Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.291 del 06/12/84 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Programm. e promoz. attivita" socio-assist. (assist. minori, anziani, portat. handicap, privato sociale, nuove poverta")

Esame progetto di legge n. 420: "Modifiche alla legge regionale 23 agosto 1982, n. 20 recante indirizzi e normative per il riordino dei servizi socio assistenziali della Regione Piemonte" e votazione relativo ordine del giorno


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Passiamo al punto quinto all'ordine del giorno: Esame progetto di legge n. 420 "Modifiche alla legge regionale 23 agosto 1982, n. 20 recante : 'Indirizzi e normative per il riordino dei servizi socio-assistenziali della Regione Piemonte"' (ai sensi dell'art. 32, quarto comma del regolamento del Consiglio regionale).
I Consiglieri Martinetti, Bergoglio, Devecchi, Lombardi, Nerviani e Ratti, hanno indirizzato una lettera all'Ufficio di Presidenza in data 31/10/84 che dice: "I sottoscritti Consiglieri regionali presentatori della proposta di legge n. 420: Modifiche alla legge regionale 23 agosto 1982 n.
20 recante 'Indirizzi e normative per il riordino dei servizi socio assistenziali della Regione Piemonte', assegnata alla V Commissione permanente in data 6 luglio 1984, visti il primo e quarto comma dell'art.
32 del vigente regolamento interno del Consiglio regionale, chiedono l'iscrizione della suddetta proposta di legge all'ordine del giorno della prossima seduta del Consiglio".
Per questo motivo è stata portata in aula.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Marti netti. Ne ha facoltà.



MARTINETTI Bartolomeo, relatore

Ringrazio il Presidente del Consiglio che mi ha dato la parola per l'illustrazione della nostra proposta e per la spiegazione delle motivazioni per cui abbiamo ritenuto di avvalerci del disposto regolamentare e chiedere la chiamata in aula di questa nostra proposta di legge. Come tutti sappiamo nulla è perfetto, non sono certamente perfette tutte le disposizioni e le norme legislative che vengono prodotte dalle assemblee legislative ed anche la legge 20 sul riordino dei servizi socio assistenziali del Piemonte non è certamente perfetta.
E' una constatazione non soltanto nostra ma di molti Gruppi del Consiglio regionale i quali in forma ufficiale o in forma meno ufficiale al momento in cui si era riesaminata la legge rinviata dal governo, avevano concluso per l'approvazione ma con l'intesa che l'esperienza ci avrebbe consigliato gli eventuali miglioramenti da apportare a questa legge.
Ora l'esperienza è sotto agli occhi di tutti. Noi possiamo considerare molto obiettivamente che alcuni dei principali indirizzi e delle principali prescrizioni della legge si sono rivelati di difficile applicazione se non inattuabili. L'unificazione nelle Unità Socio Sanitarie dei servizi di competenza dei Comuni non è avvenuta che in un numero molto ridotto di Unità.
E questo non perché ci sia stato un boicottaggio da parte di forze politiche, come la nostra, che si erano manifestate contrarie alla totale ed assoluta unificazione imposta senza una sufficiente gradualità, di gestione, ma perché ci sono state delle obiettive difficoltà da parte delle Unità Sanitarie Locali nel momento in cui già avevano per loro conto difficoltà ed ostacoli a mettere in atto le nuove incombenze della riforma sanitaria; inoltre numerosi Comuni, anche questi indipendentemente dalla loro collocazione politica, hanno continuato a ritenere che alcuni servizi fossero più convenientemente e con maggiore produttività da erogarsi a livello comunale.
Tutto quanto riguarda le tipologie, rigide e schematiche, previste dalla legge 20 in ordine ai servizi residenziali sono state messe in crisi non hanno avuto un'attuazione pratica per quanto concerne l'iniziativa diretta dei Comuni e delle Unità Socio Sanitarie, hanno creato delle difficoltà di adeguamento e di miglioramento da parte dell'esistente fino a provocare - e ritorneremo su questo - un reale allarme da parte di tutti gli operatori e degli amministratori interessati.
L'aspetto, meno rilevante nel quadro complessivo della legge, quello che riguarda la destinazione delle somme finalizzate, ha continuato fino ad oggi a provocare le proteste, le osservazioni, le contestazioni delle categorie interessate. Ancora ieri, in occasione dell' ultima consultazione sul Piano socio sanitario, personalmente sono stato avvicinato da un dirigente nazionale dell'Associazione invalidi del lavoro, di professione politica socialista, il quale mi ripeteva le gravi contestazioni che quella Associazione avanza circa l'applicazione di norme della legge 20, il cui principio ha una sua motivazione di risposta al bisogno, non più differenziato per categorie, e la cui unificazione delle risorse risponde in maniera generalizzata ai bisogni della società, tuttavia distoglie dai fini propri certi fondi, che sono ottenuti attraverso rastrellamenti di categorie specifiche e con finalizzazioni del tutto particolari. Non sono così abile come altri colleghi, quindi mi è impossibile svolgere il compito mi è stato affidato, in mezzo al brusìo.



PRESIDENTE

Prego, Consigliere.



MARTINETTI Bartolomeo, relatore

L'esperienza negativa assoluta di questi due anni, non è stata un'esperienza teorica astratta della quale dobbiamo prendere atto a fine di studio, a fini statistici, è stata un'esperienza che ha recato un reale danno all'assistenza sul territorio piemontese, perché ha creato incertezze e confusioni nel campo socio-assistenziale. Certe istituzioni, certi servizi hanno rinunciato a ricevere nuove accettazioni, nuovi ospiti, hanno operato una politica di abbandono delle loro specifiche finalità, hanno rinunciato a fare quelle opere di miglioria che pure avrebbero potuto magari avendone anche i mezzi, realizzare in attesa di quella fantomatica e terribile normativa che doveva arrivare. Abbiamo avuto la rinuncia a nuove iniziative che la fantasia degli operatori sociali avrebbe potuto far sorgere come in passato aveva continuamente fatto sorgere. Siamo arrivati al punto di vedere lo scandalo che abbiamo tutti sotto gli occhi della inutilizzazione di strutture esistenti, finite, realizzate con il finanziamento pubblico, pagate con fondi della Regione, erogati ancora al momento stesso in cui il Consiglio approvava la legge, che poi con le sue regolamentazioni astratte, rigide e schematiche ne impediva l'apertura ed il funzionamento.
L'elenco di queste case di riposo, di queste istituzioni residenziali finite posso farlo brevemente: la Casa Serena di Cuneo, la Casa albergo di Ceva, ecc. Ieri in sede di V Commissione, poiché tutti si sono resi conto che occorreva superare quelle norme cogenti della legge 20, abbiamo approvato l'utilizzazione del tutto atipica della Casa di Racconigi.
Le conseguenze di inapplicabilità della legge 20 sono state gravi - lo riconosciamo - non solo per queste ragioni di normativa che giudichiamo difettosa, per non dire sbagliata, ma anche perché siamo in un momento in cui le finanze regionali e le finanze pubbliche in generale non hanno consentito quell'aumento di fondi, quell'aumento di destinazione di risorse pubbliche alle finalità socio-assistenziali, che sarebbero state necessarie e che la presenza di una legge di così radicale riforma ha anche incentivato, ha anche sollecitato.
Non siamo stati in grado di aumentare, anzi, abbiamo dovuto ridurre o contenere i fondi destinati all'assistenza, e pertanto la Regione, le UU.SS.SS.LL. ed i Comuni non hanno potuto creare quel sistema alternativo che era nelle intenzioni del legislatore regionale.
Secondo il nostro parere la causa maggiore di questa confusione e della inapplicabilità della legge 20 sta nell'errore di impostazione nell'astrattezza e rigidità schematica di certe norme.
Il timbro finale su questa esperienza negativa lo hanno posto le consultazioni sulla deliberazione attuativa della legge 20 e sulla proposta di piano socio sanitario regionale.
Noi non siamo qui per sostenere che la deliberazione sia più rigida della legge o che la legge sia cogente e che abbia costretto a presentare la deliberazione in un determinato modo.
Abbiamo tutti assistito ad un sollevamento generale, pressoché unanime un sollevamento che non era contro la deliberazione attuativa, ma era contro i principi della legge 20.
Noi non siamo d'accordo con chi, non di nostra parte, ha definito queste consultazioni una grande kermesse democristiana.
Non siamo d'accordo perché la contestazione alla deliberazione non veniva solo da noi, veniva da tutte le forze politiche e veniva da operatori di ispirazioni le più varie quindi non possiamo appropriarci di questa matrice.
Neghiamo questo anche perché le contestazioni non erano di marca ideologica, non erano contestazioni di principio, ma derivavano da ragioni pratiche, da ragioni di realismo concreto di conoscenza della vita, delle situazioni reali in cui operiamo.
Le osservazioni fatte nelle consultazioni sono le stesse che abbiamo fatto noi ripetutamente in sede di Consiglio regionale, le abbiamo dette nella discussione del piano socio-sanitario 82/84, nella discussione della legge 20.
Sono le nostre stesse obiezioni, puntualmente ripetute da tutte le parti intervenute nelle consultazioni. Per cui non possiamo dire che le recenti consultazioni hanno anche svolto la funzione di consultazioni su questa proposta di legge.
Noi avevamo chiesto che la nostra proposta di legge di modifica fosse posta in consultazione insieme con il piano socio-sanitario in quanto la materia rientra indubbiamente in quella che il piano tratta.
Questo ci è stato negato.
La nostra proposta di legge e le idee da noi sostenute hanno avuto in queste consultazioni un grande appoggio generale da parte degli intervenuti.
D'altra parte che l'esperienza di questi due anni sia stata negativa lo ha riconosciuto anche la Giunta regionale nel momento in cui ha ritirato la deliberazione attuativa della legge 20.
E' la prima volta che questa Giunta, questa maggioranza è costretta ad accantonare una sua proposta di così rilevante valore.
Lo ha riconosciuto la Giunta e la maggioranza quando hanno accettato la nostra proposta di prorogare il termine dell'art. 36 della legge 20 rispetto al totale passaggio di gestione dei servizi alle Unità Socio Sanitarie e lo ha riconosciuto anche inserendo alcune novità nel progetto di piano socio-sanitario novità secondo il nostro punto di vista abbastanza confuse e insoddisfacenti, ma che comunque rivelano il presupposto di una convinzione da parte dell'esecutivo regionale e della maggioranza che lo appoggia ad entrare abbastanza decisamente nel merito di questa normativa regionale, per migliorarla, per adeguarla ad esigenze concrete. Il chiaro riconoscimento di questa esperienza negativa ci conduce a chiedere che la nostra proposta sia discussa ed accolta. Dal punto di vista della procedura legislativa, questo è il procedimento esatto, in quanto, come i colleghi sanno meglio di me ci sono delle graduatorie nelle norme legislative e nelle quali certamente una legge come la legge 20 è una legge quadro nel nostro ambito regionale a cui si devono attenere ed ispirare le leggi di carattere programmatorio che, se non fosse altro che per avere una scadenza triennale avere quindi un fine circoscritto nel tempo, debbono ispirarsi alle normative quadro esistenti. E ciò è tanto vero che nella proposta di piano socio sanitario, probabilmente per le parti che sono state elaborate dagli uffici, dalle Commissioni varie non così attente e sensibili al problema della modifica della legge 20 come in questi ultimi tempi si dimostra invece l'Assessore, sono numerosissimi i richiami alla legge 20 come ad altre leggi regionali. Non si può fare un piano socio sanitario triennale non tenendo conto che esiste una legge di norme generali sull'assistenza a cui gli obiettivi specifici temporali che noi andiamo a dare all'attività regionale devono ovviamente attenersi.
Dal punto di vista giuridico e legislativo, non c'è dubbio che la nostra richiesta è legittima e che il Consiglio superando le obiettive difficoltà, magari di carattere politico interne alla maggioranza, dovrebbe accettare questa impostazione. Dal punto di vista sostanziale basta una affermazione: questo cambiamento va fatto al più presto.
Ogni giorno che noi perdiamo continua a far permanere, a rendere più pesante la confusione, il timore, l'allarme, la non soddisfazione dell'opinione pubblica piemontese rispetto alla politica socio assistenziale della Regione.
Senza passare ad una illustrazione dettagliata dei punti specifici della nostra proposta, alcune osservazioni le debbo fare.
Ci riferiamo a cinque articoli su 40 della legge. Non si tratta di uno sconvolgimento totale.
Lo sforzo che facciamo per non credere che sia giusto e possibile porre una mina, sotto questo castello costruito su proposta dell'Assessore Cernetti, ma di provvedere soltanto a quelle correzioni sia pure di un certo peso, che riteniamo indispensabili, dovrebbe far assumere a tutta la maggioranza consiliare un atteggiamento di comprensione e di accettazione.
Noi infatti riconosciamo che la legge 20, pur con tutti i difetti che le abbiamo attribuito, è uno dei pochi tentativi di legislazione organica di scenario, andata in porto in questa legislatura.
Non è una legislatura che sia stata particolarmente ricca di costruzioni legislative di un certo impegno. Non è a noi impossibile e difficile riconoscere che questa legge organica di principi, è uno dei pochi tentativi di legislazione organica andata in porto in questa legislatura. Così come non abbiamo difficoltà a riconoscere che si fonda in gran parte sui principi giusti, che in alcuni casi noi abbiamo contribuito a sottolineare e a chiarire; il rispetto dell'assistito, della sua dignità della sua libertà; il sostegno da dare prioritariamente alla famiglia, il modello familiare a cui devono essere portate le strutture ed i servizi assistenziali, la lotta all'emarginazione, il mantenimento dell'assistito nel suo ambiente familiare e sociale, la priorità data alla prevenzione alla riabilitazione ed al reinserimento sociale. Tutti i principi di ordine generale che non abbiamo alcuna difficoltà a riconoscere principi importanti che onorano la legislazione della Regione Piemonte qualora a questi principi corrisponda una struttura organizzativa di gestione, che sia corretta e che sia attuabile per le reali esigenze in cui ci troviamo ad operare.
Noi non siamo quindi per una difesa acritica del passato. Noi siamo per un sistema di servizi modellato sulle esigenze di oggi e di domani. Siamo per il cambiamento.
Ma il rispetto della persona, solennemente affermato nella legge 20 nello Statuto della Regione e nei nostri atteggiamenti basilari implica che la persona abbia libertà di scelta, quindi ne deriva quella varietà e diversità di possibilità assistenziale da offrirsi ai cittadini, che è proprio un po' il contrario di quello schematismo rigido e specifico che viene portato dalla legge 20.
Tra queste anche il servizio residenziale non può essere demonizzato (negli anni passati era diventato il vessillo della politica assistenziale della Regione) riconoscere e stabilire che il servizio residenziale dispregiato con quella brutta parola "istituzionalizzazione" sia da demonizzare, sia da escludere.
Siamo per il cambiamento, ma riteniamo che il perseguimento di schemi astratti, di ideali utopici, di principi rigidi e verticistici restringa invece di aprire gli spazi dell'assistenza sociale.
Per cui ne è venuto che una legge, che nelle intenzioni doveva e voleva essere progressista, è stata strumento di chiusura, di arretratezza, di blocco della fantasia e delle iniziative nuove.
Le nostre proposte sono molto chiare. Circa la gestione e l'erogazione dei servizi stabiliti dall'art. 8 della legge 20, chiediamo che per alcuni servizi di base, gli stessi che erano oggetto di proroga nell'art. 36, sia lasciata libertà di scelta sul tipo di gestione da parte dei Comuni.
Questa non è un'invenzione nostra. Questo è quanto era stabilito dal testo concordato a cui già erano pervenute le forze politiche nello schema di riforma nazionale dell'assistenza.
Questo è contenuto in tutte le leggi regionali-quadro sull'assistenza approvate nelle Regioni Veneto, Umbria, Basilicata. Questo è detto nella proposta di legge presentata in questa legislatura dal Gruppo socialista a firma Aniasi, Fiandrotti, La Ganga ed altri che dice: "la legge regionale stabilisce i compiti e le funzioni attribuite agli organi di governo e di amministrazione dei servizi sociali e di quelli sanitari e quelli attinenti ai servizi di base che verranno esercitati dai singoli Comuni".
Non è un principio che ci inventiamo noi per il gusto di evitare quel castello, così assoluto e preciso che come costruzione astratta può anche essere una bella invenzione, ma che nella realtà può andare contro.
Voglio usare un condizionale in quanto potrebbe darsi che in determinate situazioni il passaggio di tutti i servizi alla USSL sia conveniente e produttivo.
Certo però ci sono altri casi in cui ai Comuni deve essere data libertà di scelta.
Circa il tema delle tipologie dei servizi assistenziali (casa protetta comunità alloggio, schema ridotto a questo dualismo che deriva da un dualismo altrettanto sbagliato rispetto alla suddivisione degli anziani in due sole categorie separate tra di loro) abbiamo scelto una strada semplice, logica, che dovrebbe anche essere indolore.
Non chiediamo al Consiglio di decidere in questo momento. Noi sosteniamo che il luogo adatto ed adeguato alla definizione eventuale di tipologie e di standards è il Piano socio sanitario, che può adeguarsi darsi degli obiettivi specifici, limitati nel tempo, in questo caso limitatamente ai servizi istituiti e gestiti dalla Regione, dalle UU.SS.SS.LL., dai Comuni; può anche stabilire degli obiettivi di carattere strutturale e funzionale come delle mete, come delle finalità raggiungibili in base alla considerazione esatta delle condizioni finanziarie nel prossimo triennio.
Nella nostra proposta di legge parliamo di tre livelli di normativa della Regione rispetto ai servizi residenziali.
Un livello che riguarda le proprie istituzioni, quelle che i Comuni e le UU.SS.SS.LL. creano, sperimentano e si pongono come obiettivi per rispondete a determinati bisogni a cui non c'è ancora una risposta sul territorio.
Per questi la legge regionale, nella sede del piano socio sanitario può attribuire determinati parametri, determinate tipologie, può decidere di puntare per quei tre anni le proprie risorse tecniche e finanziarie alla realizzazione di alcune ipotesi strumentali, tipologiche specifiche.
Ci sono poi le strutture ed i servizi residenziali, esistenti o nuovi che intendono partecipare direttamente all'erogazione del servizio pubblico convenzionandosi con l'Unità Sanitaria Locale.
Naturalmente a questi è giusto che sia proposto un secondo livello di condizioni affinché il servizio convenzionato risponda a quei criteri che la Regione ritiene indispensabili.
Ci sono poi quei servizi che intendono agire nell'ambito della libertà e dell'autonomia riservata dalla costituzione. Per questi, i quali non chiedono che di essere liberi di esercitare il dettato costituzionale circa l'assistenza, si possono dare soltanto criteri generali nell'ambito della normativa quadro nazionale o in attesa che la normativa quadro nazionale dia altre prescrizioni specifiche.
Non può ogni singola Regione circoscrivere con proprie norme quello che è un diritto ampio, ammesso dalla Costituzione che può trovare una regolamentazione in una normativa generale dello Stato.
Da questo deriva l'altra nostra osservazione rispetto al regime autorizzativo.
L'assistenza privata è libera - dice la Costituzione. Secondo noi la Regione può imporre autorizzazioni preventive solo laddove la legge nazionale lo prevede.
Non può esserci una Regione in cui a istituire un tipo di servizio occorre un'autorizzazione dell'ente pubblico ed un'altra Regione in cui questo non è richiesto.
La legge nazionale per ora lo prevede solo per le istituzioni e i servizi per i minori, non lo prevede per gli altri.
Mentre le proposte precedenti, che avevano dato luogo ad un testo concordato nella passata legislatura nazionale, non prevedevano un regime autorizzativo, la citata proposta di legge Aniasi invece lo prevede, ma prevedendolo nella legge nazionale, conferma quello che noi sosteniamo che sia materia di una legge-quadro nazionale. Non è possibile richiedere autorizzazioni preventive a chi voglia esercitare, ai sensi dell'art.38 della Costituzione, un proprio diritto di assistenza.
Naturalmente ci rendiamo conto che c'è un problema di conoscenza delle risorse, di loro utilizzo integrato nell'ambito della pianificazione regionale, perciò prevediamo forme di notificazione, di registrazione per quelli che intendono partecipare alla programmazione regionale soprattutto attraverso la forma della convenzione. Ovviamente tutto ciò non esclude il controllo della Regione sul funzionamento dell'assistenza, che deve essere fondato sulla legislazione generale nazionale, che può anche essere formato o chiarito con alcuni indirizzi di carattere generale, dati a tutti coloro che vogliono svolgere assistenza, ma non nella forma dell'autorizzazione preventiva.
L'ultimo punto che proponiamo di correggere riguarda le spese finalizzate. Questa è materia che andrebbe risolta in una sistemazione dei problemi di carattere previdenziali e assistenziali.
Per esempio a favore degli invalidi del lavoro la legge aveva disposto addirittura una percentuale di prelievo dal gettito previdenziale dei lavoratori dipendenti.
Si tratterebbe di stabilire in sede previdenziale il mantenimento di tale diritto, ma poiché questo non è ancora avvenuto in sede nazionale e poiché ogni volta che si è tornati su questo argomento in questa sede ci siamo sentiti dire prima dall'ex Assessore Cernetti, poi dall'Assessore Bajardi, che la legge 20 vuole che i fondi finalizzati vadano al fine stabilito dalla loro origine, questo nella realtà non avviene.
Abbiamo notizia di Unità Socio Sanitarie che non elargiscono i fondi inviati recentemente dal centro nazionale per essere dati ai grandi invalidi.
In alcune UU.SS.SS.LL. sono stati accantonati e una volta presa la via del flusso del fondo comune, non è più stato possibile recuperarli per gli aventi diritti.
Quindi noi proponiamo che sia chiarito questo nella legge, dando mandato alla Giunta di stabilire le norme specifiche con cui nella fase transitoria le Unità Sanitarie Locali adempiono a questo compito.
La nostra proposta è aperta. Si esprime dopo una conveniente prova: le cose non sono andate bene ed allora bisogna trarne le conseguenze.
La nostra proposta viene in un momento di rinnovata sensibilità per questi problemi. C'è una grande sensibilità che va persino oltre la realtà.
E' il momento giusto per rispondere a questa sensibilità e questo va fatto prima del nuovo piano socio-sanitario che nell'ambito delle disposizioni quadro definirà gli obiettivi temporali in cui la Regione dovrà muoversi nei prossimi anni.
Diciamo in conclusione che non ci interessa una affermazione di principio delle nostre idee, a cui comunque non rinunciamo, che hanno avuto, semmai, un grande riconoscimento nell'opinione pubblica piemontese.
Desideriamo nella concreta situazione, anche tenendo conto del quadro politico in cui ci troviamo ad operare, raggiungere risultati sostanziali nel solo interesse dei nostri concittadini più bisognosi e ridare fiducia e coraggio al vasto mondo di quanti nel pubblico e nel privato si dedicano generosamente al servizio sociale. Per questo non ci interessano le contrapposizioni muro contro muro e ci auguriamo che questa non sarà la posizione della Giunta e dei Gruppi della maggioranza. Anche ufficialmente sono emerse disponibilità per correggere le impostazioni che si sono rivelate errate ed improduttive. Una resistenza di principio contro la nostra proposta avrebbe solo il significato di una strumentale difesa di schieramento che non vogliamo immaginare sia nelle intenzioni di nessuno.



