattito generale è cominciato con l'intervento del collega Rivalta. Mi rendo conto che il Piano di sviluppo procede attraverso un canale comportamentale e processuale anomalo tant'è vero che all'ordine del giorno odierno ne vediamo una formulazione impropria.
Oggi l'esame c'è, l'approvazione e non la predisposizione del Piano di sviluppo. Mi vorranno scusare gli amici del Movimento Sociale.
Alla Presidenza compete di verificare le questioni di procedibilità della questione posta dal collega del Movimento Sociale. Mi pare che sia stata proposta fuori termini, quindi compete alla Presidenza di dichiararlo, non al Consiglio.
Il Consiglio si pronuncia sull'oggetto dell'intervento di Majorino, non sul fatto che l'intervento di Majorino sia proponibile o meno.
Mi pare un incombente di Presidenza del quale prego la stessa di valutare l'opportunità di attenersi.



PRESIDENTE

Collega Marchini, mi pare che l'art. 61 dirigila abbastanza chiaramente la questione che lei richiama, nel senso che dà al Presidente la facoltà di ammettere nel corso della discussione eventuali questioni pregiudiziali che vengano a definirsi proprio per il merito.
In questo senso il Presidente ha ritenuto di ammettere la questione pregiudiziale del Consigliere Majorino.



MARCHINI Sergio

Ma nella natura in, cui maturano. E' chiaro che in un dibattito pu nascere una questione.



PRESIDENTE

Ammessa la pregiudiziale, sollevata dal Consigliere Majorino, da parte della Presidente, l'art. 61 prevede una serie di incombenti successivi che vanno rispettati. Intanto quello della pronuncia del Consiglio sulla questione pregiudiziale a cui farà seguito la votazione.
Sulla questione pregiudiziale può parlare soltanto un oratore per ciascun Gruppo consiliare.
Se al termine della discussione la pregiudiziale dovesse venire respinta, il Consiglio proseguirà la discussione generale.
Queste sono le indicazioni che vengono dal regolamento.
Il Consigliere Vetrino si è già espresso, io chiedo ad altri Gruppi se intendono esprimersi su questa questione, dopo di che c'è la votazione per alzata di mano.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

C'è un dissenso politico sull'opportunità di approvare il piano e viene ritualmente invocata una questione pregiudiziale, questione che è stata discussa lungamente nell'altra legislatura in varie sedi, comunque in sede di I Commissione, se un atto di programmazione debba essere approvato per legge o debba essere approvato con deliberazione.
Non sono riuscito a seguire la ricostruzione normativa fatta da Majorino. Vorrei richiamare però alcuni elementi. La questione degli atti di programmazione, delle forme e del valore degli atti è risolta nella legge di programmazione che rimanda esplicitamente all'art. 16 dello Statuto in cui la scelta sulla qualità dell'atto normativo per l'approvazione degli strumenti di programmazione viene lasciata aperta.
lo rimanderei a un precedente che era preceduto da una discussione serrata sull'opportunità di scegliere la forma della deliberazione per l'approvazione del primo Piano di sviluppo.
A maggior ragione oggi riteniamo di approvare il secondo Piano di sviluppo con deliberazione, visti anche i tempi a disposizione, ma c'è una contraddizione, c'è un dissenso politico (anche se poi le armi usate in aula o le armi istituzionali possono smentire il dissenso politico).
Ci viene detto che il piano arriva in ritardo e che non può vincolare il futuro e poi si propone di approvarlo con legge.
E' una contraddizione sostanziale. Peraltro abbiamo gli elementi giuridici e la prassi consolidata che costituiscono un precedente per cui noi riteniamo di respingere questa pregiudiziale. Non mi esprimo sulle altre questioni perché non sono state pregiudiziali, ma sono valutazioni politiche intendendo far lo non appena sarà chiusa questa discussione che è stata aperta incidentalmente.
Respingiamo la pregiudiziale, ci pare uno sforzo personale encomiabile ma intempestivo che da un lato nasconde un'altra intenzione e dall'altro lato contraddice un modo lineare di affrontare con gli strumenti normativi che abbiamo e con i poteri del Consiglio, gli atti di programmazione che sono stati a volte adottati con ma per esplicita volontà del legislatore regionale, dal 1977 sono stati approvati con deliberazione non c'è motivo di cambiare questa interpretazione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Montefalchesi. Ne ha facoltà.



MONTEFALCHESI Corrado

Debbo rilevare in modo preoccupante la crescente divaricazione tra il livello delle discussioni che avvengono in quest'aula come quella di questa mattina, ed i problemi concreti e drammatici che dobbiamo affrontare quando varchiamo la porta di Palazzo Lascaris.
Non entro nel merito delle ragioni sulle quali il collega Majorino fonda la questione pregiudiziale, però mi sembra che la pregiudiziale sostanzialmente politica nel senso che si contesta la legittimità di approvare un piano di sviluppo a tre mesi dalla fine della legislatura perché questo costituisce un vincolo per le forze politiche che l'approvano e un condizionamento per le possibili future maggioranze dopo le prossime elezioni.
Certo, il fatto di trovarci a tre mesi dalla fine della legislatura toglie alla discussione la necessaria serenità, ma proprio per la gravità dei problemi che ci troviamo ad affrontare, è necessario discutere a fondo sul merito delle questioni perché se la legislatura termina, i problemi della gente rimangono e le risposte bisogna darle.
L'aspetto grave dì questa vicenda è che non ci siamo confrontati sulle proposte del piano che possono essere condivisibili o meno, ma su una questione pregiudiziale. Ancora una volta arriva alla società il segnale che le forze politiche o una parte di esse, hanno più attenzione agli schieramenti cagli interessi della singola forza politica che ai problemi della società.
Non vado oltre questa dichiarazione con la quale dico di essere contrario alla proposta pregiudiziale sollevata dal collega Majorino ed invito le forze politiche ad entrare nel merito delle proposte.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Moretti. Ne ha facoltà.



MORETTI Michele

Il Gruppo socialista è contrario alla pregiudiziale posta questa mattina. Siamo d'accordo che esistono ragioni di natura giuridica che possono supportare la pregiudiziale, ma vi sono responsabilità dei gruppi politici della Regione Piemonte.
E' vero che il Piano di sviluppo è stato presentato in ritardo rispetto allo spirito dello Statuto regionale, poiché siamo politici, dobbiamo affrontare i problemi al di là delle obiezioni di natura giuridica.
Mi riferisco alla situazione economica, alla situazione occupazionale ed a tutte le possibili implicazioni. Per quanto riguarda le future maggioranze il mio partito non ha ancora affrontato questo problema politico.
La mia scelta politica - ripeto - è in linea con il comitato regionale del partito socialista: a sostegno della Giunta di sinistra.
Quanto alle maggioranze future lasciamo la decisione ai partiti ed agli elettori.
La mia posizione è nota, ma oltre alla posizione personale deve prevalere la politica del partito a cui appartengo.



