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Dettaglio seduta n.27 del 01/12/80 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Interventi per calamita' naturali

Esame deliberazione Giunta regionale n. 225-1654 relativa a: "Riconoscimento di calamità grave dell'alluvione abbattutasi in gran parte del territorio del Comprensorio di Alessandria e del Comprensorio di Casale nei giorni 16/17 ottobre 1980"


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Iniziamo con il punto sesto all'ordine del giorno: Esame deliberazione Giunta regionale n. 225-1654 relativa a: "Riconoscimento di calamità grave dell'alluvione abbattutasi in gran parte del territorio del Comprensorio di Alessandria e del Comprensorio di Casale nei giorni 16/17 ottobre 1980".
La parola al relatore, Consigliere Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca, relatore

Il problema era di inserire i Comuni che avevano subito un danno nell'alluvione. La Commissione ha tenuto due riunioni relativamente al problema. Questa è la prima delibera con la quale si accerta che è intervenuta la calamità e si prende nota delle richieste dei Comuni in ordine ai danni patiti. Abbiamo chiesto in Commissione, e particolarmente il Consigliere Genovese, che l'Assessore si impegni a portare in Commissione, prima della loro liquidazione, i progetti di ristrutturazione che i Comuni presentano, in quanto, sottolineiamo, la richiesta è di ben 6 miliardi. Riteniamo che questa cifra sia importante e che le valutazioni dei Comuni, fatte in momenti particolari, debbano essere riviste prima della liquidazione. Pertanto, quello che stiamo approvando è soltanto il riconoscimento della calamità; la liquidazione avverrà in tempi successivi dietro, appunto, un esame rigoroso ed approfondito che la Commissione farà sui singoli interventi richiesti dai Comuni.
In questo senso, penso che il Consiglio possa approvare la deliberazione proposta.
PRESIDENTE.
Chiede di intervenire il collega Bastianini. Ne ha facoltà.



BASTIANINI Attilio

Ritengo sia inutile discutere i provvedimenti in assenza della Giunta.



PRESIDENTE

Sono d'accordo, ma questo è un provvedimento che si può discutere ugualmente.
La parola al Consigliere Genovese.



GENOVESE Piero Arturo

Anch'io sarei interessato alla presenza non solo della Giunta, ma in particolare dell'Assessore Simonelli. Comunque, sono rispettoso del modo di gestire i lavori che il Presidente ci propone e svolgerò il mio intervento.
L'evento calamitoso che dobbiamo considerare non è certamente confrontabile con altre calamità gravi che hanno colpito il Paese, pur essendovi dei danni dovuti all'alluvione che ha colpito la provincia di Alessandria. Per ora dobbiamo solo procedere - come giustamente ha ricordato la collega Vetrino Nicola - alla delimitazione delle zone colpite; avremo tempo successivamente di esaminare in Commissione, e poi in Consiglio, le proposte e procedere all'approvazione dei danni nell'entità che sarà stabilita a seguito della presentazione dei progetti, ai sensi della legge 38.
Ritengo, però, e intendo ribadirlo qui dopo averlo detto in Commissione, che nel meccanismo della legge 38 ci sia qualcosa che non funziona. In Commissione abbiamo avuto modo di sentire i funzionari del Genio Civile di Alessandria, i quali ci hanno precisato che applicando le procedure della legge 38 non si procede più ad accertamenti tecnici preliminari, ma ci si limita a prendere atto delle dichiarazioni dei sindaci, mentre successivamente si procederà a valutare ed approvare i progetti; non esiste cioè più alcun giudizio di merito, sul piano tecnico per quanto riguarda l'ammontare e la realtà dei danni provocati dagli eventi calamitosi. Siamo davanti ad un sistema che sta diventando perverso non perché i danni non ci siano ma perché sull'identificazione e quantificazione non c'è di fatto nessun reale controllo tecnico. Lo dico con coscienza di causa e, credo, anche in modo non sospetto, trattandosi in questo caso della mia Provincia; però doverosamente, perché ho avuto modo per anni, insieme al collega Raschio, di partecipare ai lavori del Comitato politico che era stato costituito dopo l'alluvione del '77 e che avrebbe dovuto seguire le diverse fasi delle operazioni di accertamento, di approvazione dei progetti, di appalto dei lavori, di realizzazione delle opere di ripristino. In Commissione ho precisato, ma credo vada apertamente ripetuto in Consiglio, che in qualche misura bisogna riportare la valutazione di questi eventi ad una responsabilità di tipo tecnico da parte della Regione; non si può unicamente basarsi su accertamenti e progetti fatti dalle singole Amministrazioni interessate, perché il giudizio che si deve dare su queste cose non può essere di tipo politico, bensì di tipo tecnico, entrando nel merito dei danni, dei progetti presentati e valutando se gli interventi proposti da parte dei Comuni sono veramente congrui rispetto ai danni verificatisi.
Quindi, il nostro Gruppo approva la delimitazione delle zone colpite dall'alluvione in provincia di Alessandria, riservandosi per successivamente, un attento esame in Commissione di tutte le proposte qualora non si introduca un elemento di valutazione di tipo tecnico da parte della Regione.
Pregherei l'Assessore, che è ora arrivato, di volerci precisare se veramente le procedure previste dalla legge 38 non prevedano nessuna valutazione di tipo tecnico da parte degli organi della Regione.
La seconda cosa che vorrei dire è che in provincia di Alessandria da tempo siamo in attesa, rispetto ai danni che periodicamente si ripetono, di passare agli interventi di prevenzione previsti dalla legge 38 e raccordati con l'applicazione della legge 54. I piani di bacino sino ad oggi sostanzialmente non li abbiamo visti. Tutti ormai sappiamo, per quanto riguarda la provincia di Alessandria, che vi sono punti precisi della provincia dove, ogni qualvolta si hanno precipitazioni abnormi, si verificano puntualmente dei danni. In attesa di questi famosi piani di bacino, riteniamo che la Regione debba portare avanti, sul piano tecnico una considerazione più attenta e più circoscritti interventi di carattere preventivo sui punti in cui sistematicamente avviene la rottura dell'equilibrio territoriale ogni qualvolta siamo in presenza di precipitazioni ed esondazioni.
In proposito, inoltre, bisogna raccordare sul piano tecnico alcuni Assessorati regionali. Cioè riteniamo che l'Assessorato all'agricoltura alla pianificazione territoriale e quello all'ambiente debbano lavorare assieme e valutare che cosa è mutato nelle condizioni generali del territorio in alcune zone della nostra regione, per predisporre tutti quei rilievi sistematici che siano in grado di darci una visione più corretta della situazione ambientale in relazione agli eventi calamitosi che si ripetono. In questo senso, e con queste precisazioni, noi approviamo unicamente la delimitazione territoriale mentre ci riserviamo un successivo esame dei danni e della loro entità e riteniamo che debba essere riconsiderato lo stesso funzionamento della legge 38.
PRESIDENTE.
La parola all'Assessore Simonelli.



SIMONELLI Claudio, Assessore agli interventi in materia di calamità naturali

La delibera che è stata portata all'approvazione del Consiglio, in effetti, si limita ad individuare le zone soggette a queste calamità perché il programma degli interventi sarà discusso - come è accaduto in occasione di precedenti calamità - davanti alla Commissione competente.
Quindi, tutta l'analisi degli interventi, la loro quantificazione in termini di stanziamenti, la loro definizione in termini di pronti interventi e di opere definitive, avverrà successivamente, dopo che il Comprensorio e la Commissione avranno espresso le loro valutazioni.
Personalmente sono anche d'accordo su due esigenze che sono state qui formulate: da un lato quella di operare attraverso una stretta integrazione fra gli Assessorati competenti ad un'azione intesa a saldare le opere di ripristino e di pronto intervento con le opere relative ai piani annuali derivanti da leggi come quella n. 54.
Ora non è presente il collega Salerno, ma posso assicurare il Consiglio che i piani di bacino che riguardano due delle zone che rientrano nel territorio colpito, cioè i piani di bacino della Val Curone e della Val Borbera, sono in fase di stesura e saranno quanto prima pronti ed è già possibile fin d'ora, dato lo stato avanzato di questi piani, correlare gli interventi che predisporremo in conseguenza dell'evento calamitoso con i piani di bacino, fermo restando che il piano di bacino ha una visione complessiva d'insieme, mentre gli interventi, in questo caso, sono molto più puntuali e localizzati. Tuttavia, pur in presenza di caratteristiche di questo tipo, è possibile operare qualche raccordo fin d'ora, quanto meno una verifica di coerenza, in modo da evitare che gli interventi siano disarticolati, sia rispetto al piano di bacino che tra loro.
Mi trovo d'accordo anche sulla necessità di coordinare tutti i dati che in modo disorganico, talora, sono affluiti o possono affluire ai diversi Assessorati regionali. Mi riferisco a dati parziali, a dati che non hanno avuto più continuità storica rispetto al passato (per esempio i dati sulla portata idrografica dei fiumi, che sono di competenza dello Stato, ma per i quali stiamo tentando di fare una convenzione con il Ministero dei Lavori Pubblici per poterli usare e soprattutto per poterli aggiornare ); mi riferisco ai dati che l'Assessorato all'Agricoltura raccoglie in relazione a taluni aspetti atmosferici, ai dati che il servizio geologico ha potuto raccogliere, ai dati che tutta una serie di altre indagini ci stanno consentendo di avere sul territorio e che, tutti insieme, dovranno costituire una banca di dati disponibili per gli interventi di prevenzione.
La tragedia che si è abbattuta sulle regioni meridionali ha dimostrato l'assoluta carenza di elementi di questo tipo a livello di pubbliche amministrazioni in genere, non solo per quanto riguarda i dati disponibili (rispetto al terremoto non è che ci potesse essere una previsione di dati mentre in casi di alluvione la portata, i dati pluviometrici ed idrografici possono consentire di fare delle previsioni), ma soprattutto carenza delle attrezzature e strutture di intervento; al di là dei mezzi, degli uomini e dei finanziamenti, esiste una carenza tecnico - organizzativa della macchina di emergenza che si rivela nel nostro Paese, purtroppo, ogni volta in modo drammatico di fronte agli elementi calamitosi. Sono stati già avviati degli studi per arrivare a definire delle ipotesi legislative per la costituzione di un apparato di emergenza ed intendiamo mandarli avanti proprio per essere attrezzati a far fronte in modo adeguato ad eventi calamitosi che avessero particolare portata.
Fortunatamente quello di cui stiamo discutendo qui, non ha avuto queste caratteristiche e qui si è potuto far fronte con un normale intervento tempestivo da parte dei nostri uffici.
Quindi, raccogliendo le indicazioni portate in aula dal Consigliere Genovese, sulle quali la Giunta si dichiara d'accordo, pensiamo che si possa passare all'approvazione della delibera.



PRESIDENTE

Leggo il dispositivo della, deliberazione: "Il Consiglio regionale viste le leggi regionali 29 giugno 1978, n. 38 e 20 dicembre 1979, n.
79 preso atto della proposta della Giunta regionale n. 225-1654 del 28 ottobre 1980 per dichiarare grave l'evento alluvionale dei giorni 16 e 17 ottobre 1980 che ha interessato gran parte del territorio del Comprensorio di Alessandria e del Comprensorio di Casale e precisamente i territori dei Comuni di cui agli elenchi allegati, predisposti dalla Giunta stessa sentita la competente Commissione consiliare delibera 1) è dichiarato grave l'evento alluvionale dei giorni 16/17 ottobre 1980 abbattutosi sui territori di cui all'elenco che alla presente deliberazione si allega per farne parte integrante 2) nell'ambito dei predetti territori si applicano le disposizioni dell'art. 9 della legge regionale 29 giugno 1978, n. 38, integrato dall'art. 5 della legge regionale 20 dicembre 109, n. 79.
La presente deliberazione viene dichiarata immediatamente eseguibile ai sensi dell'art. 49 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 e del penultimo comma dell'art. 17 della legge regionale 29 giugno 1978, n. 38".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 33 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Presidente della Giunta Regionale

Dibattito sul programma della Giunta regionale per il quinquennio 1980-1985 (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo il dibattito sul programma della Giunta regionale per il quinquennio 1980-1985.
La parola all'Assessore Simonelli.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione socio-economica

Vorrei iniziare la mia replica partendo dalla critica che è stata formulata alla Giunta secondo cui, nel suo programma, coesisterebbero ispirazioni ideali e politiche diverse. Questo più che un limite mi pare un pregio del programma. Guai se, provenendo da forze politiche che intendono essere diverse tra loro, avessimo presentato un programma impattato ed omogeneizzato. Questo programma mi pare coerente nel suo insieme e parte dalla considerazione della necessaria continuità con l'opera svolta dalla Giunta di sinistra che ha governato nella legislatura precedente.
Continuità non vuole essere mera ripetizione di programmi e di volontà anzi, vuole tener conto del nuovo che si è prodotto nel Paese e nella Regione, al quale si guarda ben considerando il lavoro immane che è stato compiuto nel corso della precedente legislatura.
I temi di rilievo che caratterizzano il programma sono sostanzialmente tre, tra loro correlati.
Piena assunzione del ruolo della Regione che da un lato si collega con le autonomie locali promuovendo lo sviluppo del sistema autonomista dall'altro si raccorda con il livello centrale anche in riferimento ai grandi problemi che il Paese ha di fronte nella logica della politica di programmazione che ha ispirato l'attività della maggioranza e che si concreterà nel corso di questa legislatura con la predisposizione e l'approvazione del piano regionale di sviluppo '82-'85. Il rapporto tra Regione e Governo si colloca, oggi, in una fase nuova caratterizzata dalla ripresa della programmazione a livello nazionale (programmazione che dovrà nei prossimi giorni rifare i suoi conti, visto che la sciagura che si è abbattuta sul Paese ha fatto saltare tutte le ipotesi sulle quali si sorreggevano le previsioni del documento a medio termine, che dovrà ora reperire risorse aggiuntive in misura molto consistente per l'opera di ricostruzione delle Regioni disastrate.
Il documento che il Ministro La Malfa ha illustrato alle Regioni, ai sindacati e al Consiglio dei Ministri che lo ha approvato, contiene degli elementi di indubbio interesse. Dopo aver indicato i grandi obiettivi per il contenimento dell'inflazione e per la ripresa della politica intesa ad allargare la base occupazionale del Paese, il documento individua una serie di politiche non svincolate dal raggiungimento di questi obiettivi, ma neppure intese come sovrapposizione di un'organizzazione parallela della programmazione rispetto al funzionamento normale della macchina dello Stato, tenendo conto che i gruppi di intervento che vengono previsti sono stati individuati nella riduzione della dipendenza dall'estero particolarmente grave per quanto riguarda l'approvvigionamento di materie prime e di prodotti agricoli (gli ultimi dati della bilancia agricolo alimentare ci mostrano un disavanzo che si avvia a toccare per il 1980 gli 8 mila miliardi, cioè i 2/3 del disavanzo dei prodotti petroliferi che è di circa 12 mila miliardi), attraverso programmi pubblici e privati volti a limitare i fabbisogni di importazione, ma anche a sollecitare e promuovere le esportazioni.



BORANDO Carlo

Da cinque anni a questa parte produciamo meno latte, meno grana, meno riso e meno meliga, quindi bisogna incentivare queste produzioni!



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione socio-economica

Il disavanzo della bilancia alimentare non deriva dal fatto che non si sia alimentata la produzione lorda vendibile o non si siano incrementate talune produzioni, ma deriva dal fatto che rispetto all'incremento dei consumi la produzione nazionale non riesce a tenergli il passo anche perch tra gli elementi che caratterizzano l'evoluzione di una società e il miglioramento del livello e del tenore di vita si colloca il consumo di prodotti alimentari, al di là di quelli di sussistenza. Il consumo di prodotti lattiero-caseari o di carne è indice del miglioramento del livello di vita. Paghiamo questo miglior livello di vita con un grave disavanzo della bilancia alimentare. L'obiettivo è di ridurre questo disavanzo attraverso una riduzione dell'importazione, ma soprattutto attraverso il miglioramento delle nostre produzioni e alle capacità di diventare esportatori.
Riduzione della pressione sul risparmio da parte dei centri facenti un uso improduttivo delle risorse. Il Governo si è fatto carico di questo attraverso l'azione del Ministro delle Finanze, con la lotta all'evasione fiscale, con la riduzione dei margini di evasione, con il risanamento del sistema produttivo e con un'adeguata politica di investimenti industriali tendente ad evitare lo sperpero di risorse realizzatosi nel passato.
Utilizzazione degli spazi di domanda interna creati dall'allentamento del vincolo esterno favorendo una maggiore occupazione ed una ripresa soprattutto nel Mezzogiorno. Intorno a questi obiettivi si devono costruire interventi di natura intersettoriale ed interministeriale ai quali sono chiamati i diversi centri della pubblica amministrazione.
Anche le Regioni possono trovare il loro spazio per il raggiungimento di questi obiettivi. Questa argomentazione è condivisibile, ma è ancora un discorso di impostazione che traccia la filosofia della programmazione.
Infatti "Mondo economico" titolava il servizio su questi aspetti: "Ministro del Bilancio 10 in filosofia". In concreto bisognerà vedere come si muoveranno le diverse politiche settoriali soprattutto quale sarà il loro assemblaggio. La polemica del passato, all'interno del Governo tra l'ala restrittiva e l'ala espansiva, tra chi privilegiava la lotta all'inflazione e chi privilegiava la ripresa dell'occupazione e dello sviluppo, in qualche modo, si è sopita in una posizione ideologicamente e culturalmente corretta, ma è una questione di principio. Bisognerà vedere se nel concreto le azioni poste in essere dall'amministrazione saranno nel senso dell'espansione o della restrizione.
Quale sarà il ruolo che le Regioni potranno giocare? Le Regioni si apprestano a giocare un ruolo, pur in presenza di una situazione caratterizzata da gravi incertezze sulle risorse, sul quadro pluriennale al quale possono fare riferimento, sulla sorte dei loro piani di sviluppo.
Sarà opportuno in una delle prossime tornate del Consiglio regionale affrontare esplicitamente il problema del rapporto tra la programmazione regionale e la programmazione nazionale sulla scia di un'esigenza che le Regioni hanno posto sia nell'incontro con il Presidente del Consiglio sia nell'incontro della Commissione interregionale, secondo la quale le Regioni chiedono al Governo di esaminare i piani regionali di sviluppo.
I piani regionali di sviluppo approvati nella legislatura '75/'80 sono archiviati in una stanza del Ministero del Bilancio dopo che diligenti funzionari li hanno letti e chiosati, ma senza che l'autorità politica abbia preso atto dei loro contenuti e delle loro possibili coerenze con la politica nazionale.
Nell'ambito delle autonomie locali è già stato fatto il discorso dei Comprensori e delle Province. Mi pare corretto lo sforzo del programma della Giunta di mantenere l'esperienza comprensoriale e nello stesso tempo di affiancare ad essa quella, delle Province. Si è chiusa la fase nella quale il processo di razionalizzazione delle realtà sub-regionali sembrava così avviato da procedere all'invenzione di un nuovo livello con la scomparsa della Provincia. Esiste, oggi, l'ipotesi di un ente intermedio unico che però non nasce dalle ceneri della Provincia: essa viene recuperata. Personalmente sono convinto che in questo disegno ci sia il grosso rischio di recuperare la Provincia così com'è, cioè di una rivalutazione di ciò che tradizionalmente esiste con la perdita per strada di una parte di elementi innovativi che hanno caratterizzato la vita dei Comprensori, perlomeno nella nostra Regione; e sono anche convinto che la riforma delle autonomie non sia dietro l'angolo come qualcuno pensa.
Esiste il testo elaborato dal Gruppo ristretto della Commissione Affari Costituzionali del Senato ed è stato annunciato un testo di parte governativa, che non si è ancora visto, ma che indiscrezioni vorrebbero ispirato ad una logica centralista, sul quale, comunque, andrà verificata la consistenza dei consensi in relazione al testo che ha approntato il Senato. Si prepara un lungo confronto, in presenza di una riforma che tarda ad arrivare e i cui contenuti sono ancora indefiniti, sarebbe un grave errore buttare a mare quello che abbiamo costruito, intanto in questi anni inseguendo dei risultati che sono ancora incerti, nella loro consistenza e nel tempo in cui verranno a maturazione.
Mantenimento, dunque, dei Comprensori attribuendo ad essi i ruoli programmatori; utilizzo delle Province favorendo nel loro ambito l'assunzione di responsabilità nuove, per farne degli organi pronti a recepire quelli che saranno i contenuti della riforma, non dimenticando che nelle ipotesi di riforma il soggetto centrale di intervento sul territorio di gestione dei servizi sociali, di controllo, il portatore degli interessi immediati della comunità resta il Comune, quindi, non dimenticando che intorno al ruolo centrale del Comune si gioca, comunque, la sistemazione degli assetti sub-regionali.
I grandi problemi del Piemonte che il programma della Giunta enuclea sono il discorso del ruolo europeo, che non va visto solo come problema di infrastrutture e di coordinamenti, ma come discorso di rapporti del sistema industriale che tende ad avere dimensioni sovranazionali. La politica industriale perde di significato se la si limita alla realtà del nostro Paese.
Si dice che non ci siamo occupati a sufficienza dei problemi della grande impresa. Nell'ambito del programma ce ne siamo occupati meno, perch ci siamo occupati piuttosto dei problemi della piccola e media impresa rispetto ai quali la Regione, nell'ambito delle sue competenze e dei suoi interventi, può svolgere un ruolo maggiore. Non ci sogniamo di immaginare che l'industria non sia un sistema in cui tutto è integrato, in cui grande impresa, piccola e media impresa ed artigianato sono parti di un unico contesto. Sappiamo bene che la grande impresa non è sostituibile e che la sua crisi va risolta rendendola forte, competitiva e dinamica.
Credo che la crisi attraversata dalla grande impresa (non solo la Fiat ma anche le imprese a partecipazione statale, l'impresa chimica) derivi da investimenti sbagliati che hanno portato alla sovraproduzione. Ci sono grandi imprese che, pur appartenendo ai grandi conglomerati, in realtà sono piccole o medie imprese. C'è anche una crisi di flessibilità e di adattamento della grande impresa. Le sue lentezze decisionali sono esasperanti, ha incrostazioni burocratiche, presenta inefficienze del management, ritardi nei processi di innovazione tecnologica, presenta distorti rapporti con il potere politico.
La grande impresa si colloca in un contesto nel quale esiste anche l'elemento della contrattazione politica più o meno occulta, che non ha nulla né della razionalità del mercato, né della necessità fisiologica di tutti i sistemi industriali della mano visibile della programmazione. La programmazione rappresenta un momento di razionalizzazione e di controllo pubblico, perciò deve essere visibile e la contrattazione politica, specie quella occulta, dichiaratamente non ha nulla dell'elemento razionalizzatore che l'intervento pubblico deve avere nell'economia: inceppa, ritarda corrompe, degrada, rende più difficile i processi di risanamento della grande impresa.
Il parassitismo, l'assistenzialismo, gli effetti distorcenti che si sono introdotti attraverso questi rapporti politici devono essere eliminati per ridare fiato e forza alla grande impresa.
La grande impresa ha anche una scarsa internazionalizzazione, non ha le necessarie aperture in termini di rapporti commerciali, di collaborazione di joint venture, di accordi di natura tecnologica, di apporti finanziari con l'insieme delle economie internazionali.
Insomma, affrontando i problemi della grande impresa, bisogna rendersi conto che non con questioni ideologiche si risolvono questi problemi, ma attraverso le regole del gioco, alle quali ci si deve attenere, sapendo che esse non sono né immutabili - quasi che il mercato anziché un utile emettitore di segnali sia una divinità intangibile - né fittizie, quasi che le decisioni siano determinate dagli gnomi di Zurigo o dal ricatto del mercato.
Le regole del gioco ci sono, sono visibili, controllabili e modificabili. Nella realtà della nostra Regione la grande impresa nel 1980 si è trovata a fare i conti con una fase di eccezionale espansione produttiva. L'Italia non è affatto in crisi, il punto di svolta che le previsioni economiche davano per imminente non è ancora raggiunto. Gli indicatori dei mesi di settembre ed ottobre ci mostrano un rallentamento dell'espansione, non ancora un'inversione di rotta.
Abbiamo un'industria che va in crisi, che perde colpi in una congiuntura favorevole. Nel settore dell'automobile, alla fine del 1980 avremo un'espansione del mercato dell'auto che raggiungerà presumibilmente il 18 % rispetto al 1979. La Fiat arriverà alla fine del 1980, nonostante la perdita di produzione connessa alla chiusura della produzione per un lungo periodo di tempo, probabilmente a coprire una quota di mercato che dal '79 all'80 passa dal 53 % al 52,8 % del mercato nazionale e dall'11,8 al 12,8 % del mercato europeo.
Naturalmente la piccola e la media impresa hanno problemi diversi ed è su queste che abbiamo soffermato l'attenzione del programma della Giunta in relazione alla creazione di posti di lavoro che la grande industria non è in grado di garantire, in relazione all'innovazione del sistema industriale. Giova tener presente che innovazione significa attività industriale, ma anche collegamento stretto con i servizi del terziario superiore, i servizi "intelligenti", quella realtà largamente diffusa nei Paesi industriali avanzati e strettamente integrata con l'attività industriale. Si tenga conto che le capacità della piccola e media impresa vanno viste in relazione alla capacità di sfruttare l'innovazione tecnologica, di mercato ed organizzativa, a loro volta condizionate dalla possibilità di avere accesso ad alcuni fattori essenziali che sono l'informazione, la tecnologia, i capitali, i servizi, l'organizzazione, il management.
Non sono molto sensibile alla mitologia secondo la quale la vitalità della piccola impresa dovrebbe lasciarci in qualche modo fiduciosi sul futuro. Il sapere che ci sono tanti "siur Brambilla" o che la sociologia del cespuglio e dell'arbusto, cara al Censis, ha fatto sempre emergere la vitalità delle piccole imprese nel nostro Paese, mi lasciano perplesso.
Un conto è riuscire a sfruttare le occasioni contingenti e i margini che offre la grande impresa, ritardi nelle consegne, minore flessibilità nel far fronte ai mutamenti della domanda; problemi di costi, violazioni delle norme fiscali, violazioni delle norme che regolano il lavoro; altro conto è occupare gli interstizi di un sistema economico in difficoltà e altro conto è durare. I "siur Brambilla" li voglio vedere in una prospettiva di medio termine. Nei Paesi industriali avanzati la piccola e la media impresa hanno vitalità perché riescono a rappresentare dei momenti innovativi veri, non sfruttando occasionali prospettive, ma garantendo i requisiti, della piccola impresa, cioè maggiore capacità di adattamento e flessibilità in un contesto competitivo.
Rispetto a questi problemi la piccola e media impresa hanno più diretta attinenza con il territorio, comportano soluzioni diverse da zona a zona da comparto a comparto, richiedono un intervento più attento da parte dell'operatore pubblico attraverso vari strumenti: le finanziarie, la fornitura di servizi diversi, le aree attrezzate, la fornitura di servizi per la diffusione dell'innovazione e dell'informazione tecnologica, la formazione professionale. E' rispetto a questo comparto che si colloca con più possibilità di successo l'azione dell'operatore pubblico.
Nel programma tornano i problemi di fondo della Regione, Il problema del riequilibrio, del ruolo di Torino e dell'area metropolitana, i problemi del rapporto industria - territorio, i problemi di una difficile gestione di processi di trasformazione in presenza della crisi del sistema industriale, che anche se non si traduce in una perdita di fatturato e in una caduta di produzione, si traducono in profonde alterazioni degli equilibri.
I problemi del Piemonte restano quelli di una diversa distribuzione delle attività produttive, dell'integrazione tra industria, territorio e servizi e del perseguimento di una politica di riequilibrio. Il piano di sviluppo sarà articolato in programmi e progetti. Compare nel programma un continuo riferimento ad una programmazione intesa in modo molto concreto per programmi e progetti attraverso una spesa finalizzata e destinata sul territorio, attraverso il discorso della riqualificazione della spesa regionale, attraverso una politica di controllo dell'uso del territorio.
Si è parlato della legge 56 e della gestione della politica urbanistica e credo si sia riconosciuto sostanzialmente da tutti la bontà, la novità la ricchezza culturale della riforma urbanistica che è stata realizzata in Piemonte nella scorsa legislatura, quindi della necessità della continuità rispetto a questo disegno, senza trascurare le esigenze di miglioramento e di arricchimento della stessa normativa. Nel testo della Commissione Affari Costituzionali del Senato, per esempio, al nuovo ente intermedio viene attribuita la titolarità di una parte del processo di verifica degli strumenti urbanistici a livello comunale, la verifica di coerenza tra i piani regolatori dei Comuni e i piani territoriali. Questo potrebbe essere un suggerimento da tenere presente. Nel suo intervento il professor Astengo faceva riferimento ad un'altra ipotesi di possibile decentramento per quanto riguarda gli strumenti esecutivi dei piani regolatori. Vi è dunque spazio per interventi innovativi di questo tipo. E' stata colta nell'intervento della collega Vetrino Nicola, l'importanza di un'azione di coordinamento della spesa pubblica attraverso lo strumento dei programmi pluriennali di attuazione che raccordano il momento della spesa locale con quello della spesa regionale e, ci auguriamo presto, con il consolidato comprensoriale, in modo tale da ridurre i tempi morti, gli sprechi connessi ai ritardi nell'attuazione delle opere pubbliche e quindi il fenomeno dei residui passivi e il fenomeno del rallentamento nella dotazione delle infrastrutture sociali e civili.
Sono quindi elementi di razionalizzazione che devono essere migliorati.
Anche di questi problemi il programma della Giunta tiene adeguatamente conto. Abbiamo dinnanzi a noi una legislatura ricca di impegni, nella quale forse sarà meno presente la necessità dello sforzo innovativo delle grandi leggi di settore, dell'invenzione di strumenti.
In questa legislatura sarà dato spazio a quanto è indicato nel titolo di uno dei capitoli: efficienza della macchina regionale, efficienza della capacità dell'operatore pubblico di soddisfare e di risolvere i bisogni della gente.
La grossa scommessa che abbiamo davanti per i prossimi cinque anni sarà soprattutto questa.
PRESIDENTE.
La parola all'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore all'industria

