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Dettaglio seduta n.266 del 13/09/84 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Proseguimento esame progetti di legge nn. 91, 125, 185, 192, 214, 244, 249 e 337: "Modifiche ed integrazioni alla L.R.. 56/1977 e successive modificazioni"


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Riprende la discussione generale sui progetti di legge nn.. 91, 125 185, 192, 214, 244, 249 e 337: "Modifiche ed integrazioni alla L R. 56/77 e successive modificazioni" di cui al punto quarto all'ordine del giorno.
La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Signori Consiglieri, a nome del Gruppo D.C. intervengo nella discussione generale sulle modifiche della legge 56, sapendo di puntualizzare posizioni già note, ma, proprio per questo, opportune nel momento in cui si vengono a delineare posizioni tattiche di collocazione politica diversa rispetto a queste modifiche che, come dirò in chiusura finiscono per assumere un significato emblematico di una collocazione di tipo strategico rispetto alla maggioranza, quando, in realtà la comunità piemontese attende queste variazioni da anni e i pesi e le ipoteche che sovrastano sulle dinamiche dello sviluppo, non solo per questa legge, ma anche per questa legge, insieme a comportamenti, atteggiamenti e criteri concettuali di gestione, stanno portando la Regione in una posizione di arretratezza rispetto alla precedente legislatura.
Al di là degli apprezzamenti che sono stati costruiti nel 1977 e negli anni seguenti con molta enfasi sul significato della legge 56, è bene che facciamo qualche puntualizzazione anche sulle affermazioni che sono state fatte dal relatore nella relazione alle modifiche. Si sostiene cioè con molta sicurezza la continuità di un processo non concluso che comunque è destinato ad approdare a lidi positivi.
Torniamo a dire che al di là di apprezzamenti che sono stati costruiti strumentalizzando l'apporto professionale, più che non politico dell'Assessore proponente, la legge 56 è stata la prima proposta delle maggioranze di sinistra con una impalcatura sufficientemente coerente rispetto ad obiettivi definitivi. Due obiettivi particolarmente voglio richiamare non tanto per la loro novità, ma certo per la loro velleitarietà, anche se erano obiettivi coerenti: 1) l'integrazione dei livelli di pianificazione del territorio che doveva essere conseguibile con il sistema dei piani, da quelli territoriali a quelli regolatori 2) l'efficacia dello strumento normativo come struttura qualitativa e operativa dei piani. Dal primo obiettivo avrebbe dovuto nascere quel sistema di modelli di pianificazione territoriale esteso all'intero territorio regionale e connessi tra loro, definito impropriamente "processo", ma in realtà pensato come un prodotto di una concezione centralistica della Regione. Nel secondo obiettivo la Regione si identifica con un ruolo che finalizza e condiziona gli spazi e le competenze degli enti locali, per ricondurre questa utilizzazione del contributo degli enti locali ad un ipotetico assetto territoriale si diceva allora corretto e depurato da tutte le distorte scelte e gli squilibri del passato. Certo di correzioni e di riassetti sono colmi non solo i documenti e le dichiarazioni, ma purtroppo anche le stesse relazioni alle leggi che abbiamo votato ed i documenti di programmazione di quegli anni e testimoniano il distorto fideismo negli strumenti legislativi e quindi in una norma redatta e voluta con i segni di contraddizione rispetto ai deprecati metodi di aggressione ed uso delle risorse territoriali. Se quindi l'obiettivo di riconsiderazione delle logiche di crescita urbana, di occupazione ingiustificata dei suoli, di ritorno alle politiche urbane come crescita della qualità di vita nelle città stesse fosse stato perseguito coerentemente, avremmo dovuto assistere ad una rapida e quindi strategica definizione dell'assetto territoriale a scala comprensoriale con i piani comprensoriali territoriali per farne derivare, con norme tanto rigorose e precise quali erano quelle della 56, un conseguente assetto transitorio comunale tale comunque da ribaltare modalità e quantità delle previsioni insediative fino allora ipotizzate.
Dobbiamo però ora constatare come il modello ampiamente apprezzato discusso ed analizzato anche da altre realtà regionali, come sostiene Simonelli nella sua relazione, non solo non ha prodotto il quadro di riferimento dell'assetto territoriale ma non ha neppure condizionato positivamente la normativa e quindi il contenuto dei pochi piani regolatoti redatti conformemente alla legge 56.
Quindi, fallimento del doppio processo di pianificazione e risultati quanto mai modesti quantitativamente e qualitativamente per gli strumenti urbanistici comunali.
Su questo credo che un'affermazione debba essere fatta, diversamente partiamo da valutazioni e considerazioni rispetto alle quali il senso e il significato delle modifiche si collocano in modo del tutto contrapposto.
Certo, non posso limitarmi a tale constatazione e non voglio sottrarmi al dovere di individuare le cause connesse più o meno direttamente alle responsabilità della Regione.
A 7 anni dalla promulgazione della legge 56 vi sono stati troppo pochi piani per poterli definire portatiti e coerenti di un quadro generale di nuovi modelli di insediamento, cosi come si era enfatizzato.
I piani sono certamente allineati ai contenuti normativi, ma nella generalità condizionati negativamente dall'assenza di creatività nell'individuare condizioni di concreto sviluppo e anche di corretto sviluppo, il che, tra l'altro, ha a che vedere con il rapporto tra la norma e la qualità dell'effetto prodotto. Volendo anche evitare confronti sulle proiezioni di crescita e quindi di espansione rispetto a ciò che era successo negli anni in cui tirava la crescita, non possiamo tacere che la verifica qualitativa sia ridotta ai contenuti formali, non sostanziali all'accettazione di parametrizzazioni o percentualizzazioni della crescita ammessa ad una prassi di eliminazione di tutto ciò che è difficile o problematico nel giudizio di approvazione dei piani regolatoti: invocando coerenze con i piani territoriali o peggio strozzando e soffocandone il ruolo in chiave solo limitativa, la Regione ha sì approvato dei piani coerentemente alla 56, ma parametrizzandoli e unicamente all'ottica del rispetto formale della norma, ma senza al.una indicazione di quei contenuti in positivo che tutta l'elaborazione della programmazione, anche a scala territoriale, aveva nel frattempo messo a disposizione dei Comuni.
Il cosiddetto regime transitorio è tipico della perversa confusione tra regime normativo e norma e regime nei confronti di strumenti quali i piani territoriali, i cui contenuti normativi a regime, e quindi durevoli, sono rappresentati dai vincoli, da tutte quelle analisi territoriali che normalmente si fanno prima di impostare un progetto territoriale.
Questa qualità a regime non è basabile e definibile con percentuali di crescita ammessa a scala comunale, come in fondo è ridotta a fare e a dire la 56 che, con il titolo decimo ha imposto delle decapitazioni quantitative che hanno un significato del tutto relativo se non quasi assolutamente disancorato dalle previsioni di dinamica contenute e nel piano di sviluppo e negli schemi di piano territoriale.
Semmai possono essere quantificate soglie di crescita e relative verifiche di congruenza nelle politiche settoriali, ma certamente tutto ci o è stato debolmente espresso o non ha portato ad indirizzi propulsori e non mortificanti delle già deboli convenienze che in questi anni si erano affacciate sul nostro sviluppo. Quindi il tema, che altri hanno sviluppato dei ritardi e dei condizionamenti nelle realizzazioni di iniziative anche a debole portata sul piano economico, uguale ad edilizie residenziali a livello di certi livelli medi-produttivi, le connessioni di questa edilizia rispetto alle convenienze di insediamento di attività, hanno nel bilancio di questi sette anni un costo che la Comunità piemontese sconta perch queste realizzazioni e questi interventi, per effetto dell'inflazione e di una complessiva filosofia dello scoraggiamento di iniziative personali ad affrontare un investimento, anche solo finalizzato all'area familiare hanno di fatto reso improponibili per sempre questi interventi, a meno che non si ribaltino totalmente certe condizioni di costi e certe condizioni di rapporti tra queste iniziative e le pubbliche amministrazioni.
L'arco di 10 anni di governo delle sinistre, con l'egemonia del P.C.I.
in Piemonte, sta per chiudersi ed il bilancio delle politiche urbanistiche territoriali non consente ai partners della maggioranza di attribuirsene meriti. Ho già avuto modo di dire come la vicenda del ribaltamento delle responsabilità pesi anche rispetto alla proposta delle modifiche. A noi pare troppo palese il gioco a distanza di voler da un lato non attribuirsi responsabilità sui ritardi della pianificazione territoriale e dall'altro non attribuirsi responsabilità sui ritardi della gestione urbanistica. Sono però responsabilità connesse, conniventi in un unico disegno, in un'unica filosofia di gestione che ha portato alla situazione nella quale siamo.
Ricordo come queste responsabilità che hanno delle precise paternità si siano incominciate ad esprimere negli anni 75/76, quando esperti, per esempio, in trasporti, misero in bocca o nella penna di Assessori risibili valutazioni sulle soluzioni dei grandi problemi della mobilità, dai problemi della dinamica dei decentramenti e quindi dalle modalità secondo le quali potevano essere perseguiti certi equilibri.
Pensiamo alle attrezzature stesse dell'area metropolitana, per la quale si erano sostenute le condizioni e le necessità di una ridistribuzione di attività in subpoli, però poi non facendo nulla dal punto di vista degli investimenti infrastrutturali perché ciò avvenisse. Ad esempio, Pinerolo aspetta ancora adesso un collegamento ed un'area attrezzata industriale opportuni, con tutte le conseguenze sulle opportunità a cascata che potevano derivare su un'area di quel tipo che pure ha delle forti suscettività e capacità di assorbimento di potenziali dinamiche economiche.
Non parliamo delle sciocchezze che sono state dette, con tutte le conseguenze che stiamo ancora vedendo nella stessa città di Torino, sul trasporto pubblico urbano. Taccio per questa parte. Non parliamo delle decisioni di non proseguire nella politica di investimenti avviati. Torino è una grande città che ancora non ha un sistema di depurazione dei rifiuti solidi urbani con tutte le conseguenze negative di miasmi. Anzi ricordo al Presidente della Giunta che esiste una interrogazione urgentissima fin dal mese di giugno su questo tema e alla quale credo che per imbarazzo forse la Giunta non risponde. Il ritardo con il quale la Regione sconta il piano dei siti per lo smaltimento dei rifiuti, è una delle esemplificazioni di come viene affrontato questo problema in un'area che produce rifiuti industriali e domestici solidi di quantità molto rilevante. Questa inversione di tendenza degli anni '70 ci eravamo illusi di correggerla o di modificarne gli effetti con una impalcatura di legislazione regionale che assorbisse assieme alla programmazione questo disancoramento, questo iato, tra le politiche cosi come erano nelle intenzioni delle nuove maggioranze di sinistra e le realtà che già erano in atto. Non dimentichiamo che le politiche si inseriscono su una delle realtà che proseguono, che hanno una loro comunque scontata dinamica di evoluzione.
Molti si erano illusi che questo iato potesse essere superato con questa impalcatura legislativa che, annessa agli strumenti della programmazione, potesse assorbire le contraddizioni di questi sviluppi e ripensare decisioni che fossero state prese inopportunamente. La programmazione per obiettivi sembrò rappresentare nel '76 un modo traumatico ma elegante e convincente di ricondurre la continuità nelle decisioni nell'alveo giusto. Le priorità nell'uso e nella destinazione delle risorse, la programmazione, soprattutto una programmazione partecipata dopo l'approvazione delle leggi sui Comprensori, ci illusero sulla possibilità di governare anche l'uso del territorio con gli stessi fideistici strumenti che la maggioranza di sinistra ci aveva proposto con l'impalcatura della legge regionale 56. Poi la realtà dei comportamenti e l'assenza di risultati hanno convinto tutti e non solo noi, che non era tanto questione di ritardi nei tempi della pianificazione, come sostiene Simonelli nella sua relazione, ma di volontà di perseguirla coinvolgendo o meno autonomie locali e ponendo il problema delle priorità al di sopra delle opportunità strategiche che l'amministrazione di sinistra ha sempre perseguito nell'uso delle risorse.. La volontà della Giunta si è inizialmente affacciata ai complessi rapporti con i Comprensori per poi abbandonarli a sé stessi, quanto prima e strategicamente, appena si è affacciata l'ipotesi della loro soppressione ed ora la programmazione è solo più una strategia spicciola di ricerca di consenso, di coinvolgimento nelle scontate esigenze di operare spendendo presto e male più risorse possibili ed i Comprensori finiscono per subire un ruolo di assecondamento di questo centralismo e di protagonismo assettorile. Ci spiace dover dire questo perché in fondo il coinvolgimento dei Comprensori non è attivo, ma è passivo. E' un coinvolgimento che li obbliga a subire in termini di mancanza di strutture e di impossibilità di partecipare continuativamente alla destinazione delle risorse e che si mette in condizione di subire impatti che sono certamente tali da svuotare completamente il loro significato e il loro ruolo.
Questo quadro pessimistico nel quale si inseriscono le modifiche alla 56, dopo varie proposte e suggerimenti, hanno certamente messo a nudo tutti gli aspetti carenti, le insufficienze e le storture concettuali. Credo di non averle enucleate sufficientemente tutte, ma di essermi sforzato di evidenziarle. Purtroppo non tutte le proposte di modifica alla legge 56 fatte dal 1981 ad oggi hanno trovato attenzione e non siamo così certi che le condizioni di operatività dei Comuni e le flessibilità delle norme siano state recuperate, come sostiene Simonelli nella relazione, con una dimensione di correzioni che abbia la necessaria incisività.
L'evidenza di ciò è data dal divario tra la nostra proposta di legge che risale al maggio 1981 e le proposte della Giunta regionale e l'ottimismo del relatore non pone nemmeno in conto tutte le opposizioni e le contraddizioni che esistono tuttora all'interno della maggioranza.
Credo sarebbe stato opportuno per lo meno coscientemente evidenziare queste posizioni, ancora dialettiche per definirle benevolmente, che sono tali da evidenziare posizioni differenti e collocazioni politiche diverse e quindi evidenziare la problematicità nell'affrontare una fase che può anche non affrontare tutti i problemi che sono sul tappeto, ma che per lo meno quelli che affronta, dovrebbe affrontarli con la consapevolezza di portarli definitivamente a soluzione.
I nodi possono anche non essere di facile soluzione ma la logica dello struzzo non giova né al merito né al metodo di questa revisione. Dobbiamo sottolineare come rispetto alle troppe cose che si sono affacciate in questa vicenda, solo alcune sono state prese in considerazione nel p.d.l.
377. Certamente sono carenti precisazioni ulteriori al di là delle invenzioni a tutti note del progetto territoriale operativo e del silenzio assenso sull'approvazione dei piani, sono carenti alcune correzioni che pure abbiamo evidenziato molte volte, che sono state riprese in proposte di legge nostre e di altre forze politiche.. Le cito perché qui non si stupisca se le decine e decine di emendamenti che arriveranno in aula affrontano di fatto questi nodi.
Questi nodi concernono ancora i problemi delle modalità e degli strumenti, ad esempio, per la pianificazione comprensoriale. Del problema dell'ufficio del piano come struttura prevista nelle nostre leggi, non se ne parla nemmeno, come se il problema non esistesse, come se fosse scontato che l'ufficio del piano è l'ufficio dell'Assessore alla pianificazione e quindi i piani si fanno in quella sede, tutt'al più con qualche benevola accettazione di indicazione e di suggerimenti di professionisti da coinvolgere con criteri di più o meno oculata lottizzazione.. L'ufficio del piano è uno strumento democratico che deve coinvolgere i Comprensori e le realtà locali e deve essere lo strumento di appoggio perché il piano non sia un documento che viene elaborato una tantum e poi venga chiuso in un cassetto e rimanga uno strumento inefficiente.. L'ufficio del piano è uno strumento di continuità che, nella misura in cui si attiva questa continuità, ne derivano effetti anche sulla pianificazione comunale, quindi atteggiamenti perché non si debba a un certo punto constatare come la realtà della pianificazione comunale procede a passi molto più celeri delle modifiche agli assetti di pianificazione comprensoriale.
Altre correzioni che non sono state affrontate sono le semplificazioni procedurali per quanto attiene all'elaborazione dei piani, il famoso problema del preliminare o meno, i tempi e le modalità dell'approvazione (e questo è uno dei pochi temi che traumaticamente è stato evidenziato).
Bisognava anche scendere nel merito dei tempi e nelle modalità di questa approvazione e constatare come si ponga l'esigenza della creazione delle strutture. Qualcosa sul discorso delle strutture credo di doverlo dire perché è un tema emblematico rispetto alle conseguenze che ne possono derivare dal punto di vista politico.
Il Servizio urbanistico regionale è una struttura che secondo l'art. 74 della legge regionale 56 doveva essere definita con legge regionale entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge. Sono passati più di sette anni e questi sei mesi si sono allungati.