PRESIDENTE

Sulla questione pregiudiziale ha chiesto di parlare il Vice Presidente della Giunta. Ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi, Vicepresidente della Giunta regionale

Mi pare che non debba essere accolta la pregiudiziale. La settimana scorsa quando abbiamo avviato la discussione sul Piano di sviluppo, non lo abbiamo fatto per un puro gioco: si è formalmente avviata in aula la discussione e, se pregiudiziali dovevano esserci dovevano essere fatte prima dell'avvio della discussione, avendo aperta e non svolta in Commissione una piena discussione perché, purtroppo, le forze di opposizione hanno mantenuto costantemente nei mesi scorsi, l'atteggiamento di opposizione formale sui cavilli delle pregiudiziali.
Voglio anche aggiungere, entrando nel merito, che non si possa accettare l'approvazione del piano con legge. Mi rifaccio alle discussioni che sono avvenute nel momento di discussione dello Statuto, quando una Commissione si occupava dei problemi della programmazione e della pianificazione. La Commissione era formata dai Consiglieri Gandolfi Simonelli, Zanone ed il sottoscritto.
Ricordo che avevamo escluso fin da allora che il Piano di sviluppo dovesse essere approvato per legge.
La legge sulle procedure, che avrebbe dovuto precisare le modalità di approvazione, non parla di approvazione per legge. Mi do mando se è possibile pensare che un piano, un programma si approva per legge. Faccio un esempio, li progetto per l'energia lo approviamo per legge? Approviamo per legge un'impostazione programmatica, pianificata, di prospettiva, che riguarda la realizzazione di impianti idroelettrici, che riguarda la realizzazione di condotte di metanizzazione che riguarda la costruzione della centrale nucleare? Approviamo questi aspetti per legge rendendo estremamente rigido il rapporto attuativo del piano? Abbiamo discusso per anni e continuiamo a discutere sull'esigenza di una programmazione e di una pianificazione che detti le linee direttrici dei comportamenti, ma che resti flessibile, che consenta nella sua attuazione, con interventi sottordinati, di precisarsi di configurarsi puntualmente nelle modalità, nei tempi, negli apporti finanziari; e, ove è necessario la programmazione per gli aspetti puntuali e definiti si traduca in legge.
Mi sembra improponibile e impraticabile per una programmazione, che in una società come la nostra deve essere sempre più flessibile, sempre più aperta alla partecipazione, sempre più "processo" per usare una parola abusata, ma che si accoppia normalmente alla programmazione, lo strumento della legge che per sua natura è estremamente vincolante e definito.