Intervenendo in un dibattito così generale, da qualunque argomento si voglia partire si sarebbe sollecitati a ripercorrere i vari temi che sono stati toccati. D'altra parte, il modo con cui sono oggettivamente concatenati i problemi che la Regione deve affrontare lo imporrebbe.
Eviterò, però, questa tentazione e, brevemente, interverrò solo su alcune questioni.
Intanto una prima questione, il rapporto Piemonte - Europa, che è affrontato nel documento della Giunta, e che a più riprese è stato discusso dai colleghi, in questi giorni di Consiglio, nel corso dei loro interventi.
La prima considerazione che voglio fare si rifà al carattere evolutivo storico, del rapporto Piemonte - Europa: non può essere valutato il rapporto tra il Piemonte e l'Europa se non nel contesto storico in cui ogni particolare fase si colloca.
A chi con meraviglia ha sottolineato, interpretando a modo suo quanto è detto a questo proposito nel programma, richiamo il significato che assunse nel passato recente questo rapporto, e qual è stato il nostro atteggiamento, Intanto, si è trattato di un periodo, quello del dopoguerra dominato dalla produzione di beni durevoli di consumo; un periodo di produzione sollecitata da un mercato artificialmente costruito ed orientato culturalmente in maniera sfrenata ad uno spinto consumismo. Le industrie trainanti di questo periodo, in generale, hanno assorbito risorse economiche dai Paesi più deboli: le industrie europee da altre parti del mondo; l'industria trainante italiana del nord Italia ha assorbito risorse economico-sociali ed umane dal resto del nostro Paese, nel tentativo di aggregarsi - era questo il discorso del Piemonte area forte dell'Europa alla coda del processo europeo di espansione. Si tratta di una posizione subalterna, dell'aspirazione di partecipare in qualche modo all'orgia di produzione e di consumo dei beni durevoli. L'ipotesi nei confronti del Meridione d'Italia è stata, per lunghi anni, quella di trasferire ad esso il surplus di risorse che l'agganciamento della struttura industriale piemontese a quella europea avrebbe potuto consentire di accumulare: surplus che non è mai venuto, perché inseriti e sottomessi in questa logica gli effetti non potevano essere che quelli di richiamare sempre maggiori risorse, poiché le esigenze, per tenere il passo, divenivano sempre maggiori. E di qui, gli effetti negativi e squilibranti dello sviluppo italiano, che nessuno può disconoscere, quando si interviene sul rapporto Piemonte - Europa, a meno che non si vogliano strumentalmente togliere dal discorso dei parametri fondamentali. L'effetto è stato quello degli squilibri settoriali che abbiamo vissuto e di cui viviamo le conseguente in questi anni, e degli squilibri territoriali che proprio, in termini drammatici, oggi, più ancora di ieri dobbiamo misurare nell'immagine delle zone terremotate che ci trasmette quello strumento di immediata comunicazione che è la televisione.
Noi continuiamo a ritenere che quel nostro atteggiamento e giudizio fosse giusto; se non ci fosse stata quella nostra voce a contrapporsi rispetto ad una facile idea di assorbimento dell'economia piemontese alle logiche espansive europee, le conseguenze nefaste di quello sviluppo squilibrato, settorialmente e territorialmente, sarebbero ancora maggiori e dovremmo scontare un depauperamento maggiore del Meridione.
Non ci sarebbero oggi, se non ci fosse stato quell'atteggiamento e quella voce, neppure i 35 mila occupati della Fiat, insediati nelle aree del sud; quell'occupazione è nata proprio da quel tipo di contrapposizione da noi esercitata ad una logica in chiave europea dello sviluppo del Piemonte degli anni '50 e '60; ancora più aggravata sarebbe la situazione del sud, in quel sud indifeso che abbiamo conosciuto in questi giorni in tutta la sua reale drammaticità.
La situazione oggi si pone in termini diversi: è caratterizzata dall'esplodere delle deficienze strutturali del meccanismo di sviluppo del passato. L'industria, che è stata trainante in Italia e lo è stata per molti Paesi d'Europa, versa in una crisi mondiale. Le concorrenze fra queste industrie all'interno dell'Europa sono oggi suicide; hanno vissuto nel passato, su una concezione liberista, e già allora si sarebbe dovuto impostare in termini corretti il problema dell'integrazione produttiva all'interno del nostro continente. Tanto più oggi, continuare sulla strada della concorrenza spietata, in questa situazione di crisi, dopo aver eluso disegni di prospettiva nel passato, sarebbe davvero letale: i processi di cooperazione economico-produttiva sono diventati necessari all'interno di questi stessi settori che sono stati trainanti e continuano ad occupare una parte importante dell'economia italiana ed europea. E' quindi questo un primo dato di cui tener conto. E' mutato lo scenario mondiale, sono entrati in scena nuovi Paesi, quelli produttori del petrolio, che hanno posto nuove condizioni allo sviluppo economico di tutti i Paesi del mondo; hanno posto nuove esigenze e vincoli allo sviluppo nel mondo, altri Paesi, non produttori di petrolio, mossi dal loro dramma di miseria ad una dura lotta di riscatto, svolta nel solco di una dimensione culturale e politica diffusasi in questi ultimi decenni nei Paesi più arretrati economicamente che ha tramutato in processo storico reale, anche in quelle parti del mondo, Io spettro di libertà e di emancipazione che più indietro nel tempo diceva Marx, aleggiava in Europa. Quei Paesi, a partire dalla lotta contro la loro miseria da cui si stanno riscattando con fatica immane, impongono un mutamento dei rapporti di forze economiche e un mutamento dei rapporti politici.
Ebbene, l'Europa, o meglio, i Paesi più forti dell'Europa - lo coglieva puntualmente Revelli nel suo intervento - si stanno adeguando in direzione di questa nuova situazione, perlomeno per quanto riguarda i problemi economici posti dai Paesi produttori di petrolio, se non da quelli posti dai Paesi meno ricchi o poveri che si stanno riscattando dalla miseria questi si stanno muovendo attenti alla nuova area mondiale che si sta affacciando nel settore della produzione e della domanda. I Paesi del centro Europa si stanno attrezzando con il loro sistema produttivo (si sono attrezzate le imprese ), ed anche attraverso un'infrastrutturazione di trasporto, direzionalità e commercio adeguata a sostenere questo rapporto con il nuovo mondo. L'Italia non può lasciarsi tagliare fuori; non pu consentire che questo disegno vada avanti per volontà politica di altri Paesi senza la sua presenza, senza poter incidere sugli orientamenti.
Preciso che quando dico Italia, dico Italia nella sua interezza, non solo il Piemonte.
In questo quadro complessivo nazionale italiano va collocato il Piemonte, il suo impegno volto all'attuazione di una politica nazionale, e a questo fine, lo sfruttamento delle potenzialità economiche, produttive e territoriali di cui dispone; in questo contesto si pone il problema della ripresa della grande industria, della riconversione produttiva orientata alla domanda di beni strumentali che sta emergendo dai Paesi in via di sviluppo. Soltanto se il giudizio che noi diamo della situazione che stiamo vivendo parte da un'analisi corretta, potremo seguire una via che favorisca lo sviluppo del Piemonte e, insieme, quello del nostro Paese; d'altra parte senza l'uno, non può esserci l'altro.
Devo poi aggiungere che le nuove condizioni politiche, istituzionali inducono a modificare l'atteggiamento nei confronti del rapporto Piemonte Europa: mi riferisco alla costituzione del nuovo Parlamento d'Europa.
Riteniamo che se il Parlamento d'Europa - eletto con le elezioni del '79 non vuole ridursi ad un museo delle cere, una mera cassa di risonanza, deve affrontare davvero i nodi strutturali dello sviluppo dell'Europa; in questo senso si rende necessario che il nostro Paese abbia un ruolo più deciso, lo abbiano i Gruppi parlamentari, ma, soprattutto, lo abbia il nostro Governo all'interno delle Commissioni e del Consiglio d'Europa.
Ecco, quindi, una serie di motivi che spiegano i contenuti del documento presentato dalla Giunta. Non si tratta dell'abbandono del Meridione, ma una giusta collocazione dell'Italia intera nell'ambito della politica europea e, in questo quadro, del ruolo del Piemonte perché dia attraverso le proprie strutture produttive, la sua forza sociale e culturale, tutti gli apporti possibili. Questo atteggiamento che lega le sorti del Piemonte a quelle dell'Italia è oggi più che mai necessario. Non credo di uscire dal filo logico delle cose se dico che gli eventi tragici che hanno colpito il Meridione ci impongono ancora di più - se mai qualcuno non lo sentisse come esigenza culturale e sociale - di vedere i problemi dello sviluppo del Piemonte nel quadro nazionale. Se le parole che oggi nei confronti del sud si usano, di critica sul passato e di impegno per il futuro, vogliono avere un senso e non vogliono essere solo una manifestazione ipocrita di solidarietà, allora dobbiamo sapere che in questi giorni (anche per chi non se ne fosse voluto rendere conto prima) si è stabilita una situazione del tutto nuova che impone una politica nuova nel nostro Paese. Non sarebbe più accettabile che dopo gli eventi di queste ultime settimane non si introducesse all'interno della politica economica italiana il problema del sud come uno dei nodi portanti che devono orientare lo sviluppo futuro. Senza, quindi, atteggiamenti di assistenza ma strutturalmente impostando la politica economica nazionale e di ogni regione sulla base del riferimento essenziale della ripresa del sud. Dal sud, oggi, dobbiamo cogliere, insieme al dramma ed alla tragedia un dato importante: lo spirito di solidarietà che si è manifestato, la sua intensità, che ha fatto sentire più che in altri momenti pur importanti della storia del nostro Paese, di aver conseguito uno spirito di unità nazionale. E' giunto il momento, non più dilazionabile, che a questo spirito di unità nazionale che si raggiunge sul piano della solidarietà sul piano umano, corrisponda una politica unitaria di carattere economico che sia in grado di dare risposta ai problemi sociali ed economici del nostro Paese, a partire dal sud.
Qui in Piemonte, intanto, che cosa dobbiamo fare? Credo che in ogni settore dobbiamo cominciare ad operare utilizzando appieno le potenzialità che la nostra Regione presenta, facendo sempre meno conto sulle risorse che devono giungere da altre parti del Paese. Già Simonelli richiamava il ruolo della grande industria e i problemi che per essa si pongono; poneva per anche in evidenza le difficoltà oggettive per una Regione ad intervenire su una problematica che ha dimensioni nazionali ed internazionali. Non c'è dubbio, comunque, che la Regione è impegnata nei confronti della grande industria a favorire quei processi che possono consentirle, sia a livello nazionale che piemontese, di superare i suoi limiti di direzione, di preparazione tecnico-scientifica, di organizzazione razionale della fabbrica e della sua presenza sul territorio. Un compito preciso, per spetta alla Regione, in direzione soprattutto delle piccole industrie: la Regione deve portare avanti, intanto, il lavoro che è stato svolto negli anni passati con tanta assiduità e con tanta efficacia, e cioè l'intervento sulla crisi aziendale e sul mercato dell'occupazione; procedere, inoltre attraverso le aree industriali attrezzate, al potenziamento di quegli indirizzi di riorganizzazione produttiva che emergono come fondamentali per lo sviluppo dell'industria e che rispondono all'esigenza di più equilibrata distribuzione territoriale delle attività nella nostra Regione; promuovere le infrastrutture e strutture di servizio che possono consentire di sfruttare le situazioni favorevoli determinate dal fatto che il Piemonte e l'Italia sono al centro di flussi importanti di scambio che vanno sia verso l'area mediterranea, sia verso i Paesi della CEE.
Alla realizzazione di infrastrutture e strutture di servizio è necessario affiancare il potenziamento della partecipazione della Regione alle iniziative per l'export, in modo da aiutare le medie e le piccole industrie a sfruttare appieno la potenzialità tecnico-produttiva di cui dispongono. Partecipazione della Regione ai centri di consulenza che possono assistere la piccola e la media industria nell'introduzione di nuove forme di organizzazione e di gestione e partecipazione della Regione alla formazione di adeguati operatori aziendali. Su questa strada, che va dall'occupazione alla politica del credito, alla predisposizione dei servizi e delle aree industriali attrezzate all'azione di mercato e alla formazione, credo che possiamo trovare già strumenti adeguati nel lavoro di impostazione e realizzazione degli strumenti che nella passata legislatura si è realizzato. Mi riferisco alla Finpiemonte, alla Promark, agli altri enti strumentali di cui si è dotata la Regione: istituti di ricerca (Ires e Ipla) e di elaborazione (Centro di calcolo).
In direzione della qualificazione e del potenziamento delle condizioni di sviluppo economico dell'industria come di altri settori, che vogliamo introdurre, nel rispetto delle autonomie di ciascuno di questi enti strumentali, vogliamo promuovere il coordinamento delle loro iniziative perché in modo più efficace assumano il ruolo di strumenti di attuazione della politica di programmazione regionale.
Nell'ambito infrastrutturale è incontestabile che devono essere migliorate le condizioni dei trasporti. Dobbiamo subito dire che la politica dei trasporti - che viene spesso deformata da pressioni locali non si può migliorare se non attraverso una politica di piano. Non vogliamo procedere alla cieca, come nel passato, quando si sono realizzate infrastrutture di scarsa utilità; dobbiamo agire secondo una linea di programmazione che ci consenta di utilizzare le limitate disponibilità al meglio, in modo da far corrispondere ad ogni intervento, per limitato che sia, un miglioramento della funzionalità complessiva; bisogna quindi scegliere i punti di intervento capaci di influire sul sistema più complessivo, procedendo per gradi al miglioramento totale, per il quale occorreranno maggiori finanziamenti e più lunghi periodi. Qui voglio dire subito che uno dei riferimenti essenziali per introdurre elementi di efficienza nella politica dei trasporti nella nostra Regione è quello che riguarda le Ferrovie dello Stato: non può più essere dilazionata l'approvazione del piano delle FF.SS. e l'utilizzo dei finanziamenti che già sono stati accantonati per la realizzazione di questo piano. Si troverà qui un duplice effetto, quello del miglioramento delle condizioni di mobilità e, nello stesso tempo, quello di una sollecitazione produttiva a tutto il settore industriale. In secondo luogo, i problemi della viabilità per i quali il discorso che facevo prima delle scelte di programmazione diventa estremamente importante. L'intera rete della viabilità regionale, e a maggior ragione quella nazionale, richiede interventi migliorativi. Non sarà possibile realizzare nel breve tempo tutti gli obiettivi, bisognerà saper scegliere. In Piemonte, come è posto nel programma della Giunta, sarà importante scegliere nell'ambito della politica di programmazione quelle priorità che hanno un peso strutturale per l'economia piemontese e contemporaneamente, per l'economia nazionale. Dovremo tralasciare quegli interventi marginali, pur necessari, ma che non sono in grado di produrre gli effetti voluti nell'economia regionale ed in quella nazionale. Sotto questo profilo, pertanto, non dobbiamo dimenticare che prioritari sono gli interventi di viabilità sui tratti a carattere nazionale: la mobilità nella Val Susa e nell'Orsola. Accanto a questi, i problemi delle comunicazioni Piemonte - Liguria, che vanno visti nell'ambito di una politica portuale nazionale di recupero del ruolo dei porti liguri. Soltanto nel quadro di una politica nazionale portuale, che veda i porti liguri recuperati alle relazioni intercontinentali, si renderà giustificabile agli occhi del resto del Paese l'intervento sulla Torino - Savona: nella misura in cui si darà vita al recupero dei porti dovrà avviarsi l'intervento di raddoppio della Torino - Savona. Noi riteniamo che altri interventi sull'intero sistema di collegamento fra Piemonte e Liguria si rendono necessari con immediatezza: la statale 28, la statale 20, alcuni miglioramenti della stessa Torino Savona.
Connesso con questi problemi è quello della mobilità delle merci e della realizzazione dei centri intermodali. Il discorso è interno alle politiche di piano della passata legislatura; costituisce un impegno della Giunta per questi prossimi anni; si tratta di realizzare i primi spezzoni di un organizzato sistema di scambio e distribuzione delle merci; il riferimento prioritario è costituito dal centro intermodale di Orbassano e della sua articolazione nella zona di Susa.
Questo problema è connesso con le esigenze di mobilità delle merci dell'industria e delle altre attività economiche e più in generale con lo sviluppo dell'intero sistema terziario. Per tutta la Regione, non soltanto per l'area torinese, esiste il problema dell'adeguamento del sistema terziario; l'area torinese tuttavia presenta un'estrema urgenza. Sono necessari interventi puntuali e specifici sul sistema dei trasporti e sui servizi che favoriscono i processi di commercializzazione; lo sviluppo del terziario richiede però anche una preparazione intelligente degli operatori, centri di elaborazione dati, strumenti di calcolo, da un lato, e strumenti per la ricerca operativa, dall'altro.
Per quanto concerne la politica territoriale, tutti gli interventi hanno concordato sull'esigenza di giungere rapidamente all'approvazione degli schemi di piano territoriale. Ribalto questa sollecitazione in richiesta di impegno ai colleghi, a tutte le forze politiche di questo Consiglio regionale, perché ciò avvenga, favorendo la conclusione di un lavoro di elaborazione svolto non soltanto in termini tecnici e scientifici e quando dico "non soltanto" non voglio affatto sminuire il valore di un'elaborazione tecnico-scientifica - ma anche e soprattutto in termini di partecipazione, riscuotendo un largo consenso. Tredici sono gli schemi approvati dai Comprensori, comprensivi degli aspetti socio-economici e territoriali. Questi schemi forniscono certo soltanto degli indirizzi generali dell'organizzazione dell'attività sul territorio di ciascun Comprensorio; si tratta dei primi schemi, i quali sono nati nel corso di un lavoro durato poco più di un anno e mezzo. Se ciascuno di voi pensa ai tempi di elaborazione - anche in un piccolo Comune - di un piano regolatore, si rende conto quanto questo anno e meno sia stato bene utilizzato dai Comprensori. Ripeto, questi schemi contengono soltanto indirizzi generali e strutturali dell'organizzazione territoriale. A meno di mettere in discussione l'impostazione concettuale, metodologica ed anche politica che è stata assunta da questo Consiglio - secondo la quale il piano territoriale è un piano di indirizzo che fornisce indicazioni sulla grande maglia organizzativa delle attività sul territorio di un Comprensorio - dobbiamo convenire che i risultati sono quelli che ci prefiggevamo. D'altra parte, il piano territoriale non può essere inteso come un piano regolatore comunale esteso all'intero territorio comprensoriale: esso è un piano di indirizzi generali e strutturali che dovranno trovare una definizione in seguito, non solo attraverso l'elaborazione ancora da compiere che deve tradurre questi primi schemi in piani conclusi, ma anche attraverso gli aggiornamenti e le specificazioni che si faranno attraverso la pianificazione comunale ed intercomunale; non è possibile, a parer mio, vedere un livello di pianificazione dipendente dall'altro, e cioè una pianificazione comunale tutta dipendente dalla pianificazione territoriale, come qualcuno richiede (ma abbiamo sentito voci del tutto opposte).
Io credo che ci si sia incamminati su una strada giusta: quella della successiva e progressiva interazione dei due momenti di elaborazione della pianificazione, la grande scala, che riguarda i Comprensori, la scala minore, che riguarda i singoli Comuni.
Per tredici delle quindici aree comprensoriali gli schemi di piano Comprensoriale e di piano territoriale sono stati approvati dagli organi comprensoriali: la Regione deve esprimersi. Abbiamo incominciato a discuterne in una seduta della I Commissione, ed avremo prossimamente altre sedute. Con il pronunciamento della Regione rilanceremo l'elaborazione della fase conclusiva dei piani. Intanto, questi tredici schemi costituiscono un primo riferimento importante se si vuol governare il territorio secondo principi di razionalità dell'uso delle risorse primarie dell'organizzazione delle attività produttive e secondo principi di equità di distribuzione di valori sociali e culturali. E' sufficiente cogliere nei pochi elementi sostanziali su cui questi schemi si esprimono, il dato qualitativo, l'impegno e la volontà di governare lo sviluppo delle attività sul territorio che essi sottendono, per rendersi conto del significato positivo, in termini politico-culturali ed in termini di gestione amministrativa, del lavoro svolto.
Il Consigliere Borando diceva che i Comuni non conoscono i piani territoriali e che le indicazioni in essi contenute non sono utili ai Comuni: certo, nessun piano territoriale individua i perimetri dei lotti che il Comune deve attribuire alle attività industriali o residenziali; i Comuni, da questi primi schemi di piano territoriale possono trarre elementi che consentono di dedurre indicazioni specifiche: individuare le aree che devono essere salvaguardate sotto il profilo della produzione primaria, o salvaguardate sotto il profilo paesistico - ambientale; oppure le aree da non edificare perché rischiose sotto il profilo idrogeologico dalle valutazioni che sono state fatte sui processi di sviluppo economico e sociale del passato, dalle indicazioni e dagli orientamenti nuovi per lo sviluppo economico, sociale e demografico delle varie zone, i Comuni possono trarre elementi che consentono, anche sulla base di una valutazione locale, di definire i parametri per la pianificazione urbanistica del loro territorio. Il rimandare la pianificazione locale a presunti piani territoriali onnicomprensivi e particolareggiati, significa mitizzare un'aspirazione tanto perfezionista quanto improduttiva, assumere un atteggiamento rigorista e massimalista che non porta a nessuno sbocco.
Manca l'approvazione dei primi schemi di piano di due Comprensori; uno è il Comprensorio di Casale, l'altro è quello di Torino: l'elaborazione è stata fatta in entrambi; il Comprensorio di Torino, in particolare, ha condotto un lavoro di consultazione e di partecipazione molto esteso nell'ambito del proprio territorio, con le categorie sociali ed imprenditoriali e con gli Enti locali. Si è giunti alla votazione dopo un lavoro che, credo si possa giustamente dire, appare il più minuzioso e particolareggiato che sia stato fatto dai quindici Comprensori. E' mancato il numero legale per la votazione, e non è certo stata colpa della maggioranza, ma della minoranza che è uscita dall'aula per impedire il dibattito e l'approvazione. Le maggioranze e le minoranze nei Comprensori non sono così delimitabili all'interno delle tradizionali divisioni partitiche che normalmente esistono nelle assemblee di primo grado; chi si pone il problema dei piani territoriali deve operare perché essi vadano avanti accettando il metodo democratico; la discussione può essere aperta sul merito finché si vuole ma non si deve venire meno all'impegno di consentire la conclusione.
La collega Vetrino Nicola, a proposito di pianificazione territoriale ha denunciato il fatto che si voglia giungere al quadro regionale attraverso il lavoro dei Comprensori; questa è stata una scelta: un primo quadro territoriale regionale è contenuto nel primo piano di sviluppo regionale seppur in termini molto descrittivi e orientativi; si è scelto per ragioni di democrazia e di efficienza, di procedere attraverso l'elaborazione dei Comprensori per evitare un ruolo centralista della Regione; si è operato per un'elaborazione e un metodo che non escludesse i Comprensori, le organizzazioni sociali, i Comuni; tutte queste forze sono state sentite ed hanno collaborato con i Comprensori (dipende dai Comprensori se bene o male). D'altra parte, sappiamo ciò che pu significare una pianificazione imposta dal livello regionale: è sufficiente ricorrere anche qui all'esperienza dei piani regolatori comunali per renderci conto che quando un'elaborazione non è fondata su una partecipazione organizzata, finisce per non avere alcun effetto. La politica di piano si sostanzia, peraltro, attraverso i piani di settore: delle decisioni che riguardano i vari settori dei trasporti, dell'edilizia dall'azione di tutela ambientale, forestale, paesistica, idrogeologica. I piani territoriali esprimono anche l'impegno di realizzare davvero un processo evolutivo di governo che consenta un maggiore controllo di quanto avviene sul territorio, evitando di trovarci coinvolti ogni giorno, invece in un'azione che, partendo dai problemi specifici, crea disordine e contrapposizioni. Se su ogni caso particolare si opera per sovvertire la politica di piano, questa politica non può andare avanti.
Le elaborazioni degli schemi di piano contengono ricerche di valore.
Qualcuno ha detto che sono state troppe le ricerche condotte da questa Giunta; io credo che se ne avessimo fatte di più e dappertutto, e intendo dire anche in altre parti d'Italia, avremmo potuto avere elementi di conoscenza per definire gli indirizzi di una politica più oculata e, ad esempio, preventiva rispetto a fatti calamitosi della gravità di quelli che recentemente hanno colpito il sud. Già oggi, ancora prima di essere formalizzate in un documento definitivo di pianificazione territoriale, le ricerche da noi condotte sono in grado di indirizzare le politiche a livello territoriale ed anche a livello locale (mi riferisco qui, per esempio, alle ricerche sul rischio idrogeologico, sulle frane e sulle alluvioni); credo che occorra invece l'impegno doveroso di tutti per far affermare le linee che queste ricerche indicano.
A Druogno, dove ci sono stati alcuni morti nell'alluvione del '78, da mesi (è ancora aperta ora la discussione) non si vuol tener conto delle ricerche che sono state effettuate, e si vorrebbe continuare a costruire in un'area indicata dai geologi come area rischiosa. Su questo terreno è meglio abbondare in cautela, piuttosto che difettare.
Ricerche verranno ancora condotte in questi prossimi anni di attività della Giunta, proprio perché io ritengo che non siano sufficienti quelle fino ad ora condotte; stiamo portando avanti la ricerca sul sisma, che ci permetterà di individuare le aree di rischio per la nostra Regione, con dati, come già per le alluvioni sono a disposizione, in merito ai tempi probabili di ritorno dell'evento; di quei dati dei quali si sta parlando con recriminazione per non averli avuti in attenzione per il sisma del Meridione. Stiamo impiantando anche un servizio per raccogliere i dati meteorologici che ci consentiranno di legare i dati a terra con la situazione atmosferica, e, sotto questo profilo, essere sempre più preparati per svolgere azione preventiva nel caso di calamità, e comunque per disporre sempre più di elementi per una gestione corretta dell'uso del territorio e delle sue risorse primarie. Le ricerche quindi devono proseguire sia per quanto riguarda gli aspetti fisici del territorio sia per gli aspetti socio-economici.
L'ultimo punto che voglio toccare è quello dei rapporto tra Regione ed Enti locali. La riforma istituzionale è in corso, non è però prossima l'approvazione. Dobbiamo operare, intanto, nel solco dell'impostazione che ci siamo dati con i Comprensori, i quali saranno eletti il prossimo 21 dicembre; al tempo stesso, dobbiamo tenere presente le novità che la riforma potrà introdurre. L'occasione è da cogliere già nel proseguimento del lavoro per i piani territoriali. Dobbiamo procedere cercando di preparare la riforma; concludere il lavoro dei piani lavorando con i Comprensori e facendo confluire questa esperienza comprensoriale nel lavoro delle Province. E' un'occasione per verificare il modo con cui Comprensori e Province possono operare insieme: integrare due esperienze che hanno storie diverse come impostazione ed anche colle qualità del loro ruolo. Non c'è dubbio che noi ci impegneremo a lavorare con riferimento a questa duplicità di situazione che si è creata in Piemonte.
Un aspetto mi sembra rimanga aperto: i Comprensori hanno rotto con una gerarchia istituzionale affetta da separatezza e centralizzazione verticale delle competenze. I Comprensori hanno messo in diretto contatto, per il processo decisionale, per il metodo di lavoro, per il processo elaborativo due livelli fondamentali dell'attuale (ed io mi auguro futura) articolazione istituzionale italiana: la Regione ed i Comuni. Quando parlo dei Comuni mi riferisco alla specifica presenza articolata dei 1.209 Comuni piemontesi; rispetto ad essa, certo c'è da operare un processo di razionalizzazione, che non dovrebbe mai giungere però alla cancellazione di quell'entità storica comunitaria che anche un piccolo Comune esprime (e che è uno degli elementi fondamentali della vita di una comunità più complessiva come può essere quella di un Comprensorio o di una Regione).
Ebbene, questo rapporto tra i Comuni e la Regione, organizzato attraverso l'attività e la stessa composizione dei Comitati comprensoriali, per quanto possa essere stato difficoltoso ed anche limitato riteniamo sia un valore da non perdere. Teniamo presente che i Comprensori hanno avuto vita da poco più di tre anni. Essi sono stati messi nelle condizioni di partecipare all'attività di elaborazione e di decisione della Regione, tanto che abbiamo parlato di un Consiglio regionale espanso, il quale ha inglobato in sé i mille Consiglieri dei Comprensori. Abbiamo avviato qui in Piemonte un processo, sotto questo profilo, di rapporto e di partecipazione che deve costituire un punto di partenza se si vuole produrre una trasformazione reale e profonda, adatta ai tempi moderni, delle istituzioni. Di questo bisogna tener conto se non si vuole irrigidire la vita pubblica in un modo che non corrisponderebbe alle esigenze complesse, di per sé non riconducibili a schemi troppo rigidi, della società moderna; se si vuole che la vita pubblica risponda a quell'esigenza di articolazione della società moderna che ha messo in crisi non soltanto l'istituzione, ma la stessa rappresentatività dei partiti. Non voglio ritornare su quanto già ho detto; consentitemi di sottolineare però che i Comprensori hanno avuto anche il pregio di far emergere al loro interno quella molteplicità di forze indipendenti che se trovano ancora possibilità di manifestarsi a livello del singolo Comune, non la trovano in assemblee elettive di livello superiore. Ritengo che questo valore di libera espressione di forze articolate e indipendenti, di rottura degli schemi gerarchici verticali delle competenze e della funzione di governo, che i Comprensori hanno pur embrionalmente nella loro breve vita espresso, sia un valore che non debba essere perso e che debba essere ritrovato anche con riferimento ed all'interno della vita delle nuove Province, se la riforma li caricherà dei nuovi compiti, ora in Piemonte, dalla Regione attribuiti ai Comprensori.
Finisco dicendo che gli interventi hanno sollevato molti problemi hanno suggerito molti orientamenti; se si fosse voluto, come Giunta rispondere a tutti, avremmo preso anche più di queste due ore che abbiamo impiegato per questa replica. Di quanto detto terremo conto nella permanente revisione critica che facciamo del nostro lavoro e nel prosieguo del lavoro che, con il Consiglio regionale e le Commissioni, affronteremo nei confronti di ogni singolo e settoriale lavoro.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta, Enrietti.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, prima di iniziare questa mia breve replica ai numerosi interventi che si sono susseguiti, in questo lungo Consiglio regionale, rivolgerei un ulteriore segno di solidarietà ai terremotati della Campania e della Basilicata. Inoltre, rivolgo un plauso a tutti i funzionari regionali per il senso di abnegazione dimostrato in questi difficili momenti.
Reduce da questo mio viario nella Campania e nella Basilicata, vorrei riferire al Consiglio regionale l'apprezzamento che ho potuto registrare fra le altre Regioni, fra le popolazioni della Campania e della Basilicata verso l'efficienza e la premura del Piemonte.
Signor Presidente, signori Consiglieri, tralascio le considerazioni sul programma che la Giunta ha presentato, perché in maniera puntuale, precisa hanno già avuto modo di rispondere i colleghi Assessori che mi hanno preceduto. Un giudizio conclusivo, però, mi preme darlo, e ho l'impressione che dal dibattito non sia emerso alcun programma alternativo né sul piano programmatico, né sul piano politico; e consentitemi, questo è sicuramente un elemento di soddisfazione.
Dicevo, né sul piano programmatico, perché sì, possiamo aver avuto suggerimenti su questo argomento come su quell'altro e possiamo aver avuto indirizzi che spingevano in una direzione invece che in un'altra, ma non abbiamo mai sentito in tutto questo lungo dibattito, una linea alternativa o di contrapposizione a quanto da noi proposto.
Alcuni ci hanno detto che in questo programma non compaiono scelte precise, noi, invece, ribadiamo che ci sono, importanti e serie, ma soprattutto si evincono linee fondamentali sulle quali costruire la nuova realtà per il Piemonte.
Sul piano politico non abbiamo registrato proposte diverse da quella sulla quale si basa questa maggioranza.
Ho ascoltato con attenzione l'intervento del Consigliere Picco, il quale ha voluto sottolineare, quale elemento di stonatura del Presidente l'accenno e il discorso sulla centralità socialista.
Ha voluto soffermarsi su quelle mie parole ed io desidero rispondergli che siamo orgogliosi di questa politica e che sicuramente essa rappresenta un disegno ambizioso dei socialisti; il Piemonte è un laboratorio politico che può diventare di insegnamento a tutto il Paese e, certamente, della questione socialista si dovrà parlare lungamente in questi anni.
Il nostro collegamento con il Partito Socialista Democratico Italiano come elemento che scaturisce dalla realtà europea, è il fatto nuovo su cui tutte le forze politiche si devono misurare.
E poi, consentitemi, prendendo spunto dall'intervento preciso ed acuto del Consigliere Revelli, di sottolineare che il neoliberismo che sembra trionfare in Europa come in America, ha bisogno, per essere contrastato, di una sinistra democratica ed europea unita e forte, e sicuramente tutte le carte sono ancora da giocare per vedere chi sarà il vittorioso.
Noi, al disegno di un socialismo europeo occidentale vogliamo dare il massimo dei contributi.
Un altro aspetto mi preme sottolineare con forza e, prendendo spunto dall'intervento lungo ed appassionato del Consigliere Genovese, il quale ha cercato di impostare "la questione morale" come un problema che con troppa presunzione i socialisti vogliono portare avanti; voglio assicurarlo che non è una questione di presunzione, ma è un fatto serio e di un'importanza tale, che ormai tutto il Paese se ne fa carico, e ce ne rallegriamo, a daremo il massimo dei contributi. La "questione morale" è diventato ormai un cardine centrale del dibattito politico del nostro Paese.
Vorrei ancora ribadire, rispondendo ad alcuni Consiglieri, che la centralità del Consiglio, per l'esecutivo, è un obiettivo da raggiungere ma che questo obiettivo, me lo consentono, non è che si possa raggiungere soltanto avendo un orologio più attento sulle presenze o sulle assenze degli Assessori; questo obiettivo si raggiunge esaminando la sostanza di un problema e facendo le leggi opportune.
Sono grato al Consigliere Cerutti per contributo determinante, sia sul piano politico, che sul piano programmatico, che ha voluto dare con il sito intervento.
Voglio ancora sottolineare l'intervento positivo del Consigliere Gastaldi, che si mette in contrapposizione a quello più caustico della signora Vetrino Nicola; ci auguriamo che nel P.R.I. prevalga la linea del Consigliere Gastaldi.
Ancora una considerazione; di fronte a noi ci saranno problemi di una tale gravità e dimensione, che vorremmo affrontare non con uno spirito di maggioranza chiusa, ma con l'auspicio di ben più larghe convergenze.
Questa maggioranza democratica di sinistra si pone, nei confronti dei grandi temi, con la volontà di più vaste aggregazioni e questo per noi è pure un aspetto della questione morale.
La questione morale, la ricerca dell'efficienza dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali, sono problemi che investono tutte le forze politiche e non soltanto le maggioranze.
Ricercheremo maggioranze più ampie nella conduzione di una rigida politica di bilancio, in un rigoroso e preciso rapporto con il Governo nella nostra volontà di dare il massimo dei contributi per la riforma delle autonomie locali.
Insomma, si definisce una strategia che vuol partire dai problemi dalle esigenze, per arrivarne alla soluzione coinvolgendo tutte le forze politiche.
Non importa se i gatti sono bianchi o rossi, l'importante è che mangino i topi.
D'accordo, questa è la nostra posizione, ma recepisco in questo il suggerimento del Consigliere Revelli, che tutto ciò non può essere un pragmatismo senza principi.
Abbiamo avuto suggerimenti, non proposte alternative; sicuramente ne faremo tesoro. Sono momenti difficili per alcuni versi anche drammatici siamo consci dei limiti in cui siamo costretti ad operare, ma, sorretti dalla fiducia per i valori morali che intendiamo portare e dalla fiducia nello spirito di abnegazione, di solidarietà delle popolazioni del Piemonte, diciamo che ce la faremo.
Un ultimo argomento: l'Assessore Alasia ci lascia per svolgere il suo ruolo di Consigliere tra i banchi del Gruppo comunista. Lo voglio ringraziare fraternamente per l'opera costante ed insostituibile che lui ha dato in tutti questi anni a favore delle popolazioni del Piemonte, ma in maniera particolare nella lunga, difficile, tormentata vicenda Fiat, di cui è stato sicuramente un silenzioso protagonista.
Ci lascia Gianni Alasia e viene sostituito dal Consigliere Cerutti, al quale auguro lungo e proficuo lavoro in comune.



