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Dettaglio seduta n.268 del 18/09/84 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Proseguimento esame progetti di legge nn. 91, 125, 185, 192, 214, 244, 249 e 337: "Modifiche ed integrazioni alla L.R. 56/77 e successive modificazioni"


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI

La seduta è aperta.



PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Riprendiamo l'esame dei p.d.l. nn. 91, 125, 185, 192, 214,244, 249 e 337: "Modifiche ed integrazioni alla L.R. 56/77 e successive modificazioni", di cui al punto quarto dell'ordine del giorno.
Ha la parola il collega Reburdo..



REBURDO Giuseppe

Credo sia opportuno, da parte di chi ha avuto dubbi e perplessità e si è dichiarato dissenziente su alcune proposte di modifica alla L. 56 precisare alcune osservazioni e valutazioni. La consultazione si è svolta in modo atipico perché in fasi successive sono state presentate ulteriori proposte di modifica che venivano a stravolgere le basi sulle quali la consultazione si era sviluppata. Infatti c'è stata una reazione di grande significato politico da parte di organizzazioni naturalistiche e organizzazioni contadine le quali hanno riproposto questioni nodali.
Nessuna proposta legislativa deve rimanere indifferente rispetto all'evoluzione e ai cambiamenti che sollecita all'interno della società, ma deve modificarsi, riadattarsi alle nuove esigenze e ai nuovi problemi. Ma pur con questo tipo di esigenza si puntualizzava la necessità di mantenere fermo lo spirito centrale della legge 56 in particolare la difesa del territorio di fronte a compromissioni che possono diventare pericolose e definitiva mente stravolgenti di ampie aree della Regione, più di quanto era avvenuto negli anni '50 e '60 il cui sviluppo atipico ed abnorme ha portato a conseguenze che pesano dal punto di vista strutturale etnico sociale e morale della società piemontese con la concentrazione industriale in poche aree, con un attacco all'equilibrio territoriale e demografico.
Con il Consigliere collega Montefalchesi, abbiamo mantenuto un rapporto stretto con queste organizzazioni e con questi gruppi, non dal punto di vista tattico, o per accodamenti dell'ultima ora, ma come momento di convergenze reali, con 'strategie che vanno al di là del merito della questione della legge stessa per porre questioni di carattere politico che sono ben più fondate, ben più radicate nel merito. Questa posizione non si colloca nella difesa statica del territorio, bensì in una difesa attiva e dinamica del territorio. Ogni tipo di impatto ambientale va governato e non lasciato, per esempio, al silenzio-assenso, riteniamo che il ruolo della struttura pubblica e della Regione debba essere di un governo dinamico del territorio.
Questa nostra posizione ha fatto riaprire il confronto in modo costruttivo e finalizzato a miglioramenti sostanziali delle proposte.
L'ottica con cui ci siamo mossi non vuole tornare alla situazione precedente alla legge 56, è un'ottica che rifiuta, anzi condanna le storture del passato. D'altra parte è un'ottica che non vuole lasciare libero e ampio spazio agli speculatori privati, che cercano di sviluppare al massimo la rendita fondiaria. Si tratta anche di fare i conti con la mancanza di una legge sui suoli che, attraverso il controllo e la gestione pubblica, garantisca da ogni forma di speculazione e di rendita parassitaria. Credo che il nostro Paese sia uno dei più arretrati in Europa da questo punto di vista. E questo è sintomatico della volontà di considerare il suolo e la sua libera utilizzazione non come elemento di promozione e di sviluppo economico e sociale per il miglioramento della qualità della vita, ma come elemento caratterizzato dalla speculazione.
Dobbiamo anche fare i conti con ciò che sta avvenendo e ciò che è avvenuto in questi anni pur in presenza di una legge importante e progressista dal punto di vista politico.
E' inutile sottolineare le deturpazioni dei paesaggi montani o collinari, la sistematica e capillare distruzione del territorio agricolo.
Posso citare l'esempio del Comune emblematico di Casalgrasso dove è stata distrutta una delle più importanti aziende agricole del luogo perché i proprietari svolgono altra attività in campo industriale per cui hanno sistematicamente riempito il loro terreno di capannoni e di scatoloni che hanno distrutto una realtà agricola sulla quale c'era e c'è in corso un grosso lavoro. Questo problema è ancora presente così come deve essere ancora presente il problema dell'abbandono dei centri storici che abbiamo riscontrato in tanti piccoli e medi paesi dove continuavano a sviluppare nuove costruzioni. Il problema dell'inquinamento, dell'impatto ambientale degli insediamenti abitativi e di quelli produttivi ed industriali è un problema serio che tende ad aggravarsi con le proposte di modifica. Ha fatto bene il Presidente del Consiglio regionale ad inviare alle organizzazioni interessate le nuove proposte di modifica. E' necessario cogliere il segnale che continua a venire dalla società civile dove gruppi e organizzazioni continuano, sia pure in termini dialetticamente e fortemente critici, a ricercare il rapporto con le istituzioni per avere con esse un confronto serrato sulle proposte che via via si sviluppano.
Questo dimostra come la società piemontese abbia delle potenzialità, delle disponibilità assai significative.
L'iter delle pratiche urbanistiche è tutt'altro che lineare e ragionevolmente comprensibile. Esiste un problema di gestione della legge 56 che non è stato affrontato adeguatamente nemmeno dalle proposte di modifica. E' un problema di volontà politica ed è un problema di adeguamento delle strutture regionali ai nuovi bisogni, alle nuove esigenze, anche legislative. La realtà burocratica regionale è largamente inadeguata a rispondere alle norme di questa legge. Questo problema non pu essere affrontato con degli escamotages legislativi o istituzionali che preso atto della modificabilità della situazione, cerchino di superarla con la proposta del silenzio-assenso che in effetti ratifica una situazione. Le forze politiche in particolare quelle della maggioranza non possono accettare questa soluzione, quindi è importante che, sulla base di queste considerazioni in questi giorni siano venute delle nuove proposte. Il dibattito e le dichiarazioni di questi giorni fanno capire che attorno a questo problema c'è la volontà di dare una risposta alle sollecitazioni che sono venute da alcuni Consiglieri regionali e dalle organizzazioni che prima citavo. Comunque con queste proposte si deve garantire da un lato la certezza dei tempi di approvazione degli strumenti urbanistici e dall'altro il coordinamento e la programmazione del territorio regionale. Si tratta di compiere un atto di volontà politica da parte di questa Giunta e, d'altra parte, mi è parso di intravedere una certa disponibilità e apertura a riconsiderare le storture più evidenti delle proposte presentate. Se cosi è si potrà dare un segnale di cambiamento in positivo, diversamente è chiaro che ognuno di noi si assumerà le proprie responsabilità. Personalmente di fronte alla staticità delle proposte non potrò dare un segnale di disponibilità. Le leggi vanno adeguate ai processi in atto nella società.
E' importante che gli adattamenti, le revisioni della legge siano confacenti ai principi fondamentali che l'hanno guidata, che vanno salvaguardati esprimendo in modo esplicito da parte della maggioranza la volontà di andare avanti, di dare dei segnali positivi ai Comuni, alla società regionale e tenendo presente che modificazioni non sufficientemente precise possono suscitare nelle forze sociali, economiche e politiche scopi e intenti che non vanno nel senso giusto. Queste considerazioni mi fanno dire che se le cose non saranno modificate sarà difficile o addirittura impossibile da parte mia, dare un voto favorevole a queste proposte. Se invece le cose si evolveranno nel senso che mi pare di intuire, convergenze e sostegni potranno eventualmente venire.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Stiamo discutendo delle modifiche alla legge 56, ma in realtà siamo in una fase particolarmente delicata e difficile delle grandi questioni che attengono alle competenze regionali e comunali in materia di governo del territorio.
Qualcuno ha parlato di clima politico genericamente inteso, ma io parlerei anche di clima culturale e sociale. Se non cogliamo questo aspetto, questo dibattito rischia di essere sminuito. C'è il rischio di sviluppare le discussioni attraverso antinomie contrapposte e paralizzanti: una legge bella che altri giudicano brutta; modifiche per sconvolgerla e modifiche per migliorarla.
Queste antinomie non tengono conto della situazione reale.
Invito i Consiglieri e anche me stesso a considerare con la dovuta ampiezza la scala dei problemi, delle competenze e il punto a cui è arrivato il dibattito in materia urbanistica nel nostro Paese. Purtroppo non siamo in una fase, che pure c'è stata nella nostra storia sociale culturale e politica, di certezze o comunque in un momento costituente per proporre con grande lungimiranza e grande spazio verso il futuro azioni di governo complesse come quelle che richiamano i concetti di programmazione di uso e tutela del suolo.
Occorre partire dal riconoscimento, in modo spregiudicato e laico della ambiguità della materia e della relativa confusione per comprendere lo sforzo che dobbiamo fare nel discutere di queste questioni e nell'applicare le modifiche delle norme.
