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Dettaglio seduta n.267 del 18/09/84 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Industria (anche piccola e media)

Interrogazione dei Consiglieri Ratti e Bergoglio inerente al trasferimento da Torino dell'ASFOR


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto secondo all'ordine del giorno: "Interrogazioni e interpellanze", esaminiamo l'interrogazione dei Consiglieri Ratti e Bergoglio inerente il trasferimento da Torino dell'Asfor.
La parola all'Assessore Tapparo.



TAPPARO Giancarlo, Assessore al lavoro

L'Assessorato non è mai stato contattato dall'Associazione tra gli Istituti per la formazione alla direzione aziendale Asfor che, costituita nel 1971, ha, per statuto, la propria sede a Torino ed opera anche come punto di riferimento internazionale per promuovere lo sviluppo delle attività di formazione e perfezionamento dei quadri di azienda in Italia e per favorire, sia sul piano didattico che in tema di ricerche, la cooperazione degli associati che oggi, come in passato, sono essenzialmente privati.
Nessuna informazione o comunicazione è pervenuta direttamente dall'Associazione neppure in ordine ad un suo trasferimento da Torino.
Anche con riferimento all'interrogazione dei Consiglieri Ratti e Bergoglio si è pertanto cercato, attraverso un colloquio con la Direzione di conoscere le intenzioni dell'associazione e, in caso di conferma della voce di trasferimento, di sapere i motivi ed i problemi che avevano indotto gli organi responsabili ad assumere tale decisione.
Dal colloquio avuto non è possibile trarre indicazioni precise. E risultato che è intenzione del Presidente attuale (Direttore della scuola di direzione aziendale della Bocconi), già manifestata al Consiglio direttivo, di trasferire la sede dell'Associazione a Milano.
E' stata esaminata come possibile soluzione la costituzione, a Milano di una segreteria operativa. Tale soluzione non risulta però fattibile, non potendo l'associazione sostenere i costi derivanti da una doppia Segreteria.
A fronte di quanto sopra indicato occorre tener presente che sul trasferimento della sede (che comporta una modifica statutaria), così come sull'avvio del programma straordinario che ne costituisce la motivazione deve comunque decidere l'Assemblea dei Soci la cui convocazione avverrà verso la fine dell'anno.
A questo proposito dal colloquio con la Direzione è emerso che una decisione dell'Assemblea al mantenimento a Torino della sede dell'Asfor sarebbe certamente facilitata se l'Associazione potesse reperire un finanziamento (30 milioni circa) atto a coprire le spese di affitto della sede e di segreteria o se, almeno, potesse essere ospitata (fino all'approntamento dei locali già promessa dalla Cassa di Risparmio di Torino presso l'immobile di Piazza Carducci, in fase di rifacimento) in idonei locali, messi a disposizione da parte di enti pubblici.
Per quanto riguarda la politica immobiliare, con gli enti convenzionati non possiamo operare direttamente sia per quanto riguarda la ristrutturazione di immobili, sia per quanto riguarda gli affitti degli immobili stessi potendo solo operare per le strutture legate al funzionamento dei corsi.
La richiesta ci è stata avanzata ufficialmente solo nei giorni scorsi.
Ci sono oggettive difficoltà: tenteremo comunque di trovare una soluzione ragionevole per mantenere a Torino la Direzione dell'Associazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ratti.



RATTI Aldo

Come si evince dalle parole dell'Assessore, che ringrazio per la puntualità e la precisione, il problema non pare di enorme importanza mentre a noi sembrava di significato importante. Mi stupisce sentire che non esistevano rapporti tra la Regione e l'Associazione per quanto riguarda la formazione e la direzione aziendale che raccoglie oltre 30 associazioni in tutta Italia.
Credo che la formazione professionale dei dirigenti è da considerare primaria proprio per evitare quelle conseguenze che spesso lamentiamo di aziende che vanno in dissesto, le cui cause qualche volta vengono attribuite a responsabilità dirigenziali.
La Regione dovrebbe con questa associazione stabilire dei rapporti continuativi anche perché purtroppo Torino continua a perdere significativamente delle attività che ha creato: è una specie di vocazione alla quale ormai ci siamo abituati. Questa associazione è nata nel 1 971 e funziona perfettamente. Non credo sia funzionale il fatto che a ogni anno col cambio del Presidente, la direzione dell'Istituto emigri da una parte all'altra. Vedo che c'è una piccola apertura e possibilità che è legata alla disponibilità di locali e di risorse finanziarie.
Mi auguro che la Regione capisca l'importanza di avere questa associazione per la formazione della dirigenza e che non si fermi alla risposta data in quest'aula, ma continui con la ricerca effettiva di una soluzione che mantenga a Torino l'Asfor.


Argomento: Opere idrauliche ed acquedotti

Interrogazione dei Consiglieri Devecchi e Genovese inerente la realizzazione di un acquedotto rurale in Comune di Montacuto


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione dei Consiglieri Devecchi e Genovese inerente la realizzazione di un acquedotto rurale in Comune di Montacuto.
Risponde l'Assessore Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura

L'interrogazione mi consente un chiarimento in sede di Consiglio sul finanziamento dell'acquedotto rurale nel Comune di Montacuto di cui si è parlato e sparlato su un giornale locale.
Devo intanto precisare che per le opere consortili o private, la legislazione statale e regionale vigente non prevede appalti. In ogni caso né il Ministero né la Regione sino ad ora, hanno proceduto ad alcuna aggiudicazione dell'opera.
Si tratta di un consorzio degli operatori agricoli della zona che si sono consorziati per avere l'acqua e per realizzare o sistemare una strada.
Non c'è nessuna aggiudicazione da parte dell'Assessorato.
I servizi dell'Assessorato sulla base del prezziario, valutano i prezzi che vengono esposti. Il prezziario viene interpretato in modo più ampio perché l'opera effettivamente costa di più; i servizi hanno anche imposto la riduzione del 10 per cento rispetto ai prezzi esposti, quindi, sulla parte depurata di questo 10 per cento viene concesso il contributo. La seconda questione, che è stata occasione di polemica, riguarda la contrapposizione fra il finanziamento di questa opera e l'acquedotto che ha trovato collocazione nei progetti per il FIO.
Va detto però che non c'è nessuna contraddizione fra l'una, e l'altra opera e va inoltre chiarito che l'opera era stata da tempo presentata e che è stata portata in Commissione consultiva solo dopo il parere della Comunità Montana che ha giudicato quest' opera utile, necessaria e coerente con il proprio piano di sviluppo. La polemica era nata sul fatto che vengono finanziate prima le opere private anziché le opere pubbliche. Sono due aspetti diversi, sono fondi diversi, la legislazione è diversa. Del resto Devecchi me lo consenta l'acquedotto del Monferrato, così com'è e con tutto l'ammodernamento che prevediamo nel caso vada in porto la pratica per il FIO mon potrà far arrivare l'acqua in tutti i cascinali.
Dopo l'acquedotto del Monferrato, il Ministero dell'agricoltura e l'Assessorato all'agricoltura hanno finanziato piccoli acquedotti che rifornivano di acqua potabile solo quattro/cinque case sparse: diversamente non avrebbero ancora l'acqua.
Lo stesso vale per l'acquedotto delle Langhe che non risolverà il problema delle case sparse, l Comuni puntano fondamentalmente ai grossi agglomerati.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Devecchi.



DEVECCHI Armando

La nostra interrogazione era soprattutto rivolta ad accertare realmente come stanno i fatti, perché sappiamo per esperienza che le polemiche soprattutto quando trovano spazio su giornali di interesse locale rischiano di essere poco obiettive. Chiedevamo semplicemente di conoscere esattamente i termini del problema e più particolarmente i motivi per cui è stata privilegiata l'opera oggetto dell'interrogazione con relativa aggiudicazione a trattativa privata direttamente dall'Assessorato.
L'Assessorato, ne prendiamo atto, non ha aggiudicato l'opera direttamente ma l'aggiudicazione è stata fatta a trattativa privata dal Consorzio.
L'Assessorato invece è intervenuto direttamente soltanto per valutare la congruità dei prezzi e li ha ridotti. Così risponde l'Assessore: sta bene ma devo qui sottolineare che, in loco ha destato molta perplessità e rammarico il fatto che le ditte locali sono state escluse dalla trattativa privata. Tutto questo è più che comprensibile in un momento di particolare difficoltà economica e soprattutto per una zona come quella tortonese di cui stiamo trattando, e che notoriamente è colpita da una gravissima crisi.
C'è proprio da chiedersi perché la mano d'opera locale non ha potuto essere utilizzata in questa occasione!!! In secondo luogo, sono lieto che sia stato dato un finanziamento di cui non conosco esattamente la cifra..



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura

La domanda era di 328 milioni.
Il finanziamento è stato di circa 300 milioni.



DEVECCHI Armando

Quindi 300 milioni sono andati in favore di 100 persone circa e questo ci fa piacere, ma è chiaro che lascia perplessi il fatto che interessa la stessa zona una domanda per il finanziamento di un acquedotto presentata da 10 Comuni più la Comunità Montana, Valli Curone, Grue e Ossona. Oggi ci si dice che la Giunta regionale ha incluso l'acquedotto fra le opere prioritarie. Intanto il finanziamento ha da venire e chissà quando verrà! Gli interessati possono aspettare. Noi non siamo d'accordo sulla procedura seguita. E' chiaro poi che a questo punto dobbiamo sottolineare come questa Giunta regionale proceda in maniera molto scollegata. Infatti non tiene conto di una programmazione che stabilisca delle chiare priorità. E' un rilievo non tanto per l'Assessore, il quale quanto meno ha creduto opportuno andare incontro alle popolazioni rurali con l'elargizione di 300 milioni, ma all'operato della Giunta che della programmazione parla ad ogni piè sospinto e si fa vanto, ma nei fatti le cose vanno diversamente. Per il finanziamento dell'acquedotto Val Museglia non ho che da ringraziare l'Assessore, anche se, ribadisco avremmo preferito fosse aggiudicato con appalto pubblico a ditte locali e non a trattativa privata ad una ditta dell'astigiano.


Argomento: Beni culturali (tutela, valorizzazione, catalogazione monumenti e complessi monumentali, aree archeologiche) - Formazione professionale

Interpellanza del Consigliere Bergoglio inerente lo stanziamento CEE per la formazione di soggetti handicappati


PRESIDENTE

Esaminiamo infine l'interpellanza del Consigliere Bergoglio inerente lo stanziamento CEE per la formazione di soggetti handicappati.
Ha la parola il Consigliere Bergoglio per l'illustrazione dell'interpellanza.



BERGOGLIO Emilia

La nostra interpellanza è successiva e integrativa di una interpellanza od interrogazione presentata dalla collega Cernetti. La risposta che era stata data prima della pausa estiva ci aveva sollevato dubbi e perplessità.
Tra le righe di quella risposta si deve intendere che di fatto la Regione ha rinunciato a un finanziamento di 800 milioni circa. Era proprio su questo punto che volevamo approfondire per, conoscere i motivi visto che quelli esposti nella prima risposta ci erano sembrati non del tutto soddisfacenti.
Si era detto che non si era potuto predisporre la struttura per i corsi, che non c'era il personale idoneo per questa iniziativa. Siccome questa iniziativa era già stata realizzata nell'anno precedente, chiediamo con quale personale era stata realizzata e con quali strutture e perch quel personale e quelle strutture non sono state riutilizzate per una iniziativa del tutto identica visto che il progetto era identico a quello precedente. Siamo preoccupati del fatto che, mentre la Regione è sempre alla caccia di denaro, tranquillamente rinuncia ad un finanziamento consistente.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Tapparo.