PRESIDENTE

Pongo in votazione la questione pregiudiziale espressa dal Consigliere Majorino che sinteticamente è questa: "Non è costituzionalmente n statutariamente legittimo approvare con delibera consiliare il Piano di sviluppo, principalmente in quanto l'art. 1 della Costituzione pone la riserva di legge ai fini di approvare una programmazione nazionale o regionale. D'altro canto, il piano sanitario regionale che ha carattere programmatorio - che investe una grossa parte delle competenze regionali viene correttamente approvato con legge".
Su questo c'è stata facoltà per tutti di esprimersi. I1 voto sulla pregiudiziale è per alzata di mano.
E' respinta con il seguente esito: presenti e votanti 50 favorevoli 2 Consiglieri contrari 28 Consiglieri astenuti 20 Consiglieri Prosegue pertanto la discussione generale sul Piano regionale di sviluppo.
La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ho detto che non avrei puntato il dito più di tanto sul ritardo con il quale la Giunta presenta il Piano regionale di sviluppo, anche perché questo è un ritardo che si commenta da solo. Vogliamo invece individuare le cause per le quali la Giunta di sinistra non ha potuto attuare una politica di programma, ma un'attività episodica occasionale rendendo tra l'altro abbastanza difficile il ruolo dell'opposizione che peraltro a volte si è impegnata in modo eccezionale.
Pensiamo a quello che è successo in quest'aula quando si sono votate le modifiche alla legge urbanistica. L'opposizione la si misura anche sulla sostanza dei problemi, sulla base del programma. Ricordo un'altra volta che non abbiamo mai discusso in questo Consiglio il programma della Giunta Viglione, della Giunta che si instaurò dopo la crisi del marzo 1983. La verità è che la Regione non ha mai adottato il metodo della programmazione dopo averla peraltro puntualmente inserita nel suo Statuto e dopo averne posto le basi con strumenti legislativi ed organizzativi, più d'uno e anche impegnativi e importanti.
In questi quattro anni abbiamo dovuto inseguire e cercare di comprendere le iniziative della maggioranza, senza un filo politico conduttore, senza alcuna coerenza ed efficacia in un pullulare di azioni scoordinate. La maggioranza politica c'è stata nei numeri. Nella realtà gli Assessorati sono stati gestiti come feudi - non è la prima volta che dico questo - lontani dai reali problemi della società. I ritardi e le insufficienze della amministrazione regionale nell'attività di programmazione sono risultati gravissimi. Basti pensare alla consultazione che abbiamo fatto ieri con gli enti strumentali di sviluppo per renderci conto di quanto significhi per la società non aver programmato per tempo e non aver avuto a disposizione il Piano di sviluppo che è documento bussola per l'intera comunità.
Certo di scelte ne sono state fatte, non dico che la Regione non abbia fatto nulla, ma al di fuori di un quadro ben definito di priorità, sono state inadeguate alle esigenze reali della comunità piemontese.
Vorrei anche dire che la Giunta ha operato in un ambito ristretto quasi oligarchico, usando per contro del metodo democratico quasi come un alibi, ha richiesto documenti e consensi a tutti. Ha ricevuto molti documenti, pochi consensi, soprattutto negli ultimi tempi, ma soprattutto ha costantemente sminuito il contributo che le forze politiche di opposizione del Consiglio, ed una parte consistente della società offrivano. Noi abbiamo anche cercato in quest'ultimo periodo di circoscrivere gli strumenti, le iniziative del Piano regionale di sviluppo a quei pochi elementi di sostegno che potessero ancora essere avviati e che potrebbero essere credibili.
C'è un capitolo del Piano regionale di sviluppo, che era già nel primo piano ma che è stato tale e quale riproposto nel secondo piano, che riguarda l'organizzazione istituzionale ed amministrativa della Regione.
Questo non è un tema su cui un Consiglio regionale che scade e che ha dovuto registrare nel corso del suo svolgersi delle difficoltà, a volte anche ad esprimersi e ad operare concretamente, sul quale in questi tre mesi la Giunta non doveva sollecitare il Consiglio ad esprimere, a dare delle linee, a discutere le linee che sono ben comprese e ben specificate nelle pagine che riguardano questo capitolo del Piano di sviluppo? Il nostro richiamo anche in questo caso è caduto nel vuoto, così come sono caduti a vuoto i richiami che abbiamo costantemente portato per ricondurre i temi dello sviluppo a un progetto dello sviluppo.
La centrale nucleare la facciamo, ma in che ambito la collochiamo? E' così un piano delle infrastrutturazioni capace di garantire il riequilibrio con priorità come abbiamo cercato di fare con un'azione politica forte sul centro intermodale di Orbassano; e di questo abbiamo parlato ieri nella consultazione con gli enti strumentali; una politica per la formazione professionale orientata al cambiamento, verso il terziario ed i campi delle nuove tecnologie, pur in un indiscusso impegno a contenere la flessione dell'apparato produttivo nel campo meccanico ed elettromeccanico; in una parola una politica capace di trasformare progressivamente il bilancio della Regione per farlo diventare da strumento di assistenza a strumento di sviluppo.
Questi richiami sono stati disattesi. Intanto la maggioranza di sinistra, dopo aver preso in mano una Regione in condizioni di piena occupazione, ce la restituisce con oltre il 10 per cento di disoccupazione reale. E' colpa di Roma, dell'America? o di una cattiva o imperscrutabile provvidenza? No. Sì. Ma io credo che sia anche perché non si è tenuto conto e onorato le proprie responsabilità politiche ed istituzionali nei tempi affossando cosi anche le aspettative (spero non le ambizioni) piemontesi che con caparbietà e con volontà i nostri cittadini continuano a portare avanti.
Io credo di aver svolto questa battaglia in quest'ultimo scorcio di legislatura, quasi da retroguardia, volendo a tutti i costi prevaricare una situazione e non volendo tener conto delle osservazioni che venivano da Gruppi della minoranza e che rappresentano come abbiamo già detto altre volte, l'altra metà del Piemonte, sia stato un atto che vada valutato con difficoltà e criticamente come stiamo facendo in questo momento.
Per questo motivo il Gruppo repubblicano, non avendo altro da aggiungere a questo riguardo, non parteciperà alla discussione consiliare su questo Piano di sviluppo né si esprimerà in alcuna votazione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, concorrono circostanze tali per cui in questa aula non emerge nel suo spessore un fatto politico di grande rilievo. A concorrere a questo risultato di sbriciolamento di un'iniziativa politica c'è probabilmente la timidezza con cui viene esposta, ma anche la sua conduzione, signor Presidente, perché io non credo che si possa dire che sia stato rettamente applicato l'art. 61, posto che niente di nuovo è avvenuto nel dibattito regionale che giustificasse la messa in discussione del preliminare del collega Majorino.
L'aver messo questa questione all'esame del Consiglio è stato, sia pure a livello inconscio, un modo per cercare di rendere meno comprensibile all'opinione pubblica lo scontro politico che si è avviato.
in primo luogo diciamo che l'iniziativa di non partecipare alla discussione di merito assunta dalla D.C., dal P.R.I. e dal P.L.I. non è una convergenza occasionale, ma, sia pure con argomentazioni che ogni Gruppo ritiene di svolgere in propria libertà, una iniziativa politica comune.
Questo è un elemento che deve essere sottolineato con forza perché deve rimanere alla storia di questa legislatura.
L'altro elemento che deve emergere con forza è che la Presidenza del Consiglio ha concorso a fare sì che non emergesse, introducendo un elemento distorcente, cioè la pregiudiziale posta tardivamente con una motivazione inconsistente, perché fatti nuovi successivi all'apertura della discussione che giustificassero una pregiudiziale in ordine ai fatti sui quali dovevamo ancora discutere, non ci sono stati.
Le motivazioni per cui il P.L.I. aderisce alla proposta dei colleghi di non entrare nel merito, prima di tutto non sono dovute a una decisione affrettata, estemporanea, improvvisata. E' una decisione che il nostro Gruppo ha iniziato a considerare come praticabile il I6/12/I983 con una lettera inviata al Presidente della Giunta, lettera che come altre lettere di natura politica a lui indirizzate, non hanno mai risposta, nella quale si richiedeva di valutare l'opportunità di rinunciare allora a presentare un Piana di sviluppo, posto che non c'erano più i tempi di spiegamento degli effetti del piano stesso.
Questa nostra posizione è del 16/12/1983, quindi, se dicevamo allora che non c'erano gli spazi per l'espletamento delle conseguenze politiche di un Piano di sviluppo, quelle argomentazioni hanno tutto il loro valore attualmente. Quindi rifiutiamo ogni obiezione di strumentalità, rifiutiamo ogni accusa di capziosità che ci viene fatta, anche dal Vice Presidente della Giunta. Sul tappeto non abbiamo un Piano di sviluppo, l'ha detto anche la collega Vetrino, abbiamo uno scontro politico contro una maggioranza che presentando un Piano di sviluppo vuole dimostrare la propria capacità e volontà di programmare e governare il futuro, dopo che ha dimostrato, almeno su questo piano, di non aver saputo né governare, n programmare il passato e comunque il presente che le apparteneva.
Noi non possiamo non richiamare fortemente all'attenzione dell'opinione pubblica e delle forze politiche questa contraddizione inaudita macroscopica, con cui questa maggioranza inadempiente sul piano politico programmatico da ben 4 anni governa la Regione senza lo straccio di un documento di programmazione.
Presidente Viglione, noi la ringraziamo perché lei in parecchi settori ha riportato a decenza questa Regione. Ma proprio questo suo comportamento la doveva portare nella sua responsabilità di Presidente della Regione, non soltanto di Presidente della Giunta, a non consentire che venisse perpetrato il falso ideologico di dare a vedere che questa maggioranza ha la capacità di programmare e di governare e questo lo dimostra in articulo mortis a tre mesi dalle elezioni. Questo è il fatto rispetto al quale l'opposizione non può concorrere a un dibattito sul merito, perché si renderebbe compartecipe di un falso ideologico e quindi deve dichiarare fortemente che questa è semplicemente una dimostrazione di velleitarismo e di strumentalismo politico-elettorale della maggioranza e spiegherò anche perché. A parte che sulle inadempienze anche di ordine giuridico, ho l'impressione che non ci sia tra gli allegati la relazione sullo stato di attuazione di piani precedenti. Mi pare che questo documento non esista, è previsto dalle leggi sulle procedure, ma se su questo ragionassimo probabilmente perderemmo i nostri giorni. Ma posto che l'intervento che svolgo deve essere considerato, almeno nella logica in cui io vedo l'iniziativa concordata tra noi, gli amici della D.C. e quelli repubblicani, un discorso a più voci, non ripeto cose già dette, non approfondisco elementi di natura capziosa e resto alla lettura politica delle nostre valutazioni. La lettura politica è soprattutto non in ordine alle nuove maggioranze. Noi rifiutiamo, respingiamo, ci batteremo in tutte le sedi opportune perché si compiano delle iniziative, delle operazioni che in una qualche misura condizionino le forze politiche nel loro dialogo elettorale, nelle loro scelte future.