Ci vuole un grande atto di umiltà morale e intellettuale, atto che va misurato attraverso la lettura di questi anni e il significato della legge 56. Turbiglio ha dipinto con un'espressione di fondo la situazione ante 1977, ma in realtà non era neanche così, anch'io voglio riportarmi all'approvazione della legge 56. Noi definiamo una legge, che è anche una legge nostra, come grande atto di governo, legato alla concezione di quello che in quel momento si doveva fare per riformare profondamente, invertire la tendenza, intervenire con atti di governo rispetto a una situazione da tutti riconosciuta come non tollerabile e cause di gravi e irreparabili danni.
Era una legge di alto significato, è stato un lavoro di grande livello.
Vorrei ricordare la grande introduzione che nel 1977 caratterizzò la presentazione della legge, era la replica che fece Astengo che apparteneva non solo all'esperienza e alla vita di un uomo che su queste cose ha impegnato i suoi anni, il suo sapere, ma anche era lo sforzo della maggioranza di dare un segno di governo, di riforma, di inversione di tendenza costruendo su questa legge elementi progressivi e di reale possibilità di intervento innovatore nel settore.
Questo obiettivo, questo compito, questa volontà e questa rado di fondo non possono e non devono essere sconfessate.
Fin dagli anni 1979 e 1980 il Gruppo P.C.I. in una discussione interna ha valutato con sano senso empirico i problemi che derivavano dalla legge abbiamo ritenuto che si dovesse assolutamente salvare il significato di questo atto di governo, di svilupparne tutti gli aspetti potenziali positivi in atto, sapendo che forza maggiore avrebbe avuto la maggioranza se avesse saputo su quell'impalcatura far tesoro di limiti che l'esperienza rivelava per riuscire a rendere la legge applicabile più che accettabile.
Quando parliamo dei risultati della legge urbanistica, dobbiamo mettere insieme i limiti, ma anche indubbi risultati.
Lamento la solita schizofrenia ovvero la pretesa di misurare i risultati nell'arco dell' anno di un tempo non idoneo alla produzione. Le grandi riforme significative, pensiamo al terreno istituzionale, pensiamo al governo del territorio, producono risultati in un tempo più lungo. E' difficile pensare che l' hic et nunc o un pragmatismo legato all'immediato possa produrre processi che devono essere messi in moto intanto da molti soggetti non solo da illuminate menti, non solo seri e corretti attuatori ma anche gli amministratori, i progettisti, i privati.
Questa legge, di cui ho sentito parlare bene fuori della Regione più che al suo interno, ha rappresentato questo tentativo che per molti versi è riuscito.
Perché allora le modifiche? Intanto le cose sono mutate, se non altro, perché è intervenuta la legge e gli effetti della crisi si son fatti sentire pesantemente. Vi sono poi alcuni aspetti specifici, si sono evidenziati non tanto i limiti della legge quanto della complessiva azione di governo. Non pensiamo che la legge di allora sia stata solo frutto della maggioranza perché i contributi e le adesioni di altre forze politiche ci furono. Come allora, anche oggi dobbiamo renderci conto del cambiamento della realtà e dello sforzo che dobbiamo fare per fare i conti su questioni che ci ritroviamo interamente sia che parliamo di legge urbanistica, sia che parliamo di Piano di sviluppo, sia che parliamo di governo democratico dell'economia.
Sono questioni di fondo di un particolare momento di crisi economica e di profonda crisi istituzionale. In questi anni abbiamo sentito molte cose alcune erano suggestioni di giornata, su altre abbiamo cercato di inserire ragionamenti tali da riuscire rispetto alla legge e agli atti di governo conseguenti a coniugare l'ispirazione di governo ad istituzioni credibili capaci di governare sia in termini di autorità che in termini di risposta ai problemi.
E abbiamo risentito non solo dei limiti della legge ma di paralizzanti antinomie fra centralismo regionale ed autonomie locali.
Una volta per tutte dobbiamo porre anche attraverso queste norme la questione in maniera diversa. Ci sono questioni che devono e possono essere definite solo su scala regionale, altre questioni invece possono e debbono essere affrontate su scala comunale. Per esempio quando si parla di governo e di assetto del territorio non dobbiamo pensare che tutti facciano le stesse o si scambino le stesse funzioni. E' venuto il momento di chiarire e di dividere le competenze. Questo è uno dei passi che la Regione deve compiere perché con quello che si sta preparando a Roma con la riforma delle autonomie come risulta dal testo dell'ordine del giorno votato dal Senato, c'e il rischio che se non affermiamo il livello dei poteri della Regione, una volta assunte le decisioni hanno vigore di legge, di piano, di delibera e le Regioni non sfuggiranno mai a quelli che sono da un lato pericolosi conflitti e dall'altro lentezze.
Ma questo vale anche al rovescio. Dobbiamo chiederci se non sia da rifiutare un'ipotesi gestionale della Regione e se non sia il caso di avere nel governo dei fenomeni un altro livello di competenza, di ruolo e di decisione che Lisci altri momenti di decisione al sistema delle autonomie per esempio, in merito all' esame dei piani regolatori.E' questione di tempi e di concezione corretta delle autonomie. Mi pare che la valutazione dell'impianto urbanistico e dei fatti che caratterizzano l'uso del territorio siano gli elementi di fondo scontando forse - e questa è una proposta che mi pare di dover fare - che sul piano della minuziosa prescrittività sia davvero la competenza locale a doversi cimentare.
Questa proposta non è esente da rischi me ne rendo conto perché a volte la proposta in sede locale può pregiudicare l'impianto. Dobbiamo per scegliere e non possiamo continuamente pensare a un rapporto gerarchico tradizionale. Dobbiamo invece pensare a una gerarchia di competenze e di ruoli e affermare concezioni moderne che rispondano a criteri di responsabilità, di certezza e di efficienza.
Le modifiche quindi sono anche la storia di queste intenzioni. Si è anche detto che si poteva pensare una legge diversa. Ad un'iniziativa del genere è legittimo pensare, certo però occorre che a monte ci siano i chiarimenti sui fini e sugli obiettivi. Abbiamo già uno strumento che abbiamo faticato per farlo e fatichiamo ancora per introdurvi delle modifiche e per chiarire alcuni punti. Lo stato delle cose in Italia da questo punto di vista è abbastanza sconfortante. I pareri sono molti ed è difficile trovare quel quid che riesca a far fare a una società che esprime certe maggioranze e certe assemblee dal Parlamento fino agli enti locali quel salto per ideare un nuovo progetto. Allora com'è possibile un'altra legge che io non rifiuto a priori, anzi, ne ritengo suggestivo lo stimolo per rifletterci, visto che non ci sono reali possibilità praticabili? Abbiamo scelto la strada delle modifiche sul piano della correzione degli errori, dell'efficienza di un maggiore snellimento. Sul piano politico questa non è un'esigenza che può essere ridotta ad un patto di maggioranza.
P.S.D.I. già nel 1980 aveva posto la questione del cambiamento della legge urbanistica e noi ed i colleghi socialisti abbiamo fatto quella riflessione che ho cercato di spiegare: quindi nessuna cambiale in bianco, caso mai, il punto è sulle questioni nodali, sullo sforzo che ogni forza politica ha compiuto per dar corpo e travasare una visione, una identità nelle modifiche.
La consideriamo un'operazione delicata quella di mettere mano ad una legge del genere, delicata per le concatenazioni, per la sua forma "conchiusa" e visto che le leggi regionali paiono dei regolamenti questa è una legge che ha invece una costruzione concatenata. Si è trattato di individuare alcuni punti fondamentali per dare delle soluzioni possibili.
Queste soluzioni sono migliorabili? Io credo di si, partendo però dalle esigenze che vuol dire: tradurre gli elementi di programmazione generale in possibilità di concreta attuazione, coordinamento e governo (PTO) stabilire un rapporto di certezza tra gli enti più che un rapporto legato al contingente.
La prima esigenza ha caratteristiche decisive nel dibattito culturale e politico per riuscire a salvare la programmazione a dimostrare che non è un'operazione cartacea ma un'operazione che produce volontà di governo e anche governo reale.
Le proposte hanno forse trovato formulazioni inadeguate, formulazioni che non sono riuscite a far capire il quadro entro cui comprendere le innovazioni.
C'è stato anche un eccessivo gioco politico, una schermaglia politica tra le parti.
Quando nelle discussioni di merito prevale questa parte o per i tempi o perché cosi si ritiene di far pesare di più quest'aspetto, lo scapito pesa sui contenuti, comunque su chi della legge deve usufruire.
Sul PTO solo alla fine e nella forma accesa dai razzi della polemica politica di ogni partito abbiamo avuto il conforto e l'aiuto dell'opposizione sulle esigenze per costruire strumenti capaci di attuare una pianificazione e una programmazione territoriale che non resti nel limbo delle buone intenzioni o delle indicazioni generiche.
Altro che piroette! Il nostro partito in questi anni ha fatto un grande sforzo, mi ricordo le nervate sulla schiena - si fa per dire - al nostro Gruppo dall'80 all'81 accusato di essere retrogrado perché attaccato a concezioni rigide e onnicomprensive della programmazione.
Anche quelle valutazioni erano frutto del gioco politico. Comunque abbiamo ritenuto di approfondire per capire come l'azione amministrativa con il massimo di democraticità e di trasparenza potesse dare delle giuste risposte.