Dopo nove anni di governo della maggioranza di sinistra, questi importantissimi settori della struttura regionale sono stati alternativamente oggetto o di rigida gestione centralistica, nella consapevolezza della ineluttabilità dell'Assessore full time e quindi di una presenza di controllo diretto di tutte le possibilità di utilizzazione delle strutture stesse. Alternativamente sono state oggetto, quando si sono modificate o le maggioranze o le composizioni delle Giunte, di una perversa logica di spartizione partitica o, peggio, di un totale abbandono all'inerzia dell'ordinaria amministrazione.
Tutto ciò è avvenuto con l'unica preoccupazione da parte delle forze politiche di sinistra di far salvi i principi della non ingerenza e belligeranza apparente in materie che avrebbero richiesto un elevato e continuo spessore di taglio politico ed organizzativo per dotare la Regione di strumenti minimi per poter operare.
Tipica di tale dissociazione è la netta separazione che si continua dopo anni di inconvenienti e di incomprensioni, a sancire di separazione della gestione della pianificazione territoriale rispetto a quella di strumenti urbanistici.
E' a tutti noto come non solo i 15 piani territoriali non siano stati portati a compimento, ma anche il bilancio di approvazione degli strumenti urbanistici sui quali l'Assessore Calsolaro ci ha fornito una edizione aggiornata delle statistiche del quale aggiornamento lo ringraziamo, ma è una edizione che ancora una volta evidenzia come la faraginosità del rapporto tra Comuni e Regioni abbia di fatto prodotto secondo la legge regionale 56 ben solo 145 strumenti urbanistici. Il che vuol dire che in questi sette anni la media di predisposizione di questo strumento urbanistico corrisponde a 20,7 piani per anno, il che vuol dire che per andare a regime con questo ritmo occorrerebbero 20 anni per avere 1209 piani.
Il ritmo di predisposizione ed approvazione dei piani si sta certamente accelerando ma è indice di una assoluta separatezza delle vicende relative all'adeguamento della struttura rispetto a ciò che muove intorno ad essa uffici tecnici comunali, le collaborazioni e le qualificazioni dei funzionari che debbono contattare i Comuni, la loro motivazione sul piano non solo della carriera banalmente e brutalmente espressa, ma anche di una dignità nello svolgere un compito e un ruolo che ha una delicatezza fondamentale che non può certo essere paragonata alla routine di altre pratiche amministrative o di altre formalizzazioni di esami preliminari.
Tutto ciò avviene come è stato evidenziato da altri oratori, per una scorretta utilizzazione delle strutture regionali ridotte al ruolo di feudi di potere politico, tenute volutamente separate e sottoutilizzate sotto il profilo numerico e qualitativo, depotenziate con il ricorso di collaborazioni esterne che, sia pure giustificate per le elaborazioni dei piani territoriali comprensoriali, ora si ipotizzano anche massicciamente per l'istruttoria e per l'approvazione dei piani.
Ci rendiamo conto di quali strade stiamo perseguendo e di quali caratteri qualitativi di motivazione al nostro personale stiamo dando? Questa logica ha portato alla deresponsabilizzazione dei quadri regionali già largamente strumentalizzati nella logica della spartizione tra Assessorati e quindi ha portato alla totale demotivazione, alla crescita qualitativa delle strutture prive ancora di un organigramma.
Se si andasse in corso Bolzano a chiedere chi è il responsabile di quella struttura, probabilmente ci si dovrebbe rivolgere all'Assessore o alla sua segretaria perché non si è in condizione di capire in quale forma di subordinazione rispetto a certi rapporti disciplinari di controllo di ciò che si svolge viene gestita la struttura di questi Assessorati. Non parlo solo dell'Assessorato all'urbanistica. Il discorso vale anche per altri Assessorati. Tutto ciò determina un rapporto con le Comunità locali che non ha mai rappresentato per le Giunte di sinistra un modo di qualificare il proprio ruolo, ma semplicemente uno strumento per accrescere lo spessore del centralismo e ha trovato in questo settore una precisa caratterizzazione, ha portato cioè a quella limitazione dei poteri dei Comitati comprensoriali, che in fondo è il disegno finale che si voleva perseguire, tanto da rendere ineluttabile la critica sulla sopravvivenza. E non si è mai affrontato in 9 anni di vita dei Comprensori il problema delle strutture decentrate.
La dotazione quindi di mezzi e di personale necessario ai Comprensori per svolgere compiti fondamentali quali la gestione del territorio, è rimasta relegata alla benevola concessione di minime presenze, a volte presenze solo legate a meri compiti di passacarte o di istruttorie comunque non responsabilizzate per l'urbanistica con delle precise valenze, nel migliore dei casi uno o due dipendenti esecutivi ed uno direttivo in missione per uno o due giorni la settimana nei singoli Comprensori. Questa è la condizione di efficienza nella quale operano le strutture decentrate del Servizio urbanistico regionale nella Regione Piemonte.
Non possiamo non denunciare questa carenza e queste gravi responsabilità politiche e possiamo anche capire che a un certo punto ci debba essere un alibi a questa coscienza di punto di non ritorno che si è raggiunta e quindi che ci possa essere l'invenzione del silenzio-assenso per autocostruirsi un alibi alla accelerazione dei tempi, dimenticando che queste approvazioni di strumenti urbanistici hanno delle implicazioni di tipo giuridico e formale anche rispetto agli atti della Regione che non sono facilmente assolvibili con decorrenze di termini, non sono facilmente assolvibili cercando di recuperare senza una visione sufficientemente unitaria e coordinata pareri del Comprensorio che potrebbero evidentemente essere non congruenti e in consonanza con le politiche generali della Regione; non sono conciliabili comunque con un'etica che voglia ascrivere alla Regione ruoli di guida della pianificazione e non ruoli di accettazione di logiche che possono essere logiche esterne di interesse pubblico e non logiche connaturate alla struttura istituzionale dell'ente stesso.
Venendo alle altre insufficienze, dobbiamo dire che la flessibilità delle norme per la redazione dei piani per quanto attiene alla capacità e densità insediative, agli standards urbanistici, ad alcune formalità, sia pure secondarie ma non sufficientemente espresse in termini di soglie rappresentano ancora delle rigidità sulle quali si possono operare dei correttivi sostanziali ed eliminare comunque un qualsiasi sospetto di volere con questi strumenti condizionare inutilmente le autonomie locali.
Penso che quando si condizionano positivamente il fatto produce effetti qualitativi, ma quando il condizionamento è inutile è improduttivo. Altri punti che rimangono da definire nel p.d.l. 377 sono alcune precisazioni sui piani per l'insediamento produttivo e sui piani per l'edilizia economica e popolare, manca assolutamente qualsiasi indicazione sugli strumenti attuativi della pianificazione territoriale, ad esempio, per quanto attiene l'aspetto paesaggistico. I piani paesistici sono strumenti che, sia pure disancorati dall'ordinamento istituzionale regionale, esistono in un ordinamento nazionale e noi dobbiamo tenerne conto e renderci conto che esistono parecchie aree del territorio regionale condizionate ai piani paesistici ma nessuno esce allo scoperto per risolvere questo nodo. Questo è uno dei punti che caratterizza il rapporto di rigidità che esiste tra la norma regionale e quella nazionale ed è un rapporto sul quale la legislazione regionale deve non dico esporsi per farsi bocciare le leggi dal Commissario di Governo, ma costruire delle possibilità per sciogliere alcuni nodi, per esempio per quanto attiene al problema dei piani paesistici e all'uso dello strumento comparto edificatorio che come è noto è l'unica possibilità concreta e reale di qualificare, a certe scale, la dimensione degli interventi; il problema del riuso che deve essere previsto soprattutto per il contenitore obsoleto come un tipico intervento complesso da aggiungere rispetto agli interventi dell'art.. 13; il problema del tipo di ruolo dell'amministrazione comunale nelle operazioni complesse dei centri storici sui quali il regime della convenzione deve trovare delle specificità in termini di contenuti, normativi e giuridici, che consentano di liberare le amministrazioni comunali da certi complessi nell'operare per non ricordare ancora una volta le norme per le zone specifiche che nella nostra legislazione regionale hanno delle specificità che altre Regioni hanno opportunamente evitato perché sapevano che erano tali le eccezioni che dovevano fare queste specificità che sarebbe stato totalmente inutile precisare in assurdo centinaia di metri di destinazione nulla o di arretramenti oppure di identificabilità sapendo poi di dovere ritornare su queste decisioni all'interno di una regolamentazione comunale che finiva per fare entrare dalla finestra ciò che era stato escluso dalla porta.
Per contro sono state riscontrate alcune valenze positive, quale l'approvazione degli strumenti urbanistici esecutivi. Rimangono pero alcuni vuoti sul sistema delle pubblicazioni e delle osservazioni e sui regimi della salvaguardia.
Tutto ciò, come ben capite, non può non rappresentare per noi motivo di insoddisfazione rispetto alle grandi dialettiche che stanno avvenendo su questa tematica, quasi sconcertati dell'arroganza, della presunzione di potere risolvere tutti questi nodi che ho cercato velocemente di enunciare con le due grosse proposte, quella sul progetto territoriale operativo e quella sul silenzio assenso.
Su questi due temi le nostre posizioni sono precise. Sul progetto territoriale operativo non siamo contrari all'ipotesi di un arricchimento dei contenuti progettuali della pianificazione territoriale proprio perch l'esperienza dei tempi e delle modalità di elaborazione dei temi territoriali ci ha ampiamente convinti, se ancora non ne fossimo convinti dell'inadeguatezza del ruolo di questi strumenti per affrontare i reali processi dello sviluppo. Il Piemonte ha bisogno di progetti territoriali ne siamo perfettamente convinti, per le sfide e gli appuntamenti che ci attendono, anzi, ci stupisce come da un lato questi strumenti vengano proposti sul piano legislativo e poi non vengano perseguiti sul piano pragmatico. In fondo, se è vero che la pianificazione approda all'ipotesi dei progetti, di questi progetti enunciati prima in 84 poi in 11, ecc.
dovevano pur essercene alcuni che meritavano l'attenzione di una elaborazione grafica progettuale e quindi tale da portare in Consiglio una proposta come quella di Sito o una proposta come quella sulle centrali nucleari che avesse una base di supporto, di verifica sul piano territoriale che fosse leggibile dai Consiglieri regionali. Di tutto questo per ora non si parla. Riferiamoci a questo strumento fideistico del proteo del PTO per affidarne poi l'invenzione agli esterni, cioè ai soggetti privati. Tutto questo per noi è un segno di contraddizione notevole, un segno di incertezza, di incapacità al governo dei processi di trasformazione del territorio. Deve quindi essere chiaro che noi, come non accetteremo mai che il piano particolareggiato o il piano di lottizzazione sostituisca il piano regolatore, perché l'uno è oggetto di una proposta finalizzata e settoriale, mentre il piano regolatore ha invece delle valenze di salvaguardia dei diritti pubblici e degli interessi pubblici di altra dimensione, così non accetteremo mai che il progetto territoriale operativo anticipi e sostituisca le previsioni territoriali e quindi sconvolga decisioni che devono essere assunte con garanzie di coerenza e tutela di interessi delle comunità e locali e regionali.
Un PTO per noi è accettabile se segue, sia pure a tempi molto accelerati, i piani comprensoriali. Nessun regalo quindi al protagonismo tecnicistico e dirigistico di questi nuovi strumenti.
Riteniamo che la pianificazione sia un atto politico, non un atto tecnico e come tale vada guidata e non imposta dalla Regione.
Sull'altro grave e nodale problema, il ritardo dell'approvazione degli strumenti e dei piani regolatori, siamo contrari ad ogni principio di abdicazione della Regione rispetto alle proprie responsabilità. Lo ribadisco in finale. Ammettere una implicita approvazione dei piani regolatori per decorrenza di termini vuol dire accettare la logica dei faccendieri, vuol dire riconoscere l'incapacità di un ruolo attivo per subirne uno passivo e di mera routine burocratica.
L'insufficienza numerica e qualitativa della struttura, che ho cercato di evidenziare, in particolare del Servizio urbanistico regionale, quando in altri uffici a volte il personale è sottoutilizzato, è un avvenimento non casuale e risale a logiche di conduzione centralistica degli Assessorati che dopo averla inaugurata e perseguita hanno dovuto arrendersi di fronte alla ineluttabilità dei ritardi che venivano crescendo.
Abbiamo elaborato delle proposte di correzione dei tempi per le varie istruttorie e per i vari passaggi in modo che sia possibile in 180 giorni dal momento in cui il piano viene inoltrato alla Regione, avere la sua approvazione. Credo che quando sancissimo il principio che, dalla data di esecutività della deliberazione della Giunta regionale, possono conseguire tutti gli effetti positivi in termini di rilascio di concessioni, in termini di atti preliminari per le lottizzazioni di tutto ciò che ha a che vedere con questo condizionamento, sei mesi sono più che accettabili e si possa superare il problema della pubblicazione del piano sul Bollettino Ufficiale per sveltire tempi che purtroppo l'uno sull'altro finiscono per crescere smisuratamente. Termino sottolineando come questo dibattito ripercorra polemicamente temi e versanti della gestione politica delle sinistre sulla quale in 9 anni di opposizione troppe volte ci siamo soffermati ed abbiamo dovuto costringere la maggioranza a ribaltare posizioni precedentemente assunte.
Il nostro ruolo di opposizione può anche essere gratificante per gli addetti ai lavori, ma certamente non consegue con la dovuta puntualità gli effetti che i temi e le dialettiche che sono in atto meriterebbero.
Questo lo riteniamo lesivo rispetto agli interessi della comunità piemontese e ce ne dispiaciamo anche se ci obblighiamo alla constatazione di questa insufficienza rispetto ai riflessi esterni che ne derivano, non tanto perché si sappia che cosa si fa in quest'aula, ma perché si sappia quali sono le opzioni che sovrastano le nostre scelte politiche e quindi le opzioni che sovrastano rispetto alle maggioranze che si possono costituire.
La misura degli effetti che produce sul territorio un'errata concezione del ruolo delle autonomie locali, una errata concezione dei contributi utili dell'iniziativa privata al miglioramento anche dell'assetto territoriale porta a delle valutazioni a volte paradossalmente contraddittorie, a volte tali da condizionare la norma attestandola su delle posizioni assolutamente ingiustificate.
Dobbiamo lamentare questo modo di agire e di operare, dobbiamo richiamare la maggioranza sulle constatazioni che ne sono derivate richiamandole come a volte se non esistesse quasi l'irrazionale spinta della pressione insediativa, quasi bisognerebbe reinventarla per attestarci comunque non sulle posizioni di sviluppo zero e di assenza totale di iniziative come ci stiamo attestando in questi anni. Questo è il dato che purtroppo emerge. Voi stessi siete al ricorso del Pro.te. o delle proposte dei privati, perché sentite che rispetto alla piattezza delle iniziative all'insufficienza degli strumenti di programmazione, bisogna sollecitare e quasi provocare l'intervento esterno per costringere le istituzioni a dare risposte celeri rispetto agli eventi in atto.
Siamo ben lieti che ci siano questo recupero e queste sollecitazioni siamo ben lieti che le proposte relative alle soluzioni progettuali sulla pianificazione territoriale provengano dall'esterno. Non vogliamo dire che rispetto al Lingotto, nella misura in cui vengono delle sollecitazioni e delle proposte dall'esterno, noi non dobbiamo accoglierle, anzi, questo ci impone tempestività nell'esame che è pari della qualità delle proposte e delle sollecitazioni che vengono espresse.
Tutto ciò non si deve confondere con ruoli di abdicazione di una posizione di guida e di controllo che la Regione deve continuare a mantenere, che non sono quelli di un protagonismo che nonostante la crisi dobbiamo continuare ad affermare come tipico della crescita qualitativa del nostro rapporto politico e quindi della evoluzione della nostra comunità.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Biazzi.



BIAZZI Guido

Signor Presidente, colleghi, il dibattito sulle modifiche alla legge urbanistica regionale è già stato, e sarà, ricco di spunti significativi ed interessanti dei quali la maggioranza terrà conto nel formulare gli emendamenti. La relazione del Consigliere Simonelli ha già inquadrato le proposte di modifica alla L.R. 56 e chiarito le ragioni che stanno alla base delle proposte della maggioranza. La relazione scritta, inoltre, è stata integrata da una esposizione orale che tutti abbiamo seguito con estrema attenzione (la rilettura del testo stenografico ha aumentato l'interesse).
La maggioranza ha apprezzato quella relazione e in essa si riconosce pienamente. L'adesione all'impostazione data dal relatore non è formale: vuole anche smentire alcune voci su presunti contrasti che ci sarebbero fra i 3 partiti che formano la Giunta e che hanno dato vita alle modifiche alla L.R. 56. il confronto su questi problemi è sempre stato molto pacato e non ha visto alcuna posizione precostituita.
Certo, ci sono problemi che non possono avere soluzione univoca, sui quali ci siamo confrontati e ci confronteremo ancora fuori da qualsiasi schema rigido. Ci sono state inesattezze della stampa. Non c'è stata nessuna riunione urgente nel mese di settembre; quella del 6 settembre era stata addirittura concordata nel mese di luglio.