Noi rifiutiamo che questa maggioranza prevarichi la logica dell'istituzione presentando un Piano di sviluppo che condizionerà sicuramente il futuro. Il collega Majorino diceva che la futura maggioranza non sarà condizionata, sarà condizionata perché il Piano di sviluppo avrà vigore fin quando non sarà approvato un altro Piano di sviluppo. Il Piano di sviluppo in un paese democratico, in un paese in cui vige lo stato diritto non si revoca, lo si rispetta, lo si attua, così come i liberali hanno fatto con la legge 833 alla quale hanno votato contro e poi l'hanno gestita con il loro miglior uomo di governo, il ministro Altissimo, in ben due legislature. Quindi io come forza politica voglio costituirmi i titoli per chiedere nei confronti di questo Piano di sviluppo, qualora fossimo chiamati a governare questa Regione come primo atto, un fatto rivoluzionario che sarà offesa alle istituzioni: la revoca del Piano di sviluppo. Altrimenti io sarò tenuto a rispettarlo. Voglio che sia chiaro che ho rifiutato di concorrere nel merito di questo Piano di sviluppo perché nella misura in cui concorro a una decisione dell'istituzione ne sono condizionato nel bene e nel male. Poiché non sono riuscito a modificare la decisione sul merito, evidentemente ne sono anche corresponsabile. Quindi io ritengo con questo tipo di iniziativa che le minoranze, che si pongono anche come proposta di maggioranza per la prossima legislatura, devono chiarire fermamente che non hanno concorso e quindi non sono in alcun modo responsabili di un limite all'attività politica e che la futura maggioranza, qualunque essa sia, anche di sinistra, ma non formata dalle persone che attualmente reggono il governo non sarà condizionata e sarà quindi nelle condizioni di verificare la possibilità della revoca. Non solo, la nostra forza politica all'inizio della IV legislatura chiederà la revoca di questo piano, anche se sarà all'opposizione.
Questa è la ragione di ordine istituzionale per cui una forza politica non può entrare nel merito per potersi prefigurare e precostituire le condizioni politiche, ed anche di immagine, per avviare un'azione che istituzionalmente sarebbe diversamente poco comprensibile, soprattutto non in linea con la tradizione liberale di riconoscere che gli atti che escono dalle assemblee sono vincolanti per tutti: ci si confronta, ti discute, si vota a favore, si vota contro, ci si astiene, dopodiché siamo tutti vincolati nell'attuazione, forze di maggioranza e forze d'opposizione.
Questo è il comportamento che abbiamo sempre tenuto. Quindi rifiutiamo di concorrere in qualche misura a un condizionamento della vita delle istituzioni al di là della validità funzionale di questa maggioranza e di questa stessa legislatura.
Ma esiste un altro argomento, cari colleghi.
Quando si parla di maggioranza si ha la supponenza di parlare di somma di volontà delle segreterie politiche. E questo è sbagliato e sarà il caso di cominciare a cercare di ragionare in termini diversi.
Non sono i partiti che decidono le future maggioranze, sono gli elettori. Ed allora noi vogliamo concorrere a ridare agli elettori la capacità di giudizio e di valutazione e soprattutto la consapevolezza che con il loro voto decideranno e cambieranno se riterranno.
Ma se noi lasciamo maturare gli elementi di continuità, nei tempo vincolanti per alcune forze politiche - e richiamerò le specifiche forze politiche alle responsabilità che assumono di fronte all'elettorato con questa operazione - a carico di talune forze politiche che sono prigioniere di questa maggioranza, chiudiamo gli spazi del dibattito elettorale e del confronto con la società. Quindi, voi come maggioranza e noi nel complesso come classe politica, precostituiamo le condizioni della nostra permanenza qui. In altri termini avviamo un'operazione di regime.
La questione morale di cui dibattiamo in questi giorni, da cosa è caratterizzata? Dalla preoccupazione grave che la democrazia non funzioni più. La democrazia da cosa è caratterizzata? Da una maggioranza che governa, da un'opposizione che controlla. Allora quando nella questione morale vengono coinvolti più o meno a fondo, più o meno in superficie, sia la società civile, sia le forze di opposizione, sia le forze di maggioranza, vuoi dire che in luogo della democrazia si è sostituito un sistema di regime. Ed il sistema di regime purtroppo è la conseguenza del fatto che le volontà degli elettori non vengono considerate, ma prevalgono le decisioni delle segreterie dei partiti.
Sarti difficile per il P.S.I. e il P.S.D.I. dichiarare agli elettori che aprono con loro un confronto programmatorio sui temi, che rivolgono loro la proposta elettorale, che aspettano il giudizio e che formeranno le maggioranze che sono le maggioranze precostituite dal volto degli elettori e non dalle segreterie dei partiti.
Quando questi partiti ob torto collo accettano di votare un documento che sostanzialmente individua le linee sulle quali si deve governare questa Regione per l'arco normale di un Piano di sviluppo che è quello di tre anni. Questa è una grave contraddizione, amici socialisti ed amici socialdemocratici, ed è un limite alla vostra dignità di forze politiche.
Una forza politica deve sapere che ha la necessità, non nei confronti dei partners di maggioranza, ma nei confronti dei cittadini, di non impegnare se stessa, di non impegnare le istituzioni al di là della delega politica che ha ricevuto dagli elettori. La vostra delega di maggioranza, colleghi della maggioranza finisce con la chiusura di questa legislatura. La nostra delega di Consiglieri regionali finisce con questa legislatura. Noi noti possiamo precostituire le vicende ed i destini della Regione Piemonte con un atto che in un sistema di stato di diritto perfetto dura tre anni: questa è una prevaricazione sulle istituzioni, sull'elettorato.
Amici socialdemocratici ed amici socialisti, visto che a Dio piacendo la politica non si fa soltanto nelle aule, ma si fa anche nei corridoi, noi sappiamo benissimo che molti di voi non concordano su questa operazione. Ed allora ci chiediamo perché votate un Piano di sviluppo che, al di là del merito sul quale non intendiamo intervenire, ha il limite fondamentale di precostituire e di determinare i destini della Regione Piemonte da parte di una maggioranza la quale dovrà rimettere il mandato agli elettori e da questa avere la nuova delega politica, la nuova rappresentanza, quale condizione necessaria per governare il Piemonte.
Amici socialdemocratici ed amici socialisti,se fossi nelle condizioni di parlare a nome di un nucleo di maggioranza e non soltanto di una forza politica, vi direi che il vostro comportamento di non rischiare mai e di giocare sulle rendite di posizione, è oltre ogni limite di decenza.
Perché il P.S.D.I. e il P.S.I. nelle dichiarazioni pubbliche dei loro organismi dichiarino che le maggioranze dell'85 si decideranno a giugno dell'85 e non a dicembre dell'84, però poi a livello istituzionale votano documenti che vincolano la Regione Piemonte per tre anni.
O voi date per scontato che è legittimo il comportamento dell'opposizione. I casi sono due, o voi volete condizionare la vita della Regione Piemonte per tre anni, oppure dovete riconoscere legittima la dissociazione su questa decisione da parte della minoranza. Vorrei richiamare Rivalta su questa contraddizione.
La minoranza ha il dovere di non intervenire sul merito perché ha il dovere di garantire che il destino del Piemonte sarà governato dai suoi governanti eletti nell'85, in questo caso riconoscete la legittimazione della nostra posizione, oppure ammettete implicitamente che voi ritenete che questa maggioranza, che questa Giunta, debbano governare al di là della loro durata fisiologica, cioè al di là del maggio dell'85.
Cari colleghi, si è avviato un tipo di rapporto tra le forze politiche di opposizione nel loro complesso e la Giunta di scontro grave. E' grave non per responsabilità dell'opposizione. Il Piano di sviluppo non soltanto ha una durata massima di tre anni, ma ha anche una durata intermedia posto che sta scritto nella nostra legge che una nuova Giunta deve darsi un nuovo Piano di sviluppo.
Quindi questa operazione di scorrettezza che voi attribuite all'opposizione è stata portata avanti dalla maggioranza.
Io ritengo che in un concerto di forze politiche e quindi di Gruppi si debba essere attenti al complesso del sistema.
Quindi dovranno scusare gli amici socialisti e gli amici socialdemocratici se abbiamo ritenuto di coinvolgere nella nostra polemica non solo la maggioranza nel loro complesso, ma loro come forze politiche.
Abbiamo la esigenza tutti insieme di riportare le forze politiche alla loro più ampia e più completa autonomia decisionale che per una serie di ragioni in questa Regione, in questa città, è venuta meno. E se non fosse venuta meno questa autonoma capacità di decidere e di atteggiarsi nello scontro anche duro nelle aule parlamentari, probabilmente non avremmo questa strana situazione in cui nella questione morale sono coinvolti (decideranno i giudici in che misura) uomini di opposizione e uomini di maggioranza.
Nella vicenda delle tangenti ci sono delle questioni di natura penale che attengono alle persone e ci sono questioni di natura politica. Per la prima volta in queste vicende, e a Dio piacendo, per la prima volta in Piemonte, sul banco degli imputai c'è la maggioranza e l'opposizione.
Questa è la situazione tipica di una realtà in cui il gioco democratico non funziona più.
Allora, dietro un sistema democratico che non funziona più, non solo la democrazia non produce più tutti i suoi effetti, ma incominciano a nascere le controindicazioni ed i cancri della democrazia che sono la degenerazione, anche di ordine morale. Quindi, la nostra esigenza di separare nettamente su questa questione la posizione della maggioranza dalla posizione dell'opposizione e di richiedere a due forze politiche che per la loro collocazione sociale sono portate ad essere punto di cerniera di qualunque maggioranza, di essere attente a questi passaggi delicati.
Stiamo molto attenti, i cittadini voteranno per questo o quel partito ma prima di votare per questo o quel partito, dovranno preliminarmente decidere se dare ancora fiducia o no a questa classe politica nel suo complesso, salvo poi fare le proprie scelte all'interno della classe politica su come questa classe politica saprà rilanciare il processo di dialettica democratica.
E quindi l'operazione che l'opposizione liberale, democristiana e repubblicana, sta facendo in quest'aula, è un tentativo di rilanciare la dialettica democratica.
Possiamo convenire sul fatto che la maggioranza riterrà che non siano questi gli argomenti che dovevamo scegliere, che non saranno queste le occasioni, ci sia consentito di scegliere il momento e le modalità con cui svolgere il nostro ruolo.



