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Dettaglio seduta n.241 del 17/04/84 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto primo all'ordine del giorno: "Approvazione verbali precedenti sedute", non essendovi osservazioni, i processi verbali delle adunanze consiliari del 5 aprile 1984 si intendono approvati.
Prima di procedere allo svolgimento delle interrogazioni ed interpellanze comunico che è presente una delegazione dei lavoratori della ditta TAI e di altre aziende di Volpiano che chiede di essere ricevuta dall'Assessore al lavoro e dai rappresentanti dei Gruppi consiliari.


Argomento: Personale del servizio sanitario

Interrogazione del Consigliere Moretti inerente un concorso per la copertura di un posto di primario di ortopedia e traumatologia all'ospedale San Biagio di Domodossola


PRESIDENTE

In merito al punto secondo all'ordine del giorno: "Interrogazioni ed interpellanze" esaminiamo per prima l'interrogazione del Consigliere Moretti inerente un concorso per la copertura di un posto di primario di ortopedia e traumatologia all'ospedale San Biagio di Domodossola.
Risponde l'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

Il concorso in questione è stato indetto con deliberazione del Consiglio di amministrazione del disciolto E.O. "S. Biagio di Domodossola" n. 253 del 25.11.1980.
Il relativo bando scadeva il 29.1.1981 ed il Consiglio direttivo dell'Unità Sanitaria Locale n. 56, nel frattempo subentrato all'Amministrazione ospedaliera, ritenne di demandare la prosecuzione del concorso ai nuovi organismi che si andavano costituendo. (Assemblea generale e Comitato di gestione). Dopo la costituzione di tali organismi è pervenuta all'Assessorato alla sanità in data 5.10.1981 la richiesta dell'Unità Sanitaria Locale di riapertura dei termini del concorso.
Con note diverse l'Assessorato richiese chiarimenti all'Unità Sanitaria Locale in ordine alle motivazioni a sostegno della richiesta di riapertura.
Non avendo l'Unità Sanitaria Locale fornito motivazioni valide l'Assessorato con nota dell'1.4.1982 invitò l'Unità Sanitaria Locale a procedere nell'espletamento delle successive fasi concorsuali anche in relazione al disposto dell'art. 166 del D.M. 30.1.1982. L'Unità Sanitaria Locale n. 56 di Domodossola, in data 22 luglio 1982 propose all'Assessorato l'adozione del provvedimento di "ammissibilità degli istanti" al concorso per la copertura del posto in questione accogliendo implicitamente l'invito a rinunciare alla "riapertura dei termini" del concorso stesso rivoltogli con nota 1.4.1982 n. 249 e manifestando nella sostanza la volontà di proseguire negli adempimenti necessari per portare a termine la procedura.
A seguito della riferita richiesta in data 12 ottobre 1982 il Presidente della Giunta regionale ha emanato specifico decreto con cui ha deciso l'ammissibilità al concorso di n. 6 istanti.
Del decreto, divenuto esecutivo il successivo 27 ottobre, è stata data notizia all'Unità Sanitaria Locale n. 56 di Domodossola con nota 3.11.1982 n. 7004.
In data 7.2.1984, seppure dopo un lungo periodo di inerzia, è pervenuta la richiesta dell'Unità Sanitaria Locale di nomina della Commissione di sorteggio.
Il Presidente della Giunta regionale, ha emanato il relativo decreto di nomina, attualmente al visto del Commissario di Governo. La costituzione della Commissione esaminatrice sarà possibile solamente a seguito dell'estrazione del Cattedratico e del Primario da parte della succitata commissione di sorteggio e della acquisizione da parte dell'Unità Sanitaria Locale dei nominativi in rappresentanza del Ministero della sanità e dell'Ordine dei medici.
L'Unità Sanitaria Locale, su espressa richiesta dell'Assessorato, ha precisato che il ritardo negli adempimenti relativi al concorso in questione, così come per tutti gli altri concorsi avviati, è dovuto alla grave carenza di personale amministrativo nel cui organico sono vacanti ben 22 posti pari circa ad 1/3 della dotazione organica.
Nel precisare che in questa fase transitoria le Unità Socio Sanitarie mantengono la piena autonomia in questo settore, concretizzandosi l'intervento regionale come "formalizzante" rispetto alle richieste delle prime, si assicura l'adozione di ogni possibile misura atta a consentire sollecito espletamento del concorso in questione.
La presentazione di proposte di legge per la sanatoria del personale permanente è un aspetto non marginale rispetto ai comportamenti periferici che in molti casi rendono impossibile il completamento degli organi preposti all'espletamento degli esami.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Moretti.



MORETTI Michele

Concordo con quanto ha detto l'Assessore. In molte Unità Sanitarie Locali si tende a ritardare l'espletamento dei concorsi. E' il caso dell'Unità Sanitaria Locale di Domodossola.
Sorge il dubbio che si tenda la giustificazione con il fatto che l'Ufficio personale è carente. Qualche incaricato provvisorio può maturare dei diritti e, di fronte ad un concorso, produrre dei titoli e potrebbe scavalcare chi ha preparazione professionale e scientifica. Sono d'accordo sul principio di autonomia delle Unità Sanitarie Locali. E' opportuno che l'Assessore solleciti l'espletamento dei concorsi.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO


Argomento: Formazione professionale

Interrogazione del Consigliere Brizio inerente il Centro di formazione professionale di Ciriè


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione del Consigliere Brizio inerente il Centro di formazione professionale di Ciriè.
Risponde l'Assessore Tapparo.



TAPPARO Giancarlo, Assessore alla formazione professionale

Per garantire la funzionalità del Centro di formazione professionale di Ciriè, ritenuto, sulla base dei dati della popolazione scolastica degli anni 1980/81, sottodimensionato rispetto alle esigenze degli utenti, e carente sotto il profilo igienico-sanitario, impiantistico e della conformità alle vigenti disposizioni in materia di prevenzione incendi e infortuni, la Giunta regionale delibererà, in data 28/7/81, l'incarico agli architetti Caretta e Marchionatti per la progettazione dei lavori per la sistemazione dell'immobile e per il suo ampliamento.
Nell'attesa di poter dare corso alle predette opere, si è tuttavia ravvisata la necessità di eseguire alcuni interventi prioritari, occorrenti per garantire e migliorare le condizioni di sicurezza del Centro, secondo le segnalazioni e i rilievi contenuti nella relazione della commissione tecnica istituita con la deliberazione della Giunta regionale in data 18/3/1983.
A tale scopo, con deliberazioni adottate dalla Giunta in data 15/9 e 6/10/83, veniva disposta la realizzazione dei lavori occorrenti per l'adeguamento dell'immobile alle norme vigenti in materia di prevenzione incendi e di prevenzione infortuni.
L'esecuzione di tali opere, consistenti essenzialmente nella creazione di una scala di sicurezza, di un impianto parafulmine, nella sistemazione e nell'adeguamento degli impianti elettrici e di messa a terra nonché nella formazione di uscite di sicurezza, veniva affidata all'impresa ing. Franco Borini, Figli &C. S.p.A. di Torino, per l'importo di L. 50.075.650 oltre IVA.
Successivamente, durante la realizzazione dei lavori sopra citati, si manifestava la necessità di completare interventi già avviati con altri indispensabili per l'idoneità igienico-sanitaria del complesso, in base ai rilievi della competente Unità Sanitaria Locale, che aveva ravvisato l'inadeguatezza dei lavandini e dei servizi igienici a disposizione degli studenti e del personale e dell'impianto di smaltimento dei liquami civili.
Non essendo questi ultimi interventi rinviabili ad un momento successivo, cioè alla fase di ristrutturazione globale dell'immobile l'Amministrazione, per dare corso agli stessi con la necessaria tempestività, invitava il direttore dei lavori a redigere una perizia supplettiva e di variante.
Tale perizia, comportante una spesa per maggiori lavori di L.
62.733.061 oltre IVA, veniva approvata dalla Giunta in data 24/11/83 e l'ultimazione di tali opere, ora in fase di realizzazione, è prevista per la seconda metà del mese corrente di aprile.
Recentemente gli architetti incaricati Caretta e Marchionatti, hanno consegnato il progetto generale di ampliamento e di sistemazione del Centro, il quale prevede ulteriori opere di ristrutturazione dell'immobile esistente, intese a migliorare la funzionalità e a razionalizzare la distribuzione degli spazi a disposizione degli utenti, nonché la realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica, destinato ad aumentare la capacità ricettiva del Centro. Tale progetto, comportante una spesa complessiva di L. 4.215.138.446, comprensiva di importo dei lavori a base d'asta, revisione prezzi, imprevisti, spese tecniche e IVA, sarà oggetto di valutazione da parte degli Assessorati competenti per l'adozione dei successivi provvedimenti. Infatti occorrerà valutare tale progetto rispetto alla situazione attuale ed alle prospettive future della zona, cioè se la dimensione dell'ampliamento è adeguata ai bisogni formativi reali di questo momento e delle prospettive future.
Per quanto concerne le possibilità di migliorare in futuro il funzionamento del Centro è nostra intenzione avviare, nel più breve tempo possibile, una politica di ammodernamento sia strutturale che progettuale all'interno dei nostri Centri di formazione professionale. Sul Centro di formazione professionale di Ciriè è stata effettuata un'analisi organizzativa che ha come obiettivi quelli di una riformulazione dei programmi formativi e l'individuazione di nuove figure professionali che affianchino quelle tradizionali del direttore e del docente. A tal fine la Giunta regionale intende promuovere una serie di incontri con le organizzazioni sindacali di categoria per valutare l'ipotesi di nuovo assetto organizzativo del Centro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Ringrazio l'Assessore per la risposta che è ampia e precisa. E' positivo il fatto che si siano avviati i lavori di sistemazione per migliorare le condizioni di sicurezza ed è importante che si sia eseguita una perizia per verificare la situazione del Centro.
La zona di Ciriè ha rilevanza sotto il profilo occupazionale e, dal momento che i ragazzi che hanno frequentato il Centro costantemente trovano un lavoro, bisogna avere il coraggio di affrontare la spesa per la sistemazione del complesso.
La mia interrogazione partiva da una pesante critica al funzionamento del Centro che aveva sollevato negli amministratori locali e nella popolazione una notevole preoccupazione. Quindi è indispensabile e prioritario riesaminare il funzionamento strutturale, le qualifiche del personale ed i corsi. La seconda parte della deliberazione che riguarda le attività, socialmente utili, approvata dal Consiglio, ipotizza un corso per disoccupati da svolgersi presso il Centro di Ciriè. Questa ipotesi è stata avanzata anche dal coordinamento dei disoccupati. E' noto che la parte del progetto riguardante la formazione professionale è da noi giudicata positivamente, quindi il potenziamento del Centro di Ciriè anche a questo fine fondamentale. Sono soddisfatto della risposta ma attendo di conoscere le iniziative della Giunta. Prego l'Assessore di trasmettermi copia della risposta data.


Argomento: Programm. e promoz. attivita" socio-assist. (assist. minori, anziani, portat. handicap, privato sociale, nuove poverta") - Tossicodipendenza

Interpellanza dei Consiglieri Bergoglio, Ratti e Carletto inerente l'Unità Socio Sanitaria Locale di Settimo. Parere negativo al finanziamento alla Comunità terapeutica "Cà Nostra"


PRESIDENTE

Passiamo all'interpellanza dei Consiglieri Bergoglio, Ratti e Carletto inerente l'Unità Socio Sanitaria Locale di Settimo. Parere negativo al finanziamento alla Comunità terapeutica "Cà Nostra".
La parola all'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

L'allegato n. 20 del piano socio-sanitario regionale prevede fra gli interventi prioritari il sostegno di iniziative di volontariato e di base che abbiano obiettivi e modalità operative in linea con gli indirizzi regionali.
Secondo tale indirizzo, negli anni 1982/83 sono stati stanziati L.
3.527.500.000 per il finanziamento dì tutti i progetti di attività di tipo preventivo e riabilitativo gestiti direttamente dagli Enti pubblici, nonch di quei programmi presentati da Associazioni di volontariato che avessero ottenuto la validazione dell'Unità Sanitaria Locale competente per territorio, in base ad una effettiva collaborazione degli operatori privati con i servizi pubblici.
Purtroppo per difficoltà operative di entrambe le parti, non era stato possibile negli anni scorsi stabilire proficui rapporti di collaborazione fra le equipes per le tossicodipendenze dell'Unità Sanitaria Locale 28 e la comunità Cà Nostra di Leinì. Per tale motivo il Comitato di gestione dell'Unità Sanitaria Locale 28 aveva ritenuto nel novembre scorso di non poter esprimere un giudizio di merito sulla fondatezza delle richieste avanzate da Cà Nostra, pur non escludendo in futuro l'utilizzo della Comunità.
In un recente incontro tenutosi presso questo Assessorato, con la presenza di rappresentanti della comunità Cà Nostra, del Comitato di gestione dell'Unità Sanitaria Locale n. 28 e degli operatori delle equipes per le tossicodipendenze, è stato concordato che in una serie di incontri tra operatori pubblici e operatori della Comunità, si sarebbero esaminate possibilità e modalità di collaborazione, non soltanto in ordine ad eventuali ricoveri di giovani in Comunità ma anche per iniziative congiunte di informazione e prevenzione a livello di territorio. In base ai risultati di questi incontri, il Comitato di gestione dell' Unità Sanitaria Locale n.
28 ha espresso la disponibilità a riformulare il proprio parere. Gli interventi per la prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza nell'Unità Sanitaria Locale n. 28 sono assicurati da 3 equipes interdisciplinari attivate a livello di distretto, e precisamente a Settimo, Leinì, Volpiano, che si avvalgono della collaborazione della divisione di neurologia della Nuova Astanteria Martini di Torino per trattamenti di disassuefazione sia ambulatoriali che in regime di ricovero.
Entro la fine del mese di maggio p.v. verrà attivato a Settimo per iniziativa della Unità Sanitaria Locale n. 28 (e con il contributo finanziario regionale per l'adeguamento delle strutture) un Centro di incontro giovanile, definito "struttura intermedia per interventi preventivi e di risocializzazione nei confronti dei fenomeni di emarginazione e di devianza giovanile, con particolare riferimento al consumo di droghe".
Obiettivo prioritario di tale progetto è la realizzazione di un punto di riferimento concreto per il confronto e la risposta ai bisogni di risocializzazione e di integrazione dei giovani, attraverso la doppia risorsa offerta da una parte dalla professionalità degli operatori e dall'altra dalla presenza attiva e cosciente di realtà sociali formate alla condivisione dei problemi.
La struttura sarà organizzata in modo da poter offrire ai giovani un ventaglio molto ampio di opportunità: attività ricreative libere attività dei laboratori attività organizzate, finalizzate all'apprendimento di tecniche espressive attività di ricerca e di informazione.
La collaborazione attiva di gruppi spontanei ed organizzati, di obiettori di coscienza, delle forze sociali, dei competenti Assessorati dei Comuni, degli operatori di tutti i servizi interessati della Unità Sanitaria Locale 28 nella programmazione e nella gestione delle attività dovrà permettere una costante aderenza delle iniziative proposte agli interessi ed alle esigenze dei giovani.
Gli oneri per la gestione della struttura sono stati assunti da tutti i Comuni dell'Unità Sanitaria Locale n. 28.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carletto.