MARCHIARO MARIA LAURA



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Sulla relazione del Consigliere Martinetti ha chiesto di parlare il Consigliere Acotto. Ne ha facoltà.
Io vorrei invitare i Consiglieri ad intervenire nei termini del Regolamento.



ACOTTO Ezio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il dibattito sulla vasta problematica relativa al comparto socio-assistenziale è più che mai aperto nella comunità regionale, è stato presente svariate volte all'interno di questo Consiglio ed oggi registra un altro momento interessante di confronto.
La brevità entro cui contenere le considerazioni che andrò facendo è tale per cui sarà possibile cogliere soltanto alcuni degli aspetti, degli stimoli, dei necessari rapporti dialettici con quanto il collega Martinetti ha sostenuto nell'illustrare in maniera ampia la proposta di modifica alla L.R. n. 20 avanzata dalla D.C.
Questo confronto in Piemonte è possibile farlo sull'esperienza concreta, perché qui, contrariamente ad altre realtà, è andata avanti un'azione coraggiosa, certo perfettibile, di riordino di tutto il comparto socio-assistenziale. La legge 20 ha questo grosso significato, con l'approvazione del DPR 616 che dava ad esse competenze in questo campo, era impegno di tutte le Regioni di utilizzare queste competenze ed avviare processi significativi di rinnovamento nel settore. Certo, all'interno della legge nazionale di riforma dell'assistenza, legge nazionale di riforma dell'assistenza che sappiamo non esistere tuttora, così come non c'è a tuttora il piano sanitario nazionale.
Malgrado queste lacune gravi a livello nazionale, la nostra Regione pu da questo punto di vista vantare sforzi importanti, significativi, in queste duplici direzioni: riordino del socio-assistenziale, programmazione ad uno stadio già avanzato che certo offre alla comunità elementi di discussione più ravvicinati sui problemi, ma tutto ciò anche in termini di dialettica con le proposte che vengono fatte dalla nostra Regione, consente di discutere realmente dello stato della sanità della nostra Regione proprio perché il metodo che abbiamo scelto qui da noi è appunto il metodo di darci un disegno, di darci un piano direttore dei principali problemi sulla sanità e sull'assistenza e dei tentativi delle soluzioni che a questi problemi dobbiamo portare.
E' possibile quindi un dibattito sull'esperienza e credo che la Giunta e l'Assessore Bajardi potranno tracciare un quadro più preciso e puntuale di quanto non possa fare io sullo stato di applicazione della legge n. 20 per quanto concerne le varie Unità Socio Sanitarie della nostra Regione.
Il dibattito che è in atto sulla legge 20 e sulla sua attuazione ha comunque fatto registrare un significativo consenso, che in parte il collega. Martinetti ha ripreso nel suo intervento, sui valori fondamentali ed i principali obiettivi contenuti all'interno di questa legge. I problemi si sono posti e si pongono in ordine alla fase attuativa della legge stessa e le ragioni sono senz'altro molteplici. Il collega Martinetti ha sfumato molto una ragione che noi invece consideriamo fondamentale: a nostro avviso è mancato e manca un ruolo diretto dello Stato nel settore socio assistenziale.
Non possiamo fare qui in questa sede con i limiti di tempo che abbiamo a disposizione, un'analisi della crisi dello stato sociale, delle politiche contro lo stato sociale, del taglio della spesa sociale e via di questo passo.
Alcuni esempi, a nostro avviso, molto significativi si possono fare.
Pensiamo che per tutto il comparto socio-assistenziale la nostra Regione ha a disposizione 53 miliardi, una Regione che sappiamo non è provvista di zecca attraverso cui moltiplicare, in maniera propria od impropria, le risorse, sono risorse derivate da quelle statali.
In occasione dei dibattiti degli ultimi mesi abbiamo rifatto gli inventari dei posti ospite nelle strutture protette, nelle case di riposo negli ospiti, ebbene questi posti sono circa 32.000 nella nostra Regione.
Facciamo un paragone, anche se improprio, con la sanità: su circa 25.000 posti letto negli ospedali abbiamo a disposizione per tutto il comparto della sanità più di 2.500 miliardi.
La sproporzione tra i due settori è del tutto evidente anche se la guardiamo dal punto di vista della spesa per beni e servizi dell'Ente locale che è il grosso altro canale di finanziamento del settore socio assistenziale. Ma ahimè, se guardiamo le cose anche da questo punto di vista, dai decreti Stammati, Pandolfi, e così via, è stato un susseguirsi di restrizioni nel campo della finanza locale per quanto riguarda la spesa corrente per beni e servizi.
Nè ci conforta la legge finanziaria che è in discussione in Parlamento che contrariamente al segnale positivo di quella dell'anno precedente, pur all'interno dei suoi limiti, all'art. 30 si occupava nell'affrontare la materia sanitaria anche di quei servizi a cavallo tra sanità ed assistenza la legge finanziaria di quest'anno, così come è uscita dalla Camera, non contiene alcun riferimento al settore socio-assistenziale, anzi, pur contenendo una serie di norme per quanto discutibili sulla riorganizzazione del sistema ospedaliero, ben si guarda di dire che le risorse recuperabili attraverso le ristrutturazioni possano essere destinate anche ai servizi che, per quanto riguarda, per esempio, gli anziani non autosufficienti sono strettamente correlati col settore socio-assistenziale.
Per queste ragioni, non in nome di principi statalisti superati dai tempi, noi rivendichiamo un ruolo dello Stato, un farsi carico dello Stato che non vediamo in questo settore, un ruolo dello Stato specifico nel settore socio-assistenziale e un ruolo più generale dello Stato in termini di solidarietà tra gli strati sociali.
E' evidente, colleghi Consiglieri, il rapporto che c'è tra quello che discutiamo oggi e la politica sui redditi delle famiglie, la politica fiscale, una politica di equità tra i vari strati sociali che impedisca un allargarsi di quelle forme di emarginazione che abbiamo chiamato le cosiddette nuove povertà, emerge una convivenza di vecchie e nuove povertà come fenomeno della crisi dello stato sociale e dei tagli della spesa sociale.
Questi sono gli elementi di fondo che hanno inciso in maniera primaria sull'attuazione dei pur importanti principi ed obiettivi della legge 20 e del riordino socio-assistenziale nella nostra Regione.
Si sono posti, dicevo, alcuni problemi nella fase attuativa della legge, secondo noi però non sono di natura tale da mettere in discussione l'impianto.
Sono invece da riportare in una sede più propria, anche legislativa e questa sede è indubbiamente quella del piano socio-sanitario per il triennio 85/87.
Il piano ha un elemento di processualità che dobbiamo sempre più apprezzare. E' un piano triennale da adeguarsi ogni 3 anni, contiene elementi di orientamento e di indirizzo che prevalgono sugli elementi strettamente prescrittivi, per cui riteniamo che sia corretta un'operazione, anche legislativa, che riporti all'interno della legge di piano e dei suoi allegati la problematica relativa a quell' ordine di problemi che si è posto nella fase attuativa della legge 20.
Per cui, mentre siamo orientati a proporre il non passaggio agli articoli della proposta di legge di iniziativa della D.C., non siamo per per un rinvio generico di questi problemi della legge di piano, ma per un impegno preciso perché all'interno di quella legge si affrontino alcuni problemi.
La legge di piano deve affrontare il problema relativo all'articolazione delle tipologie dei servizi residenziali tutelari, i criteri e le modalità di adeguamento delle strutture esistenti.
Questo tema specifico è una richiesta della D.C. per cui da questo punto di vista non ho bisogno di spendere altre considerazioni a sostegno di quella tesi. A nostro avviso, però, mentre adeguiamo l'articolazione delle tipologie, possiamo affrontare nella legge di piano un discorso di riarticolazione, di riprecisazione di ciò che intendiamo per sistema autorizzativo.
Possiamo affrontare nella legge di piano un discorso puntuale sugli organici, le politiche del personale nel settore socio-assistenziale, gli aspetti istituzionali relativi all'impianto previsto nella legge 20 che va salvaguardato anche apportando le opportune rettifiche ed adeguamenti.
In conclusione, colleghi Consiglieri, il nostro è un impegno preciso che assumiamo di fronte al Consiglio, di fronte a noi stessi, di fronte alla comunità regionale, ed in particolare di fronte a quel vasto mondo del volontariato cattolico e delle sue massime autorità che sappiamo seguire con attenzione ed anche con sentimenti di trepidazione gli orientamenti e le iniziative della nostra Regione nel comparto socio-assistenziale.
Chiediamo di riassumere queste opinioni, in un ordine del giorno che proponiamo alla votazione di questo Consiglio regionale.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Ha chiesto di parlare il Consigliere Gastaldi. Ne ha facoltà.



GASTALDI Enrico

Devo premettere che alla L.R. n. 20 noi avevamo dato voto favorevole.
Delle proposte fatte dalla D.C. con la sua legge noi non possiamo accettare né quella che riguarda le autorizzazioni all'apertura delle case di riposo ed alla imposizione di standards qualitativi e di edilizia abitativa, né quella che riguarda il passaggio dell'assistenza dei Comuni alle UU.SS.SS.LL., per gli stessi motivi che già avevamo spiegato durante la discussione della legge 20.
Per noi l'art. 38 della Costituzione con le parole: "l'assistenza è libera" vuol solamente dire che essa può essere offerta anche dal privato e non che non si possano imporre ad essa regimi autorizzativi e standard abitativi e non si possano attuare su di essa vigilanze oltre quelle previste dalle leggi nazionali: funzionamento in rapporto ai buoni consumi all'esercizio dell'assistenza e beneficienza, all'abuso della pubblica fiducia.
Anche se la proposta di legge nazionale sull'assistenza, che però non è ancora legge, sembra dare questa interpretazione, a noi pare che mettendo assieme gli artt.38 e 41 della Costituzione si possa dedurre che, come per l'economia di cui parla l'art. 41, l'imposizione di programmi e di controlli non toglie la libertà, altrettanto non la tolgono all'assistenza né l'autorizzazione, né l'imposizione di programmi abitativi.
A noi pare poi ancora che tutto ciò sia indispensabile per garantire uguaglianza e dignità di trattamento per quelle persone che sono costrette e asservite di strutture tutelari.
Il passaggio totale poi dell'assistenza dai Comuni alle UU.SS.SS.LL. ci pare necessario sia perché solo così si può garantire l'uguaglianza di trattamento sul territorio per le persone bisognose e sia soprattutto perché per legge l'assistenza deve integrarsi con la sanità e farne parte non dissociata. Non è possibile quindi dividere la gestione dell'assistenza tra Comuni ed UU.SS.SS.LL. perché queste sono le associazioni elette dai Comuni ed alle quali deve venir delegata tutta l'attività socio-sanitaria.
Lasciare ai Comuni parte dell'assistenza potrebbe poi creare dei motivi di confusione e di competenza per il fatto che la minima entità territoriale organizzativa per la, gestione delle attività socio-sanitarie è il distretto che è quasi sempre costituito da più Comuni.
Concordiamo invece sulla proposta di affidare al piano socio-sanitario regionale l'attuazione pratica nel tempo, sia dell'adeguamento degli schemi edilizi, e sia del passaggio dell'assistenza dai Comuni alle UU.SS.SS.LL.
perché al momento attuale non vi può essere certezza di finanziamenti perché manca la legge nazionale sull'assistenza, la quale sola pu prevederli e fissarli.
In base a questi ragionamenti e considerazioni, ci comporteremo nella votazione degli articoli e della legge in esame.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Ha chiesto di parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Colleghi, noi dobbiamo esternare la nostra perplessità quanto al modo in cui la discussione si sta sviluppando. Non ci sembra infatti che sia propriamente pertinente discutere in questo momento dei contenuti della legge, poiché siamo di fronte ad un problema di carattere ed ordine diverso. Si tratta di una normativa, di un progetto di legge democristiano che è stato richiamato in aula a norma di regolamento e sul quale ad avviso nostro il Consiglio, in questo momento, dovrebbe limitarsi a dichiarare la propria disponibilità ovvero la propria indisponibilità a prendere posizione. Perciò noi ci asterremo a questa impostazione ritenendola forse, non la più valida, ma certo la più concreta nel momento attuale.
Abbiamo sentito svolgere argomentazioni da parte del collega democristiano che non possiamo non condividere.
Non siamo firmatari del pdl 420 e quindi in questa specifica sede non riteniamo di dovere scendere ad esaminarne gli atti contenutistici. In questo momento, ci preoccupiamo di dare risposta a quello che è il quesito vero di questa discussione, ma che non ci pare sia stato affrontato da altri interventi. Questa è la risposta che pensiamo vada data: e non è fondata la richiesta della. D.C. che l'assemblea venga a prendere in esame il pdl n. 420? Ebbene, noi a un quesito del genere, ci sentiamo di rispondere in modo affermativo.
Riteniamo infatti che sia ormai maturo il tempo perché siano considerate eventuali modifiche della legge 20, risultata a fronte stesso della realtà incontrata in questi due anni di sua applicazione inapplicabile in molte sue parti e necessaria perciò di una sostanziale modifica e adeguamento. D'altra parte la grande mobilitazione, potremmo dire addirittura la sollevazione, che si è avuta in sede di consultazioni per la delibera attuativa della stessa legge è venuta a dimostrare che l'esigenza di un cambiamento è profondamente avvertita in ambiente che non sono, ed è stato giustamente sottolineato ed io ne sono personalmente convinto, soltanto di ambienti o di organizzazioni cattoliche di ordine democristiano. Quindi noi pensiamo che, senza richiamare qui le critiche che abbiamo svolto a suo tempo contro la legge 20 e che ci hanno portato ad esprimere un voto negativo; senza peraltro affrontare in questo momento le modifiche che si vorrebbero da parte della D.C. apportare, ci si debba limitare a dire che noi, per chiarimento della posizione del nostro Gruppo siamo favorevoli che o attraverso la discussione e la votazione immediata di questo pdl democristiano, oppure attraverso altre formule (abbiamo sentito or ora annunciare la presentazione di un ordine del giorno) si faccia qualcosa di concreto subito per affrontare decisamente il problema e senza perdere altro tempo, in modo da colmare quel vuoto che via via che i giorni, le settimane ed i mesi trascorrono, diventa sempre più grave, per affrontare cioè il grave problema socio-assistenziale in Piemonte.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Ha chiesto di parlare il Consigliere Reburdo. Ne ha facoltà.