PRESIDENTE

Grazie. Desidero rassicurare il Consigliere Marchini e il Consiglio che nell'accogliere la pregiudiziale del Consigliere Majorino la Presidenza non è stata mossa da alcuna delle intenzioni, neppure inconsce, che il Consigliere Marchini mi attribuisce cioè quello di voler frammentare e oscurare la discussione politica che si svolge in quest'aula.
La Presidenza ha creduto di interpretare l'art. 61 nel senso più lato proprio per le ragioni opposte a quelle che appunto le sono state attribuite, per consentire cioè il massi mo di spiegamento delle ragioni di tutte le forze che sono qui presenti.
Sembrava fra l'altro molto importante che non pendessero su un provvedimento così rilevante come il Piano di sviluppo, riserve di portata tale quali erano state poste dal Consigliere Majorino e che proprio su riserve di tipo procedurale il proponente e il Consiglio non potessero esprimersi. La Presidenza considera di grande significato che il Consiglio si sia espresso nella pienezza dei suoi diritti di espressione e del suo potere di votazione. In questo senso il Presidente ha svolto semplicemente la funzione che gli compete e ha garantito i diritti di tutti.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

La Precisazione or ora fatta dal Presidente di turno mi consente di premettere al mio intervento alcune osservazioni.
La nostra forza politica ha presentato attraverso il collega Majorino una pregiudiziale sulla cui validità o non validità si poteva e si è infatti legittimamente discusso, anche se debbo onestamente dire per quanto mi riguarda che le riserve di carattere giuridico addotte dal collega Majorino mi sembravano avere un qualche peso che comunque l'assemblea non ha ritenuto di accogliere.
Però che questa pregiudiziale sia stata definita come un atto che nasconde un altro fine, sono esattamente le parole dette da Bontempi, o come un atto non corretto, e sono le parole dette dal Vicepresidente della Giunta, non mi sembra accettabile, perché se la discussione ha avuto anche un prosieguo stravolgente, questo non può essere a noi imputato.
Debbo francamente dire che sovente si riconosce l'ingovernabilità di questa assemblea ed il Consiglio ha sicuramente per la parte sua non poche responsabilità, ma queste responsabilità sono poi anche della Presidenza per la parte che è di sua competenza, allorquando consente che una pregiudiziale sia anzitutto presentata forse al di fuori dei termini di tempo previsti.
Caro Presidente, non dobbiamo dirlo noi questo. Se è stato consentito noi ne abbiamo approfittato legittimamente, ma poi ha consentito che si svolgessero argomentazioni che poco hanno a che vedere con il merito di una pregiudiziale.
Questo mi sono permesso di dirlo per chiarezza di posizioni e per tenere fede a quella che è mia abitudine costante di assumere sempre una posizione responsabile in ordine a quanto avviene in quest'aula.
Detto questo aggiungo anch'io che il Gruppo del MSI-DN (e questo farà una convergenza del tutto occasionale con i colleghi liberali democristiani e repubblicani, non scenderà all'esame né prenderà parte alla votazione del secondo Piano di sviluppo), lasciando a quanti altri riterranno di farlo la responsabilità di prendere posizione su di un documento programmatorio che, da un lato, appare temporalmente superfluo ed inutilizzabile per l'Amministrazione regionale in carica; e, dall'altro lato, si configura arbitrariamente vincolante e costrittivo per quella che nel prossimo maggio, verrà a prenderne il posto.
Avvertiamo per intero l'eccezionalità ed anche la gravità di questa dichiarazione, in forza della quale siamo portati a rifiutare un dibattito ed un confronto che sono (o meglio, avrebbero dovuto essere) uno dei momenti più qualificanti della III legislatura regionale: ma, nel pronunciare questo rifiuto, siamo assolutamente sereni perché convinti della validità dei motivi che ci suggeriscono e quasi ci impongono di tenere questa linea di condotta.
Non è, infatti, comprensibile, e tanto meno accettabile, che il secondo Piano di sviluppo sia varato con oltre quattro anni di ritardo rispetto alla scadenza prevista dalla legge sulla programmazione e che abbia ad entrare in vigore quando ormai mancano meno di quattro mesi allo scioglimento dell'assemblea ed alla elezione di nuovi amministratori: sono per l'appunto, queste due affermazioni - poste a base del nostro atteggiamento che noi intendiamo ora sviluppare per rendere più chiaramente motivato il diniego pregiudiziale ad una qualsiasi discussione di merito.
Il ritardo nell'impostazione e nella presentazione del documento di piano è, dunque, il primo grave addebito che noi imputiamo agli esecutivi entrambi di sinistra - che dal 1980 si sono succeduti alla guida della Regione.
Il Vicepresidente della Giunta, architetto Rivalta, nella relazione introduttiva svolta giovedì scorso, ha tentato di giustificare questo ritardo anzitutto rilevando la difficoltà del procedere, in assenza di una programmazione nazionale, non avendo a disposizione per tutti gli operatori pubblici e privati, un sicuro e ben definito quadro di riferimento.
Di questo gli altri partiti di opposizione non ne hanno parlato per comprensibili motivi; noi non abbiamo nessuna difficoltà a farlo, perch questo, cioè l'asserzione del Vice Presidente Rivalta, non sarà certo la nostra parte politica che si sognerà di contestare.
Questo è certamente vero e non sarà la nostra parte politica a contestare una simile denuncia: abbiamo da sempre sostenuto, proprio perch siamo i soli a poterlo sostenere, svincolati come ci troviamo ad essere da posizioni di governo e di potere tanto a livello centrale quanto a livello periferico, nelle quali sono invece coinvolti tutti gli altri partiti abbiamo da sempre sostenuto, dicevamo che - accanto e sopra le pesanti responsabilità regionali - vi sono non meno pesanti responsabilità statali.
E la perdurante mancanza di una qualunque attività programmata da parte dello Stato è, per l'appunto, una colpa grave che, da sola, dà l'esatta misura del velleitarismo inconcludente delle classi dirigenti di questo regime. Ma non basta, tuttavia, a spiegare il ritardo programmatori° delle Regioni: in particolare, di questa Regione che, proprio in materia di programmazione, ha vocazione lontana e radici risalenti ai primi studi prodotti dall'Ires negli anni sessanta; e che, soprattutto - e sempre non avendo "ancoraggi" a livello nazionale - era pur riuscita a darsi nel 1977 il suo primo Piano di sviluppo.
Né sono sufficienti scusanti - è il secondo ordine di motivi invocato dal Vicepresidente della Giunta - la grave crisi economica che ha investito l'area piemontese e la complessità delle cause che l'hanno provocata nel tempo, rendendo di fatto difficile la ricerca e l'individuazione di politiche capaci di contenere l'effetto crisi" e, successivamente, di favorire processi di ripresa e di incremento occupazionale.
Senza dubbio, vi è del vero anche in questa osservazione. Però noi obiettiamo che proprio la difficile situazione avrebbe dovuto comportare una pronta e qualificata programmazione, in grado di intervenire sul contingente e poi di gestire al meglio la fase successiva all'impatto recessivo: la Regione, invece, è mancata a questo compito proprio nel momento in cui maggiori erano le richieste e le esigenze di chiare e praticabili linee di intervento.
Ma, ha detto ancora il Vicepresidente della Giunta, pur tra queste difficoltà (e, cioè, assenza della programmazione nazionale ed eterogeneità della crisi regionale) non sono però mancati, in tutti questi anni, momenti e documenti di indirizzo generale e programmato: quali, ha ricordato l'Assessore Rivalta, l'approvazione del primo Piano di sviluppo nel 1977 la presentazione, nel 1982 degli "84 progetti anticrisi", costituenti la prima parte del secondo Piano di sviluppo, poi completato, nel settembre dello stesso anno, dalla seconda parte; l'illustrazione, nel novembre 1983 del quadro programmatico di riferimento pronunciata dal nuovo governo regionale; infine, la ridefinizione, nel maggio 1984, del secondo e definitivo documento di piano.
Ebbene, sono tutte queste, interpretazioni o, meglio, forzature che non ci sentiamo di condividere e che, anzi, decisamente, vogliamo contestare.