Ho seguito con molta attenzione l'intervento di Picco e le sue annotazioni sulle quali occorre confrontarsi e sulle quali si può non essere d'accordo ma che comunque non si possono eludere. C'è la questione dei piani territoriali. Per alcuni la scorciatoia inventata dal Progetto Territoriale Operativo è dovuta al fatto che non si sono ancora approvati i piani territoriali, lo non sono d'accordo, perché comunque ritengo che vada mantenuta la distinzione tra il momento della pianificazione territoriale su grandi aree, quella regionale e quella locale.
Presenteremo un emendamento con cui riproponiamo il piano regionale non solo come assemblaggio dei piani comprensoriali, ma anche come strumento autonomo soprattutto se domani gli enti a elezione diretta avranno competenze di pianificazione. Gli schemi dei piani territoriali non sono ancora approdati al livello di piani e le cause sono da attribuire ad una prescrittività eccessiva ed ancora da limare rispetto alle accentuate dinamiche della realtà e al fatto che è venuto meno il disegno istituzionale, la riforma delle autonomie il che ha messo in crisi le articolazioni democratiche su cui si basava la programmazione della pianificazione.
La ventata neoliberistica del caso per caso, della gestione negoziale delle scelte è stato uno dei più grossi palloni di ferro come quelli che distruggono le case in demolizione contro la programmazione. C'è stata e c'è ancora la tendenza ad invocare la programmazione nel dibattito generale, ma poi guai a realizzarla. Non possiamo assolutamente prescindere dal quadro nazionale.
La normazione in materia di suoli, di case, di programmazione in genere è quanto di più schizoide o di necessitato dal contingente che si possa pensare.
Allora dobbiamo ricordare i colpi di piccone agli elementi fondanti della politica, che sono la convinzione, la coesione, l'accordo, dopo lo scontro anche la diversità delle idee, hanno dato grande difficoltà per terminare questo processo.
In altre parole si è dato un colpo alla possibilità di fare i piani territoriali nel momento in cui le scelte concrete, anziché passare attraverso i criteri di programmazione, passavano attraverso il caso per caso. La credibilità non è relativa a un solo atto, ma è relativa a tutto il comportamento.
Non escludo che qualche volta anche qui ci siamo fatti prendere, forse per giuste urgenze, dalla rincorsa al provvedimento e abbiamo dato un colpo di piccone al Piano di sviluppo, ai piani territoriali; questo lo dobbiamo riconoscere.
Qualche parola sulla strutturazione progettuale dell'apparato regionale e sulle difficoltà sul piano dei consulenti.
Io sono sempre stato molto critico verso le consulenze inutili e decisamente favorevole per quelle indispensabili. Ebbene, in questo caso abbiamo avuto intoppi seri. Mi auguro che il testo di legge sulle strutture riproponga una Regione capace di fare al suo interno queste cose. Capisco che per un periodo transitorio si avvalga in piena legittimità e autorità delle energie esterne, ma poi i piani si fanno se e'è un apparato che li sa fare, se c'è la capacità di progettare, di immaginare, di indicare tecnicamente.
Allora questo diventa il gioco del polverone e le responsabilità sono sempre della Giunta. Il PTO deve evitare i rischi che sono stati palesati da molti interventi.
Le motivazioni possono essere varie, ce n'è anche una politica, molto chiara, quella di chiudere il testo per venire in aula. Il nostro Gruppo aveva rivelato che alcune formulazioni dovevano essere riviste. C'è un rapporto con il sistema della democrazia amministrativa. Uno strumento nuovo non può nascere a scasso di tutto, il rapporto con gli atti generali con i piani territoriali deve essere forte, e tale che le garanzie di democrazia, di visibilità, di dibattito non vengano lese.
L'altra questione riguarda il rapporto con i privati. Credo che sia stato giusto lo sforzo per togliere il velo. La soggettività, la targa, la titolarità, il nome ognuno lo dica; non sia costretto a farlo portare avanti magari da una comoda maggioranza soggetta a repressioni. E' vero però che per quanto riguarda gli atti con rilevanza generale (nel PTO ci sono anche norme di attuazione e prescrizioni) è chiaro che il processo formativo non può che stare nelle mani pubbliche. Il rapporto con i Comuni.
Ho già detto che si deve fare piazza pulita delle antinomie che non portano avanti le cose, devo anche dire con franchezza che ci sono elementi che attengono alla legittimità ma soprattutto attengono a un rapporto che deve essere costruito più che attraverso le imposizioni, attraverso un processo che salvi la sostanza a cui abbiamo pensato quando si è fatta la norma quella fisiologica, Comune e Regione sono d'accordo a che si prenda una scorciatoia, vale a dire una volta fatto il PTO, che gli interventi siano immediatamente operativi e prevalenti sugli strumenti urbanistici. Se questo avviene, un atto di formale assenso da parte del Comune, la procedura abbreviata può essere l'elemento abilitante; nel caso in cui l'assenso non venga occorre ricorrere al sistema tradizionale, alla richiesta di adeguamento e caso mai all'intervento sostitutivo.
Rispondo al Consigliere Vetrino, senza per questo volermi sostituire alla Giunta. Un' idea su quali possano essere i PTO noi l'abbiamo. Intanto non debbono e non possono essere intesi nell'accezione di progetti manufattivi. Possono essere anche qualcosa di più complesso. Se parliamo di attuazione e di specificazione del piano territoriale, credo che possiamo recuperare quelle carenze di coordinamento e di governo per passare alla fase attuativa. Pensiamo agli interventi integrati intersettoriali.
Biazzi ricorda Domo 2, Sito. Pensiamo ai piani di recupero ambientale.
Penso alla tutela dei suoli agricoli. Dobbiamo sapere che questo nuovo strumento rappresenta una procedura, un modo per fare un passo. Va sperimentato e forse sarebbe utile non aspettare, approvata la legge, che arrivino proposte da chissà dove.
I primi PTO possono essere proposti dalla Regione, anche perché nelle modifiche che proponiamo, il Consiglio ha un ruolo molto importante nell'individuazione dei criteri.
Sull'approvazione del PRG dico pochissimo, il principio di certezza tra gli enti è importante. Sapete che l'orientamento della maggioranza è quello di introdurre questo principio con una sanzione, ma limitando gli effetti ai casi che già potrebbero essere compresi nell'art. 85 e che riguardano aree non di nuovo impianto, urbanizzate primariamente o secondariamente, in maniera che si possano attivare quegli interventi rilevanti per i piccoli Comuni, per le piccole realtà, senza pregiudicare il territorio.
Si parla di gestione e di organizzazione. Se non andiamo al centro delle questioni l'effetto è di accusare la Giunta: questo rientra nel gioco democratico, come è ovvio, ma deve rientrare nelle possibilità e nei limiti dell'esecutivo. Un progetto di gestione di materie complesse con l'intervento di più soggetti necessita assolutamente di una organizzazione all'insegna di chiare e nette responsabilità, di distinzioni dei ruoli.
Attualmente così non è. Abbiamo parlato di riforma del CUR. Vogliamo chiarezza di responsabilità e distinzione dei ruoli. C'è o non c'è un reale e fondamentale ruolo del personale, delle strutture? Gli uffici misurandosi sugli aspetti di compatibilità legislativa e sugli aspetti di compatibilità programmatica, danno un parere scritto che è il frutto dell'esame compiuto dai tecnici; solo in quel momento, al di là degli aspetti di formalizzazione, deve intervenire un parere di alto livello consultivo.
Mi pare difficile pensare ad organismi in cui votino funzionari rappresentanti dell'ANCI, dei partiti e l'Assessore: questo modello del nostro ordinamento va superato all'insegna della celerità e della chiarezza di responsabilità.
Vi è una fase istruttoria, una fase consultiva e una fase di amministrazione attiva. Poi ci sono tutti gli aspetti che ricordavano Astengo e Calsolaro.
Io pero vi invito a soffermarvi su un punto importante: sugli aspetti politici. Ho già detto che questa è una discussione viziata dall'eccessivo gioco politico, senza voler demonizzare questa definizione. Sono state illuminanti le frasi del Capogruppo della D e, quando simpaticamente invitava il Prof. Astengo a "darci dentro" o quando diceva "noi non siamo completamente d'accordo con la 56".
Sembra di trasecolare. A me sembrava che la D.C. fosse molto contraria alla 56. E' un lapsus, indicativo però del fatto che la schermaglia politica rischia di prevalere su altri elementi. Siamo consapevoli che su questa materia ci sono opinioni diversificate. Noi stessi al nostro interno le abbiamo. Tuttavia abbiamo cercato di compiere un'azione che risponda alle esigenze reali e sia in grado di guidare, di governare questo processo nel migliore dei modi. Abbiamo incontrato le associazioni, abbiamo esposto le ragioni delle modifiche che proponiamo. Il modo migliore di affrontare le questioni è di parlare con la gente. Anche quegli aspetti di contestazione che parevano clamorosi e qualche strumentalizzazione non dico che siano rientrati, ma hanno avuto una giusta collocazione e hanno riconosciuto a noi la dignità di voler continuare in un'ispirazione di fondo di innovazione, mentre da parte nostra c'è l'umiltà di riconoscere che qualche ripensamento era opportuno.
Una considerazione finale che attiene alla schermaglia politica. Forse qualcuno dell'opposizione ha ritenuto noi deboli ed obbligati a pagare cambiali in bianco. Abbiamo già detto prima che era un'azione autonoma di revisione che si è confrontata legittimamente con le forze dell'opposizione. Il riconoscimento dei problemi, dei limiti, delle opzioni, delle idee e dei contenuti politici delle modifiche mette al riparo la nostra forza politica dagli errori, dall'apertura degli emendamenti migliorativi che vengono anche da altre forze politiche.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Genovese.