TAPPARO Giancarlo, Assessore alla formazione professionale

Spero che il Consigliere non intenda dimostrare la scarsa sensibilità di questa Giunta o magari dell'Assessore Tapparo sul problema degli handicappati. Nel ciclo formativo stabilizzato in questo momento ci sono 218 handicappati per la formazione speciale e 235 per la formazione normale.
Inoltre è in corso l'avvio del progetto per 200 handicappati che nelle varie Province piemontesi dovrebbero iniziare un ciclo formativo finalizzato all'occupazione.
In questi giorni viene avviato il progetto straordinario per Torino per 700 disoccupati di nuclei familiari a reddito zero. E' opportuno poter dare delle risposte a questi progetti con una struttura che possa o ritornare nella normalità o che sia in grado di rispondere all'emergenza.
Per i 700 disoccupati non si assume personale docente in più in quanto è stato possibile realizzare questa iniziativa attraverso un equilibrio interno.
Per questo progetto era difficile pensare intanto che si sarebbe ripetuto negli anni successivi quindi garantire la stabilità del personale.
Va anche detto che la CEE ha variato le indicazioni di priorità, primi ha posto i giovani, le riconversioni ed i progetti speciali per le aree non sviluppate, poi vengono gli adulti e gli handicappati, quindi sarebbe difficile pensare di mantenere stabilità a quei progetti e garantire il mantenimento di quella struttura.
Nella risposta scorsa ho detto che la comunicazione dell'approvazione del progetto è giunta 45 giorni prima del momento in cui il progetto doveva avviarsi. Questo è probabilmente l'elemento deficitario.
Non basta presentare un progetto, ma bisogna anche valutarne la fattibilità. Si è pensato quindi di concentrare su un progetto altamente qualificato e significativo per l'inserimento di 200 handicappati in un corso di formazione ad alto grado di finalizzazione. Si stanno prendendo accordi con le aziende e le associazioni di categoria, quindi si sta lavorando su un progetto che sul piano della fattibilità presenta delle garanzie se non assolute, certamente rilevanti.
Abbiamo ampliato il numero dei ragazzi handicappati che sono nella struttura formativa ordinaria, facendo uno sforzo affinché non si trattasse di parcheggio o di una iniziativa di serie B, ma ponendo i ragazzi in una dimensione che li faciliti nell'inserimento della vita attiva.
Non rinunceremo a ricercare eventualmente con un nuovo progetto equilibrato sul piano dei numeri delle strade nuove che permettano di attingere al finanziamento comunitario (il finanziamento comunitario è al 50 per cento). Quindi non c'è una mira a colpire o a snobbare o a considerare non importanti questi progetti.
Non rinunciamo all'idea del progetto. Potremo riattivare la richiesta con una dimensione e un taglio diverso tra Assessorato all'assistenza e Assessorato alla formazione professionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bergoglio.



BERGOGLIO Emilia

Prendo atto delle dichiarazioni dell'Assessore che ha illustrato le iniziative che la Regione ha attivato nel settore della formazione professionale per handicappati. La parte di finanziamento che la CEE ha assegnato di fatto la Regione non la spende e non compie tutto ciò che dovrebbe in questo settore. Non ho parlato né nell'interpellanza n nell'illustrazione che ho fatto di insensibilità dell'Amministrazione o dell'Assessore al problema degli handicappati, perché vorrebbe dire un processo alle intenzioni che non desidero fare. La conclusione più logica che si può avere è che qualche cosa non ha funzionato nel meccanismo regionale. Certamente un rischio di insensibilità, almeno amministrativa lo si corre.
Prendo atto che l'Assessore dichiara che non ha rinunciato all'idea di un progetto, magari articolato diversamente, devo però constatare che di fatto si è rinunciato a un finanziamento di circa 850 milioni.
E' un fatto abbastanza accertato, incontrovertibile che se non dimostra insensibilità, certamente dimostra disfunzione amministrativa e carenza sul piano organizzativo che di fatto nuoce al problema che affrontiamo, che di fatto sottrae risorse consistenti ai ragazzi handicappati.



PRESIDENTE

Le interrogazioni ed interpellanze sono così discusse.


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Proseguimento esame progetti di legge nn. 91, 125, 185, 192, 214, 244, 249 e 337: "Modifiche ed integrazioni alla L.R. 56/77 e successive modificazioni"