REBURDO Giuseppe

Intervengo brevemente. Esiste un dibattito nella società piemontese che non ha però ancora trovato sufficiente riflesso nell'ambito del Consiglio regionale, quindi c'è il rischio che si svolga soltanto tra specialismi e tentativi di strumentalizzazione.
In questo senso è positivo che la D.C., abbia voluto forzare per arrivare alla discussione in quest'aula dove si può cogliere l'occasione di dire ad alta voce notizie che vengono scritte sui giornali, che vengono dette in riunioni più o meno riservate e che si esprimono anche in pubblici dibattiti. Senza preoccuparmi delle polemiche vorrei dire alcune cose che mi paiono importanti.
Intanto un riconoscimento al ruolo politico ed al ruolo culturale che ha svolto la legge 20, legge che non è nata come tentativo di rispondere alla crescita della società civile, che spero è più avanzata della coscienza dei partiti e delle istituzioni.
I suoi principi fondamentali colgono nel segno di questa forte pressione e di questo avanzamento culturale ed umano che caratterizza la società civile.
Se si è potuto approvare la legge 20 dopo un certo tipo di consultazione, dopo un certo assenso da parte di diverse espressioni pluralistiche della società civile, proprio perché le sue linee fondamentali coglievano l'esigenza di un salto qualitativo che, senza disprezzare e cancellare il passato, sapesse dare delle risposte nuove a problemi ed a esigenze nuove.
Pertanto i principi fondamentali della legge 20 non possono essere messi in discussione.
Quindi è stato un fatto politico che va rivendicato in tutta la sua pienezza, in tutta la sua rispondenza a larghissima parte della società piemontese.
L'anziano e l'handicappato hanno la possibilità di scegliere fra l'istituzionalizzazione e la permanenza nella propria realtà familiare socio-economica e culturale.
Prima dell'approvazione della legge 20 questa possibilità non c'era o veniva applicata solo in certe amministrazioni comunali di sinistra, che sono state le prime a tentare questa via.
Quindi questo è un altro elemento che deve essere ribadito in modo esplicito.
La legge 20 consentiva spazi di sperimentazione e interventi e iniziative nuove che però per responsabilità di tutti sono stati scarsamente utilizzati.
Su questo la battaglia politica è stata sterile, è mancata l'autocritica collettiva sulle incapacità di utilizzare tali spazi.
C'è poi il problema delle autorizzazioni.
Chi non ha accettato in pieno la strumentazione della legge 20 (qui farei delle nette distinzioni) accetta un principio ovvio.
Quando si opera all'interno della società con interventi operativi questi vanno sottoposti a un minimo di regime pubblico.
Non è pensabile che per mettere un tavolo per raccogliere delle firme su una proposta di legge, devo chiedere l'autorizzazione al Comune e ci devono essere certi vincoli di dimensione, ecc, e quando devo intervenire sul piano dell'assistenza o della sanità, questo principio non possa essere applicato e utilizzato.
Si tratta di vedere con quali criteri questo principio viene applicato: se viene applicato con criteri rigidi o se viene applicato con quella necessaria e indispensabile articolazione nei confronti di realtà regionali diverse, quindi con il massimo di responsabilizzazione delle strutture o delle esperienze che sono coinvolte; quindi l'elasticità necessaria in un quadro di certezze che garantisca tutti.
Questo è un problema che va affrontato con più elasticità facendo agio sui diversi contenuti storici che caratterizzano la nostra realtà piemontese, senza generalizzare una tipologia, un tipo di standard di autorizzazioni eccessivamente vincolistico ma che abbia un quadro di certezze dentro il quale poi si possano esprimere autonomia e tutti gli interventi sperimentali ed operativi necessari.
Infine tocco rapidamente il problema delle tipologie. E su questo punto voglio essere ancona più esplicito. Mi pare di poter dire che le tipologie previste, pur costituendo una innovazione significativa, sono troppo distanti dalla realtà; essa, secondo il giudizio di tutti, deve essere migliorata, ma non può subire salti e processi impositivi troppo forti deve corresponsabilizzare tutte le realtà mantenendo il loro ruolo.
Mi permetto di dire che le proposte contenute nel piano sono ancora insufficienti a rispondere a questa necessità, quindi vanno riviste raccogliendo le proposte che emergono dalle consultazioni.
Dalle consultazioni e dai dibattiti che si sono avuti è venuta una disponibilità a confrontarsi su tipologie più articolate, che non mettono in discussione le attuali tipologie, ma danno più spazio, più protagonismo maggiore possibilità di verifica e di impegno a quelle strutture che presentano rigidità tali per cui non possono essere sollecitate a modificarsi, anche se hanno una loro autonoma disponibilità a farlo, ma devono fare i conti con vincoli strutturali in parte culturali.
Questo argomento deve essere affrontato con il massimo di apertura proprio perché la legge 20 ha raccolto la coscienza di larga parte della comunità piemontese e questa coscienza va sostenuta anche con interventi operativi.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Ha chiesto di parlare il Consigliere Biazzi. Ne ha facoltà.



BIAZZI Guido

Per richiamo al regolamento, il quale al comma settimo dell'art 32 stabilisce: "nel caso che un provvedimento a norma dei commi precedenti pervenga all'esame del Consiglio senza che la Commissione abbia provveduto a norma del precedente art. 26, l'argomento verrà preliminarmente illustrato dal proponente, dopo che il Presidente della Commissione avrà riferito l'iter complessivo dello stesso".
Ormai siamo in fase avanzata e non si può ritornare al punto iniziale previsto dal regolamento.
Dico questo per memoria di tutti e perché non costituisca un precedente.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Non si preoccupi Consigliere, non costituirà un precedente.
Ha chiesto la parola il Consigliere Bergoglio. Ne ha facoltà.



BERGOGLIO Emilia

Il Consigliere Martinetti ha già ampiamente e significativamente illustrato nel suo intervento-relazione, le motivazioni che hanno indotto il Gruppo della D.C. a presentare delle proposte sia pure limitate di modifica alla legge n. 20.
Le sue valutazioni, però, non polemiche, pacate ed argomentate, non sono riuscite a raccogliere una maggiore adesione ad un ripensamento rispetto a tutte quelle motivazioni che hanno indotto la maggioranza ad approvare in un primo tempo la legge 20, in seguito una serie di indicazioni nel piano socio-sanitario 82/84, la proposta di deliberazione in applicazione degli artt. 22, 23 e 24 e infine a riprendere l'argomento con il piano attuale.
Nè sono valse le considerazioni provenienti da più parti politiche appartenenti a vari Gruppi o associazioni.
Paradossalmente critiche incrociate e della stessa natura sono venute da settori diversi, operatori del servizio sanitario della Regione UU.SS.SS.LL., operatori privati e pubblici.
Che in questa seconda ondata di consultazioni siano intervenute così attentamente persone e personalità diverse, dovrebbe indurre a riflettere sul fatto che non è un ancorarsi su posizioni superate o di salvaguardia dell'esistente, né si tratta di rifiuto del cambiamento che la legge n. 20 ha introdotto, ma di rimanere realisticamente coi piedi per terra.
E' disumano dal punto di vista dei rapporti personali e politicamente controproducente creare delle aspettative e delle attese che non possono essere supportate da possibilità concrete di intervento.
Gli amministratori pubblici dovrebbero riflettere seriamente sul fatto che ad affermazioni di principio non possono corrispondere risultati così disastrosi.
Il Consigliere Reburdo ha affermato che c'è stato un salto di mentalità con la legge 20 che offre spazi di sperimentazione, ma non del tutto utilizzati anche da parte di chi avrebbe dovuto essere parte diligente della sperimentazione e del cambiamento.
Vorrei seguire il collega Reburdo su questa strada per argomentare non con sterili affermazioni di principio, nelle quali peraltro credo, ma con dati precisi e concreti che dimostrano come, anche laddove si sia tentato di mettere in piedi un sistema di sperimentazione, i risultati ottenuti e le ipotesi sperimentate, siano rafforzativi della nostra richiesta di diverso modo di impostare il problema, di cautelarci meglio rispetto alle attese che creiamo e rispetto ai risultati che si possono ottenere o che si sono già ottenuti.
Ritengo che 7 o 8 anni di sperimentazione da parte della maggioranza di sinistra del Comune di Torino possono essere un esempio significativo.
Cito l'esperienza di Torino perché su di essa l'Assessore al Comune di Torino ha relazionato ampiamente negli scorsi mesi fornendo ai Consiglieri comunali dati dettagliati e circostanziati, pertanto anziché fare dei ragionamenti astratti e teorici, possiamo riferirci a dati ufficiali di spesa e di servizio offerto.
Dal convegno sulle comunità-alloggio che si è svolto con la collaborazione e a spese della Regione Piemonte, della Provincia di Torino e del Comune di Torino, è risultato un dato perlomeno curioso: nel caso di comunità-alloggio per minori sani la spesa giornaliera pro-capite denunciata nell'intervento di una coordinatrice del Comune di Torino varia dalle 50 alle 100.000 lire al giorno, cioè da 1 milione e mezzo a 3 milioni al mese.
Le comunità aperte sono in numero limitatissimo, non solo, ma curiosamente le stesse comunità vengono conteggiate più volte: un rappresentante della Provincia cita di nuovo le comunità-alloggio aperte in Torino e provincia, sembra così che le comunità siano tantissime ma in effetti sono sempre le stesse (come quelle corazzate che venivano spostate da un luogo all'altro della penisola per far vedere che ce n'erano tante).
Rimando alla lettura degli atti del convegno "Quattro mura di umanità" dati per aver conferma di quanto ho affermato.
Voglio tornare ai dati del Comune di Torino, che mi sembrano significativi.
Nella città di Torino sono 28.000 gli anziani di età superiore ai 75 anni. La popolazione complessiva dai 60 ai 95 anni e oltre supera le 200.000 unità.
Nel 1983, 3.836 persone erano ricoverate in istituti vari, case di riposo comunali, case di riposo non comunali, con vario indice di autosufficienza.
Nell'ambito delle case gestite dal Comune di Torino, 914 persone sono autosufficienti e 561 non autosufficienti con un costo medio di 9 milioni all'anno, tenendo conto però che oltre un terzo di questi sono non autosufficienti per cui bisognerebbe disaggregare il dato (è noto che per chi è autosufficiente la retta costa molto meno di quanto non lo sia per chi non è autosufficiente).
Le comunità-alloggio, tanto decantate, nell'ambito del Comune di Torino nel 1983, dopo dieci anni di amministrazione di sinistra, risultano sei con un totale di posti pari a 39 persone, in presenza di una istituzionalizzazione di 3.836, con un costo medio di 6 milioni e mezzo.
Quindi non c'è una diminuzione di costo sensibile tenendo conto tra autosufficienti in casa di riposo ed autosufficienti in comunità alloggio.
La prima domanda che pongo è questa: perché le comunità-alloggio nella città di Torino sono solo sei, se questa è la risposta migliore, più possibile, più utile che possiamo dare? Perché in 9 anni se ne sono istituite solo 6 per 39 posti? Questa risposta la vorrebbe anche il Consigliere Reburdo.
Risulta alla sottoscritta che ci sono numerosi alloggi vuoti di proprietà dell'ex Istituto di riposo per la vecchiaia, esattamente in corso Massimo d'Azeglio, dove si potrebbero istituire avendo già i locali liberi delle comunità-alloggio o delle comunità residenziali per anziani senza grandi difficoltà, sperimentando "coraggiosamente" come diceva il collega Reburdo, quella flessibile adattabilità dei servizi.
Perché questo coraggio non c'è? Servizi domiciliari. I dati si riferiscono all'anno 1983. Nè rispetto al 1982, né rispetto all'ipotesi del 1984 non ci sono mutamenti significativi.
Il Comune di Torino nell'arco del 1983 ha assistito 687 persone (dati ufficiali comunicati dall'Assessore Tartaglia in Consiglio comunale) 157 sono le persone addette all'assistenza, operatori, collaboratori, ecc.
circa 4 persone assistite e mezza per ogni operatore; 4 persone e mezzo diviso 40 sono circa 4 ore e mezzo alla settimana di assistenza che questi operatori hanno garantito ai 687 assistiti.
Se togliamo il tempo di andata e di ritorno mediamente 2 volte alla settimana, le ore di assistenza sono due, con un costo per il servizio di 1 miliardo e 825 milioni.
Sono 2.700.000 lire a testa per avere 4 ore di assistenza alla settimana! Da un costo medio per istituto che varia dai 6 milioni e mezzo ai 7 milioni all'anno, parlando sempre di persone autosufficienti, passiamo ad un costo per assistenza domiciliare che raggiunge quasi i 3 milioni senza contare vitto, alloggio e tutto il resto a carico dell'utente, per quasi 4 ore/4 ore e mezzo di assistenza alla settimana.
Possiamo continuare ad ignorare questi problemi che risultano non dalle fantasie dei Consiglieri di opposizione, ma da documenti ufficiali presentati con la relazione introduttiva al dibattito sul problema dell'assistenza nell'ambito del Comune di Torino? Sono esempi sufficienti per una riflessione?



REBURDO Giuseppe

L'alternativa non è quella di mandarli in istituto.



BERGOGLIO Emilia

Ho fatto un esempio di quella che è la struttura del servizio nell'ambito della città di Torino, dove da anni si sta dicendo che si vuole privilegiare l'assistenza domiciliare e la comunità-alloggio.
A volte ci sono delle difficoltà obiettive a realizzare queste esperienze alternative, ma mi sembra scarsa la volontà di attuare realmente questa alternativa da parte di un'amministrazione di sinistra.
In realtà non è soltanto un problema di cambio di mentalità, di modificazione dell'impostazione complessiva, è un problema reale di difficoltà oggettive che in molti casi non sono affrontabili con gli schemi proposti dalla legge 20 e dai successivi provvedimenti di attuazione. Se così non fosse, perché non si è andati avanti su quella strada quanto meno nell'ambito della città di Torino? Vorrei anche sapere perché tra i funzionari alle consultazioni l'intervento più duro, più critico, più pesante al riguardo è stato proprio dal responsabile di questi servizi che non è certamente un uomo della D.C.
visto che è stato Consigliere comunale del P.C.I. a Torino qualche anno fa e che comunque non rinnega questa sua militanza.
Non è la prima volta che parliamo dei problemi dell'assistenza e probabilmente non sarà neanche l'ultima; certo non possiamo continuare a fare delle esercitazioni dialettiche sul tema dell'assistenza in una visione mistificante di un problema che è drammatico.
Continuiamo a fare dei dibattiti rimandando la soluzione dei problemi a tempi a venire, continuiamo a baloccarci su schemi più o meno ideologici che in realtà tutti quanti consideriamo superati e non applicabili.
In tutte le epoche, in tutte le storie, in tutti i Paesi, si è parlato di miti, di riti e di tabù.
Noi però siamo preoccupati del fatto che in questa Regione miti, tabù e riti intoccabili stanno diventando le strutture di assistenza, stanno diventando queste leggi che anziché creare una nuova mentalità creano soltanto delle inutili attese e delle preoccupazioni gravi, preoccupazioni che sono andate al di là delle intenzioni, se è vero che i documenti questa amministrazione li ha comunque prodotti, se è vero come è vero che le preoccupazioni erano giustificate.
Se poi nei documenti si scrivono delle cose tanto per fingere di fare qualcosa di nuovo con l'intenzione però di non attuarle, vuol dire che siamo arrivati a livelli di scarsa serietà.
Credo e ritengo che quando si scrive un documento, una deliberazione si debba credere che quello che si scrive lo si voglia poi realizzare.
E' ora di finirla di parlare di cambio di mentalità, di modifiche che poi all'atto pratico non producono assolutamente nulla tranne che documenti e ordini del giorno.
E' necessario prendere impegni precisi e definiti. La nostra proposta di legge non è intoccabile, la nostra proposta di legge è un contributo serio per affrontare in modo adeguato e aderente alla realtà piemontese i problemi drammatici in tema d'assistenza.
Cerchiamo di stare con i piedi per terra.
I dati ufficiali del Comune di Torino che ho illustrato dimostrano che è finito il tempo dell'assistenza "parlata".



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Ha chiesto di parlare il Consigliere Cernetti. Ne ha facoltà.