CARLETTO Mario

Prendiamo atto della risposta che l'Assessore Bajardi ci ha dato su un problema che ci sta particolarmente a cuore e che nell'Unità Sanitaria Locale 28 ha ingenerato una serie di preoccupazioni e di perplessità.
Strutture di questo tipo debbono avere tutta l'attenzione che meritano.
Dalla risposta dell'Assessore ci pare di capire che il Comitato di gestione dell'USL 28 abbia modificato la sua impostazione iniziale e sia disponibile a che quelle strutture vengano utilizzate nel settore delle tossico dipendenze. Nel corso della discussione del bilancio del Comune di Volpiano è stato messo in rilievo questa esigenza da parte di tutte le forze politiche. La struttura di Leinì può essere un'occasione di sperimentazione sul territorio da sfruttare appieno.
Mi pare che la risposta dell'Assessore vada in questo senso, ci auguriamo che il suo impegno venga mantenuto.


Argomento: Sanita': argomenti non sopra specificati

Interrogazione del Consigliere Cerchio inerente vaste quantità di gamberi importati dal Sud-Est asiatico


PRESIDENTE

L'Assessore Bajardi risponde ancora all'interrogazione del Consigliere Cerchio inerente vaste quantità di gamberi importati dal Sud-Est asiatico.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

Nel mese di gennaio, il giorno 19/1/1984, il Ministero della sanità ed i carabinieri del nucleo antisofisticazioni di Torino, con nota telegrafica, hanno segnalato al Servizio veterinario regionale un grave episodio, verificatosi in territorio olandese, di "Shigellosi" con oltre cento casi di intossicazione, di cui tredici mortali, imputabili a carne di gamberi congelati provenienti dal Sud-Est asiatico.
Soppresse cautelativamente le importazioni di tale prodotto, non potendo risalire ad eventuali partite già penetrate nel mercato italiano il Ministero della sanità ha ordinato, genericamente, il sequestro cautelativo di tutti i gamberi congelati provenienti dal Sud-Est asiatico senza specificare la data di importazione né la località in cui era probabilmente avvenuto lo sdoganamento.
Immediatamente il Servizio veterinario regionale ha informato, con nota telegrafica urgente, tutte le Unità Sanitarie Locali della Regione impartendo le seguenti disposizioni: sequestro cautelativo di tutta la merce di cui sopra invio all'Istituto zooprofilattico sperimentale per il Piemonte, la Liguria e la Valle d'Aosta di campionature significative per le analisi chimico-batteriologiche dissequestro o distruzione del prodotto a seconda dell'esito degli esami.
In venti Unità Sanitarie Locali della Regione sono state poste sotto sequestro un centinaio di partite di gamberi provenienti dal Sud-Est asiatico.
Le successive analisi hanno portato al provvedimento di distruzione in soli sette casi. E' tuttavia opportuno specificare che le analisi di laboratorio che hanno imposto il drastico provvedimento, non hanno evidenziato Shigelle ma solo germi di inquinamento secondario (Salmonelle Stafilococchi, E.coli). E' a disposizione il quadro riassuntivo dei prelievi e dei relativi provvedimenti adottati.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Ringrazio l'Assessore. L'interrogazione potrebbe far sorridere, in realtà l'importazione dei gamberi dal Sud-Est asiatico ha avuto drammatiche conseguenze in alcuni paesi europei, particolarmente in Olanda.
L'interrogazione non voleva creare un allarme, ma sollecitare tutte le informazioni e le notizie utili a sgombrare il campo da preoccupazioni da parte di operatori e di consumatori. Invito l'Assessore a trasmettere copia della risposta in modo da poter predisporre i controlli e dare le assicurazioni che un problema così delicato suscita.


Argomento: Edilizia pubblica (convenzionata, sovvenzionata, agevolata)

Interrogazione del Consigliere Sartoris ed interrogazione dei Consiglieri Marchini, Gerini e Turbiglio inerenti gli assegnatari degli alloggi IACP Falchera Nuova E2


PRESIDENTE

L'Assessore Bruciamacchie risponde congiuntamente all'interrogazione del Consigliere Sartoris e all'interrogazione dei Consiglieri Marchini Gerini e Turbiglio, inerenti gli assegnatari degli alloggi IACP Falchera Nuova E2.



BRUCIAMACCHIE Mario, Assessore all'edilizia residenziale

In riferimento alle interrogazioni dei Consiglieri di cui sopra esaminati gli atti in possesso degli Uffici regionali, si formulano le seguenti informazioni.
Ai sensi degli artt. 61 e 67 della legge 865/71, le abitazioni costruite con l'utilizzo dei fondi residui di cui all'art. 10 della legge 14/2/1963, n. 60, sono assegnate in locazione con divieto di sublocazione ovvero cedute a riscatto, nei limiti del 15 % dei programmi di locazione.
L'Amministrazione GESCAL. con delibera del proprio Consiglio di amministrazione in data 1/2/72, ha stabilito che le quote degli alloggi in amministrazione, per i quali era possibile la cessione a riscatto ai sensi dei predetti art. 61 e 67 della legge 865/71, erano già state assorbite da altri programmi, e che pertanto, gli alloggi costituenti la zona E/2 Falchera nuova, potevano essere assegnati soltanto a titolo di locazione.
Tant'è che successivamente alla predetta delibera è stato pubblicato in data 20/12/1979 il bando di assegnazione degli alloggi in locazione della zona E/2.
A seguito della presentazione, a partire dal novembre 1976, da parte degli assegnatari degli immobili della zona E/2 allo IACP della provincia di Torino, delle domande con le quali si richiedeva la trasformazione dello stato di locazione in cessione a riscatto, e delle conseguenti obiezioni dell'Istituto relative al diritto degli assegnatari in locazione ad ottenere il riscatto degli alloggi, è stata operata una vertenza attualmente ancora in corso, dinanzi al Foro di Torino.
In risposta ad una precedente interrogazione del 18/6/81, relativa tra l'altro alla cessione degli alloggi della zona E/2 Falchera di Torino questa Amministrazione fece presente che la questione aveva posto rilevanti problemi di ordine giuridico circa la corretta interpretazione della legge 14/2/1963, n. 60, e che comunque la stessa era all'esame della Magistratura, ove avrebbe dovuto essere risolta per consentire allo IACP della Provincia di Torino di assumere un atteggiamento univoco e corretto nei confronti degli inquilini richiedenti. Il problema, come già sopra accennato, è tuttora aperto presso la Magistratura di Torino. In proposito esiste una sentenza per altro non passata in giudicato, che ha respinto la richiesta degli interessati.
In occasione della predetta risposta alla precedente interrogazione, si portava comunque a conoscenza che lo IACP della provincia di Torino aveva richiesto al competente UTE di procedere alla valutazione degli alloggi.
Lo IACP della provincia, di Torino, con nota n. 1963 in data 3/6/82 indirizzata al Ministero dei lavori pubblici, ha posto un quesito inerente i limiti entro cui legittimamente gli Istituti possono disporre la cessione di parte del loro patrimonio, dal momento che le leggi vigenti non attribuiscono loro facoltà discrezionali, né sulla cessione né sul prezzo: e se, nel caso specifico, la cessione di questi alloggi, potesse rientrare nei disposti dell'art. 29 della legge 8/8/1977 n, 513. Il Ministero dei lavori pubblici, con nota n. 2555/AG in data 13/7/1982, ha evidenziato tra l'altro la seguente considerazione: "come la prevalente giurisprudenza sta riconoscendo difficilmente può configurarsi una responsabilità specifica dello IACP della Provincia di Torino, circa la procedura di cessione degli alloggi di che trattasi, pertanto non sembra possa darsi legittimamente corso alle proposte di transazione per la cessione degli alloggi in parola al di fuori dei disposti dell'art. 29 della legge 513".
Questa Regione, a prescindere dalla soluzione che verrà data in Parlamento al più generale problema della cessione in proprietà degli alloggi di edilizia residenziale pubblica è del parere che sia lo IACP stesso a procedere alla valutazione sulla eventuale applicabilità, agli immobili dei quali si chiede la cessione, dei disposti di cui all'art. 29 della legge 8/8/77, n. 513, previo specifico parere da richiedere al Ministero dei lavori pubblici - CER - per risolvere la problematica che concerne una eventuale decisione del Consiglio di amministrazione dell'Ente in rapporto alla precedente delibera della Gescal. Cioè se l'ubicazione e la consistenza degli alloggi, rapportata alla consistenza totale del patrimonio dell'Istituto e comunque nei limiti del 15% al netto degli alloggi in corso di cessione in proprietà, è tale da soddisfare le condizioni ostative, previste dallo stesso art. 29.
Pertanto, la Regione potrà autorizzare il trasferimento in proprietà agli assegnatari de gli alloggi, allorché lo IACP di Torino, dopo le verifiche sopraccennate, ritenga possibile ed opportuno formulare una motivata proposta. Occorre inoltre segnalare che, nel caso in cui la cessione degli alloggi di che trattasi rientri nei disposti di cui all'art.
29 della citata legge 513/77, il prezzo di cessione degli stessi dovrà essere valutato secondo le prescrizioni della legge 513/77.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Sartoris.



SARTORIS Riccardo

Il riepilogo delle vicende dal 1972 in poi in qualche punto mi pare non troppo esatto, soprattutto per quanto riguarda la presentazione delle domande da parte degli assegnatari della Falchera che mi risulta siano state presentate ben prima del 1976, sulla base di una legge del 1971, ma a prescindere da questo, la nostra interrogazione richiamava l'attenzione dell'Assessore sulla circostanza che riguarda il quartiere di Mirafiori nel quale, in condizioni identiche a quelle della zona Falchera E 2, si è raggiunta recentemente una transazione fondata su condizioni che sono state accettate dai richiedenti l'acquisto in proprietà dell'alloggio e dall'Istituto autonomo case popolari. Con l'interrogazione chiedevamo se la Regione non ritiene di intervenire per consentire al quartiere Falchera E 2 di raggiungere una transazione di quel genere.
Questo avrebbe comportato l'abbandono della causa annosa che ancora oggi è avanti alla Magistratura e avrebbe permesso ai richiedenti di pervenire alla proprietà degli alloggi che, come tutti gli alloggi degli Istituti Autonomi Case Popolari necessitano di manutenzioni sempre più gravose e che gli occupanti assumerebbero a loro carico qualora fossero proprietari.
Insisto perché la Regione verifichi tutte le condizioni possibili per pervenire alla transazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Il Gruppo liberale, nella misura in cui il collega Sartoris cortesemente lo consenta, fa proprie le argomentazioni da lui svolte e la richiesta affinché l'Assessore persegua fino in fondo le strade che ancora sembrano aperte per pervenire ad un risultato che non suoni iniquità rispetto ai destinatari e inefficienza della pubblica amministrazione.


Argomento: Commercio - Cultura: argomenti non sopra specificati

Interpellanza del Consigliere Cerchio ed interpellanza del Consigliere Vetrino inerenti il trasferimento del Salone MIAD da Torino a Milano


PRESIDENTE

Esaminiamo ancora l'interpellanza del Consigliere Cerchio e l'interpellanza del Consigliere Vetrino inerenti il trasferimento del Salone MIAD da Torino a Milano.
La parola al Consigliere Cerchio per l'illustrazione della sua interpellanza.



CERCHIO Giuseppe

Abbiamo ritenuto di presentare questa interpellanza che brevemente illustro, dopo che una illustrazione sull'allontanamento del Salone del MIAD da Torino era stata da me affrontata all'indomani di un dibattito avvenuto in Consiglio regionale sul tema della presenza del terziario superiore in Piemonte e della chiusura dell'Eni Chimica di Borgaro.
In realtà l'esecutivo regionale piemontese mi pare poco attento o poco incidente al fine di mantenere in Piemonte iniziative promozionali ed occupazionali che permettono di superare la crisi.
Il caso specifico del MIAD ha creato non poche preoccupazioni negli operatori commerciali del settore, infatti ancora una volta un tassello della nostra attività regionale va a localizzarsi in Lombardia impoverendo sotto questo aspetto il Piemonte che detiene uno dei primi posti nella produzione dolciaria.
Ricordo il caso del SAMIA che è stato sostituito dalla Promark che, in realtà, non ha avuto nessuna concreta incidenza sul territorio e ha invece creato sleali concorrenze tra gli operatori commerciali organizzando rassegne che non hanno nulla a che vedere con la reale promozionalità del Piemonte.
Non vorremmo che anche il salone dell'automobile venisse allontanato.
Questo discorso non può non essere preso in considerazione dalla Regione Piemonte e dal Comune di Torino che devono affrontare con decisione la questione dell'ente fiera, struttura indispensabile al Piemonte se si vuole far cessare il continuo allontanamento di potenzialità della nostra Regione.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Bruciamacchie.