PRESIDENTE

Il punto quarto all'ordine del giorno prevede il proseguimento dell'esame p.d.l. nn. 91, 125, 185, 192, 214, 244 249 e 337: "Modifiche ed integrazioni alla L.R. 56/77 e successive modificazioni".
La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Incominciamola alla leggera, rilevando la singolarità di certe situazioni. Ad esempio, singolare destino, signor Presidente e colleghi Consiglieri, è quello della legislazione urbanistica piemontese: un destino che, non volendo scivolare nella banalità di un modo di dire anche troppo logorato, ben ci guarderemo dal chiamare "cinico e baro"; ma che, comunque dobbiamo almeno definire curioso e bizzarro. Si pretende, addirittura con arroganza, che il problema dopo estenuanti gestazioni, che sembrano sempre sul punto di concludersi ma che mai giungono a termine all'improvviso venga affrontato sul finire del mese di luglio, quando già si respira aria di vacanza ed ormai si fatica a tener dietro alla normale attività; e poi compiuto il rito della "messa all'ordine del giorno", si rinvia il tutto subito all'inizio del mese di, settembre, quando le difficoltà della ripresa e del ritorno a ritmi normali di vita poco si conciliano con argomenti di tanto spessore culturale e politico. Fu così sette anni fa allorquando Partito Comunista e Partito Socialista dovendosi varare il testo della nuova disciplina urbanistica, attorno al quale si andava discutendo da quasi due anni pretesero che l'esame del relativo disegno di legge si iniziasse a luglio inoltrato: anche se, sin da quel momento, a tutti era più che evidente che sarebbe stato giocoforza rinviare all'autunno (come poi, in effetti, avvenne) la votazione sull'articolato di quella che doveva diventare la legge regionale 56/77.
Ed è stato cosi questa volta, affrontandosi il dibattito sulle modifiche che, finalmente, a quella stessa legge ci si è decisi ad apportare: come allora, infatti, la maggioranza di sinistra, adesso allargata al Partito Socialdemocratico, ha voluto pur sapendo che il rinvio della discussione era inevitabile la presentazione in anteprima, fra le calure estive, del provvedimento: anche se, come poi diremo più avanti, i medesimi presentatori risultavano avere, in proposito, idee tutt'altro che chiare, tanto da indurre il relatore Simonelli a proporre un irrituale "supplemento di consultazioni" nel periodo intercorrente tra la voluta anticipazione del disegno di legge ed il suo esame forzatamente differito indice anche questo, ma non solo questo, dei contrasti, delle incertezze delle divisioni che sono presenti tuttora all'interno dello schieramento maggioritario. Non è ozioso stare ad interrogarsi sul perché di tutto questo: e noi crediamo che la risposta alla domanda vada trovata, come già nel 1977, soltanto nello scoperto intento della giunta rossa di perseguire obiettivi artificiosi di immagine esterna e di dare prova illusoria della sua vitalità. Ed allora, parliamo pure di tanto preteso efficientismo che il governo di sinistra vorrebbe vedersi accreditato per questo solo fatto.
Parliamone: per subito dire con serenità, certo, ma anche con fermezza l'impegno operante, la concretezza reale, l'efficienza fattiva di questa maggioranza nell'abbordare la revisione della normativa urbanistica vigente, andavano dimostrati in ben altro modo e ben prima d'ora: cioè, nei lunghi anni trascorsi invece senza nulla concludere, continuando ad ignorare la situazione dell'edilizia piemontese, che andava sempre più aggravandosi. Dal 1980, tempo ve n'è stato a sufficienza per dare prova solo che vi fosse stata adeguata volontà politica di portare avanti le necessarie modifiche alla legge regionale 56: perché solo ora si è chiamati a discutere di una nuova disciplina che, per ben che vada, come anche ammesso dall'Assessore all'urbanistica Calsolaro, in un'intervista rilasciata al quotidiano "La Stampa" potrà produrre i suoi effetti solo al termine di questa legislatura? Ma che cosa hanno fatto Partito Comunista e Partito Socialista in tutti questi anni, durante i quali le richieste, le premure, le sollecitazioni per una riforma della "legge Astengo" invano sono andate moltiplicandosi, sempre infrangendosi contro un muro di svogliata attenzione quando non di indifferente silenzio? E cosa ha fatto in particolare, il Partito Socialdemocratico che pure, quattro anni or sono, aveva tentato di giustificare, o forse di nobilitare, il suo vergognoso voltafaccia post-elettorale assicurando di voler ottenere, quale prioritaria contropartita per l'ingresso nella giunta rossa, proprio la correzione sollecita ed approfondita della 56? La verità è che un'intera legislatura è stata consumata in questa attesa: per cui, quelle che ora debbono essere rimarcate sono piuttosto le colpevoli lungaggini dell'esecutivo regionale, confuso e diviso al suo interno, responsabile "in solido" ed in ogni sua componente - P.C.I., P.S I., P.S.D.L. - del ritardo accumulato.
Tanto ci correva l'obbligo di sottolineare ai fini di una corretta impostazione di questo nostro intervento. Che, adesso, pensavamo di poter subito indirizzare allo specifico esame delle modifiche proposte alla legge 56. Sennonché, nella seduta di giovedì scorso, è accaduto qualcosa di importante che, a costo di prolungare nel tempo il nostro dire, non crediamo di poter lasciar passare sotto silenzio.
Ha incominciato il collega Biazzi, con una provocatoria anche se scontata difesa della "legge Astengo", ed ha proseguito lo stesso professor Astengo con il ribadire, appassionatamente, la perdurante validità della sua creatura. Ora, se l'intervento del Consigliere Biazzi non è stato tale da introdurre novità dirompenti nel dibattito in corso, essendo largamente prevista la posizione che il Gruppo comunista avrebbe assunto a formale rivendicazione della bontà della normativa urbanistica vigente: l'intervento, invece, del Consigliere Astengo ha rappresentato una vera e propria dissociazione dal provvedimento che ora la maggioranza si accinge ad assumere e si è risolto in un'impietosa critica all'operato della Giunta di sinistra, trascurando per un momento questo aspetto, diciamo allora che l'uno e l'altro intervento, quello di Biazzi e quello di Astengo, obbligano anche noi ad alcune considerazioni riassuntive degli effetti negativi e positivi (ma, secondo noi, più negativi che positivi) provocati dalla legge regionale 56/77, una legge che la Destra Nazionale - ci piace ricordarlo proprio in questa occasione - ha combattuto sin dalle sue origini.
Ha detto in buona sostanza il professor Astengo che, se la legge ha fornito risultati discutibili, ciò è dipeso non certo da suoi intrinseci difetti ma, piuttosto, da inadempienze registratesi a livello regionale; e per motivare l'affermazione, ha parlato di una caduta di tensione cominciata con l'inizio della III legislatura; di mancati adempimenti di disposizioni regolamentari; di pesanti carenze nell'operato non solo di chi gli è succeduto nell'Assessorato all'urbanistica, ma anche di altri Assessorati, cioè a dire. dell'intera Giunta! Ed ha concluso, bontà sua giudicando del tutto inutili le modifiche proposte ad eccezione ed è stato forse un moto di involontaria ironia .., della correzione formale dell'articolo 45.
Non staremo a sottolineare, tanto sono di per sé evidenti, la gravità di queste affermazioni, che rappresentano come giustamente, anche se intempestivamente, annotato dal capogruppo della D.C., collega Brizio un fatto politico di eccezionale rilevanza, dimostrante una volta di più come questa maggioranza sia ormai frantumata e dissociata, tenuta insieme solo dal collante dell'interesse e del potere: non staremo a sottolinearlo, onde evitare che qualche imprevedibile ed estroso collega, che pensavamo essere come noi all'opposizione, abbia ad accusarci di inopportuna speculazione...
Restiamo pure alla difesa del professor Astengo, che, dal suo punto di vista non avremmo saputo costruire con altrettanta sofferta passione e che pertanto pienamente rispettiamo. Ma che, dal nostro punto di vista, invece dobbiamo contestare, convinti come siamo che il fallimento della legge oltre alle cause denunciate, sia anche e soprattutto derivato dall'impianto culturale e tecnico della legge stessa: cioè, dalla sua rigida astrattezza e dal suo paralizzante vincolismo. Non ammettevamo infatti ed era il 28 luglio 1977 che la "legge Astengo" andava annoverata tra gli atti fondamentali e le scelte qualificanti della Il legislatura regionale: non soltanto perché con essa il Piemonte primo fra le Ragioni a statuto ordinario si dava un'organica disciplina in materia di pianificazione e di gestione del territorio: ma anche perché, anticipando concettualmente la stessa legislatura nazionale in materia, non avrebbe mancato di provocare attraverso i mutamenti che fatalmente sarebbe venuta a suscitare una profonda quanto provvida crescita culturale dell'intera società piemontese.
Ma, dopo questa spontanea ammissione che voleva essere, in primis riconoscimento alla qualificazione, alla competenza, al valore del professor Giovanni Astengo, considerato nella sua veste di urbanista avente statura e fama italiane ed europee noi aggiungevamo però che la legge da lui presentata appariva ancora troppo ancorata a concezioni astratte paralizzanti ed utopistiche; e così precisavamo citiamo testualmente dai verbali di allora la valutazione che eravamo costretti a farne: "Noi pensiamo che, nella formulazione di un testo legislativo tanto vincolistico, abbia molto giocato in negativo l'impostazione teorica del docente universitario, più che il senso pratico dell'amministratore pubblico. Vale a dire che a noi sembra che, nell'elaborare questo disegno di legge, il professor Astengo si sia lasciato prendere la mano da una visione astrattamente dottrinaria del problema, in assoluto certo rispettabile anche se opinabile, ma di fatto slegata e scoordinata rispetto alla realtà di questa nostra Regione". E, nella dichiarazione di voto pronunciata il 28 ottobre 1977, così denunciavamo "Si sta per licenziare una normativa faragginosa, complicata, rigidamente vincolante ingiustamente punitiva, di difficilissima operatività, le cui conseguenze saranno pesantemente avvertite dal settore già in crisi dell'edilizia: un settore che, a parole, tutti dicono di voler rilanciare ma che poi, nei fatti, si continua a mortificare.
Questa legge esce mentre in Piemonte, per stare ai dati del 1976, le abitazioni ultimate sono diminuite del 5,4 per cento; nell'edilizia non residenziale vi è stato un calo del 17,2 per cento delle opere finite e del 7,8 per cento di quelle iniziate; nelle opere pubbliche, infine, si è avuta una flessione del 32,2 per cento nei lavori incominciati e dell'11,4 per cento in quelli in corso. Esce, mentre le previsioni per la fine del 1977 e del 1978 sono improntate al pessimismo più nero. Esce, mentre sul piano occupazionale il settore edile ha perduto nel 1976 circa 10.000 addetti rispetto al 1974.
Esce la "legge Astengo" e l'edilizia piemontese ne riceverà il colpo di grazia, mentre verrà ad accentuarsi lo squilibrio tra domanda ed offerta sia di abitazioni che di insediamenti produttivi".
Ebbene, tutto questo noi anticipavamo nel 1977, sette anni or sono. E giuste le nostre previsioni o anche, in ipotesi, fondata la denuncia del professor Astengo, questo è quanto si è puntualmente verificato.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la parte dei profeti di sventura non ci ha mai affascinato: ma non era possibile, anzi diremmo che era inevitabile, non prevedere quali negative conseguenze sarebbero derivate da una disciplina urbanistica che non teneva conto della situazione esistente in Piemonte e caratterizzata dalla presenza di ben 1209 Comuni, la maggior parte dei quali di ridotte o ridottissime dimensioni, con strutture amministrative assai limitate, con mezzi di bilancio più che modesti e, quindi, in gravi difficoltà nel fare fronte agli obblighi posti a loro carico per la formazione degli strumenti urbanistici.
Non era possibile: eppure, ben sette anni sono occorsi perch finalmente le sinistre si decidessero a prendere atto di queste semplici verità ed arrivassero ad ammettere, per bocca del relatore Simonelli, come può leggersi alla pagina 5 della sua relazione che: "1) è opportuno trattare in modo differenziato realtà territoriali che sono molto diverse tra loro, sia per dimensioni e dinamica demografica ed economica, sia per dimensioni e caratteri passati e previsti del loro sviluppo;" "2) non appare corretto fissare procedure e norme urbanistiche per interventi urbanistici differenziati, secondo le tipologie adottate ed il contesto in cui si inseriscono".
Revisioni, queste, che giungono troppo in ritardo e che, tra l'altro vedremo poi, nel seguito di questo nostro intervento, come sono state calate nella nuova normativa oggi proposta. Ma, nel frattempo, nei sette anni durante i quali le sinistre sono rimaste arroccate nella difesa ideologica della loro filosofia urbanistica che cosa si è ottenuto? Non la gestione del territorio, come forse i teorici programmatori si attendevano bensì la paralisi pressoché completa di qualsiasi attività del settore edile ... Tant'è che, in una nota diramata dall'Unione dell'edilizia, del Piemonte e della Valle d'Aosta e pubblicata dal quotidiano economico "Il Sole - 24 Ore" il 27 giugno scorso, si rilevava che "l'edilizia pubblica può garantire interventi nel complesso insufficienti a soddisfare la domanda di case" e si aggiungeva che "quanto all'edilizia privata, essa svolge ormai un ruolo ridotto nell'attività di produzione, e ciò in conseguenza di molte cause, la cui principale viene individuata nell'eccessivo vincolismo imposto dalla legge urbanistica regionale n.
56".... La stessa nota comunicava che gli occupati nelle imprese edili piemontesi erano diminuiti, in quattro anni, del 22,24 per cento passando da 43.550 a 33.886. Ecco, dunque, qual è il veritiero consuntivo della "legge Astengo": un bilancio negativo non certo imputabile soltanto a colui che questa disciplina urbanistica ha ispirato, permeandola della sua propria cultura: ma che, invece, deve essere addebitato al Partito Comunista, al Partito Socialista, anche al Partito Socialdemocratico, che la "legge Astengo" hanno caparbiamente voluto prima od accettato per tanto tempo sempre sordi ad ogni pur ragionevole critica. E che ora - messi davanti all'esperienza non soddisfacente accumulata in tutti questi anni affermano di volerla ancora difendere (Simonelli, pagina 15 della relazione introduttiva: "le modifiche proposte dalla Giunta e dalla maggioranza non si prefiggono l'obiettivo di ribaltare l'impianto tecnico-culturale della legge 56"): anche se si tratta di un'accademica difesa d'ufficio, formulata tanto per non perdere del tutto la faccia, essendo evidente che - almeno sul piano del principio, vedremo poi su quello della concretezza - questo progetto di legge, in molti dei suoi contenuti, suona come aperta sconfessione della più dura e più intransigente "linea" sinora seguita, che è invece rivendicato puntuale e diciamolo pure, coerentemente dal Consigliere Astengo. Perché adesso, ma soltanto adesso, le sinistre ci vengono a dire (ancora Simonelli, pagina 15 della relazione introduttiva) di "aver maturato la convinzione che una serie di punti nodali andassero affrontati, alla luce dell'esperienza e ponendosi nell'ottica non solo del legislatore, ma anche dei soggetti, pubblici e privati, che sono i destinatari e, in definitiva, gli "utenti" della norma. Ingenui e sprovveduti, noi eravamo da sempre convinti che una legge, qualunque legge dovesse essere finalizzata al bene pubblico, agli interessi legittimi cioè, della comunità tutta e dei cittadini suoi componenti: vale a dire degli "utenti", appunto, della norma; e studiata, soppesata, valutata secondo la loro ottica.
Il collega Simonelli, invece, la maggioranza di sinistra, la Giunta rossa se ne sono resi conto soltanto ora, dopo una "maturazione" protrattasi per sette anni! Ecco perché le responsabilità del passato, che sono precise e pesanti restano e non si possono cancellare con un colpo di spugna o con sottili giocherelli di parole. Restano e non si possono cancellare: anzi, debbono essere ricordate ed evidenziate soprattutto nel momento in cui dopo un'estenuante attesa anche aggravata dalla lunga crisi morale e politica che, nel 1983, ha colpito il governo piemontese - ci si e decisi alfine a pensare realisticamente ad una programmazione più operativa e coordinata mercé modifiche da introdursi nella legge regionale 56. Questa la precisazione, doverosa ed indispensabile, che - prima ancora di scendere nelle revisioni proposte per una nuova disciplina urbanistica - sentivamo di dover enunciare con forza: rammentare e ribadire le colpe inoppugnabili di quelle forze politiche le quali, anche perché legate ad una visione dogmatica e dottrinariamente settaria del problema, sono state causa prima e decisiva della paralizzante mortificazione fatta subire all'edilizia piemontese.
Detto tutto questo, signor Presidente e colleghi Consiglieri, possiamo anche affrontare nella sostanza l'esame del disegno di legge che ci sta davanti e che, peraltro, noi discuteremo soltanto nelle sue linee d'impostazione generale, lasciando ad altri il compito di un'analisi di merito più particolareggiata e meglio dettagliata.
Cominciamo, allora, cori l'annotare che una modifica della "legge Astengo", per risultare valida ed efficace, avrebbe dovuto mirare a questi tre specifici obiettivi: 1) precisare, rispettando l'autonomia degli Enti locali, il ruolo della Regione di guida, sì, ma non alternativo nelle scelte di pianificazione territoriale 2) fornire agli operatori del settore norme chiare, non contraddittorie ed oggettivamente interpretabili da tutti 3) snellire le procedure ed abbreviare i tempi relativi all'approvazione degli strumenti urbanistici.
Sotto questo profilò, ci si può dichiarare soddisfatti per quanto viene ora proposto, dopo tanto lunga e complessa elaborazione? Intendiamoci: un naufrago in procinto di affogare, si aggrappa anche ad una tavola di legno non sta a ricercare una scialuppa di salvataggio. Così, fuor di metafora, è presumibile, anzi lo diamo per scontato, che le modifiche proposte alla legge urbanistica vigente - anche se parziali, anche se confuse, anche se contraddittorie - verranno accolte con sollievo da coloro che si sono voluti chiamare "gli utenti della norma", in quanto permettono almeno di configurare situazioni e condizioni migliori rispetto alle precedenti. Di questo ci rendiamo perfettamente conto: ma pensiamo pure che compito primo del legislatore sia quello di tentare la definizione di leggi che possano risultare e buone e valide ed efficaci in assoluto; e non quello di accettare normative che rappresentino soltanto "il meno peggio" a confronto delle preesistenti. Ciò potrebbe parzialmente venire incontro ad attese diffuse oppure soddisfare interessi particolari: ma, nell'ottica di cui abbiamo detto, tutto questo non è ragione sufficiente per convincerci a giudicare favorevolmente quanto ora ci viene proposto. Noi critichiamo la troppo rigida disciplina urbanistica che al Piemonte si è voluto imporre: però, critichiamo anche le misure correttive che adesso vi si vogliono apportare: ma non si può riscontrare contraddizione alcuna in questo nostro atteggiamento quando precisiamo di agire così perché convinti che non di innovazioni radicali si tratti, ma soltanto di rattoppi in qualche modo apportati ad una legge che andrebbe e dovrebbe, piuttosto, essere rivista e ripensata dalla base.
Tutto questo diciamo non solo per chiarezza responsabile di atteggiamento ma anche per confutare riprendendo una tesi anche svolta dal collega Majorino il Consigliere Simonelli che, alla pagina 14 della relazione introduttiva, esprime questa sua considerazione: "Nel corso del lungo e proficuo confronto svoltosi in Commissione è parso talora come in uno di quegli straordinari giochi di riflessi che si verificano tra le superfici di più specchi disposti in modo non simmetrico che le formazioni politiche della maggioranza si trovassero quasi a dover giustificare le proposte innovative avanzate, di fronte alle formazioni dell'opposizione divenute a tratti i difensori più convinti della legge 56 così come essa è".
E' affermazione questa, che non possiamo passare sotto silenzio e che dobbiamo respingere come inesatta e capziosa.
Inesatta perché, almeno per quanto ci riguarda (ma, per il vero, ci risulta che la stessa cosa possa dirsi anche delle altre forze di minoranza) nessuna difesa della "legge Astengo", sia pure per motivi tattici o strumentali, è stata mai assunta dalla Destra Nazionale.
Capziosa, poi, perché cerca di insinuare la tesi di una maggioranza sensibilmente aperta alle innovazioni ed alla flessibilità di impostazione quasi non dovesse portarsi addosso, tutt'intera, la responsabilità del passato; e di una opposizione conservatrice, ciecamente chiusa ad ogni ventata di svecchiamento e di novità.
Essere critici sulle modificazioni ipotizzate, non vuole dire essere automaticamente a favore della legge 56, cioè per il mantenimento della situazione in atto: significa solo lo abbiamo già detto e vogliamo ribadirlo con fermezza che queste modifiche (modifiche, ha sottolineato il collega Picco, di carattere squisitamente elettorale) sono ancora ritenute inadeguate ed insufficienti a modificare lo status quo esistente. E cause giustificative di critica, di perplessità, di riserve, di dubbi, di incertezze .., sui provvedimenti che dovrebbero innovare la disciplina urbanistica in vigore, ne possiamo citare in abbondanza: sul progetto territoriale operativo, sul piano regolatore generale, sulla formazione approvazione ed efficacia del piano particolareggiato, sugli standards urbanistici .... Ma procediamo con ordine.