Certamente ci sono ancora degli aspetti che meritano un approfondimento.
Il relatore ha già detto come le proposte di modifica alla L.R. 56 abbiano costituito un grande impegno da parte della Commissione, anche se va precisato che l'intensità dei lavori non è sempre stata costante. Si sono dedicate circa 30 sedute all'esame delle proposte di modifica ed è fuori dubbio che tutti i Gruppi hanno messo un grosso impegno; quasi tutti hanno presentato dei documenti sulle modifiche alla legge 56 o delle proposte di legge organiche.
Questo impegno da parte di tutti dimostra che la L.R. 56 è considerata unanimemente come un corpo organico di norme serio, che scaturisce da un solido impegno tecnico-culturale, che ha l'obiettivo di configurare un modello di pianificazione territoriale ed urbanistica integrata con la programmazione economica.
Questo impianto ha spinto tutti oggettivamente a un confronto molto serrato.
Del resto è stato ripetutamente rilevato dal relatore come la L.R. 56 costituisce da anni un vero e proprio modello di riferimento per la cultura urbanistica non solo del Piemonte ma dell'intero Paese. Il collega Turbiglio, illustrando le proposte del suo Gruppo in Commissione, riconobbe onestamente che era difficile por mano a modifiche in un tale corpo giuridico sorretto da una forte coerenza interna.
Usò un'espressione felice, paragonando la L.R. 56 ad un abito creato da un grande sarto dal taglio inconfondibile, cui è appunto difficile apportare rettifiche senza rischiare di comprometterne la linea e l'armonia. Il grande sarto, come tutti sappiamo, è il collega Astengo, ex Assessore all'Urbanistica, che mise la sua scienza e la sua dottrina al servizio della Comunità Piemonte e di questo gliene siamo profondamente grati. Pensiamo che la L.R. 56 abbia segnato un momento alto nella gestione del territorio nella nostra Regione. E un giudizio chiaro e netto che demmo quando approvammo la legge che confermiamo senza ambiguità ora.
Costituì dopo il 1975 una svolta nell'uso del suolo in Piemonte. Cito un articolo del Consigliere Astengo apparso su "Mondo Operaio" nel giugno 1979 dove scriveva, testualmente, riferendosi al periodo precedente: "Troppo irresponsabilmente lassista si era dimostrata negli anni del boom edilizio la politica territoriale ed urbanistica degli enti locali più rappresentativi, condotta a tentoni, senza definitive scelte prospettiche e senza un puntuale controllo sull'uso del suolo... Né le varie Giunta di centro, di centro-destra e di centro-sinistra della prima legislatura regionale, si erano date carico dei problemi di questo settore.
Recuperare il tempo volontariamente perduto nella lunga inerzia legislativa ed amministrativa appariva dunque assolutamente necessario alle nuove Giunte di sinistra. Tutt'altro che semplici e rapide si prospettavano però le operazioni occorrenti per uscire dal groviglio di problemi ereditati in quell'estate del 1975".
Dal confronto tra le due situazioni emerge indubbiamente che il passaggio dal vecchio al nuovo è stato dirompente.
Questo passaggio ha dato vita in Piemonte ad un dibattito anche aspro sulla normativa urbanistica; probabilmente il più aspro tra i dibattiti che ci sono stati nelle Regioni. La legge regionale 56 è stata ed è ancora per alcuni versi oggetto di duri attacchi, è indicata come causa di tanti nostri mali a cominciare dalla crisi edilizia.
Le sono state gettate addosso colpe che, se mai, sono più della Regione, come macchina burocratica, o dei Comuni come organi di pianificazione locale e perfino dei tecnici di cui i Comuni si avvalgono.
Mi riferisco agli errori di forma dei progetti di piano che arrivano in Regione e che sono stati rilevati dall'Assessore e ripresi dal collega Majorino.
Il tempo però mi sembra abbia già fatto in parte giustizia di molte accuse sommarie. Anche sulle modifiche alla legge il dibattito è più vivace che altrove. Molte leggi urbanistiche sono state modificate senza sollecitare un dibattito così acceso, il che può anche essere un segno positivo, di vivacità e sensibilità su questi problemi nella nostra Regione.
Una delle molte accuse fatte alla L. 56 era che è una legge inapplicabile. I dati che l'Assessore Calsolaro ci ha fornito ci indicano che, anche se con difficoltà soprattutto nella fase iniziale, essa è già stata applicata da circa il 50 per cento dei Comuni, che si sono già dotati del piano regolatore generale. A metà circa del mese di luglio scorso erano 516 i piani regolatori adottati od approvati, molti altri Comuni hanno i progetti in itinere. Questo è il bilancio di 7 anni di gestione della politica urbanistica della Regione.
La legge ora è riconosciuta valida, nessuno mette in dubbio che sia una legge con un solido impianto (questo ci da già i termini del confronto con il periodo precedente privo di una politica urbanistica) anche se non vanno dimenticati i problemi della gestione della politica urbanistica della Regione.
Non siamo d'accordo con il Consigliere Majorino che nella sua relazione sostiene che la causa della crisi edilizia sia da ricercare essenzialmente nella legge 56.
Innanzitutto la crisi investe molti paesi del mondo occidentale, come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Germania, dove da tempo si è avviata la politica dello smantellamento dei cosiddetti lacci e laccioli.
La crisi edilizia esiste in tutta Italia.
Il "Sole 24 Ore" parla di edilizia sempre più in crisi. A Milano in 7 mesi sono stati presentati 750 progetti. A Genova l'attività è calata del 50 per cento.
Sono città in cui non vige la 56 ma la crisi è altrettanto grave. A Genova sono state ultimate nel periodo 80/83, 7800 abitazioni di edilizia pubblica contro le sole 814 dell'edilizia privata.
Questi dati ci rimandano a riflessioni più complesse sulla crisi edilizia nel nostro Paese. Sempre il "Sole 24 Ore" dice: " i segnali sono sempre negativi. La crisi edilizia resta e, in assenza di una politica della casa più moderna e proiettata verso le esigenze future, appare destinata ad acuirsi".
Ci sono i problemi di aggiornamento anche della 56 ma i problemi di fondo stanno in queste affermazioni che condividiamo. Da parte nostra c'è il riconoscimento pieno e convinto del valore della L. 56, della svolta che ha segnato in Piemonte, del contributo che ha dato alla crescita della cultura urbanistica degli amministratori, della gente in Piemonte. Allora perché le modifiche? Innanzitutto non possiamo nascondere quali e quanti mutamenti sono intervenuti all'interno della Regione dal 1977 in poi. E non erano nemmeno prevedibili con questa intensità i mutamenti che sono intervenuti.
Basta pensare alla Fiat, che nel 1980 programmava ancora di assumere nuovi dipendenti, con le esigenze conseguenti di nuovo spazio, mentre ci troviamo oggi di fronte alla Fiat che ha ridotto l'occupazione di decine di migliaia di dipendenti; così per tutte le grandi aziende che hanno ridotto il personale. Altre hanno addirittura chiuso, sono scomparse..
Intere zone vedono aree industriali praticamente dismesse; la crescita della popolazione è bloccata, c'è la perdita di abitanti delle città.
Il recupero di vecchi edifici va avanti, in alcune zone galoppa, in conseguenza dell'aumento dei costi in edilizia, di un affinamento della nostra cultura urbanistica, ma anche grazie alla legge 56.
La pressione nell'uso del suolo non è finita, sono cambiati i termini del problema, almeno parzialmente. I punti di maggiore pressione e pericolo di oggi non sono forse gli stessi del 1977, basti citare la dislocazione delle discariche, i problemi dell'inquinamento.
Lo sforzo culturale fra l'adeguamento della normativa urbanistica non è certamente paragonabile a quello del periodo dal 75 al 77 e che culminò con l'approvazione di uno strumento valido di intervento, come la legge 56. La domanda di territorio è mutata nella dimensione e nella dislocazione. Basti pensare a come si ponevano i problemi del riequilibrio dal 1975 al 1980 e come si pongono oggi.
Sembra quasi esaurita la spinta centripeta verso l'area metropolitana di Torino. Ci sono aree periferiche che vanno avanti per forza propria e ci sono aree esterne che continuano nella loro discesa in termini di aggregazione di energie. Questa mutata realtà, questi mutamenti impongono l'esigenza di adeguare le norme.
Occorre anche mutare le procedure.
La legge 56 ha creato alcuni inceppi. La colpa è degli Assessori e della Giunta? Può darsi che in parte la responsabilità sia nell'esecutivo a nostro modo di vedere, però, vanno modificate anche le procedure e il meccanismo di funzionamento.
Noi siamo totalmente d'accordo con coloro che dicono che occorre agire prioritariamente sulla struttura regionale. I dati che ci ha fornito l'Assessorato ci dicono che è possibile invertire una certa tendenza e recuperare alcuni ritardi che si sono verificati. Però pensiamo anche che all'interno di questi interventi di carattere organizzativo - strutturale andrebbero chiarite le responsabilità che competono ai funzionari dell'apparato regionale, al CUR in quanto organo consultivo ed alla Giunta come organo di Governo. La nostra visione del CUR è di un organismo di alta qualificazione tecnico-scientifica che possa dialogare direttamente con il Consiglio e con la Giunta regionale, più libero di svolgere la sua funzione consultiva.
Noi vedremmo bene, per esempio, un CUR senza funzionari, proprio perch abbia la possibilità di dialogare con libertà con l'organo di governo regionale. Su questo ci confronteremo in modo più approfondito quando tratteremo delle sue modifiche.
Anche alcune procedure vanno cambiate per snellire e per dare maggiori garanzie alla collettività. Di fronte alla risposta complessivamente positiva degli enti locali, ci siamo trovati di fronte a strozzature, alle volte all'inerzia, a volte a casi di assoluta irresponsabilità da parte di relatori al CUR. di fronte alle esigenze che venivano dalla comunità regionale e dagli enti locali.
Abbiamo riscontrato ritardi, limiti, irresponsabilità. A volte è mancato un minimo di diligenza nel portare avanti le pratiche. Ricordo che il Comune di Premia ha avuto il piano regolatore approvato dal CUR 8-10 mesi fa. La Giunta regionale non ha ancora predisposto la delibera per mancanza della relazione. Ma non si è nemmeno applicata la norma della legge 56, che stabilisce che qualora il Comune non sia tenuto ad adottare il PPA possa attuare il piano regolatore stesso con una semplice comunicazione dell'avvenuto voto del CUR.
Ebbene ci si è dimenticati di fare questa semplice segnalazione al Comune, che ha atteso inutilmente altri 10 mesi per dare attuazione al proprio strumento urbanistico.
Questo è uno degli esempi che ci dimostrano come spesso le accuse alla 56 sono accuse che dovrebbero essere fatte al modo di gestire la legge. In questi anni, mentre è cresciuta la credibilità della legge urbanistica regionale, forse è stata incrinata la fiducia verso alcune strutture della Regione. Ci siamo posti questi obiettivi nel proporre le proposte di modifica: maggiore flessibilità, maggiore operatività, certezza delle regole per tutti i soggetti interessati e accentuazione dell'autonomia comunale.
La struttura della legge regionale 56 esce confermata dalle proposte che sonò a mano dei Consiglieri e dagli emendamenti che abbiamo annunciato.
Ci sembra che sia confermata la strumentazione della L. 56. Infatti: comprende la pianificazione territoriale, la pianificazione locale e la pianificazione intercomunale, così com'erano configurate all'interno della legge stessa.
Ci sembra che quella impostazione ne esca consolidata; ci ha mossi l'obiettivo di far funzionare meglio questi strumenti.
Ci sembra che anche il Progetto territoriale operativo possa svolgere questa funzione. Lo stesso vale per le procedure di approvazione degli strumenti urbanistici; lo stesso può essere detto per i piani intercomunali. Si è preso atto della realtà e dell'esperienza di questi anni, che dice che non bastano gli incentivi di vario genere per consolidare una tendenza se questa non scaturisce da esigenze di fondo della nostra realtà e dai Comuni interessati: non bastano degli zuccherini per poter superare i contrasti che poi si verificano e che portano al fallimento dei Consorzi per i P.R.I. Abbiamo visto parecchi consorzi di Comuni rompersi per motivi che quasi sempre non hanno molto a che fare con le esigenze della regolamentazione urbanistica. In effetti l'aggregazione dei Comuni va avanti, se ci sono le ragioni obiettive che possono consolidare l'intesa.
Forse non siamo riusciti ancora a trovare altre indicazioni che sostengano e consolidino la formazione dei Consorzi: hanno obiettivi che vogliamo, in ogni caso, perseguire.
Il Comprensorio è confermato come momento fondamentale di coordinamento della pianificazione urbanistica locale. Questa era la struttura portante della 56 ed è interamente confermata dalle proposte di modifica. Semmai una critica dovrebbe essere fatta sulla timidezza nell'innovare nel terreno dell'impianto istituzionale.
Per esempio nelle proposte di modifica non si parla delle province mentre tutti sappiamo che probabilmente o quasi sicuramente la provincia sarà l'unico ente intermedio dopo il 1985.
Si potevano esplorare altre soluzioni, per recuperare da una parte quanto di positivo c'è nell'esperienza piemontese, non ignorando dall'altra che lo sbocco che avremo dopo la prossima tornata elettorale sarà che la Provincia sarà l'unico ente intermedio e ci sarà di fatto il superamento dei Comprensori.
Viene confermato l'impianto istituzionale territoriale e viene confermato anche un altro cardine della L. 56: la disciplina transitoria che privilegia la fase di riordino rispetto alla fase dell'espansione.
Emerge con chiarezza la volontà (si può poi discutere se le scelte sono adeguate alla volontà ed alle intenzioni) di confermare le scelte di fondo e di introdurre in base all'esperienza degli elementi di maggiore concretezza. Non credo che ci siano secondi fini, come alcuni nel dibattito hanno cercato di insinuare, rispetto all'impianto delle modifiche proposte.
Quando si affrontò il problema della revisione della L. 56, all'inizio della legislatura la scelta fu chiara: già allora si poteva scegliere di modificare radicalmente la 56, oppure di apportarle modifiche che derivavano dall'esperienza. Fu scelta questa seconda strada. Infine, la sostanza della legge, per quanto riguarda i contenuti della pianificazione locale e della pianificazione territoriale rimane confermata e non è stata toccata che incidentalmente.
Questo non ha però impedito di tentare vie nuove, di introdurre delle innovazioni significative, come per esempio il Progetto territoriale operativo e la cosiddetta salvaguardia attiva, innovazioni che a nostro modo di vedere non stravolgono però l'impianto della legge 56. Tralascio i problemi di legittimità sollevati molto acutamente dal collega Majorino sul Progetto territoriale operativo. Mi limito a rilevare che il PTO non è vietato da nessuna norma. Esiste anche il principio che ciò che non è vietato può essere introdotto.
Il PTO assume in sé, e questo ci sembra che non stravolga la legge 56 la caratteristica e la valenza di attraversare tutti gli strumenti che attualmente sono previsti all'interno della legge, nel quadro cioè di scelte precise fatte dal Piano di sviluppo e dal piano territoriale fino a diventare uno strumento operativo, non in qualsiasi situazione, ma all'interno degli strumenti esistenti. Pensiamo e vogliamo, con le ulteriori modifiche, accentuarne la caratteristica di collocarsi all'interno della strumentazione e del processo di pianificazione esistente e in atto. Riguarderà poche iniziative di carattere eccezionale e quelle dovranno essere sottoposte a verifica di contenuto, di congruenza e di verifica per quanto riguarda l'impatto ambientale. L'importante è che tutto avvenga nella trasparenza, che sia verificata la congruenza territoriale e programmatica del progetto ed anche questo sarà oggetto di modifica rispetto al testo a mani dei colleghi ed anche di maggior rispetto dell'autonomia dei Comuni. Infatti si lavora per proporre una diversa disciplina tra i progetti territoriali operativi, che hanno ottenuto il consenso, tramite semplice delibera da parte dei Comuni o del Comune interessato, e i progetti territoriali operativi che questo consenso non hanno ottenuto. Se c'è il consenso, rispettando sempre l'autonomia del Comune, pensiamo che il PTO possa procedere più speditamente nel suo iter.
Se questo consenso non c'è pensiamo che sia opportuno seguire la via già prevista nella L. 56, per l'attuazione dei piani territoriali comprensoriali.
E' qualcosa già previsto e codificato all'interno della legge stessa.
Condividiamo alcune preoccupazioni manifestate in questa aula, e cioè che il Progetto territoriale operativo può presentare dei rischi, come del resto ogni strumento nuovo, non ancora collaudato. Il dibattito anche se ampio e lungo su questo problema, forse non è stato ancora sufficientemente approfondito sulla tematica dei rischi. Il dibattito su questo strumento non si chiuderà con l'approvazione delle norme da parte del Consiglio regionale. Continuerà e pensiamo si arricchirà anche dopo. In più ci sarà la verifica dell'attuazione pratica. Per quanto riguarda la pianificazione locale sono state introdotte essenzialmente modifiche di procedura: i piani esecutivi di attuazione del piano regolatore generale esaudiscono tutti il loro iter all'interno del Comune. Si valorizza, in questo modo, l'autonomia comunale e si snelliscono al tempo stesso le procedure.