GENOVESE Piero Arturo

Signor Presidente, colleghi, chiedo scusa a nome del Gruppo se non sar breve nel dare il nostro contributo al dibattito generale. Mi sono annotato alcune osservazioni e desidero ribadire la posizione e la collocazione del nostro Gruppo non solo rispetto al testo licenziato dalla Commissione ed agli emendamenti presentati, ma anche rispetto ai problemi generali inerenti la legge sulla tutela e l'uso del suolo. Per capire che cosa è successo all'interno della commissione e quanto sta succedendo oggi rispetto al clima del 1977 bisogna riferirsi ad una osservazione del collega Professor Astengo; la caduta di tensione di questi anni, le vicende di questa e di altre Regioni, unitamente alle vicende "esterne" della nostra società e delle istituzioni, hanno creato condizioni profondamente diverse da quelle del 1977. Tutti siamo stati toccati da questa caduta di tensione e lo dimostra il lavoro nelle Commissioni ed in questa assemblea.
Quindi, anche i Gruppi di opposizione hanno delle responsabilità, ma credo che queste non siano tanto da ricercare nel pur legittimo gioco delle parti politiche, quanto piuttosto nella tendenza generale ad affrontare per parti e in modo pragmatico i problemi della realtà.
Voglio cioè dire che il particolarismo esistente all'interno della società, e che non sempre è deteriore rispondendo ad interessi legittimi e reali, in qualche misura ha attraversato e condizionato l'Assemblea e la Commissione, mentre l'approfondimento politico e culturale, al di là della diversità delle opinioni, non è stato elevato come in altri momenti della vita della Regione. Sono molti i Consiglieri presenti che ricordano il lavoro, approfondito e impegnativo, che ha accompagnato l'approvazione nel 1977 della legge 56. Anche oggi, attorno ad alcuni problemi centrali e pin importanti il confronto in Commissione c'è stato; però poi si è interrotto forse per esigenze diverse dei Gruppi.
Una esigenza l'ha denunciata il Capogruppo Bontempi: doveva essere licenziato un testo di legge e di fronte agli inviti che venivano da parte delle opposizioni, in particolare dal nostro Gruppo e dai Consiglieri Montefalchesi e Majorino, la maggioranza ha avuto l'impressione errata che all'interno della Commissione ci fossero intenzioni dilatorie e che si cercasse strumentalmente di non licenziare il testo delle modifiche.
Queste però non erano le intenzioni del nostro Gruppo. Anzi, il nostro Gruppo ha avuto un confronto serrato in Commissione con gli Assessori e con il relatore di maggioranza Simonelli attorno alla modifica più rilevante l'introduzione del Progetto Territoriale Operativo (PTO). All'inizio la discussione ed il confronto fu approfondito; venne ripreso nella fase finale dei lavori, ma poi si interruppe e un segno di questa strozzatura forzata dei lavori la troviamo leggendo le norme riguardanti il PTO che sono state licenziate a maggioranza dalla II Commissione.
Nell'articolo principale che riguarda questo nuovo strumento operativo di livello territoriale si parla di strumento "di attuazione e di approfondimento", mentre contradditoriamente, in un altro articolo, si parla di esso come strumento "stralcio", cioè di "anticipazione" del piano territoriale di comprensorio; è certo che la normativa che riguarda i contenuti di questo strumento ricalca largamente e in modo meccanico i contenuti del piano territoriale di comprensorio.
Quindi è chiaro che nel testo che e stato licenziato a maggioranza dalla Il Commissione, il PTO è essenzialmente strumento-stralcio dei piani territoriali poiché i contenuti sono identici, mentre invece, uno strumento di "attuazione" a livello territoriale non può avere gli stessi contenuti dello strumento-quadro di pianificazione generale a livello territoriale.
Cioè, in Commissione non abbiamo concluso in termini sufficientemente maturi e chiari, indipendentemente dalle posizioni che i Gruppi avrebbero poi assunto, il lavoro di approfondimento necessario per le modifiche da apportare alla legge 56.
Un lavoro certamente complesso e difficile, rispetto al quale ho difficoltà ad ammettere che forse anche il nostro Gruppo non ha avuto quella tensione e quella motivazione politica e culturale che l'aveva mosso al momento dell'approvazione della legge 56 e delle modifiche introdotte nel 1980: anche perché sembrava di capire che la maggioranza intendesse recuperare in modo pragmatico il tempo perduto a scapito dell'approfondimento culturale e politico che è sempre necessario per gli atti legislativi fondamentali e per quelli di alta amministrazione. Si potrebbe dire, e può essere anche giusto per alcuni aspetti, che le proposte di modifica presentate nel 1981 dalla D.C. ugualmente non corrispondono alle esigenze che in questo momento stavo a nome del mio Gruppo enunciando. Però dobbiamo ricordare che quando nel maggio del 1981 abbiamo presentato le nostre proposte di modifica, esse si collocavano in un contesto politico di inizio di legislatura e in una fase di applicazione della legge di "tutela ed uso del suolo" ben diversi. In quel momento cercare, anche in termini provocatori, di collocare e proporre modificazioni in ordine alle procedure di formazione dei piani regolatori della prima generazione, e quindi una serie di modifiche al titolo III della legge 56, aveva un significato che oggi non può più avere. Quando chiedevamo, in conformità a quanto era avvenuto in altre Regioni, che i programmi pluriennali di attuazione fossero approvati dai Consigli comunali, avanzavamo una proposta che oggi non ha più senso perché è superata dalla nuova normativa introdotta dal decreto Nicolazzi. Quando poi, chiedevamo l'approvazione degli strumenti urbanistici esecutivi da parte del Consiglio comunale, avanzavamo con tre anni di anticipo una proposta che oggi è presente tra quelle accolte e proposte dalla Il Commissione.
Quando proponevamo, nel 1981, di valorizzare il ruolo dei Comitati comprensoriali e di realizzare una diversa organizzazione dei servizi e delle strutture per realizzare una migliore e più efficace gestione urbanistica nella nostra Regione, noi ponevamo un problema che all'inizio della legislatura aveva ben altra portata di quanta ne può avere alla fine del 1984.
Sono infatti passati due anni e mezzo e solo alla fine del 1983 sono state presentate, dopo quelle di altri Gruppi, le proposte di modifica della Giunta regionale. Il testo licenziato della Commissione, sia pure accettando le precisazioni di Bon tempi e di altri colleghi della maggioranza e le loro anticipazioni, che sottolineano l'insufficiente grado di maturità della proposta, e ancora indefinito; quindi il nostro Gruppo presenterà oggi una prima serie di emendamenti al d.d.l. 337 e si riserva di avanzare ulteriori proposte modificative e migliorative a seguito del confronto che certamente e con maggiori difficoltà si riaprirà in aula.
Il lavoro della Commissione è stato seriamente intaccato, per non dire demolito, anche da voci che si sono alzate dall'interno della maggioranza infatti la relazione di maggioranza del collega Simonelli e l'intervento del Consigliere Biazzi, Presidente della II Commissione contrastano in molte parti, non secondarie, con l'intervento del collega Astengo. Sono cose che tutti possono misurare e vedere.
Noi non siamo difensori in ritardo di ciò che non abbiamo mai condiviso e quindi la parte finale della relazione del Consigliere Simonelli non ci mette in imbarazzo, poiché non stiamo facendo dei salti "mortali" rispetto alla posizione assunta in precedenza sulla legge 56. Ci sono questioni attorno alle quali non siamo stati in passato d'accordo con la maggioranza ed altre su cui siamo invece oggi d'accordo con le indicazioni del collega Astengo.
Il nostro Capogruppo è intervenuto sulle dichiarazioni di Astengo non per sollevare strumentalmente un problema politico, ma perché di fronte alla critica che investiva non solo il lavoro di emendamento della legge 56, ma anche la gestione urbanistica ed anche la gestione complessiva di questi anni della Regione, noi abbiamo colto l'eco di cose che il Gruppo D.C. da tempo va dicendo. Quando in un'assemblea politico-legislativa come la nostra, che svolge i propri lavori correttamente e civilmente, sovente al limite della stanchezza, si fanno delle osservazioni di natura politica questo non può sempre essere considerato in termini strumentali; non possiamo immaginare che il confronto possa essere condotto sempre e soltanto su stucchevoli binari di un liturgico rispetto regolamentare, il quale deve esserci, ma deve pur consentire di esprimere valutazioni di carattere politico generale, di cui ogni gruppo porta la responsabilità.
Era cioè nostro dovere richiamare il nostro non nuovo giudizio sulla inadeguatezza delle Giunte che si sono succedute in questa legislatura. Non lo diciamo per velleità strumentali ma per convinzione, consapevoli che la caduta di tensione e di proposta, che abbiamo conosciuto ha inciso negativamente sull'istituzione regionale e su tutti. Questo è un giudi-zio politico che certamente non possiamo chiedere che sia condiviso dalla maggioranza, ma che noi come Gruppo di opposizione diamo, sapendo che in larga misura ciò è derivato da anni difficili per la nostra Regione sotto il profilo politico ed istituzionale.
Le valutazioni sugli obiettivi della legge 56 e sulla coerenza con essi delle proposte modifiche sono profondamente discordanti all'interno della stessa maggioranza.