BRUCIAMACCHIE Mario, Assessore al commercio

Sino al 1975 il comparto dolciario italiano non disponeva di una propria autonoma mostra settoriale né di un appuntamento annuale nel corso del quale confrontarsi con la qualificata produzione estera e presentarsi alle decine di migliaia di operatori specializzati. Interpretando il desiderio di molte grandi, medie e piccole aziende del settore, la Pubbli Euro Press P.R. srl di Milano realizzò, nel 1976, la prima edizione del MIAD.
La scelta della sede cadde su Torino, ciò non solo per motivi storici o di tradizione, ma in particolare per l'alto numero di aziende del comparto dolciario presenti in Piemonte, che oggi hanno raggiunto circa il 25% di tutta la produzione dolciaria nazionale.
Il successo ottenuto dalla prima edizione fu confermato da una rapidissima evoluzione, già nel 1977 l'iniziativa veniva riconosciuta come "internazionale".
L'importanza della mostra internazionale dolciaria unica mostra internazionale del settore, è sottolineata oltre che dal numero crescente di espositori anche dall'aumento di anno in anno, dell'area espositiva netta: 4.000 mq nel 1976 (1^ edizione: 90 espositori) 6.000 mq nel 1977 (2^ edizione: 220 espositori) 11.000 mq nel 1978 (3^ edizione: 350 espositori) 14.000 mq nel 1979 (4^ edizione: 460 espositori) 17.000 mq nel 1980 (5" edizione: 590 espositori) 19.000 mq nel 1981 (6^ edizione: 710 espositori) Al fine di potenziare maggiormente questa iniziativa, nel 1982 l'Assessorato al commercio ha aderito al programma promozionale avanzato dalla Soc. Pubbli Euro Press P.R., concordando con la stessa una campagna promozionale per la pubblicizzazione del MIAD '82, comportante per l'Assessorato un onere di L. 54.000.000.
Questa azione è stata imperniata su una vasta serie di interventi pubblicitari quali la predisposizione di depliants , pubblicità su testate straniere e missioni di operatori e giornalisti stranieri.
I dati del MIAD '82 permettono di riscontrare il successo dell'iniziativa realizzata: 22.000 mq di area espositiva netta, n. 724 espositori di cui 218 stranieri provenienti da una ventina di Paesi, n.
64.832 visitatori italiani e n. 4324 stranieri.
L'interesse per la 7^ edizione del MIAD, ormai punto di riferimento obbligato per gli operatori del comparto dolciario, è stato ampiamente confermato dal fatto che la società organizzatrice non ha potuto soddisfare tutte le richieste per mancanza di adeguato spazio espositivo, sollecitato particolarmente dalle aziende produttrici di macchine e impianti per l'alimentazione.
Il MIAD 1982 ha visto un grosso giro di contrattazioni e di affari anche se è impossibile a questo proposito azzardare una stima quantitativa per mancanza di dati attendibili.
Visto i risultati positivi riscontrati in occasione del 7^ MIAD l'Assessorato al commercio ha fornito anche per il 1983 la propria collaborazione alla Pubbli Euro Press P.R. slr per la promozione dell'8" MIAD e per l'organizzazione di una nuova iniziativa, il MIAD Autunno, che avrebbe potenziato il settore fieristico torinese, contribuendo per le voci relative alla pubblicità su testate straniere ed alle spese connesse all'organizzazione di missione di operatori e giornalisti esteri fino ad una spesa massima di L. 70 milioni.
Questo MIAD '83 svoltosi a Torino dal 7 all'11 maggio 1983 si è rivolto per la prima volta, dopo le precedenti sette edizioni dedicate ad un mercato in crescita quasi costante, ad un mercato in crisi.
Come si era concordato con la Società organizzatrice la rassegna è stata ulteriormente potenziata: 27.000 mq di area espositiva netta; gli espositori provenienti dall'estero sono stati il 40% sul totale, in rappresentanza di 22 Paesi, mentre il numero di espositori è leggermente diminuito (-6 %) rispetto all'edizione 1982, pur rimanendo significativo.
Il MIAD '83 si è chiuso con un notevole malcontento sia da parte del comitato, sia degli espositori. Motivazioni: la severità nell' applicazione della normativa antincendio; alcuni abituali espositori hanno rinunciato a partecipare all'iniziativa per non affrontare la spesa di un nuovo stand essendo quello abituale in legno o materiale non adatto.
La portata economica del MIAD '83 ha raggiunto, comunque, diverse decine di miliardi che hanno interessato investimenti produttivi a breve media e lunga scadenza.
La Pubbli Euro Press, tuttavia, vista la rinuncia a partecipare al MIAD Autunno di molte aziende, aveva rinviato l'organizzazione di questa nuova iniziativa.
La Soc. Pubbli Euro Press interpellata per la predisposizione del calendario ufficiale fieristico 1985 si è dichiarata costretta a trasferire il MIAD - Mostra internazionale alimentazione dolciaria a Milano. Gli organizzatori ci hanno esposto le motivazioni del previsto trasferimento con una lettera che riteniamo utile sottoporre all'attenzione del Consiglio: "Siamo dolenti di dovervi comunicare che da Maggio 1985 il MIAD (Mostra Internazionale Alimentazione Dolciaria) si trasferirà a Milano nei padiglioni dell'Ente autonomo della Fiera Campionaria.
E' con vivo rammarico che vi comunichiamo questa decisione che non è scaturita da nostri mutati convincimenti o da ragioni di maggiore convenienza economica, ma esclusivamente determinata da una doppia forzatura di cui il MIAD è stato fatto oggetto e alle quali abbiamo dovuto far fronte con molto realismo.
La prima è venuta alla sempre crescente pressione di buona parte dei nostri espositori (particolarmente i non piemontesi) che sia per ragioni di mercato, sia per una serie di insoddisfazioni maturate nel corso di questi ultimi anni (inasprimenti delle normative espositive, mancata concessione di importanti servizi accessori quali posteggi, ecc.) hanno preteso un riesame dei rapporti di collaborazione che hanno, inevitabilmente coinvolto anche la sede di svolgimento della Mostra.
La seconda è venuta dall'Expo (Confcommercio) che sfruttando e strumentalizzando le predette insoddisfazioni e i nuovi orientamenti di questa fascia di operatori ha avanzato domanda alla Fiera di Milano per realizzare alle stesse date e con le medesime caratteristiche merceologiche una manifestazione espositiva del tutto identica al MIAD in alternativa a quella da noi realizzata a Torino, domanda che con le sue entrature ed i suoi appoggi avrebbe ottenuto senz'altro esito positivo.
In considerazione di tutto ciò e constatata l'assenza di ogni qualsiasi e più elementare forma di tutela e di protezione da parte delle competenti autorità ministeriali anche per le manifestazioni espositive di livello internazionale già affermate, ci siamo visti costretti, a salvaguardia del nostro pluriennale lavoro nel settore, a proporci direttamente in alternativa alla suddetta organizzazione onde evitare la frantumazione del MIAD in due tronconi in aperta e dannosa concorrenza fra loro. Nella scelta siamo stati preferiti solo per la nostra introduzione nel settore e per la nostra professionalità.
Non si tratta, quindi, di nostro volontario e calcolato abbandono della piazza di Torino, ma di una decisione imposta dagli avvenimenti che, più che gestire, abbiamo dovuto subire per non perdere il ruolo di prestigio che, sino ad oggi, abbiamo faticosamente conquistato. Sentivamo il bisogno di spiegarvi più dettagliatamente le ragioni del nostro comportamento ma ancor più, sentiamo il dovere di ringraziarvi per quanto la Regione Piemonte ha fatto sempre attivamente, negli ultimi anni, in favore della nostra manifestazione e del nostro lavoro.".
Da quanto esposto emerge che: la Giunta regionale ha sempre concretamente operato per lo sviluppo e la buona riuscita del MIAD, mantenendo gli impegni presi con gli organizzatori e gli industriali del settore la normativa italiana sulle fiere è inadeguata rispetto all'esigenza di evitare sterili e dannose concorrenze tra fiere dello stesso settore di alto livello internazionale e tanto più è necessaria un'azione di tutela delle manifestazioni di livello internazionale già affermate da parte del Ministero competente il trasferimento del MIAD a Milano rientra tra gli effetti di una "guerra" che si sta sviluppando tra industriali e commercianti per avere l'egemonia sull'organizzazione delle manifestazioni specializzate settoriali la situazione fieristica torinese soffre di carenze strutturali e, in parte, organizzative, che da anni abbiamo sottolineato e che abbiamo affrontato con il Comprensorio e il Comune di Torino attraverso una proposta di realizzazione di un nuovo Centro fieristico. Inoltre l'attuale applicazione a Torino di normative antincendio particolarmente rigide ha creato difficoltà in ordine ai costi degli stands per gli espositori, e soprattutto, disparità di condizioni con altre città la piazza di Torino è commercialmente più debole di altre, e specie di Milano, non solo per carenze di strutture espositive ma anche per l'inadeguatezza delle infrastrutture e dei servizi di supporto come l'accessibilità aerea, ferroviaria ed anche stradale (collegamento con il traforo del Frejus), la ricettività alberghiera, la scarsa presenza di aziende e agenzie specializzate per svolgere attività connesse alle iniziative fieristiche. Da parte nostra opereremo per cercare di evitare il trasferimento del MIAD, facendoci parte attiva con gli organizzatori, gli industriali del settore, la Confcommercio ed il Ministero dell'industria e commercio per ripristinare i "diritti di primogenitura" di Torino ed evitare la possibilità di concorrenza di analoghe iniziative. Porteremo infine avanti il progetto per il rilancio di Torino come centro fieristico non secondario, sollecitando su questo un ruolo più impegnato e incisivo delle forze economiche, sociali e politiche e rammentando che se è indispensabile una volontà da parte delle amministrazioni locali e della Regione, è altrettanto indispensabile una più convinta azione delle forze imprenditoriali nel disegnare una strategia innovativa per il futuro di Torino e del Piemonte.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Apprezzo lo sforzo dell'Assessore (considerando che anche oggi è in condizione precarie di salute) nel cercare di rispondere in modo accettabile ad un'interrogazione che pone dei problemi molto gravi come quello del MIAD che con l'anno prossimo si trasferisce a Milano.
Devo anche ringraziare l'Assessore per la risposta scritta fornita in anticipo che può costituire la base per un dibattito più approfondito sul tema che attiene al salone dell'alimentazione dolciaria ma in particolare all'attività della Regione nel campo fieristico e promozionale. Il MIAD dopo il salone dell'auto era la più importante esposizione piemontese ed era caratterizzato sull'immagine della qualità del prodotto alimentare.
Il Piemonte ha una lunga tradizione dolciaria quindi giustamente il salone aveva un protagonismo a carattere internazionale ed era un veicolo di commercializzazione molto importante delle piccole e medie industrie che in Piemonte sono numerose. Forse alla grande industria poco importa che il salone si tenga a Torino o Milano, anzi, preferisce si faccia a Milano per una serie di considerazioni varie.
Viceversa i torinesi con questa opportunità annuale avevano occasione per far conoscere i loro prodotti e per assicurare una serie di contratti anche a livello internazionale.
Non c'è che da rammaricarsi profondamente di questo abbandono soprattutto per le sue conseguenze.
L'Assessore ha spiegato le difficoltà che si sono incontrate al fine di mantenere il salone a Torino, ma ha anche recitato un mea culpa perch quando rivela che a questa decisione sono da attribuirsi carenze strutturali e organizzative di fiere e di momenti espositivi, non fa che dire che la Regione queste cose non le ha previste, non le ha fornite dunque è giusto ricercarle a Milano dove probabilmente le superfici e i servizi sono assai migliori. Di questa caduta di immagine che si è venuta a verificare a Torino dobbiamo tenere conto. Comunque non bisogna abbandonare il terreno ma continuare a confrontarsi. Nella sede della II Commissione è in discussione lo schema comprensoriale di Torino ed io spero che venga presto in discussione in aula.
Quello sarà finalmente il momento di definire quali debbano essere gli orientamenti e gli indirizzi della Regione Piemonte perché in futuro non ci si debba lamentare su cose che vanno e che non tornano più.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Ancora una volta dobbiamo registrare una fuga di occasioni di produttività e di lavoro dal Piemonte. Il rilancio del Piemonte e di Torino come importante centro fieristico deve essere al centro dell'attenzione della politica promozionale della Regione.
Non è sufficiente elargire fondi per decine di milioni a favore di questa o di quella mostra. Solo un centro fieristico ben strutturato pu realizzare il rilancio del settore. L'Assessore ha parlato di strutture dell'indotto, dell'aeroporto, della viabilità e ha perfettamente ragione.
Ma quale è stata la politica della Regione in questi anni dal 1975? Il discorso sul coinvolgimento delle forze economiche e sociali deve passare dalle parole agli atti concreti. Torino vive grazie alla promozionalità delle associazioni dei commercianti e degli operatori privati che cercano di dare un supporto all'ente pubblico.
Sarebbe opportuno che l'ente pubblico e l'istituzione regionale soprattutto facesse altrettanto per coinvolgere i privati nelle scelte.
Sono profondamente insoddisfatto della risposta.


Argomento:

Risposte scritte ad interrogazioni ed interpellanze


PRESIDENTE

Comunico infine che sono state date le seguenti risposte scritte: all'interpellanza n. 232 del Consigliere Vetrino inerente l'abilitazione per la professione di accompagnatore turistico all'interrogazione n. 822 dei Consiglieri Chiabrando, Lombardi e Penasso inerente il regolamento di iscrizione all'Albo professionale Funzionamento Commissioni provinciali all'interrogazione n. 823 del Consigliere Picco inerente l'organizzazione dei XV Stati Generali dei poteri locali all'interrogazione n. 805 del Consigliere Nerviani inerente la linea ferroviaria Novara-Domodossola.



REBURDO Giuseppe

Chiedo alla Presidenza di sollecitare la risposta all'interrogazione che con il Consigliere Di Gioia ho presentato due mesi fa circa sui trasporti.
La situazione sta precipitando e non vorremmo che si rispondesse troppo tardi, quando i fatti saranno già compiuti.



SARTORIS Riccardo

Nell'elenco delle interrogazioni che è stato consegnato figuravano due interrogazioni, una riguardante il FIO e una sul settore dei trasporti alle quali è stato detto che si sarebbe risposto stamattina.