Anche qui la legge 56 ha un precedente di grande rilievo che prevede che PEC (Piano esecutivo convenzionato) di iniziativa privata, su aree di espansione, sia approvato dal Comune senza alcun altro superiore controllo.
Comprensori infatti potevano fare solamente delle osservazioni, come qualsiasi altro ente o soggetto. La modifica più consistente è quella che va sotto il nome di salvaguardia attiva. Anche questa però, a ben vedere, è una modifica di procedura nell'approvazione degli strumenti urbanistici.
Ci si obietta che ci siamo arrivati perché abbiamo constatato le disfunzioni di questi anni, che questo è il minor male. E' vero, è anche il minor male e siamo arrivati a questa proposta constatando le disfunzioni che si sono manifestate. Aggiungiamo anche che probabilmente è utile anche senza le disfunzioni che si sono manifestate, perché è una garanzia prevista a favore di altri enti, democraticamente eletti, i Comuni, che responsabilmente adottano ed approvano gli atti in ottemperanza a, norme di legge. Ci sembra inoltre giusto prevedere che possono manifestarsi delle inceppature nella vita della pubblica amministrazione, per le cause più diverse.
La Regione potrebbe avere delle crisi paralizzanti (c'è l'esempio della Calabria: ma anche il Comune di Torino in anni lontani ha avuto lunghe paralisi, durante l'agonia del centrismo o del centro-sinistra).
Si tratta di dare una certezza, una garanzia agli enti locali. I Comuni dopo aver adottato il Piano regolatore generale, e dopo l'adozione del PRG (sarà oggetto di una proposta di modifica che faremo pervenire entro il 19 di questo mese), potranno fare interventi relativi all'esistente, che non comportano modifiche urbanistiche significative, interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo ristrutturazione, edilizia, completamento come stabilisce l'art. 13.
Inoltre potranno fare gli interventi che discendono da leggi nazionali (interventi all'interno del PEP, PTO, etc.).
Sono esclusi gli interventi di ristrutturazione urbanistica e di nuovo impianto.
E' una novità anche rispetto al testo che è a mani dei colleghi. E' una novità però non stravolgente.
La Regione Emilia-Romagna prevede, dopo 180 giorni, che anche gli strumenti esecutivi in attuazione dei piani regolatori generali adottati possono essere attuati anche su aree di nuovo impianto.
Precedenti esistono anche nella legge 56: questo significa che questa esigenza era sentita anche allora. Se ne è, tenuto conto introducendo norme positive, anche se non erano state inserite in modo organico e se non avevano la stessa portata. Infatti le troviamo come deroga a limitazioni a piani e programmi (art. 85 quinto comma), o come mezzo per dare immediata attuazione a strumenti che non hanno ultimato l'iter burocratico. Bastava infatti la semplice comunicazione del voto del CUR perché il piano potesse essere attuato. La "salvaguardia attiva" come proposta indica che non si tratta di silenzio-assenso, perché non c'è nessuna approvazione automatica dei piani regolatori generali.
La differenza tra il silenzio-assenso, oramai classico nella legislazione, è che la c'è un rapporto tra il pubblico e il privato, qui il rapporto è tra due enti pubblici, democraticamente eletti (Regione e Comune) che sotto la loro responsabilità possono o non possono dare attuazione alle previsioni dei piani regolatori.
Sono numerosi gli articoli che meriterebbero una trattazione molto più specifica, come quelli sulla formazione dei piani intercomunali, sulle sanzioni, le norme transitorie e la tutela dei beni ambientali.
Le proposte non sono di poco rilievo e potrebbero meglio inquadrarsi in una fase costituente, cioè all'inizio e non al termine di una legislatura.
I problemi che si vogliono affrontare però, sono problemi che esistono sia all'inizio che alla fine di una legislatura e noi cerchiamo di darvi risposta.
Da alcuni è stato ventilato il pericolo di intendere le proposte come un allineamento con chi, dentro e fuori il Piemonte, di fronte alle difficoltà di completare il processo di pianificazione, cercano di evitare il processo di pianificazione stesso. Il rischio di portare avanti degli interventi fuori da qualsiasi piano e da qualsiasi programma indubbiamente c'è.
E' un rischio che si può presentare, per esempio, anche nell'applicazione della legge 18 in materia di opere e di lavori pubblici.
Sono pericoli da evitare al massimo e occorre fare tutto il possibile per dare risposte positive a queste esigenze.
Ci sono difficoltà e ritardi nel completamento del processo di pianificazione. Sono ritardi di ordine tecnico-burocratico ma che derivano anche da mutamenti delle prospettive di ordine istituzionale. Si pensi al venir meno della prospettiva comprensoriale, al mutamento della realtà economica e sociale della Regione, al rapporto tra pianificazione territoriale e piano di sviluppo adeguato alle mutate condizioni. Infatti e non per caso, dopo una definizione sostanziale del piano di sviluppo sono stati assegnati gli incarichi e fissati i termini per la redazione dei piani territoriali comprensoriali. Ora si parte da un Piano di sviluppo abbastanza certo nella struttura, dal quale si fa discendere l'adeguamento degli schemi dei piani territoriali.
Queste modifiche si inseriscono in un dibattito aperto in termini disciplinari, sulla pianificazione in generale o meglio sul rapporto tra il piano e la realtà.
La pianificazione deve essere uno strumento di governo e faremo in modo perché lo diventi.
Per noi è abbastanza manichea la distinzione tra efficientismo e programmazione. I termini possono essere coniugati. Certamente non c'è certezza contro certezza. Forse c'era più certezza nel 1977. Oggi c'è per la coscienza che occorre sperimentare strade nuove per dare risposte adeguate ad una realtà in rapida trasformazione.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, signori Consiglieri, a quattro anni dal proprio insediamento una maggioranza politica solitamente valuta l'operato trascorso, aggiorna e puntualizza i propri interventi, cerca di cogliere i frutti di anni di attività.
Oggi invece ci ritroviamo per ridiscutere una legge che non è una legge qualunque, ma una pietra fondamentale della legislazione regionale. A poco meno di un anno dalla scadenza del mandato il Consiglio regionale non è impegnato ad affrontare le strategie migliorative per aggredire la crisi economica, ma dibatte con grande ritardo sulla legge urbanistica le cui modifiche erano ritenute necessarie fin dal 1980, così come si continua a dibattere su quell'araba fenice che è il Piano di sviluppo regionale.
Ieri il collega Marchini attraverso una delle sue felici battute diceva che questo Consiglio arriverà a discutere e ad approvare probabilmente il Piano di sviluppo regionale, contestualmente al decreto di scioglimento dei Consigli regionali.
Credo che converrete nel proporre di aggiungere un nuovo capitolo al Guinnes dei primati dedicati alla pubblica amministrazione: nessuno pu toglierci questo primo posto. E" una battuta, perché mentre noi continuiamo a denunciare il ritardo, a ricercare e denunciare le cause del ritardo nella presentazione del Piano di sviluppo, vogliamo discutere del Piano di sviluppo, anche perché non ci rassegniamo a che la legislazione regionale sia ormai ridotta ad esercitazione accademica (questo purtroppo e non altro è stato lo spirito con cui le forze politiche, sindacali, economiche e culturali hanno, per esempio, partecipato alle consultazioni) per il Piano di sviluppo, ultima edizione; puro accademismo, atteggiamento di inutilità e di ritualità.
Se siamo giunti a questa situazione è perché esistono delle cause precise, evidenti e conosciute, insite nel malessere politico, ma questo è solo un eufemismo della maggioranza che governa il Piemonte.
Abbiamo esaminato molte ipotesi di legge 56. Ciascun partito di maggioranza aveva la sua versione da proporre, ma nessuna maggioranza ci ha presentato la sua ultima proposta, tanto è vero che ancora in data 3 settembre l'Assessore Calsolaro ha presentato emendamenti e forse tanti altri ne perverranno da parte delle forze di maggioranza; ancora qualche minuto fa il collega Biazzi annunciava appunto emendamenti su parti sostanziali delle modifiche che già la Commissione aveva licenziato. Gli emendamenti d'aula sono di solito prerogativa, campo di evidenziazione, di protagonismo dei partiti di opposizione che giustamente affidano alla suprema volontà del Consiglio quelle posizioni, quegli indirizzi, quelle norme che nella Commissione non hanno trovato o non avrebbero trovato spazio e considerazione.
Il Piemonte è diverso e la solida maggioranza social-comunista affida all'aula quei principi e quelle norme che evidentemente non sono passate all'interno della maggioranza e forse non sono passate nemmeno all'interno di uno stesso partito: le differenti posizioni del PSI al Comune di Torino riferite dalla Stampa odierna sono la conferma di questa discrepanza.
Alcuni Consiglieri in aula rammenteranno che nella precedente legislatura il Consigliere repubblicano Vaccarino si astenne in sede di votazione della legge 56. La nostra astensione nasceva da una serie di questioni che la stessa maggioranza valutò in ipotesi migliorative c che anche per tale atteggiamento giustificò la nostra astensione. Ma le nostre aspettative, di verifica e correzione pure rimarcate in questi anni, sono state vanificate essendosi sottratta al confronto la maggioranza politica sulle ricadute reali.
In questo senso, l'indicazione che veniva dal collega Majorino di una verifica di quello che era stato il contenzioso determinato dall'applicazione della 56, sarebbe stato un fatto importante, un bagaglio di documentazione in più per accingerci a svolgere correttamente le modifiche della nostra legge urbanistica. Ma se l'amministrazione e la politica sono lente nel loro operato, la società e l'economia progrediscono esprimendo problemi ed aspettative che non possono attendere la maturazione degli equilibri politici. Oggi poi l'amministrazione è lentissima perch non esiste un disegno di coalizione necessario a tirare le fila di una maggioranza. Appare evidente che le proposte di modifica alla 56 non sono il risultato di una maggioranza, forse sono l'esplicarsi dell'egemonia di un partner forse piccolo, forse grande, su altri.
socialisti più volte hanno ribadito la necessità di mantenere adeguati livelli di programmazione urbanistica che significa semplicemente rendere operativi e assegnare le necessarie prerogative di programmazione territoriale ai Comprensori.
Era quanto nel '77 affermava anche la mia collega Vetrino. E certamente non sarà il PTO a rispondere a tali esigenze. E' trascorso un anno dallo scandalo delle tangenti, la vicenda giudiziaria non è ancora chiusa e la vicenda politica, come possiamo vedere, è di scottante attualità.
In questo anno non tutto è rimasto immobile e congelato, malgrado i numerosi tentativi di congelamento politico di questa situazione, si è potuto meditare e studiare i problemi, capire a fondo la necessità di avere un governo dinamico e forte per il Piemonte. Al Comune di Torino in parte si è meditato e preso atto di tale situazione. Alla Regione no. Il prezzo politico quest'anno lo ha pagato soprattutto la società, ed è stato un prezzo costoso. Ma tutto è avvenuto alla luce del sole. Ciascuno ha avuto il tempo necessario a riordinare le proprie responsabilità. Ma alla Regione sono mancati i segnali positivi che ancora attendiamo.
I risultati politici ed amministrativi sono sconsolanti e non ci si pu consolare all'idea che possiamo contare su un Presidente della Giunta che tutti stimiamo e su Assessori che, presi singolarmente, almeno a giudicare dalle attestazioni di stima che ricevono quando rispondono alle interrogazioni dei colleghi di maggioranza e di minoranza, appaiono tutti bravi.
I risultati politici ed amministrativi sono sconsolanti. La relazione dell'Assessore Calsolaro sulle giacenze urbanistiche è sufficientemente indicativa delle acrobazie urbanistiche in atto. In pratica si usa la relazione sulle giacenze, cioè sulle storture introdotte da una legislazione rimasta immodificata malgrado sé stessa, per giustificare e non per addurre conclusioni scientifiche il progetto politico di modifica urbanistica in discussione.
Ritengo opportuno ribadire e puntualizzare in Consiglio che cosa ci saremmo aspettati da un necessario dibattito sulla politica urbanistica dopo sette anni di applicazione di una legge condivisibile nei principi ma che non è stata gestita con quel rigore che invece discendeva dall'ispiratore Astengo. Dietro ai dati e alle cosiddette giacenze urbanistiche esistono una realtà e un costume urbanistico che testimoniano in larga parte la fase estremamente frammentaria e drammatica che attraversa attualmente l'urbanistica. Le condizioni naturali per il buon governo si fondano secondo noi su due capisaldi: 1) la scelta urbanistica è data da un'indagine-analisi e da un progetto 2) la scelta avviene in un coerente contesto normativo urbanistico.
Attualmente accade che non tutte le coordinate di indagine sono a favore delle analisi e dunque del progetto stesso. Questo significa che il progettista, l'urbanista in senso lato, offre all'amministrazione, cioè ai politici, un prodotto viziato all'origine. Le indagini "in difetto" vengono a loro volta istruite dai politici agli organi dell'amministrazione pubblica preposti alle analisi e alle ricerche. Nella competente commissione regionale, così come in tante altre commissioni comunali spesso si discute senza chiarire le questioni di fondo, i presupposti basilari sia scientifici che politici. Questo sistema, innescato su una spirale deviante, porta a delle conclusioni errate ma non solo, perché il pericolo più evidente, ed è la situazione nella quale oggi ci troviamo, è che le soluzioni adottate divengono casuali o occasionali quando non elettorali, ovvero si creano quegli spazi di estrema discrezionalità che soggiacendo agli isterismi politici dei partiti di una maggioranza (ma abbiamo avuto la prova di come si può coinvolgere anche una minoranza) aprono varchi alle tangenti e alla corruzione diffusa a tutti i livelli dell'amministrazione.
A nostro avviso è necessario innanzitutto porre la dovuta cura all'evento che è a monte dell'inizializzazione urbanistica. Rispetto a ci si deve puntare a recuperare la professionalità degli urbanisti e degli architetti. Il progettista infatti è semplicemente colui che riceve degli input in base ai quali deve trovare la miglior soluzione possibile. Se l'input è errato il progettista sbaglia anche lui. Dunque la nostra attenzione si rivolge essenzialmente all'indagine che naturalmente suffraga o meno il progetto e che comunque pone il progettista a svolgere un progetto a tema prefisso. E se i doveri di una maggioranza politica sono quelli che, implicitamente o esplicitamente ho appena delineato, credo che una minoranza ed è quanto ho cercato di fare in questo Consiglio non C presentare dei controprogetti su temi specifici (ad esempio costruiamo dei parcheggi in tale posto anziché in tal altro) ma essenzialmente creare le condizioni di governo e di amministrazione per poi esprimere dei progetti e non è certo facile.
A questo proposito la valutazione che il Segretario provinciale del Partito comunista Fassino dà della proposta di Giorgio La Malfa di aggregazione delle forze laiche e socialiste per esprimere congiuntamente un progetto per il Piemonte, valutazione che Fassino sintetizza in una mossa propagandistica, questa valutazione ci sembra puerile, intanto perch credo sia dato a ogni forza politica di avanzare proposte di aggregazione: il P.C.I. pensa che l'unica soluzione possibile per i futuri governi siano le Giunte di sinistra, noi pensiamo di no e che anche altre aggregazioni abbiano diritto di cittadinanza: ma questo ce lo diranno soprattutto gli elettori. La valutazione di Fassino poi non ci sembra corretta perché è noto che la propaganda elettorale non la si fa attraverso i dibattiti giornalistici tra leaders ma con altri mezzi e credo che al P.C.I. non occorra spiegare come si fa la propaganda.
D'altra parte è sufficiente analizzare le modifiche che oggi il Consiglio è chiamato ad esaminare per convincerci che queste non sono altro che modifiche elettorali. Si snelliscono talune procedure, soprattutto per i piccoli Comuni ai quali si dà un contentino: per una periferia molto influenzabile sotto l'aspetto elettorale non si propone il discorso della qualità degli standards ma ancora quello della quantità. Se veramente la rimessa in discussione degli standards partiva dal presupposto che sono le diverse realtà territoriali a dovere indicare gli standards e non gli stessi standards a doversi adeguare alle diverse realtà territoriali, non si può risolvere il problema diminuendo semplicemente la quantità; questa è veramente la negazione della filosofia di Astengo. Sul PTO far osservazioni dettagliate più avanti ma per introdurre questo argomento in riferimento all'accusa che faccio di puzza di elettoralismo che emana da queste modifiche è sintomatico come questo strumento (che pregherei Simonelli intelligente relatore di questa legge, di non vedere come strumento di programmazione, perché è semmai un correttivo alla mancata programmazione), sia stato criticato da tutti tranne che dalle categorie professionali ed imprenditoriali.