Gli obiettivi principali della legge 56, che Astengo ha richiamato in apertura del suo intervento, non sono stati raggiunti totalmente e noi dobbiamo chiederci perché Astengo li ha fatti risalire soprattutto a carenze di gestione, ma noi riteniamo invece che siano da attribuire anche all'effetto delle norme; noi cioè riteniamo, contrariamente a quanto abbiamo sentito da molti ripetere in aula, che gli obiettivi della legge 56 non sono un tabù e possano e debbano essere riconsiderati alla luce dei cambiamenti che sono intervenuti nella società e che ancor più nei prossimi anni sono destinati ad incidere e a modificare le condizioni di vita della nostra società regionale.
Questi obiettivi, allora, sono tuttora validi? Noi rispondiamo che in linea di massima mantengano una loro validità, purché ci sia la volontà e l'impegno di compiere una riconsiderazione politica e culturale che non c'è stata in misura sufficiente in Commissione. Oggi siamo in presenza di trasformazioni "epocali", che cioè segneranno un'epoca; il futuro non pu nascere solamente da proiezioni del passato ed occorre costruire immaginare degli scenari sulla base di un fattore centrale costituito dalla nuova variabile "tecnologica", destinata a cambiare la nostra società ed a produrre effetti che devono essere valutati, contenuti e orientati in relazione agli obiettivi che si intendono perseguire ed ai problemi nuovi che si possono presentare. Nella nostra società regionale assistiamo ad una accelerazione di problemi nuovi, di natura politica, sociale e culturale: l'invecchiamento della popolazione; il crescente degrado ambientale; un non corretto utilizzo dei territori agricoli; la crisi del modello industriale urbano che ha dominato per lunghi anni il modello di sviluppo del Paese l'affermarsi di processi di demassificazione.
E' andato in crisi, in particolare, il modello della città industriale al quale si è ispirata a lungo la cultura urbanistica e la filosofia portante della 56.
Questa crisi trascina con sé il declino progressivo della polarizzazione, quindi la fine dei tradizionali modelli territoriali di riferimento, mentre si va affermando la deverticalizzazione delle grandi industrie, la crescita della piccola e media impresa e la reindustrializzazione di settori maturi.
Ne consegue, ma dovremmo dire che ne è già in parte conseguito anche se è difficile misurare il cambiamento, un processo di deurbanizzazione crescente (per qualcuno è solo un processo di diminuzione della popolazione, ma io credo che sia anche un processo di deurbanizzazione crescente) che è stato a sua volta preceduto ed accompagnato da un processo di natura socio-culturale che è quello di demassificazione della nostra società. Al problema della "prossimità fisica" ai posti di lavoro, che ha dominato l'attenzione della programmazione e della pianificazione territoriale e che ha posto il problema del riequilibrio territoriale subentrerà gradualmente, ma certamente e pur senza sostituirlo completamente, il problema della "prossimità delle nuove tecnologie", di quella che viene chiamata dai tecnici la "prossimità micro-elettronica" che modificherà profondamente i fenomeni di evoluzione della nostra società e che influenzerà anche la pianificazione del territorio e la programmazione economica.
Ha ragione Astengo quando afferma che rimangono ancora i problemi e gli effetti provocati dallo sviluppo della città industriale, ma dobbiamo avere coscienza che a fianco di essi si affacciano nuovi problemi di evoluzione e di sviluppo per la nostra società che creano problemi nuovi, tra cui il più acuto è certamente quello della disoccupazione tecnologica crescente.
In questo tendenziale nuovo processo la programmazione e la pianificazione territoriale devono essere necessariamente riconsiderati negli obiettivi, nei contenuti, negli strumenti e nelle procedure, non per volontà di stravolgimento ma per capacità politica e culturale di riconsiderazione e di adeguamento ad una realtà che sta cambiando. Ed allora qui c'è una delle osservazioni avanzata da Astengo, che Bontempi ha ripreso e che noi condividiamo, avendolo chiarito senza possibilità di equivoco sin dall'inizio della discussione all' interno della II Commissione: non c'è, non può esserci contrasto certamente tra la pianificazione territoriale a livello comprensoriale o regionale ed i progetti attuativi perché questi presuppongono un quadro di riferimento generale e perché la pianificazione non si attua in assenza di progetti.
L'interrogativo però è: quale pianificazione territoriale stiamo costruendo? Su questo punto il dibattito si è interrotto: non abbiamo più trovato momenti di conforto all'interno delle sedi comuni di carattere politico.
Sta andando avanti il lavoro tecnico per il passaggio degli "schemi" ai "Piani" di Comprensorio; ma il lavoro appare avvolto in una nebulosa che non ci consente di capire che cosa intendono essere e cosa potranno essere i piani territoriali di comprensorio: per quali obiettivi, con quale efficacia e con quali contenuti riusciamo noi oggi ad immaginarli e a costruirli? La risposta è però urgente perché occorre mandare a regime la legge 56 approvando i piani territoriali di comprensorio per poi riunificarli in un quadro complessivo regionale, non solo al fine di indirizzare e governare i grandi fenomeni di trasformazione, ma anche per uscire dal regime transitorio e avviarci verso i Piani regolatori di "seconda generazione" e con essi al superamento - da noi sollevato sin dal 1977 - di una serie generalizzata di vincolanti ed eccessive parametrizzazioni che paiono riduttive rispetto alla varietà ed alla ricchezza della realtà; infatti solo attraverso la definizione della pianificazione territoriale si potrà riprendere il discorso, e valutare le reali volontà, di profonda revisione anche nei contenuti, della legge 56. Quale risposta si può dare? lo ho paura a cercare di immaginarla. Credo che debba essere ripresa la discussione politico-culturale che accompagna il passaggio dagli "schemi" ai "piani" territoriali di comprensorio. Ma già oggi indichiamo una riflessione: a noi pare di comprendere che questi piani devono essere costruiti anche sul futuro e non solo sugli effetti più evidenti e sui problemi di un passato che non ritornerà più, poiché non si può pensare che questa società esca dalla crisi secondo il vecchio modello di sviluppo. Le linee evolutive di tendenza sono già evidenti e già stanno operando creando anche problemi gravissimi ma dando un segno inequivocabile della direzione verso cui è avviata la ristrutturazione e la riorganizzazione della società civile ed economica del nostro Paese.
Ciò detto, anche per la necessità di riprendere e alimentare un dibattito su temi più vasti di ordine politico-culturale, ritorniamo al presente e ci chiediamo se gli obiettivi del d.d.l. 337 sono obiettivi coerenti con la struttura generale della 56 e se le modifiche proposte corrispondono agli obiettivi denunciati, secondo l'indicazione che è stata espressa dal collega Simonelli, relatore di maggioranza, in apertura di questo dibattito.
Noi diciamo con fermezza che questi obiettivi non corrispondono con gli obiettivi generali della 56 su due aspetti: il Progetto Territoriale Operativo e le modifiche introdotte all'art. 15 con la previsione della "salvaguardia attiva" o "applicazione anticipata parziale" delle previsioni del Piano Regolatore Generale. Ma diciamo anche che non tutte le altre modifiche proposte sono coerenti con gli obiettivi denunciati a sostegno delle norme contenute nel testo di proposta di legge licenziato dalla Commissione.
Nella relazione di Simonelli si afferma che il primo obiettivo che si vuole raggiungere è quello di introdurre un criterio di flessibilità degli strumenti, attraverso l'introduzione del progetto territoriale l'arricchimento degli strumenti esistenti, la diversificazione delle norme.
Un criterio di flessibilità presunto in qualche misura è stato introdotto, ma se il PTO rimane quello che qui è disegnato, il criterio di flessibilità sarebbe pagato da altri inconvenienti gravi su cui mi soffermerò più avanti in particolare.
Si parla di ricerca di migliori condizioni di operatività e di certezza delle regole. A noi non sembra che le condizioni di operatività siano migliorate con le norme contenute nel testo presentato, neanche con le innovazioni, abbastanza riduttive, se non inutili, dell'eliminazione o della previsione facoltativa della deliberazione programmatica dei Comuni.
Abbiamo la presunzione di poter dire che ormai tutti i Comuni o quasi tutti, sono dotati di deliberazione programmatica. Se qualcuno non lo fosse, a ben 7 anni dall'approvazione della 56, sarebbe doveroso e necessario l'intervento sostitutivo della Regione.
Il riconoscimento di maggiore autonomia agli enti locali c'è, ma è un riconoscimento parziale, perché non c'è all'interno del Progetto Territoriale Operativo; c'è per quanto riguarda l'art. 15 con l'introduzione delle norme che prima richiamavo, ma che suscitano delle perplessità.