PROGETTO TERRITORIALE OPERATIVO

Il Consigliere Astengo lo ha impietosamente liquidato testualmente come una mostruosità giuridica, tecnica, operativa. Diciamo anche noi che l'istituzione di questo nuovo piano urbanistico - novità più rilevante del progetto di riforma - non può comunque essere accettata per molteplici motivi.
Sull'obbligo posto alle Regioni di legiferare - in mancanza di una legge-quadro in materia urbanistica - entro i limiti dei "principi fondamentali" che si ricavano dal vigente ordinamento; e, quindi, sulla dubbia legittimità del progetto territoriale operativo, non previsto da alcuna legge statale preesistente, il collega avv. Majorino ha già condensato, nella sua relazione, un giudizio che ci sembra essere ineccepibile e che ci esime, pertanto, d'aggiungere altre considerazioni d'ordine tecnico-giuridico.
Vogliamo però rilevare che, accanto alle ragioni portate, altre ve ne sono che rendono il PTO inaccettabile.
Anzitutto perché viene a costituire un duplicato di una strumentazione urbanistica già esistente ed appare destinato, pertanto, a provocare inevitabilmente ulteriori appesantimenti burocratici. A questo proposito, è da sottolineare la moltiplicazione dei piani urbanistici: da quelli di carattere generale a quelli esecutivi, che sono ben sette: il piano particolareggiato, il piano per l'edilizia economica e popolare, il piano delle aree per insediamenti produttivi, il piano convenzionato di libera iniziativa, il piano convenzionato obbligatorio, i comparti di intervento e di ristrutturazione urbanistica ed, infine, i piani esecutivi di opere pubbliche. Naturalmente, senza considerare il piano pluriennale di attuazione, che si colloca in una posizione intermedia ed equivoca tra i due gruppi. A tutti questi, si aggiunge ora il PTO: ci si permetta, allora di commentare che, meno si costruisce e si provvede alla pianificazione urbanistica in concreto - basti pensare alla situazione di caos di Torino senza Piano regolatore generale - più si incrementa una velleità astratta di confezionare strumenti urbanistici, senza alcuna rispondenza agli interessi concreti e diffusi della comunità.
Poi - secondo punto - perché da un lato viola l'autonomia dei Comuni stabilendo che le disposizioni dello stesso PTO abbiano immediata prevalenza sulla disciplina urbanistica comunale (ed è interessante o, se vogliamo, emblematico che siano proprio le sinistre, i comunisti in particolare, da sempre dichiaratesi paladine &n'autonoma funzione dell'ente locale, a prestarsi ora ad una simile sopraffazione...).
Contemporaneamente, dall'altro lato, nel momento stesso in cui esautora le amministrazioni locali, deresponsabilizza i Comuni medesimi, fornendo loro l'alibi perché non adottino il Piano regolatore generale: infatti ricordato che l'articolo 8 bis al punto e) così recita: "stabilisce le prescrizioni e le norme immediatamente prevalenti sulla disciplina urbanistica comunale vigente e vincolanti anche nei confronti dei privati" ci sembra lapalissiano concludere che una tale norma accentuerà la tendenza dei Comuni a non dotarsi di piani regolatori generali, onde evitare successive modifiche, imposte dalla Regione, con i progetti territoriali operativi.
Ancora - terzo punto - perché offre al potere regionale la scappatoia per rinviare sine die le scelte pianificatorie: infatti, la Regione abbandona, nella realtà, il compito che è suo proprio, vale a dire quello di procedere alla pianificazione generale, stabilendone i criteri di orientamento e di indirizzo, per venire invece ad assumere un ruolo prettamente operativo: così creando confusione sul piano delle scelte concrete e provocando contrasti con gli enti locali.
Infine, senza voler aggiungere, in quanto già trattato da altri e sarebbe il quarto punto delle nostre osservazioni perché si presta a sospette condiscendenze verso gruppi che siano dotati di ampi mezzi di pressione. Al riguardo, intendiamo solo ribadire che la norma, contenuta nell'articolo 8 quater, appare volutamente confusa ed equivoca: chi dovrebbe essere, di grazia, gli "altri operatori pubblici o privati abilitati alla formazione del PTO?". Nasce spontaneo il consistente dubbio che, a venir approvati, saranno quei progetti "sponsorizzati" da forze o cosche o mafie aventi rilevanti interessi economico-politici.
Se così dovesse succedere, come temiamo, ne risulterà acuita quella degenerazione del costume morale che macroscopicamente si è rilevata negli ultimi tempi, in particolare nella nostra Regione.
Ecco, colleghi Consiglieri, le riflessioni che sentiamo di dover fare sul PTO: nuovo ma discutibile strumento urbanistico con il quale si è voluta scegliere la strada della macchinosità burocratica, della compressione dell'autonomia locale, della mortificazione del privato: per cercare invece il consenso del grande gruppo di interesse, mantenendo inalterata l'attuale situazione di grave penalizzazione nei confronti dell'edilizia.



PIANO REGOLATORE GENERALE

Non vediamo ancora snellito l'iter procedurale dei Piani regolatori generali che, a nostro avviso, dovrebbero dare indicazioni di carattere onnicomprensivo lasciando invece ai vari piani particolareggiati il compito di disciplinare e di normare le caratteristiche di ogni zona. Invero, le modifiche apportate giustificano le non poche perplessità che abbiamo al riguardo.
Anzitutto - ed è il primo appunto - la facoltà riconosciuta ai Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti di approvare la delibera programmata contestualmente all'adozione del PRG, ci lascia dubbiosi: perché è vero che noi reclamiamo snellezza nella formazione dello strumento urbanistico (e la norma in oggetto, senza dubbio questa snellezza favorisce): però, in siffatto modo, cioè ipotizzando che un documento così qualificante dell'Amministrazione sia sottratto al dibattito politico, si viene ad eliminare l'unico punto di confronto tra maggioranza e minoranza esistente nell'elaborazione del piano regolatore.
Ancora - secondo punto - non ci trova consenzienti la norma - di cui al settimo comma dell'art. 15 - che esclude la ripubblicazione del PRG per le modifiche introdotte a seguito di osservazioni accolte: rileviamo anche qui che la celerità auspicata non deve realizzarsi in danno di coloro che potrebbero essere stati lesi nei propri interessi e che, pertanto, non vanno privati della possibilità di far valere le proprie ragioni.. La sola osservazione al preliminare limita, infatti, il diritto del cittadino in quanto non gli consente di potersi esprimere nel merito ad un definitivo che, pur simile al preliminare, potrà sempre, anche se in misura minima differire da questo.
Dobbiamo poi fare - terzo appunto - un'ulteriore osservazione, per la verità più maliziosa che sostanziosa, a riguardo del comma nono dell'articolo 15 in forza del quale si viene a sancire l'esautoramento dei Comitati comprensoriali del cui parere la Regione può tranquillamente fare a Meno, una volta che sia decorso il breve termine previsto di 60 giorni.
Ora, la cosa non ci preoccupa più di tanto, poiché la Destra Nazionale, ed essa soltanto tra tutte le forze politiche, non ha mai creduto nei Comprensori, ne ha sempre contestato la validità operativa, ne chiede anzi la soppressione come sovrastrutture inutili e dispendiose. Come la mettiamo, però, con 'l'affermazione di fede nell'istituto comprensoriale tante volte ripetuta da parte delle sinistre? Ci si spieghi, per favore questa aperta contraddizione tanto più evidente in quanto - mentre per l'urbanistica si fa riferimento al Comprensorio - per le opere pubbliche l'organismo programmatori e decisionale viene invece indicato nella Regione e, per i trasporti, nelle Province. E siamo giunti così al quarto appunto che dedichiamo al meccanismo di "salvaguardia attiva", assolutamente da non confondersi ammonisce il Consigliere Simonelli alla pagina 20 della sua relazione introduttiva - con il "silenzio-assenso" di nicolazziana memoria.
Meccanismo, questo, che ha tutta l'aria di essere una concessione fatta dal P.C.I. al P.S.I. ed al P.S.D.I., ci piacerebbe sapere in cambio di quale contropartita presente o futura, sul :piano politico.. Meccanismo che, a detta del collega Montefalchesi, si è introdotto nella normativa proposta con un autentico "colpo di mano", senza neppure interpellare i soggetti interessati, poiché la maggioranza, facendo valere in commissione il peso dei suoi voti, ha respinto la richiesta di nuove consultazioni.
Meccanismo attorno al quale, sul finire del luglio scorso, sono fiorite dispute, polemiche anche accese, a dimostrazione dell'importanza che a questa "novità" si attribuisce: e vediamo, allora, se e quanto ciò sia vero.
Diciamo subito che, in linea di principio, la "salvaguardia attiva" ci trova favorevolmente disposti: non è giusto, in effetti, che un Comune adottato il PRG, debba poi essere lasciato per mesi ed anni nell'attesa di decisioni che la Regione ritarda o, addirittura, omette di prendere.
Prevedere dunque, che passati senza pronunciamento regionale 360 gg, o forse 180 gg., se saranno accolte le tesi formulate attraverso emendamenti dall'Assessore Calsolaro nella riunione di maggioranza del 3 settembre il piano divenga operativo, può essere una misura apprezzabile. Sinora, tutto bene. Senonché, il relativo vantaggio viene ad essere immediatamente vanificato o, per lo meno, messo in forse, da quanto in seguito disposto, e cioè dalla facoltà riservata alla Giunta di bloccare entro la scadenza del termine dei 360 o dei 180 giorni l'attuazione in tutto od in parte del PRG: ed è qui che non ci siamo più. Perché è ben vero e lo si specifica nell'articolato che il provvedimento sospensivo può essere preso soltanto "per motivate esigenze di cautela", ma questa è dizione troppo vaga e generica per poterci tranquillizzare. Quali sono, quali potrebbero essere queste "motivate esigenze di cautela"? Basterà, ad esempio, la consegna di una cartografia inesatta od incompleta, per autorizzare l'intervento della Giunta e la conseguente interruzione dei termini? Ci piacerebbe saperlo: perché, così com'è impostata, la "salvaguardia attiva" non offre alcuna certezza rassicurante, ma è fatta dipendere soltanto dalla discrezionalità dell'esecutivo. Ed è superfluo aggiungere che, nelle decisioni da prendere si può essere "discrezionali" sulla base di ragioni di parte, di comodo, di interesse; si può essere "discrezionali" soltanto per privilegiare taluni Comuni piuttosto che altri; si può essere "discrezionali" anche solo per favorire i progettisti dei piani appartenenti ad una certa "area politica" anziché a quella opposta.
Ecco perché l'innovazione, così come concepita, della "salvaguardia attiva" alla quale, già lo abbiamo detto, pur potremmo essere favorevoli ci convince poco.
Se poi la riguardiamo da un altro punto di vista, ci convince ancora meno. La possibile automatica operatività del PRG, tanto per fare un esempio, quali garanzie per la tutela dei suoli potrà offrire in tutti quei Comuni ad economia agricola, dove peraltro è forte la spinta espansionistica proprio a scapito delle aree oggi utilizzate dall'agricoltura? Ed allora, se si intendeva - come giusto - creare le condizioni per una più sollecita approvazione dei piani, annullando i macroscopici e gravissimi ritardi della Regione ("120 piani sono ancora giacenti in attesa di esame presso il Comitato Urbanistico Regionale" ha confessato l'Assessore Calsolaro), non era forse preferibile magari raddoppiare l'organico degli uffici incaricati di eseguire le operazioni di controllo? Invece si è scelto introducendo il meccanismo della "salvaguardia attiva" ancorché troppo discrezionale, come abbiamo visto di optare per una "sfida all'inefficienza" della Regione che, dal limite dei 360 o 180 giorni a sua disposizione, dovrà o dovrebbe risultarne beneficamente stimolata.
Ma l'architetto Picco - di cui, sia detto tra parentesi, apprezziamo molto la rigorosa impostazione morale e concettuale che, a differenza di taluni suoi colleghi di Gruppo, lo impegna in una coerente opposizione a questa maggioranza - il Consigliere Picco, dicevamo, in una dichiarazione al quotidiano torinese "La Stampa" di qualche settimana fa, ha giustamente sottolineato che questa "sfida all'inefficienza", l'inefficienza finisce per ammetterla, anzi per legalizzarla.
Sull'altro versante il Consigliere Astengo ha definito la previsione della salvaguardia attiva come una dichiarazione di impotenza da parte della Regione.