PRESIDENTE

Si è invertito l'ordine delle risposte alle interrogazioni perch l'Assessore Tapparo è impegnato in un incontro con una delegazione di lavoratori.
Si era comunque deciso che alle ore 11.00 si sarebbe chiuso il punto secondo all'ordine del giorno.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

In merito al punto terzo all'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Astengo, Benzi, Calsolaro, Ferraris, Gerini, Simonelli, Turco e Valeri.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: N. 390: "Interventi sulla stampa periodica locale e sulle televisioni private regionali, per l'informazione su attività, proposte e programmi della Regione", presentato dai Consiglieri Cerchio, Martinetti, Petrini Genovese, Villa, Brizio e Nerviani in data 4 aprile 1984, assegnato in sede referente alla VI Commissione ed in sede consultiva alla I Commissione in data 6 aprile 1984 N. 391: "Integrazione della legge regionale 27 gennaio 1984, n. 10 (Bilancio di previsione per l'anno 1984)" presentato dalla Giunta regionale in data 4 aprile 1984, assegnato alla I Commissione in data 6 aprile 1984 N. 392: "Modifiche ed integrazioni della legge regionale 21/1/1980 n.
3 'Disciplina degli organi istituzionali del Servizio sanitario regionale e relative norme transitorie"', presentato dai Consiglieri Marchini, Gerini e Turbiglio in data 13 aprile 1984 N. 393: "Attribuzione al Difensore civico di funzioni dirette alla tutela del cittadino nei confronti del servizio sanitario", presentato dal Consigliere Majorino in data 16 aprile 1984.


Argomento:

c) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

Le deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nelle sedute del 3 e 5 aprile 1984 - in attuazione dell'art. 7, primo comma della legge regionale 6/11/1978 n. 68 - concernenti la materia oggetto della legge, sono depositate e a disposizione presso il Servizio Aula.


Argomento:

d) Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale


PRESIDENTE

Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con ordinanza in data 19 ottobre 1983 ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 16 della legge regionale 20 febbraio 1979 n. 6, nella parte in cui ha soppresso l'Ispettorato regionale delle foreste, gli Ispettorati provinciali ed i relativi uffici distrettuali delle foreste, per contrasto con un principio fondamentale contenuto nelle seguenti leggi statali: D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 11, art. 1 e D.P.R. 21 luglio 1977 n. 616, art. 71 lett. g).


Argomento: Commemorazioni

e) Commemorazione dell'ex Consigliere regionale, avv. Mario Debenedetti


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, venerdì scorso nel pomeriggio ci è giunta notizia dell'improvvisa e inaspettata scomparsa del nostro collega, avvocato Mario De Benedetti.
Mario De Benedetti aveva 60 anni ed era stato Consigliere regionale del Gruppo del P.S.D.I. nella prima e nella seconda legislatura.
Nel corso della prima legislatura, in tre diverse Giunte, l'avv. De Benedetti ha ricoperto la carica di Assessore al turismo e nella seconda legislatura fu componente della VI e dell'VIII Commissione. Si impegnò a fondo per la difesa, lo sviluppo e la promozione del patrimonio turistico regionale per la protezione di aree di grande valore naturale del territorio regionale.
Da decenni era iscritto al P.S.D.I. e maturò il suo impegno politico nelle file della Resistenza novese partecipando giovanissimo alla lotta antifascista.
Mario De Benedetti fu tra i primi ad entrare ad Arquata Scrivia - sua città natale - il 25 aprile 1945. Successivamente ricoprì la carica di primo cittadino di Arquata e quella di Consigliere provinciale di Alessandria; dopo anni di attività forense fu eletto Vice Pretore onorario della Pretura di Serravalle.
Colleghi Consiglieri, voglio esprimere a nome del Consiglio regionale e mio personale alla moglie, ai figli Alessandra e Dario, ai famigliari di Mario De Benedetti e al P.S.D.I. i sensi più profondi del nostro cordoglio.
Un minuto di silenzio in onore di Mario De Benedetti.



(I presenti, in piedi osservano un minuto di silenzio)


Argomento: Rapporti delle Regioni con l'ordinamento comunitario - Celebrazioni Manifestazioni Anniversari Convegni

Giornata Europea delle Regioni: l'unificazione europea


PRESIDENTE

Passiamo ora al punto quarto all'ordine del giorno: "Giornata europea delle Regioni: l'unificazione europea".
La parola al Vice Presidente Petrini quale Presidente della Consulta europea che introduce il dibattito.