Il primo Piano di sviluppo era una costruzione soltanto cartacea perch onnicomprensivo e totalizzante come lo si era impostato - non ha poi saputo tradursi in progetti concreti; mentre, d'altro canto, la programmazione comprensoriale ha seguitato a venire avanti in maniera scoordinata ed incompleta, sino alla mancata utilizzazione dei contenuti dei piani di comprensorio, il cui mancato aggiornamento nel tempo ha costituito uno dei principali elementi negativi per un'attività programmata seriamente intesa.
In questo modo, e solo in questo modo, è stata vissuta l'esperienza un'esperienza squallida e mortificante, e non soltanto per questo aspetto della terza legislatura regionale: passando attraverso il grave errore compiuto nel considerare il 1981 come un "anno ponte" tra il vecchio ed il nuovo Piano di sviluppo: passando attraverso la mistificazione che ha accompagnato gli "84 progetti anticrisi", passando, insomma, attraverso una politica fondata su singoli episodi, ma senza un quadro organico di linee direttive.
Ed ecco che, proprio allo spirare del nostro mandato, la Giunta regionale ci presenta questo suo elaborato, chiedendo che sia discusso e messo in votazione perché - sono parole dell'Assessore Rivalta - "quanto costruito trovi una sua conferma istituzionale".
Potremmo osservare - se volessimo entrare nel merito - che il secondo Piano di sviluppo non ha una pregnanza di vera programmazione in quanto si limita ad un inventario di problemi, che rappresentano altrettante occasioni di mancata risoluzione, data l'assenza di indicazioni precise di ordine operativo per affrontarli e risolverli.
Potremmo ancora obiettare che non può ridursi ad essere una semplice rassegna critica dei fenomeni più importanti solo limitandosi ad auspicare indirizzi di politica economica.
Potremmo di seguito rilevare che, dopo aver giustamente individuato nell'inflazione e nella disoccupazione i nodi centrali da sciogliere per uscire dalla crisi economica, non si sofferma - come dovrebbe - sulle vere cause e sulle responsabilità (che non sono soltanto nazionali) del fenomeno del disavanzo Pubblico.
Potremmo infine argomentare che è pericolosamente errato laddove attribuisce allo sviluppo del terziario un ruolo determinante per nuovi sbocchi occupazionali, però invertendo il rapporto di causalità per raggiungere l'obiettivo auspicato: è infatti illusorio ritenere che si possa creare un nuovo terziario senza il necessario supporto di un comparto industriale sano e competitivo.
E, da ultimo, potremmo concludere che, a nostro giudizio, il secondo Piano di sviluppo manca di contenuti propositivi e di impegni operativi più precisi nei vari settori di intervento.
Tutto questo potremmo dire, se - in linea di ipotesi - volessimo scendere ad un esame di merito.
Denunciamo invece che, intervenendo a fine legislatura, il piano viene a perdere ogni connotazione di documento generale di intenti per assumere piuttosto e soltanto, quella di un atto politico, ad avallare il quale non si presterà certo il Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale.
E denunciamo che questa insufficienza programmatoria - il cui vuoto si è cercato di riempire solo con slogans propagandistici, dimenticando quel "metodo della programmazione" pur previsto dal nostro Statuto - evidenzia non soltanto la latitanza dell'esecutivo regionale a fronte dei complessi problemi che percorrono la società piemontese, ma soprattutto viene a mettere a nudo uno dei più clamorosi aspetti del fallimento delle "Giunte rosse": vale a dire, l'assoluta carenza di progettualità nell'azione di governo.
In questi anni tormentati, quanti miti sono caduti! Quello del "nuovo modo di governare"" ad esempio. O quello delle sinistre "dalle mani pulite"... Ma fra tutti, il più emblematico di un naufragio politico senza eguali ci sembra essere, anche e soprattutto da un punto di vista culturale, questa dimostrata incapacità della "Giunta rossa" piemontese a programmare, a compiere scelte, a dimostrare vivacità di idee, a produrre progetti ed iniziative che sarebbero dovuti essere il frutto di quella "cultura dello sviluppo" che in Piemonte, proprio per colpa delle sinistre è invece totalmente mancata.
Ecco il primo motivo per cui, al fine di rendere più evidente questa nostra denuncia ed insieme sottolineare, colleghi della maggioranza, questa vostra responsabilità, il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale non si lascerà coinvolgere nell'esame e nella votazione del secondo Piano di sviluppo.
Accanto a questa prima ragione di fondo, giustificativa dell'atteggiamento che andremo ad assumere, ve n'è poi una seconda, per illustrare la quale ci servono solo poche parole, comprensibile e logica quant'è da esentarci da più argomentate illustrazioni.
Siamo nel dicembre 1984 e, com'è noto, nel maggio 1985 verranno rinnovate le Assemblee regionali: nelle quali è presumibile abbiano ad entrare uomini nuovi, che daranno vita a formule nuove e che perseguiranno linee politiche nuove. Lo abbiamo sentito auspicare nel corso di interventi svolti dagli altri colleghi di opposizione.
Orbene - a parte il fatto che la subentrante Giunta sarà tenuta in forza di legge (le e regionale 19 agosto 1977 n. 43, su "Le procedure della programmazione") a predisporre entro quattro, mesi dalla data del suo insediamento un'altra proposta di piano di sviluppo, dando avvio ad ulteriori consultazioni su tutto il territorio piemontese - a parte questo dicevamo, noi dobbiamo chiederci quale senso logico possa avere la scelta di varare, proprio alla vigilia della scadenza elettorale un documento che già in partenza, appare fatalmente destinato a non essere gestito (perch ne manca il tempo) dagli amministratori in carica oggi; oppure a proiettarsi come vincolante ipoteca sull'attività degli amministratori in carica domani (ammesso e non concesso che, poi, costoro ne vogliano tener conto).
Diceva il Vicepresidente della Giunta, e noi io ricordavamo prima, che il governo regionale ha ritenuto di dover insistere per l'approvazione del Piano di sviluppo affinché "quanto costruito trovi una sua conferma istituzionale".
Francamente, a noi sembra invece che nella discutibile decisione dell'esecutivo debba scorgersi non soltanto una scoperta manovra per presentarsi all'elettorato con un bilancio dell'azione svolta fittiziamente gonfiato, ma anche, e soprattutto, un arrogante tentativo di porre un inaccettabile vincolo sull'opera della futura amministrazione regionale: anzi, a voler essere maligni, saremmo tentati di specificare che vi vediamo il disegno congiunto del P.C.I. e di una parte del P.S.I. per "imbalsamare" la coalizione di sinistra anche dopo il 12 maggio .
E' dunque nella procedura che si ritiene di poter seguire - procedura da noi ritenuta formalmente illegittima o, quantomeno, politicamente inaccettabile aia sul piano del metodo sia sul piano della sostanza - che ha il suo fondamento il secondo motivo giustificatore della nostra posizione. Per cui, il fatto dimostrato che questo documento sia stato impostato fuori tempo e, altrettanto fuori tempo, venga adesso approvato ci conforta nella tesi che sin dall'inizio avevamo annunciato e ci induce a confermare il pregiudiziale rifiuto del Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale al dibattito ed al voto sul secondo Piano di sviluppo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Montefalchesi. Ne ha facoltà.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, io al contrario dei colleghi che mi hanno preceduto entrerò nel merito del Piano di sviluppo.
Mi sembra fondamentale, seppur a qualche mese dalla fine della legislatura, andare ad un confronto sulle scelte, sui programmi che si propongono per affrontare la situazione drammatica del Piemonte.
Di fronte ai gravi problemi che ci troviamo ad affrontare tutti i giorni, credo che nessuno pensi che la risposta possa essere un semestre bianco in cui si gestisce l'ordinaria amministrazione.
Occorrono scelte anche straordinarie, che vanno discusse e confrontate.
Non voglio eludere quel confronto di merito che Rivalta sollecitava giovedì scorso nel suo intervento di presentazione del piano e non voglio eludere un confronto e un giudizio sui contenuti del Piano.
Questo confronto lo voglio sostanziare attorno a due questioni fondamentali: l'innovazione come condizione da porre alla base di una, politica di sviluppo una risposta ai problemi occupazionali precisando che questa risposta è necessario darla soddisfando le domande che provengono dalla società a partire dalla difesa dell'ambiente a una nuova e diversa qualità della vita. Credo che sulla base della copiosa letteratura e delle sempre più frequenti ricerche e proiezioni del futuro sugli effetti dell'innovazione e sulle tendenze dell'occupazione si possono sostenere tesi diverse come avviene ormai direi quasi quotidianamente, tesi diverse che però a me sembra siano poco credibili.