STANDARDS URBANISTICI

Le modifiche, a questo riguardo, si intendono apportare alla legge regionale 56, non ci sembrano aver colto l'essenza del problema, che è poi quella di non dover sempre operare nel rispetto matematico degli standards stabiliti, in quanto ciò che occorre ricercare è la "qualità" del servizio non la "quantità".
Le norme sino ad ora vigenti, infatti, hanno soltanto determinato, in molti centri del Piemonte e soprattutto a Torino, dove se ne sono avute recenti e gravi dimostrazioni, il congelamento improduttivo di aree ed edifici, abbandonati in stato di assoluto degrado. Ed allora, essendosi dimostrato, con il trascorrere degli anni, che i vincoli a servizi non riuscivano ad avere attuazione, bisognava trovare il coraggio, davvero innovatore, di modificare radicalmente la metodologia urbanistica. Si sono voluti conservare, invece, i parametri di riferimento di tipo mq/abitante ma a nostro avviso senza la necessaria flessibilità: cosicché, ci sembra essere stato travisato lo spirito della legge, che non avrebbe dovuto mirare ad ingigantire il patrimonio immobiliare dei vari Comuni, con la conseguente ed inevitabile impossibilità gestionale; ma, piuttosto, tendere a dare al cittadino l'occasione di poter fruire di zone a servizi: in quest'ottica, gli standards urbanistici andavano opportunamente adattati alle varie realtà comunali, che sono tra loro diverse e non omogenee.



PIANO PARTICOLAREGGIATO

E' senz'altro da ritenersi positivo che l'approvazione di questo strumento venga ricondotta nell'ambito della competenza comunale.
Non riusciamo però a comprendere perché mai il piano particolareggiato debba assumere la sua efficacia soltanto quando la delibera di approvazione, divenuta esecutiva a sensi di legge, sia stata pubblicata dal Bollettino Ufficiale della Regione. O, quantomeno, avremmo ritenuto opportuno stabilire un termine perentorio tra il momento di trasmissione alla Regione dello strumento e quello della sua pubblicazione, onde evitare possibili e dannosi ritardi alla sua esecutività.
Anche questo appunto prova che la legge regionale 56 resta ancora appesantita da procedure troppo complesse.



CERTIFICATO URBANISTICO

Le argomentazioni addotte dal collega Consigliere Simonelli per giustificare l'introduzione di questa modifica non sono tali da riuscire a convincerci.
Non vediamo la necessità di questo documento, in verità reso superfluo dal fatto che le indicazioni che dovrebbe fornire si possono ricavare benissimo dalla strumentazione esistente. Perché delle due, l'una: o questa strumentazione urbanistica è già chiara, ed allora il cittadino interessato a realizzare un qualsiasi intervento non si troverà a dover affrontare tutte quelle difficoltà, che il relatore paventa, per accertare quali siano i suoi diritti e le sue possibilità giuridiche. Oppure, non è chiara: ma in tal caso, non è pensabile che la chiarezza possa farla... un Certificato! In conclusione, siamo del parere che, con siffatta novità, si venga a creare soltanto un ulteriore iter burocratico della pratica: che avviene, poi, nell'ipotesi che il Comune non abbia a rilasciare il certificato urbanistico entro i 60 giorni previsti dall'articolo 48 bis?



INTERVENTI SOGGETTI AD AUTORIZZAZIONE

Un'autentica "perla" sul piano della solita demagogia la troviamo all'articolo 56, secondo comma, laddove si recita che "l'istanza di autorizzazione per gli interventi di manutenzione straordinaria e di restauro e risanamento conservativo è 'Corredata dall'impegno alla conservazione della destinazione d'uso in atto e dall'eventuale dichiarazione che le opere stesse non richiedono il rilascio dell'immobile da parte del conduttore". In parole più comprensibili, questo significa soltanto che non si possono fare lavori edili di una certa consistenza quali quelli previsti dalla legge 457, per la conservazione di edifici qualora questi risultino abitati! Ma allora sarebbe stato molto più semplice dire che, con le abitazioni occupate da inquilini, non vengono rilasciate autorizzazioni ....
SANZIONI Le sanzioni conseguenti all'annullamento dell'autorizzazione sono state previste dalla legge statale 94/82 e giustamente vengono introdotte adesso nella legge regionale 56/77. Non è accettabile, però, che il valore venale delle opere eseguite in difformità oppure del danno causato, sia stimato dal Comune: noi riteniamo invece, che questa stima - cosi come già avviene per le sanzioni conseguenti all'annullamento della concessione - debba andare affidata all'Ufficio tecnico erariale.



COMITATO URBANISTICO REGIONALE

Infine il Comitato urbanistico regionale, sul quale peraltro c'è il pacchetto degli emendamenti presentati dall'Assessore Calsolaro.
Noi però dobbiamo ripetere ancora una volta che stiamo parlando del testo di legge distribuito e non come verrà ad essere emendato.
L'ipotesi formulata di riorganizzazione del CUR., così come la ridefinizione del suo organico, al contrario di quanto un po'enfaticamente annunciato nella relazione introduttiva, ci sembrano ancora restare oltremodo confuse e macchinose, tali comunque da renderci dubbiosi sulla possibilità concreta che questo organismo avrà di guadagnare snellezza ed efficacia operativa, quella snellezza e quell'efficacia operativa che, nel passato, sono venute a mancargli .... Più che un Comitato, lo si direbbe un'Assemblea, con tanti componenti, quando potrebbero essere sufficienti in numero ben minore, purché davvero tecnicamente esperti e professionalmente qualificati. In ogni caso, se anche non è stata ritenuta opportuna o possibile una composizione più agile, almeno si doveva recuperare in chiarezza: regolamentando con precisione i compiti ed i diritti di voto dei suoi componenti; precisando qual è il numero minimo richiesto per la validità delle sedute; esplicitando le funzioni del comitato riunito in forma plenaria da quelle del comitato che si riunisce, invece, in forma ristretta.
Noi, poi, avremmo anche inserito fra le norme, per garanzia dei cittadini, la previsione di decadenza dal CUR dopo due assenze consecutive: data la mole di lavoro che il Comitato è chiamato a svolgere, infatti, un impegno costante deve venir preteso dai suoi componenti.
Ecco, signor Presidente e colleghi Consiglieri: questi sono alcuni - e neppure tanti - dei rilievi, degli appunti, delle osservazioni che sentivamo di dover muovere al disegno di legge in esame. La loro elencazione, ancorché sommaria, forse è venuta ad occupare troppo tempo: e in questo caso, sentiamo di doverci scusare con chi pazientemente è rimasto ad ascoltarci.
Ma proprio l'ampiezza, o magari la puntigliosità, della nostra esposizione sono la testimonianza certa ed incontrovertibile dell'attesa che l'annuncio di modifiche alla 56 aveva suscitato in noi; 'dello scrupolo con il quale ci siamo accostati al nuovo testo predisposto; e poi purtroppo, della delusione da cui siamo stati presi quando abbiamo dovuto amaramente constatare la sostanziale inadeguatezza a sciogliere i nodi ed i problemi di fondo della disciplina urbanistica vigente.
Il Gruppo della Destra Nazionale, come faranno le altre formazioni politiche, presenterà, quando si passerà alla votazione dell'articolato una serie di emendamenti per migliorarne il contenuto: formalmente, quindi dovremmo attendere di vedere quale accoglimento avranno le nostre proposte e quale risulterà, da ultimo, il :testo definitivo della legge, prima di anticipare la posizione che andremo ad assumere nel voto finale. Ma opportuno ci sembrerebbe che, dopo questo dibattito, fosse la legge stessa a venire rinviata in commissione: perché tali e tanti risultano già essere gli emendamenti formulati (a dimostrazione di quante incertezze, divisioni ripensamenti sussistono non solo da parte dell'opposizione, ma anche della maggioranza) che è facile prevedere un esame difficile e tormentato.
Noi non formalizzeremo alcuna richiesta per il non passaggio agli articoli e per il rinvio della discussione: e tuttavia confidiamo nel senso di responsabilità dei partiti di governo perché autonomamente decidano di percorrere questa via, magari non raccogliendo la nostra proposta (proprio perché avanzata dal Movimento Sociale Italiano), ma ascoltando invece le sollecitazioni venute da altre parti, in primis dal professor Astengo.
Questa sospensione del dibattito darebbe una prova di responsabile comportamento perché discutere su di un testo di legge così indefinito e controverso è davvero assurdo. E tuttavia, se la pausa di riflessione non sarà concessa, allora dobbiamo dichiarare sin da adesso le nostre fondate critiche alle due modifiche più significative che ci vengono sottoposte (e cioè, il Progetto territoriale operativo e la "salvaguardia attiva") nonch le nostre diffuse e motivate perplessità in ordine all'utilità ed all'efficacia di altre misure, ai fini di una semplificazione e di uno snellimento della legge regionale 56. Legge che, ancorché modificata ed integrata, e resa quindi più tollerabile per gli operatori del settore urbanistico-edilizio, continua sempre a rimanere una disciplina troppo farraginosa e troppo vincolistica, alla quale adesso, nel tentativo di migliorarla, si è voluto cucire addosso, e piuttosto malamente a nostro avviso, una qualche pezza.
Diceva infatti il collega Biazzi durante il suo intervento - un intervento abile perché tutto indirizzato a dimostrare che le nuove norme non contraddicono le vecchie; ma un intervento sfortunato, in quanto seguito, subito dopo, dall'aspra difesa del vecchio contro il nuovo fatta dal Consigliere Astengo diceva, dunque, il collega Biazzi che la 56 (citiamo a memoria) è simile ad un abito al quale, adesso, per il mutamento della moda, si vogliono apportare delle modifiche: ma il taglio del vestito, ciò non di meno, resta sempre quello.
Ecco, appunto. Sono siffatti pasticciati rammendi che non ci convincono. E non accettarli, non significa, caro Simonelli, "aver timori reverenziali e diffidenze verso le novità" che poi, per un'assemblea legislativa com'è la nostra, sarebbero "segnali di insicurezza e di poca fiducia nel proprio ruolo". Significa, invece, chiedere che il vestito vecchio anche se modificato, sia abbandonato per un altro davvero più moderno.
Vuol dire, cioè, preferire ad un'urbanistica astratta, da tavola rotonda, da cattedra universitaria, un'urbanistica che sia veramente calata entro i problemi reali del territorio. Con questo, e con buona pace del relatore, crediamo d'essere stati anche noi d'una "coerente chiarezza intellettuale".



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il collega Turbiglio. Ne ha facoltà.