Forse tali categorie sono più lungimiranti delle forze di opposizione di tanti urbanisti, intellettuali e professionisti. Se gli operatori privati hanno degli interessi che sono legittimi è giusto che abbiano dei legittimi interessi, non è attraverso questo strumento che devono vederli soddisfatti ma nell'ambito dei criteri di un progetto guida che deve dare l'ente pubblico.
In Italia c'è una tendenza a legiferare senza saper prevedere l'impatto dei processi decisionali sulla realtà, i riflessi o le ricadute sull'immediato, nell'immediato, nel breve o nel lungo periodo.
Si pensi alla recente legge sulla carcerazione, si pensi a tante altre leggi, ricordo per inciso la legge sulla chiusura dei manicomi. Da questa tendenza non si esime nemmeno la nostra Regione.
Abbiamo discusso all'infinito sul PTO ma un esempio, dico un esempio concreto su dove, subito, si potrebbe applicare il PTO non è stato fatto e non mi si porti la centrale nucleare, perché sappiamo benissimo che soggiace a tutto un iter e a delle norme legislative alle quali non potrebbe essere applicato il PTO. Poiché il relatore e dunque la maggioranza che ha dietro di sé, appare convintissimo della necessità di questo strumento, io gli chiedo di indicarmi quali sono i progetti che in termini immediati potrebbero godere dei benefici del PTO.
Sul silenzio-assenso si sono già consumati fiumi, di parole.
L'introduzione di questo istituto è un indicatore della resa e del non ottimale funzionamento della burocrazia regionale: una scorciatoia incapace di risolvere i problemi a monte di questi espedienti. In un primo tempo si indicava in 365 giorni, l'arco temporale e a questi tempi si intendeva adeguare una programmazione "napoleonica" come quella che prevede la nostra legge: adesso ci sono modifiche, sono cambiate anche le condizioni esamineremo comunque dettagliatamente questo aspetto nel corso del dibattito sull'articolato. In verità credo si possa dire a questo riguardo che mancano la volontà oltre agli strumenti per una programmazione moderna che è innanzi tutto "analisi e revisione continua dei programmi". Mi sembra che su questo aspetto il Consigliere Picco si sia soffermato con molta attenzione.
Ecco dunque che le motivazioni che stanno dietro a queste soffertissime modifiche che ripeto, da quattro anni stanno maturando e sono venute negli anni modificandosi, limitandosi e aggiornandosi, sono in fondo molto misere.
Pensavamo invece che l'occasione della revisione della 56 fosse un'occasione dopo anni di esperimenti che avevano peraltro prodotto una disordinata gestione per ridare all'urbanistica la dignità di scienza, che questa dignità potesse essere trasferita al governo del territorio, quel territorio che è affidato alla sensibilità ed alle scelte dei nostri Consigli comunali e che in questi anni hanno fatto a volte sforzi progettuali incredibili per adeguarsi alle norme di una legge molto vincolistica, a volte riuscendo nell'intento pianificatorio e a volte, ed è purtroppo il numero maggiore, inceppando nei meandri di documentazioni preparatorie e chilometriche e di attese autorizzative di mesi, mesi ed anche anni.
Oggi con queste modifiche si allentano taluni lacci e si promette maggiore speditezza ma attraverso il PTO si colloca sul territorio comunale l'ipoteca regionale, dimenticando che da sempre in materia urbanistica il ruolo degli enti locali non è solo operativo ma anche progettuale. Già la legge urbanistica del 1942 affidava quasi tutta la potestà di pianificazione al Comune: a) i piani territoriali di coordinamento regolano tassativamente talune infrastrutture sovracomunali b) il rapporto con gli strumenti urbanistici di livello comunale è concepito in termini di "adeguamento", nel senso che il Comune non pu disattendere la previsione o il vincolo contenuto nel piano sovracomunale.
Il Comune stesso però nel rideterminare l'assetto urbanistico riacquista, in tale ambito, la propria capacità progettuale piena.
Il PTO può prevedere tutto (ivi comprese le ampie operazioni di riorganizzazione urbanistica dell'area urbana, cioè non solo la localizzazione del grande impianto ma anche tutti gli aggiustamenti conseguenti), senza che il Comune, che magari ha vigenti previsioni diverse, possa intervenire. E' curioso che per giustificare questo pseudoefficentismo centralistico, perché la caratteristica del PTO credo sia proprio quella di ricondurre al centro una serie di processi di decisione che la 56 affidava invece, oltre che legittimamente anche democraticamente, ai legittimi detentori che erano le amministrazioni comunali, si adducano le seguenti ragioni: a) per fare il PTR occorrono sette-otto anni b) anche quando il PTR fosse fatto, potrebbe essere necessario derogarvi con sollecitudine. Certamente, un sistema di progetti integrato quale è il PTR diventa macchinoso da attivare e da gestire (ciò che può determinare una non corrispondenza alle necessità operative del caso): ma allora la conclusione più logica dovrebbe essere semmai quella di rinunciare ad un PTR omnicomprensivo e di ripiegare su di un progetto regionale che contempli pochi elementi fondamentali di localizzazione, per attivare un sistema di prescrizioni sovracomunali a scala territoriale più limitata che contemplino scelte urbanistiche nelle quali siano effettivamente coinvolti essenziali elementi urbanistici di più Comuni.
Quel che è certo è che non si risponde agli inconvenienti del gigantismo e della notevole complessità creando una proliferazione di piani. Occorre studiare sistemi "modulari" meno omnicomprensivi. Sul piano giuridico e istituzionale vorrei leggere una frase che il Prof. Roversi Monaco, che conosce molto bene la legge 56 al quale avemmo inviato le modifiche proposte dalla Giunta, mi scriveva: "Sul piano giuridico istituzionale non può essere consentito svuotare delle sue prerogative pianificatorie il Comune, che da sempre è il legittimo depositario del nocciolo della potestà di pianificazione urbanistica. Altrimenti si spoglierebbe il Comune di una delle sue più gelose prerogative, quella di governare il proprio territorio, che rappresenta una funzione di interesse esclusivamente locale in base ex articolo 118 della Costituzione, su cui soltanto la legge dello Stato potrebbe, anche in base all'art. 128 della Costituzione stessa, intervenire".
E non può essere accettata la rassicurazione che certamente le Comunità montane, i Comuni e quanti altri verrebbero preventivamente consultati.
Credo ci siano anche già delle innovazioni rispetto al preventivo testo rispetto a questo riguardo.
I Sindaci, anche i più disinvolti, mantengono nei confronti della Regione un timore reverenziale. Qual è il Sindaco che si opporrà realmente ad una decisione della Regione sul PTO? Si sono in tal modo eliminate tutte le condizioni per un'opposizione seria perché il PTO è coercitivo nei confronti delle volontà comunali locali perché è immediatamente prevalente sul piano regolatore. Ecco perché è stupefacente che una maggioranza che ha fatto della partecipazione e quindi del decentramento uno dei suoi cavalli di battaglia, si sia lasciata affascinare da un progetto che sono in molti ormai a considerare centralistico. Le caratteristiche della legge Astengo erano molte, molte erano state da noi condivise, altre le avevamo discusse.
Due mi sembravano le caratteristiche fondamentali. Astengo ci offriva uno strumento democratico e rigoroso. Le modifiche introdotte oggi rendono la legge urbanistica del Piemonte meno democratica e meno rigorosa.
Concludendo queste note di dibattito ritengo di dover lasciare ai colleghi di maggioranza uno spunto di ulteriore riflessione.. E' un fatto appurato che questo articolato così vivacemente contestato da noi dell'opposizione non porterà alcun vantaggio ai cittadini. I disagi, le incertezze, le attese e le aspettative dei cittadini verranno ulteriormente deluse e frustrate. Perché questa legge non riesce a servire i cittadini o la comunità nel suo complesso o, meglio ancora, i cosiddetti interessi generali della Regione. Può servire semplicemente ed oculatamente ad alcune specifiche operazioni di grande urbanizzazione. Fra pochi mesi forse sapremo anche quali. Ce lo spiegheranno alcuni degli Assessori della Giunta, così conosceremo finalmente il progetto urbanistico della maggioranza. La legge è limitata e parziale per questo. Ma in questo primo intervento il nostro giudizio non è e non deve essere un giudizio di merito sulle specificità che concretamente introdurrà la legge. Questo lo faremo nell'articolato. In questo primo intervento dobbiamo semplicemente e amaramente constatare che le barriere del diritto vengono infrante dal costume politico. Non è una novità in Italia. E' invece un altro inquietante segnale per il giovane istituto regionale piemontese. In conclusione questa legge e questa Giunta sono riassunte dalla dichiarazione che appare oggi sul giornale per bocca di un esponente socialista torinese: "La Giunta di sinistra ha pensato grande nel piccolo e piccolo sul grande".
Così è avvenuto anche per la modifica della legge Astengo.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Astengo.



ASTENGO Giovanni

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, credo che sia noto come una circostanza contingente e personale mi abbia impedito di partecipare il 26 giugno alla seduta conclusiva della II Commissione sul disegno di legge 337. Vi chiedo di poter esporre le osservazioni che avrei potuto fare allora.
Sono due osservazioni di premessa ed una avvertenza: non ci troviamo di fronte al testo definitivo di modifica ma ad una serie di proposte che sono state via via presentate con modificazioni che si sono succedute fino alla seduta del 26 giugno da parte della stessa maggioranza. In assenza, ancora oggi, di un testo certo, mi atterrò nel mio esame più allo spirito e alla logica delle proposte che non alla lettera dei testi.
La seconda osservazione è di metodo e cioè cercherò di fare un confronto logico fra gli obiettivi della legge 56, che non sono mai stati contestati, la situazione applicativa della legge, e gli scopi e la filosofia delle proposte che sono presenti nel disegno di legge 337.
L'avvertenza è che l'esame critico che farò con estrema sincerità e con estrema chiarezza non significa affatto una sfiducia nella maggioranza che ha presentato queste proposte.
Ritengo che questa maggioranza e la Giunta abbiano la forza sufficiente per uscire con rinnovato vigore dalla situazione di stallo in cui si sono trovate.
Mi permetto di riassumere brevemente quali sono gli obiettivi di fondo della legge 56. Sono gli obiettivi prioritari contenuti nell'art. 1 della legge stessa che ritengo possano essere cosi sintetizzati: il contenimento e il riordino dello sviluppo disordinato ad alto consumo di suolo e forte spreco di risorse che è avvenuto negli ultimi 30 anni e che solo recentemente è stato attutito dalla recessione economica, ma i cui effetti restano, pertanto il recupero dell'esistente è da considerare obiettivo prioritario, non solo in Piemonte e nel nostro Paese, ma secondo una raccomandazione ormai diffusa, di tutti i Governi dei paesi dell'OCSE attraverso il processo di pianificazione e di ripianificazione generale del territorio piemontese; l'individuazione delle "idee forza" a carattere strutturale, cioè tali da incidere nel processo di sviluppo per la riorganizzazione insediativa e il miglioramento della qualità della vita urbana, facendole emergere dalle proposte locali di piano espresse dalle comunità; il riequilibrio generale sia a livello locale che a livello regionale della capacità produttiva e insediativa, riequilibrio fra aree l'orti e aree deboli, fra poli centrali e aree marginali; il coordinamento e la programmazione operativa sia a livello locale che a livello regionale degli interventi pubblici e privati.
La legge 56 offriva i mezzi per conseguire questi obiettivi attraverso il processo di ripianificazione generalizzata di tutto il territorio regionale, e la socializzazione ed omogeneizzazione del progetto pianificatori con una successione di atti a tre livelli, comunale comprensoriale e regionale.
L'altro mezzo era il coordinamento, che era sotteso, orizzontale e verticale nella formazione dei piani, cioè attraverso i piani intercomunali a livello orizzontale e a livello comprensoriale dei piani regolatori comunali e intercomunali; infine il coordinamento a livello regionale dei piani territoriali comprensoriali per raggiungere l'unità del piano territoriale-regionale.
Il terzo mezzo era la ciclicità del processo di pianificazione con cadenze di coordinamento quinquennali quali un processo continuo adeguato ai cicli amministrativi per conseguire questo disegno globale, complessivo robusto e consistente con un approccio a tappe. In definita la filosofia della legge 56 è quella che invoca un governo democratico del territorio che rappresenti l'attuazione delle competenze piene ed esclusive che la Regione (questa è l'unica materia in cui c'è competenza piena ed esclusiva) attuandola a mezzo di operazioni trasparenti, attraverso il controllo locale e regionale degli atti delle comunità locali e basando questo governo democratico su un ciclo, che era stato chiaramente espresso attraverso approccio di conoscenza dei fatti e delle situazioni, il progetto degli interventi, la verifica ex ante degli effetti del progetto la verifica ex post, dopo l'attuazione, per riprendere il discorso attraverso un nuovo ciclo di conoscenza, progetto, verifica ed attuazione.
Questo a cadenze quinquennali. Questo era il disegno di fondo. Questi obiettivi non sono mai stati denunciati da alcuno né sostituiti con altre proposte, sono dunque da ritenere validi.
L'unica obiezione che è stata formulata e la rigidezza o la brevità del ciclo quinquennale ed anche i tempi per la messa a regime ma questo è un problema attuativo che riguarda la gestione della legge e la situazione di fatto. Sono comunque fatti reali su cui si potrà discutere ma il disegno di fondo, coerenza tra ciclo amministrativo e ciclo di pianificazione continua, resta un problema e un'esigenza che non può essere dismessa.
Vorrei passare alla verifica della presenza di questi obiettivi nell'ambito della situazione di fatto. L'esame della situazione "di fatto" implica un giudizio analitico complessivo su ciò che è stato fatto (e su ciò che non è stato fatto) per conseguire gli obiettivi posti e riguarda tutte le tappe conoscitive, progettuali ed operative. Questo esame purtroppo non ci è stato fornito e pertanto resta difficile fare ora il confronto fra gli obiettivi, le situazioni e le proposte. Tenteremo comunque di formulare alcune osservazioni sulla base di alcuni dati conoscitivi che ci sono stati fatti pervenire dall'Assessorato e dagli uffici.
La situazione di fatto, anche se si presenta ancora in termini estremamente grossolani, va a mio avviso ricostruita con molta attenzione come atto preliminare per dare risposte a una serie di domande sugli adempimenti di legge, sulle azioni promozionali della Regione in questo campo ed avere quindi un quadro completo della realtà. Partirò dalla situazione dell'aprile '80, che è stata riportata nel rapporto sulla pianificazione urbanistica in Piemonte 75-80 nel volume Il, omettendo ovviamente il confronto con il grosso sforzo compiuto nella II legislatura per avviare il rinnovamento del processo pianificatore in Piemonte che è riportato in quel volume.
La situazione della pianificazione urbanistica all'aprile 1980 era la seguente: i Comuni sprovvisti di strumento urbanistico approvato erano 604 (ma a quella data erano tutti ormai provvisti di perimetrazione), i Comuni provvisti di strumento urbanistico ante 69, erano 180, tra cui 170 PDF e 10 PRG; i Comuni provvisti di strumento urbanistico post 68 erano 425, di cui 303 PDF e I22 PRG; questi comprensivi dei PRG formati ed approvati ex lege 56 al 10 aprile 1980 (dieci circa).
PRG ex 56 in istruttoria erano, a quella data, 22. Chiedo scusa di queste cifre ma è opportuno averle in mente per fare il confronto con la situazione attuale (3 settembre 1984).
1 Comuni sprovvisti di strumento urbanistico approvato sono oggi 410 (194 in meno in 4 anni). I Comuni provvisti di strumento urbanistico ante 68 sono 131 (19 di meno). Scarsa quindi è stata la solerzia da parte dei Comuni dotati di strumento urbanistico ante 68. I Comuni provvisti di strumento urbanistico post 68 sono 69; meno 56 rispetto alla situazione precedente.
I Comuni dotati di PRG ex legge 56 sono 299. I Comuni con strumento urbanistico in itinere sono 312; manca però il dato di tutti gli strumenti urbanistici che sono in itinere presso i Comuni, cioè i progetti preliminari, i piani regolatori adottati in pubblicazione a quelli che sono ancora in fase di istruttoria in sede decentrata (Comprensori) e non ancora affluiti alla Regione.
Da questi dati si può trarre la prima conclusione che è stata scarsa la diminuzione dei Comuni sprovvisti di strumento urbanistico (49 per anno) molto scarsa la diminuzione dei Comuni provvisti di strumento urbanistico ante 68; scarsissima la diminuzione dei Comuni provvisti di strumento urbanistico post 68; scarso l'incremento dei Comuni dotati di PRG 56.
Questi sono i dati di fatto. E' enorme invece l'aumento delle giacenze anche se, per la verità, su questo argomento, i dati forniti dall'Assessorato dimostrano che negli ultimi mesi, o nell'ultimo anno, vi sono segni evidenti di un miglioramento consistente.