CERNETTI Elettra

Il Consigliere Martinetti, per il quale ho il massimo rispetto anche se avversario, ha un equilibrio che lo rende estremamente accettabile e che predispone alla collaborazione.
Gli altri Consiglieri del suo partito invece hanno tutt'altro atteggiamento, un atteggiamento di assoluto abbarbicamento al passato e questo indubbiamente sconcerta.
Diamo atto al Consigliere Martinetti che la legge 20 non è perfetta e lo avevamo già constatato. Però da questa constatazione a quello che è successo in questi ultimi mesi ci passa una bella differenza.
Si dice che l'esperienza dimostra che la legge 20 non è attuabile, ma a questa osservazione è facile ribattere che l'attuazione è appena agli inizi in una situazione tra l'altro di difficoltà obiettive perché manca di una legge nazionale con tutte le conseguenze che derivano sul personale, con tutte le conseguenze sul settore assistenziale.
I fondi poi erano già scarsi quando venne approvata la legge nel 1982 i successivi tagli alla spesa pubblica ne hanno reso ancora più difficile l'applicazione.
Certo, se avessimo avuto a disposizione un certo numero di miliardi a quest'ora saremmo a tutt'altro stadio di avanzamento.
Oltre a queste carenze se ne aggiunge una terza: in molti casi la mancanza di volontà di applicazione della legge che significa mancanza di volontà di vero cambiamento. E' stato detto qui che la legge 20 ha apportato un reale danno perché ha bloccato la fantasia.
Questa affermazione non la ritengo molto oggettiva. Quale fantasia ha bloccato? Quella fantasia che da più di cent'anni ha dato sempre e solo una risposta: l'istituto? Voi potrete chiamarla presunzione di essere nel giusto, ma tutte le nazioni più avanzate in termini di servizi socio-assistenziali destinano il 60 per cento del bilancio assistenziale all'assistenza domiciliare, il che significa deistituzionalizzazione o quanto meno non ulteriore istituzionalizzazione, il che significa approvare il bilancio fondamentale che è quello di far rimanere anziani, handicappati, minori di famiglie disastrate nel proprio contesto abitativo e sociale.
Si chiede perché a Torino vi siano solo sei comunità. Ci rendiamo conto che cambiare è difficile? Dopo che un tipo di assistenza si è cristallizzato, si è fossilizzato attraverso i secoli, cambiare significa lottare contro una serie di strutture, contro le mentalità. Non voglio dire che un settore che risponde a un determinato colore è progressista, tutto quello che risponde ad un altro colore è invece fermo su posizioni retrograde.
Questo assolutamente non lo voglio dire. Non dimentico che dove la legge 20 trova migliore applicazione è proprio in una provincia che ha un caratteristico colore: è la provincia di Cuneo.
L'unità socio sanitaria locale più avanzata è quella di Mondovì che è stata una delle primissime ad assumersi i servizi socio- assistenziali, che ha applicato la legge 20 magnificamente bene; il che dimostra che la legge non è utopica, che non è fantastica.
E' una legge che quando è stata approvata non ha suscitato il grosso clamore che sta suscitando ora, alle porte di una consultazione elettorale.
La legge 20 è nell'ambito delle intenzioni della legge quadro nazionale e vorrei ricordare, a quanti hanno parlato di incostituzionalità, che è stata approvata da cinque Ministri: Altissimo, Aniasi, Andreatta, Darida Rognoni, che conoscono la Costituzione e che hanno approvato i principi della legge 20.
La deliberazione relativa agli standards ed al personale può avere accentuato una legge già rigida e che tale voleva esserlo, perché bisognava dare il segno che qualcosa doveva cambiare.
Però, questa drasticità è stata riconosciuta dalla maggioranza, la quale immediatamente ha assicurato che determinate proposte avanzate di gradualità nei modi, di gradualità nei tempi verranno recepite nel piano sociosanitario le cui consultazioni sono ormai quasi terminate.
Questo dimostra lo spirito di collaborazione della maggioranza, la quale non si barrica assolutamente dietro qualcosa di inamovibile. Soltanto le leggi della natura non si modificano, quelle degli uomini invece sono soggette a modificazioni.
Le norme della legge 20 sono così innovative che l'impatto sul territorio può essere più forte rispetto ad altre leggi che non contengono questa carica innovativa.
Per quanto riguarda la rigidità delle strutture, abbiamo già detto che questa rigidità può essere, anzi deve essere articolata, deve essere graduata.
Non riesco a capire l'avversità che molti dimostrano verso le comunità alloggio. Ci sono anziani che vivono in abitazioni degradate o anziani che piuttosto di vivere soli preferiscono i nuclei che riproducono il modello della famiglia, anziani che vogliono vivere una vita meno alienante.
Sono stati chiusi gli istituti provinciali per l'infanzia, sono state create le comunità alloggio per minori nei confronti delle iniziative volte ai minori, non si protestava, non si fiatava.
Capisco che è difficile tirare fuori dagli istituti gli anziani che sono istituzionalizzati da anni. Si cerchi perlomeno di non metterne in continuazione negli istituti.
Sono perfettamente d'accordo con il Consigliere Reburdo quando dice che la legge 20 offriva anche spazi di sperimentazione. Attenzione però! Perch dietro l'etichetta di sperimentazione non deve esserci la continuazione del vecchio sistema.
Non è la sperimentazione delle comunità alloggio, che sono contenute nella legge, non è la sperimentazione delle case protette, che sono nella legge, ma è sperimentazione di servizi oppure di strutture alternative.
Non sono stati usati questi spazi il che vuol dire che manca la volontà di applicare la legge, manca la volontà di cambiare.
Si dice che la legge 20 è una legge fatta di sole parole, che antepone i sogni alla realtà quotidiana.
Non perché come ex Assessore all'assistenza sono stata quella che l'ha proposta, ma io la voglio sostenere, secondo quanto ha detto il Consigliere Martinetti e cioè che è una legge che onora la legislatura della Regione Piemonte.
Leggi come questa creano una mentalità, leggi come questa fanno discutere su problemi che da tempo erano sopiti, è una legge che ha fatto uscire gli anziani, gli handicappati, i minori dagli istituti, ma soprattutto gli anziani per il peso e l'incidenza che hanno sulla Regione.
Gli anziani sono ritornati vivi. Il fatto che continuiamo a discuterne anche in modo acceso fa sì che tutti, siano di un colore o di un altro progressisti o meno progressisti, vadano verso soluzioni adeguate innovative, senza rinnegare il passato, tutto ciò che le forze religiose hanno fatto in supplenza ed in carenza della pubblica amministrazione.
Dobbiamo però porre alla base criteri muovi e mentalità nuove perch attraverso i secoli la mentalità è cambiata e non accorgersene sarebbe non essere conformi e non essere attenti ai profondi cambiamenti della società.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MARCHIARO

Ha chiesto di parlare il Consigliere Nerviani. Ne ha facoltà.



NERVIANI Enrico

Avevo preparato un articolato intervento per questa sera, ma l'ho ritenuto largamente superato dall'intervento del collega Martinetti e dalle considerazioni acute, concrete, centrate dell'amica e collega Bergoglio per cui ritengo di dovere intervenire in questo dibattito soltanto per puntualizzare alcuni aspetti dei problemi in discussione e in parte per cancellare alcune impressioni sollevate dalle pennellate finali della collega Cernetti di cui è sempre più evidente la propensione a manifestare apertamente i suoi amori politici e quello per Martinetti in particolare.
Originale è poi la sua abitudine a fare periodicamente la pagellina di tutto il Gruppo democristiano, che ha già diviso in buoni e cattivi; io sono contento di parlare dopo di lei, così almeno per questa sera non sar votato.
Voglio anche fare una considerazione in ordine al discorso fondamentale che la collega Cernetti ha portato avanti sugli istituti, per i quali manifesta sempre una grandissima simpatia, a parole, ma che poi collega sistematicamente ad immagini di perversione, di abitudine alla reclusione e alla separazione che determinerebbero per gli anziani avvilimento quotidiano.
A me non sembra che questo binomio si possa comporre, lo ritengo che la maggior parte degli istituti, soprattutto di quelli religiosi, abbiano svolto, continuino a svolgere e continueranno a svolgere un ruolo importante e serio. E' questo un punto di differenziazione notevole rispetto a quello che dice la collega Cernetti.
Proprio nella relazione alla legge 20, nel passaggio in cui si prevede che l'iniziativa del privato dovrà mano a mano scemare, sta la distinzione tra la sua posizione e la nostra. La nostra posizione sollecita lo Stato ad intervenire sempre meglio a favore di coloro che hanno bisogno, ma al tempo stesso, riconosce al privato, ai religiosi, a chiunque voglia esercitare la propria carità, il diritto di farlo in piena autonomia, con assoluto rispetto (da parte della comunità) essendo la sua iniziativa, riconosciuta come complementare all'azione che lo Stato svolge, deve svolgere e in questo tempo svolge in maniera soltanto limitata. Non mi pare che il tono dell'intervento della collega Cernetti favorisca quel ripensamento generale che è stato promesso anche con l'impegno alla presentazione di un ordine del giorno. Vi sono accenni che forse sarebbe meglio tralasciare ma che non si possono obiettivamente trascurare soprattutto quando la collega Cernetti fa riferimento alla strumentalizzazione pre-elettorale che di questo argomento si farebbe. Come si possono dire queste cose quando la delibera sulle autorizzazioni l'ha presentata la Giunta? E' stata questa deliberazione a far scatenare di nuovo il dibattito sugli anziani, il dibattito sui ricoveri, sulle case protette, sulla problematica degli emarginati, degli handicappati e così via. Noi non siamo andati a cercare nulla, non abbiamo fatto nessuna sollecitazione: siamo stati, assieme a numerosi altri che hanno la nostra stessa sensibilità provocati da una richiesta di approvazione di deliberazione che non era assolutamente accettabile, come adesso dalla Giunta stessa è riconosciuto.
Non avremmo sollevato per nulla questo problema se non vi fossimo stati violentemente costretti, almeno fino all'approvazione del nuovo piano socio sanitario.
Questo ci è arrivato come attacco: noi continuiamo invece a dire che su alcuni argomenti la strumentalizzazione è un atto colpevole. Noi non intendiamo strumentalizzare nessuno, soprattutto, lo ripeto, utilizzando questi mezzi e questi argomenti.
Noi riconosciamo che le cose dette da alcuni amici questa sera sono positive, come sono positivi gli stimoli culturali che la legge 20 ha determinato. Ma badiamo bene: anche se siamo convinti che i predicatori avevano e hanno una loro funzione, che l'utopia ha una sua forza positiva noi non dobbiamo dimenticare che siamo legislatori, che legiferiamo "in ora" per risolvere i problemi che ci sono adesso, per dare delle prospettive alla gente che ne ha bisogno in questo momento. Il peggior legislatore che esista è il legislatore che fa delle fughe in avanti, che prospetta dei traguardi irraggiungibili e che non fa neanche un passo per avvicinarsi a questi traguardi. E' su questo che noi siamo in posizione notevolmente critica e notevolmente polemica. Non ci sentiamo di essere messi nel ghetto di coloro che sono arretrati, retrogradi, da parte di coloro che presumono di essere progressisti. Ma dov'è il progresso? "Progresso" vuol dire togliere ogni possibilità di speranza a migliorare le condizioni degli istituti attualmente esistenti? Progresso vuol dire accusare altri di fare qualche cosa, mentre non si fa assolutamente nulla? Progresso vuol dire dare possibilità di risposta secondo la legge a 20 a 40 persone nella città di Torino contro le 4.000 che sono assistite attraverso gli schemi tradizionali superati, da buttar via? Io non credo che si possano usare schemi troppo semplificatori . Noi cerchiamo solo di essere e di apprezzare i realisti che intendono esercitare un servizio, esercitare la carità e siamo nella necessità di contestare coloro che invece si fanno vincolare dagli ideologismi ed impediscono a tutto il corpo sociale di procedere in un sereno confronto per il miglioramento complessivo delle condizioni degli emarginati.
Se dobbiamo approvare l'ordine del giorno, ci sia una condizione precisa; che la si smetta con questo sospetto e con queste accuse. Siamo magari su posizioni diverse, più articolate, ma crediamo almeno che entrambe le forze contrapposte vogliano condizioni migliori per coloro ai quali noi guardiamo nel momento in cui ci accingiamo a modificare questa legge 20.
Se andremo a trattare il problema col piano socio-sanitario dovremo affrontare gli aspetti in assenza di esasperazioni ideologiche che ci incatenano e ci impediscono di dare alla società quanto essa si aspetta.
E scusate se non ritorno sulla problematica sollevata dalla deliberazione sulle tipologie. Qui si continua a ripetere, e Bajardi fa tutti gli sforzi possibili per rompere gli schemi preesistenti, che gli anziani debbono "stare bene" - perché questa è la filosofia di fondo. Ma gli anziani debbono "stare bene" in due realtà: nelle comunità alloggio e nelle case protette. E questo valore vincolante della prospettiva che noi stabiliamo per altri infragilisce la prospettiva stessa. Non siamo noi a decidere in termini intransigenti quali siano le condizioni nelle quali una persona deve "star bene". Una persona può stare bene nelle strutture previste dalla legge 20, nella casa protetta, nella comunità alloggio, ma una persona può anche essere in condizioni assolutamente civili, vivibili positive, quando attorno a lei ha 30, 40, 50 persone in un ambiente sereno organizzato, carico della condizione fondamentale per una comunità che è la condizione dell'amore civile, amore sociale e amore cristiano.
Non è la condizione strutturale, la condizione fisica, pure essa importante,quella determinante. Noi riteniamo che occorrano altri elementi forti, che non sono soltanto quelli fisici, che possono avere rilevanza, ma non sono certamente i fondamentali. Quello che chiediamo già da ora (perch nel piano sociosanitario la discussione sarà intensa su questo punto) è che l'ideologismo che vincola nella prospettiva attuale delle tipologie così limitate venga fatto saltare e si allarghino le maglie e si prevedano tutte le condizioni in cui un anziano possa stare bene e voglia liberamente autonomamente stare bene.
Se non si parte da questa riflessione preliminare la discussione parte male.
E' stato fatto anche il discorso delle autorizzazioni con tanta forza e sono state fatte accuse contro coloro che presuntamente non accetterebbero i vincoli autorizzativi. Ebbene, io dico che anche questo problema salterà nel momento in cui salterà la logica ferrea della tipologia vincolata.
Nessuna realtà, appena sensibile ai problemi degli anziani, vuole sfuggire ai controlli sul piano dell'igiene, sul piano del rispetto della persona. Quello che non può essere accettato è che i controlli vengano fatti per verificare l'aderenza a dei principi vincolanti, esclusivi e limitanti qualunque libertà di pensare l'assistenza o di ricevere l'assistenza.
Con questo taglio e con obiettiva disponibilità, noi chiediamo di prendere in esame l'ordine del giorno, e soprattutto chiediamo di introdurre il discorso sul piano socio-sanitario per la parte che riguarda i servizi residenziali tutelari.
Un'ultima considerazione e chiedo scusa alla Presidente se ho abusato anch'io del tempo che è stato messo cortesemente a disposizione. Con la legge di riforma del servizio psichiatrico, la n. 180, abbiamo tolto i malati di mente dagli ospedali e riteniamo questo un atto civile ed atto cristiano. Abbiamo preso questo malati e li abbiamo lasciati per la maggior parte liberi, ma in grande misura anche soli. Vogliamo dimenticarci per ora di questi, per ricordare anche che abbiamo preso molti malati e li abbiamo restituiti alle proprie famiglie caricandole del peso insopportabile di cui per qualche momento prima potevano essere sollevati. Per quanto riguarda parecchi anziani malati che sono all'interno delle famiglie e che non riescono più a mantenerli, non abbiamo creato le strutture perché potessero essere adeguatamente assistiti e curati altrove. Ne abbiamo invece restituiti altri alle famiglie, perché non possiamo accoglierli nelle strutture previste dalla legge 20. Abbiamo in sostanza previsto recuperato, questa idea positiva della famiglia alla quale noi, democratici cristiani, abbiamo sempre fatto costante riferimento, ma onestamente, la Regione Piemonte quali iniziative ha fatto per sorreggere economicamente le famiglie che si caricano di questi pesi sociali, che sono loro, ma che sono di tutti? Quali interventi economici sono stati mai erogati in termini consistenti perché il peso fosse sopportabile, accettabile e tale da consentire la creazione di condizioni per vivere una vita degna? E' tempo di smettere di fare enunciazioni di principio senza dare conseguenza alle stesse. Noi vogliamo legiferare ora, rispondere ora con i pochi mezzi che abbiamo a disposizione ai problemi. E stiamo ancora attenti di non cadere nell'esagerata perfezione dei pochi esempi che stiamo mettendo in atto per dimostrare che vi è un'assistenza alternativa. Spesse volte si commettono in questi casi delle solenni ingiustizie. Tra gli stessi bisognosi vi sono alcuni a cui l'istituto sociale guarda con particolarissima ed esagerata attenzione e vi sono altri a cui l'istituto sociale non dà alcuna attenzione, non riserva alcuna cura. Questa non è giustizia: giustizia significa dividere equamente le poche risorse che ci sono fra coloro che ne hanno bisogno. Questa è la via che dobbiamo battere senza fughe in avanti, senza ideologismi, con coraggio, anche il coraggio di essere criticati per essere un pochino moderati e troppo realisti.