TURBIGLIO Antonio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la presentazione e la discussione della proposta di modifica della L. 56 pensavo dovesse ricreare in quest'aula un'attenzione, un interesse ed un'atmosfera che da molto tempo non si sentono più. Mi ero sbagliato. Basta guardarci intorno. Eppure qualcosa l'ho percepito negli interventi di giovedì scorso quando c'è stato un impegno e un'attenzione particolare, con attese nuove e con espressioni ansiose e tormentate sia nei valori politici che culturali, ma anche umani e personali.
Percepisco in questo momento che altri momenti forse arriveranno e assisteremo, in un crescendo di toni e di contenuti, ad uno dei dibattiti più importanti di questa legislatura. Per lo meno me lo auguro. E' naturale allora che mi sia chiesto le ragioni di quanto sta accadendo e di quello che potrebbe accadere.. Forse non accadrà niente e tutta questa tensione si scioglierà come una bolla di sapone, come spesso è già accaduto in questo Consiglio, disincantando chi come me si attende, oltre alle parole, fatti decisioni responsabili per grossi impegni che vengono spinti dal passato investono il presente, prospettano il futuro del nostro Piemonte.
Per cercare di capire al massimo quanto sta avvenendo, per potermi introdurre nella discussione e per poter esprimere un giudizio convinto superante l'effimero emergente con la limitatezza del dibattito temporaneo interessato e limitato, bisognava secondo me tornare indietro per rivivere i, momenti della preparazione, della discussione e dell'approvazione della L. 56. E così ho fatto. Sono andato a sfogliare gli atti del dibattito consiliare del luglio-settembre-ottobre 1977. Mi pare di aver fatto bene in quanto si è aperta per me un'immagine completa e precisa di un evento che ormai è nella storia della nostra Regione.
Emerge dagli atti come i Consiglieri di allora abbiano lavorato in un clima di operosità, entusiasmo e speranze ben diverse da quelle attuali. In parte questo derivava da una diversa temperatura politica che interessava in quegli anni la nazione, ma in parte derivava dalla consapevolezza nei Consiglieri regionali di essere attori ed artefici di un grande momento istituzionale. La nuova maggioranza che con una certa disinvoltura aveva assunto le mansioni di governo nel 1980 voleva dimostrare le sue capacità e sfondare con le novità di propositi e di azione. La minoranza sempre tesa a ribaltare una posizione della maggioranza definita innaturale ed incerta tentava di misurarsi con opposizione e collaborazione, forte dell'esperienza vissuta nella I legislatura, aiutata dalle conoscenze della gestione, dai funzionari, dall'apparato a lei ancora molto vicino.
Devo dire che la lettura degli atti sul dibattito di quei giorni è luna cosa avvincente, quasi affascinante e mi ha fatto vivere momenti di Consiglio regionale in cui mi può solo dispiacere di non aver partecipato.
Tutte le forze politiche per questa legge, si sono espresse in maiuscolo. La legge venne definita "legge parlamentare", legge poderosa legge di Stato, legge innovatrice, legge impegnativa, legge difficile legge necessaria, legge di spessore storico, di carattere letterario scientifico, giuridico e legislativo, legge incidente sulla qualità della vita. Il 29 luglio prende la parola l'architetto Astengo. Come giovedì scorso anche allora la sala è in un silenzio insolito, quindi impressionante, i Consiglieri sono tesi, attenti, la stampa è al completo il pubblico numeroso. Si sentono gli ultimi colpi di tosse anticipati per evitare ogni disturbo successivo. I banchi della Giunta sono tutti occupati, non come giovedì scorso e neanche come oggi. Gli Assessori non si allontanano, respingono le chiamate telefoniche e non leggono i loro incartamenti.
Anche questo non come giovedì scorso e come oggi. Le presenze dei Consiglieri sono al completo, non come giovedì scorso e come oggi. L'allora Presidente del Consiglio, Sanlorenzo non abbandona il suo seggio centrale non come giovedì scorso e come oggi. Il Presidente della Giunta, sempre Viglione, è attento, soddisfatto, certamente di più di giovedì scorso.
Astengo incomincia, ringrazia Calsolaro, allora Presidente di Commissione i collaboratori, i funzionari, gli esperti, ricorda che la legge è partita nel '75, ci sono voluti due anni di lavoro prima di arrivare in Consiglio ricorda i 60 enti ed associazioni consultati, le 55 sedute di Commissione rifà la storia del pensiero urbanistico su cui si è fondata la legge, torna indietro di 30 anni, si riaffaccia agli approcci culturali e politici del tempo, ai congressi dell'INU (Istituto Nazionale dell'Urbanistica del '48) critica la legge del '42. Ricorda il cosiddetto codice dell'urbanistica del '60, l'evoluzione urbanistica dei governi Moro, la legge 765, la legge 10 del '77; ma Bucalossi non è nelle sue grazie. Per la legge n. 10 Astengo ricordando storici giudizi di grandi personaggi dice soltanto "troppo poco". Eppure la legge è rivoluzionaria, distingue per la prima volta il diritto di proprietà del suolo, dal suo utilizzo discrezionale in funzione di interessi collettivi, con iter di formazione già diversificati nel tempo e nell'operatività, ma per Astengo è solo troppo poco, e di qui si pu capire dove Astengo, urbanista, politico, legislatore, vuole arrivare.
Finalmente nel '75 è la Regione a dargli le armi. Lui scende sul campo di battaglia, avanza con le sue truppe di sinistra, non del tutto disciplinate, ma sufficientemente, per aiutarlo ad occupare i 1 209 Comuni piemontesi; sottomette le amministrazioni locali, ne valuta le capacità pochissime secondo lui, ne indica le insufficienze e l'ignoranza, impone la sua legge sulla bilancia. "Guai ai vinti!". La 56 prende corpo con la sua normativa, i suoi contenuti, individua la tempistica, le finalità predispone le vigilanze ed indica le sanzioni. Astengo annuncia queste cose nel suo affascinante intervento del 29 luglio rafforzando tra l'altro una data che era gia data importante per la nascita del più famoso socialista pentito. Non si ferma però a presentare la legge, insegna anche a leggerla: 1) cucitura tra pianificazione territoriale e pianificazione locale 2) pianificazione emergente dal basso, dai Comprensori, poi gli eventi dimensionatori a livello regionale 3) piani regolatori generali, unico strumento con il codazzo di PDL, di piani particolareggiati, ecc.
4) partenza operativa con priorità alla fase politica che fissa gli obiettivi e la fase tecnica che si cala nelle realtà.
Egregi colleghi, io mi sono beato in tanta logicità di pensiero, di struttura, di operazioni previste a cascata, ma interconnesse, di meccanismi progettati, paragonati a quelli di un motore da montare pezzo per pezzo nel punto esatto per avviare il movimento e permettere un cammino sicuro, veloce, puntuale.
Ma oltre alla logica delle proposte, Astengo ci dà la completezza della sua visione e regola i centri storici, i centri ambientali, guarda all'edilizia industriale ed a quella agricola, pensa ai recuperi, ai risanamenti, a tutto il territorio e alle sue componenti, pensa anche all'orientamento dei balconi del canavese! Continua poi con una ricerca su tutto, con risposte per tutto, con regolamentazioni per tutto. Alla fine c'è però un attimo di riflessione per certi dubbi, sulle coerenze e sulle possibilità di aderenza della legge alla complessa realtà dinamica cui la legge deve guardare. Qualche certezza in Astengo pare si annebbi, si sente il timore delle verifiche con la realtà oggettiva, si sente il tradimento della realtà che sfugge e si ribella alle precisazioni assolute. Nel momento in cui Astengo indica l'impostazione dell'analisi, dei valori e delle priorità, percepisce di essersi chiuso in una gabbia scientifica chiede la strumentazione scientifica che non esiste, ecco far capolino il Cartografico, sente l'insufficienza delle conoscenze sull'urbanistica reale, riconosce che esiste una dinamica che ne alimenta l'esistenza.
Questo è l'Astengo Che vuol convincere se stesso e dice a se stesso che la legge è aderente alla realtà "..., in caso contrario sono le sue parole avremmo fallito come legge e falliranno i piani conseguenti".
A questa incertezza Astengo reagisce e a tutto quanto la legge definisce, parametra, sanziona, sia nel senso numerico che discrezionale ed accenna a lasciare uno spiraglio per cambiare i parametri oggettivi che definisce opinabili e discutibili. Ma è proprio qui che si sente l'Astengo urbanista, mentre cade L'astengo politico, l'Astengo legislatore.
Non hanno seguito le intenzioni di apertura nella legge, non ne avranno dopo, durante la gestione, tanto meno possono averne oggi, perché non è proseguita alcuna ricerca in alcun intervento nei costi della legge per i quali si manifestano preoccupazioni. Perché il CUR, che non era Visto come complesso burocratico, come tribunale, ma piuttosto come appuntamento di critica e di proposizione, è rimasto invece nel complesso solo burocratico e di sentenza. Passano gli anni 70, nel 1980 la maggioranza di sinistra si riconferma questa volta di diritto e si ripropone alla guida del Piemonte ma Astengo deve lasciare. E' il quadrato di comando dell'urbanistica. Era appena iniziato un difficile atto chirurgico e il chirurgo se ne va. I Comuni erano stati occupati, ma la guerriglia ed i sabotaggi da parte dei barbari locali erano ancora violenti e consistenti. In una situazione tutt'altro che consolidata, il comando passa da Astengo a Simonelli Astengo ha detto giovedì che Simonelli è riuscito a distruggere una vittoria, ma di vittoria, in realtà, si può parlare. Oppure non c'è questa vittoria? Quale vittoria, se nel programma della Giunta del 1980 c'è il riferimento alla modifica della legge 56? E l'ingresso del P.S.D.I., in questa Giunta non era condizionato alla modifica della legge 56? Simonelli è venuto dopo, ha trovato difficoltà. Non possiamo incolparlo per quello che ha fatto, piuttosto per quello che non ha fatto. I comunisti quando mai hanno alzato steccati e fossi a difesa della 56? Quando mai hanno criticato la gestione della legge? Quando mai hanno avuto il coraggio della critica per le lentezze, per le storture che da tante parti si lamentavano? Astengo, il padre della legge, dopo l'80 sceglie la solitudine, da Presidente di Commissione rifiuta ogni attacco alla sua creatura, non considera i mugugni della maggioranza, ma neanche accenna a considerare le proposte presentate dalla minoranza in dispregio anche al regolamento consiliare.
Il Partito liberale, che con Marchini nel '77 aveva definito la legge di "retroguardia perché ingestibile", senza peraltro provocare angoscia nel suo proponente a tanta agitazione da tutte le parti politiche in Regione si illude che sia finalmente giunto il momento della verità e che tutti si dichiarino disposti a denunciare i limiti di una legge, grandiosa come disegno urbanistico, ma meschina per le impossibilità gestionali, il P.L.I.
che già nel '79 aveva raccolto in pochi giorni 10.000 firme per una iniziativa popolare di abrogazione, nell'impossibilità di fare una nuova legge, presenta una sua modifica chiara, poche e semplici parole ma realmente incidenti sulla gestione. E questo nel 1981. Il P.L.I. che ha riconosciuto alla legge tutto quanto di grande e di nuovo contiene in un disegno urbanistico, chiede alla maggioranza la coerenza, che Astengo conclamava quando diceva: "poniamoci sempre in posizione critica, pronti a rinnovare prima di tutto noi stessi ed il nostro apparato culturale". E anche quando diceva: "non tutto deve essere sempre conservato, quando manca il contenuto o velleitarie sono le ipotesi".
Architetto Astengo, lei il 29 luglio del 1977 ha citato un arabo, Ibne Caldum, perché sosteneva che un fatto storico è ricordato al massimo dalla mente dalla generazione che l'ha vissuto ed ha citato i sociologi americani per i quali il rinnovamento del patrimonio culturale avviene ogni cinque anni. Viva allora la coerenza se passati 7 anni, non 5, si vuole restare ancorati al mito della lunga durata dei piani quando i piani sono vostri! Non posso fare a meno di sottolineare ancora la protervia .del rifiuto a discutere le proposte del P.L.I. e delle altre forze politiche per tutto questo tempo, per dimostrare in fondo solo una grave incapacità di assorbimento delle critiche e delle proposte altrui.
Ancora da questi banchi della maggioranza dovremmo accettare di discutere modifiche presentate dalla maggioranza senza neanche un accordo sul testo licenziato in Commissione o annunci di emendamenti che arrivano a mo' di bollettini di guerra e che sentiremo presentare dallo stesso Assessore all'urbanistica, con articoli lasciati sospesi per una ipotetica chiusura unanimistica in aula, con nuove introduzioni di strumenti ambigui che nella maggioranza vengono definiti mostruosità. Una legge tortuosa come la 56 la si vuol modificare con il solo risultato di aggravare le procedure, di moltiplicare le complicazioni, di aumentare le incertezze sul diritto e invitare al contenzioso, se non alla collera, i Comuni ed i cittadini piemontesi.
Non è vero Presidente Biazzi che le modifiche rispettano l'impalcatura direi che la minano sempre di più con il PTO e con il silenzio-assenso. Che cosa resta del vecchio impianto? Questo però non è quello che ci preoccupa.
Ci preoccupa il fatto che la gestione viene peggiorata, gli articoli complicati, i significati sconvolti, soprattutto il diritto è ignorato.
Astengo punta l'indice accusatore su Simonelli, socialista come lui, ma è la Giunta che dall'80 governa la Regione e con la legge urbanistica si sono scontrati tutti gli Assessori perché i suoi risvolti sono stati gestiti in agricoltura, sul territorio, in sanità, nei trasporti.
L'urbanistica non è solo piano regolatore o mattone come spesso dice Viglione. Non è solo CUR, è anche viabilità, industria, artigianato recupero e risanamento. Tutti gli Assessori allora, tutta la Giunta ed il suo Presidente devono essere da lei dichiarati incapaci a governare e a gestire. Per tutti è giunta l'ora dell'autocritica, della verità. La legge comunque, non si può gestire. Non gli uomini ma le istituzioni hanno colpe.
Il mio Gruppo chiede alla maggioranza risposte a questi quesiti che intrecciano il politico con il tecnico, le enunciazioni con l'apparato, le posizioni con la volontà. Riteniamo che l'incapacità della Giunta a legiferare o l'impossibilità di esprimersi come maggioranza sia sufficientemente dimostrata con la presentazione di questa legge. Sono evidenti i compromessi: io permetto che tu introduca questa modifica che a me non piace, solo se tu mi permetti di introdurre poi questa parte che in definitiva annulla la tua proposta. E' questa la realtà che emerge dai nuovi articolati, e da questi emerge altresì un nulla effettivo proposto.
Continueremo ad approvare 100/120 piani regolatori all'anno e poi ci vorranno sempre 3/5 anni per renderli operativi.
Qualcuno farà i PTO, ma ci vorranno anche per loro approvazioni lunghe 3/5 anni. Su questi PTO i liberali non sono schierati contro a priori. Il PTO potrebbe risolvere certamente qualche caso, ma dipenderà da chi e da come sarà gestito, come tutta la legge d'altra parte.
E' una questione di gestione. Essendo un marchingegno tutt'altro che chiaro, esso potrà essere buono, cattivo, utile o stravolgente, potrà essere di tutto un po', a seconda di come sarà manovrato. Il PTO dovrà essere approvato dal Consiglio, ma quale informazione avranno i Consiglieri? Come verrà presentato il giudizio, come istruito, come illustrato? il silenzio-assenso è riferito a 180 giorni: stiamo attenti a non sfiorare il ridicolo. Nicolazzi nel silenzio-assenso a Torino, per esempio per un garage, ha fissato una tempistica che sfiora i 150 giorni la Regione Piemonte quasi medaglia d'oro alle olimpiadi di approvazione in 180 giorni, dovrà visionare un piano regolatore! Diventerà proprio brava! E per approvarlo in 180 giorni, il legislatore molto accorto ha considerato le modalità. Che cosa ha fatto? La legge prima si esprimeva all'art. 14 con 15 commi. Ora per accelerare si esprime con 25 commi. L'art. 16 che modifica l'art. 17 è una perla in fatto di varianti. Viene da chiederci perché i piani regolatori devono venire in Regione, se sono poi possibili le varianti :automatiche? Chiedo scusa, mi sono lasciato andare a commentare gli articoli. Non volevo entrare nel merito, per me l'articolato non esiste e non posso discutere un articolato, che non è votato e fissato da una Commissione.
Forse gli articolati da discutere non saranno neanche quelli che ci sono stati consegnati, saranno ripresentati in aula dalla maggioranza allora ne parlerò al momento opportuno. Ma mi chiedo se questa è una cosa seria! La storia, è proprio vero, non insegna niente. Nel '77, nella fase di approvazione della 56, dopo aver affrontato 464 emendamenti, di cui 239 accettati, il dibattito si chiuse il 28 ottobre con la richiesta dell'Assessore Astengo, a votazione ormai chiusa, di rivedere l'articolo 64 perché come era stato emendato contrastava con la legge nazionale! Allora Astengo vigilava in positivo, chi lo sostituisce oggi? Anche oggi corriamo terribili rischi di approvare delle leggi che contrastino con le leggi nazionali. Non so che cosa verrà fuori da questa discussione in aula, con articoli presentati, con emendamenti di maggioranza di cui si parla, ma di cui non si conosce il testo. Mentre Dibattiamo in questo Consiglio la legge urbanistica, all'esterno esplode il problema della casa, degli sfratti, a Torino si susseguono i crolli per l'abbandono degli edifici pubblici e privati; l'edilizia è pressoché ferma senza incentivi per quella privata e senza incidenza per quella pubblica. I sindaci delle grosse città vanno a Roma dal Ministro non si sa bene a che cosa fare, quasi un pellegrinaggio a chiedere miracoli. I convegni si ripetono, le discussioni si allungano, gli esperti pontificano, ma l'immobilità concettuale e propositiva è totale.
Anche di questi problemi la maggioranza in Regione si deve far carico con le sue proposte. Non basta dire che la crisi dell'edilizia è nazionale, è europea e che c'è anche fuori dell'ambito della 56. Si cominci a ritenere la 56 un aggravio di situazione, più grande di noi; si cominci dalla nostra legge a dare dei segnali di aiuto, di sprone. Se con le modifiche si intende uscire dalla gabbia a maglie troppo strette della legge piemontese è necessario riconoscere che con i concetti rigidamente accademici per i quali ci siamo espressi con il dovuto rispetto, non si riuscirà che a governare le più insignificanti trasformazioni edilizie, senza riuscire mai a guidare invece le grandi trasformazioni che possono incidere e qualificare realmente una ripresa.
Noi liberali non siamo qui oggi sono per seguire linee di principio, ma per invitare la Giunta ad adeguare la legislatura regionale alle grandi trasformazioni della società, a renderla disponibile anche oltre gli schematismi normativi, a chi il territorio lo registra non come astratto modello fisico-organizzativo, ma lo vive giorno per giorno in termini di attività continuamente diversa, da aggiornare, da seguire, con un movimento perpetuo.
C'è un'esperienza europea a cui i liberali guardano, c'è una moderna cultura urbanistica europea che ci attrae e ci convince e di qui vogliamo proporre dei suggerimenti per un Piemonte che, credendo di avere alzato bandiere d'innovazione, in realtà, si è fermato con gli altri ma più degli altri essendosi isolato in progetti vecchi ed utopistici. In Piemonte come abbiamo spesso ripetuto, con una pianificazione ossessiva, non si sono distinte sufficientemente le esigenze delle grandi realtà urbane e metropolitane da quelle d'insieme dei piccoli Comuni. Alle prime realtà si possono riservare strumenti e meccanismi per il governo del territorio più sofisticati e particolareggiati, più attenti ad ogni situazione socio economica, più soggetti a logiche di controllo centralizzate. Alle seconde realtà bisogna invece lasciare più autonomia anche per l'insignificanza di tanti interventi richiesti e consolidati. Si è riveduta la delibera programmatica, ma forse si dovrebbe anche rivedere l'utilità dei PPA.
Certamente interventi non controllati possono portare ad un sostanziale cambiamento delle funzioni e dei disegni territoriali, ma la pericolosità di questi interventi ha gradi diversi da zona a zona, da caso a caso, da momento a momento.
Scopo di una legge regionale non è quello di dettare valori definizioni, parametri, validi per tutte le occasioni nel timore che gli enti locali non siano all'altezza di individuare le differenze e valutarle ma deve invece indicare un metodo propositivo e di controllo affinché le non omogeneità territoriali e culturali vengano colte, semmai esaltate localmente. Per-, ché impedire la trasformazione di edifici agricoli quando danno non c'è per l'agricoltura, ma solo vantaggio per soggetti nuovi operanti in agricoltura anche se solo a tempo parziale? Le trasformazioni del tessuto edilizio storico e ambientale non sono cose di per s distruttive, barbariche, si vincola piuttosto quando non si sanno proporre muove metodologie e sistemi di intervento rispettosi della continuità storica e propria dei nostri centri. Questa politica si scontra con i crolli, con l'acuirsi delle difficoltà di recupero, con le carenze di alloggi, con la crisi, con gli sfratti.
E' una politica vecchia, che speriamo di cambiare se non oggi, domani.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerutti.