D'altra parte i dati aggregati della situazione attuale non consentono di valutare meglio le variazioni interne, ad esempio tra PDF e PRG, e di capire da quali settori provengono i 312 strumenti in istruttoria; ad esempio se tutti gli strumenti provenissero dai Comuni oberati del tutto di strumenti già modificati sarebbero solo 90. E' quindi difficile ricostruire, salvo un approfondimento che chiedo venga effettuato, le fasce di maggiore inadempienza. E' certo però che dopo l'estate 1980 si è avuto un calo nell'afflusso dei PRG ex l.r. 56 ed un aumento di giacenze presso gli uffici preposti a svolgere l'iter di approvazione dei PRG, determinando un ingorgo che peraltro era stato previsto, stante la messa in moto della 56, in modo contemporaneo in un largo numero di Comuni che, a scadenze pressa poco identiche, ha determinato una presenza di strumenti in Regione da esaminare con provvedimenti ad hoc.
Si pongono spontanee alcune domande alle quali occorre dare una risposta. Che cosa si è fatto nel frattempo per incentivare la pianificazione locale, laddove essa è tuttora carente, soprattutto, che cosa si è fatto nelle fasce più lontane, cioè nei Comuni sprovvisti totalmente di strumento urbanistico? E' stato applicato qualche volta l'art. 91 ter che fissava una proroga molto stretta dei termini attraverso una delibera di Giunta? Non lo so.
Quante volte la Giunta regionale ha fatto ricorso alla progettazione di ufficio, con il ricorso a poteri sostitutivi per i Comuni fuori termine come d'altra parte era stato promesso più volte dall'allora Assessore. Ma prima di accedere a forme di sanzione, che cosa si è fatto per aiutare i Comuni negli adempimenti di legge? Pare che si sia continuato ad erogare i contributi per la formazione dei PRG e dei piani regolatori intercomunali.
Sono stati formati quegli uffici tecnici intercomunali di cui si era promesso di agevolare la formazione? Ma prima ancora che cosa si è fatto per incentivare anche senza spesa la formazione dei piani regolatori intercomunali stessi, che sono l'unico strumento reale di coordinamento orizzontale sia pure in forma spontanea di aggregazione concordata? L'ipotesi che avevamo assunto fin dall'inizio era stata quella di non forzare questo processo, come peraltro la Regione avrebbe potuto perché la legislazione nazionale prevedeva esplicitamente principi della fissazione del perimetro dei piani regolatori intercomunali da parte del Ministero dei lavori pubblici; quindi, se avessimo portato nella legislazione lo strumento di fissazione autoritativa da parte della Regione, sarebbe stato approvato in sede centrale. Non l'abbiamo voluto fare per dare un avviamento di carattere spontaneo e consensuale.
Che cosa si è fatto allora per incentivare questa formazione? Perch molte aggregazioni intercomunali che erano state avviate durante gli ultimi due anni della seconda legislatura si sono sciolte? Forse perché non sorrette da iniziative regionali, cioè da visite dei funzionari, riunioni esplicative in Assessorato, agevolazioni cartografiche? Non sappiamo in definitiva nulla o ben poco di questa situazione reale in fermento. Ed ancora, nel merito, che cosa si è fatto per coordinare gli interventi operativi dei PPA comunali e intercomunali, con i programmi operativi che ora sono stati inseriti nella legge 17 dell'82, con modifica della legge 56 all'art. 37 bis? Sono passati due anni ed ignoro che questi programmi operativi ci siano. Da informazioni degli uffici sappiamo che i PPA comunali affluiscono, chiamati precisamente, anche con notevole sforzo, da parte dei funzionari, ma i dati che vengono desunti da questi PPA pare non siano ancora stati memorizzati e quindi la loro utilizzazione al momento è nulla. Se questa è la situazione, è chiaro che diventa impossibile estrarre elementi conoscitivi su iniziative e interventi che sono state oggetto di quel grosso sforzo pianificatorio locale cui giustamente hanno fatto riferimento sia il collega Biazzi che la collega Vetrino. Diventa pertanto impossibile coordinare in sede regionale ciò che non si conosce. E' questa una carenza di legge o è una carenza operativa? Se manca l'azione conoscitiva e quella di continua informazione e suo aggiornamento, come è possibile estrarre dalla massa enorme di informazioni sulle iniziative locali quegli elementi strutturali, qualificanti del processo da selezionare, da coordinare, fare propri da parte della Regione, e rendere quindi trainanti del processo di sviluppo della comunità locale? Come è possibile, senza queste informazioni, confrontare le iniziative locali e reali che vengono dal basso con le direttive regionali contenute nel Piano di sviluppo o nelle ipotesi di progetti regionali e cercare di rendere coerenti le une con le altre? Come è possibile, senza questo processo di coordinamento, questo processo conoscitivo, aggregativo, selezionatore arrivare ad un processo di riequilibrio territoriale? Se gli elementi non si conoscono, se l'approvazione dei piani regolatori generali diventa un fatto puramente burocratico, come è possibile garantire che gli obiettivi generali della pianificazione siano conseguenti e siano realizzati? Che cosa significa allora tutto questo se non una caduta di tensione e un offuscamento degli obiettivi interni alla Regione che parte precisamente con l'inizio dell'attuale legislatura? Cerchiamo allora di individuare quali sono le cause interne di questo processo. A me pare che la prima domanda da porre sia questa: questa caduta di tensione è dovuta a carenza amministrativa, o a carenza legislativa? Cerchiamo di vedere quali sono le carenze amministrative sia nell'Assessorato all'urbanistica sia negli altri Assessorati. Mi pare che risulti evidente un allentamento del ritmo interno dell'Assessorato all'urbanistica soprattutto nel primo periodo di questa legislatura. Infatti, i tempi di esame delle politiche si sono dilatati, i tabulati forniti oggi danno indicazioni di tempi estremamente ampi fino a 534 giorni complessivi, di cui 27 all'Ufficio protocollo-verifica, 229 in istruttoria, 168 al CUR, 100 per la predisposizione atti, tempi che sono in parte migliorati nell'ultimo anno, ma che restano ancora estremamente pesanti. A parte la sosta degli atti al servizio protocollo e verifica che potrebbe anche essere ridotta nei tempi ma che è necessaria perché soltanto dal momento in cui sia verificata la completezza e il confronto alla legge degli atti e delle deliberazioni deve essere conteggiato il tempo dell'istruttoria. I tempi successivi per istruttoria, CUR, predisposizione atti però sono eccessivamente lunghi.
L'Assessorato aveva impostato nella legislatura una istruttoria decentrata, con funzionari che risiedevano nei Comprensori, solo qualcuno era autorizzato al pendolarismo per i Comprensori vicini. Questi funzionari decentrati avevano il compito di seguire la formazione dei piani e di predisporre contestualmente a questo processo la loro istruttoria da trasmettere all'Ufficio centrale, che avrebbe coordinato e omogeneizzato le istruttorie secondo criteri generali uniformi. Se tale procedura fosse stata attuata, durante i tempi di arrivo dell'istruttoria in Regione, e del relativo esame da parte dell'Ufficio centrale avrebbe già potuto partire l'esame del piano da parte del membro del CUR designato in grado, pertanto di stendere la relazione in tempi sufficientemente brevi. In un regolamento che abbiamo votato in Consiglio regionale sul funzionamento del CUR e in un regolamento interno che ci si era dati durante la II legislatura e durante le prime sedute del CUR si era assunto l'impegno che le relazioni dei relatori dovessero essere depositate, dattiloscritte, al CUR entro termini contenuti.
Forse è una sciocchezza, ma se la relazione viene fatta verbalmente, o vengono portati solo degli appunti e poi si aspetta un tempo estremamente lungo per la stesura e per la consegna del testo dattiloscritto, è chiaro che non solo conseguono tempi lunghi, ma si dimentica il dibattito, si creano delle situazioni di confusione e soprattutto i funzionari non hanno in mano nulla di certo su cui poi stendere il voto che ho visto viene fatto dopo. Se il voto del CUR è chiaro e preciso gli atti successivi possono essere prodotti in 30/60 giorni. Si potrebbe quindi pensare ad un massimo di 180 giorni di giacenza delle pratiche in Regione, a partire dalla data di accettazione dell'ufficio filtro. Si tratta di tempi e modalità rispettate nella l legislatura e visto che la gestione del CUR è stata ripresa, spero che si provveda in questo senso.
Vi è però ancora un problema interno, quello della conduzione del CUR.
Le voci parlano di assenza dei relatori, ritardate consegne dei rapporti scritti, contravvenendo, lo ribadisco, a regole interne fissate sia dal regolamento del CUR. che abbiamo votato con deliberazione del Consiglio regionale, sia da norme di comportamento che dovrebbero essere ridisciplinate. Se il regolamento non funziona, perché sono intervenuti fatti nuovi, può essere modificato con altra deliberazione del Consiglio ma deve comunque essere la base certa per il dibattito in seno al CUR.
So per esperienza che la conduzione del CUR dipende dal Presidente e dalla sua presenza assidua durante tutta la seduta, ma ho constatato personalmente, quando sono andato in seduta al CUR. non in data molto recente, che il Presidente non era presente. Ed ancora mi chiedo, quel programma iter, che avevamo messo in piedi e che attraverso un calcolatore con schedine in cui generalmente si registravano i passaggi delle pratiche memorizzando il tutto, quel programma "iter" che consentiva la visione concreta del processo di informazione in tutti gli uffici, funziona ancora? Se funziona ancora è semplice estrarre le conclusioni ed intervenire là dove ci sono gli ingorghi. Ma se non funziona, ed è stato soppresso, invito a ricostituirlo e a rimettere in circolo questa semplice operazione.
Infine, a me pare che sia mancata una notevole forza di propulsione del processo formativo dei piani, e questo vale soprattutto per i Comuni inadempienti, processo formativo che poteva essere stimolato attraverso circolari, lettere, modelli esplicativi, ecc. Vedasi per esempio il modello per i PPA, messo a punto un momento prima che il Ministro Nicolazzi sopprimesse questi strumenti nella forma iniziale, relegandoli ad atti molto marginali ed effettivamente non più riconoscibili nella iniziale idea del pacchetto integrato di opere pubbliche e private per operare l'attuazione dei piani. Quel modello è caduto, l'abbiamo sostituito con il programma operativo, si tratterebbe di vedere se i modelli per i programmi operativi sono stati fatti o meno, se non sono stati fatti occorre formarli. Ritengo sarebbe estremamente utile che la II Commissione fosse messa a conoscenza di tutti questi elementi. Ma quanti altri argomenti erano sul tappeto e non sono stati sviluppati dai criteri generali per la formazione dei piani regolatori ai criteri per le norme di attuazione che vanno disaggregandosi in tante edizioni a seconda dei vari progettisti mentre avrebbe dovuto essere unificata e resa molto più facile la comparazione e il giudizio dei relatori, e degli istruttori su questa materia alla simbologia di base che si era avviata e che evidentemente si è fermata.
Sono fatti amministrativi interni modesti, se si vuole, ma ciascuno ha le sue conseguenze. Infine c'è stato un mancato adempimento degli impegni di legge, l'adeguamento periodico degli oneri di urbanizzazione (ex art.
52), la formazione di alcune convenzioni tipo come quelle per la rilocalizzazione e la ristrutturazione di impianti produttivi, per i piani esecutivi, ecc, la mancata formazione dei criteri dei regolamenti edilizi.
Questa è una lacuna estremamente grave. Ricordo che, quando presiedevo la l Commissione, fu lanciata l'idea che i criteri per i regolamenti edilizi potessero essere anche presentati, studiati, dalle forze presenti nella Commissione stessa, perché non rappresentano aspetti politici, ma una messa a punto di sistemi tecnici, di convenzioni sulle definizioni ecc. Questo però alla Giunta parve un atto di prevaricazione dei poteri, pertanto fu avocata dallo stesso Consiglio regionale la preparazione dei criteri dei regolamenti edilizi (ex art. 87 della legge 56) ma, di questo, non ho più avuto notizie.
Devo ancora rilevare la mancata formazione della sezione speciale del CUR per i beni culturali (art. 91 bis). Vorrei anche segnalare che uno studio sugli standards differenziati avrebbe potuto essere avviato come preliminare per delle proposte di trasformazione degli standards stessi di cui parlerò successivamente. Non sono solo carenze di un Assessorato, ci sono altre carenze da parte di altri Assessorati. Così l'inspiegabile mancato passaggio dagli schemi dei piani territoriali comprensoriali ai piani stessi. Mi dicono che qualcosa sta muovendo. Meglio, ma questo ritardo non l'ho capito mai. Così come è mancato, devo dirlo a malincuore un interessamento all'esame delle congruità in sede orizzontale, quasi in sede di tempismo, con la pianificazione urbanistica locale, dei piani di settore che i vari Assessorati hanno promosso.
Si è così determinata una accentuazione della tendenza centrifuga verso piani di settore, con un'ipotesi astratta di una loro possibile riunificazione, per la formazione del piano regionale, ma, mi chiedo, è possibile unificare fatti, pesi e condotti in modo a se stante, senza verificare la loro coerenza con la filosofia generale del processo? Queste sono carenze di carattere amministrativo. Certo ci sono anclie carenze legislative, ma prima ancora delle carenze legislative c'è da segnalare la mancata revisione del titolo 10 della l. 56 che comporta le disposizioni finali e transitorie.
Molte delle disposizioni transitorie sono cadute, perché ormai le situazioni sono cambiate. Uno sforzo per esaminare la tenuta o meno delle norme contenute nel titolo decimo avrebbe consentito, per esempio, forse di risolvere quei problemi a cui accennava il collega Biazzi, sulla possibilità di realizzazione di alcuni interventi nelle more dell'approvazione del piano, semplicemente ritoccando l'art. 85. In quella sede si sarebbe forse data attuazione a una affermazione, a una promessa che era stata fatta all'inizio di questa legislatura, cioè di accentuare il rigore per i Comuni inadempienti e di accentuare i contributi e le agevolazioni per i Comuni adempienti. Queste operazioni potevano essere fatte indipendentemente dalle modifiche della 56, ma erano necessarie per la messa a regime della legge. Prima di arrivare alle proposte legislative sarebbe stato necessario un esame approfondito di questi vari nodi, che sono in massima parte interni alla Regione, a mezzo di indagini conoscitive e, sulla base dei risultati, individuare le proposte di modifica legislativa. C'e stata inoltre una grossa carenza di sostegno alla pianificazione quale la mancata produzione di Cartografia. Non vorrei riaprire questo capitolo ma devo pure accennare alla situazione scandalosa di inerzia nel ripristino, dopo l'incendio del 2 ottobre. I signori Consiglieri hanno ascoltato il mio rapporto fatto qui in Consiglio regionale nel marzo 83. Nessuna iniziativa concreta è stata avviata. E questo prima che scoppiasse il famoso uragano delle tangenti. Mentre il laboratorio cartografico era fermo quali sono state le iniziative di supplenza per fornire una cartografia di base ai Comuni? Questi sono i nodi reali della situazione. Tante cose si sarebbero potute fare senza tanta spesa e anche senza modifiche di legge. Per esempio, rispettare il regolamento del CUR o, se necessario, modificarlo con deliberazione consiliare; rispettare i tempi interni; assolvere agli adempimenti di legge; essere rigorosi nell'esercizio delle funzioni dei relatori del CUR e dei funzionari interni, ricorrendo ove del caso anche a sanzioni disciplinari, e per i relatori esterni all'eventuale revoca, come propone l'Assessore Calsolaro. Tutte operazioni che possono essere anche demandate in sede di regolamento con un semplice richiamo alla legge. Occorre anche riconoscere l'attività dei funzionari, premiare quelli seri e coscienziosi e dotati di alta professionalità che hanno fornito e forniscono il loro impegno e che, probabilmente, in un quadro così confuso e di allentamento degli obiettivi si sentono demotivati. Soprattutto è necessario studiare come sostenere e premiare gli enti locali adempienti che sono molti, ad essere rigorosi verso gli inadempienti. In sintesi, se questa analisi è vera, ed è probabilmente errata per difetto, perché alcuni problemi non sono stati toccati, che cosa occorre prioritariamente fare per poter portare a regime il processo pianificatori su tutto il territorio regionale? A me pare che occorrano almeno questi elementi: ripristinare la tensione operativa interna, presente già nella II legislatura e allentata in questa; ridare fiducia e coraggio alle comunità locali che, per la carenze qui evidenziate, sono state motivatamente indotte a non più riporre nella Regione fiducia e speranza e si sono in alcuni casi abbandonate a forme di lassismo; riprendere il coordinamento orizzontale (PR intercomunali) e verticale (dal PRG al PTC) sia nella formazione dei piani che nella loro gestione attraverso i PPA ed i programmi operativi. Come premessa a quei programmi regionali di opere pubbliche, anche questi inseriti nella legge e nella modifica della 28 ma finora non ancora arrivati a compimento. Reinnestare quindi il processo ciclico, dai piani regolatori generali ai piani territoriali comprensoriali, da questi al piano territoriale regionale come quadro di riferimento per riassestare i piani locali di seconda generazione; estrarre da questo processo pianificatori gli elementi essenziali per la programmazione degli interventi pubblici; far conoscere i contenuti e i risultati di questo processo come opera di monitoraggio permanente.