PRESIDENTE

Passiamo alle dichiarazioni di voto.
La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il Gruppo del P.S.I. voterà il programma presentato dalla Giunta regionale per il quinquennio 1980-1985 per il nuovo assetto della Giunta stessa ed auspica che, al di fuori di quanti già direttamente vi partecipano, altre forze lo giudichino favorevolmente e con noi si accompagnino per l'intero mandato.
La discussione del programma ed il riassetto della Giunta cadono in un momento particolarmente difficile della vita del Paese.
La grave calamità che ha colpito una parte del sud (si può parlare di catastrofe, ormai sono trecentomila quelli che devono essere sfollati ricordatevi che Cadorna all'inizio della prima guerra mondiale dovette affrontare sfollamenti minori delle zone del fronte, quindi pensate che cosa vuol dire!) ha riproposto antichi temi sull'efficienza delle forze di governo ed istituzionali, ha reso ancor più evidenti i guasti di un sistema fondato spesso non su fatti operativi, ma su situazioni anche clientelari sulle forme inattuate, per modelli che la coscienza popolare rifiuta da sempre.
Il terremoto, con i suoi guasti tremendi, e le inadeguate risposte di chi aveva pure il dovere di darle, hanno colpito in modo grave l'opinione pubblica ed evidenziano la necessità di un salto qualitativo che ci garantisca da pericoli di una caduta democratica e da ipotesi di Paese incapace di gestirsi.
L'opinione di alcune forze moderate e cioè che il sud è perduto, che la politica meridionalista è fallita e che solo un grande bacino assistenziale può esistere, deve essere respinta con fermezza e con grande chiarezza.
Questa politica è diretta alla cattura di vasti strati in condizione di degrado, di emarginazione, spesso anche di disperazione, per condurli ad essere punte di un disegno autoritario.
Non per nulla, e già con questo obiettivo, lugubri personaggi organizzarono la calata al sud, come Almirante a Napoli.
Dopo la catastrofe del sud noi possiamo dire che non siamo più quelli di ieri. Abbiamo preso ancor più coscienza dei limiti della politica che pure abbiamo elaborato in tanti anni per il riequilibrio fra nord e sud della sua inadeguatezza, di una mancanza di un chiaro disegno riformatore di esserci spesso adagiati giorno dopo giorno su risultati spesso negativi ma che per comodo rifiutavamo di esaminare e di affrontare e che le attuali vicende ci ripropongono in tutta la loro ampiezza.
Le forze democratiche e progressiste non possono farsi battere da queste forze autoritarie che già hanno condotto il Paese alla rovina ma che sono sempre dietro l'angolo, per riemergere. Il tremendo avvenimento pu essere l'occasione per riprendere l'iniziativa, per non lasciarci ulteriormente mortificare, per non assistere passivamente alla tragedia che ormai colpisce metà del Paese, ma che può avere riflessi sull'intera Nazione.
L'articolo di fondo di stamane sul "Corriere della Sera" sul comportamento delle Regioni nel rapporto nord-sud è molto interessante.
L'approvazione del programma della Giunta regionale del Piemonte e l'allargamento della base di governo a tutta l'area socialista costituiscono anche l'occasione per questa riflessione. L'economia di intere Regioni è distrutta. Si legge che le scuole sono inagibili a Napoli ad Avellino, a Potenza, che la struttura pubblica, le fabbriche, l'economia agricola non esistono più, vuol dire che siamo in zona di deserto.
La Giunta regionale, e l'intero Consiglio regionale, sono chiamati a dare il loro contributo e, sotto questo aspetto, la Giunta regionale riflette quella precedente che seppe, dal '75 all'80, dare risposte adeguate.
E' sufficiente ricordare le calamità dell'Ossola, dell'Alessandrino del Pinerolese e la positiva esperienza del Friuli. Ma oggi il problema è ancora più grave.
E' stato scritto, sempre sul "Corriere della Sera", che alle ore 19,34 del 23 novembre la terra non ha soltanto tremato per i derelitti abitanti della Campania e della Lucania, ma ha tremato, e continuerà a tremare per tutti noi, governanti e governati, ladri ed onesti.
La storia italiana è cambiata radicalmente la sera del 23 novembre: prima ce ne persuadiamo, meno alto e doloroso sarà il prezzo da pagare. Il Gruppo socialista è consapevole di questa situazione, ne valuta la portata ha chiari gli obiettivi da perseguire e gli strumenti da adoperare.
Questa Giunta non nasce senza retroterra politico e culturale; alle sue spalle vi sono decenni di lotte e di battaglie democratiche, le sue origini sono lontane ma non per questo disperse, sono le lotte che i lavoratori hanno condotto nella nostra Regione dalla fine del secolo scorso, alla prima guerra mondiale, contro il terrore fascista e negli anni della ricostruzione.
Questo governo regionale che riflette il precedente e che si fonda sui suoi positivi risultati, allarga la sua base di partecipazione, si pone cioè più alti ed ambiziosi obiettivi. Con l'ingresso in Giunta dei compagni socialdemocratici si ricompone l'area socialista che così è in grado di esprimere tutta la sua forza. Si chiude, in tal modo, una disputa storica del tutto inutile e dannosa, si evidenzia una capacità complessiva socialista di aggregazione politica che va ben oltre il 20-22% che costituisce il minimo risultato dei partiti socialisti in Europa, che in alcuni Paesi hanno superato largamente il 40%.
Esistono, dunque, le condizioni per un processo di governo alternativo che costituisce uno dei supporti più importanti per una corretta vita democratica, il rifiuto dell'egemonia dei due più grandi partiti, ed anche un loro compromesso apre la possibilità di un'aggregazione tra le forze socialiste e progressiste che noi definiamo correttamente "centralità socialista", che non è egemonia, ma apre invece un dialogo ed un confronto democratico, teso ad un riequilibrio all'interno della sinistra e ad una definizione strategica che è la scelta occidentale, la garanzia democratica, il riferimento ai valori delle grandi democrazie europee.
E' l'intento riformatore con la gradualità necessaria, un processo di larga e cosciente partecipazione, è la scelta della lunga marcia attraverso le istituzioni.
La costituzione di un governo progressista alla Regione, non chiuso, ma aperto a tutti i contributi delle forze democratiche ha il significato di garantire la crescita democratica, il rafforzamento delle istituzioni l'attuazione dei principi costituzionali e la possibilità dell'alternanza al governo delle rappresentanze politiche, cioè quello che viene comunemente definito il bipartitismo perfetto. Noi socialisti siamo convinti che senza questa possibilità reale non è fattibile la costruzione di una vera democrazia, che un partito al governo senza ricambio, non ha che una sorte, quella di diventare regione. Nè vale a convincerci del contrario l'osservazione delle forze democristiane che l'alternativa è già in atto per il nuovo e maggior peso delle forze socialiste all'interno del Governo nazionale, tali da condizionare ogni scelta della Democrazia Cristiana.
Riteniamo che il Governo nazionale, così com'è articolato abbia un suo significato in un momento in cui la scelta è la governabilità del Paese. Ma non un significato strategico di fondo che è, e rimane la scelta fatta al Congresso di Torino ed in tanti documenti, l'alternativa democratica, cioè il confronto perenne e democratico tra le forze politiche che sono portatrici di valori diversi e che possono trovare aggregazioni omogenee come già avviene con l'approvazione del programma regionale ed il nuovo assetto di governo.
La scelta che noi socialisti abbiamo fatto è e rimane strategica, non tattica, cioè l'alternanza di governo come garanzia democratica, la scelta occidentale, il riferimento costante di valori delle grandi democrazie europee, l'integrazione nell'Europa. Noi socialisti non siamo disponibili a processi diversi che non si riferiscono a questi modelli.
Così, per noi socialisti, deve intendersi la costituzione di un nuovo governo progressista alla Regione Piemonte. In questa fase è prospettiva intendiamo aprire un reale dialogo con tutte le forze politiche. Partendo da un rifiuto di egemonia o subalternità noi possiamo, colleghi democristiani, liberali, repubblicani, percorrere insieme un lungo cammino.
Noi non vogliamo decidere da soli, ma con voi, non per scaricare la nostra responsabilità, o aver comunque il vostro consenso, non certo per costituire una confusa assemblea ipocrita ed irresponsabile, ma per creare sempre più spazi di vera partecipazione.
Se noi riteniamo di rappresentare le classi emergenti che hanno dato vita ai processi riformatori degli ultimi cent'anni e perciò siamo forza di governo, ed abbiamo bisogno però della vostra capacità elaborativa, di una costante verifica, di una forte opposizione che sappia essere "alternativa" nei suoi progetti e nei suoi programmi. E che noi siamo credibili in questo messaggio lo dimostra il comportamento della trascorsa legislatura che non ha certamente dato luogo, né sotto questo aspetto né sotto altri, ad alcuna lacerazione.
Il vero tema di questa legislatura, a nostro giudizio, è di aprire nuovi spazi di intesa tra le forze politiche, economiche, sociali.
L'obiettivo è quello di respingere ogni chiusura, così come quelle interne ed esterne, favorendo un rapporto più alto con tutta la comunità regionale respingendo ogni e qualsiasi violenza, adottando il metodo del dialogo, del confronto, della convinzione. Respingendo e bandendo sempre l'arroganza che spesso è solo ignoranza.
Compito primario è quello di avere questo costante rapporto con le forze ed il mondo del lavoro e le forze imprenditoriali, laddove questi processi emergono e si traducono in momenti complessivi della vita umana e determinano processi positivi o negativi, sol che siano o meno governati.
I nuovi rapporti che furono instaurati con il mondo dell'economia nella seconda legislatura e che hanno rappresentato la rottura di uno steccato invalicabile per tanti decenni, debbono essere ulteriormente rafforzati per dar luogo ad un processo di crescita programmata, discussa, contrattata verificata. Il confronto con le forze sindacali è stato altresì un dato costante, su tutti i temi dello sviluppo del Piemonte, ma occorre ora, in una fase più delicata della vita della Regione Piemonte e del Paese trovare nuovi canali di associazione ad obiettivi riformatori che colgano tutti gli aspetti della garanzia della vita umana.
Così il tema culturale e professionale che promuove lo sviluppo della personalità dell'uomo deve trovare adeguato interessamento. Già in precedenza noi abbiamo spiegato ciò che intendevamo per investimento primario nel campo della cultura, del profilo professionale, della formazione umana. Abbiamo precisato che l'investimento non era il "mattone" ma la formazione umana, che il "mattone" veniva dopo, conseguiva a tutto questo e che certi ritardi non erano soltanto dovuti ad adempimenti burocratici ma a fatti tecnico-culturali.
Collega Paganelli, devi spiegarmi perché l'acquedotto delle Langhe ha fatto 20 miliardi di investimento con tutte le leggi, tutta la burocrazia ed è riuscito a dare acqua a tutte le Langhe e, per esempio, un altro Comune non è riuscito in questo intento. Quindi le leggi possono essere di incidenza, ma non certo decisiva rispetto al problema dei residui passivi.
Per questo riteniamo di sottoporre all'attenzione di tutte le forze politiche che la garanzia di piena occupazione può essere data solo con la garanzia professionale per la domanda emergente nel campo produttivo economico. Se non ci sarà questa corrispondenza fallirà l'obiettivo principale di questa Giunta progressista che è la piena occupazione. Ma per l'attuazione e realizzazione del programma presentato dalla Giunta occorre porre mano ad alcuni momenti del governo del territorio, della sua gestione urbanistica, del suo riequilibrio.
La seconda legislatura ha visto alcune importanti riforme nella politica del territorio, nell'uso e tutela del suolo.
E' necessario non disperdere nulla di questo patrimonio, ma arricchirlo attraverso nuovi momenti di formazione, approvazione, gestione degli strumenti urbanistici, che siano interamente demandati ai Comprensori, alla rivalutazione delle Province (a questo punto il Consigliere Petrini ha fatto bene a risollevare il problema della ridefinizione della legge per le autonomie locali) in un unico accordo tra questi enti esistenti che superi l'attuale situazione di incertezza dell'ente intermedio.
Una delega piena alle comunità locali, riservando l'indirizzo all'Amministrazione regionale, il raccordo generale, la promozione legislativa. Mi pare di aver dato - Consigliere Borando - piena risposta.
Tutto questo non avrebbe ancora nessun senso e nessuna possibilità di favorevole risultato se non si accompagnasse ad una vera politica di riequilibrio del territorio e la ridistribuzione all'esterno delle risorse finanziarie. Ciò comporta la disincentivazione del polo urbano torinese, il disinnesco dei processi di occupazione comunque del territorio dell'industrializzazione selvaggia dell'irrazionale che è avvenuto negli ultimi 30 anni.
In questo polo di pochi chilometri vive la metà della popolazione del Piemonte. Si è detto, non ho capito bene a chi diretto, che ogni Regione deve avere una testa, in questo caso sarebbe Torino. Su questo non abbiamo dubbi. Ma la testa è una cosa diversa dall'asfalto, dal cemento, dal disordine, dalle tensioni sociali, da una città, al limite, invivibile.
Se la testa vuol dire direzione economico-politica, se vuol dire proposta e sintesi, se vuol dire qualificazione, in questo caso noi siamo d'accordo; ma se questo vuol dire nuovi investimenti, nuovo cemento, nuovo mattone, noi diciamo che si accresceranno solo le contraddizioni, non si attenueranno, e l'ipotesi dei mostruosi agglomerati sudamericani, che abbiamo sempre condannato, sarà presente nella nostra comunità.
Sotto questo aspetto non vi può essere revisione critica. E' la filosofia della nostra azione di governo. Gli obiettivi del piano di sviluppo che insieme ci siamo dati, debbono essere perseguiti ed attuati.
La nostra azione non può limitarsi all'uso delle risorse attribuite alla Regione. Al Consigliere Paganelli è sfuggito un particolare. Nel complesso queste risorse risultano non più del 10% del reddito lordo piemontese e la loro incidenza nei processi economico-produttivi potrebbe anche apparire marginale.
Il vero nodo da sciogliere è il governo della comunità, non la distribuzione di alcune risorse. Il problema reale è il raccordo generale Stato - Regioni - autonomie locali, una programmazione democratica contrattata fra le parti, discussa e partecipata. Il problema di fondo è la mobilitazione delle risorse, tutte, nell'ambito della società regionale finalizzate all'obiettivo primario Che è la qualità della vita umana, lo sviluppo della personalità umana, la crescita economica e sociale.
La mobilitazione e programmazione della spesa delle risorse esistenti appare oggi come il nodo centrale di un governo regionale, per il non spreco, l'iniziativa dei settori produttivi, la politica dei beni durevoli la gestione del territorio, la politica della casa e dei trasporti. Se un'autocritica può essere formulata al decennio trascorso è proprio in questo campo che può trovare vera incidenza. Nel passato quinquennio molti spazi furono aperti, ma non tali da generare risultati soddisfacenti.
Possiamo ricordare il protocollo aggiuntivo per l'accordo di Tesoreria il confronto sindacale, il costante e produttivo incontro con la Federpiemonte, i centri direzionali Fiat, il rapporto Regioni - Tesoro Cassa Depositi e Prestiti, alcuni momenti nel campo dell'agricoltura e della commercializzazione dei prodotti. Non siamo però riusciti a dirigere il credito; né abbiamo, al limite, utilizzato delle frange, dei settori, ma l'insieme è sfuggito ai propositi programmatori.
Forse qualche passo innanzi si è fatto nell'aggregazione delle risorse umane, nella capacità di partecipare e decidere, nella presenza, nella credibilità dell'istituto regionale. E ciò non è sufficiente per uno sviluppo in particolari settori industriali dell'artigianato ed agricoli dove il credito, la manovra finanziaria, l'intervento pubblico costituiscono il sostegno indispensabile per la competitività e la presenza sui mercati internazionali o come per l'agricoltura nella stessa comunità europea.
Ed è proprio nel campo dell'agricoltura, competenza specifica regionale, che si misurerà la capacità di governo, di indirizzo, di scelte e di conseguenti successi od insuccessi.
La trascorsa legislatura ha registrato indubbi risultati pur in presenza di condizioni e di situazioni negative (la crisi vitivinicola e del latte). Occorre consolidare questi risultati, procedere all'ampliamento della produzione, all'investimenti nelle strutture, al recupero della figura dell'imprenditore agricolo, agevolare l'associazionismo, la cooperazione, la conservazione e la trasformazione dei prodotti, liquidare l'intermediazione parassitaria, avvicinare il produttore al consumatore.
La proposta che il Gruppo socialista farà è quella dello sveltimento burocratico delle pratiche in agricoltura.
Nulla di tutto questo potrà essere realizzato se non si affronteranno con immediatezza: il nodo dell'energia il largo impiego dell'informatica e dei calcolatori.
Il documento della Giunta ha chiarito i termini del problema fornendo un quadro delle produzioni regionali elettriche che nel 1990 non raggiungeranno il 40% delle produzioni piemontesi. Occorre procedere al reperimento di ogni fonte, specialmente se rinnovabili, ma dare l'avvio nel contempo alle procedure per definire il quadro di sicurezza degli impianti nucleari previsti in Piemonte.
Lo sviluppo dell'informatica è il suo ruolo ha fornito l'occasione per un vero salto di qualità nell'organizzazione della struttura regionale, nei suoi bilanci, nel territorio, nella sanità, nell'agricoltura.
Una prima fase, anche nella ricerca, si è già realizzata: il Centro di Calcolo, l'Istituto Cartografico, sono realizzazioni di valore mondiale.
Bisogna tradurre in tutta la comunità regionale la filosofia dei calcolatori, procedere a programmi di larga compatibilità all'interno delle autonomie locali, dare quadri di conoscenza con l'immediatezza richiesta da un mondo economico che cambia in continuazione e che solo attraverso modelli informatici è possibile dominare e programmare. Nella società attuale, che è la società dell'informatica e dei calcolatori, raggiungerà obiettivi reali solo chi avrà compreso il "nuovo" del XX secolo, che è appunto la scienza informatica.
La vera rivoluzione che si è operata negli ultimi 50/60 anni è il calcolo, la rapidità dell'informazione, la capacità di memorizzazione e di adeguati modelli di risposta. Sotto questo aspetto tutto è cambiato.
Ma non tutto appare così semplice e così fattibile. Antiche resistenze emergono, una non esatta conoscenza del problema, una paura del nuovo impediscono l'evolversi rapido di una scienza che rappresenta il futuro, la competizione internazionale, la riduzione dei costi, lo slancio produttivo la vittoria sulla burocrazia, il successo economico.
I ritardi del nostro Paese sono enormi. Meno nella nostra comunità regionale che ha saputo dotarsi di strumenti, di scienze, di operatori che se non abbandonati - e mi rivolgo alla Giunta - potranno dare livelli di tipo giapponese o anche americano.
Signori Consiglieri, abbiamo già detto che questo governo è di legislatura. Le scelte fatte sono strategiche e di fondo. L'altra volta abbiamo detto "voglia Iddio", questa volta diciamo "voglia il cielo" che questo governo raggiunga il suo scopo. Il Gruppo socialista lo voterà e lo sosterrà.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Il dibattito sul programma e sulle modifiche dell'assetto della Giunta deve mantenere rapporto non solo con il documento programmatico presentato ma con un insieme di materiali che costituiscono punti di riferimento per il confronto tra le forze politiche.
Si tratta, in particolare, del piano di sviluppo per la Regione Piemonte, dei dati del bilancio regionale, così come già appaiono nel rendiconto del 1979 e nell'assestamento per il 1980 e, infine, dei documenti per la pianificazione comprensoriale già avviati all'esame delle competenti Commissioni, e che costituiscono punto di collegamento tra l'azione della Regione e le esigenze locali.
Ma accanto agli elementi "tecnici", hanno preso rilievo, nel corso del dibattito, gli aspetti più propriamente politici, con l'opportuna introduzione svolta dal Presidente Enrietti e con le considerazioni sul tema che il Consigliere del P.C.I., Revelli, ha ripreso nel suo intervento.
Un'"Esperienza esemplare" per il Piemonte degli anni '80 Prima di entrare nel merito del confronto politico e dei temi di programma, i liberali propongono al Consiglio, alle forze politiche ed alla comunità piemontese nel suo insieme, di dare seguito ad una grande speranza. Costruire insieme, nel rispetto dei ruoli su cui si sostanzia la democrazia e che assegna ad ogni forza sociale precise responsabilità un'"esperienza esemplare". Dobbiamo insieme sentire l'ambizione e l'obbligo di fare della terza legislatura piemontese degli anni '80-'85 un modello esemplare sotto il profilo politico ed amministrativo, per dare un esempio del funzionamento di un nuovo Stato. Esemplare per moralità, esemplare per efficienza, esemplare per limpidezza dei rapporti politici.
Si pone, in questo sforzo, un primo problema. Il rapporto tra Regioni e Stato. Nell'impegno a cambiare il ruolo del governo regionale e delle Amministrazioni locali dobbiamo avere il coraggio di fare cadere l'alibi dei ritardi e delle inadempienze dello Stato, convincendoci che anche nelle condizioni attuali vi è ampio spazio per dare efficienza e diverso significato alla funzione ed alla presenza di Regioni e di Comuni.
In altre parole dobbiamo accettare, senza farcene scusa, le condizioni attuali del rapporto tra Enti locali e Stato, sicuramente migliorabili, ma non così disastrate come a volte si vuol fare credere, per mandare lontano responsabilità che sono vicine.
Sulla base di queste condizioni, virilmente accettate, i liberali propongono di usare delle autonomie per dare dimostrazione, nel Piemonte '80-'85, di come si possa, dall'interno e nell'assunzione di piene responsabilità politiche, rifare lo Stato.
Non una sorta di autarchico isolamento o di presunzione piemontarda, ma la convinzione che lo Stato lo si ricostruisce se, ai diversi livelli, le cose ricominceranno a funzionare. E' convinzione dei liberali che in questa assunzione piena dei compiti connessi ad un nuovo ruolo, tocca al Piemonte una grande responsabilità, proprio per le fortune che la nostra regione ha avuto e che ancora ha. Un tessuto amministrativo sano, una cultura aggiornata, una classe politica non dequalificata, un sistema economico ancora saldo, malgrado tutto, solo che le parti sociali più e meglio si responsabilizzino e le forze politiche sappiano svolgere, nelle istituzioni e fuori di esse, fino in fondo, il loro ruolo.
Un Piemonte, quindi, che non ha scuse se fallirà nello sforzo di proporre al Paese un sistema di governo e di amministrazione che ci rilanci e ci riavvicini all'Europa.
La domanda che ci dobbiamo porre, senza difese pregiudiziali da parte della maggioranza e senza attacchi preconcetti dell'opposizione, è quanto siamo lontani da questo modello.
Molto, secondo noi. Consentitemi solo alcune riflessioni su questo tema.
Possiamo essere soddisfatti di una macchina regionale e di un sistema di Enti locali che assicura una spesa non superiore al 30-40% delle risorse disponibili? Possiamo essere soddisfatti che in una realtà territoriale complessa quale quella piemontese, con difficili problemi di riequilibrio alla scala regionale e di riorganizzazione di un sistema metropolitano, sia ad oggi ancora assente una capacità di intervento per grandi progetti integrati capaci davvero di modificare, come nei Paesi dell'Europa delle libertà, le condizioni del territorio? Possiamo essere soddisfatti se, di fronte ad una crisi energetica, si è ritardata ogni decisione e se si può ragionevolmente prevedere che fonti alternative, compresa quella nucleare, non potranno essere disponibili all'economia piemontese prima di dieci e più anni? Sono solo alcuni esempi di un esame di coscienza che tocca maggioranza ed opposizione e che ci deve vedere impegnati, in uno sforzo comune di confronto, per divenire una classe dirigente più colta, più pragmatica, più incisiva.
Il problema dell'alternanza ed il nodo del P.C.I.
Ma quando parlo di proporre al Piemonte un' "esperienza esemplare", mi riferisco in primo luogo al problema dell'alternanza, nodo politico da sempre irrisolto della politica nazionale.
Il governo della Regione Piemonte e dei principali Comuni piemontesi ha avuto alternanza nel 1975, poteva averla in forza di voti espressi nel 1980 e potrà averla, senza rischi di governabilità, nel corso della terza legislatura.
Vi sono quindi le condizioni politiche per realizzare, nella comunità piemontese, un reale e corretto funzionamento della democrazia.
L'esistenza di condizioni politiche che consentano l'alternanza al potere ed il controllo dell'opposizione è il vero elemento di divisione tra democrazie sane e democrazie malate. Sull'importanza di questo elemento e sull'opportunità che l'alternanza abbia luogo con cadenze non di decenni vogliamo essere chiari.
Il nodo è il rapporto con il P.C.I. Non ci spingiamo, come il Presidente Enrietti, ad apprezzare "senza riserve" i passi compiuti dal P.C.I. per comprendere, più e meglio, le funzioni e le responsabilità di una forza della sinistra in un Paese integrato nell'Europa e nell'occidente.
Ci rendono prudenti su questa linea ancora irrisolti nodi di non equivoca e totale divaricazione rispetto alle politiche egemoniche dell'Unione Sovietica e l'incapacità del Partito Comunista di spingere fino in fondo l'analisi critica dei Paesi del socialismo reale. Non mancano nel P.C.I. le condanne delle aggressioni perpetrate dall'Unione Sovietica ed i timori di interferenze nella maturazione, pur interna al comunismo, dei Paesi satelliti; mancano ancora, invece, ferme indicazioni che sul pieno rispetto delle libertà civili, dei gruppi e dei singoli, passa lo spartiacque tra le società libere e le società serve.
Ma questi possono sembrare problemi lontani. Altri, più vicini, sono i nodi che ancora ci rendono meno certi del Presidente Enrietti dell'acquisizione del P.C.I. al ruolo di forza di governo di una società democratica occidentale.
Sul piano dei rapporti economici, lo sforzo di cogliere le necessità di efficienza e di equilibrio tra profitti e costi delle strutture produttive si scontra nel P.C.I., nei momenti di difficoltà e di crisi, con impostazioni che intendono affidare ancora ad un rigido centralismo il superamento delle contraddizioni del sistema di mercato e che fanno di obiettivi condivisibili, quali la piena occupazione, traguardi da conseguire e da tutelare comunque, anche nella stagnazione, e non punto di arrivo di politiche economiche efficienti.
Sul piano dei rapporti politici, non possiamo essere tranquillizzati dal permanente procedere a strappi del P.C.I. che, nel breve arco di cinque anni, ha proposto in rapida successione, l'intesa privilegiata con la D.C.
la politica di solidarietà nazionale ed ora un'ipotesi di alternanza costruita non tanto su una legittima richiesta di alleanza con altre forze politiche, ma sulla presunta garanzia di cambiamento che solo il Partito Comunista sarebbe in grado di assicurare rispetto agli aspetti più degenerati del potere democristiano. In altre parole sembra che per il P.C.I. l'obiettivo vero sia penetrare nel potere centrale e che il quadro politico in cui questo disegno dovrebbe avvenire risulti essere importante solo in quanto strumento.
Ma questo giudizio, rispettoso ma severo, non toglie, vogliamo essere chiari, la piena legittimità del P.C.I. ad assumere responsabilità di governo regionale e locale, quando il consenso elettorale e gli equilibri politici assicurino loro i numeri della maggioranza.
Su questa legittimità, malgrado il giudizio negativo che diamo della disponibilità socialdemocratica a consentire la formazione della Giunta ed ora ad entrare a farne parte organica, costruiamo il nostro rispetto per questa maggioranza e per il lavoro che si prepara a svolgere.
Con la stessa fermezza chiediamo però sia riconosciuta legittimità e dignità a proposte politiche ed amministrative diverse, perché i socialdemocratici non possono, quando parlano dell'Europa, essere criticati o lodati a seconda che facciano maggioranza con i comunisti o in contrasto ai comunisti.
Assicurare, nel rispetto delle posizioni politiche e fuori di ogni anatema, la speranza dell'alternanza è una delle condizioni per avviare nel concreto, l' "esperienza esemplare" che, come liberali, proponiamo al Piemonte.
La questione morale Il Presidente Enrietti ha richiamato con forza, in questa aula, il tema della questione morale. Noi intendiamo fare della questione morale uno degli elementi centrali per l' "esperienza esemplare" che, per il governo del Piemonte, proponiamo alle altre forze politiche.
Con questo spirito e con questa fermezza il P.L.I. ha comunicato agli altri partiti, nella prima riunione della Commissione per le nomine degli amministratori in società ed enti a partecipazione pubblica, che avrebbe segnalato solo nominativi corredati da curriculum vitae e da ogni elemento atto a certificare la loro posizione patrimoniale e fiscale. Il P.L.I. ha anche informato gli altri partiti che fin d'ora è certo che in nessuna sede, senza iattanza, ma senza compromessi, avranno voti liberali nominativi segnalati, che non forniscano documentazione di capacità professionale e di trasparenza fiscale e patrimoniale.
Ma questo primo atto, che si associa al responsabile ed analogo impegno tradizionale di questo Consiglio, non deve restare un semplice rito demagogicamente efficace, ma incapace di modificare la realtà delle cose.
Le forze politiche devono dimostrare, prima al loro interno e poi in un confronto di merito, di saper selezionare davvero amministratori della cosa pubblica al di sopra di ogni sospetto.
Il ruolo della spesa pubblica e le politiche keynesiane Abbiamo proposto, come sfida a tutte le forze politiche, noi compresi lo sforzo di realizzare nel Piemonte della terza legislatura un' "esperienza esemplare". In questo senso è cruciale il ruolo della spesa pubblica ed il grado di efficienza che questa riuscirà ad assicurare.
Il Consigliere comunista Revelli ha parlato, con accenti preoccupati del pericolo che nell'Europa delle libertà il prevalere di tendenze neoliberiste porti persino all'abbandono di politiche Keynesiane, facendo cadere la domanda pubblica e ripristinando semplicistici meccanismi di accumulazione aziendale. Il vero nodo è che, in Italia e persino nel Piemonte, il problema non può essere posto in tali termini, perché la misura della spesa pubblica sfugge alla volontà di chi governa, ma è di fatto cadenzata dal passo lento di meccanismi amministrativi inceppati, dai ritardi di procedure barocche, dall'inefficienza di una burocrazia pletorica e poco professionalizzata.
Il problema, per dare seguito ad un' "esperienza esemplare", sembra quindi essere quello di ridare efficienza ad una macchina di spesa, per poi eventualmente discutere se usare freno od acceleratore negli investimenti.
Ma il tema della spesa pubblica e del reale avvio di politiche Keynesiane deve indurci ancora a qualche riflessione. L'effetto della spesa pubblica non è solo legato alla quantità di risorse impiegate, ma anche e soprattutto alla qualità degli investimenti. E' su questi temi che deve confrontarsi la politica regionale, perché si corre il rischio, già presente e verificato nei dati del bilancio consuntivo per il 1979 e dell'assestamento per il 1980, che si dilatino investimenti in settori non trascinanti, riducendo di fatto l'impegno delle risorse regionali in elementi di assistenzialismo diffuso a settori e ad attività economiche.
Vi può essere una tentazione politica in questo orientamento, come mezzo per consolidare consenso tra le parti sociali, ma vi è, più probabilmente, la constatazione che risulterebbe troppo difficile spendere per progetti complessi nei settori economici o nelle attrezzature territoriali. In questo senso il programma presentato non ci tranquillizza e sembra confermare una tendenza generalizzata dall'Amministrazione pubblica che di fronte alle difficoltà che incontra nel fare a fondo le cose di propria stretta pertinenza, disperde la propria iniziativa in più settori complementari.
E, mi consenta l'Assessore Simonelli, è proprio il segno della continuità che ci preoccupa. Se la presente legislatura dovrà vederci impegnati non tanto in uno sforzo legislativo di ordine generale, ma nel portare a frutto, sul piano operativo, alcune grandi scelte di investimento (nella formazione umana e professionale, nelle strutture di supporto alla produzione e non solo nel "mattone", come giustamente ricorda il Consigliere Viglione), scelte su cui vi è una larga convergenza, ci saremmo aspettati da una Giunta operante nel segno della continuità un programma diverso.
Non ancora la sola promessa di trasformare l'azione regionale concentrando gli sforzi di intervento e di spesa in pochi e finalizzati progetti complessi, ma un programma già costruito sull'individuazione specifica di questi progetti e sulla loro correlazione alle procedure di intervento e alle risorse disponibili.
Il programma ne individua genericamente cinque, in rapporto a possibili finanziamenti delle Comunità Europee, ma crediamo che più si sarebbe potuto specificare, come peraltro indicato e richiesto da responsabili contributi che le organizzazioni rappresentative di parti economiche hanno, anche recentemente, sviluppato e sottoposto all'attenzione delle forze politiche.
I liberali hanno, nel mese di novembre ed in preparazione al dibattito sul programma, svolto una completa serie di consultazioni con associazioni ed organizzazioni delle categorie economiche e produttive. Ne è risultato un quadro di esigenze che poco incrocia le indicazioni del programma; ne è emersa, soprattutto, la necessità di procedere a leggi di semplificazione capaci di dare certezza ai soggetti economici ed efficienza all'azione regionale.
La riorganizzazione delle autonomie e gli enti strumentali Costituire nel Piemonte della terza legislatura un' "esperienza esemplare" significa, in primo luogo, ripensare il ruolo ed i rapporti tra gli Enti locali, per costruire sull'efficienza delle autonomie e sulla capacità di integrazione uno Stato più funzionale, diverso ed articolato.
Noi crediamo che su questa materia gli orientamenti di programma che pure aprono spiragli in una gestione regionale che finora era stata progressivamente accentratrice, debbano essere ampliati e ripensati.
Il Comune è e deve restare base centrale dell'organizzazione delle autonomie, in quanto costituisce l'elemento di organizzazione dello Stato di fatto più penetrato nella conoscenza e nella fiducia dei cittadini.
Il tema del rapporto tra le istituzioni deve però essere incisivamente affrontato, assicurando un ampio decentramento di funzioni e garantendo per queste, una fiduciosa e piena autonomia. Contemporaneamente si deve però conservare al ruolo regionale l'attivazione dei grandi progetti strategici, individuati dagli strumenti di programmazione e necessari per dare seguito alle politiche di riequilibrio e di riorganizzazione.
L'"esperienza esemplare" si costruisce attribuendo ai Comuni ed agli enti intermedi un'ampia gamma di funzioni decentrate e concentrando nell'azione regionale le funzioni proprie di centro di programmazione capace di incrociare le esigenze di intervento prospettate dagli Enti locali con le risorse disponibili. La Regione deve, contemporaneamente assicurare la spesa per progetti strategici complessi, trovandosi in tale indirizzo la vera motivazione e funzione degli enti strumentali, che devono essere impegnati, in primo luogo, a testimoniare di una diversa capacità di intervento per programmi ed una più elevata efficienza di spesa.
Il ruolo dell'ente intermedio è, nella proposta liberale di una diversa e più adeguata funzionalità del governo delle autonomie, essenziale e non rinunciabile, a condizione che l'ente intermedio lasci cadere velleità gestionali non opportune e si concentri sul tema centrale, la cui soluzione condiziona, in positivo ed in negativo, la spesa pubblica e l'avvio delle trasformazioni territoriali. Per un diverso governo del Piemonte occorre una specificazione territoriale delle necessità di intervento ed un'individuazione dei progetti strategici, che solo gli enti intermedi possono garantire, assicurando inoltre il necessario consenso delle comunità locali su progetti che spesso rispondono più a necessità generali della regione che a specifiche esigenze locali.
Diversa e complementare rispetto all'ente intermedio è la funzione delle Comunità montane e dei Consorzi tra Comuni. Le prime devono essere rilanciate per potenziare, nelle realtà economiche più deboli e nelle strutture amministrative meno organizzate, il ruolo dei Comuni, come centri erogatori di servizi e di spese.
Ai Consorzi di Comuni, con massima e non condizionata flessibilità di articolazione territoriale, spetta il compito di organizzare, nella scala giusta, le realtà locali per la gestione di servizi che alla scala stessa si pongono.
Ampio decentramento, coraggiose deleghe, separazione delle funzioni ed individuazione senza sovrapposizioni di compiti e di responsabilità sono gli indirizzi per adeguare il sistema delle autonomie ai problemi della società nuova.
In questo indirizzo si colloca anche il consenso liberale per un'azione regionale basata sull'intervento degli enti strumentali. Gli enti strumentali sono propri delle esperienze dei Paesi dell'Europa delle libertà, solo se si pensa al ruolo ed alle funzioni che sono affidate in Francia agli "établissements pubblics" e alle "sociétés d'économie mixte" o, in Gran Bretagna, alle "corporations". A questi enti strumentali si affidano piene responsabilità per garantire efficienza di realizzazione e di gestione ai grandi progetti strategici.
I vantaggi sono evidenti e di questo i liberali sono convinti. In primo luogo gli enti strumentali, superando le rigidezze delle organizzazioni burocratiche, hanno flessibilità di articolazione, potendo coinvolgere le realtà locali ed essendo possibile agli enti strumentali ed alle società derivate intervenire non per settori di opere, ma per complessi funzionali ed integrati. Gli enti strumentali e le società derivate obbligano poi ad una reale trasparenza nell'efficienza degli impegni di spesa e devono rendere conto della economicità di gestione.
Ma il vero elemento che caratterizza, in positivo, l'azione degli enti strumentali e delle società derivate è l'impegno congiunto di settore pubblico e di settore privato. Il Piemonte ha, in questa materia conosciuto e conosce un momento magico, potendo fare conto su organizzazioni rappresentative delle grandi categorie degli operatori economici disponibili alla collaborazione aperta ai problemi di cambiamento della società piemontese e così attive da divenire spesso elemento di trascinamento e di stimolo delle inerzie regionali, anche in settori che più farebbero carico agli amministratori pubblici.
Nel tracciare il bilancio del quinquennio passato la Giunta e le forze politiche che la compongono devono dare atto di questa condizione di aperta collaborazione, su cui, lasciate da parte pregiudiziali ideologiche, si sono potuti costruire alcuni primi tentativi di un'efficienza diversa e più europea.
Sbaglierebbero le forze politiche e, in particolare la Giunta, se pensassero di poter prescindere da questa disponibilità. Sbaglierebbero se come traspare dal documento di programma, ma più ancora da dichiarazioni di responsabili politici, pensassero di rompere l'equilibrio raggiunto aumentando il peso del controllo politico e riducendo nei fatti gli spazi di autonomia gestionale degli enti strumentali e delle società derivate.
I problemi dei settori produttivi La domanda che ci poniamo è se possa essere accettata l'interpretazione dei fattori alla base della crisi economica e produttiva proposti dal programma della Giunta. A noi sembra, per dirla con molta franchezza un'interpretazione di maniera, più tesa a cercare "untori" che a cogliere nel comportamento delle parti sociali le ragioni vere e profonde della crisi.
Se è vero che la causa prima della crisi è negli andamenti inflattivi che erodono le capacità concorrenziali delle nostre aziende sui mercati esteri e che introducono nel nostro sistema economico una droga che alimenta una spirale senza fine, non sembra possibile che il programma regionale non rilevi che, problema riconosciuto dalle stesse forze sindacali, sia difficile fare i conti con meccanismi di aggiornamento salariale più sensibili della stessa dinamica dei prezzi e con una contrattazione articolata a più livelli.
Sembra, a noi, che l'atteggiamento della Giunta sia arretrato rispetto alle stesse più mature posizioni dei sindacati e che sia ancora lo stesso atteggiamento che ha portato la Giunta ad abbracciare emotivamente, sotto l'incubo dei licenziamenti, la parte più combattiva del movimento operaio dimenticando di analizzare più a fondo la complessità del problema e i comportamenti dello stesso corpo sociale.
Su questo tema abbiamo preoccupazioni per il futuro e le esponiamo.
Abbiamo timori di una Giunta che non sappia o non voglia rispettare il ruolo proprio delle istituzioni. Questa preoccupazione si rafforza anche in relazione ai prossimi mutamenti nelle responsabilità di Giunta, se è vero che nella vicenda Fiat alle posizioni più attente del Presidente Enrietti ha fatto spesso anticipata eco un diverso accento del Vicepresidente della Giunta.
A questa maggioranza chiediamo di provare meno emozione di fronte alle crisi settoriali ed aziendali, ma di predisporre, da subito, gli strumenti propri a mature relazioni industriali, per fornire, come istituzione, i necessari supporti alla formazione professionale, alla mobilità dei lavoratori e ad ogni altro provvedimento atto a rendere ammortizzabili anche le più forti tensioni sociali.
Piemonte, Italia ed Europa Piemonte, Italia ed Europa. E' la grande novità del programma e segna la tappa conclusiva, ci auguriamo senza ritorni, della marcia di avvicinamento del Partito Comunista ad una visione di necessaria integrazione dell'economia piemontese con i sistemi forti europei, dopo stagioni di malcelata autarchia e di isolamento. E' inoltre la più convincente motivazione (ma se mi si consente l'unica malignità di questo mio intervento), la più credibile "foglia di fico" per la partecipazione socialdemocratica.
Noi incameriamo quanto ci convince di questa impostazione, che da sempre proponiamo, buoni eredi di Cavour che, per risolvere i problemi dell'agricoltura piemontese, prendeva a modello le esperienze francesi ed inglesi, e diffidava di "terze vie" autarchicamente studiate.
Portiamo a casa l'impegno a rilanciare una politica delle infrastrutture che abbatta le barriere fisiche dal Cuneese alla Francia e dal Novarese alla Svizzera.
Ma l'integrazione all'Europa non è un fatto di infrastrutture. E' l'impegno ad assimilare i nostri comportamenti sociali (nelle medie di tasse pagate e non evase, nelle medie di inflazione, nelle medie di assenteismo) a quelli dei nostri partner; è l'impegno ad aggiornare il nostro quadro legislativo sui grandi temi (relazioni industriali, edilizia ecc.) alle scelte ed ai principi dell'Europa; è l'impegno ad allineare (ci si consenta questa insistenza) l'efficienza della nostra macchina pubblica all'efficienza delle macchine pubbliche dei Paesi europei.
E' anche un problema di aggiornamento culturale, che faccia importare nel nostro Paese soluzioni, anche tecnocratiche, per affrontare i problemi della società di oggi e ci porti a battere, finalmente, la convinzione che le "volontà politiche" possano prevalere sulle regole dell'efficienza economica.
In questo indirizzo l' "esperienza esemplare" che abbiamo proposto alla comunità piemontese acquista nuovo e più completo significato. Il confronto con l'Europa è spietato, perché si gioca, malgrado la nostra volontà, più sul metro dell'intransigente rigore calvinista che sui pentimenti consentiti dalla chiesa romana.
C'è poco tempo da perdere e pochi margini di errore. Noi proponiamo questo sforzo al Piemonte e non accettiamo, del documento della Giunta, la tentazione di far credere che esista, in questo confronto, una via diversa e personalizzata, che dia al Piemonte spazi ed opportunità specifiche per un collegamento alle realtà dei Paesi in via di sviluppo.
Sono, ancora una volta, le tentazioni lapiriane. Leghiamoci saldamente all'Europa ed accettiamo (contrariamente a quanto dice il Consigliere comunista Revelli) di essere ultimi tra i primi, anche se, nel farci trascinare, ci faremo male, troveremo difficoltà e dovremo abbandonare inutili demagogie.
Un Piemonte saldo nella sua economia, forte in tecnologia di avanguardia per l'impegno della manodopera e dei capitali, privo di tensioni sociali per l'equilibrio del mercato del lavoro e per l'impegno fattivo di assicurare servizi efficienti, ha un suo spazio nell'Europa e nel Terzo Mondo.
Fuori di questa competitività, tutta interna al mercato ed alla logica europea, vi sono solo parole o furberie levantine. Le prime non servono a rilanciare l'economia e delle seconde non siamo, purtroppo, capaci.
Le prospettive di evoluzione politica Abbiamo riletto con grande attenzione il testo della relazione del Presidente Enrietti, che ha tracciato il quadro politico al cui interno si colloca la formazione e la vita della Giunta. Con altrettanto impegno abbiamo rivisto gli appunti presi durante il complesso intervento del Consigliere comunista Revelli, che ha tratto dalla campana della Giunta un altro suono, parzialmente diverso. Il terzo elemento su cui costruire una valutazione politica sono state le dichiarazioni socialdemocratiche, tese a motivare la scelta, che non condividiamo, che giudichiamo errata, ma che crediamo travagliata, di entrare in una Giunta lontana dalle linee di campagna elettorale e dagli orientamenti generali del P.S.D.I.
Sono posizioni diverse. Le dichiarazioni del Presidente Enrietti hanno ribadito che questa Giunta è nata sulla "centralità socialista", che si è resa responsabile, con una scelta di schieramento influenzata anche dalla difficile situazione dell'industria locale, della stabile governabilità del Piemonte. Il Consigliere comunista Revelli ha risposto, con un intervento acuto e problematico, tutto centrato e riproporre, come elemento caratterizzante della maggioranza, l'unità delle forze di sinistra.
Sono queste, a nostro avviso, diversità sostanziali che aprono, sui problemi, spazi di divaricazione progressivamente crescenti.
La "centralità socialista" e il ruolo di raccordo che il P.S.I. propone tra le classi e i ceti emergenti non sono, a nostro avviso, conciliabili oltre certi limiti con le tentazioni operaiste che il P.C.I. subisce nelle più acute fasi di crisi congiunturale ed aziendale. Tale linea di divaricazione pare tanto più marcata quanto più il P.C.I. insista, come anche recenti e drammatici fatti hanno lasciato intendere, in una linea di strumentale pressione, che si avvale di ogni fatto per criminalizzare la D.C. e per mettere in oggettiva difficoltà un Partito Socialista responsabilmente impegnato ad assicurare la governabilità del Paese.
Ma non è solo su questi temi occasionali che la linea di divaricazione sembra doversi inevitabilmente aprite. E' sul disegno complessivo di dove condurre una società italiana in crisi che il confronto si farà, nei prossimi mesi, più serrato.
Di fronte alle ipotesi sempre più confuse e meno dettagliate di una "terza via" cui il P.C.I. si richiama (per poi di fatto riproporre la propria funzione di governo come sola palingenesi della società nazionale dopo di che decidere cosa fare), assume sempre più Consistenza e realismo l'ipotesi socialista di proporre per la società italiana un recupero di laburismo, fortemente radicato nelle tradizioni liberaldemocratiche europee.
Questo disegno socialista, indipendentemente dal confronto sui temi specifici e dalle certo permanenti divergenze sulle linee di soluzione di alcuni grandi problemi nazionali, non ci è estraneo. Ci pare abbia soprattutto, dignità politica, nel creare un punto di riferimento per i partiti di democrazia laica, liberale e socialista, capace di tirare il Paese fuori dalle secche di una semplicistica contrapposizione tra P.C.I. e D.C., che gioca solo alle volontà egemoniche delle parti peggiori di questi due partiti.
Nelle dichiarazioni politiche delle forze che compongono la maggioranza abbiamo colto posizioni differenziate, che lasciano spazio ad un'opposizione attenta per creare le condizioni per il superamento dell'attuale quadro politico nella Regione Piemonte.
A questo superamento lavoreremo, interessati non a battere occasionalmente una Giunta, ma a fare maturare le condizioni di un diverso equilibrio politico, che meriti, per qualità di uomini, per serietà di disegno politico, per coerenza di linee amministrative, rispetto dell'opposizione, pari a quello che noi portiamo al lavoro di questa maggioranza.
Su questa linea già sono i repubblicani, cui molto ci unisce sul piano delle diagnosi e delle terapie della società piemontese. Con i repubblicani intendiamo anzi costruire un rapporto sistematico, che porti a costruire insieme linee di opposizione e di confronto sui problemi, Siamo infatti convinti che dietro le rappresentanze dei due partiti vi siano consensi e potenzialità che superano la nostra ancora esigua rappresentanza e che necessitino di trovare nel Consiglio rilievo più ampio ed articolato.
La nostra opposizione guarda alla Democrazia Cristiana come ineliminabile e centrale punto di riferimento, per la grande forza di consenso popolare che rappresenta, in particolare, nella realtà piemontese.
Al Consiglio regionale ed all'opposizione serve una Democrazia Cristiana che faccia cadere semplicistiche tentazioni di rivincita, che abbandoni ogni disegno di egemonia, che sappia anche modernizzare le proprie analisi interpretative di una società complessa quale quella piemontese e che faccia corrispondere a tali analisi un costume di governo diverso dal passato ed una proposta politico amministrativa incisiva e finalizzata.
Questo intervento è iniziato con una scelta che i liberali propongono alla comunità piemontese nel suo insieme ed alle forze politiche del Consiglio. Si tratta di concorrere, in uno sforzo convergente ma, nel rispetto dei ruoli di maggioranza e di opposizione, a trasformare la terza legislatura regionale in un'"esperienza esemplare" per rigore morale, per efficienza amministrativa, per limpidezza dei rapporti politici.
I liberali si impegnano per la loro parte e chiedono alle altre forze politiche di comprendere quanto questa speranza, se attuata, possa testimoniare di un diverso rapporto tra i cittadini e le istituzioni.