PETRINI Luigi

Alla vigilia delle consultazioni per l'elezione del Parlamento Europeo l'Ufficio di Presidenza, su invito del Comitato di coordinamento dei Presidenti dei Consigli regionali ha deciso di dedicare questa seduta consiliare al dibattito sui problemi dell'integrazione e unificazione europea, in rapporto al progetto di riforma costituzionale, approvato dal Parlamento Europeo il 14 febbraio scorso.
L'odierna seduta si colloca in Piemonte come punto di arrivo e di verifica d'un bimestre particolarmente denso di attività europeistiche, fra le quali ricordo il Convegno per l'Unione Europea, svoltosi il 3 marzo, e la recentissima sessione degli Stati Generali dei Comuni d'Europa.
Completano il quadro, iniziative divulgative di massa come la "Giornata europea", celebrata nelle scuole sul finire di gennaio, e, di questi giorni, la presentazione e diffusione dell'opuscolo "Il Piemonte per l'Europa", curato dalla Regione Piemonte.
L'attualità, scottante, del "problema-Europa" deve essere portata all'attenzione dell' opinione pubblica innanzitutto dalle istituzioni perché nel 1984 non è soltanto attualità elettorale: è attualità di sostanza, che ha nome crisi del vecchio modello europeo, l'Europa "prima fase" per intenderci, quella ormai storicizzabile dei "Trattati di Roma" ed ha nome, per contrapposto, rifondazione dell'Europa.
L'Europa dei Trattati, basata in misura preminente sulle intese fra governi e sulla ricerca di compromessi per la conseguente gestione degli accordi, ha dimostrato largamente i suoi limiti nelle mancate intese di Atene, ed, ancor più, le sue lacerazioni nel fallimento dell'ultimo vertice dei capi di stato e di governo a Bruxelles, L'Europa della rifondazione invece, ha dimostrato la sua vitalità con la Conferenza delle regioni e delle autonomie, celebrata a Strasburgo in febbraio, e con l'approvazione da parte del Parlamento Europeo del cosiddetto "Piano Spinelli", il progetto di riforma costituzionale della comunità.
Se l'Europa dei governi dunque è in crisi, occorre veramente rilanciare l'Europa dei popoli.
E il fatto che, nella costrizione di innegabili vincoli istituzionali il Parlamento Europeo, a larghissima maggioranza, abbia saputo varare un progetto di trattato che consente il passaggio alla seconda fase costituente dell'Europa, quella di premessa alla Confederazione, ne offre innegabile testimonianza.
In sostanza, il Parlamento europeo ha saputo cogliere come al di là delle mancate intese sulle politiche settoriali, e ben oltre le "discussioni di bilancio" e di rapporti finanziari fra i Paesi membri - e il "caso inglese" ben esemplifica l'impasse - occorre andare oltre i Patti di Roma, che, bene o male, dopo un quarto di secolo risultano superati. I Patti di Roma sono superati soprattutto per quel modello di Europa che definiremo di "tipo politico" per contrapporlo a quello di "tipo gestionale", un modello, questo di "tipo politico" elaborato da padri fondatori - De Gasperi, Adenauer, Schumann - un modello che ha suscitato vere passioni ed autentico interesse nei popoli.
Il nuovo Trattato, che ora passa all'esame dei Parlamenti nazionali e che entrerà in vigore soltanto con la ratifica da parte della maggioranza dei Paesi membri purché rappresentativi di almeno i due terzi della popolazione comunitaria, è il frutto della constatazione dell'impossibilità di elaborare una procedura di riforma dei Trattati di Roma capace di accogliere il "nuovo" emerso dal '70 in poi (fra cui le diverse cooperazioni, le singole Comunità ristrutturate, il sistema monetario europeo) e della conseguente volontà politica di compiere l'unico vero atto positivo sulla strada dell'integrazione: un nuovo Trattato, che però fosse insieme una vera e propria costituzione. E' proprio su questa - definita dai giuristi - "doppia natura" del nuovo "Trattato", che le autonomie hanno espresso un forte consenso, perché è con esso che cammina l'Europa dei popoli e si supera la crisi dell'Europa dei Governi.
E' in sostanza il "modello politico" che recupera la sua priorità sul "modello gestionale", ed è significativo che le elezioni del 17 giugno 1984 debbano confrontarsi, eleggendo il nuovo Parlamento, proprio con la sfida coerente del primo Parlamento europeo: la rifondazione dell'Europa.
Per approfondire il significato dell'impegno, per proporlo in forma corretta agli europei, occorrono preparazioni, dibattiti e confronti, che analizzino il corso europeo di quest'ultimo decennio, esprimano un corretto giudizio sulle difficoltà incontrate dai processi comunitari, indichino la prospettiva. Abbiamo prima parlato di due "indirizzi", di due linee, che tutto sommato fanno capo a due modelli. Ebbene riprendiamo la riflessione analizzando il recente passato alla luce di questa dualità.
Da un lato esiste la visione politica di coloro i quali concepiscono la Comunità Europea come "concerto di nazioni", e limitano quindi il suo ruolo futuro ad una sorta di area di libero scambio regolata più che altro da accordi settoriali intergovernativi.
La Comunità Europea, per costoro, non rappresenta un problema politico ma è assimilabile piuttosto ad una stanza di compensazione mercantile tra i dieci Paesi membri, nei quali i singoli stati sono pronti a difendere soprattutto gli interessi di cui sono portatori, sostenendo un modello che ho definito "gestionale".
E' in fondo la concezione politica che sottostà alla soluzione prospettata dal Presidente francese Mitterand nel mancato accordo di Bruxelles, in cui la Comunità verrebbe di fatto congelata allo stato attuale, ed ogni suo futuro sviluppo affidato, più che altro, ad accordi bi multilaterali ai quali ogni Stato membro potrebbe costituire secondo i propri reali interessi.
L'esiguo aumento delle risorse, che gli stati sarebbero disposti a versare alle casse comunitarie risulterebbe del tutto trascurabile in rapporto alle esigenze di rilancio e di sviluppo della Comunità, perch verrebbe vincolato a pagare i debiti accumulati dalla politica agricola comune e, al massimo, a finanziare dal 1986 i primi costi dell'allargamento della comunità alla Spagna ed al Portogallo, senza affrontare il problema delle nuove politiche comunitarie, dalle quali dipende peraltro il futuro ruolo dell'Europa nel mondo, avviate e finanziate invece attraverso accordi governativi extracomunitari.
In una siffatta prospettiva il Parlamento Europeo resterebbe confinato nei suoi attuali scarsissimi poteri, lo stato-nazione riprenderebbe il sopravvento sulla Comunità, le singole politiche verrebbero razionalizzate ed in definita il processo di integrazione ed unificazione politica dell'Europa, prefigurato nel Trattato sull'Unione approvato dal Parlamento Europeo, definitivamente affossato.
A tutto ciò si contrappone la concezione di coloro i quali ritengono invece che si debba restare fedeli ai principi ispiratori dell' originario Trattato di Roma, e che quindi dovrebbe essere pienamente applicato il principio della solidarietà, che impone, all'interno della Comunità, parità di diritti e di doveri per tutti gli Stati membri ed un'equa ripartizione degli sforzi finanziari, secondo il naturale "modello politico" dell'Europa unita.
La Comunità Europea dovrebbe pertanto operare un opportuno "salto di qualità", accelerando non solo i tempi dell'integrazione economica e monetaria degli Stati membri, ma pure quelli della loro unificazione politica.
Il progetto politico, contenuto nel Progetto del Trattato sull'Unione Europea, prevede, su questa linea fortemente "integrazionista", una profonda riforma delle istituzioni comunitarie, una specie di rifondazione della Comunità, nella quale al Parlamento Europeo viene riconosciuta la centralità del ruolo di massimo organo rappresentativo e della volontà dei cittadini europei.
Del resto se l'Europa deve avere un futuro coerente con la sua origine quel futuro non può essere affidato soltanto ad un compromesso di vertice tra i governi: e fino a che alla Comunità mancherà un'autorità politica unitaria, con istituzioni in grado di superare divisioni e contrasti nazionali, lo sforzo di integrazione delle politiche comunitarie non potrà avere successi modesti e parziali, sottratto com'è a un coerente disegno di insieme.
Con queste premesse, penso si possa affermare che il Piemonte si ritrova facilmente con coloro i quali ritengono che per far uscire l'Europa dal vicolo cieco in cui è andata a finire, sia necessario puntare ad un rilancio dell'idea europea mediante la profonda riforma delle sue istituzioni, così come delineato nel progetto di Trattato istitutivo dell'Unione Europea, or ora approvato dall'uscente Parlamento Europeo.
Il Piemonte, che da sempre ha saldi legami culturali, commerciali e produttivi con l'Europa non può guardare al suo futuro che in termini fortemente "integrazionisti".
Il futuro del Piemonte nella prospettiva europea si basa su una scelta politica articolata a cogliere due obiettivi: collegare il proprio sviluppo ad una maggiore integrazione della sua economia con l'economia delle aree forti dell'Europa industrializzata, ponendosi nel contempo come regione cerniera tra le realtà dell'Europa industrializzata e le aree meno favorite del nostro Mezzogiorno e del bacino mediterraneo, realizzando un impegno a pro' delle zone depresse del Paese sancito fra l'altro dal dettato statutario della nostra Regione.
Su questa linea si pone pure l'attualità drammatica della crisi odierna.
L'attivazione di efficienti strumenti per il superamento della crisi non è infatti pensabile che nell'ambito di comuni politiche europee imperniate su un mercato comune europeo, che offra la potenzialità economica e la dimensione adeguata per uno sviluppo industriale competitivo sul piano internazionale.
La nostra Regione sta vivendo il difficile momento della riqualificazione dell'apparato produttivo, in conseguenza dei mutamenti imposti dall'irrompere dei nuovi processi tecnologici e del forte avanzamento delle economie concorrenti.
Ciò produce effetti preoccupanti sul piano occupazionale e sociale specie per quanto riguarda i giovani in cerca di prima occupazione, e le forze lavoro più esposte, quali quelle femminili.
Oggi il Piemonte registra statistiche ufficiali oltre 170.000 lavoratori disoccupati, che se sommati agli oltre 27.000 lavoratori sospesi dall'attività lavorativa da oltre trenta mesi (cassintegrati cronici) rappresentano quasi il 10 % della popolazione attiva totale della regione.
Ciò ha indotto la Regione Piemonte, con l'unanime sforzo di tutti i partiti presenti in Consiglio, ad un più stretto coordinamento delle sue iniziative ai diversi livelli (regionale, nazionale e comunitario) affinch le limitate risorse finanziarie a sua disposizione potessero essere utilizzate al meglio, per definire ed orientare una ripresa della crescita fondata sul privilegiato rilancio degli investimenti produttivi in settori nuovi e trainanti.
Il contributo comunitario è stato determinante in questi anni per l'avvio e l'attuazione di alcune politiche regionali settoriali.
Il primo luogo per l'attuazione della politica agricola e l'avvio di avanzati programmi di formazione professionale.
L'agricoltura piemontese ha largamente beneficiato dell'aiuto comunitario, destinato non solo a sostenere la politica dei prezzi e di mercato, ma anche ad ammodernamenti strutturali atti pure ad integrarla in quella comunitaria.
Per quanto riguarda la formazione professionale, il contributo del Fondo sociale Europeo è stato determinante nel promuovere un'adeguata formazione dei giovani in settori nuovi, ma anche nella riqualificazione dei lavoratori coinvolti in processi di riconversione ed ammodernamento dell'apparato produttivo, i tessili in particolare.
L'inclusione della nostra Regione, unica regione italiana non del Mezzogiorno, tra quelle ammesse in via prioritaria ad usufruire del Nuovo Fondo Sociale, conferma l'ampiezza della domanda esistente in questo settore, dovuta alle primarie esigenze di rinnovo dell' apparato industriale.
Il contributo finanziario della Banca Europea degli Investimenti è stato un altro deciso intervento comunitario. Esso ha consentito di portare a compimento importanti opere stradali e ferroviarie per un miglior collegamento della nostra Regione con il resto dell'Europa. Si pensi, ad esempio al Traforo del Frejus, all'autostrada dei trafori all'ammodernamento della linea ferroviaria Genova-Modane, allo scalo ferroviario di Domodossola.
Sul piano del dibattito e della riflessione istituzionale, le iniziative messe in atto in questi anni dalla, Regione Piemonte per favorire, specialmente tra i giovani, la conoscenza delle problematiche europee e per sensibilizzare i cittadini piemontesi sul tema del processo di integrazione ed unificazione dell'Europa, sono state numerose e di alto livello, spesso prese ad esempio da altre Regioni italiane.
Fin dal 1976 è stata istituita, ed opera nella nostra Regione, la Consulta regionale per i problemi dell'unificazione europea, con le finalità di coordinare ed unificare a livello regionale tutte le iniziative legate in qualche modo ai temi dell'unificazione europea. La Consulta ha favorito, in questi anni, la diffusione delle conoscenze sui problemi europei, ed ha agito con il fattivo contributo delle forze politiche economiche, sociali e culturali maggiormente interessate all'ampliamento del dibattito europeo in Piemonte.
Nel 1981 la Regione Piemonte, unica finora in Italia, ha istituito il "Servizio regionale di coordinamento per le politiche comunitarie" servizio comune alla Giunta ed al Consiglio regionale.
Il servizio, attivato solo lo scorso anno e pertanto ancora in fase di decollo, ha il compito di razionalizzare e coordinare le numerose attività della Regione con rilevanza europea. La necessità di dotare il servizio di un organico adeguato è emersa più volte in Consiglio regionale, dove i Gruppi hanno assunto conseguenti impegni.
Recentemente, al fine di ampliare l'attività di studio, di ricerca e di formazione sui problemi comunitari, il Consiglio regionale ha approvato una convenzione-quadro con cui sono stabiliti rapporti di consulenza tecnica e di collaborazione fra la Regione Piemonte e l'Istituto Universitario di studi europei di Torino.
Fra le iniziative degli ultimi mesi, alcune delle quali già richiamate in apertura, occorre aggiungere la campagna "Mille Comuni del Piemonte per il governo europeo", il viaggio a Strasburgo delle delegazioni delle Regioni della prima Circoscrizione elettorale, per la consegna al Vice Presidente del Parlamento Europeo delle petizioni delle autonomie locali il convegno, svolto a Torino il 14 ottobre, su "L'attività del libero professionista nella CEE", la sessione del 14 dicembre 1983 della Consulta regionale, l'avvio dell'inserto-Europa su "Notizie", destinato a oltre 50 mila pubblici amministratori.
Queste attività si sono svolte nella consapevolezza del ruolo trainante che può e deve essere svolto dalle autonomie locali, ed in particolare dalla Regione, perché si realizzi il "modello politico" di integrazione europea, e perché soltanto in esso vengano affrontati e risolti anche i problemi di quotidiana gestione delle provvidenze e degli accordi. La nostra presenza, sia nelle sue strutture che nel dibattito, è stata consapevolmente critica, nel senso che ha richiamato le autorità comunitarie non solo sulle conseguenze della crisi dell'attuale, superato ordinamento comunitario, ma anche e soprattutto sul rischio politico di una involuzione neo-statalista dell'opinione pubblica europea, dinnanzi sia alle disfunzioni che all'incapacità di rifondarsi dell'Europa.
Per la loro collocazione storica, per la loro dislocazione negli assetti istituzionali, per le loro competenze politiche ed amministrative le Regioni costituiscono un "locus istituzionale" di elevato dinamismo nel processo di integrazione: da un lato come interlocutori di governo della Comunità e dei singoli governi nazionali e dall'altro come interlocutori di rappresentanza con i cittadini.
Questo ruolo si specializza oggi più che mai, perché il nuovo trattato proposto dal Parlamento Europeo ai Parlamenti nazionali ed ai popoli costituisce il punto di arrivo di un impegno da noi sollecitato è sostenuto, e un momento di vera e propria riqualificazione democratica dell'Europa. Un'Europa che si costruisce, certo, nella gradualità, ma che non deve uscire dalle cadenze del suo tempo storico, pena il non esserci più. Oggi si ripresentano, e sul terreno della razionalità e su quello delle passioni politiche, grandi temi unificanti per rilanciare l'idea politica, non limitatamente gestionale, dell'Europa: sono i temi della riforma istituzionale, dello sviluppo economico, della sfida tecnologica della pace.
Su questi temi della riforma non è certo difficile per la Regione Piemonte avviare un dibattito diffuso nella comunità subalpina che colleghi il Piemonte all'Europa, e che contribuisca ad offrire alla rappresentanza della prima circoscrizione l'esteso e attivo sostegno d'un corpo elettorale consapevole delle scelte importanti che comporta il voto del 17 giugno 1984.
Col supporto di attività e di impegni, di cui ho or ora detto, e n'ella prospettiva dell'Europa dei popoli, che à l'Europa della rifondazione e del nuovo Trattato, il Consiglio regionale del Piemonte rivolge dunque un vivo appello ai cittadini perché con la loro partecipazione sappiano rilanciare e riqualificare i valori di solidarietà e progresso di cui solo l'Europa può dare una prospettiva, un domani.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, nell'introdurmi nel dibattito odierno, aperto dall'eccellente relazione del Vice Presidente Petrini, non posso non notare come questo momento europeo che la nostra assemblea sta vivendo oggi, abbia la dignità oltre all'ambizione di un respiro assai più ampio. Il nostro dibattito si colloca infatti nel quadro delle iniziative che le Regioni concordemente hanno definito e che si consumeranno in questo periodo attraverso le giornate europee delle Regioni, stigmatizzate da un manifesto comune che da oggi compare sui muri di Torino e spero sui muri dei Comuni del Piemonte e di tutta Italia e attraverso questo dibattito consiliare che anche altre Regioni stanno svolgendo oggi, domani e dopodomani e che segnerà l'impegno delle realtà regionali per il rilancio dell'Europa.
E' altresì vero come ha puntualmente notato nella relazione introduttiva il nostro Vice Presidente, che l'odierno dibattito non appare come una sporadica iniziativa del Consiglio regionale del Piemonte in un certo senso obbligata stante l'imminenza della consultazione elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo. Ad una costanza di attività della consulta regionale europea (che credo in un momento come questo vada anche ringraziata per l'attività svolta in questi anni la Consulta regionale europea che occorrerà continuare a supportare eventualmente con un rimpolpamento del suo bilancio) si sono succeduti a Torino e in Piemonte alcuni avvenimenti importanti a carattere anche internazionale come il recente convegno dei 3000 amministratori testé conclusosi, credo con piena soddisfazione degli organizzatori e degli ospiti.
E' anche successo un altro avvenimento a Torino e in Piemonte negli ultimi tempi che purtroppo da parte della Stampa non ha avuto il dovuto risalto e la necessaria attenzione.
Nei giorni dal 6 all'8 aprile, il Consiglio regionale ha ospitato il secondo colloquio delle associazioni femminili europee e in quest'aula sono echeggiate le voci delle donne francesi, inglesi, tedesche, olandesi greche, portoghesi, irlandesi, belghe, in rappresentanza di realtà istituzionali diversificate ma sostanzialmente unite dalla convinzione che anche i problemi delle donne e in particolare l'occupazione possano trovare possibilità e rapidità di soluzione attraverso lo sforzo di politica comuni miche se (credo sia necessario riconoscerlo), il grado di convinzione è apparso anche attraverso le voci femminili in quest'aula di differente intensità ed ha indotto quelle di noi tra le più convinte, ad interrogarci sul perché di questo differente grado di convinzione.
Signor Presidente, colleghi, per 2000 anni l'Europa è stata o ha creduto di essere il centro del mondo ed ha creduto di poter restare insensibile al destino degli altri popoli. Ciò che realmente importava era quanto accadeva qui in Europa: la guerra di secessione o la guerra russo giapponese avevano lasciato relativamente indifferenti i nostri nonni e i nostri bisnonni; mentre erano ancora l'attentato di Serajevo a scatenare la prima guerra mondiale e Danzica a provocare Pearl Harbour.
Oggi non è più così. La terza guerra mondiale avrebbe potuto scoppiare per Berlino ma anche in Corea o a Cuba. Non esistono più conflitti locali.
Ogni focolaio di tensione può generare un conflitto mondiale. Persino un incidente nello spazio potrebbe avere le stesse conseguenze. Sempre più l'Europa appare ciò che Paul Valery aveva definito "una piccola appendice del continente asiatico". Mentre andava perdendo il suo ruolo centrale l'Europa si lacerava profondamente in due: tanto profondamente che oggi alle giovani generazioni la divisione dell'Europa fra Est ed Ovest sembra un fatto naturale ed irrimediabile. Non si può non constatare almeno per ora come il nostro avvenire non sia più legato a quello dei popoli sottomessi ad una ideologia contraria alla nostra comune civiltà. I nostri destini sono separati anche se non possiamo disinteressarci e non avvertire particolari legami di solidarietà con gli altri popoli europei. E' stato il ricordo della guerra e la realtà di questa lacerazione ad indurre al desiderio di una maggiore unità fra i Paesi dell'Europa occidentale. Nel preambolo del trattato di Roma sta scritto che i Paesi aderenti sono determinati a stabilire le fondamenta di una unione sempre più stretta tra i popoli europei. Leggendo queste parole e guardando la realtà della comunità europea di oggi, molti si sentono scoraggiati per il fatto che l'unione politica è ancora di là da venire.
D'altra parte aveva detto Robert Schuman già nel 1950 che l'Europa non si farà in un colpo solo né tutta insieme; si farà attraverso realizzazioni concrete creando innanzitutto una solidarietà di fatto. D'altra parte 26 anni di vita in comune sono pochi per far dimenticare duemila anni di divisioni e di conflitti. Il fatto che la volontà di unione e di solidarietà, la ricerca di soluzioni comuni e di compromesso, le dichiarazioni di amicizia si siano sostituite agli odi e alle rivalità costituisce già una vittoria e se i giovani oggi non appaiono così interessati all'Europa, così come i più anziani, è anche perché l'Europa è vittima del proprio successo.
Proviamo a pensare come sarebbe l'Europa senza la Comunità Europea? Già oggi 270 milioni di cittadini dei 10 Stati membri, vivono secondo l'ora europea molto più di quanto se ne rendano conto ed i legami istituiti fra i nostri Paesi sono così intricati che sarebbe estremamente difficile porre fine alla comunità anche così imperfetta quale esiste oggi. Nonostante la crisi ed i contenziosi, la CEE non ha smesso di progredire. Si è allargata a nuovi paesi ed ha messo in atto nuove politiche: l'istituzione delle risorse proprie, il riconoscimento del ruolo della cooperazione politica l'istituzione del sistema monetario europeo, le elezioni dirette del Parlamento Europeo, la ricerca dell'armonizzazione della legislazione e di nuove competenze comunitarie.
Il fondo europeo agricolo d'orientamento e garanzia e il fondo europeo di sviluppo regionale, hanno cominciato ad avvicinare le condizioni di sviluppo e quindi di vita di tutte le regioni europee, anche se anche per queste, occorrerà un dialogo più ravvicinato tra Regioni e comunità.
Se si dovrà dare consistenza e seguito all'art. 58, la politica regionale del nuovo progetto di trattato, occorre anche che le Regioni si attrezzino per contribuire alla realizzazione degli scopi della politica regionale. In questo senso, la nostra assemblea dovrà prestare maggiore attenzione al servizio regionale di coordinamento per le politiche comunitarie che il Consiglio ha voluto in anticipo rispetto alle altre Regioni, con la legge di cui ha avuto l'onore di essere la redattrice ma sul cui funzionamento o non funzionamento il Consiglio non sa nulla anche se si tratta di struttura comune alla Giunta ed al Consiglio.
Ho divagato su questi aspetti, ma voglio tornare al problema di fondo e cioè che se da un lato ci sono state volontà e sforzi per far progredire l'Europa, le delusioni di questo anno ma soprattutto dopo la prima elezione a suffragio universale del 1979 non sono mancate. Il fallimento del vertice di Bruxelles dopo i vertici altrettanto improduttivi di Stoccarda e di Atene, ha consacrato lo stallo nel quale si trova oggi la Comunità.
La CEE non riesce a prendere una decisione importante ormai da mesi o forse da anni mentre i problemi non stanno fermi, anzi camminano spediti.
Di fronte alla crisi economica mondiale, la Comunità non è stata capace di trovare soluzione a livello europeo: se il mercato comune era nato con l'obiettivo della crescita economica e della piena occupazione, la crescita è oggi vicina allo "O" e la disoccupazione ha raggiunto i 12 milioni di senza lavoro nella CEE, l'opuscolo "Il Piemonte e l'Europa" che il Consiglio regionale ha curato e che è compito dei Consiglieri regionali contribuire a distribuire opportunamente avendone stampato ben 50.000 copie, reca un dato che deve far pensare. A pag. 31 si nota che mentre gli Stati Uniti negli ultimi 10 anni hanno creato 15 milioni di nuovi posti di lavoro la Comunità ne ha persi 3 pur avendo un risparmio che ammonta a 430 miliardi di dollari a fronte dei 380 degli Stati Uniti e ciò è dovuto alla divisione del mercato dei capitali nei mercati nazionali chiusi. Inoltre la crisi economica a sua volta ha approfondito le divisioni in seno alla comunità e le istituzioni hanno dimostrato sempre più la loro incapacità a risolverla.
Si è giunti ad un conflitto aperto tra Parlamento europeo e Consiglio dei Ministri ed alla progressiva paralisi decisionale in seno a quest'ultima a causa dell'applicazione sistematica della regola dell'unanimità in un'epoca di difficoltà economica, ciò è comprensibile anche se i benefici globali derivanti dall'esistenza della comunità non si possono contestare. Non è mai facile per un governo accettare quella che nell'immediato può sembrare una concessione. D'altra parte la Comunità è fatta necessariamente di reciproche concessioni e compromessi. Non era facile in epoche di espansione e molto più difficile nel contesto economico e sociale attuale. Tenendo conto di queste difficoltà ma tenendo conto anche della necessità ribadita con enfasi da tutti i governi di rafforzare l'azione comunitaria possiamo cercare di anticipare il futuro della comunità? Tre prospettive sono possibili: la prima è quella dello sfaldamento e del crollo della comunità. E' una prospettiva di realtà poco probabile, impossibile come ho detto prima se non altro perché i legami tra i paesi membri sono talmente intricati che ci vorrebbero molto tempo anche solo per scioglierli.
Ciò che però è possibile è l'uscita unilaterale di alcuni paesi della comunità. E' già avvenuto nel caso della Groenlandia, potrebbe avvenire per la Grecia, la Danimarca, il Regno Unito, se la Comunità dovesse assumere indirizzi ritenuti contrari agli interessi nazionali di questi Paesi. Ne risulterebbe una comunità più omogenea ma sarebbe seriamente colpito l'ideale di un'Europa unita.
La seconda prospettiva è il logoramento e la stasi ed è proprio su questo binario che si sta incanalando la comunità. Il conflitto tra le istituzioni e la paralisi decisionale spingono sempre più gli Stati membri a cavarsela da soli e a pensare a sé stessi alzando barriere protezionistiche, infrangendo le regole comunitarie, trattando separatamente con i Paesi terzi. Avendo perduto la sua autorità di influenza come entità politica, la comunità rischia di ripiegarsi sulle proprie funzioni burocratiche e di andare avanti per forza d'inerzia. Da questa prospettiva nasce la terza possibile, l'unica per noi accettabile: il rilancio della comunità. Non intendo parlare di un sistema istituzionale radicalmente differente da quello attuale perché non esiste oggi in Europa il consenso politico necessario. Ciò che ci si può comunque aspettare - che in ogni caso si rende necessario - è almeno un'autentica politica estera comune ed un miglioramento del processo decisionale in seno al Consiglio dei Ministri attraverso l'abolizione del principio dell'unanimità.
Concepito originariamente come clausole di salvaguardia degli interessi vitali degli Stati membri, nella pratica il principio dell'unanimità garantisce a ciascun governo un diritto di veto su qualsiasi politica od iniziativa della Comunità. E' dunque molto importante che questo principio sia scomparso dal nuovo progetto di trattato, approvato dal Parlamento Europeo il 14 febbraio.
D'altra parte è noto che alcuni Paesi hanno serie difficoltà rispetto ai contenuti del nuovo Trattato: sicuramente perciò nel corso del processo di ratifica si ritornerà a parlare di una Europa a geometria variabile, una Europa in cui davanti ad un ventaglio di possibile politiche di aree di intervento sia consentito a ciascun paese di aderire soltanto a quelle che si ritengono più vantaggiose per i propri interessi nazionali. Si avrebbe così un'Europa agricola, geograficamente distinta dall'Europa monetaria dall'Europa nucleare e così via. Il vantaggio di questa formula è di evitare che i contrasti d'interesse diventino esplosivi per la struttura della Comunità. D'altra parte l'Europa diventerebbe così nient'altro che la messa in Comune di interessi minimi. Verrebbe meno al principio di solidarietà così come la volontà politica di ricerca di un accordo.
Difficilmente l'Europa può essere concepita come una comunità nella quale si entra e si esce a seconda degli indirizzi contingenti.
Bisogna accettare le regole e le carte così come sono distribuite.
Altrimenti il gioco non è possibile. Come convincere dunque gli Stati membri ad impegnarsi nello sforzo della costruzione europea. L'unione dell'Europa non è un lusso ma è una necessità per la nostra prosperità, la nostra libertà, la nostra indipendenza. Sono troppo evidenti i benefici dell'affrontare insieme i problemi del rilancio industriale, tecnologico e dell'occupazione. I negozianti con paesi e gruppi di paesi terzi, la politica di cooperazione allo sviluppo e dunque anche la pace. L'Europa unita rappresenterebbe una forza politica ed economica tale da collocarsi in posizione di parità a fianco degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica.
Con questi chiarimenti di fondo è necessario inoltre rivolgersi un'ulteriore domanda: l'Italia è un paese europeista? Dalle indagini statistiche i cittadini italiani risultano essere rispetto ai popoli delle altre nazioni i più convinti sostenitori dell'unità europea. Il Parlamento italiano ed i nostri eurodeputati sono inoltre nelle dichiarazioni di fede ideale i più ferventi sostenitori della causa europea. Le adesioni di questi anni sono però risultate puri atti formali. Raramente sono state espressione di una seria e coerente volontà politica.
Ci sono dei deputati dei partiti che a Strasburgo recitano la parte degli europeisti e in Italia si affermano per il loro nazionalismo.
Un'Italia europea significa innanzitutto una politica economica al passo con gli altri paesi della comunità.
Nel 1979 il P.S.I. e il P.C.I. osteggiarono l'entrata dell'Italia nel sistema monetario europeo voluto dai leaders tedesco e francese, malgrado la consistente fronda di opposizione interna ai loro paesi. Lo SME premessa irrinunciabile per un comune sistema economico comportava rinunce e sacrifici per ogni nazione, per l'Italia significava abbassare il tasso di inflazione e ristrutturare il proprio sistema economico nelle parti più obsolete. La storia d'Italia è nota. Nel 1983, puntualmente, l'allora Presidente del Consiglio, senatore Fanfani minaccia una uscita dell'Italia dalla Comunità sulla vicenda della siderurgia. Produciamo troppo acciaio in rapporto alla domanda sempre più bassa e ridistriguiva. Ogni Paese è dunque tenuto a ridurre le rispettive quote di produzione. Le vicende odierne della Francia rivelano le scelte coraggiose e ineluttabili di quel Paese.
In Italia Fanfani, concordi la D.C., il P.S.I., il P.S.D.I. e il P.C.I.
rivolge minacce antieuropeiste non avendo la coscienza di affrontare un problema conosciuto da molto tempo e per il quale, per tempo, si poteva provvedere.
Un'altra prova antieuropeista avviene sulla vicenda delle Falklands allorché i generali dell'Argentina per deviare l'attenzione dell'opinione pubblica dal disastro economico e dalle gravi violazioni dei diritti civili, invadono gli scogli inglesi rivendicandoli come territorio argentino.
Oggi, quei generali sono stati condannati dalla democrazia, nuovamente trionfanti in Argentina, ma l'Italia nell'82, D.C. e P.C.I. in testa solidarizza con l'Argentina isolando il nostro Paese da tutte le altre nazioni europee.
SME, accio e Falkland: tre importanti temi sui quali la coesione europea si è misurata nei fatti, al di là degli appelli destinati a suonare retorici in assenza di una coerente azione.
Con queste considerazioni i repubblicani e i liberali hanno deciso di presentarsi uniti, in una unica lista alle elezioni del 17 giugno rivendicando battaglie coerenti in Italia quanto in Europa. Qualche commentatore ha ravvisato operazioni strumentali in questo accordo. Nulla di più vacuo. P.R.I. e P.L.I. prima e dopo la formulazione del progetto di trattato per l'Unione europea, alla quale hanno partecipato in primis hanno identificato la loro azione in un federalismo senza aggettivi, quasi una costituente per l'Europa. Una costituente per l'Europa che in questa nostra Regione, così anticamente europeista potrà trovare spazio realizzazione e successo.