Condividiamo alcune norme non secondarie, per esempio, quelle riguardanti le nuove procedure per la formazione dei piani regolatori generali delle comunità montane. Abbiamo però due perplessità. Intanto ci sembra che, quanto meno, nell'adozione del progetto preliminare sarebbe opportuno lasciare una considerazione anche da parte dei singoli comuni e non delegare tutto alle Comunità Montane. Inoltre l'aspetto che riguarda la definizione delle procedure di variante dei piani regolatori generali intercomunali e delle comunità: infatti, vorremmo capire quale tipo di variante potrebbe essere lasciata all'approvazione dei singoli Comuni sveltendo le procedure di variante, previo il parere preventivo del consorzio intercomunale oppure della Comunità Montana. Comunque siamo d'accordo sulla procedura di fondo che è stata introdotta. Siamo d'accordo ovviamente sulle procedure di approvazione degli strumenti urbanistici esecutivi, da parte dei Comuni, che è stato introdotto e che anche noi avevamo proposto, sia pure in termini diversi, nella nostra proposta di legge del 1981. Condividiamo di larga massima, salvo un approfondimento, la nuova disciplina del piano degli insediamenti produttivi nelle aree di riordino e l'introduzione innovativa del piano di recupero per insediamenti produttivi. Siamo d'accordo sull'introduzione generalizzata del certificato urbanistico, sia pure con la norma transitoria che ne prevede l'applicazione differita per i Comuni inferiori ai 30.000 abitanti, a patto che sul piano della gestione si riesca a favorire, agevolare e a realizzare l'istituzione degli uffici intercomunali di pianificazione e di gestione urbanistica.
Altrimenti i piccoli Comuni non saranno in grado di gestire questo nuovo istituto, che peraltro corrisponde ad un'esigenza di chiarezza nei rapporti tra pubblico e privati, che ci sembra non facilmente smentibile e quindi, da condividere.
Non siamo d'accordo invece sulla disciplina del tutto transitoria e sbrigativa per gli interventi a tutela dei beni culturali ed ambientali.
Non è sufficiente la soppressione delle commissioni comprensoriali a risolvere il problema: o si procede con legge apposita oppure si deve disciplinare diversamente la materia all'interno della legge 56.
E veniamo al punto centrale: il PTO, che è con figurato come strumento di attuazione, e, insieme, strumento di anticipazione "a stralcio" del piano territoriale di comprensorio. Noi non siamo d'accordo.
E non siamo d'accordo sulle procedure di formazione previste e sui contenuti del PTO, perché, lo ripeto, i contenuti sono identici a quelli del piano territoriale di comprensorio: quindi devono essere rivisti.
Il Gruppo D.C. nel presentare i propri emendamenti ha riesaminato molte parti del Titolo Il e prevede in luogo del PT(), i "progetti attuativi territoriali", strumenti di sola attuazione del piano territoriale di comprensorio, anche in variante allo stesso quando questo sia necessario formati dalla Regione, anche su proposta di enti locali e di operatori pubblici e privati, con procedure di approvazione e di formazione che prevedano il concorso tramite pareri preventivi e osservazioni sul progetto definitivo, degli enti locali territoriali, delle comunità montane e dei comitati comprensoriali. La nostra proposta, cioè, si basa sulla previsione di uno strumento indispensabile per dare operatività alla pianificazione territoriale di comprensorio e regionale, ma che si inserisca correttamente all'interno dei livelli di pianificazione già presenti nella legge 56; cosa ben diversa dal PTO della maggioranza che si configura come un "fendente" che attraversa i diversi livelli di pianificazione e può stravolgere i piani generali di livello locale.
L'altra nostra proposta sostanziale di modificazione riguarda le varianti ai piani regolatori generali con procedure rapidissime di formazione e di approvazione, quando queste siano di mero adeguamento alla pianificazione territoriale generale od alla pianificazione territoriale operativa in variante della pianificazione territoriale generale; in modo da accelerare tempi e procedure per l'adeguamento, di autonoma iniziativa dei Comuni, o attraverso varianti parziali o attraverso varianti collegate agli strumenti urbanistici esecutivi del PRG.
Sull'art. 15, come abbiamo spiegato in Commissione, non possiamo accettare l'introduzione dell'applicazione parziale ed anticipata del PRG per vari motivi, che sono l'incertezza in ordine alla legittimità costituzionale della previsione, l'incertezza che verrebbe a sussistere tra salvaguardia passiva e salvaguardia attiva o provvedimenti anticipati di attuazione, il contenzioso che ne potrà scaturire, le ripercussioni che i Comuni potrebbero avere con l'approvazione differita, ma pur sempre prevista, dello strumento urbanistico generale da parte della Regione. Per approvare i PRG, il nodo centrale da sciogliere è, invece, per noi quello della gestione urbanistica, cioè il problema dei servizi e delle strutture anche con il potenziamento dei servizi in sede decentrata per poter rispondere a quanto approvato unanimemente nel documento sulle autonomie locali, un anno e mezzo fa dal Consiglio regionale, e al fine di far crescere in sede decentrata strutture che possano realizzare, qualora si addivenga alle deleghe di funzioni, capacità professionali e conoscenze e un processo di crescita della collaborazione tra Regione ed Enti locali. Ma noi riteniamo che, oltre ad operare sul versante della gestione, nel rispetto della normativa del PRG, vi siano interventi di manutenzione straordinaria, di restauro conservativo e di completamento che possano già essere operanti fin dall'approvazione del progetto definitivo di Piano da parte dei Comuni.
Siccome non abbiamo il coraggio di proporre l'approvazione, per silenzio-assenso, del PRG, ci chiediamo poi se non possa essere introdotta una modifica di natura politico-istituzionale che preveda, nel caso in cui decorsi determinati termini, il PRG sia fermo al CUR o presso la Giunta regionale, la trasmissione dello stesso al Consiglio regionale sulla base dell'istruttoria, per l'esame e l'approvazione definitiva.
E' questa una proposta provocatoria, che riteniamo però più utile di qualsiasi scappatoia di carattere giuridico. La strada maestra su cui è bene avviarsi è quella della gestione urbanistica regionale, sulla quale noi non avanziamo proposte precise dato che la maggioranza ha promesso in sede di Commissione di presentare proprie proposte sulla riorganizzazione dei servizi ed è su queste che noi intendiamo collocare i nostri eventuali emendamenti, con un'unica precisazione: il nostro Gruppo è convinto dell'utilità del potenziamento dei servizi a livello decentrato e crede sia necessario istituire gli "uffici del piano" come previsto dalla legge 56.
Nulla diciamo sull'ultimo titolo, che riguarda le norme transitorie, perch non è possibile ragionare in termini di modifica pur necessaria del regime transitorio, se non è definito un testo finale che consenta di riscrivere in modo coerente le norme transitorie ritenute utili nel 1984 a modifica di una stesura che risale al 1977.
In conclusione, qualcuno all'interno della maggioranza proponeva di non modificare in questa legislatura la legge 56 e di avviare una valutazione politico-culturale per ricreare quella tensione indispensabile per affrontare compiutamente i temi di politica urbanistica e territoriale aggiungendo che in ogni caso una serie di provvedimenti amministrativi e legislativi, definiti "pacchetto integrato di provvedimenti" deve essere approvata.
Anche noi crediamo che in ogni caso una serie di provvedimenti dovrebbe essere presa. Sono troppi i problemi, dal laboratorio cartografico all'assistenza collaborativa ai Comuni, alla costituzione di uffici intercomunali di gestione urbanistica, che devono essere risolti per dare operatività reale alle norme di legge e per riuscire a sviluppare un processo di fattiva collaborazione tra la Regione e gli enti locali evitando quelle contrapposizioni di ruoli e di competenze a cui Bontempi faceva riferimento.
Detto questo, noi siamo per una proposta intermedia, già avanzata dal Consigliere Carazzoni. Se la maggioranza non accoglie la posizione di rinvio alla prossima legislatura delle modifiche, che è stata avanzata da Astengo e che totalmente non condividiamo, peraltro accompagnata da indicazioni sulla necessità di realizzare un "pacchetto integrato di provvedimenti", su cui invece conveniamo, allora noi chiediamo alla maggioranza se non ritenga saggio, utile e positivo, visto che si è ritrovata parzialmente la capacità di confronto che per lungo tempo non si è manifestata in Commissione, non procedere all'esame degli articoli e consentire alla II Commissione tempi adeguati per una valutazione ulteriore di quanto è emerso dal dibattito e dai lavori precedenti di Commissione.
Concludo dicendo che non possiamo accogliere una parte dell'intervento del collega Bontempi. Anche il nostro Gruppo non è stato forse all'altezza dell'impegno che doveva esprimere in sede di Commissione, pero nella parte finale dei lavori, non con volontà strumentale o per patti politici unitamente ad altri colleghi e segnatamente assieme a Montefalchesi (non fa scandalo dirlo, Montefalchesi è un amico e un collega serio anche se qui esercitiamo ruoli diversi) abbiamo sollevato insistentemente, sino al limite dell'incomprensione, la necessità di operare una rilettura completa del testo di legge a cui era pervenuta la maggioranza. Lo abbiamo chiesto e lo chiediamo ancora oggi perché crediamo che non corrisponda a una esigenza del nostro Gruppo, ma ad una esigenza reale di chiarezza per tutti all'interno della nostra assemblea.