PETRINI LUIGI



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

Ha chiesto di parlare il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Svolgo a nome del Gruppo un intervento breve, intanto perché ho l'impressione che di dibattito politico non si tratti, ma di rappresentazioni ulteriori di posizioni peraltro già molto note e cristallizzate.
Quindi sostanzialmente non si sono fatti molti passi avanti né dall'una né dall'altra parte dei contendenti, se contendenti ci sono.
A noi sembra di dover riconoscere che la legge 20 ha comunque preso le mosse da una realtà che non è condivisibile dalla coscienza comune di un paese civile. La situazione delle strutture per anziani non è compatibile con la moderna coscienza civile.
Il Consigliere signora Cernetti (ma vorrei chiamarla Assessore) ha fatto un durissimo attacco al suo collega subentrante. Quando si dice che manca la volontà di cambiare a chi si riferisce? Certamente non all'opposizione che non ha strumenti per applicare la legge, non ha strumenti per cambiare le situazioni.
Non si riferisce evidentemente ai destinatari delle leggi, cioè agli anziani, non si riferisce neanche ai titolari delle strutture.
Collega Cernetti, noi sappiamo bene che l'attenzione e le risorse di questa Giunta sono state usate in vista di un progetto politico sulla sanità che l'opposizione ha contestato. Le risorse sono state indirizzate per togliere spazi ad alcuni soggetti per privilegiare altri soggetti. C'è stata una battaglia politica, in politica l'uso delle risorse è lo strumento principe.
Quindi la gestione di questa Giunta sul piano socio sanitario in particolare su quello esaurito è stato finalizzato a cose ben precise. Da qualche parte esiste un'interrogazione per cercare di capire perché la nostra Regione spende più di altre per ricoveri all'estero per interventi che le cliniche private di Torino fanno a favore di altre Regioni italiane ma che non possono fare a vantaggio della Regione Piemonte. E' una politica. Non è strano quindi che non ci siano state le risorse per applicare o per cambiare, collega Cernetti. Bisognerebbe pure che il Partito socialista cercasse anche di capire se questa maggioranza è una maggioranza revanscista o una maggioranza progressista. Una maggioranza progressista si muove in una realtà e cerca di cambiarla in positivo. Una maggioranza revanscista è una maggioranza che si muove in una realtà e tende a punirla.
Noi abbiamo l'impressione che molte volte si voglia vendere per progressismo quello che è revanscismo. Abbiamo l'impressione, collega Cernetti che proprio su questo settore non ci sia da parte della maggioranza di sinistra, ed in particolare del partito comunista, questa voglia di cambiare e di realizzare in positivo, ma soprattutto di punire quello che del sistema esistente non si condivide.
Questo è il succo dei ragionamenti che non abbiamo fatto noi, ma che ha fatto la collega Cernetti che vota questa Giunta, che vota i vostri bilanci, che vota il Piano di sviluppo.
Quando si fa un intervento politico, collega Cernetti, le parole hanno dei significati, sono pietre.
La legge da chi viene applicata, collega? Chi fa una deliberazione vincolativa di applicazione della legge 20 deve anche sapere che ha gli strumenti per governare l'applicazione della legge 20, quindi le risorse finanziarie, le strutture alternative (che evidentemente non ci sono).
Peraltro quello che mi disturba in questa contrapposizione fra due soggetti, il presente e il futuro, è che si danno troppi giudizi positivi sulla legge 20, però la legge 20 in effetti nessuno la vuole applicare.
Mi sembra la storia della figlia brutta che nessuno vuole sposare e quando è sposata, magari è ricca, tutti dicono che l'avrebbero voluta sposare.
E' molto strano che una legge che piace a tutti non venga applicata. La Giunta ha le sue responsabilità.
L'Assessore probabilmente potrà dirci in che misura per esempio l'altro soggetto, il privato, al quale pongo grande attenzione, ha applicato questa legge.
Vorrei capire dove sono le resistenze. Se sono nella Giunta nella misura in cui non destina sufficienti risorse, cerco di individuarne i ritardi politici o addirittura una procedura gattopardesca per non applicare la legge, guarda caso, voluta da un progressista e non da un revanscista. Ma se mi rivolgo al sistema privato, ho l'impressione che il sistema non intenda cambiare, probabilmente ritiene di essere nel giusto e di volersi conservare com'è come sistema fisiologico. Chiunque di noi tende a diventate conservatore di se stesso e chiede agli altri di essere progressista rispetto a quello che lui non è.
Quindi è abbastanza normale che il privato tenda a consolidarsi e a conservarsi.
Probabilmente si dovrà fare una riflessione approfondita sulle ragioni che impediscono a questo processo di andare avanti. A noi sembra di individuarne alcune di natura politica che vanno attribuite alla non sufficiente operatività della Giunta, altre probabilmente vanno ricercate nella resistenza culturale della gente a trasformarsi rispetto ad un obiettivo che, se in qualche misura è lontano dalla realtà, certamente non è da rifiutare.
Il nostro Gruppo si asterrà sulle determinazioni che verranno assunte.
Si asterranno in particolare sulla richiesta di non passaggio agli articoli perché avremmo ritenuto che il procedimento da seguire avrebbe dovuto essere quello della richiesta del passaggio in Commissione dopo la illustrazione da parte dei proponenti.
Questo avrebbe giustificato e reso possibile un confronto in Commissione, quindi il dibattito e la votazione.
L'ordine del giorno invece di non passaggio agli articoli stronca la discussione in modo anomalo ed è politicamente scorretto nella misura in cui trasferisce al piano sanitario questa problematica.
Non è la prima volta che la maggioranza spoglia i portatori di proposte legislative del loro potere. L'abbiamo detto in un'occasione che già riguardava la D.C. Lo ripetiamo in questa occasione che riguarda di nuovo la D.C. Non mi sembra giusto che il Consiglio trasferisca al piano sanitario il dibattito odierno, in una qualche misura rendendo protagonista la Giunta e la maggioranza di un problema che, nel bene e nel male è stato sollevato dalla D.C. che quindi ha il diritto e il dovere di portarlo fino in fondo.
Questa maggioranza ha la capacità di appropriarsi delle tematiche altrui: questo però non è un ruolo parlamentare corretto.
L'esempio che ho fatto prima si riferisce all'istituzionalizzazione di una pluralità di UU.SS.SS.LL. al posto dell'unica esistente.
La Giunta non ha mai fatto una proposta in questo senso, ma parlava di razionalizzazione e di accorpamento dei servizi sul territorio. E' arrivato in aula con un testo che parlava della istituzionalizzazione e della pluralità delle UU.SS.SS.LL.
Questo, Assessore, è un processo legislativo scorretto. Io mi rendo conto che questi aggettivi disturbano chi lavora in buona fede, ma allora rivediamo i nostri regolamenti.
Una legge deve avere a monte un proponente e alla fine un decisore che è il Consiglio regionale. Non è pensabile che una legge non venga presentata in nessuna sede e arrivi in aula.
Quindi sull'ordine del giorno relativo al non passaggio agli articoli ci asteniamo. Perché non votiamo contro? Ho suggerito agli amici della D.C. un'altra strada che però non hanno ritenuto di percorrere: quella più corretta del ritorno in Commissione ai sensi del regolamento, sia pure con termini abbreviati.
Quindi non è del tutto fuori luogo l'accusa di strumentalizzazione della D.C. al P.C.I. Non si capisce perché si voglia chiudere oggi questo dibattito, obbligando le forze politiche a pronunciarsi su un argomento non ancora maturato in sede di Commissione. Ci troviamo di fronte ad una proposta illustrata dai proponenti, ma non arricchita dalle valutazioni della società che sono essenziali perché il dibattito, possa avvenire.
Noi quindi ci asterremo sulla richiesta di non passaggio agli articoli e sull'ordine del giorno che trasferisce questa tematica al piano socio sanitario. Peraltro ci auguriamo che si vada avanti sul piano del dibattito culturale. I nostri dibattiti all'esterno vengono letti da chi è nelle condizioni di non essere più obiettivo perché costretto il più delle volte da ragioni di necessità. Certo, è facile ottenere il consenso di infelici su questo, ma dobbiamo avere la consapevolezza che se anche i limiti odierni di risorse, di maturazione culturale, di strutture ci fanno considerare non praticabile una legge di riforma, dobbiamo peraltro essere convinti che una modifica del sistema deve essere il nostro obiettivo. E' giusto quel che è stato detto in un intervento della D.C. Bisogna essere attenti in politica a disegnare in modo equilibrato gli obiettivi e gli strumenti per perseguire gli obiettivi.
Altrimenti si cade nel velleitarismo o nell'accusa di non volontà di applicazione e di non volontà di cambiamento. Mi auguro che la forza politica che su questa vicenda ha assunto una iniziativa protagonista, la D.C., voglia riproporre questa argomentazione nella sede opportuna in cui avremo spazio per disturbare e per cercare di cogliere un obiettivo più realistico e per contestualmente mettere in pista azioni più incisive proprio perché non ci sia ancora una volta la dimostrazione di come la politica nel suo complesso, i soggetti, gli strumenti, le istituzioni siano lontani dalle aspettative della gente.
La gente che è portatrice delle aspettative oggetto della presente legge ha uno spazio temporale molto ridotto.
L'anziano che si aspetta una risposta ai suoi problemi tende a vederne la soluzione a tempi molto stretti.
Rispetto a questi problemi bisogna riuscire a coniugare obiettivi ambiziosi, per quanto realizzabili, con strumenti e interventi calibrati per il loro raggiungimento. Sono convinto che se riusciremo a fare questa opera di raccordo e di armonizzazione tra gli obiettivi, le risorse e gli strumenti, probabilmente riusciremo a fare cadere questo clima di mobilitazione, che è apprezzabile da certi punti di vista, ma è anche espressione e sintomo del grande malessere, del grande bisogno di strutture, di assistenza e di comprensione che ha gran parte dei cittadini.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PETRINI

Vi sono altri interventi? Ha chiesto di parlare il Consigliere Devecchi. Ne ha facoltà.



DEVECCHI Armando

Chiedo la parola per due ordini di motivi, intanto perché sono stato chiamato in causa in quanto non ho colpevolmente illustrato i motivi per cui la legge è stata portata in aula.
Il motivo è semplicissimo: non ero presente quando si è iniziata la discussione. In secondo luogo, riallacciandomi a quanto ha detto il collega Marchini, per richiedere a nome del Gruppo D.C. il rinvio in Commissione della proposta di legge.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

Se non vi sono altre richieste di intervento nella discussione generale, darei la parola all'Assessore Bajardi per la conclusione della discussione stessa.
La parola all'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore all'assistenza

Non mi propongo di concludere questa discussione. La mia opinione è che discutere dei problemi della legge 20 e di tutti gli aspetti in essa contenuti, anche quelli impropriamente collocati al suo interno, di politica di programmazione, significa entrare in un contesto che superi la regolamentazione della materia attraverso leggi diverse e riportarla tutta al piano socio-sanitario.
Ritengo che la proposta avanzata di discutere di queste questioni all'interno del piano non è un escamotage ma la strada corretta per dare soluzioni funzionali. La politica degli anziani non può essere affrontata come politica assistenziale, va affrontata nel complesso della politica socio-sanitaria.
Nel corso delle consultazioni qualcuno sosteneva che il servizio sanitario non si fa carico in modo adeguato dei problemi degli anziani così viene letto il capitolo "Progetto anziani", altri hanno letto lo stesso capitolo come un eccesso di sanitarizzazione degli anziani.
Come troviamo la soluzione giusta? Discutendo in termini di assistenza? La risolviamo confrontando le opinioni, assumendole nel lavoro della Commissione.
Questo Consiglio sarà chiamato a discutere la legge di piano nella sua globalità, per ricercare quel giusto equilibrio che permetta di trovare elementi di integrazione funzionali e reali tra sanità ed assistenza.
Aspettiamo il decreto; la legge finanziaria per il 1984 prevedeva il coordinamento dei rapporti tra sanità ed assistenza che permette l'utilizzo corretto delle risorse, salvaguardando gli amministratori delle UU.SS.SS.LL. da responsabilità civili e penali, visto che si sono indicati spesso come dilapidatori dei soldi del servizio sanitario; ma questa direttiva, malgrado fosse stata rapidamente approvata dal Consiglio sanitario nazionale, non è ancora stata diramata.
Il documento che è stato approvato dal Consiglio sanitario nazionale e che mi auguro si traduca rapidamente in una direttiva di coordinamento affrontava i problemi degli anziani, dell'infanzia, dei tossico-dipendenti il progetto materno-infantile, i problemi della salute mentale e dava indicazioni metodologiche chiare partendo dal bisogno vero del singolo cittadino e indicando i modi per risolvere aspetti anche banali di ordine economico-finanziario che sono poi quelli che ci mettono in difficoltà.
Alla legge 20 si possono attribuire colpe e meriti, in ogni caso una cosa non può essere dimenticata: che il Piemonte è l'unica Regione in Italia che non usa discrezionalmente i fondi che le pervengono da molti rivoli finanziati dallo Stato.
Le risorse finalizzate agli Enti locali vengono distribuite alle UU.SS.SS.LL. le quali hanno facoltà e possibilità di usarle anche per quelle finalità per le quali il collega Nerviani ci chiedeva conto.
E' scritto che i soldi della legge 20 ripartiti alle UU.SS.SS.LL.
possono essere usati anche in quella direzione.
Non abbiamo bisogno di aggiungere altre leggi, altre direttive. Abbiamo giocato la carta della fiducia alla USSL. come rappresentanza dei Comuni.
La società italiana affronta i problemi socio-assistenziali usando molte volte la parola "assistenzialismo" e mettendola tra virgolette, come qualcosa che non possiamo più affrontare stante la difficile situazione economica. Manca la volontà politica di considerare i problemi nella loro realtà.
E' fuori di dubbio che le critiche nel dibattito politico possono essere fatte verso tutti.
Non accetto - e lo dico con molta onestà - l'affermazione che si è fatto pagare all'assistenza un prezzo troppo caro rispetto alla sanità. E' una affermazione priva di fondamento, l'unica giustificazione è che quando non si conosce un problema si possono dire cose che non corrispondono alla realtà.
L'unica strada era quella dell'art. 30 della legge finanziaria del 1984, era la carta che dovevamo, che potevamo giocare.
Molto ci resta da fare nel campo dell'iniziativa politica. Se ci mettiamo attorno a un tavolo a discutere dando quella impostazione costruttiva che tutti auspichiamo, potremo risolvere facilmente il problema del rapporto tra il pubblico e il privato.
Nessuno vuole costringere le persone ad andare in luoghi dove non vogliono andare. Vorrei che si ripristinasse la verità.
Con il primo gennaio non si chiude nulla. Sono pronto a dimostrare che molte delle cose che sono scritte in quella deliberazione tanto malfamata corrispondono letteralmente a leggi dello Stato, magari pedanti, ma che tutti siamo tenuti a rispettare. Ci sono degli aspetti che non potevano essere modificati.
Possiamo trovare elementi di equilibrio e possiamo rovesciare il discorso da come è stato posto in una emulazione tra il pubblico ed il privato per offrire ai cittadini il servizio migliore.
Si può giocare la carta dell'emulazione. Non si è data una impostazione che presenta il pubblico come ipotesi che schiaccia il privato; se così è stata intesa, cancelliamola immediatamente, riprendiamo la discussione.
Forse la legge 20 si è presentata come strumento che istituiva l'impegno economico ed organizzativo dei Comuni, tant'è vero che le risorse impegnate per l'assistenza dai Comuni in questi anni, in tutti i Comuni siano rossi, siano bianchi, sia in quelli che hanno orientamenti laici, sia in quelli che hanno orientamenti religiosi.
Dobbiamo riuscire ad avere un sostegno dai Comuni. E' aperto un discorso istituzionale. So benissimo che nelle leggi nazionali si sono scritte proposte diverse da quelle scritte nella legge 20.
Ragioniamoci, ma con la grande preoccupazione che di fronte all'esigenza di omogeneizzare per riconoscere uguali diritti a tutti i cittadini in presenza di 1209 Comuni, si può correre il pericolo di dirigismo, quello che ci viene contestato, ma il pericolo maggiore è che i cittadini diventino portatori di diritti profondamente diversi. Non sfumiamo al problema di fondo che anima la proposta della D.C.: di considerare i cittadini come portatori di diritti singoli, ma portatori anche di diritti che la società e la dimensione regionale devono cercare di armonizzare in modo che nelle realtà locali non siano schiacciati dalle scarse o minori risorse messe dalla collettività a disposizione dei Comuni.
Più i Comuni sono importanti, maggiore è il riparto dei fondi.
Questa è l'ingiustizia di fondo che esige una riforma della finanza locale in modo che tutti i Comuni siano nelle condizioni di fronteggiare i diritti dei cittadini. Forse questa è la ragione per cui il piccolo ed il medio Comune non hanno stanziamenti.
Dobbiamo sforzarci per far crescere la volontà di impegnarsi, al di là della carenza di risorse, anche ricorrendo al volontariato, per poter rimuovere situazioni stagnanti, ma anche per trovare il modo di scuotere un atteggiamento troppo remissivo che non affronta con coraggio la sperimentazione.
Non ho nessun imbarazzo a dire che ci sono conservatori tra i laici e tra i religiosi.
E' fuori di dubbio che ognuno tende a collocarsi dalla parte di quelli che vogliono cambiare in modo evolutivo e progressista: in ogni modo l'uso di queste parole non può essere assolutamente monopolizzato da una forza politica o da un orientamento religioso.
La sede per discutere è quella del piano socio-sanitario. Non è un escamotage, non c'è volontà di sfuggire al confronto sui problemi. L'ordine del giorno che è stato presentato dai partiti che formano la maggioranza che secondo me è stato considerato superficialmente, pone con coraggio la discussione su quattro punti, che sostanzialmente sono quelli sui quali il collega Martinetti ha incentrato gli elementi cardine della legge 20.
Dobbiamo riflettere sulle tipologie, sui rapporti con il personale sull'assetto istituzionale.
Misuriamoci, ma non scambiamoci degli slogans. Il collega Nerviani nel suo discorso ha parlato di sollevazione determinata dalla deliberazione presentata dal sottoscritto.
Ognuno deve saper essere sempre padre dei propri figli e deve assumersene la responsabilità. L'intento era di dare l'adempimento che è previsto dalle leggi.
Quando si è proposto di riflettere su questo, il sottoscritto ha accettato la sospensione. La richiesta di discutere la delibera contestualmente con il piano mi è stata fatta prima delle ferie. Poi le vicende politiche camminano. Certamente la risposta del sottoscritto all'epoca non era assolutamente strumentale.
Cinque mesi dopo, questa è ancora la mia proposta.