Vale la pena, a questo punto, analizzare che cosa propone il d.d.l. 337 e se ciò che propone è coerente con gli obiettivi generali della pianificazione (art. l legge 56), con la situazione di fatto esaminata, e con gli obiettivi specifici che esso si propone.
Gli obiettivi specifici dichiarati sono lo snellimento delle procedure le variazioni, l'introduzione del progetto territoriale operativo ed alcune modifiche varie di dettaglio. Esaminerò brevemente queste proposte in ordine di importanza, il PTO leggo nella proposta consiste nella possibilità di stralcio operativo dai piani territoriali, anche in assenza di questi, per interventi, specifici sul territorio, di interesse sovracomunale su proposta della Regione, di enti o addirittura di privati.
I motivi di dissenso se il PTO è proposto in assenza di piano territoriale sono evidenti. E' evidente una mostruosità giuridica, pretendendo l'inserimento nel territorio regionale di un tassello vagante di pianificazione territoriale in assenza del quadro di riferimento complessivo, è una mostruosità scientifica perché non è tecnicamente possibile inserire in modo serio questo tassello in assenza degli elementi conoscitivi di progettazione dell'intorno, perché non è possibile garantire la coerenza di questo specifico, ipotetico intervento con un restante telaio di interventi regionali, come si pensa questo tassello particolareggiato e operativo se esso si configura con le stesse caratteristiche del PT con la sola aggiunta delle opere? E' una mostruosità operativa perché si vogliono in questo modo scavalcare competenze locali operando dall'alto e senza consenso preventivo, come è possibile quando in tal modo ripetutamente sul territorio, evitare uno stato di turbativa della pianificazione locale o di complessiva confusione operativa? Questo quadro cambia totalmente se il PTO, anziché stralcio ante litteram del PTC, si configura come effettivo piano operativo di attuazione di un piano territoriale vigente. E' quello che, con molto piacere, ho sentito, dal collega Biazzi, presentare come proposta di emendamento dalla sua parte politica. In questo caso il PTO diventa legittimo, scientificamente corretto ed operativamente efficace, ma deve assumere effettivamente i caratteri di strumento attuativo. Occorre in tal caso che il PTO venga definito nel suo "contenuto operativo" come insieme di progetti di intervento tecnicamente precisati, come d'altra parte in un PPA di antica memoria si chiedeva la precisazione degli interventi, sia pure in progetti di massima, finanziariamente sostenuti e operativamente resi possibili da adeguati strumenti. Occorre dunque definire le scale ed i caratteri dei progetti, sia pure di massima, le stime occorrenti, la copertura finanziaria, i modi attuativi.
Occorre che ne sia valutata a priori la coerenza con la pianificazione regionale, con il Piano di sviluppo e con la pianificazione locale e, in mancanza di coerenza, occorre individuare i modi per rendere coerente questo raccordo con varianti, anche d'ufficio al PT, al PRS, alla pianificazione locale. E' necessario anche valutare a priori gli effetti dell'impatto ambientale sia sotto il profilo fisico, sia sotto il profilo socio-economico. . Inoltre una particolare attenzione va posta alle modalità attuative che possono essere tante. La fantasia creativa della Regione può svilupparsi, le operazioni possono avvenire a mezzo di finanziarie pubbliche, a mezzo di società di economia mista sul tipo francese, sotto forma di concessione, ecc. E un argomento che va sviluppato. In sintesi, la parola, che leggiamo nel testo, "opere" da sola è assolutamente priva di significato. Il problema dell'attuazione dei PTC va posto seriamente e sviscerato con la dovuta attenzione.
Le modifiche all'art. 15. L'approvazione tacita, totale o parziale, dei piani regola tori a 360 e 180 giorni dalla loro presentazione in Regione ci lascia estremamente perplessi. I motivi di dissenso sono facili. Questo provvedimento, significherebbe per la Regione una dichiarazione della propria mortificante impotenza a raddrizzare una situazione degenerata e teniamo presente soltanto transeunte di emergenza. Non si può allora infliggere ai Comuni la mortificazione di attendere passivamente il trascorrere del tempo per poter agire, sia pure entro margini modesti. I trabocchetti che si possono individuare sono molti: ci possono essere ritardi, veri, dovuti a cause di forza maggiore; ci possono essere ritardi dovuti a maliziose interpretazioni da parte di molti, dei Comuni stessi dei funzionari. Non dobbiamo scandalizzarci se si apre un varco e in questo varco possono essere inserite varie operazioni. Mi pare che, anche nella forma ridotta che il collega Biazzi ha annunciato, sussistano dei trabocchetti. Quello che mi preoccupa non è tanto l'intervento di completamento, che potrebbe essere ben definito, su aree dotate di infrastrutture primarie e secondarie complete, infatti il completamento è un fatto puramente meccanico che può essere realizzato; non comporta spese da parte del Comune, non comporta operazioni di programmazione di spesa pubblica. Quello che mi preoccupa è la ristrutturazione edilizia. Se non c'è una definizione molto precisa e se non si escludono i centri storici la ristrutturazione edilizia può essere sconvolgente. Faccio due esempi che ho potuto constatare in due Comuni, retti da amministrazioni serie, ma che avevano piani poco seri; i Comuni di Ivrea e di Settimo, entrambi prevedevano sventramenti del centro storico che, nel CUR abbiamo soppresso.
Se, per ipotesi, fossero passati i termini nel regime ipotizzato, le concessioni edilizie avrebbero potuto essere rilasciate legittimamente e sarebbe iniziata un'operazione sconvolgente, che lo stesso Comune ha riconosciuto essere, doverosamente, da accantonare.
La modifica proposta all'art. 15, pertanto, a meno di articolarla e di studiarla in modo molto approfondito, ha in sé un'inefficacia operativa perché se l'istruttoria si svolge regolarmente, è pleonastica, se esistono invece delle disfunzioni, allora bisogna curare l'iter zoppicante. Non è accettabile comunque, lasciare spazio ad una possibile applicazione del piano, salvo una cautela estremamente rigorosa sulle operazioni ammesse. E poi chiediamoci: per quanti Comuni questa norma sarebbe applicabile? Mi pare che ben pochi Comuni, cioè per quelli sprovvisti di piano che non hanno neppure iniziato l'iter di formazione, adozione, pubblicazione, che magari nel periodo di approvazione di legge invieranno il piano in Regione.
Sarà interessante, da parte dell'Assessorato, accertare quanti sono. Se fossero 100 o 200 vale la pena di modificare l'impalcatura generale della legge per questa fascia di Comuni inadempienti? E poi, perché premiare proprio i Comuni inadempienti e penalizzare quelli che hanno adempiuto a suo tempo? Non c'è forse una disparità di trattamento di carattere costituzionale? Mi pare che il problema si possa risolvere molto più tranquillamente modificando l'art. 85, ma soprattutto rafforzando il numero dei relatori interni ed esterni.
Devo far presente che altre Regioni si sono trovate in situazioni analoghe ed hanno risolto con estrema disinvoltura il problema affidando pro tempore ad un gruppo di relatori, scelti in modo adeguato con delibera di Giunta, il compito di predisporre le relazioni, per coprire tempi che rendevano affannoso I 'iter di approvazione degli strumenti. Si deve insistere dunque soprattutto nel rispetto dei tempi, introducendo, lo ribadisco, incentivi e sanzioni per gli inadempienti. Il compenso dei relatori deve essere mantenuto, c'è invece stata la soppressione della modestissima diaria. Questi aspetti sono da riprendere con attenzione, i relatori, i quali devono dare garanzia di serietà, devono dichiarare di non esercitare la professione nel territorio regionale per il periodo della loro permanenza al CUR, debbono essere riconosciuti per il lavoro che svolgono. In conclusione, mi pare che questi ritocchi regolamentari potrebbero coprire tutti i problemi che sono stati posti evitando qualche mortificante scappatoia.
La riduzione di standards per i Comuni minori. Pare un falso problema.
Che senso ha ridurre gli standards, quando i 2/3 dei Comuni hanno già effettuato la progettazione dei loro piani? Bisognerebbe obbligare i Comuni che hanno già il piano approvato a ridurre le aree di standard, ritagliando i sette metri quadri eccedenti fra i 18 e i 25 e per farne che cosa? Perch applicare questa riduzione ai Comuni piccoli, ovunque essi si trovino? Non è forse compito dei piani territoriali individuare, ex legge 56, i parametri urbanistici per aree e fasce topograficamente definite con motivazioni derivanti da accertamenti sulla situazione locale, sulla logica dello sviluppo in atto e di quello ipotizzato, e ciò ai fini dell'assestamento dei piani regolatori generali di seconda generazione quelli che cioè saranno gli adeguamenti dei piani attuali ai piani territoriali? Con la presente proposta di riduzione indiscriminata si colpiscono indifferentemente i Comuni a carattere stazionario e in regresso e quelli piccoli ma pieni di dinamica produttiva, sia quelli che si trovano in aree eccentriche, marginali rispetto ai poli di sviluppo, sia quelli siti ai margini o addirittura all'interno delle aree metropolitane e dei poli di sviluppo industriale e turistico.
Disparità quindi di trattamento conseguente a un'ipotetica omogeneizzazione di trattamento. Infine si trattano in modo differenziato e pesante i Comuni adempienti, già dotati di PRG approvato, e quelli inadempienti per i quali si riconosce questo sconto di 7 metri quadri in meno per abitante.
Il problema degli standards va affrontato in altro modo. Non si tratta di ridurre le aree ma di ridistribuire queste aree all'interno dei 25 metri quadri in modo diverso, perché diverse sono le condizioni attuali rispetto a quelle di 7 anni fa quando abbiamo presentato la legge.
Gli standards erano la conseguenza di una operazione intelligente su tutto il territorio nazionale, operazione che cercava di avere un minimo parametro di confronto tra i vari Comuni, ma che nasceva dagli anni 60 cioè dagli anni del grande sviluppo di crescita demografica, di grandi trasmigrazioni di popolazioni dal sud al nord e dalle aree sottosviluppate ad aree di sviluppo, trasmigrazioni che portavano coppie giovani, quindi bisognose di avere punti di appoggio soprattutto nel campo dell'istruzione primaria e secondaria. Erano menzioni coerenti con quel piano di interventi nell'edilizia scolastica che ha caratterizzato gli anni del passaggio dal 60 al 70 con grossi investimenti pubblici. Quel periodo però e passato.
Esistono ancora situazioni pesanti di secondo o triplo turno nelle scuole.
A Napoli ci sono situazioni terrificanti, ma non in Piemonte. In Piemonte dovremmo guardare un po' più avanti tenendo conto della contrazione della crescita demografica e di quel processo di invecchiamento della popolazione che è in atto e che è ormai accertato dal censimento dell'81, dagli studi del Censis, che comporta per il futuro domande di diverse attrezzature sociali per le classi anziane, che non sono solo il geriatrico non sono solo i posti nelle case di riposo, ma sono attrezzature residenziali speciali e per attività culturali e ricreative che devono essere ipotizzate, per le quali occorrono le aree. Se noi utilizziamo lo standard di un metro quadro previsto per le attrezzature culturali, socio-sanitarie non abbiamo spazio per queste attività che invece stanno diventando emergenti come domanda Futura. Pensiamo all'Olanda e all'Austria dove è stata posta molta attenzione per risolvere questo problema con attrezzature di altissimo livello sociale e culturale.
Quindi non una riduzione indiscriminata per i piccoli Comuni, ma una opportuna ridistribuzione degli standards che non si può infatti fare a tavolino con un colpo di penna, ma deve essere attentamente ponderata.
Bisogna avviare degli studi e fra tre o quattro mesi potremo avere i primi risultati.
Vorrei ancora soffermarmi sull'art. 42 del d.d.l. 337 di modifica dell'art. 82 della L. 56. E' una norma che appare, tra le righe, quasi innocua. Si dice che la capacità insediativa dei piani anziché da valutare per i prossimi 5 anni, è da valutare per i prossimi 10 anni. A parte l'inaccettabile diverso trattamento che favorisce ancora una volta i Comuni inadempienti, che vengono quindi premiati, non soltanto dalla riduzione degli standards, ma anche da questa aggiunta di incremento abitativo, è assai grave la dilatazione dell'orizzonte temporale dei piani ad un decennio. Ciò significa scoordinare il processo ciclico impostato attraverso la revisione quinquennale dei piani ed il loro raccordo con la pianificazione territoriale con il piano di sviluppo. Se il ciclo quinquennale è stretto, vediamo di modificarlo, ma ragionatamente e non attraverso una semplice soppressione e sostituzione di un numero con un altro.
Teniamo conto che questo aumento di capacità insediativa in una fase di assenza di piani territoriali si tradurrebbe in un grosso spreco di risorse e di suolo sia pure in un numero ridotto di Comuni. L'unica modifica da salvaguardare integralmente, a mio parere, è quella all'art. 45: sono le correzioni di errori materiali già presentate ai colleghi l'ultimo giorno della passata legislatura.
Allora il Presidente Sanlorenzo disse che era un'operazione puramente di coordinamento e la accantonò ; gli uffici però ritennero che fosse una modifica non insensibile d'ufficio, e percio non ebbe seguito.
In conclusione le proposte di modifica alla L.R. 56/77 non possono sottrarsi a queste tre domande: rispondono agli obiettivi di snellimento alle procedure? Si in parte, ma creando scompensi concettuali, giuridici ed operativi, oltre che disparità di trattamento che, attraverso questi contentini-sconti, favoriscono soltanto i Comuni inadempienti e finiscono per mortificare i Comuni adempienti. Rispondono alla situazione di fatto? Si certo, ma non risolvono le cause della situazione di ingorgo delle pratiche individuando solo delle scappatoie di comodo. Rispondono agli obiettivi generali della pianificazione ex legge 56? No, nel modo più assoluto, perché sono tutte di segno contrario. Aumentano lo spreco delle risorse, non aiutano il riequilibrio, negano la programmazione operativa..
In particolare, se il PTO restasse come stralcio della pianificazione territoriale, anziché "operativo" di un processo ancora continuo di pianificazione, sarebbe decisamente negativo.
Allora mi permetto di presentare alcune proposte. Se quello che è stato esposto corrisponde al vero, se le critiche formulate sono fondate, se le proposte di modifica legislativa non correggono le cause delle distorsioni in atto nel processo di approvazione dei piani, se le iniziative di carattere amministrativo che avrebbero potuto correggere queste distorsioni non sono state prese per tempo, se le inadempienze di legge sono non solo effetto di uno scarso impegno da parte di un certo numero di Comuni (soprattutto i 410 privi di strumento urbanistico, ma, attenzione, solo quelli senza PRG in itinere ) ma anche effetto di scarso impegno dell'attività di competenza della Giunta regionale, se le proposte di modifica in definitiva, appaiono in gran parte inefficaci o addirittura scorrette sul piano giuridico, tecnico, operativo e, soprattutto, di segno opposto agli obiettivi generali della legge, 56, quindi inidonei a incentivare la razionalizzazione del processo, che cosa fare? Basteranno alcuni ritocchi ed emendamenti a correggere il tiro e rendere efficaci le modifiche di legge? Temo proprio di no, anche se ritengo che questo sforzo debba essere fatto e che tutta l'attenzione per questa revisione debba essere portata, su iniziative che invito a correggere, una revisione che ritengo debba essere profonda e in base alla realtà diversificata dai diversi stati della pianificazione locale, sia dai diversi contesti socio economici e geografici (che solo i PT possono far emergere) e che debba snellire molte proposte per portare all'osso soprattutto quella di un PTO effettivamente operativo e studiato nei suoi contenuti tecnici ed operativi.
Spero, con questo mio intervento, di avere anche dimostrato che l'azione di modifica legislativa non può essere prioritaria, ma e complementare, semmai susseguente al necessario e improcrastinabile riordino amministrativo; mi pare che la chiave di tutto stia nella volontà politica di rinnovamento della Giunta regionale che va dimostrata in modo complessivo, non minimizzata in inefficaci proposte del tutto marginali come le attuali. Forse mi illudo, ma oltre che una profonda revisione con lo sfoltimento del superfluo e l'approfondimento là dove è necessario della proposta di legge, mi pare sia possibile avviare una cospicua serie di operazioni che potrebbero essere svolte nei prossimi sei mesi, ideando e presentando in Consiglio le proposte per un "pacchetto integrato e coerente" di atti amministrativi e, se occorre, anche di proposte legislative che, in complesso, agendo tra loro sinergicamente possano garantire alcuni effetti: un effettivo recupero dei principi di razionalizzazione ed omogeneizzazione del processo di pianificazione territoriale e urbanistica che sono alla base della L.R. 56/77 come premessa indispensabile per un democratico governo del territorio la capacità di estrarre da questo complesso processo le "idee di forza" cioè le "idee guida" creative, strutturalmente significative di questo processo senza le quali la pianificazione scadrebbe a semplice regolamentazione tecnica, asettica e atemporale delle trasformazioni possibili la verifica, il coordinamento, l'eventuale integrazione, in sede regionale, delle proposte emergenti dal processo di pianificazione locale trasformandole in atti operativi di seria programmazione, non calata dall'alto, ma risultante dal ragionato e democratico incontro fra le iniziative dal basso e l'azione di guida dall'alto.