PRESIDENTE

Informo i colleghi che la II Commissione al termine della seduta del mattino è riunita per pochi minuti per l'esame di un provvedimento.
La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Ha affermato il Vice Presidente del Consiglio, ad un certo punto della sua corposa introduzione, che oggi si ripresentano, sul piano delle passioni politiche, i grandi temi dell'idea europea.
Ed è stato proprio l'uso di quel verbo "ripresentarsi", egli ha detto che ci ha fatto ritornare indietro nel tempo, molto più indietro di quanto certo non possa immaginare il collega Petrini, per ripensare entro noi stessi ad un'altra lontana idea europea.
Al progetto, cioè, di un Europa nella quale già credettero e per la quale si batterono, fianco a fianco, milioni di cittadini europei: italiani e spagnoli, svedesi e tedeschi, rumeni e belgi....
L'Europa che - appunto a riprova di questo suo spirito unitario - ebbe pensate, nei giovani francesi del battaglione "Charlemagne" gli ultimi difensori di Berlino in fiamme! Quel sogno incompiuto, spento dall'apocalisse della guerra, tuttavia non ci ha imprigionato con le sue nostalgie, che sarebbero risultate sterili e vuote alla luce di quanto accaduto; ma ci ha visto impegnati, sin dall'immediato dopoguerra, nella faticosa costruzione di un'altra Europa talché pensiamo che oggi non possano sussistere dubbi sulla nostra convinta adesione alla rinnovata idea europea.
Certo, a questa Europa noi abbiamo sempre guardato ed ancora seguitiamo a guardare dalla prospettiva di una forza politica che va orgogliosa del proprio nazionalismo: perché riteniamo, infatti, che - per poter credere alla Nazione Europa - occorra innanzitutto aver creduto ed ancora credere nell'Italia come Nazione, e nell'Inghilterra, nella Germania, nella Francia come Nazioni. Si debba, cioè aver creduto ed ancora credere nei valori che il concetto di Patria porta in sé. Sentire che la Nazione non è soltanto un popolo od un territorio chiuso dentro certi confini: ma è una concezione dello spirito, è cultura, è civiltà, è destino.
Un brillante pensatore di destra, Adriano Romualdi, tragicamente perito dieci anni fa, ha lasciato detto, scrivendo dell'"Europa delle Patrie": "L'errore di De Gaulle è stato di parlare a nome della Francia, e non dell'Europa. E' stato quello di credere che la Francia potesse essere ancora grande come Francia. Ma gli Italiani, i Francesi ed anche i Tedeschi non potranno più essere grandi come Italiani e Francesi e Tedeschi: potrebbero esserlo come Europei".
Ecco, questo è ciò che dobbiamo cercare di diventare e per cui, in tutti questi anni, noi ci siamo impegnati: mettere in piedi non una costruzione burocratica, ma una nuova grande Nazione che si chiama Europa.
Invece. invece abbiamo sinora avuto soltanto l'Europa dei mercanti e delle vacche, l'Europa dei gruppi economici e del burro, l'Europa delle multinazionali e del vino. Soprattutto l'Europa dei partiti e delle loro internazionali.
Quello che ancora manca, ai fini di una effettiva unità politica, è l'Europa dei popoli: manca perché - in forza di una impostazione secondo noi errata - si è voluto intanto assegnare una priorità immediata ai problemi economici.
Ora, nessuno intende sottovalutare gli aspetti del mondo dell'economia: e basti pensare alla sfida tecnologica e di sviluppo con gli Stati Uniti ed il Giappone: ai problemi della ricerca tecnico-scientifica; alla difesa ed alla riconquista dei mercati per settore, oggi dolorosamente penalizzati al dramma di un continente ammalato che deve farsi carico di 19 milioni di disoccupati ....
Tuttavia, fermandoci sulla via economicistica, noi siamo convinti che come fatalmente sta avvenendo e come il fallimento dei "vertici" di Stoccarda, di Atene, di Bruxelles ha dimostrato - siamo convinti, dicevamo che la grande idea europea finisca esaurita negli egoismi particolari e negli interessi utilitaristici.
Sono questi particolarismi, queste visioni settoriali, queste esasperate rivalità, che hanno portato alla crisi odierna, tant'è che negli scorsi giorni, "Newsweek", prestigioso settimanale americano, ha potuto scrivere: "L'Europa occidentale, l'orgoglioso vecchio continente che ha dominato la storia mondiale per due millenni, sta ristagnando economicamente e vacillando politicamente. Dopo trent'anni di quasi ininterrotta espansione, il miracolo post-bellico si è esaurito ed è morto.
Il primato mondiale in materia scientifica, tecnologica e commerciale, è passato, forse definitivamente, agli Stati Uniti ed al Giappone. Un numero crescente di giovani europei respinge addirittura i valori positivisti che in passato, furono il motore del progresso. L' eminente storico francese Fernand Braudel ne conclude che, senza un rilancio del disegno unitario non solo l'economia, ma la stessa stessa cultura europea sono destinate a soccombere".
Questa l'impietosa diagnosi di "Newsweek".
Per cui, ora noi dobbiamo chiederci se questa Europa - l'Europa punto d'arrivo della storia e della civiltà; l'Europa dov'è nato l'Occidente con tutte le sue idee e le sue speranze; l'Europa patria dell'umanesimo, ossia dell'uomo moderno - ecco, dobbiamo chiederci se questa Europa sia fatalmente destinata a perire. Se soccomberà perché divisa, come la Grecia divisa dovette soccombere di fronte ai macedoni ed ai romani o come l'Italia rinascimentale divisa davanti agli imperi europei. Se sia ineluttabile destino che i popoli più civili debbano sempre perdere.
Oppure, se le eccezioni a questa regola, che pure vi sono nella storia includeranno un giorno anche questa Europa, che noi abbiamo ereditato e che cerchiamo faticosamente di costruire.
Ebbene, a queste domande noi ci sentiamo di dare una risposta positiva.
Sì la nuova Europa, non quella dei Trattati, ma quella dei popoli, nascerà.
E non tanto e non solo in virtù del cosiddetto "progetto Spinelli", cioè del progetto istitutivo dell'unione europea, che tuttavia pure noi, a Strasburgo, abbiamo votato, confermando la nostra scelta europeistica non recente (come quella del Partito Comunista) ma di antica data: e che adesso auspichiamo venga sollecitamente recepita, prima ancora del 17 giugno prima ancora della scadenza elettorale dal Parlamento nazionale, sì da agevolare la storica operazione dell'integrazione - politica e non soltanto economica - dell'Europa.
Non tanto e non solo per questo, dicevamo. Quanto, invece, perché siamo convinti, profondamente convinti, che presto risorgerà nell'animo degli europei l'orgoglio, culturale e politico insieme, di tornare nuovamente ad essere protagonisti sulla scena mondiale.
Infatti, quarant'anni dopo Yalta, dovrà finalmente consolidarsi nelle coscienze dei cittadini di questo vecchio inondo la consapevolezza che ormai, essi non possono più contare singolarmente come italiani, o francesi, tedeschi o inglesi, spagnoli o portoghesi (che, tra parentesi vorremmo vedere al più presto ammessi nella nostra Comunità); ma che potranno invece tornare a contare, davanti ai due blocchi contrapposti della Russia e dell'America, soltanto in un'Europa unita, in un'Europa Nazione.
E, in questa visione, non crediamo che si possa fondare la Patria europea come espressione dello sviluppo della politica delle autonomie locali e dei vari regionalismi: poiché le Regioni sono spesso artificiose costruzioni sul piano amministrativo e, dove hanno alla base un'effettiva tradizione autoctona, questa si sostanzia spesso in laceranti contrasti quanto meno potenziali - con le Comunità Nazionali, investite di ben altra legittimità e funzione storica e politica. Inoltre, l'esperienza degli enti locali in Italia è del tutto negativa, tant'è che l'autorevole "Le Monde" riferendosi ad essa, ha cosi titolato una sua retrospettiva: "Italia, il peso delle clientele locali": dunque, voler trasporre sul piano europeo la filosofia e la pratica sulle quali si fonda l'autonomismo degli enti locali italiani, non garantirebbe alcuna democrazia, in quanto risulterebbe vincente la logica clientelare e lottizzatrice, non certo quella di una autentica partecipazione popolare. Europa politica, allora, unita ed indipendente in un sistema "policentristico" di sicurezza mondiale.
Non senza dimenticare che, ai fini di una effettiva integrazione, va pure risolto il problema delle Nazioni dell'Est europeo, oggi schiavizzate dal comunismo sovietico: la divisione dell'Europa e, in essa, della Germania, è un retaggio della seconda guerra mondiale i cui effetti debbono andare cancellati. E questo obiettivo - anche se ci rendiamo conto che non potrà essere immediatamente realizzabile - della riunificazione di tutti i popoli europei, dovrà essere sempre presente nelle nostre speranze e nelle nostre aspirazioni di europeisti.
Crediamo, dunque, al risveglio di una coscienza davvero europea nell'uomo europeo, ad essa affidandoci perché convinti che, se l'Europa non vorrà perire, bisognerà rivivere lo spirito e la volontà politica delle sue diverse Patrie, nel riconquistato orgoglio di voler essere, tutte insieme una grande e civile nazione europea.
Ecco, questa è l'Europa disegnata e sperata dalla Destra nazionale: quella di un popolo stanco di sentirsi condannato a restare piccolo e vile ed ansioso ormai di diventare grande in un'Europa libera ed indipendente.
Un'Europa vertebrata, salda, non svuotata - come vorrebbero le sinistre dei valori delle sue grandi tradizioni.
Un'Europa orgogliosa, armata per la sua difesa, capace di mobilitare e di coordinare le sue energie e le sue intelligenze, per essere economicamente, culturalmente, politicamente pronta a raccogliere le grandi sfide che le vengono da ogni parte del mondo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferro.