CERUTTI Giuseppe

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, l'intervento del collega Turbiglio, che in sintesi ha rievocato il dibattito avvenuto in questa aula al momento dell'approvazione della legge 56, mi esime dal ripetere alcuni riferimenti. Ho riletto anch'io l'interessante dibattito avvenuto in quest'aula e la posizione del P.S.D.I., a quel tempo all'opposizione, che espresse voto contrario alla legge.
Non fu quell'atto frutto di un atteggiamento preconcetto dettato dal ruolo svolto in quel momento dal mio partito, ma la convinzione, che il tempo ha poi confermato, dell'astrattezza accademica, della logica penalizzante nei confronti dei Comuni e della difficile applicazione della legge "Tutela ed uso del suolo", così come veniva posta in approvazione.
La legge urbanistica rappresentava allora uno dei più importanti atti legislativi regionali dovendo saldare un passaggio di deleghe e di competenze dallo Stato alle Regioni in materia di programmazione, di pianificazione e gestione del territorio.
Era nota a tutti la carenza legislativa nazionale in materia urbanistica, ancora oggi rappresentata dalla legge 1150 del 1942, e l'inadempienza sostanziale del Comune di dotarsi di uno strumento urbanistico, PRC o PdF, premessa indispensabile per una corretta gestione del loro territorio.
L'ente Comune era perciò il maggiore responsabile del caos urbanistico che si è registrato dal dopo guerra ad oggi, unitamente però all'assoluta insufficienza di norme contenute nella legge statale che consentiva l'approvazione di lottizzazioni in continuazione senza disporre di un Piano regolatore generale, e la lungaggine burocratica per ottenere l'approvazione degli strumenti urbanistici generali.
Questo quadro evidenzia l'importante ruolo al quale veniva chiamata la Regione, ente periferico, vicino alle realtà comunali del suo limite territoriale, perciò maggiormente in grado di capirne la necessità ed i problemi, nonché operarne il recupero culturale in materia urbanistica attraverso un corretto rapporto di fiducia, di collaborazione ed una adeguata legislazione.
Con l'approvazione della legge 56 a nostro avviso si è operato in modo sostanzialmente diverso; i Comuni venivano considerati Enti irresponsabili da perseguire duramente con norme restrittive, e tutto il processo di pianificazione e gestione del territorio veniva accentrato in Regione sottoponendo ad essa anche l'approvazione di strumenti attuativi. La previsione di un blocco totale dell'attività edilizia era facile profezia così come l'impossibilità della Regione di esaminare nei termini prefissati tutti gli atti urbanistici comunali.
Nei confronti del collega Astengo noi intendiamo qui ribadire la nostra stima ed il rispetto verso le sue idee ed i concetti urbanistici, ma non possiamo condividerne l'espressione di tipo accademico e dirigistico che la legge 56 contiene.
Il Consigliere Biazzi ha paragonato il collega Astengo ad un grande sarto, lo concordo con lui, però anche un grande sarto deve prendere le giuste misure se non vuole rischiare di confezionare un abito di fattura impeccabile, ma di taglia non adatta all'interessato e realizzare così un capolavoro comunque inutile allo scopo.
Il Gruppo della D.C. ha interpretato l'appassionata difesa fatta da Astengo alla sua legge come un evidente sintomo di rottura nell'ambito della maggioranza ponendosi successivamente in una posizione di chiara contraddizione, volendo da un lato criticare aspramente la legge 56 e dall'altro accusare l'attuale maggioranza di incapacità gestionale della legge, così come, sostenuto dallo stesso Astengo.
Quando si ritiene che una macchina non è adatta a viaggiare su strada denunciandone una serie di gravi difetti, non si può poi sostenere per mero interesse che la colpa è dell'autista che non sa guidare; occorre prima modificare il mezzo.
Noi abbiamo scelto questa strada e ringrazio il collega Turbiglio di avere ricordato nel suo intervento che la modifica della Legge 56 era uno dei punti programmatici irrinunciabili posti dal nostro partito per fare parte di questa coalizione.
Abbiamo impiegato quattro anni per raggiungere il nostro scopo, forse troppi, e non vi nascondo che il dibattito è stato serrato ed in certi momenti anche difficile, ma l'importante era raggiungere lo scopo ed il dibattito di questi giorni ne è la conferma.
Qualcuno ha sostenuto che le modifiche apportate sono semplicemente rattoppi, frutto di defatinganti trattative; io sostengo il contrario ed al termine del dibattito anche i colleghi più scettici avranno modo di ricredersi e di apprezzare la radicale inversione di tendenza apportata alla legge, sia nei rapporti, sia nei contenuti con gli enti territoriali.
Si è tenuto sostanzialmente conto del ruolo di programmazione che deve essere svolto anche in termini operativi rapidi da parte della Regione senza ledere l'autonomia locale, anzi, rafforzandola con maggiore potere di autogestione territoriale.
I piani territoriali restano il cardine di tutta la programmazione.
L'accusa che dai banchi dell'opposizione ci viene fatta di ritardi nella loro approvazione è fondata; siamo giunti solo ad approvare gli schemi dei piani territoriali, ma vorrei richiamare l'attenzione dei Colleghi sui processi voluti dalle nostre leggi in materia di partecipazione.
I Comuni, le Comunità Montane, i Comprensori, le Province, i diversi Consorzi agricoli, idrici, dei trasporti, ecc., devono essere consultati e tutti hanno diritto di formulare proposte, ciò non rende sicuramente agevole il cammino di un piano territoriale. Noi ci auguriamo comunque di concludere questo lungo iter entro la scadenza di questa terza legislatura sperando altresì che le difficoltà economiche che hanno travagliato il Piemonte in questi anni possano essere superate e si possa contare su capisaldi fermi e sicuri di programmazione. Per questo abbiamo inserito il P.T.O. (Programma Territoriale Operativo) che oltre ad essere strumento attuativo, consente in casi di emergenza di operare in variante agli stessi piani territoriali.
Gli articoli che si riferiscono ai programmi territoriali operativi tengono conto in questa stesura anche delle perplessità espresse in Commissione; la Regione sarà la sola autorizzata alla predisposizione mentre le proposte potranno essere avanzate sia da enti pubblici sia da privati; tutto ciò per non correre il pericolo di un sovvertimento della politica economica regionale.
Il consentire infine che i PTO concordati con i Comuni interessati diventino automaticamente variante ai loro strumenti urbanistici, significa evitare estenuanti lungaggini burocratiche con spreco di risorse e tempi morti inutili, così come sta avvenendo attualmente per l'insediamento "S.I.TO." di cui tutti voi ben siete a conoscenza. Sostanziali ed importanti modifiche sono state apportate alla normativa generale a partire dalla differenziazione fra Comuni grandi e piccoli così come viene evidenziato nella relazione alla legge predisposta dal collega Simonelli.
Infatti i Comuni fino a 5.000 abitanti possono adottare la delibera programmatica contestualmente all'adozione della bozza preliminare del P.R., mentre i Comuni fino a 2.000 abitanti possono prevedere aree per servizi ed attrezzature quale dotazione nei loro strumenti urbanistici pari a 18 mq, per abitante.
Nel rispetto della norma statale in materia di standards urbanistici viene ammessa una aggregazione di aree per servizi destinate ad attività polifunzionali.
Potrà sembrare, come ha sostenuto il collega Astengo, che queste nuove normative premino Comuni inadempienti in ritardo con l'adozione dei loro strumenti urbanistici, ma non possiamo ignorare che ben il 47 per cento si trova in queste condizioni ed inoltre, quelli che sono stati sollecitati si trovano con i loro strumenti ormai in scadenza. La durata dei Piani regolatori estesa a 10 anni favorirà la programmazione comunale nell'acquisizione e nella realizzazione dei servizi con maggior respiro e senza scadenze temporali eccessivamente ridotte, soprattutto in un periodo quale quello attuale di vacatio legislativa in materia di espropri. Ma un'importante innovazione prevista nella modifica della legge 56 è rappresentata dalla così detta "salvaguardia attiva", cioè la possibilità di consentire ai Comuni, di fronte a ritardi o inadempienze regionali di applicare parzialmente alcune previsioni del piano regolatore dopo 180 giorni. Questa norma ha fatto discutere parecchio ed i colleghi intervenuti ne hanno dato interpretazioni diverse, alcune, a mio avviso, assurde.
Da qualche parte politica si è intesa questa possibilità edificatoria anticipata rispetto all'approvazione degli strumenti urbanistici lasciata ai Comuni, come una abdicazione regionale dei propri compiti ed una esplicita incapacità di rispettare i termini legislativi previsti.
Personalmente ritengo che questa disposizioni rafforzi il rapporto fra l'ente pubblico Regione e l'ente pubblico Comune, consentendo quanto già la legge statale n. 94, più nota come legge Nicolazzi, permette fra pubblico e privato. Ed io mi auguro anche che durante l'esame dell'articolato si possa ammettere, con un opportuno emendamento, l'immediata attuazione di queste previsioni di piano all'atto dell'adozione definitiva comunale dello strumento urbanistico senza attendere i 180 giorni previsti.
La capacità e l'efficienza operativa regionale va invece ricercata in una migliore organizzazione della struttura addetta alla relazione ed all'istruttoria dei piani regolatori, in modo da modificare questi due momenti di esame, responsabilizzando territorialmente i funzionari addetti.
In questo modo verrebbero evitati tempi morti assurdi, un più stretto collegamento fra atti comprensoriali e decisioni del CUR, un iter di approvazione più rapido, con piena soddisfazione di tutti i Comuni.
Per tutto ciò sarà sufficiente utilizzare la proposta di legge sulla modifica delle strutture che la Giunta presenterà quanto prima in aula.
Non intendo soffermarmi sulle altre modifiche contenute nella proposta di legge, avendo la possibilità di intervenire ed illustrarle durante la discussione dell'articolato.
Mi permetto però, a nome del mio Gruppo, di sollecitare il contributo positivo di tutte le forze politiche rappresentate in aula in modo di migliorare ulteriormente questa legge, assicurando sin d'ora la nostra piena disponibilità ad un dialogo sereno e costruttivo.
Una legge è patrimonio di tutti.
Questa legge certamente da sola non potrà far decollare l'economia della nostra Regione, ma potrà essere uno strumento valido per creare condizioni migliori di ripresa e consentire agli oltre mille Comuni di rispondere positivamente ed in tempi accettabili alle sollecitazioni ed alle condizioni particolari del mercato.
Se riusciremo in questo intento potremo dire di avere fatto il nostro dovere ed avere acquisito maggiore credibilità nei confronti degli Enti territoriali che si sentiranno maggiormente responsabilizzati e verso il mondo imprenditoriale che richiede maggiori certezze per correttamente programmare i propri interventi.
Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Borando.