PRESIDENTE

La parola al collega Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, siamo giunti quasi al termine di un dibattito serio ed approfondito che ha visto utili ed interessanti indicazioni sul piano politico e programmatico. A questo proposito voglio ricordare la proposta del Consigliere Carazzoni di rivalutare il patrimonio culturale del Piemonte, sulla quale siamo d'accordo. Si tratterà di discutere su quale parte del patrimonio culturale occorrerà centrare l'attenzione dei numerosi studiosi presenti nella Regione Piemonte, da Firpo a Barbano, a Castronovo, a Venturi. Si potrà discutere quali personaggi individuare. Noi, ad esempio, siamo per i riformatori del '700.
Dal dibattito è anche venuta la disponibilità delle forze che hanno sottoscritto il documento programmatico a recepire le proposte emerse inserendo subito quelle che si inquadrarlo nel disegno, negli strumenti e nelle finalità del programma. Non mi rimane quindi che ribadire la posizione del mio Gruppo, peraltro già espressa compiutamente dal Consigliere Cerutti attraverso un'approfondita illustrazione dei punti programmatici qualificanti lungo i quali si avvia l'operato di questa nuova Giunta regionale.
Si è così definito il processo politico avviato dopo le elezioni di giugno. E' stato un periodo denso di avvenimenti preoccupanti, specie sul piano economico, ma che ha registrato la possibilità di trovare sbocchi di soluzione positivi, che ha visto il Gruppo socialdemocratico lanciare l'iniziativa di una proposta politica originale ruotante attorno ad un rinnovato rapporto con il Partito Socialista, partendo dalla centralità delle forze socialiste, laiche e democratiche.
Sotto questo profilo il caso piemontese è stato un'anticipazione di quanto è andato in seguito maturando anche a livello nazionale tra i due partiti.
La nostra proposta politica di luglio si dimostrò stimolante occasione di confronto nella comunità piemontese, per la sua vita culturale e politica. Certo, la nostra proposta originaria era agganciata attorno al formarsi di una coalizione fra tutte le forze laiche e socialiste ed è anche sotto questo profilo, cioè di voler comunque approfondire il rapporto con le forze di area socialista e democratica, che va vista la nostra partecipazione ad una Giunta unitamente al P.S.I. e al P.C.I. Attenti comunque alle indicazioni provenienti dal mondo sociale e politico; aperti ad un confronto ampio e costruttivo con tutte le forze politiche, non chiusi né arroccati. Non siamo per gli arroccamenti manichei, ed anche per questo - collega Borando - certi storici steccati oggi sembrano meno attenti all'evolversi della realtà politica e sociale. Come non abbiamo condiviso chi ci ha visto come partito che deve sempre schierarsi da una sola parte, così ribadiamo l'esigenza di un dialogo aperto con tutte le forze politiche. Troppo grandi sotto i problemi di fronte a noi, locali o anche riflessi da quelli nazionali, per permetterci il lusso di trascurare per posizione presa, gli apporti costruttivi da qualunque parte essi provengano. Solo chi ha una visione della politica come gioco di bottega può non vedere il significato profondamente innovativo sul piano politico ma ancora di più sul piano culturale, di questa rinnovata centralità socialista, limitandosi a guardare l'aspetto della mera partecipazione attiva e diretta del Partito Socialdemocratico nella Giunta regionale a fianco di socialisti e comunisti.
Certamente, sotto questo profilo, ci hanno anche deluso le dichiarazioni del P.R.I., a parte l'intervento qualificato nel settore agricolo del collega Gastaldi. Dichiarazioni, in definitiva, abbastanza strumentali, legate ad un frasario certo non all'altezza della tradizione culturale di questo partito, senza saper cogliere gli elementi di novità presenti nel quadro politico regionale dopo l'8 giugno e non tenendo conto oltretutto di quelle realtà in cui il P.R.I. stesso appoggia Giunta di sinistra.
Sia chiaro non vogliamo dare giudizi su questo comportamento generale perché le posizioni vanno valutate tenendo conto delle esigenze di carattere locale. Il valore della nostra posizione sta nel recuperato rapporto di stretta collaborazione tra P.S.I. e P.S.D.I. che viene incarnato, quasi simbolicamente, nella Presidenza della Giunta ad un esponente socialista e nella Presidenza del Consiglio ad un esponente socialdemocratico.
Apprezziamo invece l'atteggiamento, magari severo, ma serio e corretto del P.L.I. con il quale auspichiamo proficui rapporti pur nella diversità delle posizioni per dare una spinta, un movimento alla situazione politica anche con una strategia laica comune. In questo sviluppo non vi sono contraddizioni tra impegni assunti con l'elettorato e posizioni politiche espresse in questo Consiglio: esigenza della pronta risposta al problema della governabilità, rafforzamento dell'area socialista, modifica di alcune linee di politica regionale sono tra i punti su cui invitammo l'elettorato a riflettere, oltre alle dichiarazioni del Segretario del Partito Longo in ordine ai problemi dei rapporti tra il P.S.D.I. con il P.C.I. nelle Giunta locali.
Sotto questo profilo voglio sottolineare la dignità della nostra posizione, sempre autonoma, non subalterna ad alcuno o semplicemente allineata con altre posizioni. Allora il nostro atteggiamento era nella sua estrinsecazione concreta simile a quello della D.C., ma su basi e condizioni differenti. Al mutare di queste, quindi, è corrisposto un diverso atteggiamento dei socialdemocratici. Solo chi ha maturato il convincimento di un ruolo di subalternità dei partiti minori può pensare a campagne elettorali, così come ad attività politiche, parallele e sincronizzate e può ritenere che non vi sia nei partiti, detti minori capacità di movimento, di proposta politica, programmatica, autonoma e originale, capace di svincolarsi dall'egemonismo dei due maggiori partiti.
E' la relazione ai valori, come direbbe Max Weber, che è diversa e i presupposti storici e ideologici che stanno alla base della nostra azione politica che non sia soltanto mera tattica ma strategia. Il nostro partito da tempo è andato sottolineando la necessità di un rafforzamento dell'area socialista tale da costituire un nuovo polo di aggregazione tra le forze politiche, tanto da far diventare l'alternanza al potere un'aspettativa credibile nel sistema politico italiano, nella tradizione delle più forti democrazie e socialdemocrazie europee. Del resto, un programma volto all'Europa, basato e intriso di politiche socialiste e democratiche, il P.S.D.I. non può certo non condividerlo e non partecipare alla sua diretta gestione. Su questi aspetti sono anche d'accordo con quanto nell'ultimo comitato centrale ha dichiarato il Segretario del P.L.I., Zanone, e cioè che ci vuole uno slancio nuovo che l'area laico-socialista può dare una risposta alla presente stagnazione. Un lavoro per un sistema di alternanza che eviti forme di cristallizzazione e di deviazione, con il rafforzamento effettivo dello schieramento socialista e laico, per una società più giusta unita ad un'azione di bonifica morale.
Sotto questo profilo, per le tre ragioni che già ho indicato, vi è stato un comportamento assolutamente coerente. Ci siamo fatti carico della necessità di assicurare la governabilità delle istituzioni in un difficile momento in un quadro partitico che altrimenti sarebbe stato bloccato senza il nostro determinante contributo.
L'esperienza di questi mesi, il difficile impatto subito dalla comunità piemontese con la vicenda Fiat ci ha persuasi dell'opportunità di quella scelta in quel momento. Certo, vi sono aspetti da rivedere, procedure da affinare, comportamenti delle forze politiche, anche di maggioranza, da ridefinire con le presenze esterne, economiche e sociali e culturali. Sotto questo punto-di vista vi è la più ampia disponibilità a recepire indicazioni e suggerimenti ad un lavoro comune delle forze politiche per rinsaldare la democrazia, specie in questo momento in cui il dramma umano ancor prima che economico, si profila nei paesi terremotati, in cui la credibilità delle forze politiche e degli apparati istituzionali è terribilmente scesa; in cui la crisi economica anche in Piemonte è in agguato.
Occorre una grande risposta, un grande sforzo di volontà, di capacità di decisione, di innovazione, ma anche di assoluto rigore morale e civile di collaborazione franca e leale tra le forze politiche. Le forze socialiste democratiche con sgomento vedono il Paese fiaccato nel morale con il distacco crescente tra cittadini ed istituzioni. Dobbiamo dare anche come forze politiche regionali esempio di forte tensione civile e grande impegno Politico. La questione morale, come si dice, non è certo di oggi ma non dovrebbe neppure porsi in democrazia. Lo fu alla fine dell'800 con grandi scandali, non solo in Italia, ma anche in altri Paesi, in parallelo con la crisi del parlamentarismo di cui si occuparono grandi studiosi come il Mosca in Italia e il futuro Presidente degli Stati Uniti, Wilson; ma allora vi era uno sviluppo economico in atto con i contraccolpi .della rivoluzione industriale da assorbire.
Non siamo, né per la politica di radicalizzazione impressa dal P.C.I. a livello centrale, né vogliamo ingrossare le file del partito della crisi.
La radicalizzazione impressa dal P.C.I. alla vita politica ha scatenato anche la radicalizzazione da parte delle altre forze politiche. Nel P.C.I.
e poi via via in tutti gli altri, sta riaprendosi una spaccatura antica che la nuova situazione internazionale non fa che aggravare. Un atteggiamento quindi che andrà ulteriormente verificato, ma che non ci convince appieno né per il momento in cui è stato preso, né soprattutto per il modo.
Dovrebbe ormai essere chiaro che i possessori di verità rivelate non esistono più, semmai sono esistiti, a fronte di un sistema sociale che si è sempre più articolato, che è cresciuto nella cultura e nell'economia, che chiede spazi autonomi, che vuol fare della ragione uno strumento sia di analisi sia di azione. E' però anche vero che una dichiarazione dal significato nazionale specifico non può essere passata - collega Carazzoni per una linea politica di carattere generale. Dicevo che non vogliamo neanche passare per partito della crisi, non vogliamo puntare allo sfascio dello Stato, perché se questo atteggiamento si generalizzasse allora saremmo pronti per soluzioni leviataniche, che la Resistenza ha vinto e ricacciato nel buio; anche perché molti problemi non sono soltanto politici, ma amministrativi e sociali. Può anche darsi che si possano risolvere alcuni problemi con la depoliticizzazione, con la neutralizzazione in cui, ad esempio, si ritrovino degli spazi per la capacità professionale. E' pur vero, come ricordava Tocqueville che vi sono persone che si comportano nei confronti della democrazia e della Repubblica come i capitani di ventura rispetto ai signori di cui erano al soldo: ne portano le insegna e le bandiere, ma in realtà combattono per se stessi.
Noi socialisti democratici siamo impegnati per dimostrare quanto largo sia l'abisso che separa queste persone dalla vera democrazia: diciamo che la Regione non può sottrarsi a questo impegno, né può limitarsi a gestire il quotidiano. Può dare un significativo apporto alla soluzione dei problemi generali e deve impegnarsi per la ripresa dell'intera Regione definendo politiche concrete di sviluppo che valorizzino e sostengano le capacità culturali e produttive presenti nel tessuto sociale ed economico piemontese.
La sfida che viene dalla crisi locale al governo piemontese e la richiesta che viene dal contributo della nostra Regione al rilancio economico e alla ripresa della solidarietà tra tutte le forze politiche fugando ombre, rendendo funzionali ed efficienti le istituzioni, facendo grande pulizia morale, implica un processo che non può passare attraverso la semplice somma di singole volontà. Bisogna, quindi, guardare al disegno programmatorio che non è aria fritta, collega Carazzoni.
La vicenda Fiat e le sue conseguenze hanno chiesto di reimpostare il piano di sviluppo, le cui indicazioni portanti sono enucleate nel programma in discussione che noi approviamo. Anche sotto questo profilo si collocano atteggiamenti di forze politiche diversi nello specifico rispetto al passato. Credo si debba riconoscere che non vi può essere un quadro politico cristallizzato che non tenga conto anche dell'impatto della nuova realtà. Ogni capacità va mobilitata inserendo nel quadro programmatorio regionale, sostenendola con le indicazioni di piano in modo che diventi punto di riferimento nell'orizzonte dello sviluppo e del rilancio economico e sociale piemontese.
Questa nuova realtà non può non tradursi anche in una ridefinizione del piano di sviluppo regionale, sia attraverso l'aggiornamento, sia attraverso l'integrazione di quello precedente, anche perché dobbiamo registrare in parte il mancato avvio, anche se alcune iniziative si vanno ora concretizzando, degli assi di riequilibrio previsti dal piano regionale.
Sono state scarsamente attivate le alternative di sviluppo in relazione all'addensamento economico e demografico nell'area torinese, anche perch tali assi si rivelano come assi con cedenze economiche preoccupanti tali da prefigurare il realizzarsi di un ventre molle nel triangolo industriale.
Tutto questo si è ulteriormente aggravato con l'impatto della crisi nella società e dentro i luoghi di lavoro, dando luogo da un lato all'acuirsi delle tensioni sociali e dall'altro all'incrinarsi delle relazioni industriali. In questo quadro il Gruppo socialdemocratico ha contribuito all'elaborazione del programma regionale, non attraverso semplici richiami generali o generici di esigenze da soddisfare, né con una mera descrizione di modalità giuridico - istituzionali dell'azione regionale e meno ancora con una semplice elencazione di tematiche di intervento regionale.
Il contributo del Gruppo socialdemocratico è autonomo, completo su tutto lo spettro della politica regionale e non si è soffermato soltanto su alcuni punti quasi come se fossero dei punti di ricatto per la partecipazione o meno ad una maggioranza. Due sono i passaggi cardine di un'efficace politica regionale piemontese a nostro avviso: lo stringere la maglia dei rapporti con l'Europa occidentale e il rilancio della politica di programmazione intesa anche come capacità culturale e politiche finalizzate alle decisioni e alla sintesi. Ciò vuol dire non ricorso a modelli econometrici, ma un'articolata politica di piano-processo in grado di evitare sia l'eclettismo che il provincialismo.
La società diviene sempre più pluralistica e complessa per cui parallelamente i nuovi canali d'espressione della domanda politica debbono trovare luoghi e strutture dotati delle capacità di rispondere in termini di decisione. Occorre cioè individuare, e a noi pare che il programma correttamente lo abbia fatto, le virtualità potenziali ed i punti di forza sui quali contare per un'inversione di tendenza, definendo un sistema di obiettivi e di politiche attive. Sono queste tra le principali direttrici di intervento entro le quali le capacità regionali di guidare lo sviluppo economico possono esercitarsi senza cadere nel velleitarismo, per mancanza di precisi poteri, e senza risultare distorcente attraverso l'immissione di inutili livelli di mediazione burocratica in più rispetto a quelli già esistenti. Al riguardo è certamente importante l'opera di razionalizzazione, semplificazione, omogeneizzazione della legislazione regionale. Occorre quindi da parte di tutti ravvivare la scelta della programmazione poiché se viene a mancare il soffio animatore, certo, di nuovo questo disegno rischia di apparire un immenso campo di cifre, di dati, di tabelle sparse ed abbandonate. Occorre ridare e riavere fiducia che non vuole essere faciloneria. Il Piemonte ha un futuro ed è a questo futuro che occorre guardare mettendo in atto tutti quegli strumenti regionali che consentono di vederlo non come semplice miraggio. Si è fatto appello in questo periodo alla forza della ragione: ora, per dirla come Bertrand Russell, la ragione è una forza di equilibrio e di controllo piuttosto che di creazione.
Il Gruppo socialdemocratico ritiene che oggi sia anche necessario coraggio innovativo e forza immaginatrice di nuovi traguardi e di più articolate mete, facendo da levatrice al ruolo degli Enti locali, alle risorse produttive e alle capacità del mondo del lavoro. Quindi basta con non cure e eutanasie da strangolamento. I socialdemocratici vogliono sollecitare con questo programma anche la cultura piemontese a riflettere sull'opportunità di una politica di nuova frontiera per evitare che di Keynes si colga soltanto uno degli insegnamenti negativi: è inutile pensare al futuro perché allora saremo tutti morti.
Non mi sto a soffermare sugli aspetti specifici del programma, sui quali è già intervenuto con dovizia di indicazioni il collega Cerutti. Le nostre indicazioni programmatiche sono rivolte ad un miglior rapporto tra Giunta e Consiglio, ponendo al centro il ruolo determinante e trainante nella politica regionale, del Consiglio; il rilancio degli Enti locali delle Comunità montane in particolare, che debbono essere le interlocutrici principali della Regione per ciò che riguarda gli interventi sui territori montani. Sui singoli aspetti non mi addentro perché sono già stati indicati i punti sui quali maggiormente ha contribuito il nostro Gruppo: il collegamento con l'Europa, la scelta nucleare, certo senza entusiasmi potenziando la ricerca delle fonti alternative, potenziando anche la ricerca per quanto riguarda la sicurezza; in tema di urbanistica, sulla quale va precisato che non vi sono state soltanto indicazioni generiche, ma puntualizzazioni precise attorno ad alcuni specifici articoli ed indicazioni previste dalle legge urbanistica; il potenziamento del terziario qualificato e lo scioglimento del nodo di Torino.
Per queste ragioni, che sono di ordine politico e di ordine programmatico, il Gruppo socialdemocratico approva questo programma e parteciperà direttamente alla gestione dello stesso.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi, siamo abbastanza in ritardo sulla tabella dei tempi che eravamo intenzionati stamane a rispettare; tranquillizzo subito l'assemblea che, per quanto mi riguarda, procurerò di far recuperare il tempo in eccedenza segnato.
Come premesso, restringiamo la nostra dichiarazione di voto ad un brevissimo intervento che impegnerà l'attenzione dei colleghi solo per pochi istanti. Infatti, non vogliamo abbandonarci ad una ripetizione, che sarebbe superflua e oltretutto di cattivo gusto, di quanto già abbiamo detto nell'intervento di questa mattina per motivare l'opposizione del Movimento Sociale Italiano a questa maggioranza e al documento programmatico che ci è stato presentato. Quell'intervento intendiamo dunque richiamare, proposizione per proposizione, punto per punto, parola per parola: abbiamo detto, e lo ripetiamo, di respingere le linee programmatiche per il quinquennio '80-'85 esposte dalla Giunta perché le giudichiamo nell'insieme una sommatoria di progetti in larga parte approssimativi, dispersivamente elencati, senza la benché minima indicazione, in spregio di ogni concetto programmatorio serio, di una scala precisa di priorità quanto agli interventi da effettuare. Ci siamo dettagliatamente soffermati su taluni aspetti e contenuti del programma: i rapporti Piemonte - Europa, i trasporti e le comunicazioni, la questione energetica e il problema nucleare, la sanità e l'assistenza, l'agricoltura il turismo, la formazione professionale, la politica culturale. Ma, al di là delle critiche settoriali, vogliamo dire che dal documento programmatico ci divide e al documento programmatico ci contrappone la stessa filosofia che l'ha ispirato.
E' assolutamente inconciliabile con la nostra concezione dello Stato che noi vogliamo uno e indivisibile, con le autonomie locali organicamente regolate all'interno di esso. Prescindendo comunque dai motivi della nostra critica al merito del programma, o se si vuole in aggiunta ad essi, ci schieriamo all'opposizione anche perché lo suggeriscono, lo indicano, lo impongono chiari motivi di principio politico, senza che si debba per questo dilungarci e senza che si debba nuovamente prendere in considerazione il fatto politico saliente che qui questa sera si sancisce con l'ingresso del P.S.D.I. nella Giunta.
Ci sia consentita una sola notazione finale, anche questa non nuova forse già detta con parole diverse nell'intervento di stamane: tutto questo lungo dibattito in realtà è stato dominato, com'è dominata la vita politica di questi giorni, come dominata lo sarà la vita politica dei prossimi giorni, delle prossime settimane, dei prossimi mesi, da un senso di sottile disagio (ma forse è improprio definirlo disagio). Si sono fatte molte parole - per carità! le conosciamo bene -, si sono dette parole appropriate, ma tuttavia a noi è parso di avvertire il senso della loro vacuità e della ineluttabilità di un'altra situazione, che al di fuori del palazzo, che al di fuori di tutti i palazzi di potere in Italia, sta venendo avanti: ed è l'accentuazione che il Paese reale dimostra sempre maggiore insofferenza nei confronti del Paese legale; ed è la sfiducia del cittadino nei confronti dei poteri pubblici; ed è la disistima dell'amministrato nei confronti dell'uomo di governo.
La catastrofe del Mezzogiorno ha fatto esplodere questa constatazione e ne ha resi tutti quanti convinti. Prima ancora della catastrofe del Mezzogiorno i delitti, gli scandali, la corruzione, gli intrallazzi hanno dimostrato che in Italia è ormai nettissima, e forse incolmabile, la frattura tra Paese legale e Paese reale. All'origine di questa lievitazione crescente di rabbia, di sdegno, di sfiducia non c'è alcun disegno reazionario o autoritario. E' quindi solo una battuta, quali quelle a cui ormai siamo abituati, da parte di Viglione il fatto che quello che ha definito un lugubre personaggio, riferendosi al Segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano, sia voluto andare nel sud per commentare, per soffiare sul fuoco di questo disegno.
No, Viglione, colleghi. Il problema non è tanto quello che fa o non fa Almirante e il problema non è tanto quello che oggi possiamo o non possiamo fare noi come forza politica. Il problema che si pone, al di là della figura di Almirante, al di sopra della nostra presenza nella realtà politica, è il capire, è il tenere conto di questo elemento che ormai palpabilmente si avverte nella vita di ogni giorno, sui posti di lavoro nelle scuole, nelle Università; già ne abbiamo avuto un primo chiarissimo sintomo, proprio qui a Torino con la "marcia dei quarantamila", che ha rappresentato un grande avvenimento, sul quale è bene che tutte le forze politiche abbiano a riflettere, perché va ben oltre alla contingenza particolare rappresentata dalla vertenza Fiat.
Noi allora diciamo semplicemente che prendiamo atto e constatiamo questa realtà che esiste nel Paese e, senza nessun intendimento reazionario o rivoluzionario, intendiamo essere l'avanguardia della coscienza critica che viene avanti da ogni parte del Paese. A questo compito attendiamo all'interno di quest'aula, schierandoci all'opposizione di questa maggioranza, di questa Giunta, del programma che essa ha esposto. Grazie.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Montefalchesi. Ne ha facoltà.