FERRO Primo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, dico subito che il dibattito di oggi non lo consideriamo un atto dovuto all'invito rivoltoci dalla Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali, o meglio, non lo consideriamo un atto pressoché obbligato da cui uscire con generiche petizioni di volontà perché sull'Europa bisogna pure dire qualche cosa dopo Atene e dopo il fallimento dell'ultimo vertice dei Capi di Stato di Bruxelles. Certo, Atene e Bruxelles offrono lo spunto alle forze politiche più europeiste a quanti nel nostro Paese e anche qui in Piemonte hanno lavorato per l'unità europea, per una riflessione più generale e più incisiva per riannodare i fili spezzati e per avviare un nuovo processo che punti all'unità europea.
Il Vice Presidente del Consiglio Petrini giustamente richiamava l'importanza del progetto di nuovo Trattato approvato dal Parlamento europeo per rilanciare un nuovo modello politico rispetto a un modello gestionale che è fallito. Io condivido questa impostazione. Di fronte a tanti fallimenti il nuovo Trattato indica un salto di qualità, delinea un versante istituzionale una nuova frontiera su cui l'Europa della rifondazione può e deve cercare di attestarsi.
Nel rapporto del Parlamento Europeo c'è un richiamo al riconoscimento del ruolo che hanno le collettività locali e regionali, ma è - mi si consenta di dirlo - un riconoscimento ancora troppo generico nel senso che tuttavia non sono ancora istituzionalizzate le consultazioni delle collettività locali e regionali, e tra le istituzioni comunitarie non si è riusciti in questi anni a guadagnare la presenza di alcun organismo consultivo.
E' una strada su cui le Regioni dovranno ancora battersi e credo che la decisione della Conferenza dei Presidenti di avviare in ogni Regione dibattiti come quello nostro di oggi, vada in tal senso.
Detto questo, se c'e un obiettivo pressoché comune su cui lavorare e su cui noi intendiamo fare la nostra parte, la riflessione sul perché con il fallimento di Bruxelles si è raggiunto il punto più basso, è una riflessione che va sviluppata sino in fondo.
Vedete, le discussioni sui Trattati, sulle nuove istituzioni europee non possono tagliare verticalmente, non sono "un'altra cosa" rispetto agli indirizzi politici, ai vasti interessi che la crescita degli scambi ha sviluppato, ai processi economici, alla lettura che diamo di questi fatti e alla cultura della realtà che da questi fatti vogliamo farci, Consigliere Vetrino.
Di fronte ai fatti non può esserci nelle forze politiche un appiattimento consenziente e passivo. Per noi l'Europa dell'unione non pu che essere anche l'Europa del cambiamento. E i cambiamenti non si producono sulla base di passivi unanimismi. Voglio dire che il fallimento di Bruxelles parte da molto lontano; c'è il fallimento di fondo di una politica, o meglio, di più politiche nazionali che in questi anni sono state improntate a tutto, dal protezionismo alle ricette neo-liberiste alle contraddizioni e alle riluttanze nel processo di unificazione del mercato concorrenziale, alle misure deflazionistiche più selvagge improntate a tutto fuorché a una più coerente visione dell'Europa, delle sue possibili ambizioni, del grado di indipendenza a cui ha diritto.
Oggi Amburgo e il Nordchein Westfalen come prodotto interno lordo non sono solo più lontane dalla Grecia e dal nostro Mezzogiorno, sono anche più lontane rispetto agli anni passati dalla Lombardia e dallo stesso Piemonte.
Ma non è poi tanto assurdo che le distanze tra Torino o qualunque altra Regione che negli anni '70 si attestava su valori medi da un lato, e le aree del nord Europa si allunghino, mentre l'Europa si fa più piccola, se è vero come è vero, che la produzione industriale nella Comunità negli ultimi tre anni è diminuita del 3%, mentre è aumentata del 5,3% negli USA e dell'11% in Giappone.
Non si legge forse in questi dati l'illusione dei vari governi e dei vari stati di voler uscire dalla crisi, di sostenere una crescita economica con iniziative settoriali e nazionali che prescindevano dalla solidarietà comunitaria? Una solidarietà peraltro che si è fatta sentire assai poco dal momento che la politica comunitaria, pur consentendo qualche risultato positivo e importante negli scambi intercomunitari, non è stata in grado di produrre una politica delle strutture e una politica commerciale collegata alle produzioni industriali.
Di fronte a questi fallimenti abbiamo sentito levarsi preoccupazioni contro quelle che Petrini chiamava le politiche di "concerto di nazioni" le politiche che dovrebbero far seguito ad una ipotesi di congelamento della comunità. Voglio solo dire che queste politiche di concerto di nazioni non sono un qualche cosa di nuovo che sorge sulle ceneri della Comunità. Da anni oltre frontiera si vanno sviluppando interventi sulle strutture rivolte a favorire nuove agglomerazioni industriali e macro strutture che integrino il sistema della Senna con quello del Rodano e quello del Rodano con quello del Reno.
Non so se dopo gli indirizzi assunti recentemente dal Governo francese lo sviluppo di queste macro-strutture che vanno da Lione ai sistemi portuali del nord, riceveranno nuovi impulsi nel quadro di questa politica di "concerto delle nazioni".
E' indubbio però che questi processi di integrazione tra le aree forti ed il complesso del rapporto tra queste e i sistemi emergenti, certamente andrà avanti, e di fronte a questi processi una Regione come la nostra, una Regione che vanta aree ad elevata produttività agricola che nel triangolo Torino-Ivrea-Novara, concentra 100 mila addetti in aziende ad elevata tecnologia, dove sono concentrati i due terzi dei robot applicati nel nostro Paese, dove si concentrano il 26% degli investimenti e si compiono in Italia per la ricerca e l'innovazione, una Regione come la nostra certamente è legittimata a guardare a Lione e a Marsiglia.
Ma sarebbe anche un'operazione velleitaria il credere che il Piemonte possa aggregarsi come ultima delle aree forti o la prima delle aree deboli al cuore dell'Europa, perché se non si supera l'esperienza fondata sul libero scambio con tutte le sue contraddizioni protezionistiche, che è stata uno dei fattori di accentuazione degli squilibri, se non si punta a una vera politica di riequilibrio territoriale, è innegabile che andremo verso un'Europa che si fa ancora più piccola; un'Europa che comunque sarebbe costretta a subire quei vincoli determinati da una accentuazione degli squilibri territoriali che oltre ad essere fattori strutturali dell'inflazione, renderebbero in fondo illusorio l'aggancio stesso del Piemonte all'Europa in un quadro di integrazione delle aree forti.
Come leggere quindi i dati che vengono da tutti gli indicatori economici? Come leggere lo stesso intervento del Presidente del Consiglio qui a Torino agli Stati Generali, i dubbi stessi che vengono avanzati su una possibilità reale di aggancio alla ripresa giapponese ed americana se non cogliendo il fatto che l'Europa rischia un'emarginazione storica premuta nel confronto tra le due grandi potenze e l'affermarsi dei Paesi del Terzo Mondo? E allora, non è per un atteggiamento caritativo che si ripropone con forza l'esigenza del dialogo Nord-Sud nel quale l'Europa nel suo insieme non ogni Stato per suo conto, può ritrovare la propria identità.
Non è un caso che in questi anni si sono sviluppati fatti non di poco conto, che hanno un rapporto di interdipendenza tra loro. Da un lato, nel 1963 i Paesi in via di sviluppo hanno dovuto tagliare le loro importazioni per 43 miliardi di dollari. Dopo un decennio le loro ragioni di scambio sono cadute del 16 %. Dall'altro, dopo un periodo in cui sulla scena mondiale sembrava prevalere una tendenza policentrica dominata da una riorganizzazione dei rapporti su scala mondiale, tendenza che comportava anche un tentativo di integrazione dei Paesi del Terzo Mondo, in un rapporto più corretto tra Nord e Sud, si è andata sostituendo una rinnovata posizione di predominio degli Stati Uniti e quindi una gerarchizzazione delle relazioni internazionali.
Questi fatti non sono causali, perché con politiche economiche di tipo monetarista o liberista, con il rilancio alla corsa agli armamenti e con una arrogante ed ideologica riaffermazione sulla pretesa magia del mercato non si può fare altro che accentuare conflittualità su ogni terreno che caratterizza il sistema internazionale.
Il problema quindi è quello di invertire queste tendenze che allontanano ed oscurano qualsiasi ipotesi di nuovo ordine economico internazionale. Quindi il rapporto Nord-Sud, il dialogo con il Terzo Mondo è un bisogno per l'Europa che può solo avvenire all'interno di una politica di distensione.
I fatti dimostrano che ogni tendenza di segno opposto che si affermi non solo produce spinte alla gerarchizzazione delle relazioni internazionali, ma produce i suoi effetti sullo stesso piano delle relazioni economiche dove ormai da più parti si dà per certa ed incontestabile una situazione di dominio sui mercati da parte degli Stati Uniti e del Giappone. Così come non è per un atteggiamento puramente solidaristico che si pone anche nel quadro di un rapporto diverso con le aree mediterranee, il problema del nostro Mezzogiorno.
Se Torino è una Regione come il Piemonte in questi anni registrano situazioni di elevato sviluppo e di innovazione e vaste sacche di emarginazione, se ci si vuole misurare con un sistema complesso di convenienze che debbono caratterizzare lo sviluppo dei prossimi anni, non si può non tener conto che Torino e il Piemonte sono al centro di uno scontro più grande che è poi quello che vede protagonisti coloro che ritengono che il nostro Paese deve e può essere parte integrante dei Paesi industrialmente più avanzati, e quanti invece credono in una visione mitica del mercato e del libero scambio che il nostro Paese non possa avere altro destino che è quello di vivere negli spazi lasciati liberi di una nuova divisione internazionale del lavoro come quella che si è venuta producendo in questi anni.
E' di fronte a questi problemi, è di fronte a queste scelte che noi crediamo ci si debba misurare; dobbiamo misurarci per quanto ci riguarda sapendo che una società che accetta tout-court le politiche recessive di questi anni che si abitua a vivere con la disoccupazione non può fare a meno di vivere con le sue stesse conseguenze sociali, con una estensione cioè delle zone opache e sommerse e con gli elementi di freno che questo rappresenta al raggiungimento di livelli superiori di efficienza media del sistema nel suo complesso.
Noi del P.C.I. siamo partiti con le nostre proposte per una convenzione sul futuro di Torino, di una scena grandemente mutata che richiede processi di trasformazione con la convenzione e le sue proposte, crediamo possa avvenire una sollecitazione a tutte le energie, a tutte le risorse che sono disponibili a diventare protagonisti.
Non voglio certamente riprendere i temi e gli indirizzi che sono stati al centro della convenzione; voglio solo richiamare il fatto che parlando di produzione e di diffusione si deve necessariamente parlare di un qualche cosa che va al di là rispetto all'adattamento all'innovazione produttiva e sottolineando che questa scelta comporta e sollecita una ben altra politica dei redditi rispetto a quella che viene portata avanti in questi tempi.Ho fatto cenno alla convenzione perché essa può essere un riferimento di lavoro nostro e di proposta nostra, in quanto comunisti questa proposta pu certamente essere anche una base politica di confronto all'interno delle istituzioni.
Ancora una volta si impone l'esigenza di una strategia globale, quella se ho capito bene - che il Vice Presidente Petrini chiamava un po' impropriamente "nuovo modello politico". Ma allora, se è così, la revisione dei Trattati spinge verso un processo che certamente può formare, pu aiutare il formarsi di un nuovo modello politico, ma credo occorra partire dai problemi politici veri, perché se non si risolvono questi problemi possono venire, come sono venute, spinte di segno opposto che vanno nel senso della lacerazione e non dell'unione.
Non è forse per la mancanza di una strategia globale a livello comunitario, non è forse questa mancanza che ha ridotto singoli Stati a ricorrere a misure frammentarie ed incoerenti? Quindi questo impone il ricorso ad interventi coordinati a livello comunitario, purché però le istituzioni comunitarie sino in grado di produrre una profonda revisione nei confronti dell'originaria ideologia liberista. Occorre riflettere ancora più di quanto non si sia fatto sinora non solo sul fatto che la comunità dei Trattati di Roma allora volle essere una continuazione politica del Piano Marshall, la Comunità che era ancora nell'Europa della guerra fredda, della CED, della politica di contrapposizione con il mondo del socialismo reale.
Occorre però ancora più riflettere sull'insuccesso delle illusioni eurocratiche della prima ora, sull'ipotesi di sovranazionalità gestite da esperti illuminati e da un forte esecutivo tecnocratico.
La storia, anche quella recente, è spietatamente ricca di insegnamenti a questo proposito. La revisione dei trattati in qualche modo ha certamente un suo senso profondo: ha tutto il suo significato politico se si muove all'interno di spinte al coordinamento e verso un'unione nelle quali anche le Regioni possono fare la propria parte.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Reburdo.