Non è credibile la tesi di coloro che ipotizzano uno scenario futuro catastrofico, fatto di disoccupazione generalizzata, di fabbriche senza lavoratori per effetto dell'innovazione, così come non sono condivisibili le tesi di coloro che sostengono che la produttività crescente in tempi medi permetterebbe una difesa dell'occupazione dovuta al fatto che il progresso tecnologico permette di consolidare i margini di competitività delle imprese espandendo così i volumi di prodotto e le quote di mercato.
Questa tesi non fa i conti con un dato sempre più evidente: tutti i paesi puntano sulla teoria dell'espansione, dei volumi produttivi e delle quote di mercato e non si capisce dove possano essere collocati questi prodotti stante i bassi o stagnanti ritmi di consumo.
Un esempio per tutti: il settore dell'auto dove le capacità produttive sono in gran lunga superiori alle capacità di assorbimento del mercato. Non voglio dire che bisogna fare a meno dell'innovazione, ma l'innovazione e una nuova politica di sviluppo per la creazione di nuovi posti di lavoro è condivisibile a determinate condizioni che cercherò brevemente di esporre.
La prima condizione è che uno sviluppo puntato sull'innovazione e sul terziario avanzato è realizzabile soltanto se poggia su un apparato produttivo forte e consolidato, altrimenti non avremo né innovazione, n terziario avanzato, ma avremo soltanto disoccupazione e terziario assistenziale e straccione. Per questo va riaffermata con forza l'esigenza della risoluzione positiva delle questioni aperte nei vari settori produttivi e l'Importanza decisiva che essa assume, tenendo conto che le vicende del settore auto ci hanno dimostrato che non ci sono settori maturi una volta per tutte.
In tale ottica le vicende ed i punti di crisi dei vari settori industriali (siderurgia, chimica, tessile, auto, elettronica civile) non vanno assunte come fastidiosi residui del passato, ma come questioni fondamentali da risolvere e da difendere sulle quali poggiare una politica di ripresa dello sviluppo.
Allora io credo che non sia inutile richiamare le questioni fondamentali la cui soluzione costituisce in qualche modo un segnale più generale di inversione di tendenza o la cui non risoluzione costituisce un segnale di ulteriore caduta dell'apparato produttivo e dell'occupazione della nostra Regione.
E la risoluzione di queste questioni non può aspettare la fine della legislatura. E' una questione dei prossimi giorni e delle prossime settimane. E sono: la questione della siderurgia, la difesa di ciò che oggi esiste, che è passato attraverso una pesante ristrutturazione con un notevole ridimensionamento in termini occupazionali la questione della chimica, del rapporto con la Montedison in particolare, il nuovo avvio delle produzioni dell'acetato e del nylon a Pallanza come segnale generale.
Forse queste cose non interessano, sono del passato; sono invece le cose di oggi sulle quali tutti i giorni dobbiamo confrontarci con i lavoratori e sulle quali la gente ci giudicherà le vicende della lndesit. Come si fa ad essere credibili quando si dice di voler puntare sui settori avanzati se poi il settore dell'elettronica civile, sul quale dipendiamo per 1'80 per cento dall'estero, continua ad espellere mano d'opera? la questione della Fiat. Va aggiornata l'analisi e la riflessione almeno su due questioni. Con la produzione del nuovo motore Fire si è avviato un salto di qualità nell'automazione che ha raggiunto i montaggi finali con conseguenze tutte da verificare sull'occupazione sull'organizzazione del lavoro.
Seconda questione. Come fronteggiare i rinnovati pericoli di concorrenzialità che provengono dalle case statunitensi? Finora la Fiat come altre case europee avevano goduto del vantaggio costituito dal fatto che le case automobilistiche statunitensi erano in fase di ristrutturazione. Questa fase si è conclusa e le grandi case automobilistiche statunitensi sono in grado di fornire alle loro consociate europee know how e componenti standardizzati divenendo così fortemente competitive.
O si affronta tale questione con una strategia comune da parte delle case automobilistiche europee, e questo è un problema che investe le istituzioni e le responsabilità di governo, oppure si apre la strada degli apparentamenti come è avvenuto per l'Olivetti con pericolo di colonizzazione della nostra industria e una rinnovata subalternità nel campo della ricerca e dell'innovazione.
Come non soffermarsi sul ruolo delle partecipazioni statali e sul fatto che così come è formulato il nuovo testo aggiornato del Piano di sviluppo non è accettabile? Non è accettabile perché sostanzialmente lice che la ristrutturazione proposta dalle partecipazioni statali è un modello da seguire per le altre aziende.
Ebbene voglio ricordare che le partecipazioni statali in Piemonte sono responsabili di aspetti gravi di deindustrializzazione: la chiusura dell'ENI chimica, le vicende della direzione Alivar di Pavesi, le vicende della Rai, quelle Sip, quelle dell'Aeroporto di Caselle, le vicende della siderurgia e della Finsider.
Sotto questo aspetto il Piano di sviluppo deve essere rivisto e in questo senso presenterò un emendamento. La seconda condizione che rende credibile la scelta dell'innovazione è legata alle questioni di chi governa il processo e a che cosa viene finalizzata l'innovazione ed il ruolo dell'ente pubblico.
Negli Stati Uniti il processo di innovazione non governato e delegato ai meccanismi spontanei crea gravissimi ed inaccettabili problemi sociali.
L'ultimo rapporto dell'Urban Institute elaborato da 150 ricercatori afferma che se è vero che in questi anni gli Stati Uniti sono più ricchi è anche vero che i poveri sono sempre più numerosi e sempre più poveri.
Quando si avvia un Piano di sviluppo bisogna capire quali sono le conseguenze alle quali andiamo incontro con la scelta dell'innovazione.
Come operare per evitare le degenerazioni? Quel rapporto dice anche che la fascia dei cittadini statunitensi ad un livello ufficialmente definito di povertà è cresciuto fino a toccare il 15,2 per cento: è il livello più alto degli ultimi 18 anni e ciò significa che dal 1980 ci sono sei milioni di poveri in più.
Con la povertà è cresciuta anche l'ineguaglianza.
Dividendo la popolazione in cinque fasce di reddito si scopre che il quinto più povero ha visto calare il proprio reddito del 7,6 per cento in quattro anni, mentre il quinto più ricco ha aumentato il proprio reddito dell'8,7 per cento.
Quindi c'è un netto trasferimento di risorse verso i ceti più ricchi.
Questi effetti sono in massima parte dovuti ad un processo di innovazione selvaggio e delegato a meccanismi spontanei che negli Stati Uniti è molto più avanzato che nel nostro Paese. E' un processo di innovazione che va studiato, vanno studiati i suoi riflessi e le distorsioni per evitare che avvengano anche nel nostro Paese. Non è affatto vero che questo processo di innovazione abbia creato molti posti di lavoro qualificati, infatti da autorevoli centri di statistica viene sostenuto che accanto al boom dell'industria ad alta tecnologia che crea pochi posti di lavoro si assiste ad un'ondata di assunzioni in settori tutt'altro che avanzati.
Da qui alla fine del decennio si prevede che nasceranno altri 500.000 posti di lavoro per puericultrici, 400.000 per camerieri in fast food e 370.000 per commessi di ufficio. Credo che quindi ci sia materia di approfondimento nel momento in cui si fa una scelta dell'innovazione, che io ritengo si debba fare ma che si debba fare a ragion veduta e a determinate condizioni e credo che ci sia anche lo spazio perché la Regione commissioni uno studio specifico per conoscere gli effetti dell'innovazione, laddove questo processo è molto più avanzato che da noi.