Per conseguire questi fini, il "pacchetto integrato di atti", dovrebbe a mio avviso, comprendere essenzialmente: 1) un insieme di atti amministrativi, composto da: direttive interne esplicitate con atti di Giunta, di circolari, oltre che di varie iniziative fra cui il riordino degli uffici, anche a tempi brevi, per far fronte all'emergenza ed attività promozionali volte a rimuovere tutti gli ostacoli dovuti alla vischiosità, ai ritardi ed alle disfunzioni e sollecitare per contro l'emergere di una recuperata vivacità sia all'interno degli uffici con la migliore valorizzazione delle competenze professionali, sia all'esterno per una sempre più consapevole, moderna e creativa formazione di piani e programmi 2) l'urgente messa in moto dell'effettiva formazione di piani territoriali comprensoriali e di quello regionale, predisponendo a tal fine personale e risorse adeguate, ed attingendo per questi compiti a sicure competenze professionali 3) l'avvio della predisposizione di un secondo rapporto sullo stato di pianificazione in Piemonte che copra l'arco 80/85 e che faccia seguito al primo rapporto 75/80. In questo, a mio avviso, potrebbero essere posti in luce non solo i problemi, gli errori, gli incidenti di percorso di questi anni della III legislatura, ma soprattutto, illustrare con chiarezza le iniziative poste in atto, da oggi in poi, per recuperare la pianificazione territoriale ed urbanistica ai suoi originari significati e indirizzi. Il secondo rapporto dovrebbe quindi costituire la base per un dibattito in Consiglio regionale da avviare, nei prossimi mesi, e la base di partenza per l'attività regionale di pianificazione della IV legislatura alla quale presto arriveremo.
Per questo è necessario, più che una cronaca dei fatti e degli atti un'analisi seria della realtà insediativa piemontese, della sua dinamica e delle sue prospettive lette attraverso i piani regolatori generali e i PPA redatti in questo periodo 4) la predisposizione di alcuni provvedimenti amministrativi e di proposte legislative da presentare anche separatamente (ma nei prossimi 6 mesi) di cui faccio un elenco a carattere puramente indicativo e semplificativo, per esempio: agevolazioni per la formazione dei piani generali e particolareggiati dei piani di recupero e dei programmi operativi a mezzo di costituendi uffici tecnici, soprattutto intercomunali, e di adeguati contributi agevolazioni per la formazione di edilizia residenziale, di servizi ed impianti produttivi, secondo una proposta di legge presentata da me e dall'allora Consigliere Viglione, all'inizio della III legislatura, ed accantonata per attendere la revisione della l. 28, che potrebbe essere oggi ripresa agevolazioni per il recupero dell'esistente e per consentire l'aumento del numero di alloggi a parità di superficie per far fronte alla domanda insoddisfatta di alloggi di piccola taglia proposte per agevolare ed eventualmente imporre, la realizzazione di parcheggi pubblici in superficie e in sopra e sotto suolo nei Comuni ad alta intensità di traffico.
E' questo un elenco incompleto, ma solo indicativo dell'orientamento proposte che potrebbero concretizzarsi in tempi brevi e che darebbero un segno di operatività e di incidenza nei problemi reali della nostra Regione.
5) Ripristinare con urgenza e far funzionare con adeguati mezzi e personale il Laboratorio cartografico, che dopo i famosi incidenti, è rimasto ancora inoperante. Accantonare per questo ogni ipotesi di privatizzazione ed avviare a funzionamento, secondo la legge e lo Statuto, la società pubblica per azioni.
6) Avviare la formazione di un serio sistema informativo sullo stato delle trasformazioni territoriali tale da garantire in ogni momento l'accesso pubblico ai dati e la realizzazione di un sistema di "monitoraggio" che con specifici indicatori, possa sintetizzare e fornire utili informazioni a tutti i decisori pubblici e privati. Ciò al fine di rendere trasparente accessibile e confrontabile l'attività di governo del territorio con il controllo permanente dei processi in atto e di quelli in progetto. Signori Consiglieri, questo complesso di impegni, unito ad eventuali altre iniziative culturali e promozionali, di sostegno e di premio delle amministrazioni più attive e di stimolo a quelle ancora inerti, dovrebbe, a mio parere, ridare slancio fiducia e fiato alle funzioni di governo della comunità piemontese, sollecitando tutti, amministratori, funzionari professionisti ed operatori ad un recupero di indirizzo, di metodo e di serietà complessiva. Potrei avere finito, ma vorrei ancora fare un brevissimo accenno ad un problema di carattere concettuale. Questo insieme di proposte avrebbe anche l'effetto, non secondario, di contribuire a superare in modo chiaro un dilemma concettuale, artificiosamente agitato in questi ultimi tempi da chi contrappone in sede teorica e pratica piani e progetti. Il dibattito si è svolto su riviste specializzate, e pare anche ormai alquanto assopito, fra sostenitori di una pianificazione globale e sintetica e fautori di un approccio empiristico di una programmazione per progetti.
L'eco di questa disputa, astratta e inconcludente, si trova infatti anche da noi nei fautori di una concezione basata su una pianificazione settoriale quindi per progetti come sostitutiva di una pianificazione territoriale generale. L'ipotesi del PTO a stralcio che potrebbe anche prevedere la formazione del PTC rispondeva precisamente a questa logica minimalistica. La disputa in sede teorica è stata ampia, la letteratura numerosa su questo argomento, ha dimostrato l'infondatezza di questa contrapposizione. E' ormai accettato, da parte di molti teorici, che una programmazione per progetti non può fare a meno di una piattaforma generale di riferimento, cosi come una pianificazione generale territoriale non pu fare a meno di specifici progetti per diventare operativa.
Sembra banale ma è stato il risultato di un lungo dibattito.
Senza questi progetti il piano avrebbe solo carattere regolamentare mentre per il passaggio al concreto occorrono progetti specifici corredati dagli elementi tecnici, dai costi e dai tempi di esecuzione. Mi pare che il superamento dell'artificiosa contrapposizione fra piani e progetti si trovi proprio nell'impalcatura concettuale della legge 56, con l'articolazione dei due livelli, territoriale ed urbanistico, con l'approccio a tappe, con la programmazione operativa, pluriennale, basata su progetti di intervento.
Questa impalcatura concettuale pare dunque solida e inattaccabile sul piano teorico. Occorre renderla ora operante in tutte le sue valenze. Da questa esigenza nascono le proposte formulate. La strada indicata, ne sono consapevole, signori Consiglieri, comporta atti multipli e coraggiosi che suppongono non solo un minimo di autocritica sulla "caduta di tensione" interna che ha caratterizzato il quadriennio trascorso, ma richiedono anche chiarezza di idee, fermezza di volontà e di conduzione. Questo è il "testo" che si propone. Se, come mi auguro, ci sarà questo ripensamento e si riscoprirà la volontà di uscire dall'empasse in cui ci si trova, un programma preciso di operazioni e di tempi si impone. Sei mesi sono pochi in assoluto, ma sono anche tanti per avviare e forse anche raggiungere questo rinnovamento. E' per questo che, uscito indenne da una esperienza che poteva avere gravi risvolti negativi per me, mi sento autorizzato, come proponente della 56, a rivolgere un caldo appello alla maggioranza anzitutto, come responsabile della politica regionale, ma anche a tutte le altre forze politiche presenti in Consiglio regionale, perché al di là di ogni contrapposizione ideologica, ci si impegni tutti in questi ultimi sei mesi di vita del Consiglio regionale, per una svolta, concreta in questo campo, di esclusiva competenza regionale.
Per il futuro sviluppo del Piemonte, per mettere a frutto l'immenso sforzo progettuale e decisionale messo in moto dalla 56 e in larga misura realizzato dalla comunità piemontese, perché questo sforzo si concluda nel più breve tempo e si possano trarre tutte le conseguenze positive, chiedo con forza una impennata creativa da parte della Giunta regionale destinata a lasciare un segno decisivo e duraturo nella realtà regionale.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Brizio. Ne ha facoltà.



BRIZIO Gian Paolo

L'intervento del Consigliere Astengo è di tale peso e di tale rilevanza i farci meditare tutti. Astengo ha incentrato l'intervento su una severa ed impietosa critica al lavoro operativo della Giunta regionale la quale viene giudicata incapace di gestire in modo corretto e coerente il settore urbanistico. Il professor Astengo è stato certo animato da una appassionata difesa del testo originale della legge 56, che non ci ha mai visti d'accordo, ma le sue critiche all'azione amministrativa e politica della Giunta ricalcano quanto abbiamo sempre detto in quest'aula: incapacità di gestire il settore urbanistico, incapacità di approvare gli strumenti urbanistici, incapacità di attuare le opere pubbliche. Queste critiche proprio perché vengono da un autorevole membro della maggioranza, assumono particolare significato e peso. Il dibattito sulle modifiche della legge urbanistica 56, assume l'aspetto particolare di una severa critica all'azione della Giunta, che si concreta con la richiesta di quella svolta operativa la cui necessità abbiamo sempre sostenuto e che a nostro avviso contrariamente a quanto afferma il professor Astengo, non può andare disgiunta da una svolta politica.
C'è un altro aspetto nell'intervento del professor Astengo che deve essere meditato e che riguarda lo specifico della legge che discutiamo.
Astengo ha detto giustamente che ci troviamo di fronte alla mancanza di una proposta chiara della maggioranza, si sta svolgendo un lavoro legislativo in aula con l'impossibilità di giungere rapidamente ad un prodotto legislativo serio quale la comunità piemontese si attende. Questo disegno di legge sembra la goletta fantasma, dell'ultimo romanzo di Folco Quilici "I cacciatori dei mari" che compare, sparisce, ricompare ed infine si arena, mentre chi la cercava e sperava di controllarla si disperde nelle nebbie dell'estuario del Rio delle Amazzoni. Siamo in una situazione di questo genere. Manca un disegno di legge vero con cui confrontarsi.
Si parla di centinaia di emendamenti che in gran parte devono ancora essere presentati. La carenza operativa della maggioranza e della Giunta è massiccia ed è stata denunciata da un intervento estremamente puntuale.
Siamo di fronte ad un fatto politico dal quale è difficile estraniarsi, di fronte al quale è impossibile non assumere posizioni energiche. La Giunta sia coerente, tragga le conclusioni da questa severa critica alla gestione urbanistica perché dai banchi della maggioranza viene una critica severa che ricalca quello che ripetutamente è stato detto dal nostro Gruppo.
Dai banchi della maggioranza viene la richiesta di una svolta. Per noi la svolta deve esserci. La Giunta tragga le necessarie conseguenze.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Collega Presidente, lamento che lei inopportunamente abbia dato la parola al collega Brizio. Siamo in sede di dibattito generale e vi sono molti iscritti a parlare i quali hanno il diritto e il dovere di parlare secondo l'ordine di prenotazione.
Personalmente sono legato al professor Astengo dalle prime battute svolte in quest' aula nel luglio '78, quindi ritengo di dovermi dissociare da un tentativo di strumentalizzazione e di esasperazione di una testimonianza di una battaglia politica che, per quanto mi risulta, è superata nei tempi, nella cultura, nella realtà, nella storia, ma che comunque non attiene a conseguenze che deve trarre la Giunta. Saranno conseguenze che dovrà trarre l'opposizione nelle sue dichiarazioni di voto nel dibattito che andremo ad affrontare in sede elettorale.
Caro Brizio, sulla legge 56, si atteggia in modo ipocrita e gesuitico la maggioranza che cerca di nascondere le sue inefficienze, trovandone le ragioni all'interno di una legge che ha una propria non coerenza dato il suo impianto e le sue difficoltà di gestione.
Questo si, caro Viglione, era un affresco e chiaramente gli affreschi creano qualche problema; hanno bisogno di opportune cornici, di essere riparati dalle intemperie, di essere mantenuti di tanto in tanto, Questo non è avvenuto né da questa Giunta né da questa maggioranza. C'è poi qualcuno che non crede in questa logica. Noi liberali, riteniamo che una società moderna non possa essere gestita in una realtà come quella piemontese da una legge che fa prevalere troppo l'aspetto territoriale rispetto all'aspetto progettuale. Riteniamo che la società sia così mobile così ricca di tensione al proprio interno ed abbia uno sviluppo così accelerato e che una filosofia di legge come quella del professor Astengo evidentemente trovi difficoltà a dispiegarsi.
Noi crediamo ad un altro tipo di impostazione. La nostra critica diventerà una critica apolitica nei confronti della Giunta, per inadempienze del suo mandato di rispettare ed attuare le leggi che essa stessa ha approvato.
Non mi pare però che le considerazioni di Astengo giustifichino un dibattito di ordine politico semmai, sono una richiesta di riflessione da parte della maggioranza delle sue ragioni di difesa della legge 56.
Astengo vi dice che se voi difenderete la legge 56, non la difendete rendendola più facile da attuare, perché così com'è è una falsa scorciatoia che non porta in nessun posto, anzi, forse porta nel disordine. Non è un messaggio alla strumentalizzazione. E' un messaggio che dice che nei confronti di questa legge ci si atteggia politicamente sul versante chiaramente comprensibile e differenziato e politicamente trasparente.
Il professor Astengo pone un problema di ordine culturale: ci dice che la 56 non si attua con queste modifiche. Noi ci auguriamo che un giorno o l'altro ci siano i consensi sufficienti per modificare la 56 perch riteniamo che la politica del territorio debba essere affidata a strumenti più agili, più governabili, che non siano quelli ipotizzati da questa legge che questa maggioranza non intende disconoscere.. Questo è il senso del dibattito che stiamo facendo in quest'aula.
Richiamo il Presidente ad essere molto attento sul modo di gestire dibattiti di questa delicatezza in cui le componenti politiche, tecniche culturali sono su un piano molto delicato, per cui è estremamente inopportuno farle convergere e coesistere. La giornata di oggi doveva essere dedicata alle dichiarazioni dei Gruppi sulla legge 56 e non alla polemica su apparenti contrasti all'interno o all'esterno della Giunta.
Non segneremo nel nostro taccuino il fatto che alcuni esponenti della maggioranza si sono dissociati da una proposta che porta la firma della maggioranza, chiederemo però di trarne le debite conclusioni in sede politica.



PRESIDENTE

Onestamente non ritenevo che il collega Brizio avrebbe fatto un intervento come quello che ha fatto, altrimenti non gli avrei dato la parola.
La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, non vorrei essere chiamato a sopportare le conseguenze di precedenti errori che non da parte mia sono stati commessi.
Parlo in merito al dibattito che è stato aperto con l'intervento del collega Brizio.. Non parlo della legge urbanistica sulla quale intendo intervenire martedì prossimo.
Devo allora dire francamente che dopo l'intervento del professor Astengo la maggioranza non esiste più. Dopo l'intervento del collega Marchini devo dire che neanche l'opposizione esiste più.
L'intervento del Consigliere Astengo rispetto a quella che potremmo definire una sua creatura è stata, come era logico attendersi, appassionato e fervoroso. Noi dobbiamo anticipare di non condividere le ragioni sulle nefaste conseguenze che la sua legge ha portato individuandole per motivi che ha voluto qui specificare. A nostro avviso, il fallimento della legge Astengo si deve ad altre cause.
Non ne vogliamo neanche fare una strumentalizzazione perché si è molto attenti agli atti che si compiono in questo Consiglio regionale, però vi è un .fatto nuovo; se non lo si vuole considerare un grande fatto politico significativo per non dare luogo e vita a speculazioni e strumentalizzazioni di sorta, ci sembra però che sia un grande e notevole fatto dal punto di vista tecnico.
Il professor Astengo ci ha detto in sostanza che noi non abbiamo davanti un testo di legge definito, ha lamentato che ci sono decine e decine di emendamenti in corso di presentazione, che mirano sostan zialmente a stravolgere la legge.
Stamattina il collega Majorino nel suo intervento aveva fatto richiamo a un esplicito articolo del regolamento proponendo che la legge ritornasse in Commissione e fosse definita in quella sede.
Rinnovo la domanda e la proposta. Così facendo, mi darà atto il collega liberale non intendo speculare sull'intervento del professor Astengo, ma semplicemente agganciarmi a quanto dallo stesso detto per motivare ancor più una proposta che, partita dai nostri banchi stamattina, non poteva essere accolta; ma che ora, partita da un autorevole esponente di maggioranza, potrebbe forse venire considerata in altro modo.



PRESIDENTE

La discussione di questa giornata è terminata.
I lavori riprenderanno il giorno 18 settembre prossimo.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18.30)



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