BORANDO Carlo

Signor Presidente, colleghi, l'occasione di intervenire su questa materia l'aspetto dall'inizio della legislatura.
L'Assessore Cerutti ha ricordato che una delle condizioni che il P.S.D.I. avrebbe posto all'ingresso nella maggioranza sarebbe stata la determinazione a modificare gli aspetti riconosciutamente illogici da ognuno di noi, ed anche da voi, nei confronti di questa legge. Tuttavia rispetto l'intelligenza e la capacità degli uomini anche se hanno idee che io non condivido.
Se era illogico sostenere questo, bisognava tentare di modificarlo per tempo, non tanto per la soddisfazione di modificare all'inizio piuttosto che a metà legislatura con vantaggio e beneficio dei Comuni che sono stati penalizzati, ma soprattutto dei cittadini. Il motivo di questo io lo conosco: per tenere in piedi la maggioranza ci voleva anche il contributo del concepitore della legge 56, ma anche questa logica non fa premio.
Se mi consentite vi racconto la parabola della tartaruga e dello scorpione. Lo scorpione si trovava sulla riva del Nilo e dovendo attraversarlo ha chiesto alla tartaruga un passaggio. La tartaruga di buon cuore dice: "se vuoi ti porto". Ma insospettita si ferma e dice: "e se poi durante il tragitto mi morsichi che cosa accade? Dovrei morire". Al che lo scorpione dice: "sarebbe illogico, se faccio morire te, muoio anch'io".
Rassicurata la tartaruga parte. A metà del guado, dove la corrente era più vorticosa, lo scorpione, preso dal suo istinto omicida, beccò la tartaruga nel collo; questa venendo meno ha avuto ancora la forza di dire: " non avevi detto che era illogico?".
Caro Cerutti, tu eri lo scorpione, perché se non avessi voluto farlo questi problemi li ponevi in termini decisi e prepotenti, in termini politici fin dall'inizio.
In quel momento sarebbe stato un fatto politico appropriato. Il professor Astengo difende la sua legge e critica pesantemente la Giunta "fedifraga" e incapace di farla rispettare altrimenti avrebbe dato i frutti che lui si aspettava.
La verità è che leggi di questo genere con una congerie di condizioni così come sono concepite diventa impossibile o perlomeno difficilissima l'applicazione.
La complessità del congegno, la quantità e la qualità delle condizioni poste sono tali che un'amministrazione locale ed i tecnici preposti alla redazione del piano regolatore generale e di molti altri piani, inferiori o superiori al piano stesso, si trovano in obiettiva difficoltà per non dire impossibilità ad operare in tempi ragionevoli.
Nella filosofia della legge riconosco degli aspetti positivi, quella che è chiamata la cultura della legge: l'obiettiva necessità di limitare vuoi per la salvaguardia dei suoli fertili, vuoi per la salvaguardia di zone da preservare o da rispettare per realizzazioni di future grandi opere pubbliche, per il rispetto delle distanze da zone pericolose, zone franose per i vincoli idrogeologici di fiumi, torrenti, laghi, tutti aspetti logici che condividiamo. Ma, al di là di questo, rimane la filosofia della legge con l'imposizione degli standards urbanistici concepiti in rapporto alla popolazione, all'aumento o al decremento demografico, inaccettabile ed illogica, dannosa specie quando tale criterio si impone a tutti i Comuni della Regione Piemonte, da quelli più grandi a quelli più piccoli, siano in pianura, in collina o in montagna, abbiano una vocazione agricola o industriale o commerciale o turistica.
Né si tiene conto che, così come accade per il costume degli uomini anche per quanto riguarda il loro comportamento le situazioni si evolvono mutano in quanto sono conseguenti da fattori esterni, superiori alle volontà.
Cambiano le situazioni economiche, sopraggiungono le crisi, decadono certi tipi di produzione, altri si sostituiscono ai vecchi, mutazioni che necessariamente determinano il comportamento degli individui e quindi di chi li dirige, quindi dei Comuni.
Che cosa è cambiato in questi 8 anni? Dalle statistiche vediamo che Comuni che dieci anni fa avevano un certo incremento demografico che consentiva determinati standards urbanistici e un aumento delle costruzioni edilizie rispetto ad altri Comuni, ma oggi forse sono in difficoltà perché hanno degli standards abbondanti che non utilizzano perché nessuno più costruisce: mentre vengono penalizzati altri che proprio grazie all'evoluzione hanno degli incrementi di occupazione quindi esigenza di maggiori standards in rapporto all'incremento demografico.
Faccio un esempio rifacendomi alla costruzione dell'autostrada Voltri Sempione. E' un'autostrada che adesso è monca, che non serve ancora per quel che dovrebbe servire (collega Voltri ad Alessandria ed a Vercelli e raccoglie parte del traffico che viene dal Monte Bianco), ma quando avrà il suo sviluppo naturale, e si collegherà con il Sempione e magari con il San Gottardo (se per tempo la Regione privilegerà la realizzazione di certe aree, come la statale 34) quindi a partire dai confini di Casalborgone fino a Gravellona Toce toccherà zone risicole, paraindustriali e turistiche.
Allora, continuiamo a mantenere gli stessi standards urbanistici per Casalino, dove c'è la monocoltura risicola, per Nebbiuno, dove centinaia di famiglie di milanesi potrebbero installarsi, quindi ipotizzando quell'economia turistica di cui l'alto novarese sente tanto il bisogno soprattutto, in un momento di disinvestimento generale delle industrie pubbliche e private? Per volere leggi di questo genere bisogna avere il naso lungo tre volte. Ideale sarebbe stata una diversificazione delle fasce dei Comuni con diverse determinabilità di coefficienti di costruibilità secondo l'ubicazione, la natura, la vocazione delle diverse zone e dei diversi Comuni.
Questa è programmazione.
Molti cittadini del Piemonte hanno pagato un caro prezzo per questa impostazione, migliaia e migliaia di cittadini che circa sei/sette anni fa avevano un gruzzolo che era sufficiente per costruire una casa o per comprare un alloggio, non lo possono più fare perché i costi sono pressoch triplicati. Un operaio o un impiegato senza un alto reddito non pu spendere 100/110 milioni per comprare un alloggio o per costruire una casa.
E tutto questo in un momento in cui il tema casa è uno dei più drammatici.
Ci sono situazioni grottesche e ridicole. Un giorno mi trovavo in una frazione di un Comune di campagna dove un operaio voleva comprare un terreno di 700 mq, per farsi una casetta e che ha finito di non farsela perché il Comune gli imponeva un tot di verde pubblico.
Questo è ridicolo e grottesco in una zona dove c'è qualche migliaio di ettari di verde, dove ogni casa ha un giardino e un orto e dove c'è tanto verde da far venire la nausea. Capisco che è un'imposizione culturale, ma può essere necessaria e logica, nella grande città si deve garantire un tot di verde pubblico per ogni abitante, ma non è la stessa cosa per il Comune di campagna.
Comprensori, per 'quanto hanno fatto e fanno in rapporto alla legge urbanistica, sono stati più un danno che un vantaggio, non tanto in rapporto al loro modo di operare perché applicano la legge, quindi se si parla da un punto di vista sbagliato non si può che arrivare a una conclusione sbagliata, quanto ai tempi che sono sempre mediamente troppo lunghi.
Anche qui faccio una sola osservazione: per esperienza so che per produrre bisogna lavorare. Quando si lavora poche ore a ritmo lento, si produce poco.
I pochi concetti e le poche cose che ho detto si riferiscono soprattutto alle aree extraurbane, alle aree agricole, alla collina, alla montagna .
Spero siano utili suggerimenti per cambiare in meglio le cose, specie in un momento in cui il problema della casa e dell'occupazione sono tra i problemi più drammatici nel paese e in Italia.



PRESIDENTE

I lavori sono per ora conclusi e riprenderanno alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12.30)



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