PRESIDENTE

La discussione generale è conclusa.
Nella Conferenza dei Presidenti dei Gruppi è stato concordato un programma che prevede le repliche del relatore e della Giunta per il giorno 25 settembre prossimo.
Questa sera si svolgono i punti all'ordine del giorno tenendo presente che i punti 5, 6 e 7 vengono rinviati.


Argomento: Commemorazioni

Commemorazione del leader storico della sinistra socialista Riccardo Lombardi


PRESIDENTE

Colleghi Consiglieri, oggi, poco dopo le 16 le agenzie di stampa hanno diramato la notizia della morte di Riccardo Lombardi, una delle figure più note della Resistenza e del socialismo italiano. Riccardo Lombardi aveva 83 anni. Per tutta la sua vita credette ed operò per gli ideali di libertà e di giustizia. Lombardi nel 1942 fu tra i fondatori del partito d'azione.
Dopo il 25 luglio firmò il patto costitutivo del Comitato di liberazione nazionale, rappresentando il suo partito nel Comitato di liberazione nazionale Alta Italia e fu tra i coordinatori dell'insurrezione che libero i maggiori centri del nord nelle giornate intorno al 25 aprile 1945.
Prefetto di Milano nell'immediato dopoguerra, successivamente nel primo gabinetto De Gasperi ricopre la carica di Ministro dei trasporti. Quando il partito d'azione si fonde con il P.S.I. Riccardo Lombardi ne diventa membro della direzione.
Eletto deputato della Costituente viene rieletto nel 1948 e nelle successive legislature. Riccardo Lombardi rappresentò gli ideali della Resistenza del rifiuto di tutto un popolo alla tirannia nazifascista. Fu tra coloro i quali seppero coagulare l'opposizione di una nazione alla barbarie. Di Riccardo Lombardi rimarrà tra noi il ricordo di uno strenuo assertore e difensore della libertà. Se oggi la nostra Nazione è libera e democratica lo dobbiamo a uomini come Lombardi che seppero indicare a molti la via giusta da seguire. Colleghi Consiglieri, esprimo a nome del Consiglio regionale del Piemonte e mio personale le più sentite profonde condoglianze ai familiari dello scomparso ed al partito socialista italiano.
Con Riccardo Lombardi è scomparsa una delle figure storiche della Resistenza. Di questa grave perdita ne siamo tutti addolorati.