MONTEFALCHESI Corrado

Sarò breve, visto l'ora tarda e anche perché gran parte di quanto avevo intenzione di dire l'ho già espresso nel corso del mio intervento di venerdì.
Nel mese di luglio il P.D.U.P. diede un giudizio favorevole e un contributo importante per la costruzione della maggioranza di sinistra oggi il P.D.U.P. ribadisce quel giudizio positivo, nel momento in cui c'è un consolidamento della maggioranza della sinistra democratica consolidamento che permette alla sinistra di porsi come forza di governo stabile per tutta la legislatura.
In questo dibattito si è fatto un gran parlare della centralità socialista. Credo che per affrontare i problemi della Regione e del Paese sia necessario lavorare per una centralità delle forze di sinistra unite.
In questo senso accogliamo in modo positivo gli orientamenti, con i quali tutti dovranno confrontarsi, emersi dall'ultima riunione della Direzione del P.C.I.; orientamenti positivi perché individuano la necessità di lavorare per una direzione del nostro Paese incentrata sulle forze sane e di sinistra che escludono la Democrazia Cristiana. Questo è anche frutto delle nostre battaglie condotte in questi anni. Quindi un consolidamento a livello regionale dello schieramento di sinistra e democratico: su questo schieramento, come a luglio, noi esprimeremo un voto favorevole.
Comprendiamo la rabbia della Democrazia Cristiana che vede consolidarsi una soluzione che da quell'ottica si è sempre combattuta e credo che questo non può tradursi in atteggiamenti strumentali quali quello sulla Presidenza del Consiglio regionale: non si capirebbe, altrimenti, perché solo adesso viene fuori questa proposta. Non c'è dubbio che la Presidenza Benzi assume oggi un valore diverso dal mese di luglio, in quanto espressione del consolidamento di questa maggioranza.
Queste sono le forze di sinistra che devono diventare l'asse portante per un ricambio della classe dirigente dell'intero Paese, che escluda la D.C. e il suo sistema di potere che ha portato allo sfascio istituzionale che ha portato alla sfiducia dilagante nelle istituzioni.
Governare con onestà è già un livello importante di cambiamento nel Paese, necessario e decisivo per le sorti della democrazia. Un primo livello di cambiamento non facile, viste le reazioni alle dichiarazioni del Presidente della Repubblica, Pertini, colpevole soltanto di aver espresso i sentimenti del popolo e di avere espresso lo sfascio, la sfiducia del popolo nelle istituzioni, in questo senso interpretando ancora una volta la volontà di difendere quella democrazia che lui stesso, con la Resistenza ha permesso di costruire.
Ma questo non basta. E' anche necessaria una svolta nella concezione dello Stato, con il decentramento dei poteri che permetta e favorisca la partecipazione; è necessaria soprattutto una svolta del modello di sviluppo a tutti i livelli per rispondere alla crisi, fare cioè della programmazione la base essenziale di qualsiasi intervento, individuare quali soggetti della programmazione, non la libertà d'impresa che espelle e ridimensiona l'apparato produttivo e l'occupazione, ma fare soggetti della programmazione i lavoratori, le loro organizzazioni, le loro proposte, con un'ottica di sviluppo dell'occupazione e della sua qualità.
Riconosciamo nel programma la volontà di operare su importanti aspetti in continuità con la passata legislatura rispetto allo sviluppo regionale tuttavia abbiamo espresso alcuni dissensi, sul superamento della divisione tra nord e sud rispetto alla quale la catastrofe che ha colpito alcune regioni del Meridione ci mette di fronte a nodi non rinviabili.
Il modo con cui si affronterà la ricostruzione segnerà lo sviluppo del Paese. O la ricostruzione avviene sin d'ora, con l'obiettivo e l'ottica di sviluppare in quelle zone una struttura produttiva che permetta il ritorno in quelle zone degli immigrati - visto che quelli che sono morti sono in gran parte vecchi e bambini: quindi anche la nostra Regione ha un suo ruolo con strutture e tecnici - oppure, se la ricostruzione non avrà questo senso allora prevarrà ancora una volta la logica dell'assistenzialismo, della speculazione, dell'abbandono di quelle zone e forse non solo di quelle. In questo senso certamente nessuno è garantito e nessuno è disponibile a scommettere che non si verificherà un altro Belice.
Lo sviluppo del Meridione non richiede la concorrenzialità della nostra Regione con le aree forti d'Europa, ma richiede uno sviluppo alternativo a quelle aree in rapporto con il Meridione e i Paesi del Mediterraneo: questo è il primo profondo dissenso sul programma che ci è stato presentato.
Se così non sarà si riproporrà un rapporto di subalternità del Paese alle Nazioni forti, rapporto che si accentuerà se andrà avanti la scelta nucleare, che oltre ai problemi tutt'altro sciolti della sicurezza trasformerà il rapporto di dipendenza dell'Italia dai Paesi forti, in subalternità politica, com'è stato in questi trent'anni.
Per queste considerazioni daremo voto di astensione al programma. Il nostro voto sarà sempre disponibile quando verrà messa in causa l'esistenza di questa maggioranza di sinistra. Tuttavia, sul programma, abbiamo dei dissensi che ci portano a dare voto di astensione. Questo non vuol dire rimanere fuori dall'impegno che ci siamo assunti di sostenere la maggioranza di sinistra. La nostra non sarà mai una posizione di critica sterile, ma sarà sempre una posizione di critica tesa a superare i dissensi e quindi a misurarci sempre sulle cose concrete, sul tipo di sviluppo, sul segno che deve avere la politica della Regione.
La concreta attuazione del programma e lo sviluppo della dialettica fra i partiti che fanno riferimento a questa maggioranza, potranno decidere di una nostra eventuale diversa collocazione rispetto a quella che oggi qui esprimiamo.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare la signora Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il ricco e lungo dibattito sul documento, integrato dalla diffusa introduzione del Presidente e dalle repliche interessanti degli Assessori, ha richiamato le forze del Consiglio ad un impegno che, andando oltre l'ambito di un dibattito programmatorio, è certamente servito a definire la posizione ed il ruolo politico di ogni forza presente in questo Consiglio, nel momento in cui si vara la maggioranza di sinistra.
Per quanto riguarda i partiti che si riconoscono nella maggioranza, il Presidente della Giunta ci ha chiarito la loro posizione ed il loro ruolo in un'analisi storico-politica che ci è parsa, tuttavia, carente e non esauriente.
Ci sembra, anzi, che tale analisi non sia stata condotta nel rispetto del pluralismo e che non si sia tenuto conto che in Italia non c'è solo la linea socialista e marxista, ma esiste anche un'altra area, quella cattolico sociale, ed anche un'area democratica laica riformatrice non socialista, legata ai grandi modelli delle democrazie industriali dell'occidente, al riformismo sociale che investe le grandi correnti di rinnovamento del mondo anglosassone.
Sul quel terreno nacque la prima Terza Forza nell'emigrazione antifascista, mezzo secolo fa, o poco più; lungi da me l'idea di approfondire ora il dibattito sulla Terza Forza, riconducibile come discorso a quella che il Presidente chiama la centralità socialista, una definizione sicuramente attraente, ma ci sembra ancora priva di contenuti di prospettiva, che invece ha una sua validità e coerenza in altri Paesi in Germania, per esempio, dove questa centralità si realizza grazie all'apporto di forze politiche nelle quali noi ci riconosciamo.
In Italia, in quest'area democratica laica, si colloca il Partito Repubblicano, che possiede una sua peculiare tradizione con radici popolari profonde (Togliatti lo definì un piccolo partito di massa).
Partito che ha creduto da sempre nelle riforme come metodo per uguagliare la società e rinnovarla, riforme che con il centro-sinistra si sono avviate, come riconosce il Presidente Enrietti, sia pure con molti errori, lo ammettiamo. In questa valutazione di Enrietti, che ha evidentemente parlato a nome di una maggioranza che segna una presenza consistente - e non solo sotto il profilo numerico - del Partito Comunista abbiamo in travisto una rivalutazione del centro-sinistra che, ci consenta il Presidente Enrietti, fu il risultato di una lunga battaglia di una centralità repubblicana lamalfiana, la quale volle il Partito Socialista nella maggioranza di governo per far partecipare al rinnovamento della società strati di popolazione che erano stati fino ad allora esclusi dal potere politico.
Centro-sinistra che fu, tra l'altro, profondamente osteggiato dal Partito Comunista ed anche dal Partito Liberale. Oggi, invece, siamo lieti di constatare un nuovo atteggiamento del Partito Liberale, che pure il 28 luglio aveva criticato il nostro voto di - astensione al Presidente Enrietti, e quindi non aveva condiviso il significato politico di quel voto, di una posizione, cioè, non pregiudizialmente negativa verso la maggioranza di sinistra, ma da valutare sulla base del suo programma.
Questo atteggiamento nuovo, che a livello nazionale il Partito Liberale estrinseca attraverso una disponibilità non pregiudizialmente ostile verso la maggioranza quadripartita, qui, a livello locale, avvicina il Partito Liberale all'area laica nella quale il Partito Repubblicano si colloca.
In effetti, occorre riconoscere che per trent'anni i liberali ed i repubblicani, pur con alcune comuni radici laiche risorgimentali, si sono trovati sempre su posizioni contrapposte su questioni peraltro importanti della vita nazionale (dalla questione istituzionale monarchia - repubblica al centro - sinistra, ai governi della solidarietà nazionale) ma negli ultimi anni si è delineato uno spostamento del Partito Liberale verso le posizioni di sinistra democratica e laica che da sempre il Partito Repubblicano ha occupato.
Da qui è nata la possibilità di un maggiore confronto su problemi concreti, sui quali anche a livello regionale noi auspichiamo che liberali e repubblicani possano insieme impegnarsi, anche in questa sede regionale dove noi difenderemo (siamo certi che lo faranno anche i liberali) il rigore amministrativo e morale, dove rifiuteremo il tentativo in ogni campo della Regione come Ente burocratico ed assistenziale, dove collaboreremo per il raggiungimento di una spesa pubblica coerente e controllata, dove soprattutto, saremo stimolatori sempre del massimo confronto tra tutte le forze politiche: con quelle della maggioranza, con le quali abbiamo, non da oggi, un dialogo, ma anche con quelle della minoranza.
Far parte comune della minoranza non significa non avere necessità di confronto con il Partito Liberale, ma anche con la Democrazia Cristiana con la quale in questi anni il Partito Repubblicano ha collaborato in diverse sedi di governo (anche in questa Regione) ma dalla quale ci dividono a volte differenze profonde che dipendono non soltanto dalla differenza dell'area culturale e politica nella quale ci collochiamo, ma da impostazioni generali sui diversi problemi, talvolta importanti.
Problemi che vanno, per esempio, dal ruolo dell'impresa in Italia e dalla sua funzione, rispetto alla quale la D.C. non ha ancora abbandonato la logica dell'assistenzialismo, alle partecipazioni statali, alla politica agricola che noi intendiamo come politica che favorisca il passaggio dei coltivatori ad una reale imprenditorialità agricola, bandendo anche qui definitivamente, interventi assistenziali; dalla differente valutazione sui ruoli istituzionali Il discorso dell'ente intermedio affrontato da più parti in questa sede, credo dimostri l'esigenza di un dibattito, poiché il pericolo evidenziato da Simonelli che non si vada verso una nuova Provincia come noi auspichiamo, ma che la Provincia resti quella che è, non è poi così lontano.
Ci divide dalla D.C. un indirizzo educativo - scolastico che ha segnato sempre la necessità di una scuola pubblica confessionale, in contrapposizione netta alle politiche scolastiche e culturali della D.C. La differenziazione del nostro voto in questa sede, rispetto alla legge sul diritto allo studio, trae motivazione innanzitutto da questa nostra diversa concezione della politica scolastica.
Quindi, nell'ambito del dibattito consiliare ed all'interno della minoranza, noi difenderemo queste differenze, ma stimoleremo anche la D.C.
per le sue grandi responsabilità dell'essere partito di minoranza relativa di questo Consiglio, a sviluppare e produrre un suo progetto alternativo progetto che è già apparso in alcune sue linee nei numerosi ed interessanti interventi dei suoi Consiglieri, ma che va raccordato e, soprattutto, al quale va data una connotazione chiara che abbia il segno del programma di alternativa.
Alternativa al programma della maggioranza, che noi abbiamo definito onnicomprensivo, ma privo di quelle scelte ed impegni che lo dovrebbero qualificare. Queste scelte noi intendiamo collaborativamente proporre alla maggioranza e le sintetizzerò in alcuni brevi cenni: scelta che parte da quello che è stato chiamato il nodo nucleare, che viene si affrontato nel programma, ma nel quale si assumono ancora troppe generiche posizioni, ignorando che il quadro che oggi la Regione ha di fronte, relativamente ai problemi energetici in generale e sull'energia nucleare in particolare, è già molto articolato e ricco di contributi.
Esistono già documenti tecnici della Regione sui problemi della localizzazione delle centrali nucleari; si dispone ormai di contributi di carattere sia culturale che tecnico sui rischi collegati agli insediamenti elettronucleari; esistono stime e valutazioni ormai precise ed attendibili sui consumi attuali e futuri. Quello che continua a mancare è la volontà politica di far maturare la coscienza delle priorità, di definire la cornice entro la quale valutare le alternative, di fornire parametri di decisione.
Siamo convinti che il problema dell'energia sia un problema prioritario per l'Italia, ma soprattutto per il Piemonte. Oggi l'80% dell'energia viene consumata nel settore produttivo, nel terziario, nel settore dei consumi collettivi; la base produttiva in Piemonte sappiamo che non si espanderà ma sicuramente dovrà trasformarsi e qualificarsi in direzioni che richiederanno più energia. Nè possiamo accettare la posizione di attesa delle adempienze dello Stato: lo Stato va incalzato, non sostituendosi nelle sue competenze, ma essendo preparati sulle nostre competenze e pronti, quindi, a far coincidere e a delineare i rispettivi ruoli per la soluzione del problema.
La seconda priorità riguarda quel settore che ormai è individuato nello sviluppo del terziario, rispetto al quale noi riteniamo che se veramente il Piemonte vuol ricoprire quel ruolo che il documento della maggioranza auspica di riconoscergli, il terziario deve avere uno sviluppo autonomo ed indipendente dallo sviluppo industriale, attraverso delle aree di intervento nel terziario classico ma anche nel terziario quaternario, con una precedenza che riguarda più direttamente l'intervento regionale: quella che vorremmo definire la nostra terza priorità. Cioè la formazione professionale specificatamente riferita all'operatore pubblico, non soltanto a livello dirigenziale e non soltanto per il livello regionale.
Per esempio, nel campo della sanità, non ci sono soltanto da formare gli operatori tecnici della sanità, ma, tenendo conto che il Piemonte gestirà mediamente 1.200 miliardi ogni anno, ci sono anche da formare gli operatori amministrativi, per non parlare degli operatori turistici culturali e così via.
Se la macchina amministrativa è condizione per garantire l'efficienza (e Simonelli ha detto questo), senza gli operatori adatti l'efficienza sarà ancora lontana. La quarta priorità che vorremmo indicare alla Giunta è il problema delle grandi infrastrutture, i trasporti di viabilità, anche a fini di riequilibrio e di inversione di tendenza centripeta.
A questo proposito vorremmo rilevare che se la Giunta fa finalmente relativamente a questo problema, alcune scelte, sono scelte operate con molto ritardo e che ci fanno riflettere sui risparmi e sui benefici che sarebbero derivati alla collettività se le sollecitazioni che insistentemente venivano dal Partito Repubblicano nella passata legislatura fossero state accolte.
Ci riferiamo al completamento dell'autostrada Voltri - Sempione, alla superstrada di collegamento al Frejus e, aggiungiamo, la risoluzione del nodo della Torino - Savona attraverso il potenziamento dell'esistente, dato che risulta realisticamente improponibile, almeno per il momento, un raddoppio per l'entità degli investimenti.
Sul sistema ferroviario andavano anche qui evidenziate delle priorità forse sarebbe stato sufficiente aggiornare un progetto "Ferrovie" che già esisteva e che risale al tempo dell'Assessore Gandolfi.
Notiamo la dimenticanza assoluta del problema Caselle, mentre ribadiamo che la crescita economica e industriale del Piemonte dipende in misura rilevante anche dal potenziamento del sistema aeroportuale.
Vorremmo concludere questo discorso sulle priorità richiamando un aspetto che, per noi, è tale a tutto il resto e che rappresenta la più alta conquista dello sviluppo qualitativo della società, cui deve tendere un programma di legislatura di lungo periodo: la cultura.
E' infatti impensabile lo sviluppo qualitativo della società senza una seria educazione scolastica ed una chiara politica culturale. La nuova scuola dovrà produrre cultura e specializzazione, non soltanto attraverso l'ulteriore frantumazione dei corsi, quanto, piuttosto, impartendo contenuti ed utilizzando metodi didattici agganciati alla realtà produttiva e fornendo ai giovani un'attitudine critica ad affrontare e risolvere i problemi continuamente posti dall'evoluzione dei processi lavorativi.
Sulla politica più squisitamente culturale, intesa come gestione del tempo libero, le generiche enunciazioni delle due pagine del programma sono state integrate da una più articolata relazione dell'Assessore. Tuttavia ci sembra che manchi ancora un qualsiasi disegno articolato; ci si limita ad elencare settori per i quali è necessario intervenire, con la premessa di privilegiare gli investimenti rispetto alla pura erogazione, premessa sulla quale non è possibile, comunque, non convenire.
Vorremmo suggerire, fin d'ora, qualche iniziativa, in attesa che il Consiglio approfondisca le linee generali e gli interventi di una linea culturale della Regione per la quale la Giunta sembra altamente disponibile, se ha istituito un Assessorato principalmente per questi aspetti.
Le nostre proposte partono dalla qualificazione delle iniziative e si indirizzano più specificatamente alla cultura musicale, ai musei ed ai beni culturali, alle biblioteche ed ai mezzi di comunicazione. Su questi aspetti avremo occasione di fare approfondimenti in sede di Consiglio regionale e di Commissione.
Vorremmo ancora ricordare, a conclusione di queste nostre note sulle priorità, la necessità di realizzare gradualmente una sistematica revisione della legislazione regionale e, in primis, la legge sulle opere pubbliche al fine di rendere omogenee le procedure amministrative e di intervento con l'articolato sistema della programmazione.
A conclusione del dibattito, e riassumendo quindi i differenti nostri interventi, i repubblicani osservano che il programma della Giunta non approfondisce nella parte degli interventi settoriali i temi dello sviluppo a medio termine cui un programma a cinque anni dovrebbe tendere. La nostra critica di fondo è l'incoerenza tra le parti dell'impostazione politica generale e le politiche di settore, laddove le scelte tecniche o non appaiono o sono inadeguate; e questo è più grave se si considera che l'attuale maggioranza è identica a quella che l'ha preceduta ed ha potuto contare, nella predisposizione delle sue linee programmatiche sull'esperienza di cinque anni.
Con questa critica di fondo, noi repubblicani ci collochiamo nel nostro ruolo di opposizione, il che non significa opposizione aprioristica e pregiudiziale alla Giunta di sinistra ed al suo programma. Sulle scelte tecniche, che noi valuteremo valide, anche quando dovessero discendere da posizioni politiche importanti, noi ci saremo, nella speranza che ci sia spazio in questo Consiglio che auspichiamo rivalutato nella sua centralità in un rapporto Consiglio-Giunta, istituzionalmente corretto.
Se ci sarà spazio per delle collaborazioni saremo pronti a darle, se esse saranno richieste e valorizzate, come, peraltro, abbiamo fin ora colta ed apprezzato nell'atteggiamento della maggioranza di questa terza legislatura. Così come ci adopereremo sempre affinché le professioni di rigore morale, politico, amministrativo e programmatico che la Giunta nelle dichiarazioni del Presidente ha inteso evidenziare, siano un fatto reale ed una garanzia per tutta la comunità.
In questo rigore saremo attenti al ruolo che la Regione svolgerà nei diversi campi della sua attività e che in questi mesi, relativamente alla vicenda Fiat, non sempre abbiamo valutato coerente alle sue responsabilità.
Ci sembra questo un modo per contribuire a quel rinnovamento morale di cui il Paese ha bisogno,oggi più che ieri: come e più di ieri il Paese ha bisogno di un dibattito che abbandoni le posizioni di parte e strumentali un dibattito tra le forze politiche senza schemi generalizzati, in un confronto sereno e costruttivo delle idee e dei programmi concreti, come abbiamo fatto noi in quest'aula, in questi tre giorni di intenso ed interessante dibattito.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Nell'esprimere la posizione di sintesi in questo impegnativo dibattito non ho difficoltà a dichiarare che sento tutto il peso e la responsabilità che ricade su una persona in momenti come questo, unitamente ad una notevole preoccupazione.
Ho, però, una certezza, quella di essere una voce che interpreta un Gruppo, una forza, un partito che è tanta parte nella società in cui viviamo. Nella mia voce non esiste il ronzio della zanzara, né il rimbombo dei balzi eleganti del puledro, magari di razza. Vi è solo la passione con cui venti Consiglieri regionali della D.C., un terzo di questa assemblea svolgono il loro mandato nella complementarietà di compiti, ma nell'unicità dell'indirizzo e dell'impegno.
Presidente Enrietti, la franchezza del rapporto tra le forze politiche ed il rispetto che tra uomini politici ci portiamo in quest'aula, mi consente di dire subito che tra le parti che meno ho apprezzato dell'intervento, ampio ed impegnato, con il quale ella ha aperto il dibattito, vi è proprio quella nella quale si addentra a valutare le altre forze politiche.
Per quanto riguarda la mia dirò subito che non possiamo accettare la classificazione tra buoni e cattivi che traspare dalla sua valutazione sulle zanzare e relative punzecchiature ritornerò ancora.
Quello che è preoccupante, non certo per noi che lo sappiamo, ma per l'esattezza del quadro, nel giudizio che lei ha dato e quindi nella valutazione di alcune forze politiche è il ruolo riduttivo e marginale attribuito alla nostra forza politica.
E' vero che qualcosa sotto questo aspetto si recupera nel meditato intervento del Consigliere Revelli che ci riconosce un ruolo di opposizione e non di minoranza e che parla di una D.C. con radici popolari di area assai vasta. Ma è il tono e il senso di tanti interventi nel dibattito, che dobbiamo cogliere e contestare e che sostanzialmente, lei Presidente Enrietti, racchiude in quella frase "espressione di interessi precisi e legittimi che la radicano fortemente nella società piemontese".
Quello che ci radica nella società piemontese e italiana è la nostra storia, la nostra cultura, il nostro legame con la gente che crede nel lavoro ordinato, nella vita democratica, è il nostro pluralismo effettivo è il nostro interclassismo.
Lasciare sottendere una distinzione tra partiti che rappresentano la società e partiti che rappresentano interessi, sia pure con l'aggiunta della legittimità, vuol dire una visione non precisa della società, e ciò è grave perché se questa è la visione di chi governa, vi è il pericolo di governare contro o senza una larga fetta di società. Questa quanto meno incerta visione della società piemontese traspare anche nel punto in cui il Presidente ricorda i lunghi 35 giorni della vicenda Fiat.
Un accenno sfumato, un rinvio ad una meditazione, la meditazione è invece urgente anche se la marcia dei 45 mila dovrà portare a conclusioni diverse rispetto a quelle che certe forze politiche avrebbero fatto prima di tale evento.
Collocandomi al termine di un dibattito ampio, che ha visto impegnato il mio Gruppo, non ritengo di dover riprendere tutte le posizioni espresse nei vari interventi, dai colleghi Genovese, Martinetti, Petrini, Lombardi Devecchi, Borando e, per certi aspetti, nelle passate sedute in quell'anticipo di dibattito sul settore della sicurezza sociale e della sanità, dai colleghi Beltrami e Bergoglio Cordaro.
E' una posizione di sintesi e come tale deve fare riferimento a quei punti che hanno acquistato un maggior rilievo e che ci porteremo dietro a mano a mano che i singoli problemi troveranno la loro esplicazione in provvedimenti legislativi od amministrativi.
La posizione politica. Questo è un dibattito sul programma ed è un dibattito politico, non solo perché il programma è lo strumento caratterizzante di un organo di governo. Non mi sento di condividere la sua affermazione nell'intervento conclusivo, Presidente Enrietti, nella quale dice: "non è emerso un programma alternativo". Il programma alternativo emerge proprio dalle osservazioni, dal dibattito, dalle critiche che abbiamo mosso e credo che, pur nella necessità della stringatezza dei dibattiti, posizioni questo Gruppo ne abbia espresse.
Dicevo che questo è un dibattito politico non solo perché caratterizza un organo di governo, ma perché sul programma da esso presentato si forma una maggioranza organica.
Al Partito Comunista e al Partito Socialista che non hanno più i voti sufficienti per governare il Piemonte si aggrega il Partito Socialdemocratico, mentre con posizione più autonoma, confermata dalle dichiarazioni del Consigliere Montefalchesi, si presenta il P.D.U.P.
Ci è stato detto in questi giorni che nulla di nuovo è avvenuto, in quanto questa maggioranza è nata a luglio e che, anzi, sorprendeva lo stupore di certe forze politiche.
Ha detto bene il Consigliere Genovese; non siamo sorpresi da questa conclusione, non abbiamo mai creduto alla Giunta laica, ma avevamo il dovere di vivere quella fase politica e di reggere il confronto che ci veniva proposto. Io stesso, nel dibattito del mese di luglio, ho sostenuto in quest'aula, che tutto procedeva secondo il copione e ricordo che in campagna elettorale prefiguravo per il Partito Socialdemocratico una raccolta di voti, nel più ferreo anticomunismo, com'è avvenuto, voti che tradottisi in eletti, avrebbero perso le caratteristiche della raccolta! Nessun stupore dunque, nessuna rabbia, collega Montefalchesi! Ma i colleghi socialdemocratici impegnati ad ammantare con la centralità socialista e con il rinnovato europeismo la loro scelta, devono consentire che la mia forza politica faccia la massima chiarezza nell'opinione pubblica e nell'elettorato.
Sovente, il Consigliere Viglione, afferma che nel nostro Paese ci sono forse anche troppo spesso, le elezioni. Ebbene, ciascun partito ha diritto di fare le scelte che crede, ma un'altra forza politica ha il dovere di richiamare, già ora per il futuro, come le forze politiche gestiscono sul piano politico i voti ottenuti.
Il collega Guasso, che stimo molto sul piano generale e non per l'intervista che ha rilasciato qualche giorno fa, parla di capacità di aggregazione del P.C.I.; spiega che occorre misurarsi sui problemi concreti; che la D.C. non deve limitarsi ai problemi di schieramento.
Il problema dello schieramento va esaminato con il punto interrogativo.
Non capisco perché, quando tutti gli altri partiti si mettono attorno ad un tavolo per cercare di comporre uno schieramento, per questi partiti è legittimo, mentre per la D.C. lo schieramento è una tara con la quale la D.C. deve essere bollata.
Questo tema lo ha già toccato Genovese, io aggiungo soltanto che quando si hanno dei posti a disposizione tutti i partiti hanno una capacità di aggregazione; sul confronto e sul problemi concreti crediamo che appunti non se ne possano muovere alla nostra forza politica. Questa è stata la nostra caratteristica da quando siamo stati chiamati a svolgere ruoli di opposizione. La linea del collega Bianchi è oggi la nostra linea e noi ci raccordiamo ancora con lui, tanto che ci siamo onorati di votarlo in un Ente della Regione proprio perché egli possa ancora far parte del nostro Gruppo e offrire il suo valido contributo alla linea che intendiamo perseguire.
L'accettare o il ricercare il confronto sui temi concreti, non ci deve fare dimenticare il nostro rapporto di forza politica con l'elettorato certo ci deve fare rammentare che come partito politico abbiamo perso dei voti, proprio per aver portato avanti la politica del confronto; voti acquisiti da forze politiche apparse nel momento elettorale più rigide di noi sulla questione comunista. Ma, si sa, la stagione elettorale è quella nella quale le forze politiche si sforzano di presentare un "prodotto più bianco del nostro", ci fa scuola la pubblicità televisiva in questo caso mentre il "rosso" viene fuori dopo.
Riprenderò in seguito il discorso politico.
Sul programma che dire! A tratti è ermetico, a tratti è propositivo, a tratti imbarazzato, laddove raccorda qualche linea di novità con un passato che pur deve difendere; questo programma in troppe parti manca di specificità, tanto da farci rinviare, ancora nel tempo, un giudizio più completo.
Oggi, la Regione ha competenze e mezzi, rilevanti ma non illimitati e qui mi raccordo con quanto ho detto nel recente dibattito finanziario.
Darò, immediatamente una risposta al Consigliere Viglione, che più volte si è riferito alla mia persona. Mi ha posto due domande, la terza era sottintesa. La prima era se ci rendiamo conto che le risorse di cui la Regione dispone sono praticamente la decima parte del disponibile per tutta la comunità regionale.