PRESIDENTE

Colleghi, rimane adesso da decidere il da farsi. L'Assessore Bajardi ha espresso nella sua replica una disponibilità a considerare, nell'ambito della legge di piano socio-sanitario, contenuti che sono presenti nella proposta di legge 420, su cui abbiamo svolto la discussione generale. C'è peraltro da parte del Consigliere Devecchi una indicazione di disponibilità a rivedere in Commissione la legge. E' stato presentato dai Consiglieri Bontempi, Moretti e Mignone un ordine del giorno che recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte a seguito dell'ampia discussione avvenuta sul pdl 420: 'Modifica alla legge regionale 23.8.1982 n. 20 ritenendo possibile ed opportuna un'azione di verifica e di modifica ad alcuni punti della legge 20 in sede di approvazione della legge di piano socio sanitario 85/87 decide il non passaggio alla votazione degli articoli del pdl suddetto ai sensi dell'art. 77 del regolamento".
Vi faccio presente che ai sensi del regolamento questa proposta è prioritaria rispetto ad un'eventuale altra, che comunque va formulata motivata ed espressa o dalla Commissione o da tre Consiglieri, sempre ai sensi dell'art. 32 del regolamento. Ha chiesto di parlare il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Abbiamo presentato questo ordine del giorno che, sia pure esaminato ai sensi dell'art. 77 come questione preliminare, va letto in relazione alla discussione avvenuta e all'altro ordine del giorno che abbiamo predisposto e non presentato ufficialmente su cui abbiamo manifestato ampia disponibilità al confronto con chi realisticamente ha dato un contributo nella discussione dei contenuti per addivenire ad un'intesa che impegni nella sede della legge di piano alle verifiche ed alle modifiche relative che nel merito verranno indicate.
Il legame tra questi due ordini del giorno legittima la necessità e l'opportunità di votare oggi il non passaggio agli articoli.
Il ritorno in Commissione, infatti, avrebbe una controindicazione.
Intanto il ritorno in Commissione è praticato qualora il richiamo in aula venga usato al fine della mera precisazione del punto e la discussione nel merito viene rinviata nella sede della Commissione.
Qui si è svolto invece un interessante e ricco dibattito in merito al termine del quale è utile assumere la determinazione di procedere come indica l'ordine del giorno che abbiamo predisposto.
Siamo disponibili ad un confronto e ad operare le modifiche necessarie in sede di discussione della legge di piano. Auspicherei che questa sera assumessimo le determinazioni procedurali e votassimo l'ordine del giorno di merito relativo ai punti su cui intendiamo operare alla prossima scadenza.



PRESIDENTE

La discussione che si svolge in questo momento si riferisce all'ordine del giorno che ho testè letto, sul quale, ai sensi dell'art. 61 del regolamento, è possibile un intervento per Gruppo.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Marti- netti. Ne ha facoltà.



MARTINETTI Bartolomeo

Il nostro Gruppo continua a restare dell'opinione che la nostra proposta di legge era tempestiva e aveva una funzione sul piano della procedura legislativa e delle gerarchie fra le leggi e, posto che c'è vasto consenso sull'opportunità di procedere ad una modificazione di alcuni punti della legge 20, avrebbe dovuto portare a conclusioni più positive di quelle che sono state annunciate ora.
Noi rinunciamo ad altre forme di proposte, come ci è stato ricordato dal Presidente, perché ci rendiamo conto che c'è una questione di maggioranza.
La maggioranza è stata molto chiara dimostrando disponibilità al dibattito. Il dibattito è stato ampio. Riteniamo di sottolineare che la nostra richiesta di passaggio all'aula della proposta di legge quanto meno è servita a svolgere un dibattito ampio su questo tema, che ha provocato un grosso dibattito nelle settimane scorse nella Regione. L'abbiamo portato ufficialmente in questa sede e questo è sicuramente un dato positivo.
Noi rimaniamo dell'opinione che la proposta di legge avesse tutti i caratteri per essere seguita e per essere portata avanti, ovviamente, se questa fosse stata la volontà della maggioranza attraverso un rinvio in Commissione per poter passare all'esame analitico degli articoli. Poich ciò non avviene, a noi non resta che prendere atto della volontà su questo punto della maggioranza e con altrettanta sincerità e lealtà prendere atto della proposta di chiudere comunque il dibattito con un ordine del giorno che rappresenta un'espressione di volontà e di impegno.
Noi abbiamo letto l'ordine del giorno proposto dai Gruppi della maggioranza, abbiamo ascoltato le spiegazioni e le precisazioni che ha dato l'Assessore Bajardi, sia prima discorsivamente, sia adesso nella sua ampia replica, abbiamo richiesto alcune modificazioni che rendano questo ordine del giorno più chiaro.
Emerge una sostanziale modificazione rispetto alla presentazione che consente alla maggioranza ed a noi di non accedere alle rispettive vedute circa la adeguatezza dello strumento-legge di piano per risolvere questi problemi.
Noi restiamo dell'opinione che la legge 20 si modifica con una legge ad hoc. Voi siete dell'opinione che si può modificare con la legge di piano comunque, la sostanza dell'ordine del giorno secondo le modifiche da noi richieste dà atto dell'opportunità che nel momento in cui si dibatte sul piano, queste tematiche siano inserite, siano inglobate in questo dibattito. Sulla forma finale giuridica per giungere alle determinazioni il discorso resta aperto per noi e resta aperto per la maggioranza.
Vogliamo pensare che l'impegno di considerare certe cose ci sia non semplicemente per riconsiderarle, ma per riconsiderarle nella linea che è emersa dalla nostra proposta di legge, nella linea che è ampiamente condivisa da larghi strati dell'opinione pubblica piemontese.
Logicamente non possiamo accettare l'ordine del giorno di non passaggio agli articoli, siamo favorevoli sull'ordine del giorno conclusivo a cui siamo disposti anche ad apporre la nostra firma.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Io conservo personali ma motivate opinioni in ordine alla legittimità o quanto meno alla irritualità secondo la quale si è svolto questo dibattito e secondo il modo in cui è stato consentito dalla Presidenza che venisse svolto.
Non voglio sollevare questioni in assemblea. Mi ripropongo di porre la questione alla riunione dei Capigruppo. Confermo l'opinione già precedentemente espressa cioè di un voto contrario all'ordine del giorno di non passaggio agli articoli. Grazie.



PRESIDENTE

Collega Carazzoni, penso sia irrituale, perché in effetti è la prima volta che discutiamo una legge richiamata e poi verifichiamo che cosa fare.
Non mi sembra illegittimo, sempre riferendomi all'art. 32, in quanto il quarto comma recita testualmente che l'argomento viene iscritto all'ordine del giorno del Consiglio che deve discuterlo.
Allora il termine "discutere" può voler dire ad esempio, la discussione generale, così come si è svolta e come del resto tutte le discussioni generali che facciamo in modo esorbitante. Ma questo è un altro discorso non posso fare richiami su questo, evidentemente, se non nei casi estremi che qui però non ho ravvisato.
Colleghi sulla questione prioritaria dell'ordine del giorno di non passaggio agli articoli, se qualche altro collega vuole esprimersi lo pu fare. Ricordo che non può esserci più di un intervento per Gruppo.
Non ci sono altre richieste, quindi pongo in votazione l'ordine del giorno di non passaggio agli articoli, ai sensi dell'art. 77, stante la riserva di considerazione della materia nella legge di piano socio sanitario.
"Il Consiglio regionale del Piemonte a seguito dell'ampia discussione avvenuta sul progetto di legge n. 420: "Modifiche alla legge regionale 23 agosto 1982 n. 20' ritenendo possibile ed opportuna un'azione di verifica e di modifica ad alcuni punti della legge n. 20 in sede di approvazione della legge di piano socio sanitario 1985/1987 decide il non passaggio alla votazione degli articoli del progetto di legge suddetto, ai sensi dell' art. 77 del Regolamento".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato con 27 voti favorevoli e 19 contrari.


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

Per definire il modo di procedere chiedo una interruzione di due minuti per una riunione dei Presidenti dei Gruppi, qui al tavolo della Presidenza.



(La seduta, sospesa alle ore 18.20 riprende alle ore 18.25)



PRESIDENTE

La seduta riprende. Votiamo un ordine del giorno relativo alla legge 420 che si riferisce alle questioni discusse precedentemente, firmato dai Consiglieri Acotto, Mignone, Martinetti, Moretti, Montefalchesi e Gerini.
Il testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte riunito in data 6/12/1984 ha preso in esame il progetto di legge n.
420: 'Modifiche alla legge regionale 23 agosto 1982 n. 20, recante 'Indirizzi e normative per il riordino dei servizi socio-assistenziali della Regione Piemonte' presentato dal Gruppo della D.C.
Nel corso della discussione sono state sottolineate le connessioni con la legge n. 7 del 10/3/1982 e come pure con il D.D.L. n. 437 'Proposta di piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1985/1987'.
Il Consiglio regionale del Piemonte premesso che a due anni di distanza dall'entrata in vigore della L.R. n. 20, è da intendersi come necessaria ed opportuna una azione di verifica che si svolga all'interno di un confronto positivo tra differenti opinioni ed esperienze che tale confronto è reso possibile proprio perché in Piemonte si è voluto affrontare, con una scelta di grande rilievo, il tema del riordino dei servizi socio-assistenziali, almeno per quella parte che il DPR 616 ha affidato alle Regioni, ferma restando la grave mancanza di una riforma nazionale del comparto assistenziale, oggi ancora sostanzialmente ancorato alle norme della fine del secolo scorso che i valori fondamentali ed i principali obiettivi contenuti nella legge regionale n. 20, conservando una validità ampiamente condivisa, così com'è ampiamente sentita l'esigenza che lo Stato si faccia portatore di una reale solidarietà tra i diversi strati sociali su cui possa esprimersi e valorizzarsi in pieno l'apporto del volontariato di ispirazione religiosa e laica.
Rileato che nella fase di applicazione della L.R. n. 20 sono emersi alcuni ordini di problemi la cui natura e portata vanno certamente oltre il confronto politico che appare opportuno abbinare l'esame dei problemi suddetti al dibattito in corso per la definizione del piano socio-sanitario per il triennio 1985/1987 si impegna ad affrontare entro i termini dell'approvazione della legge di piano socio-sanitario per il triennio 85/87, l'insieme dei problemi sollevati dalle esperienze applicative della L.R. 20, dal dibattito proveniente dalla società civile religiosa dall'odierno confronto ed in particolare quello concernente: a) la necessità di una più ampia articolazione delle tipologie dei servizi residenziali tutelari b) i criteri e le modalità di adeguamento per le strutture esistenti nel rispetto della Costituzione repubblicana c) il sistema autorizzativo d) gli organici e le politiche per il personale e) gli aspetti istituzionali f) le modalità per la corretta utilizzazione dei fondi finalizzati".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
E' approvato con 42 voti favorevoli, 2 contrari e 2 astensioni.


Argomento: Università

Proposta al Governo per l'istituzione di un nuovo Ateneo in Piemonte (ex art.1 legge 590/82) (seguito)


PRESIDENTE

Punto ottavo all'ordine del giorno: Proseguimento esame "Proposta al Governo per l'istituzione di un nuovo Ateneo in Piemonte (ex art.1 legge 590/82)".
Nella seduta scorsa l'Assessore Ferrero aveva presentato la questione con una ampia introduzione. Ora apriamo il dibattito sulla relazione. Ha chiesto di parlare il Consigliere Ariotti. Ne ha facoltà.



ARIOTTI Anna Maria

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il dibattito svoltosi nell'aprile scorso ci esenta dal fare il riesame completo dei problemi che comporta l'istituzione di una seconda università in Piemonte. In quell'occasione sono state espresse con chiarezza le singole posizioni politiche e si sono avute come sempre polemiche, chiarimenti e precisazioni. Ad essi rimando per non ripeterci inutilmente. L'ordine del giorno allora votato ha aperto una nuova fase di contatti, di approfondimenti e di prime proposte operative. Richiamo in particolare il materiale consegnato dall'Assessorato nel luglio del 1984, discutibile come ogni documento teso a cogliere linee di tendenza nuove (anche se non mancano suggestioni rivolte al passato come le reti di conventi medioevali e rinascimentali) tutto nutrito di una cultura certo non provinciale aperto ad un mondo in rapida trasformazione, colto nelle sue articolazioni ed implicanze, documento discutibile - dicevo - e perciò stesso sollecitante.
Se le ipotesi prospettate sono vere, la possibilità di piccoli centri operativi ad alto livello di specializzazione, collegati tra loro attraverso una rete telematica e, se non in tutti i settori di ricerca, è molto probabile che lo siano o che lo diventino in un arco di tempo non troppo lungo, allora procediamo con tranquillità in questa prospettiva di università multipolare dal momento che ne costituiscono le giustificazioni culturali. L'operatività del C.S.I. già sperimentata da anni, è la struttura portante che garantisce l'organizzazione informatica necessaria.
Un avvertimento credo di potere e di dover fare. Non penso abbia ho stesso valore vivere la propria esperienza universitaria a Torino o in altre città periferiche se queste non offrono pari sollecitazioni culturali. La formazione di una persona non si attua solo nel chiuso di un laboratorio o di un istituto di ricerca, sia pure collegato attraverso le risorse della telematica e dei computers, al resto del Piemonte dell'Italia o dell'Europa. Una città deve poter mettere a disposizione spettacoli, concerti, mostre e dibattiti. Per questo è necessario continuare e potenziare quanto è già stato fatto dotando le città di strutture culturali ed usandole per immettere in un circuito più vasto quanto è prodotto sia a Torino, sia negli altri centri.
Il vuoto su cui sono state costruite certe città laboratorio, specie in America, sta già mostrando a quanto si legge molti effetti negativi.
L'Assessore ci ha già parlato, nel Consiglio regionale della scorsa settimana, dell'accelerazione improvvisa ed inaspettata non ingiustificata a quanto pare però, che ha dovuto subire tutto l'iter di definizione del progetto della seconda università.
Il documento che abbiamo oggi a mano, e nonostante il taglio dei tempi è una chiara indicazione di prospettive che concreta le indicazioni generali dell'ordine del giorno di aprile. Da parte di tutti, Enti locali Commissione e Assessorato, è maturata la convinzione che la via più semplice che presentava meno difficoltà e possibilità di contrasti, cioè quella di rimanere nella indeterminatezza dei corsi e delle facoltà, è la più debole e la meno sostenibile. Il Piemonte è credibile nel richiedere la seconda università per chi ha fatto lo sforzo di indicare settori di attività che aprono spazi di ricerca nuovi, di alta qualificazione in consonanza con le preesistenze evocazioni locali.
Non stupisce che le localizzazioni abbiano dato origine a murasti, in una certa fase, rischiando anche di vanificare il lungo e paziente lavoro svolto in questi anni.
Può accadere, senza un accordo di fondo, non solo di fare pure battaglie verbali mancando un interlocutore essenziale, il Ministero, che può dare linee prescrittive del tutto vincolanti, ma di riaprire un coro ben più vasto di aspettative e di esigenze. Altre città possono legittimamente farsi avanti. Perché non Biella culla del tessile, Ivrea con un'industria come la Olivetti alle spalle, perché non Casale dalla grande tradizione culturale, sede dell'industria del freddo della produzione delle rotative, che hanno conquistato i mercati internazionali, zona in grave crisi ma dalle potenzialità latenti. Il rischio è di non concludere più in tempi utili e di annullare l'elaborazione svolta anche dagli enti locali da quelli almeno che hanno saputo proporsi in modo credibile.
C'è l'esigenza di unità di decisioni per avere più forza contrattuale.
Credo che la costituzione di un comitato tecnico scientifico sia opportuno per aiutare la Regione e gli Enti locali a specificare e ad affinare le scelte durante tutta la fase di rapporto con il Ministero.
Il Gruppo comunista, pur nella pluralità delle posizioni interne che rispecchiano giustificate esigenze diverse, dà all'unanimità parere favorevole a questo progetto sottolineando con molta fermezza questi tre ordini di scelte; la volontà di costituire un nuovo ateneo multipolare nel Piemonte orientale, l'urgenza di uno stretto rapporto con gli atenei torinesi per un decentramento nel Piemonte sud di alcuni corsi come agraria, veterinaria, o nel settore agroalimentare, la necessità improrogabile di dare una soluzione positiva alla situazione ormai insostenibile degli atei torinesi.
All'Assessore il compito di portare avanti con la massima attenzione e sollecitudine possibile la proposta elaborata, con una larga partecipazione anche degli enti locali, sì da dare una soluzione positiva ad un problema sentito da tutto il Piemonte e che si trascina ormai da troppo tempo.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Gerini. Ne ha facoltà.