Mi sembra però, di poter dire che se il processo di innovazione non è guidato, indirizzato e controllato dall'Ente pubblico, esso anche alla luce delle cose che dicevo prima, si traduce in un nuovo strumento di dominio e di concentrazione del potere, uno strumento che crea profitto e benessere per pochi e un aumento delle diseguaglianze e delle sacche di povertà, un aumento dell'emarginazione da una parte, delle ore lavorate dei singoli all'altra: fenomeno che si verifica anche nel nostro paese. Per questo è fondamentale la riaffermazione del ruolo di indirizzo e di guida dell'ente pubblico in grado di garantire un governo democratico dei processi di innovazione. Solo in questo modo è possibile garantire l'utilizzo dell'innovazione per la soddisfazione dei bisogni collettivi e per un miglior benessere per tutti, cio è per una società che progredisce e non arretra.
C'è poi l'altro corno del problema, conseguenza dei processi di innovazione, cioè i problemi occupazionali.
Per affrontare una situazione, che è caratterizzata dalla disoccupazione in gran parte derivante dai processi di ristrutturazione disoccupazione che per alcune zone del Piemonte è più alta della media nazionale, situazione in cui un terzo delle ore di cassa integrazione del totale nazionale sono utilizzate in Piemonte, dobbiamo porci l'obiettivo di utilizzare tutti gli strumenti ordinari che sono disponibili e di attivare strumenti straordinari.
Innanzitutto non possiamo non porci l'obiettivo della riduzione generalizzata degli orari di lavoro ed a questo fine vanno usati tutti gli strumenti disponibili.
Positiva a questo proposito è l'affermazione contenuta nel Piano sulla necessità di una ridistribuzione del lavoro. E' un tema non solo sindacale ma politico e culturale poiché investe il problema della trasformazione della struttura della vita civile e il problema di organizzare il tempo di non lavoro. E' necessario ripensare all'organizzazione della società facendo crescere attività sociali non direttamente produttive, ma socialmente utili. Ma questo non basta per affrontare i problemi sociali che ci portiamo appresso dal passato, quelli dei cassintegrati cronici ai quali se si sovrappongono i problemi derivanti dalla disoccupazione tecnologica, rischiano di creare una miscela esplosiva non facilmente controllabile e gestibile.
Il sottoscritto ha proposto in sede di I Commissione, e la I Commissione l'ha accolta, la proposta che nel Piano si facesse esplicito riferimento all'adozione anche di provvedimenti straordinari e in particolare di un provvedimento straordinario limitato nel tempo che permetta di anticipare l'età pensionabile in cambio del reingresso nelle aziende di lavoratori in cassa integrazione e di giovani.
Non condivido il giudizio che la scorsa settimana il Vice Presidente Rivalta ha dato a questo proposito. Rivalta ha detto che tale intervento è da riportare ad aspetti di carattere assistenziale. Non lo condivido innanzitutto perché, seppure in forma particolare, esso costituisce comunque una riduzione d'orario, inoltre perché mi sembra sia socialmente qualificante permettere ai giovani di entrare nel processo produttivo togliendo i caratteri di assistenzialità, permettendo a chi è anziano, ma ancora in grado di lavorare, di inserirsi in lavori di pubblica utilità.
Si può essere non d'accordo su un'ipotesi di questo tipo: più che di prepensionamento si tratta di scambio generazionale. Chi non è d'accordo deve però dire quale soluzione ozi ritiene possibile e concretamente percorribile.
Una risposta di fondo ai problemi occupazionali non può che venire anche e soprattutto dall'attivazione della crescita di settori e progetti nuovi, non direttamente legati alla produzione di merci, ma tesi a soddisfare quei bisogni e quelle domande sociali e collettive inevase a cui prima facevo riferimento e che con sempre più forza emergono dalla società.
Penso ad esempio alla salvaguardia dell'ambiente, al controllo dell'Inquinamento, all'uso e al riassetto del territorio, alla possibilità di attuare progetti per creare professionalità e far crescere l'occupazione.
A questo proposito importante e significativa è l'attenzione che viene posta nel piano con il progetto Po, con il progetto forestazione, con l'aggiornamento del piano dei 'parchi per allargare il numero delle zone da sottoporre a salvaguardia, tutte cose che debbono avvenire prima della fine della legislatura o almeno deve esserne avviato l'esame con la volontà di attivare una metodologia per la valutazione di impatto ambientale. Sono segnali importanti che dimostrano che incomincia a farsi strada una visione dello sviluppo non più inteso in termini quantitativi ma anche in termini qualitativi.
Qui l'azione di indirizzo e di guida dell'innovazione da parte dell'ente pubblico assume un'importanza fondamentale per indirizza- re l'innovazione verso questi settori e che tenga conto di tali problematiche.
E' evidente infatti che senza l'intervento dell'Ente pubblico, le aziende non possono che privilegiare investimenti in tecnologie al risparmio di mano d'opera perché questo per loro significa profitto e non investono in tecnologie per l'adeguamento dei cicli produttivi alle esigenze di rispetto dell'ambiente, della salute dei cittadini e cioè all'esigenza di non inquinare.
L'attivazione di occasioni di lavoro in questi settori è fondamentale è l'esigenza di dare una risposta ai problemi occupazionali alle nuove domande che provengono dalla società per una società più vivibile, per un ambiente più idoneo e più adeguato alle esigenze del vivere civile.
Se è vero che questo aspetto importante è contenuto nel piano, in esso ci sono contraddizioni e aspetti negativi. Uno per tutti lo voglio evidenziare.
Non credo per esempio che la politica nel settore dell'energia sia una politica coerente e tendente a saldare in qualche modo l'attivazione di nuove occasioni di lavoro con una risposta alle nuove problematiche ed in particolare alla salvaguardia dell'ambiente.
Sulla scelta nucleare la nostra opposizione è nota, non voglio dilungarmi, vi torneremo all'inizio di gennaio. Questa scelta da una parte dà una risposta in modo marginale ai problemi occupazionali, soprattutto se rapportata al volume degli investimenti e dall'altra parte rompe drammaticamente con le nuove domande che i movimenti di tutela dell'ambiente e il movimento della pace portano avanti.
E' una riflessione che va portata all'attenzione di un governo di sinistra il quale evidentemente si pone il problema di capire il blocco sociale sul quale la sinistra intende chiedere il consenso per governare.
La saldatura tra esigenze occupazionali e nuovi bisogni sarebbe possibile operarla se si facesse una scelta coraggiosa, anche con dirottamento di risorse, nel campo del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili.
Non possiamo non denunciare e non rilevare i ritardi nello sviluppo di queste fonti. Siamo a fine legislatura e non è stato predisposto né un bilancio energetico né un piano energetico regionale.
Nel programma dell'attuale Giunta non sono contenute le consulte energetiche. A me non interessa solo oppormi alla scelta nucleare, ma interessa verificare le possibili convergenze ed i modi in cui queste possono attuarsi. A me sembra di cogliere nel piano un aspetto positivo.
Tra gli obiettivi prioritari della Regione in materia di politica energetica il nucleare è al sesto posto ed è preceduto dal risparmio energetico e dallo sviluppo delle altre fonti rinnovabili.
Evidentemente esiste una contraddizione da colmare, che a fronte dell'enunciazione di queste priorità l'unica scelta che concretamente sta andando avanti è quella nucleare. Ferma restando la nostra opposizione, che porteremo nel modo più radicale e fino in fondo, ci interesserà verificare come alle enunciazioni corrisponderà una scelta pratica di attuazione.
L'ultimo aspetto che mi interessa rilevare è questo, o siamo in grado di verificare a livello regionale e nel rapporto nazionale e in quello comunitario, in che modo è possibile trovare le risorse per l'attuazione dei progetti, oppure questo piano rischia di rimanere un libro dei sogni bello o brutto a seconda dei giudizi, comunque un prodotto che non sortisce effetti.
Nel momento in cui si parla di un nuovo "caso Piemonte", nel momento in cui si ritiene di dover giustamente investire il governo della situazione che sta vivendo la nostra Regione, la questione delle risorse per attuare queste scelte e questi programmi non può che essere prioritaria nel confronto con il governo.



PRESIDENTE

Grazie. Chiudiamo qui i lavori della mattinata. Li riprenderemo puntualmente alle ore 15 del pomeriggio.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,00)



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