Mi fa piacere che il Consigliere Viglione introduca questo discorso sul quale non mancheremo di confrontarci. Questo discorso, collega Viglione, è molto distante - l'ho già detto - da quelle presentazioni dei 2 mila miliardi del bilancio regionale che lasciavano intendere alla comunità che con quei 2 mila miliardi, che non erano tali, si potesse risolvere tutto. Ecco il discorso che deve guidare l'azione della Regione, che deve dire la sua parola su tutte le sue risorse; è argomento che il collega Viglione ha introdotto su un terreno di novità, sul quale non mancheremo di compararci.
Così come quando dice che ci sono delle opere che si realizzano in fretta. Chiede notizie sull'acquedotto delle Langhe (20 miliardi). Potrei rispondere con una battuta: potrei dire che è ampiamente amministrato da un Consiglio guidato da democristiani capaci ed intelligenti. Il tema introdotto dal collega Viglione ha due aspetti: quello delle persone certo, perché le persone imprimono anche una caratteristica ed un impulso alla guida di qualsiasi amministrazione, ma c'è anche il problema delle leggi che non può, passare in silenzio, tant'è che Viglione subito dopo sostiene: "il Gruppo socialista farà la proposta che nell'agricoltura, nodo dolente del bilancio regionale da tanti anni, come quello dei lavori pubblici, vengano alleggeriti i passaggi, le pratiche".
Questo è il vero nodo. Nell'agricoltura, nei lavori pubblici, se sapremo fare delle leggi in questo senso daremo un contributo sicuro per l'efficienza del bilancio e per la spendita delle risorse.
La Regione ha mezzi e risorse che non sono illimitati e non pu togliersela con indicazioni e linee di indirizzo su tutto, accompagnate solo dal rivendicazionismo critico verso lo Stato. L'Assessore Simonelli ha introdotto un altro discorso che, d'altra parte, avevo anche sviluppato abbondantemente intervenendo sull'assestamento di bilancio, quello del raccordo tra le programmazioni regionali e le programmazioni nazionali altrimenti la destinazione dei fondi in settori che non sono raccordati con i rispettivi piani di sviluppo contribuiranno a creare quei fenomeni che vogliamo combattere. L'Assessore Simonelli ha introdotto il problema e credo che dovremo averlo ben presente.
Occorre delineare il quadro con contorni precisi sul piano delle operatività e dire quali scelte si faranno all'interno dello stesso.
Il Presidente ha detto che questo programma era stato dato senza una rilettura. Io penso che manchi una numerazione.
A pag. 4 della parte terza si dice: "E poiché sembra inutile iniziare una nuova via, se anche non sia ultimata la precedente, vedasi residui passivi, perenti, fondi statali reimpostati" (discorsi che sappiamo). E' bene che agli inizi del 1981 ci si dedichi a risoluzioni di problemi insorti nell'applicazione della legge di contabilità e della legge sulle procedure della programmazione. Discorso perfetto, che non va collegato nel programma. Va raccordato, per esempio, con la pag. 3 della parte seconda sulle ".caratteristiche della crisi e le condizioni per un nuovo sviluppo".
".Si impone, dunque, una risposta in grande, all'altezza della sfida che la crisi propone.".
Si sa, i programmi sono scritti a più mani. A volte non sono raccordati e il problema, esemplificando, sarà di vedere se si camminerà più sulla serietà e sulla prudenza della prima affermazione o sulla pomposità della seconda, magari destinata a non avere grandi risposte.
Non si sfuggirà a questa strettoia: conoscere le risorse, quelle vere.
Anche lo Stato deve svolgere la sua parte con tempestività. Saranno ancora quelle preventivate o non saranno chiesti dei sacrifici a seguito della situazione determinatasi? Occorrerà indirizzare, facendo scelte ed ecco i programmi che si sfoltiscono e diventano veri, gestendo queste risorse con alta professionalità della macchina regionale. L'affermazione della pag. 16 parte prima, sulla qualificazione del personale ci va bene in linea di principio anche perché quell' "innovativo" dice tutto. Ma queste affermazioni possono avere un senso solo se tradotte in comportamenti concreti e sono quelli che attendiamo.
Ma se nella strettoia entra la Regione con il peso delle sue responsabilità, essa non potrà contraddire nei fatti linee di indirizzo debbono anche entrare tutti quegli Enti, dai Comprensori alle Province, dai Comuni alle Comunità montane, alle Unità Sanitarie Locali, che costituiscono l'articolato tessuto della Regione, in pratica l'interfaccia della stessa.
Gli interventi sul territorio debbono essere determinati da scelte programmatorie e da necessità, non dal colore politico o dall'ammiccamento suasivo che passa al di sopra anche del colore politico. Perciò da questa tribuna noi invitiamo le centinaia di amici della nostra parte politica impegnati negli Enti locali della Regione, al rigore ed al rispetto degli indirizzi, alla rinuncia all'ammiccamento per ottenere comunque qualcosa dai governanti regionali.
Il rigore ad ogni livello nelle scelte potrà far emergere eventuali storture e consentirà a noi, in questa sede di indirizzo e di sintesi, di svolgere il nostro ruolo di controllo.
Del dibattito in aula sul programma, voglio solo riprendere due argomenti su cui molti si sono soffermati, ma che hanno avuto la loro impegnata trattazione soprattutto negli interventi di Genovese e di Revelli. Aveva visto giusto Genovese - e Petrini non gli è stato da meno nell'affrontare, anche in termini provocatori, quei temi che proprio in questi giorni sono stati ripresi da un'autorevole rivista comunista e che hanno confermato, sostanzialmente, la lettura di questo pezzo; parlo del Piemonte come area forte mediterranea e del problema del polo di Torino.
Prendiamo atto che, oggi, il collega Rivalta nel suo intervento ha detto chiaramente che il rapporto Piemonte - Europa è definito partendo dal rapporto Piemonte - Italia, correggendo forse anche un'enfatizzazione del rapporto diretto Piemonte - Europa che ci era parso di cogliere nell'introduzione del Presidente. Comunque, non si può negare che il problema dell'area forte costituisca un recupero di grandi obiettivi strategici dimenticati nel quinquennio trascorso ed oggi rilanciati (anch'io, penso, non solo per volontà socialdemocratica) in termini generici, in funzione di un nuovo modello di sviluppo e sotto lo stimolo della paura della recessione.
Ma questo rilancio ci pare non accompagnato in modo chiaro da indicazioni di strategia e principali condizioni per fare del Piemonte un'area forte, capace di essere concorrenziale nell'Europa, in funzione di uno sviluppo complessivo del Paese e del Mezzogiorno in particolare. Queste condizioni per noi sono: l'integrazione economica con le Regioni limitrofe la creazione di un moderno sistema integrato dei porti liguri (ne ha parlato diffusamente il collega Revelli, ma è un'indicazione che è stata dimenticata nell'azione di governo della scorsa legislatura); il rilancio ed il ruolo della grande impresa, non solo Fiat, ma Olivetti partecipazioni statali, Italsider, Montefibre, che ci pare - come ha già detto Genovese - sia stato sottovalutato nel documento.
Nel dibattito si è detto che la Regione sostanzialmente si è soffermata nel suo programma su quelle che sono le competenze più strettamente di pertinenza propria, ma ci pare questo un atteggiamento giustificativo in un documento non certo adagiato su strette competenze, ma soprattutto perch il problema della grande impresa deve essere al centro dell'attenzione della Regione, se reclamiamo, com'è giusto e condiviso, un ruolo importante, costituzionale nella formulazione del programma economico nazionale, oltreché per i compiti che alla Regione competono e devono essere dati per legge in materia di governo del mercato del lavoro e di formazione professionale.
Anche su questo argomento prendiamo atto che oggi, nella rilettura di questo programma data dall'Assessore Simonelli, è stato sottolineato il ruolo della grande impresa e la realtà tuttora espansiva del mercato e della produzione, sia pure in una fase riflessiva.
Passo brevemente al problema del polo di Torino. Il Consigliere Revelli ha affermato che a fronte dei fenomeni recessivi si è giustamente sottolineato il ruolo di Torino e delle politiche di sostegno dell'area torinese, altri venti non ci sarebbe equilibrio possibile, ma decadenza generale (il collega Viglione si è discostato un tantino da questa impostazione nel suo intervento).
Ha però aggiunto Revelli che non si è dimenticato il problema del riequilibrio; sostanzialmente, però; una posizione di questo tipo deve trovare una puntualizzazione, perché finisce di descrivere due tempi o un'attenuazione dell'obiettivo "riequilibrio", in linea con il documento che, a pag. 2 della parte seconda, afferma: "Il cambiamento di scenario regionale..., sovverte l'ordine dei problemi..., la situazione richiede una nuova strategia che, recuperando quanto di valido ancora oggi vi è nella strategia del riequilibrio, sappia invertire i processi di crisi che hanno investito il polo torinese".
A nostro avviso non è possibile pensare che si possano contrapporre questi due obiettivi e non è neppure accettabile; perché se l'obiettivo a medio e lungo termine è quello di realizzare un'area forte, occorre elaborare, in collaborazione con il programma economico nazionale, una strategia complessiva ed azioni programmatorie coerenti.
Il ruolo del Consiglio regionale: a pag. 15, parte prima, si legge: "...ciò potrà avvenire nella misura in cui si darà corpo al rilancio del Consiglio regionale ed alle sue articolazioni interne per riaffermarne in pieno la titolarità di centro propulsivo di indirizzo, di sede propria e più alta dell'istituzione regionale"; con questo, con un'ottima affermazione di principio, si chiude la questione del Consiglio regionale e ci pare un po' poco. E' sì, vero che il problema non riguarda tanto la Giunta come tale, ma poiché il programma è presentato come espressione di forze di maggioranza, queste forze dovrebbero dire di più.
Ha accennato qualcosa stamattina il Consigliere Valeri nel sub intervento sul ruolo e sulla maggiore efficienza del Consiglio regionale.
Il problema del Consiglio lo abbiamo posto come prioritario all'inizio della legislatura e, certamente, qualcosa si è ottenuto: maggiori mezzi ai Gruppi, in via di soluzione; il problema del personale dei Gruppi; ma non basta e, oltretutto, occorre far presto perché se ne sta già andando il primo semestre della nostra legislatura. Ho l'impressione che in passato si sia cercato di dare soprattutto una rilevanza esterna al Consiglio, di creare spazi politici, con iniziative, convegni, con la creazione del Comitato antifascista, della Consulta femminile ed europea.
Oggi bisogna guardane più all'interno, bisogna privilegiare il momento politico - legislativo, mettendo i Consiglieri in condizione di svolgere questa primaria attività. Bisogna privilegiare l'organizzazione ad alto livello nell'ufficio legislativo e della documentazione; le stesse sedute del Consiglio sono, purtroppo, l'immagine di un'organizzazione carente di un momento legislativo sempre incerto.
Richiamo sempre, fraternamente, i colleghi del mio Gruppo, a fare ogni sforzo per essere presenti, ma è evidente che la stessa presenza e lo stesso impegno devono esserci da tutte le parti politiche. La maggioranza deve uscire con precise proposte (e quindi io sentirò volentieri quello che il Capogruppo comunista dirà chiudendo questi interventi), deve confrontarsi con le altre forze politiche, con quelle di opposizione che proprio nella vita del Consiglio esplicano la loro potenzialità.
Resta aperto il discorso del controllo sul piano amministrativo della Giunta da parte del Consiglio: è un discorso che il mio Gruppo intende portare avanti, anche se eventuali proposte dovessero richiedere modifiche statutarie. Dirò al termine di questo intervento le linee che l'opposizione democristiana seguirà nei confronti di questa Giunta e della maggioranza che si va formando, ma ritengo a questo punto di richiamare con la chiarezza necessaria il discorso sulla Presidenza del Consiglio.
E' un discorso politico, che prescinde dalla persona del Presidente Benzi, alla cui saggezza piemontese va sempre l'ossequio mio e del Gruppo ma che la Democrazia Cristiana doveva fare e fa: non riteniamo si possa ragionevolmente sostenere oggi che la situazione politica ed istituzionale è quella di luglio.
E' una situazione che ha avuto una sua evoluzione, prevista, scontata finché si vuole, che è partita dal fidanzamento di luglio tra partito socialdemocratico e sinistra, per giungere al matrimonio di questi giorni.
E' innegabile che il contesto politico di oggi è diverso da quello della prima elezione di Benzi e anche da quello della seconda elezione, nella quale noi ci astenemmo non ingenuamente, ma volutamente - Consigliere Carazzoni perché in quel momento la Presidenza Benzi rappresentava ancora un preciso raccordo tra le forze politiche. Viene meno oggi con l'ingresso del Partito Socialdemocratico in Giunta questa funzione di raccordo tra le forze politiche, funzione che il Partito Socialdemocratico rappresentava, e la Presidenza dell'assemblea diventa uno dei momenti di spartizione dei posti.
Il collega Montefalchesi ha riconosciuto questo fatto politico e poi ci chiede perché noi vogliamo la Presidenza del Consiglio. E' nel nuovo contesto che si legittima l'istanza avanzata dalla Democrazia Cristiana con il consenso del Partito Liberale e del Partito Repubblicano che è stato ripetuto anche in questo dibattito, di richiedere per una forza di opposizione la Presidenza del Consiglio regionale.
Circa un mese fa, in una Regione vicina, la Liguria, con una lettera ad un quotidiano, un autorevole esponente del Partito Comunista - il Presidente uscente di quella Giunta, poi successivamente eletto Presidente del Consiglio regionale - ha avanzato, profilandosi per il suo Gruppo il ruolo di opposizione, la richiesta della Presidenza del Consiglio di quella Regione , motivandola con l'essere il Partito Comunista partito di maggioranza relativa.
"Non c'è dubbio - lettera al 'Lavoro' del 18 ottobre 1980 - che avanzeremo una nostra candidatura la quale andrebbe al voto del Consiglio con tutto il peso che le deriva dalla nostra posizione di maggioranza relativa".
In quella Regione la D.C., che fa parte della maggioranza, e non della Giunta, e che a buon diritto avrebbe potuto rivendicare tale Presidenza, ha acconsentito alla richiesta comunista. Da noi, invece, alla richiesta della D.C. si risponde negativamente, e non solo da parte del Partito Comunista ma anche da quell'area socialista che a Roma per il Governo, pur con enormi disparità di forze, invoca ed ottiene la pari dignità. Rispondendo cortesemente, ma fermamente, con un "no" a questa richiesta, il Presidente Enrietti ci ha dato una motivazione che è, per la verità, molto debole potrei ricordargli che se è vero che fino ad ora in Piemonte il Presidente del Consiglio è stato espresso sempre dalla maggioranza, è altrettanto vero che sino ad ora in Piemonte il partito di maggioranza relativa è sempre stato in Giunta, mentre oggi il partito di maggioranza relativa, la D.C.
non è in Giunta.
A Torino, dunque, al partito di maggioranza relativa ed alle opposizioni si nega l'accesso ad un posto che assicurerebbe un diverso e più equilibrato rapporto tra le forze politiche. Nel contestare la posizione socialista, comunista, socialdemocratica e del P.D.U.P., la D.C.
ha già dichiarato che non considera chiuso il discorso prospettato e che assumerà ogni iniziativa perché si realizzino situazioni più rispettose del voto elettorale del giugno scorso.
Il dialogo con il P.S.I. e con il P.S.D.I. è difficile in questo Consiglio, e qui mi interrogo se vi sono, a volte, mie personali insufficienze; è per questo, anche, che ho gradito quelle domande che Direttamente il Consigliere Viglione ha rivolto al mio Gruppo ed a me in particolare. Il dialogo è difficile, ma la D.C. non lo interromperà, anzi lo ricercherà con le forze dell'area socialista. Anche se le scelte di quest'area in Piemonte sono fortemente ed ingiustamente penalizzanti per noi, ci muoveremo - lo ha detto Genovese, lo ripeto io - con molta serenità nella coerenza con le scelte del nostro partito e del nostro congresso.
Vorrei ricordare le considerazioni del Consigliere Cerutti, quelle sul piano politico, non di alcune dette da imminente Assessore, perché su queste - e mi riferisco ai collegamenti Torino - Savona, porti liguri autostrada - statale 28 - non mi è parso che nel dibattito vi sia una precisa assonanza tra il Presidente Enrietti, il Consigliere, prossimo Assessore, Cerutti ed il programma, ma su queste cose torneremo in altra sede ed il collega Martinetti credo che si sia appuntato bene ogni questione per intervenire nel momento opportuno.
Il Consigliere Cerutti, dicevo, ha invitato la D.C. a cercare di capire la situazione politica e a prendere in sostanza atto della sua evoluzione del raccordo e patto di intenti tra Partito Socialista e Partito Socialdemocratico. Ma il suo discorso dimentica la più vasta collaborazione con la D.C., i rapporti in sede nazionale ed in tante realtà locali, e quel minimo di coerenza che pure negli atteggiamenti delle forze politiche dovrebbe esserci.
Forse le recenti prese di posizione del P.C.I. danno più ragione al nostro atteggiamento che non a quello socialdemocratico, se vere e confermate sono le dichiarazioni che proprio il Segretario del partito, on.
Longo, ha fatto in riferimento all'atteggiamento di alleanze negli Enti locali. Le vicende di questi giorni difficili rendono sul piano politico ancor meno agevole il rapporto nostro con l'altra grossa forza di questi) Consiglio, quella comunista. Il collega Revelli mi ha, nel dibattito rivolto una domanda - contestazione: e cioè se non fosse vero che dopo le elezioni la D.C. ha ricercato qualunque soluzione di Giunta purché non fosse presente il P.C.I. Io credo di poter tranquillamente girare la stessa domanda al Consigliere Revelli, o meglio al collega Bontempi che parlerà dopo di me, se non sia vero che il P.C.I., dopo tutto, ha fatto il possibile perché la D.C. nella nuova situazione determinatasi con il voto del giugno 1980 non tornasse in maggioranza nel Piemonte. Ma, a questa domanda io avevo già risposto in uno dei tanti interventi del luglio scorso, quando avevo affermato che i nostri partiti sono alternativi sul piano politico, sul piano del governo e dell'opposizione.
Questa alternativa non sussiste per noi a livello di istituzione e di assemblea, mentre debbo rilevare che è invece nei nostri confronti che si creano discriminazioni negando a noi o ad altro partito di opposizione la Presidenza dell'assemblea.
Ma, chiarito il rapporto politico e lasciata, come ho già detto, per noi aperta la questione della Presidenza dell'assemblea, ripeto, qui quello che i miei colleghi intervenendo nel dibattito, tutti, ma esplicitamente Lombardi, Petrini e Devecchi, hanno affermato: non opposizione sterile, ma viva, di confronto in ogni momento, su ogni questione, grande o piccola che sia; confronto con la maggioranza e quindi, anche con il Gruppo comunista: non vi è nulla da inventare a proposito. I cinque anni passati sono davanti a noi, ed ai colleghi comunisti debbo anzi un riconoscimento che si collega con la parte iniziale del mio intervento.
E' mia abitudine ragionare a voce alta. Pare, a noi, che il gruppo comunista - nonostante la maggiore distanza di posizioni politiche, tanto maggiore in questi giorni - più degli altri partner di Giunta sia consapevole (il taglio dell'intervento di Revelli era in tale direzione mentre questo taglio e questo spirito non l'ho visto oggi, ad esempio negli interventi dei due Capogruppo del P.S.I. e del P.S.D.I.) di ciò che noi siamo nella società piemontese, di ciò che noi rappresentiamo come forza politica nella realtà della Regione e forse anche, osiamo sperare come persone in questa assemblea.
Non si governa questa Regione senza l'apporto del nostro mondo sociale e culturale; è indifferente la nostra presenza al governo o all'opposizione, ma è vitale la nostra presenza nella società.
La questione morale e la nostra opposizione. Il Presidente Enrietti si è lungamente soffermato sulla questione morale. E' un dibattito che ha avvolto i partiti e il Paese e al quale partecipiamo anche noi democristiani del Piemonte, con a forza e l'orgoglio di essere i democristiani dell'opposizione. E' noto, infatti, che noi politicamente viviamo in Italia l'esperienza più ampia, sotto il profilo geografico e di popolazione, in cui la D.C. è collocata all'opposizione.
E' scritto nel Vangelo di Matteo - ed è l'unica citazione che mi permetto - che è necessario che gli scandali avvengano ed aggiunge: "Guai a quell'uomo per cui avviene lo scandalo". Dallo scandalo può urgere meditazione e situazione migliore. Chi si accerta che ha sbagliato deve pagare, tanto più duramente se è della mia parte politica perché ha tradito non solo i valori della convivenza civile, ma anche i principi cristiani.
Ma attenzione colleghi, sulla questione morale, sugli scandali, sullo scandalismo dobbiamo intenderci bene, Se è un vero desiderio di miglioramento generale, tocchi a chi tocchi, si può andare avanti tranquillamente nell'opera di moralizzazione. Se invece nel sottofondo pensiero si vuole avanzare solo un ingiusto polverone contro la D.C.
quasi, che altri mai avessero avuto potere o responsabilità nel Governo nelle istituzioni, negli Enti locali, nei centri vitali del Paese; allora la nostra posizione non sarà di supina acquiescenza a nessuna campagna moralistica.
E poiché è bene scendere dal generale al particolare (il prof. Astengo faceva questo discorso sui temi urbanistici passando dal generale al particolare, dal particolare al generale) e poiché credo che, affermate le questioni di principio, sia bene occuparci più da vicino della nostra realtà, passo dalla questione morale in generale alla questione del rigore morale della gestione della nostra Regione.
Il Presidente Enrietti è stato preciso sull'argomento con affermazioni che non lasciano dubbi sul piano degli intenti. Altrettanto preciso voglio essere io.
Credo che un modo corretto di confrontarsi tra una maggioranza ed un'opposizione sia quello di mettere chiaramente le carte in tavola, di dichiarare le intenzioni.
Ha aperto per noi il discorso politico il Consigliere Genovese dicendo che avremmo continuato il nostro modello di opposizione con maggiore rigore sulla gestione.
Che cosa vuol dire questo? Che noi abbiamo coscienza di essere stati nella passata legislatura forza di governo, dall'opposizione, sulle più rilevanti questioni, sulle leggi di indirizzo, sui bilanci, sui documenti politici ed economici; ma non abbiamo sufficientemente governato la gestione dal nostro ruolo di opposizione.
Battaglie ne abbiamo fatte, ma non le abbiamo seguite e concluse con quel respiro, con quel rigore, con quella visione complessiva che richiedevano. E' nostra intenzione farlo ora. Uno sguardo al passato su ci che merita attenzione ed ampie riserve; un impegno per il futuro. E qui riprendo il discorso di Enrietti sulla zanzara, per rassicurarlo che non è nostra intenzione limitarci a qualche punzecchiatura. E' nostra intenzione aiutarlo a realizzare quella trasparenza e correttezza che ha proclamate e che senza l'ausilio delle opposizioni sarà difficile da realizzare: la punzecchiatura non fine a se stessa, che sarebbe poca cosa, ma per far emergere il corretto disegno complessivo.
I temi di questo confronto che si uniscono a quello della Regione esemplare di cui parlava nel suo intervento il collega Bastianini, li esplicitiamo in tutto ciò che è discrezionale e, segnatamente, la gestione del personale, il rapporto tra personale e Consiglieri, le consulenze, la selva delle pubblicazioni commissionate o acquistate dalla Regione l'informazione (la mozione che abbiamo presentato e che dovremo fra breve discutere sta purtroppo a significare che la nuova Giunta non è partita bene sulla materia), nel campo dei lavori pubblici, la questione del pronto intervento e l'affidamento dei lavori a trattativa privata e, più in generale, la gestione minuta di ogni giorno, quella però che ha rilevanza nelle cifre di bilancio.
Siamo convinti che impostato più incisivamente che nel passato, questo discorso potrà dare i risultati che lei signor Presidente, che la Giunta e noi auspichiamo. Auspichiamo anche, e lo diciamo con la chiarezza sopra dichiarata, che questa volta su questi temi non defletteremo e ci batteremo fino in fondo in questa e in altre idonee sedi.
Chiarito il nostro atteggiamento sulla gestione, richiamiamo il nostro comportamento sui temi politici, legislativi, deliberativi più importanti.
Confronto con la maggioranza sulle proposte, autonoma iniziativa, se del caso, raccordo nelle rispettive posizioni, anche ideologiche; ci confrontiamo e ci raccordiamo con i Gruppi, con i partiti, con Consiglieri magari di buon cuore come il Consigliere Gastaldi che poi ricevono gli elogi, con quei partiti che si collocano con noi all'opposizione, che sono portatori di grande serietà e capacità.
Aggiungiamo, e già lo abbiamo iniziato, un raccordo con i nostri Gruppi consiliari delle Regioni vicine, delle Regioni del nord Italia, ove la D.C.
si trova in ruoli diversi, per i necessari contatti e per la valutazione di quei problemi che superano l'ottica regionale.
Il nostro impegno è che gli atti deliberativi e legislativi siano i migliori possibili, rispondenti alle attese della gente, perché devono essere gli atti della Regione, non di questa o quella maggioranza. Saremo rigorosi nel controllare che i risultati siano rispondenti alle promesse.
Non ci basta che i socialdemocratici dicano che il loro ingresso in Giunta comporterà la modifica della legge urbanistica, la riapertura del discorso nucleare (con qualche riserva che ancora ha fatto il Capogruppo socialdemocratico), di quello europeo, tra un alternarsi di posizioni che indubbiamente ci sono nella maggioranza su questi temi: la verifica delle verità deve venire nel momento delle singole decisioni.
Per quanto riguarda la legge urbanistica richiamo gli interventi di Picco e di Borando.
Le considerazioni svolte, raccordate con gli interventi dei colleghi legittimano abbondantemente una valutazione complessivamente negativa sul programma e il voto politico contrario, sulle modifiche di Giunta; il che non ci impedisce di salutare con stima il collega Alasia che passa dai banchi della Giunta a quelli del Consiglio. Invito il Presidente della Giunta a fare una modifica nel suo elogio perché ha detto che l'Assessore Alasia è insostituibile, ma lo sostituiscono.
Alasia è un uomo che crede nelle cose che fa, ha avuto ed ha il nostro rispetto.
La valutazione negativa non ci impedisce di fare, nel dissenso, gli auguri di rito a Cerutti. Non è un compito facile quello di dimostrare che la collocazione in Giunta dei socialdemocratici è una presenza che conta sul piano programmatico e degli indirizzi.
Non ci impedisce di fare gli auguri al collega Sanlorenzo che assumerà a quanto si dice, un incarico specifico oltre alla Vicepresidenza, ma non solo per questo, per l'impegno cui è chiamato in questi giorni nel dirigere e coordinare l'attività della Regione per i terremotati. A questo impegno della Giunta e del Consiglio il nostro Gruppo offre la sua presenza con la capacità e l'attività di Picco e di Sartoris, a cui penso di poter aggiungere, anche se non è un'attività strettamente istituzionale, quella di Ratti che dirige per lo specifico evento il settore assistenziale della grande industria a cui appartiene Voto contrario alla Giunta dunque, impegno di essere forza protagonista anche in questa legislatura.
Un acuto giornalista esaminando circa un mese fa su un quotidiano la situazione politica piemontese, osservava come la centralità socialista e socialdemocratica in Piemonte si manifesta come massima occupazione del potere (e non a caso Genovese ha parlato di centralità, come egemonia) occupazione con i comunisti soprattutto nella Torino industriale, Comune Provincia, Regione, con la D.C. in realtà provinciale sì da qualificare il nostro come partito della provincia minore.
Credo anch'io che queste siano state le ragioni della scelta che io non condivido. E così rispondo all'amico Marchini che si chiedeva se la D.C. si era posta la domanda del perché della scelta socialista. Con tutto il rispetto e l'affetto che abbiamo per le province minori dalle quali proveniamo, siamo qui a dirvi, egregi colleghi, che non ci sentiamo, anche se collocati all'opposizione, in nessun stato di inferiorità. Non ci sentiamo solo il partito del cosiddetto Piemonte minore, cosa che pure ci onora; siamo radicati in tutte le realtà, siamo una forza in grado di concorrere a pieno titolo a guidare tutto il Piemonte: non è una sfida perché non ci piace lanciare sfide, è qualcosa di più: è il nostro impegno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, adempirò subito alla funzione specifica che è prevista dal Regolamento per i cosiddetti interventi di dichiarazione di voto, esprimendo la piena adesione ed approvazione al programma presentato dalla Giunta, da parte del mio Gruppo. Con molto piacere, in molti interventi ho sentito far riferimento all'intervento che ha svolto qui giovedì il compagno Revelli, intervento che anch'io ho giudicato di grande livello politico e culturale.
Chiedo anche scusa ai rappresentanti degli altri partiti, che hanno ripreso delle questioni, come il rapporto Piemonte - Europa - Mezzogiorno come la questione del polo torinese, se non vi tornerò sopra. Credo che proprio queste questioni, programmatiche e politiche, siano state trattate con molta ampiezza nell'intervento di Revelli, e a questo io rimando.
Rimando anche alle proposte che sono state formulate negli altri interventi del mio Gruppo, segnatamente dei compagni Valeri, Biazzi e Reburdo. Siamo convinti di esserci collocati, in questo dibattito, con la serietà con cui, di solito, il Gruppo comunista affronta tutti i momenti della vita dell'assemblea.
Abbiamo ascoltato con molta attenzione tutti gli interventi, ed abbiamo fornito, per parte nostra, un contributo autonomo ed apprezzabile di chiarezza politica e programmatica; nonché indicazioni che possono arricchire e qualificare ulteriormente il programma.