(I presenti, in piedi osservano un minuto di silenzio)


Argomento: Comuni - Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Esame deliberazione Giunta regionale n. 83-35675: "L.R. n. 17/82, art. 2 L.R. n. 56/77 e successive modifiche ed integrazioni, art. 36 secondo comma. Individuazione dei Comuni obbligati alla formazione del programma pluriennale di attuazione: secondo aggiornamento dell'elenco approvato con D.C.R. 27/1/1983 n. 384-875"


PRESIDENTE

Il punto nono all'ordine del giorno prevede l'esame della deliberazione della Giunta regionale n. 83-35675: "L.R. n. 17/82, art. 2; L.R. 56/77 e successive modifiche ed integrazioni, art. 36 secondo comma. Individuazione dei Comuni obbligati alla formazione del programma pluriennale di attuazione: secondo aggiornamento dell'elenco approvato con D.C.R.
27/I/1983 n. 384-875".
La deliberazione è stata esaminata dalla II Commissione che l'ha trasmessa con parere favorevole a maggioranza.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Martinetti. Ne ha facoltà.



MARTINETTI Bartolomeo

Questo secondo aggiornamento conferma, sulla base dell'esperienza, la validità del giudizio negativo che il nostro Gruppo aveva dato relativamente alla deliberazione n. 384 del 27/1/1983 con cui si erano stabiliti i criteri ed i parametri da utilizzare per la scelta dei Comuni.
Se diamo un'occhiata all'elenco vediamo che su 69 Comuni esaminati al di sotto dei 10.000 abitanti, 55 vengono inclusi nell'obbligo di redigere il PPA (90 per cento), questo dimostra come il meccanismo approvato dalla maggioranza sconvolga la volontà del legislatore nazionale che era di riservare l'obbligo ai Comuni al di sotto di 10.000 abitanti che presentassero vere e proprie condizioni di eccezionalità.
Sui 55 Comuni qui proposti, 17 sono al di sotto dei 500 abitanti, 5 o 6 sono al di sotto dei 200 abitanti. Nei piani intercomunali a cui i Comuni più piccoli appartengono si prevede l'unico parametro, l'unico carattere l'unico elemento della previsione di sviluppo di insediamenti produttivi cioè la presenza dei famosi 5 ettari destinati a questo scopo. Avevamo già fatto notare come il considerare il carattere dello sviluppo industriale nel quadro della Comunità montana o del Consorzio di Comuni finisce per essere, esageratamente punitivo per il piccolo Comune con 150/200 abitanti che entra in questo obbligo solo perché in un comune vicino della comunità è previsto un insediamento industriale, esclusivamente per questo. In un precedente dibattito anche il Presidente della Giunta Viglione aveva considerato questa gravità e, almeno in quella fase, avevano ottenuto un rinvio.
Il metodo adottato è estremamente rigido perché porta un obbligo costoso, inutile, inattuabile, a Comuni che non hanno uno sviluppo urbanistico.
Questo vale anche per i Comuni più grandi, cito il caso del Comune di Mottalciata, nel comprensorio di Biella (1500 abitanti) che viene incluso esclusivamente per la previsione di sviluppo di insediamenti produttivi.
Esiste la previsione dei 5 ettari, ma si tratta di aree di riordino di attività produttive e l'edificabilità in quelle aree è soggetta alla preventiva redazione di piano esecutivo convenzionato.
Quindi questa inclusione non risponde ai principi di vera eccezionalità prevista dalla legge Nicolazzi. La Giunta dovrebbe sospendere l'approvazione di questo elenco, procedendo ad una proposta di revisione di questa meccanica cosi schematica.
Se questa nostra richiesta non verrà accettata, sarà giustificato il nostro voto negativo che vuole dimostrare il nostro dissenso, non sul modo meccanico con cui gli uffici hanno compilato le tabelle, ma sulla metodologia approvata e vigente, che secondo noi deve essere immediatamente modificata.



PRESIDENTE

Non vi sono altri interventi, quindi ha la parola l'Assessore Calsolaro per la replica.



CALSOLARO Corrado, Assessore all'urbanistica

Questa deliberazione si ricollega alla deliberazione generale in attuazione della legge 17 che fissa i parametri. E' un fatto automatico.
Anch'io ho ricevuto le proteste da parte di piccolissimi comuni i quali hanno scoperto di essere stati inseriti nell'elenco dei comuni tenuti alla redazione del PPA. Fra l'altro ho incaricato gli uffici di elaborare nuovi parametri.
Personalmente non mi oppongo alla richiesta del Consigliere Martinetti di sospendere la deliberazione e di riferire al Consiglio sull'esame dei parametri relativi ai Comuni tenuti alla redazione del PPA.



PRESIDENTE

La deliberazione è pertanto rinviata in Commissione.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Ordine del giorno in merito alla Montefibre di Pallanza


PRESIDENTE

E' stato presentato un ordine del giorno in merito alla Montefibre Pallanza, firmato da tutti i Gruppi.
Pongo in votazione tale ordine del giorno. Ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale del Piemonte preso atto dell'entrata in rigore della legge n. 193 del 31/5/1984 che prevede la costituzione di una commissione di studio interministeriale 'con il compito di esaminare lo stato delle aziende del settore del nylon 6-6, delle fibre e delle attività connesse operanti nel comprensorio Verbano-Cusio-Ossola e le condizioni per la loro ripresa produttiva' che la stessa legge prevede che il CIPI possa autorizzare la GEPI S.p.A. 'a costituire società aventi per oggetto la promozione di iniziative idonee a consentire il reimpiego dei lavoratori di aziende appartenenti al settore delle fibre sintetiche ed a bica te nella provincia di Norma e ciò e avvenuto considerato che la suddetta Commissione è stata integrata da esperti rappresentanti della GEPI e della Regione Piemonte come espressamente richiesto da questo Consiglio regionale e che la commissione ha chiesto ed ottenuto una proroga di tre mesi per terminare i propri lavori in relazione alla possibile ripresa produttiva del nylon 6-6, delle fibre e delle attività connesse convenendo con la necessità della ripresa dell'attività produttiva dell'acetato nello stabilimento di Pallanza (280 lavoratori) con eventuale integrazione di lavorazioni per il Monopolio di Stato (presuntivamente 200 lavoratori) considerato però che i lavoratori attualmente minacciati della perdita del posto di lavoro sono 1611.
Il Consiglio regionale del Piemonte ribadisce il proprio convincimento che è possibile la ripresa produttiva del nylon 6 6 ( vedi documenti tecnici del 'Libro bianco' edito dall'Assessorato regionale) sia per evidenti ragioni occupazionali, sia per ragioni di mercato e strategiche per l'intera economia nazionale ribadisce al contempo che l'avvio di altre attività produttive nel comprensorio V.C.O, deve essere complementare e non sostitutivo della ripresa della produzione sia dell'acetato che del nylon 6-6, tenendo conto dell'ampiezza del problema occupazionale e del tipo di manodopera oggi in cassa integrazione nell'area dà mandato alla Giunta regionale di esprimere con forza in sede di Commissione interministeriale tali orientamenti in modo che la decisione in sede tecnica contenga chiare finalità di ripresa produttiva nel settore delle fibre esprime appoggio a tutte le iniziative che la Giunta ha intrapreso e intraprende che, partendo dalla necessità di un avvio produttivo della produzione di acetato e nylon 6-6, tendono ad individuare attività produttive complementari in grado di reimpiegare i lavoratori in esubero eventualmente derivanti da razionalizzazione ed ammodernamenti necessari al processo produttivo".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato all'unanimità dei 34 Consiglieri presenti in aula.



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