GERINI Armando

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, dopo il mio intervento in quest'aula nell'aprile scorso, ed a commento del progetto che oggi la Giunta ci invita a dibattere circa la proposta al governo di un secondo insediamento universitario a pieno titolo e multipolare nelle città di Alessandria, Novara e Vercelli, sottolineo che esso risponde alle norme di programmazione universitaria contenute nell'art. 1 della legge 590. Infatti quelle norme sono dirette ad assicurare uno sviluppo equilibrato delle strutture universitarie in aree del territorio nazionale che ne siano carenti. La nostra Regione è la sola ad avere nel suo territorio un unico Ateneo con un numero di studenti superiore a quarantamila, ha quindi diritto prioritariamente all'istituzione di una nuova università piuttosto che allo sdoppiamento di quella esistente.
L'ordine del giorno che quasi all'unanimità approvammo questa primavera non ha avuto fortunatamente la sorte di tanti altri ordini del giorno caduti nel nulla; impegnando tutti i parlamentari di ogni parte politica della nostra Regione, ha fatto si che oggi ci venga richiesto in tempi strettissimi dal governo il progetto che è alla nostra discussione.
Non è certo, a mio parere, con questo progetto, se verrà poi realizzato, che risolveremo i mali che affliggono l'ateneo torinese per il quale abbiamo all'attenzione un documento da considerare a parte.
Il progetto dell'università multipolare, in effetti, si colloca in una zona baricentrica rispetto ai capoluoghi del triangolo industriale. Si sforza di dare alle facoltà, ed ai corsi universitari un impianto culturale, scientifico e didattico originale e moderno, così come era nelle aspettative degli enti territoriali promotori.
Questo tentativo si colloca anche nella prospettiva di attrarre un nuovo mondo universitario che si integri nell'innovazione tecnologica ed in realtà legato al contemporaneo, i corsi di cultura e pratica dello spettacolo, i corsi di modelli e strumenti per il trattamento scientifico dell'informazione, i corsi per le arti e la sperimentazione artistica.
Mentre il progetto culturale e la scelta delle facoltà si può ritenere obiettivamente valida e rispondente anche alle esigenze postulate dagli enti locali, la localizzazione per contro delle facoltà all'interno dei tre poli universitari ha suscitato perplessità e discussioni, che, secondo le ultime notizie vanno scemando, e che io ritengo possano essere piuttosto di ordine campanilistico. Il fatto che non sia Alessandria a porre problemi di grosso rilievo lascia chiaramente presupporre che gli inconvenienti nascono da situazioni dovute al preesistente e che potranno essere appianate dopo l'inoltro del documento al Ministero. Mi pare che fosse nel vero l'Assessore Ferrero quando diceva che il nostro primo compito è quello di abbozzare un documento che non vincoli per ora né la Regione né il Parlamento e che agisca quale presupposto per una legge in modo da rispondere agli inviti dei parlamentari della nostra Regione che temono le pressioni che sono in atto per altri atenei. Il documento può non essere perfetto, ma mi pare che sia pur sempre perfettibile e ciò nasce dalle difficoltà di avere pochi elementi quadro che inseriscono i finanziamenti futuri, il numero degli studenti, i provvedimenti che potranno essere presi anche circa il numero chiuso ed altri ancora. In questo momento l'università tripolare, così come è configurata mi pare equilibrata e non troppo forte in nessuno dei tre poli.
Se questo documento sarà approvato, si dovrà sollecitare un incontro a livello ministeriale per lavorare nella seconda fase, quella fase che comporta riscontri precisi non solo per la localizzazione delle facoltà e dei corsi, ma anche e specialmente, per la disponibilità edilizia e per le strutture ed i servizi.
In questa fase potrebbe essere anche di notevole aiuto alla Regione ed agli Enti locali il comitato tecnico scientifico oppure un gruppo di lavoro che potrebbe avere anche componenti esterni al Consiglio.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi, noi siamo dispiaciuti di non aver potuto ascoltare la scorsa settimana la relazione introduttiva svolta dall'Assessore Ferrero, che però onestamente crediamo non avremmo preso a base di questo nostro intervento poiché intendiamo esprimere poche considerazioni secondo un taglio diverso e fuori dalla logica degli interventi che abbiamo sentito sin qui svolgere. Intendiamo cioè dire che noi siamo impegnati a sostenere il nostro civile impegno politico in una società che è dominata dai mass-media, i quali, portati a semplificare per meglio massificare la notizia, spesso deformano la verità oppure ne danno una versione parziale ed inesatta. Che cosa intendiamo dire con questo? Intendiamo dire che sovente l'informazione risulta in questo modo poco veritiera, anche quando non vuole essere scopertamente tendenziosa e faziosa, poiché non tiene conto delle sfumature, dei distinguo che ci sono che talvolta possono caratterizzare una determinata posizione, per cui è giocoforza avere presente questo stato di cose e comportarsi di conseguenza ad evitare, ad impedire che dal nostro dire vengano tratte poi delle conclusioni distorte.
Ci spieghiamo con un esempio: il progetto di legge per la Provincia del Verbano-Cusio-Ossola venne da noi accolto con molte e motivate perplessità che non furono né corrette, né fugate in sede di discussione generale eppure, nonostante le riserve che noi avevamo e che tuttora abbiamo su quel progetto, quel disegno di legge fu da noi votato. Perché? Perché se non avessimo fatto così, non si sarebbe registrato, come verità avrebbe voluto che alla Provincia del Verbano-Cusio-Ossola siamo favorevoli in linea di principio però dissentiamo dal modo con il quale si è voluto, si è preteso porre il problema e soprattutto si è pensato di darvi realistica e adeguata soluzione. Nossignori. Senza il nostro voto positivo, che in realtà avrebbe dovuto piuttosto essere un'astensione critica, si sarebbe detto più semplicemente o più semplicisticamente che il M.S.I.-D.N., era contrario tout court all'autonomia amministrativa dell'Alto Novarese, il che invece non è e non avrebbe potuto rappresentare altro che una distorsione della verità.
Ora, un problema analogo si ripropone con l'università del Piemonte sud orientale. Forse che noi possiamo essere non convinti in linea di principio della necessità che la nostra parte politica sostiene da sempre sull'esigenza che sia istituito un secondo ateneo piemontese? No di certo poiché sono anni, come ricordavamo, che questo rappresenta un obiettivo della nostra politica.
Come dunque potremmo non condividere la richiesta di apertura di una nuova sede universitaria, considerata anche l'ormai raggiunta insufficienza di quella torinese? Abbiamo però osservato - e lo abbiamo detto nel dibattito consiliare che qualcuno ricordava prima e che ci sembra essersi svolto il 5 aprile scorso - che la soluzione di una Università policentrica o tripolare o multipolare come la si è voluta definire, con facoltà decentrate e sparse su tutto il territorio piemontese, ci convinceva poco.
Perché? Perché un'università seria, vale a dire una università che sia correttamente concepita quale istituzione di alta cultura, così come la definisce l'art. 33 della Costituzione, è tutt'altra cosa da quella che oggi si va a richiedere con la polverizzazione dei corsi di laurea disseminati qua e là per tutto il Piemonte.
E qui ci si permetta una sottolineatura di carattere propriamente politico. La soluzione ora proposta, cioè l'attuazione pratica del motto "Un'università per ogni campanile" consente, è vero, di accontentare le più disparate richieste di Novara, di Vercelli, di Alessandria (abbiamo sentito poc'anzi nominare Ivrea, Casale, Biella e si andrà incontro anche a queste domande) ma viene anche ad evidenziare l'inadeguatezza programmatoria del governo regionale, incapace di sciogliere il nodo della seconda università piemontese con scelte responsabili e coraggiose, magari anche impopolari anzi sicuramente impopolari, tuttavia senza dubbio più decenti e più definitive.
Una università seriamente intesa, che non si voglia condannare in partenza alla dequalificazione, che sia idonea a rispondere alle esigenze di studi superiori e non legittimata soltanto a distribuire diplomi, che punti ad avere facoltà universitarie capaci di richiamare studenti da altri Paesi o addirittura da altre Nazioni, che si prefigga l'obiettivo di reggere il confronto con gli altri atenei in Italia, ebbene questo tipo di università avrebbe presupposto un insediamento unico, tale da evitare una dispersione di interventi e di favorire invece la massima concentrazione degli impegni finanziari, organizzativi e didattici. Ma insediamento unico avrebbe dovuto significare una scelta, optare cioè per una soluzione a scapito di altre, sapere dire di no a tante richieste cariche soltanto di campanilismo, in una parola programmare; avrebbe voluto dire capacità di dimostrare determinazione, senso di responsabilità, decisionismo (parola oggi molto di moda) coraggioso.
Tutte cose queste che ci sembrano essere estranee allo spirito ed alla mentalità della classe politica dirigente che infatti, guarda caso, è ripiegata sull'espediente (tra virgolette) dell' "Università policentrica" multipolare o tripolare.
E chiudiamo qui la parentesi di carattere politico per riprendere e subito concludere il filo del nostro breve discorso e per dire che queste sono le riserve che sentiamo di dover nutrire nei confronti della proposta formulata. Per cui, a questo punto, logica conseguenza sembrerebbe quella di assumere un atteggiamento critico sul documento predisposto dall'esecutivo; e così è, infatti, anche se poi, per tutte le ragioni che abbiamo esplicitato in apertura di intervento, finiremo col votarlo pure noi, ammesso che sia posto ai voti, perché anche in questo caso esattamente come quello citato in precedenza per la provincia del Verbano Cusio-Ossola, non vogliamo che il nostro motivato dissenso quanto al modo di affrontare il problema universitario, possa venire scambiato e presentato, dalla semplificazione dei mass-media, come una nostra opposizione al tema di fondo del problema, cioè all'esigenza di ottenere il secondo ateneo piemontese.
Questa è dunque la posizione del M.S.I.-D.N.; voto favorevole sì, ma voto favorevole non tanto sui contenuti della proposta, quanto invece sul principio di una nuova Università nel Piemonte sud-orientale.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere signora Vetrino. Ne ha facoltà.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, non sono d'accordo con la collega Ariotti (con la quale peraltro spesso e volentieri mi ritrovo d'accordo) che si possa considerare esaustivo di questo problema il dibattito che abbiamo fatto nel mese di aprile. Io credo che questo sia invece il primo vero dibattito sull'università da parte del Consiglio regionale nel corso di quest'anno, appunto in quell'occasione ben più limitato. Era sulla deliberazione di adeguamento delle fasce di reddito per il diritto allo studio, lo avevo anche sollecitato il Consiglio ad assumere più propriamente in maniera organica e con le dovute riflessioni la questione universitaria sin qui affrontata frammentariamente sui cattivi sintomi del nostro Ateneo. Ma la questione universitaria in Piemonte, come del resto del nostro Paese, non può rimanere un dibattito sui sintomi perché bisogna inoltrarsi in modo più approfondito e cosciente sul problema che stiamo affrontando. Questo mio richiamo non ha nulla di retorico come cercherò di dimostrare perché innanzitutto è necessario comprendere come il progetto piemontese qui in discussione si inoltra nel contesto nazionale.
Mancare in questa funzione significa protrarre per altri anni questi problemi e compiere un ulteriore errore di valutazione e di scelta politica amministrativa.
Infatti nel 1982 a Roma il governo approvava il provvedimento che istituiva i nuovi atenei. Un provvedimento che non aveva nulla del carattere programmatorio e che si caratterizzava invece come una delle tante sanatorie. Quella sanatoria oggi compromette pesantemente la definizione del piano quadriennale perché anziché puntare alla primaria esigenza di riequilibrare e ammodernare il sistema universitario, quel provvedimento istituì atenei sulla base di una mera risposta alle pressioni di coalizione di potere o, come scritto negli atti parlamentari: "su pressioni di autorevoli posizioni di vari Gruppi politici".
In linea di principio e di opportunità il criterio di sanare l'esistente poteva anche essere accettato a condizione di preservare il futuro a una rigorosa pianificazione dello sviluppo universitario da avviarsi al più presto. In quell'occasione i repubblicani rilevarono come il Piemonte, insieme all'Emilia Romagna ed alla Campania, fossero rimaste escluse come regioni meno furbe dai giochi di sottopotere che si verificarono.
Per questo i parlamentari repubblicani, in assenza di criteri anche grezzi di programmazione, presentarono un progetto di legge per l'istituzione di un'altra università in Piemonte.
Il progetto di legge firmato da Gandolfi e Olcese possedeva proprie peculiarità, che riprenderò successivamente, ma soprattutto sottolineava una diversa cultura di governo dettata non da campanilismi, ma da ancorate ipotesi di sviluppo del paese.
Fu preoccupazione del Gruppo consiliare repubblicano in Consiglio regionale dell'epoca, di sollecitare con una interrogazione e un ordine del giorno la Regione Piemonte affinché promuovesse un chiarimento su quanto avvenuto garantendo inoltre una politica di scelte universitarie più consona alla realtà.
Ricordo questi fatti perché ritengo riduttivo affermare che il Piemonte è stato dimenticato o emarginato da certe scelte. Il problema semmai si ritrova nell'assenza di una coerente e costante politica universitaria a livello nazionale e locale. La programmazione non è solo un contesto generale ma è correlata dall'adozione di strumenti che permettono la costruzione di scelte precise. Oggi, ad esempio, discutiamo sulla seconda università senza alcun supporto analitico sui flussi e sulla presenza degli universitari in Piemonte. Lo studio dell'Ires, richiamato anche nel documento di deliberazione, è uno studio interessante, non è certo specchio fedele della realtà attuale e delle tendenze in atto perché svolto in altro periodo. Certamente l'università piemontese è esuberante nelle iscrizioni ma non è nella semplice distribuzione territoriale che risolviamo il problema perché la seconda università è nella sua definizione legata alle scelte che bisogna fare sul primo ed unico ateneo piemontese. Ciò non riguarda unicamente l'aspetto edilizio, ma il concetto di programmazione che occorre applicare. Il potenziamento di certe facoltà, il miglioramento qualitativo dei nostri neo laureati sono concetti legati alla programmazione degli accessi che non è un provvedimento di cui non bisogna parlare ma metro essenziale per il collegamento e la determinazione di politiche generali che abbiano una concreta ricaduta sul territorio.
Qualche tempo fa, qualche anno fa per la verità, ricordo una osservazione del Sindaco di Bologna, Zangheri, il quale affermava che il congestionamento dell'ateneo bolognese rappresentava un limite, un ostacolo allo sviluppo della città. E' la situazione più paradossale in cui una istituzione come l'università può trovarsi. Questo è anche il problema torinese e piemontese.
Pensiamo solamente alla facoltà di medicina, alla recente provocazione del Pretore di Roma che ha colto l'istanza per il numero chiuso. Non vorrei che la discussione si bloccasse sul numero chiuso. Questo provvedi mento è giusto, ma esprime una necessità che bisogna comprendere, altrimenti il numero chiuso diventa una scorciatoia, una sanatoria che non risolve i problemi. E' un provvedimento che comporta l'adozione di scelte, una considerazione più vasta, direi anche una concezione più alta dell'università. Per questo voglio affermare che il Piemonte, con tutto il ritardo accumulato sulla questione universitaria, non deve mandare a Roma un documento di rivendicazione campanilistica, ma deve essere capace di costruire un documento rispondente a una visione dell'università come realtà attiva nella società, che significa l'adozione di tutti quei provvedimenti sui quali il Parlamento ha tergiversato impotentemente.
Una scelta di questo tipo presuppone però un atteggiamento più corresponsabile dell'istituzione regionale verso l'università.
Bisogna dire chiaramente se vogliamo lavorare per un riequilibrio del nostro assetto universitario o per una sua espansione e ciò si può fare con un'approfondita verifica delle disfunzioni dei dati disponibili, che sono attualmente pochi e frammentati. L'unica alternativa ad un disegno di programmazione è l'accettazione dei campanilismi locali o l'adozione di atti di autorità regionale che tuttavia non risolvono il problema di fondo cui ho accennato.
Ritengo che qualsiasi intervento di moltiplicazione dell'università debba legarsi alla programmazione degli accessi perché altrimenti rischiamo di riprodurre dualismi e poli territoriali squilibrati (università di serie a) e università di serie b) dove i docenti non andranno, né saranno favoriti o incentivati a scelte nuove come prescrivono le leggi nazionali nel rapporto quantitativo territoriale della presenza di utenti.
Il problema della docenza si lega inevitabilmente a questa scelta oltre che ai limiti propri delle sanatorie nazionali sulla docenza, oltre ai limiti dell'assenza di una definizione di sostanza dei ruoli, cioè di quei fenomeni che bloccano l'attività universitaria o creano gli scompensi sin qui lamentati dai docenti. Mi sembra che le osservazioni che ho fatto manchino dal progetto in discussione.
Nel contempo il Parlamento ha già caratterizzato alcune linee di azione del piano quadriennale e se il Piemonte ritarderà ulteriormente rimarrà nuovamente escluso e penalizzato.
Ma la posizione piemontese, ripeto non campanilistica, deve essere accettata nell'ambito romano non dai soli repubblicani ma anche dagli altri membri della Commissione ministeriale che non possono attestarsi su difese propriamente campanilistiche. Ho già detto quale concezione deve affermarsi, però, a fronte di questo problema così immediato, è necessario che il Consiglio regionale del Piemonte richiami la Commissione ad un diverso atteggiamento altrimenti la Commissione dovrà ancora una volta fare una spartizione fra gli esclusi dalla sanatoria, cioè Bologna, Taranto e forse Torino.
Ho indicato nell'assenza di criteri di programmazione generali, nella mancanza di strumenti di indagine conoscitivi di elaborazione che non possono essere relegati a consorzi o a commissioni ad hoc, ma all'amministrazione ordinaria del governo regionale, il grosso limite del documento che invieremo a Roma. La questione universitaria è molto più ampia ed auspico che il Consiglio affronti rapidamente in successive occasioni un dibattito su tutti i problemi, che qui risultano marginali, ma che pure hanno costituito la sostanza del rapporto università.-Regione in questi anni.
Sul documento devo aggiungere altre brevi osservazioni.
La scelta delle facoltà - avevamo sostenuto - non deve rispondere a pressioni locali ma al Piano di sviluppo regionale, dunque all'opzione di sviluppo che, come ben sappiamo, non abbiamo avuto per le vicende della maggioranza politica regionale. Vorrei però riproporre due temi. Il primo riguardante il riequilibrio territoriale e direttamente gli insediamenti nel Piemonte sud. Il secondo sulla scelta caratterizzante le facoltà.
Riguardo al riequilibrio ritengo sì doveroso rivolgere l'attenzione al triangolo di Tekno City, agli insediamenti di ricerche e produzione, ma rimane insoluto il problema su tutta la provincia cosiddetta "granda" perché - si dice - mancando l'infrastrutturazione viaria di collegamento non possiamo promuovere reali e seri insediamenti universitari Questo è l' esempio più lampante di un coordinamento con le ipotesi di sviluppo e intervento regionale che, se ritardate, assurgono a contraddizione.
Riguardo alla scelta delle facoltà, devo dire che non c'è una corrispondenza totale tra il documento e la proposta repubblicana della scorsa legislatura. C'è una certa rispondenza. Studiando le indagini socio economiche e settoriali dell'Ires, si comprende che difficilmente si avrà un rapporto diretto tra laureati e settori produttivi occupazionali.
Nel contempo è prioritario segnalare e lavorare su indicatori generali di sviluppo. Per esempio, riguardo alla Facoltà di lettere il decentramento delle attività che sono previste ad Alessandria, Novara per tutti i motivi che vengono elencati, le attività proposte giungono a nostro avviso inopportune, trovandosi oggi Torino e la Regione in uno stato di emarginazione artistico-teatrale dovuta non solo alla politica operata dalla pubblica amministrazione, ma anche ai problemi esistenti presso la Facoltà di lettere e alle necessità di detta facoltà.
Nella facoltà di lettere abbiamo ad esempio l'istituto di semiologia una scienza poco sviluppata in Italia, la cui importanza però si sta affermando nella società, nello studio tra parole ed immagine. Le conferenze tenute all'università anche da imprenditori come Giugiaro hanno sottolineato il grande potenziale di sviluppo di questo settore a più dimensioni in Piemonte e dunque a Torino.
La questione universitaria piemontese è dunque ancora da definire a livello regionale e bisogna concatenare i progetti reali alla programmazione e operare la scelta sulla qualità che si vuole per gli insediamenti. E' un discorso strettamente connesso e nel quale rientra anche il piano delle permute, delle quali si dovrebbe a lungo parlare. Ma ripeto - il riequilibrio e il decentramento universitario sono legati alla risoluzione dei problemi del primo ed unico ateneo piemontese. Non si pu sfuggire a questa realtà. Indicare scelte troppo generalizzate sulla volontà piemontese costituisce un'ipoteca che grava negativamente sul futuro della nostra università.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Moretti. Ne ha facoltà.