Del resto, proprio perché noi, non scopriamo, oggi, la centralità delle assemblee elettive e del Consiglio, e comunque non la intendiamo come un semplice rituale da consumare a parole nelle grandi occasioni, sarà nostro costante impegno lavorare perché durante tutta questa legislatura, si realizzino in quest'aula, condizioni continue e reali di confronto e dialettica politica, consapevoli come siamo che il succo più autentico della democrazia rappresentativa sta nella capacità di alimentare il processo di formazione della volontà politica e delle decisioni, attraverso la chiarezza dei contributi di idee, di esigenze e proposte che i Gruppi politici sanno e possono offrire ed esprimere.
E' noto che l'Ufficio di Presidenza sta lavorando ad un progetto di potenziamento del Consiglio, allo scopo di definire meglio alcuni filoni di lavoro prioritario dell'assemblea e di predisporre strumenti e strutture idonei a concretizzare questo indirizzo che affermiamo, di centralità. E' necessario un potenziamento strutturale, ed anzi spero che se ne possa discutere nel merito, molto presto.
Vorrei, però, far presente che sarebbe miope e riduttivo pensare che la centralità del Consiglio si risolva nelle sole misure di potenziamento occoRre ben altro: intanto l'elemento fondamentale che è la comprensione anche teorica, del significato assunto, in questa situazione politica ed economica, in questi anni '80, dalle assemblee elettive.
Le funzioni che possono e debbono esercitare nei confronti della società. In realtà, proprio questo argomento, mi sembra utile, per richiamare una questione che è parte integrante della cultura politica del Partito Comunista, proprio perché all'inizio degli anni '60 questo tema della centralità delle assemblee elettive venne posto, in maniera particolarmente avanzata, da un nostro compagno, il compagno Ingrao, che poi ne ha continuato a trattare anche nelle vesti di Presidente della Camera. Io credo che oggi, intendendosi su questo ruolo possiamo offrire un contributo importante per capire come possiamo esercitare democraticamente, le funzioni che un atteggiamento di sfiducia da parte dei cittadini ed i fatti gravi di questi giorni, tendono a far sparire all'orizzonte.
Dobbiamo essere, nelle assemblee elettive ed anche in questo Consiglio capaci di costruire sintesi, di ricomporre politicamente e socialmente la realtà; capaci di essere punto di riferimento e di raccordo per una realtà sociale sempre più complessa, molto frantumata e potenzialmente incline ad un'esasperata separazione per settori, per materie, per interessi, come si dice spesso, una realtà sociale che si è corporativizzata.
Da questa concezione di capacità di sintesi, dobbiamo saper trarre anche delle conseguenze: quindi, individuare leggi con idonee caratteristiche; stabilire come svolgere le funzioni di programmazione, a partire dal Consiglio, e di coordinamento nei confronti degli Enti locali come interpretare con ricchezza ed inventiva il rapporto tra la Regione e la, comunità; come riuscire a porre correttamente in un confronto ampio, la questione dell'informazione, che è primaria, addirittura centrale oggi come, soprattutto, attivarci per realizzare e ricevere un contributo reale dalla società civile; come ci interroghiamo, anche, sulla stessa funzione dei Consiglieri.
Sono tutti temi di grande rilevanza politica che ho voluto anticipare ma anche sottolineare, collega Paganelli , perché credo che un dibattito che in qualche misura recuperi questi elementi teorici di concezione dello Stato, sia necessario e preliminare nel momento in cui andiamo a definire meglio e più concretamente questa funzione del Consiglio.
Ho ritenuto di introdurre, nella mia dichiarazione di voto, queste considerazioni su un tema che è solo apparentemente marginale, della centralità e del ruolo di questo Consiglio, perché mi sembra evidente dalle affermazioni espresse, la volontà del nostro Gruppo e della maggioranza di porre in campo molto aperto, nel vivo di un confronto non elusivo, non ammortizzato, la questione delle scelte di governo per la terza legislatura. Confronto che inizia oggi in occasione della discussione del programma, ma d'ora in poi, in tutti i momenti legislativi e non, di amministrazione, durante i quali si passerà alla concreta elaborazione ed all'attuazione delle enunciazioni programmatiche.
Questa volontà, questo criterio di metodo, questo modo di interpretare nella realtà un termine spesso abusato del confronto, credo che siano caratteristica, per parte nostra, da vivificare e da rendere permanente. Mi sia permesso sottolineare che possiamo assumere anche questo impegno in modo non rituale, perché siamo consapevoli che questa maggioranza nasce come ha ricordato l'altro giorno Enrietti, e come precisava anche Revelli nel suo intervento - con le carte in regola; è frutto di un processo politico che ha le sue radici nella lunga esperienza unitaria, qui in Piemonte, dei rapporti tra P.C.I. e P.S.I.
Rapporti segnati profondamente dall'esperienza di governo della seconda legislatura, ma che risalgono a molto prima e che hanno le loro fondamenta nel mondo operaio e nel mondo del lavoro ed anche in cinque anni di sperimentazione e di lavoro comune in importanti Enti locali con il P.S.D.I.; sperimentazione che si è alimentata e definita in un confronto reale e serio in questi ultimi tempi, a partire da luglio, su un programma e su scelte di fondo per lo sviluppo della nostra Regione. C'è chi ha tentato di leggere il definirsi ed il concludersi di questo processo come un'operazione di potere. Io credo che questo sia in qualche misura da stigmatizzare, come un vecchio tarlo che annebbia la vista di chi ha sempre concepito la politica in queste dimensioni, di chi non comprende, non tenta di cogliere il senso profondo di un processo certo vario, forse non lineare, con ampi margini di contraddizione, però di unità della sinistra e della stessa centralità socialista (in questo senso io ho interpretato quello che l'altro giorno, con molta chiarezza, diceva il Presidente Enrietti); di chi stenta anche a trarre le necessarie conclusioni sulle proprie difficoltà ad essere autore di una proposta credibile ed aggregante, di governo in Piemonte. Mi rivolgo naturalmente alla D.C.: devo dire che anche da questa parte sono venuti spunti interessanti; ricordo un articolo su l' "Avvenire", in cui appunto, un esponente che credo di aver riconosciuto della D.C., si interrogava sul perché in questo momento il partito non riuscisse ad esprimere una capacità di aggregazione e di riferimento. Punto, questo, ripreso, e me ne compiaccio, dal collega Paganelli e che dovrebbe, in qualche misura, far ripensare a certe considerazioni sul Partito Socialdemocratico. Io credo che ci sia soprattutto sotto questo profilo, da chiedersi se questa lettura non abbia impedito, tutto sommato, alla D.C. di fare una riflessione sugli atteggiamenti, sui comportamenti tenuti nei confronti dei partiti cosiddetti laici minori.
In realtà, a me sembra che questi tipi di lettura, prima che ingiusti e distorti siano del tutto inadeguati a cogliere il senso profondo, il perch reale di questa nuova maggioranza. Partendo da punti diversi, seguendo percorsi propri ed autonomi, i partiti della sinistra, che hanno stabilito di lavorare insieme, sulla base di una meditata convergenza programmatica hanno avuto fin dall'inizio la percezione di un dato in qualche modo non aggirabile né eludibile; cioè, le caratteristiche e la portata della crisi nei suoi aspetti più generali, internazionali e nazionali, e nelle sue manifestazioni specifiche ed anche nuove in questa parte del Paese. Insieme alla percezione di questo dato centrale, la consapevolezza di dare una risposta adeguata, di prospettiva, coniugando innovazioni, continuità consolidamento dell'esperienza avviata nei primi cinque anni e gli indispensabili aggiornamenti e revisioni che il manifestarsi nuovo della crisi imponeva. Se vogliamo dirlo in termini più netti, alla base di questa maggioranza stanno, nelle forme e nei modi autonomi propri di ogni partito e del loro retroterra e patrimonio ideale e culturale, la fiducia e la volontà di una risposta di progresso e di trasformazione agli effetti squassanti della crisi.
Non credo sia stata solo una coloritura giornalistica il termine "sfida alla crisi" che ha accompagnato la presentazione del programma sulla "Stampa", credo invece che sia stato colto in qualche misura il significato dell'intenzione, dell'elemento soggettivo che ha animato e fatto coagulare il lavoro comune.
L'intervento di Revelli si rifugia molto sull'analisi della crisi e ha sottolineato anche un dato molto importante che è connesso al ragionamento che facevo, il carattere non astratto della proposta di governabilità che scaturisce da questa Giunta. Non ripeterò, qui, quelle giuste considerazioni. Mi preme sottolineare l'intreccio esistente tra governabilità e trasformazione. Si è parlato molto del neoliberismo, è una corrente di pensiero, è un riferimento politico che negli ultimi anni è venuto spesso alla ribalta. E credo che una riflessione seria su come oggi tenti di passare nel nostro Paese, in Europa e anche nel mondo una corrente che si richiama ai principi neoliberisti. Riflessione da farsi, senza riserve mentali, con molto coraggio, anche autocritico, da parte di tutti.
A noi sembra di poter rilevare e lo si afferma nel programma, per quanto riguarda il Piemonte, che esistono le possibilità per recitare, fino in fondo, la nostra parte di progresso e di trasformazione.
Si sono avviati massicci processi di ristrutturazione in Europa; è in atto un processo nuovo di divisione internazionale del lavoro e di tentativo di collegare in maniera subordinata alcuni Paesi come l'Italia c'è dentro tutto questo la speranza da parte di questi gruppi di riprendere margini per lo sviluppo; ma io credo che a questa risposta, non priva di abilità finanziaria, sociale e politica, dobbiamo ricordare che si accompagna una rinuncia deliberata al processo di riconversione produttiva e, se andiamo fuori dell'economia, ad un dialogo con i bisogni e le forze emerse nelle lotte degli ultimi anni, una rinuncia anche alla ricerca di nuovi interlocutori nel travaglio del Terzo e del Quarto Mondo e anche una rinuncia a definire per l'Europa un ruolo autonomo di fronte alla caduta di un'ipotesi bipolare.
Credo che la risposta neoliberista non riesca a consentire e garantire stabilità, soprattutto nel nostro Paese perché si fonda su degli elementi che sono più caratterizzanti, l'accelerazione della corporativizzazione della separazione, della segmentazione, tanto rischiosa e costosa in un Paese in cui la struttura produttiva è fragile tanto da mettere l'Italia quasi in condizione dipendente da altri.
Il ruolo di "ultimi tra i primi" sostenuto dal collega Bastianini (a lui sta bene!) credo ci porti ad una rinuncia, anche pesante, di prospettive di collocamento. Credo non sia, possibile essere, non dico dignitosamente, ma con successo, ultimi tra i primi, anche perché il Piemonte è fortemente legato al complesso del Paese e soprattutto alla grande questione del sud e del Mezzogiorno.
E' importante l'ipotesi del rapporto Europa - Mezzogiorno, con le precisazioni che dava oggi l'Assessore Rivalta; e credo faccia perno su una grande intuizione: se le vie meccanicistiche di un meridionalismo che anche noi abbiamo seguito, sono in qualche misura non vincenti, hanno dimostrato i loro grandi limiti; quindi è necessario, proprio per modernizzare profondamente il Paese, che questa proposta abbia una sua validità e che il Piemonte assuma un ruolo grande, originale, in grado di assicurarci anche un'inserzione a pieno diritto nello sviluppo europeo.
Ho ricordato questo elemento perché ci può servire per giudicare il programma, nell'autenticità delle sue proposte, soprattutto per quello che vuol affermare e per gli impegni che, in qualche misura, fa assumere alla Regione e agli altri soggetti, raccordati su grandi linee di sviluppo.
Credo che la funzione di comando e di governo della Regione debba essere la massima possibile, anzi l'aver scelto fin da cinque anni fa con coraggio e pazienza, in modi forse oscuri, la strada della programmazione democratica attraverso la partecipazione dei soggetti sociali e istituzionali. Questa scelta ci consente, oggi, di rilevare condizioni nuove e più favorevoli per determinare politiche la cui forza sia la prospettiva ed un comando garantito dal consenso e dall'intesa.
Sarà una condizione accettata da tutti i soggetti sociali? Credo che i programmi vadano elaborati con l'obiettivo di raccogliere consenso discussione, dibattito ed intenzioni presenti nella società, ma anche stabilendo forme, livelli di discussione sui fini e sugli orientamenti.
In questo senso il binomio governabilità e trasformazione vengono non invano richiamati dal programma, anzi possono essere obiettivi per cambiare.
Credo che uno dei temi di fondo per rendere concreto un processo di trasformazione sia e resti quello emerso anche in questi giorni: il rapporto tra cittadini ed istituzioni.
Necessita coraggio e intelligenza; comprensione ed umiltà; voglia di ascoltare i segnali provenienti dalla società piemontese, per capire come si possa ridefinire questi rapporti; la prima grande questione è quella morale, ripresa in tutti gli interventi e non posso che compiacermene a nome di un partito che da sempre della questione morale e dei comportamenti di assoluto e completo rigore morale ha fatto uno dei suoi temi di identità.
Credo che per riuscire a stabilire, ai giusti livelli, quel confronto riconoscibile, trasparente di un'assemblea e di un potere istituzionale non più di palazzo, sia necessario un chiaro passo avanti sull'argomento: un passo che va compiuto con convinzione e con la consapevolezza e la volontà di farlo fino in fondo.
Sulla questione morale dobbiamo avere molta attenzione anche per comprendere nella sua completezza cosa ne scaturisce. Abbiamo accusato un sistema di potere che è stato emblematizzato dalla D.C., straordinaria macchina che è riuscita ad adattare questo partito alle mutevoli esigenze della società; ma nello stesso tempo è da analizzare il sistema con cui questo partito si è fatto Stato e spesso ha confuso i ruoli, che debbono essere rigorosamente distinti, tra partito e Stato.
Forse perché noi arriviamo da una storia di discriminazioni, forse perché i milioni di lavoratori e la loro storia che nei decenni il nostro partito ha rappresentato, forse proprio per questo noi comunisti abbiamo avuto sempre molta attenzione, alla distinzione, alla chiarezza, all'essere a posto. In qualche misura questo criterio, che era psicologico prima ancora che politico, deve diventare il criterio per riuscire a vedere dentro al palazzo del potere, a vedere come un certo potere, certi accavallamenti abbiamo determinato un sistema in cui omertà ed impunità sono diventati regola.
Ho colto volentieri l'impegno che Paganelli esprimeva, però su questo terreno dobbiamo misurarci davvero, a cominciare dalle questioni piemontesi e capire che non si tratta solo della presenta - anche se decisiva - di persone oneste, ma è necessario stabilire come e se riusciamo, attraverso una dignità ed un ruolo concreto, a dare un colpo definitivo al sistema di potere.
Il risanamento, battaglia che abbiamo iniziato cinque anni fa, è stato uno sforzo costante per ridefinire le regole del gioco, un metodo di governo che ha avuto dalla precedente Giunta grandi salti di qualità in avanti. Trasparenza e laicità, il metodo scelto in tanti campi; siamo non solo disponibili ma chiediamo a tutte le forze politiche lo stimolo e il pungolo per stare alle regole stabilite; si è decisa la programmazione definito l'intervento negli stanziamenti pubblici da parte della periferia ed associato Comuni e soggetti istituzionali a queste decisioni così come abbiamo dato dignità nuova alle piccole realtà della Regione.
Abbiamo cercato di fare un passo che si è sentito, che è stato avvertito dalla gente e dagli amministratori. Dobbiamo farne altri ancora e doveroso sarà interrogarci continuamente se questo non sia il modo prioritario su cui ricostituire quel tessuto di fiducia e di raccordo con le popolazioni. Non c'è tanto bisogno di fare retorica della morale, c'è bisogno di pratica quotidiana, paziente, anche oscura nei comportamenti. Le basi stesse della democrazia rischiano di essere corrotte, di perdere forza, di non avere messaggi credibili all'esterno, di non possedere più la capacità di organizzare forze, energie e intelligenze attorno agli obiettivi di trasformazione.
I giovani, i problemi di distacco dalla politica. Ci sono elementi di recupero del privato che dipendono anche dalle nuove condizioni della produzione, dall'essere nuovi soggetti entrati nella storia con definizioni di ruoli diversi dal passato.
Qual è la strada per poterli recuperare? Credo quella di una politica che si dispiega come capacità di organizzare grandi prospettive, grandi fini ed anche speranze. E' importante essere capaci traduttori di pratiche amministrative, di leggi di interventi, di finanziamenti, ma dobbiamo sapere collocare tutto questo nel complesso di un'azione a lungo respiro che faccia riconoscere alla gente la voglia di battersi e la voglia di stare dentro alla dialettica politica, anche in maniera più dura. Ma, la conflittualità diventa paralisi quando è fatta da parti, quando è fatta da bande, quando è fatta da pezzi separati, ognuno per gestirsi non la propria libertà, ma il proprio arbitrio.
Può diventare invece elemento trainante, trasformatore, quando verte sui fini, sulle grandi questioni. Questo dibattito è stato serio ed utile proprio perché, in qualche misura, ci ha costretti a riverificare impostazioni culturali e ideali e ha messo a confronto, attraverso le varie posizioni, la forza delle idee e la volontà delle prospettive.
Mi avvio rapidamente alla chiusura con alcune considerazioni di tipo politico, anche in risposta a chi ha parlato prima di me. Credo che ogni partito abbia sempre, nel pieno rispetto delle proprie e delle altrui scelte, cercato un'analisi, un giudizio sugli altri partiti. Lo hanno fatto tutti; è stato fatto, in alcuni casi, secondo me in maniera anche ingiusta non cogliendo il senso dei processi e degli avvenimenti in campo. Il nostro partito ritengo possa dire, da parte sua, che sia stato un fatto di grande importanza esserci - come abbiamo fatto per lungo tempo - interrogati a fondo sulle scelte della D.C., sulla sua natura; lo abbiamo fatto in questi anni non tanto animati da spirito di contrapposizione, ma dalla necessità di capire e cogliere il ruolo di un partito che è al centro della vita politica e dello Stato italiano da oltre un ventennio.
Questa analisi si è sempre avviata dal ruolo politico di questo partito, ma anche dalla sua presenza sociale, per capire cosa essa rappresentasse e rappresenti in una società così articolata come quella piemontese, con caratteristiche, al tempo stesso, così proprie e peculiari ed insieme uno specchio attendibile del complesso travaglio della vita italiana.
Noi non abbiamo mai considerato la D.C. esclusivamente rappresentante ed espressione partitica del movimento politico dei cattolici italiani, n peraltro, l'abbiamo vista esclusivamente come partito di governo di uno Stato borghese. Anzi, voi ricordate a questo proposito quali e quante polemiche con i nostri critici, da sinistra si siano scatenate su questo argomento. Sull'intreccio di questi due momenti si era già fondata la solidarietà ed il blocco molto ampio di forze che De Gasperi era riuscito a raccogliere attorno alla D.C.
Un'operazione complessa, quella, che si inseriva nel quadro di un processo di trasformazione dell'Italia, in una società a capitalismo maturo e nell'ambito di determinati rapporti internazionali.
Successivamente questa operazione è stata rinnovata anche in forme originali da Moro, quando diede l'avvio alla politica del centro-sinistra (giustamente ricordata dal Presidente Enrietti) e su queste basi si è assicurata una lunga prospettiva di egemonia alla D.C.
Ma, oggi, fatta questa analisi, ricordato l'approccio da cui siamo partiti nel leggere con attenzione la realtà di questo partito, noi chiediamo: regge ancora questo quadro all'inizio degli anni '80 Senza dubbio, la natura della D.C. è fortemente permeata da questo complesso di eredità storica, ma molte cose sono successe e cambiate in questi anni.
Molto meno di un tempo, oggi, credo sia possibile identificare nella D.C.
il movimento cattolico.
Certo, il moderatismo cattolico, con l'insieme delle sue organizzazioni, rimane un'importante base di massa della D.C., ma il pluralismo, in dipendenza delle scelte politiche, è ormai un fatto reale anche per il cattolicesimo italiano; per molti cattolici esso si esprime nel complesso delle forze di sinistra in un rapporto nuovo con le istituzioni e nelle istituzioni.
Il quadro - collega Devecchi - è molto più articolato di quanto non dicesse il suo intervento su terreni quali la formazione professionale, il tempo libero, la cultura. Non si tratta soltanto di lasciare, con il contributo dello Stato, che i gruppi sociali si combattano liberamente nella società, o di concedere potere a questi gruppi in funzione della gestione da parte loro di un pezzo di Stato.
La questione è molto più importante, molto più di libertà: si tratta di affrontare il tema del pluralismo cogliendo il nuovo, ciò che la società rivendica, i rapporti nuovi che vanno instaurati tra cittadini e Stato, tra istituzioni e società civile, prendendo atto che molto più difficile è oggi per la D.C. comporre assieme, attraverso l'azione di governo ed i diversi strumenti dell'intervento pubblico, gli interessi di forte sociali diverse.
E' in questa difficoltà che io vedo una parte delle critiche, anche giuste, dal suo punto di vista, svolte dal Consigliere Lombardi. Infatti si pone oggi per la Coldiretti, e per tutte le organizzazioni professionali in genere, l'esigenza di governare cose diverse da quelle controllate sino ad oggi e quindi c'è, di fatto, un rimescolamento delle carte dovuto a certe riforme nei vecchi equilibri di potere. Pensiamo, per l'agricoltura cosa significa, ad esempio, la riforma sanitaria, proprio per il ruolo della Coldiretti; e non lo dico in senso negativo, ma per riconoscere che in molte delle critiche di Lombardi e nell'attitudine generale della D.C.
vi è una constatazione di vuoto di potere e ciò diventa tanto più evidente laddove si presentano problemi - quelli proprio che evocava per esempio il Consigliere Picco - connessi non solo all'urbanistica, ma al come si devono governare oggi le moderne aree metropolitane, le grandi città con le loro immense periferie ed il rapporto tra queste aree. E' qui, a nostro avviso che la D.C. appare maggiormente in difficoltà e questo crea ulteriori interrogativi sull'efficacia delle sue scelte politiche oggi.
La realtà politica, gli avvenimenti di questi mesi ci hanno detto che i settori della D.C. appaiono i più convinti a rilanciare l'egemonia del loro partito, sull'onda di quella ventata neoliberista che percorrerebbe l'Europa e l'Italia. Ma questo progetto si scontra con il fatto che proprio nelle zone periferiche in cui è più rigogliosa l'attività produttiva privata (quel modello padano di cui parlava Revelli) più forte è la polemica contro l'attuale sistema di potere dello Stato e questi sono i punti in cui la D.C. perde terreno.
Il suo elettorato resiste proprio là dove continuano ad avere maggiore efficacia gli strumenti tradizionali dell'intervento pubblico, di carattere più o meno assistenziale. Non è dunque facile per la D.C. Cavalcare la carta del liberismo e dei miti neoprivatistici. Quando parliamo di Europa scontiamo tutti, in questo Paese, il fatto che alla D.C. non è mai stato necessario avere una sua autonoma visione del ruolo del nostro Paese, paga della contrapposizione con i comunisti, come questione che legittimava già di per sé il suo essere europea.
Ma oggi il problema dell'Europa si pone in modo nuovo e di prospettiva e quando la sinistra nel suo complesso trova momenti di accesa dialettica ma su contenuti che tendono a farle superare i punti di lacerazione più gravi e le questioni ideologiche più desuete sullo sviluppo dell'Europa e sul suo ruolo nel mondo, allora la D.C. accentua i suoi caratteri di partito moderato nell'ambito dell'occidente europeo.
Se sulla linea dell'arroccamento conservatore la D.C., come indicato dalla maggioranza al suo ultimo congresso, vuole proseguire, allora noi riteniamo che sarà sempre più in crisi, pur con tutte le legittime affermazioni (che ho sentito qui da Paganelli) sull'orgoglio, sulla storia sul patrimonio, e sarà sempre più difficile essere qui in Piemonte, un polo centrale della vita regionale ed italiana.
Questa centralità D.C., che tanto si irrita quando si parla di altre centralità (centralità dell'area socialista o, più in generale, della sinistra) viene meno proprio con il tentativo che Moro aveva fatto prevedendo la terza fase e lavorando per essa. E' nostra opinione che non si esca dalla crisi con una soluzione democratico - moderata; per questo ci pare costruttivo e suscettibile di sviluppo il confronto a sinistra, la ricerca di unità a sinistra per un'unità più ampia sui grandi problemi del Paese.
Questo è tanto più vero in una regione come il Piemonte per il suo ruolo, per i suoi rapporti con l'Europa e per la funzione che ad essa spetta verso tutto il Paese e, in primo luogo, verso il Mezzogiorno. Questa maggioranza - caro Genovese - non è più chiusa, è più precisa ed i partiti che la compongono traggono forza unitaria dal confronto dialettico che consapevolmente mantengono nella società, dal confronto culturale a cui non rinunciano, ma che, anzi, è un presupposto ineliminabile per un cammino più spedito di una rinnovata unità.
Ma, anche per questo (e noi lo diciamo con molta franchezza) non ci è mai possibile, in nessun momento, dimenticare il patrimonio di cui è portatrice tanta parte del mondo democristiano: vi sono in esso forze uomini, energie, tensioni morali e culturali, il cui contributo è essenziale perché una proposta di miglioramento possa essere adeguata ai problemi che oggi abbiamo di fronte. Di qui il fatto che la parola sinistra non perde il suo valore e la sua funzione, ma indica invece, come possa raccogliersi uno schieramento riformatore sufficientemente vasto ed articolato per affermarsi come protagonista di una politica che garantisca governabilità perché vi è trasformazione e non la conservazione dei vecchi sistemi di poteri gestiti da altri che non sono la D.C. E' anche in questo senso che va rimeditata con maggiore attenzione la proposta della nostra Direzione.
E' un momento molto grave della vita del Paese; credo che non cogliere quello che viene dall'opinione pubblica, dal Paese, sia un errore fondamentale, E' questo uno dei momenti in cui occorre uno scatto di intelligenza e di coraggio; noi poniamo questa questione alla D.C. nel momento in cui la vediamo, a livello nazionale, alla prova con fatti dolorosi e gravi, persistere di inerzie ed in lentezze: deve capire che questo scatto va fatto. In questo momento la nostra proposta; si qualifica costituzionalmente, legittimamente, come un'alternativa democratica. Noi vorremmo che questo fosse inteso in un processo dinamico, innanzitutto dalla stessa D.C. come modo per rimettersi in moto, ma questo vuol dire separarsi, giudicare aspramente non solo gli uomini, collega Paganelli, ma anche il passato, anche un metodo.
Certo, recuperando i valori, ma sapendo che lo Stato in cui per un complesso di fattori, per quel sistema di potere promosso e tollerato per troppo tempo rischia di portare alla degenerazione le istituzioni, rischia di far davvero cadere, ma non con una prospettiva più avanzata, questa prima Repubblica. Allora, io credo che questo compito storico debba essere presente a tutte le forze politiche.
Il P.L.I., attraverso un intervento molto abile del Capogruppo Bastianini, ha parlato di una proposta di esemplarità: io credo che questa sfida noi abbiamo tutta l'intenzione di raccoglierla, anche perch crediamo, senza assoluta iattanza, ma con realismo, di avere contribuito già nella seconda legislatura, a costruire nuovi pezzi di questa esemplarità.
Crediamo che il cammino da fare sia lungo; è un cammino che certamente deve vedere associate ad un'unanime, identica volontà su questi obiettivi tutte le forze politiche. Noi, ripeto, questa proposta di esemplarità sul piano del rigore morale, dell'efficienza amministrativa della limpidezza dei rapporti delle forze politiche, la raccogliamo fino in fondo.
Anzi, ci pare in qualche misura, che rispondere oggi a quelle che sono le grandi questioni aperte nel Paese; rispondere alla questione del terremoto, a quelle immagini che abbiamo visto e che hanno diviso ognuno di noi dentro, nella comprensione di un mondo - lo dicevi giustamente tu collega Vetrino Nicola - che molti hanno riscoperto solamente in questi giorni; rispondere a quegli stimoli anche morali che ci vengono dall'immane tragedia, voglia dire fare anche uno sforzo in più, tutti assieme, per cercare con intelligenza, con onestà, con coraggio, di essere esemplari. Io voglio dire, però, a questo proposito, che l'esemplarità la dobbiamo costruire avendo presente, collega Bastianini, qual è là complessità del nostro mondo, e non possiamo far discendere da un obiettivo giusto di questo tipo, invece, alcuni ragionamenti che tu hai fatto e che io non condivido.
Non credo, in altre parole, che ci possa essere in un momento così grave per la vita del Paese un'esemplarità che prescinda da una considerazione politica del P.C.I. diversa da quella che ancora tu hai avuto.
Io credo che mettere in campo tutte le energie e tutte le forze traguardarle rigorosamente a questa grande questione preliminare che è il risanamento morale del Paese, sia la condizione vera per riuscire non solo a fare noi alcuni sforzi soggettivi, ma indurre nella società, nelle grandi masse, la volontà di riprendere un cammino di lotte per una prospettiva di cambiamento a cui il nostro partito, i partiti della sinistra hanno dato tanta parte del loro lavoro in questi anni ed a cui, in un confronto serio e corretto con tutte le altre parti sociali vogliono continuare a dare.
Il nostro impegno per la terza legislatura è di questo tipo: di rigore di lavoro perché questa esemplarità si realizzi. La nostra parte la faremo e vogliamo misurarci in campo aperto con tutti gli altri.



PRESIDENTE

Il dibattito sul programma della Giunta è concluso.
Il Consigliere Montefalchesi ha chiesto la parola. Ne ha facoltà.



MONTEFALCHESI Corrado

Al voto che tra poco formuleremo il nostro Gruppo darà un voto di collocazione politica nostra, rispetto a questa maggioranza organica: il nostro voto è favorevole.



PRESIDENTE

Vi do lettura dell'ordine del giorno presentato dai Consiglieri Viglione, Mignone e Ferro: "Il Consiglio regionale del Piemonte dopo un ampio ed articolato dibattito, sviluppatosi nel corso delle sedute 26-27 novembre e 1° dicembre approva il programma presentato dalla Giunta regionale e passa all'ordine del giorno".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato con il seguente esito: presenti e votanti 56 favorevoli 32 Consiglieri contrari 23 Consiglieri astenuto 1 Consigliere


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Dimissioni Assessore Alasia e relativa surrogazione


PRESIDENTE

Ho ricevuto dal Presidente della Giunta la comunicazione delle dimissioni rassegnate dall'Assessore Giovanni Alasia e della proposta di designazione del Consigliere Cerutti.
Prima di procedere alle formalità regolamentari, mi unisco agli elogi rivolti all'amico Alasia, per ricordare come fra Alasia e il sottoscritto ci siano almeno 25 anni di vita politica ma soprattutto di buona amicizia.
In questo momento mi preme risaltare la sua onestà, il suo modo di lavorare che possono essere esempio per tutti noi.
Per alzata di mano, quindi, possiamo votare la presa d'atto delle dimissioni del Consigliere Alasia.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 56 favorevoli 32 Consiglieri astenuti 24 Consiglieri Ai sensi del secondo comma dell'art. 35 dello Statuto pongo in votazione, per appello nominale, l'approvazione della sostituzione dell'Assessore Alasia con il Consigliere Cerutti che deve avvenire con le modalità previste per l'elezione della Giunta e Cioè con la maggioranza semplice.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 56 hanno risposto SI 32 Consiglieri hanno risposto NO 23 Consiglieri si è astenuto 1 Consigliere Poiché si è raggiunta la prescritta maggioranza, proclamo eletto Assessore il Consigliere Giuseppe Cerutti in sostituzione del Consigliere Giovanni Alasia.
La presente deliberazione è dichiarata immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 49 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 e sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte ai sensi dell'art. 65 dello Statuto.
Il Consiglio sarà convocato per il 10 dicembre 1980.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 20,50)



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