MORETTI Michele

Il nostro Gruppo approva l' operato dell'Assessorato all'istruzione ed alla cultura e della Commissione che ha collaborato per l'individuazione delle aree per gli insediamenti delle facoltà universitarie.
Oggi non siamo chiamati in Consiglio regionale per esaurire il dibattito sulla problematica legata alla questione universitaria, ma per esprimere un parere.
Dobbiamo ragionare in termini politici e questo discorso dovremo ancora svilupparlo nell'ambito del Consiglio regionale per quanto riguarda il numero delle frequenze, per quanto riguarda le strutture universitarie tenendo conto della situazione culturale ed economica della Regione.
Non mi preoccuperei degli insediamenti perché su questo argomento dovremo ancora discutere.
Oggi è invece importante definire la posizione del Consiglio regionale e farla conoscere al Governo al più presto. Successivamente il problema dovrà, secondo il mio parere, essere ripreso sia in sede di VI Commissione che in Consiglio.
Pertanto, a nome del Gruppo socialista esprimo parere favorevole su quanto è stato fatto finora.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Villa. Ne ha facoltà.



VILLA Antonino

Sentiti gli interventi che si sono svolti questa mattina, credo di poterli riassumere, non sostituendo evidentemente l'Assessore a cui tocca la conclusione, ma esponendo il parere della D.C., in questo campo collimante col lavoro svolto e dall'Assessorato e dalla VI Commissione.
In fondo c'è la sottolineatura di quanto richiedeva la legge 590: "sarà prioritariamente considerata l'esigenza di realizzare una migliore articolazione territoriale universitaria".
Proprio in questa direzione, strettamente richiesta dalla legge, è andata la Regione Piemonte in questa particolare occasione.
Il parere della Regione deve arrivare almeno 8 mesi prima dell'inizio del ciclo del quadriennio. Il lavoro non è stato né affrettato, n farraginoso, perché aveva avuto il precedente di luglio con un documento che ritengo basilare per la soluzione del problema e che ci ha dato la possibilità di arrivare in tempo.
I parlamentari di tutti i partiti si sono attivati, il Ministro della pubblica istruzione ha richiesto il parere regionale, gli Enti locali ci hanno trasmesso i loro ordini del giorno e le loro indicazioni.
La Regione oggi, con la motivazione conclusiva, dà il via a un iter interessante.
Come si pone la Regione Piemonte di fronte a questo problema? Il discorso evidentemente diventa sollecitante, soprattutto sotto l'aspetto culturale.
Occorre sottolineare la maturazione culturale di questi ultimi 10 anni: quello che il documento richiamava: una presenza nuova; fasi innovative della ricerca; laboratori che possano avere spazi diversi da quelli che solitamente siamo abituati a vivere. Non è tanto la fantasia al potere ma è la fantasia in riferimento alla realtà oggettiva di una crescita che sta avvenendo non soltanto nel mondo in generale, ma nella nostra Italia e nel nostro Piemonte in particolare. E' uno sforzo di gestazione, è un travaglio, non certo indolore e indenne da ansie e dubbi. E' qualche cosa che ci apre verso il futuro, forte tuttavia di un ancoramento al fondo consacrato dal diritto costitutivo. E c'è il richiamo alle facoltà così come sono stabilite dal diritto che esiste, ma c'è il nuovo inserito come un lievito che non è soltanto un lievito culturale, ma è anche e soprattutto un lievito sociale ed economico che si rapporta - e credo sia esatto il richiamo che è fatto nel documento - alle nuove realtà che possono sorgere. Tra poco il Consiglio sarà chiamato a una decisione riguardante il nucleare, io credo che ci possa essere un arco che collega alcune decisioni. In questo c'è la caratterizzazione anche di una rilevante originalità nell'impianto culturale e scientifico, quale era stato richiamato dal nostro ordine del giorno dell'aprile di quest' anno.
E' da sottolineare questo impegno generale del Piemonte. La nuova Università ha una sua polarità diversificata, ha un modo di essere diffuso nel territorio. Non si dimenticano le esigenze della città di Torino, non si dimentica il Piemonte occidentale dove il Cuneese, come era già stato prospettato, è l'aggancio al decentramento di Torino in alcuni settori che tradizionalmente hanno una loro presenza vivace di attività, sia economica che culturale, mentre la parte dell'astigiano si collega alla nuova Università nella sua dislocazione alessandrina.
C'è una visione realistica del domani, ci sono le venature utopiche che possono avere voce profetica, lo mi auguro che quello che è indicato possa essere qualche cosa di decisivo per l'Università piemontese. Il parere di oggi, che è richiesto dalla legge 590 dell'82, consacra la maturità culturale diffusa nelle varie zone piemontesi e dà l'avvio ad una crescita che, collegata ad altri importanti avvenimenti che stanno per essere decisi, vedrà un moderno modo di porsi dell'Università nel concerto sociale ed economico.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Ferrero per la replica.



FERRERO Giovanni, Assessore all'istruzione

La Giunta regionale doverosamente si è impegnata nelle settimane scorse e nei mesi passati per realizzare e concretizzare in termini progettuali l'ordine del giorno votato dalla quasi unanimità dei Consiglieri regionali.
Oggi quindi possiamo rispondere in una maniera del tutto soddisfacente grazie anche al contributo e al concorso produttivo e fattivo degli enti locali, dei Consiglieri regionali e delle articolazioni del Consiglio, in particolare della VI Commissione, con un provvedimento che in termini di specificazione ha tutti i caratteri ed i connotati per rispondere alle richieste che ci furono avanzate per il tramite dei parlamentari piemontesi a nome del Ministro della pubblica istruzione.
A seguito della decisione di oggi, è possibile l'avvio di un iter legislativo nazionale che spero collegato al piano quadriennale universitario e che con i nuovi insediamenti e con l'università multipolare del Piemonte orientale, costituisce un elemento di certezza e una delle articolazioni territoriali di un progetto nazionale.
Mi sento onestamente di sostenere che nelle discussioni intervenute e nello spirito che ha mosso questa proposta non vi sono esigenze localistiche per accontentare alcune comunità locali.
Peraltro credo che i problemi dell'immediato di quelle comunità locali non troverebbero risposte soddisfacenti in un insediamento universitario se problemi di organizzazione sociale, di servizi, di sviluppo economico, di occupazione sono i problemi principali che stanno a cuore dei sindaci delle forze politiche.
Non ci troviamo di fronte ad una operazione di insediamento in zone marginali del Piemonte, ma ci troviamo a collocare, a progettare, a prevedere un secondo ateneo nel baricentro del triangolo industriale, ci troviamo quindi a prevedere una operazione che possa interagire nella formazione delle prospettive strategiche e di sviluppo.
Non a caso il documento parte da un' idea relativamente semplice che è l'idea di rinnovazione, cerca di articolare questo obiettivo in settori e in comparti strutturali tra l'interesse, il disegno politico e l'autonomia dell'università ed i contenuti accademici e quindi strutturati nei suoi aspetti tecnico- scientifici, nei suoi aspetti economico-gestionali, nei suoi aspetti umanistici nonché una necessità già avanzata dalla stessa facoltà di Torino, un insediamento attinente gli studi medici.
Il discorso di innovazione in una delle zone che è centrale per lo sviluppo del nostro paese può determinare un'articolazione in facoltà, come abbiamo volutamente tenuto all' interno di titoli tradizionali, giacché la complementarietà e la non duplicazione rispetto a Torino, a Genova, a Milano ed a Pavia non si evince tanto dai titoli delle facoltà, ma dai contenuti che vengono proposti come strutturanti i corsi di laurea.
Spero che possano essere utile materiale di lavoro a livello nazionale per poter caratterizzare nel disegno di legge costitutivo i segnali e le volontà che complessivamente emergono.
Vorrei concludere, nel ringraziare ancora, con una valutazione che mi sembra opportuna verso questo Consiglio e verso la comunità regionale.
Chi è territorialmente "torinese" non è accusabile di interessi localistici, sente questa proposta come un'operazione di parziale decongestionamento del polo di Torino, ma anche - come operazione strategica di dialogo e di dialettica culturale in un complesso di insediamenti prestigiosi.
Noi vogliamo che anche questo ateneo lo diventi, non è alternativo, n in contrasto con quanto nell'ordine del giorno è ribadito.
Gli Enti locali del Piemonte hanno ben chiara la situazione drammatica dei problemi dell'Università di Torino.
Nel materiale che è stato consegnato al Consiglio regionale vi era una nota che, nel richiamare gli impegni già assunti, prevede dei passi e degli adempimenti per sbloccare l'attuale situazione d'impasse e di stallo.
Quindi questo non è un problema che si possa giocare in alternativa o in contrapposizione, credo anzi che la citazione della legge 590 fatta dal Consigliere Villa, laddove parla di articolazione territoriale, è un concetto che comprende in un'organica collocazione i problemi dell'Università di Torino, che non sono solo problemi edilizi, ma sono anche problemi di collocazione di istituti di supporto alla ricerca di scuole di specializzazione,di articolazione territoriale, con i problemi generali del secondo ateneo in Piemonte.
La Regione, come è scritto nel documento, ha utilizzato appieno l'elaborazione fin qui svolta e sedimentata in posizioni, in argomenti, in disegni di legge.
E' chiaro che la responsabilità finale del testo attiene alla Regione Piemonte ed al Consiglio regionale perché ovviamente non si può fare carico alle singole comunità la progettazione in toto di un qualcosa alla quale invece sono chiamate attivamente a partecipare attraverso l'impegno e la spinta, attraverso la disponibilità di edifici.
La responsabilità peraltro è sempre stata chiaramente attribuita alla Regione e per essa all'organo sovrano, al Consiglio regionale, lasciando alla Giunta le funzioni istruttorie di elaborazione, di proposta di raccolta che noi abbiamo soddisfatto.
La responsabilità del Consiglio regionale di fronte ai parlamentari piemontesi e agli enti locali interessati fu da me avanzata quando fu comunicata l'intenzione del Ministro di avvalersi di una nostra capacità di proposte e di progettazione per questa parte del piano quadriennale.
La decisione che noi assumiamo è stata esaminata attentamente dalle Commissioni consiliari e dagli uffici competenti. Non si tratta di un atto di rilevanza amministrativa, di una deliberazione. E' invece stato un atto politico del Ministro che ha attribuito una funzione e un ruolo al Consiglio regionale.
La formulazione sintetica che approveremo, afferma due punti essenziali: l'assunzione da parte del Consiglio regionale di una volontà politica, articolata non solo in termini politici, ma anche tecnico propositivi, e la proposta al governo e al Parlamento perché procedano nei passi successivi.
Questo documento deve essere accompagnato a Roma entro pochi giorni da una nutrita delegazione del Consiglio regionale che incontrandosi con il Ministro ed i parlamentari, possa rappresentare la nostra volontà.
Suggerirei infine che la nota che attiene ai problemi dell'Università di Torino possa essere proficuamente discussa nella Commissione competente e ritengo che piuttosto di procedere a una approvazione che altro non sarebbe che una riconstatazione di cose sulle quali già ci siamo pronunciati, la nota possa essere foriera di atti concreti da assumere da parte del Consiglio regionale nelle prossime settimane in ordine all'indicazione di passi concreti.



PRESIDENTE

Il documento annunciato dall'Assessore Ferrero è la seguente mozione che leggo: "Il Consiglio regionale del Piemonte esaminato il progetto per l'istituzione di un nuovo Ateneo in Piemonte approva il progetto allegato, che risponde alle richieste avanzate dal Ministero della pubblica istruzione decide altresì di trasmettere il progetto citato al Ministero competente affinché possa aver corso l'iter legislativo a livello nazionale, per l'istituzione di detto Ateneo".
Nell'allegato documento sono state apportate due modifiche alla pag. 2 e alla pag. 9.
1) A pag. 2, lett. A), l'ultimo alinea è sostituito con il seguente alinea: Affrontare con gli atenei torinesi un decentramento nel Piemonte Sud.
La realtà piemontese viene infatti resa esaurientemente vivace e territorialmente articolata, non trascurando la parte occidentale della Regione, nella quale il Cuneese si propone come essenziale decentramento di Torino, specificamente in spazi ormai da tempo vocati a settori agro alimentari e forestali con relativa commercializzazione del prodotto, e più in generale come articolazione territoriale dell'ateneo torinese 2) a pag. 9, al secondo capoverso, in fine, le parole "in proposte di legge, vi è larga intesa con le amministrazioni interessate sulla seguente ipotesi:" sono soppresse e sostituite con le parole seguenti: "in iniziative legislative, la Regione avanza la seguente proposta".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
La mozione è approvata all'unanimità dei 36 Consiglieri presenti.
L'Ufficio di Presidenza recepisce la raccomandazione dell'Assessore Ferrero affinché questo documento venga presentato al Ministero da una delegazione che si rechi a conferire con il Ministro.
Esamineremo nelle sedi opportune la proposta e vedremo come attuarla.


Argomento: Informazione

Ordine del giorno in materia radio-televisiva (rinvio)


PRESIDENTE

Colleghi, è stato presentato anche un ordine del giorno sul decreto che ripristina l'operatività dei circuiti nazionali televisivi privati, da parte dei Consiglieri Reburdo, Moretti e Bontempi.
Prima di votarlo occorre iscriverlo all'ordine del giorno. Ha chiesto di parlare il Consigliere Brizio. Ne ha facoltà.



BRIZIO Gian Paolo

Noi non siamo d'accordo di votarlo. Si può anche presentare un ordine del giorno che chieda delle modifiche al decreto-legge, però, dopo avere letto il decreto e dopo averlo valutato, siamo disponibili ad esaminarlo alla prossima seduta di Consiglio, a proporne eventualmente un altro.
Non possiamo assolutamente votare questa sera il documento proposto.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Reburdo. Ne ha facoltà.



REBURDO Giuseppe

Capisco le osservazioni del Capogruppo della D.C., però lo prego di comprendere che è opportuno assumere una presa di posizione di fronte ad una situazione grave.
Le informazioni le abbiamo dai giornali, dai comunicati, dalle richieste di una serie di organizzazioni che raggruppano le emittenti private locali.
Quindi una sollecitazione del Consiglio regionale sia pure con prudenza sarebbe un segnale politico di grande rilevanza che può produrre effetti concreti.
Nel giro di pochi giorni potrebbero essere presi gli stessi provvedimenti che sono stati presi alle TV di Berlusconi ed altri.
Insistiamo perché si faccia uno sforzo perché questa problematica venga esaminata, magari con l'impegno di fissare un dibattito successivamente in Consiglio regionale.



PRESIDENTE

Le osservazioni del Consigliere Reburdo sono più che fondate.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Moretti. Ne ha facoltà.



MORETTI Michele

Ritengo che il Consiglio regionale debba assumere una iniziativa e l'iniziativa quale può essere se non la presentazione di un ordine del giorno per sensibilizzare il Governo? Dobbiamo garantire l'informazione a livello locale e mi riferisco al territorio regionale. Dobbiamo difendere coloro che dell'informazione fanno un monopolio e non una informazione pluralistica.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Colleghi Consiglieri, l'ordine del giorno, probabilmente, rispecchia il pensiero, l'opinione di molti di noi. Ad una prima lettura sembra quasi avere l'intenzione di aggredire il decreto che il Governo ha emesso per la seconda volta.
Sarebbe opportuno che questo ordine del giorno trovasse almeno un'ora di discussione che potrebbe essere fissata giovedì prossimo.
Condivido molte preoccupazioni che sono espresse nel documento. Ci sono situazioni a cui bisogna rendere giustizia, ma non si può rendere giustizia soltanto a qualcuno.
Il documento ha questo spirito: rendere giustizia a tutti.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Reburdo. Ne ha facoltà.



REBURDO Giuseppe

Prendiamo atto di questa disponibilità, comunque rimane il rammarico dell'intempestività dell'intervento del Consiglio regionale che in questa occasione avrebbe potuto marcare a suo favore un fatto di pluralismo importante.



PRESIDENTE

Colleghi, voglio farvi presente che, al di là del merito, c'è l'impossibilità a votare l'ordine del giorno perché manca il numero legale.
Informo che il Consiglio è convocato per i giorni 13 dicembre tutto il giorno e 14 mattino.
L'ordine del giorno prevede la continuazione e la conclusione della discussione sul punto relativo al Piano di sviluppo e la discussione dei punti che non sono stati discussi oggi.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19.30)



< torna indietro