REBURDO Giuseppe

Colgo l'occasione del dibattito in Consiglio regionale sui problemi dell'Europa per esprimere alcune opinioni, frutto non soltanto delle valutazioni personali, ma anche di una esperienza che sto conducendo, con molti altri, all'interno del movimento pacifista del nostro Paese. Leggere il fallimento sostanziale della politica dell'Europa degli Stati e dei Governi è importante ma insufficiente per individuare l'errore di fondo: nessun governo, nessuna forza reale è stata in grado di capire che la vera scommessa per costruire l'Europa era quella di contare sulla volontà dei popoli, sulla loro potenzialità all'unità.
L'unità dei popoli è stato, è e sarà sempre il vero, forse l'unico grimaldello per battere l'egemonia degli Stati, le arroganze dei governi la subordinazione ad ogni tipo di potere che siano ad ora ha guidato l'Europa. La lettura fatta dal Vice Presidente del Consiglio che descrive un'Europa dei governi burocratici e inefficaci contrapponendo ad essa l'Europa delle autonomie locali, è una lettura importante ma largamente insufficiente. Non è stata colta la vera novità di questi ultimi tre anni in Europa: il grande movimento unitario che, in nome della pace, dello sviluppo e di un corretto rapporto con i paesi del terzo mondo, tende al superamento dei blocchi egemoni, alle libertà, alle autodeterminazioni dei popoli. Questo grande movimento è stata la vera, unica facciata unitaria dell'Europa. E' questo il popolo della pace, che non si è ritrovato né ad Atene né a Bruxelles a reggere dei fallimenti, ma che si è trovato unito in grandi appuntamenti che hanno dato un volto diverso all'Europa.
Mi riferisco al grande appuntamento del 22 ottobre 1983 quando da Roma a Londra, da Parigi all'Aja, da Bruxelles a Madrid e Atene, milioni e milioni di persone sono scese in piazza. A Bonn vi è stata la più grande manifestazione della pace che in quel paese si sia mai avuta, che si è conclusa con la partecipazione del Presidente dell'Internazionale socialista Willy Brandt. E' stato quello il momento più alto di quel 22 ottobre. E' stato un momento di volontà, di unità dei popoli, di un'Europa vera, reale, in grado di essere emblematica nei confronti dell'efficacia e della non volontà dei governi.
Il movimento della pace è in grado anche di costruire visivamente l'unità europea. Forse pochi Consiglieri regionali, poche istituzioni pochi partiti conoscono l'esperienza che il Movimento per la pace ha sviluppato rendendo un grande servizio all'unità europea.
Da due anni sono in corso convenzioni europee dei movimenti pacifisti la prima delle quali si è tenuta a Bruxelles, la seconda a Berlino.
Quest'anno ci sarà la terza convenzione europea dei movimenti per la pace che si terrà significativamente a Perugia. La Regione Umbra ha assunto un ordine ai problemi della pace, un ruolo trainante, emblematico e significativo, tale che dovrebbe stimolare anche la nostra Regione ad adeguarsi.
Certo, vi è la necessità di superare l'Europa degli Stati, quell'Europa che politicamente, economicamente e culturalmente è subordinata al condizionamento del potere e all'egemonia americana. L'Europa deve essere in grado di dare un contributo al superamento degli squilibri esistenti tra Nord e Sud; l'Europa deve avere la forza di fondare la sua sicurezza non sui missili, sulle armi micidiali e sulla corresponsabilizzazione nella politica di aggravamento delle tensioni internazionali, ma sulla politica di disarmo, capace di aprire varchi di democrazia all'interno dei Paesi dell'Est e di rendersi disponibile verso i Paesi del Terzo Mondo. Gli accordi di Lomé sono stati un timido, insufficiente, contraddittorio e troppe volte mistificatorio tentativo. Alcuni governi d'Europa stanno dando un apporto concreto, alla politica del disarmo: il Governo e il Parlamento olandesi si sono rifiutati fino a questo momento di accettare supinamente l'imposizione americana dell'installazione dei Cruise, il governo svedese sta concretamente lavorando per dare un contributo alla politica del disarmo attraverso la proposta della denuclearizzazione dell'Europa centrale, il governo Papandreau con la proposta di denuclearizzazione dei Balcani. Inoltre nel mese di luglio si terrà a Comiso un incontro tra tutti i movimenti per la pace ed i movimenti di liberazione dei Paesi del Mediterraneo per porre la questione della denuclearizzazione del Mediterraneo, diventato ormai un mare di guerra un mare nel quale si svolge un terribile confronto tra le grandi potenze.
Perché non giocare la scommessa su un' Europa in grado di essere punto di riferimento e stimolo culturale, economico, politico, etico morale un'Europa delle idee, della volontà, dei valori e non un'Europa della forza, della deterrenza, degli squilibri, dell'accettazione di interessi che non siano quelli direttamente espressi dal popolo.
Allora, sono essenziali alcune scelte radicali, serie esplicite.
Il trattato non può essere considerato soltanto un momento di confronto istituzionale, perché può passare solo se vi è una grande mobilitazione di popolo.
Perché non dire esplicitamente che siamo per un Parlamento europeo decisionale che metta fine alle politiche nazionali chiuse, settarie, dei piccoli interessi, di difesa di piccole egemonie, tra l'altro, messe in discussione dalle competitività internazionali? Perché non aprire il confronto per cambiare radicalmente alcune politiche a partire da quella economica? L'Europa deve misurarsi sul grande problema, dramma della disoccupazione, in particolare della disoccupazione giovanile. L'Europa deve rifondare la politica economica a partire dal cambiamento del meccanismo dello SME per molti aspetti contradditorio e insufficiente.
Perché non parlare di una svolta e di un radicale cambiamento della politica agraria capace di abbattere lo spreco e di vincere l'egemonia delle agricolture più protette? Perché non parlare di una diversa politica dell'ambiente, del territorio e della qualità della vita? Perché non aprire un confronto esplicito sulle politiche culturali dell'Europa, su una produzione culturale che non accetti supinamente la colonizzazione di altre culture egemoni come quella americana, ma che sia in grado di sviluppare una cultura aperta ai Paesi del Terzo e del Quarto Mondo? E passo rapidamente a concludere con alcune proposte. Innanzitutto credo che debba essere intensificata l'informazione con la creazione di strumenti da mettere a disposizione dei cittadini, singoli ed organizzati costruendo e aiutando a costruire centri di iniziativa e di ricerca.
Ieri ho presentato con il collega Montefalchesi una proposta di legge sull'informazione, sulla diffusione e sulla produzione di strumenti da mettere a disposizione dei cittadini, dei movimenti, dei gruppi che a partire dal potenziamento dei servizi per i rapporti con la CEE esistenti all'interno della Regione impegna la Regione stessa affinché questi servizi e queste esperienze siano potenziati con il coinvolgimento di forze organizzate che operano sulla politica europea e sulla politica per i Paesi del Terzo e del Quarto Mondo.
Forse la nostra proposta a suo tempo presentata sulla fame nel mondo aveva fatto sorridere: infatti essa ha visto il disimpegno della passata Giunta nonostante gli impegni assunti in sede di Consiglio regionale.
Quella proposta comprendeva la costituzione di un gruppo di lavoro capace di proporre un progetto di intervento per i Paesi del Terzo Mondo da inserire tra i progetti del Piano regionale di sviluppo: un progetto capace di coinvolgere le forze economiche, sociali, politiche e finanziarie, centrato sulle politiche culturali e dell'ambiente, in grado di dare organicità agli interventi della Regione, di sviluppare autenticamente iniziative a servizio della collettività, di stimolare le molte energie, le molte forze, le molte potenzialità che sono presenti in Piemonte, le quali spesso trovano gravi ed insuperabili ostacoli nelle istituzioni. Le istituzioni potrebbero favorire l'accesso ai finanziamenti agli interventi comunitari che spesso rimangono inutilizzati intanto per la difficoltà di conoscerli e poi per la difficoltà ad avere sostegni adeguati per l'accesso (spesso strumenti di potere, ad hoc utilizzati anche attraverso discutibili finanziamenti che dovrebbero essere diversamente finalizzati).
Ecco perché l'Europa va costruita passando attraverso le forze popolari, radicate negli interessi vivi e reali della società.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questo dibattito è di grande importanza perché induce a fare una riflessione sul ruolo dell'Europa in una fase storica nella quale i rapporti tra gli stati e le politiche dei governi rischiano di portare l'umanità sull'orlo di una catastrofe nucleare. Se si vuole dare un senso vero alle elezioni europee del 17 giugno il significato che dobbiamo conferirgli non può essere quello di una competizione per il controllo di un Parlamento Europeo che ormai è inesistente in una comunità boccheggiante e dilaniata dagli egoismi degli stati e dagli interessi di bottega dei singoli governi.
Il 17 giugno deve essere la grande occasione affinché la popolazione europea si esprima sulla grande emergenza di questa fase storica, cioè la questione della pace.
Le elezioni europee devono essere l'occasione per ripensare al ruolo dell'Europa in ordine alle grandi questioni che travagliano il mondo, dalla pace alle questioni dello sviluppo in tutte le aree del mondo. Giacché la pace e lo sviluppo condizione per la salvezza di milioni di vite, sono le questioni fondamentali di questo momento storico.
I missili a Cosimo, in Germania, in Inghilterra, nei Paesi dell'Est non sono che un ulteriore gradino verso l'armamento atomico che da tempo ha superato il limite oltre il quale una guerra non lascerebbe né vinti n vincitori, ma solo autodistruzione dell'umanità.
Vi è inoltre da considerare che mentre a livello mondiale i fenomeni della crisi economica non accennano ad attenuarsi e milioni di persone sono sterminate per fame, il riarmo assorbe tanta parte delle risorse mondiali e condiziona in modo pesante l'evolversi dei sistemi politici e la risposta ai problemi dello sviluppo che tante risorse richiederebbe.
Ecco allora che l'idea finora perseguita di costruire l'Europa dei Trattati, degli accordi di vertici mostra tutti i suoi limiti. Non solo tale ipotesi ha mostrato il suo fallimento ad Atene e più recentemente a Bruxelles con l'ultimo vertice dei Capi di Stato, ma tutti i giorni mostra i limiti in un'Europa subalterna alla logica dei blocchi.
I popoli d'Europa hanno già indicato la via attraverso la quale costruire l'unità europea.
Il nuovo e lo straordinario Movimento per la pace cresciuto in questi ultimi anni in Europa non coinvolge solo avanguardie, ma grandi masse nuovi settori sociali e culturali. Esso ci indica qual è il terreno sul quale costruire un'Europa basata sull'unità dei popoli in alternativa all'Europa dei Trattati. Se è vero, come è vero che non è più possibile sperare in una ripresa della distensione senza rimettere subito e profondamente in discussione la logica dei blocchi, il movimento della pace, ci manda a dire che se i governanti saranno in grado di raccogliere l'unità del popolo europeo, l'Europa può avere la forza economica e l'autorevolezza politica per fare in un nuovo neutralismo una politica attiva verso le altre Regioni del mondo.
L'unità europea può essere perseguita attraverso l'autonomia dai due blocchi, l'Europa unita può aprire la strada ad una profonda trasformazione nel blocco dell'Est e fare emergere protagonisti e comportamenti nuovi nei paesi non allineati.
La grande motivazione ideale che a mio avviso bisogna dare alle prossime elezioni europee è l'obiettivo di una strategia del disarmo, come elemento di caratterizzazione politica. Un'Europa atomicamente disarmata non per vivere parassitariamente sotto l'ombrello altrui, accettando la subalternità, ma un'Europa disarmata come elemento di promozione di un processo generale di distensione e come condizione per recuperare risorse per un nuovo sviluppo in alternativa al liberismo Tatcheriano. Un'Europa che si ponga come interlocutore di quelle aree del mondo che pagano con la fame e con la morte lo spreco delle risorse per la folle e insensata corsa alla guerra.
Un ruolo autonomo dell'Europa, quindi, come terza forza economica in grado di dare risposta alle contraddizioni tra Nord e Sud.
Questo è il segnale che deve partire con impegni concreti dal nostro Paese e dal Consiglio regionale del Piemonte.
Cimentandoci su questo terreno, portando nella comunità l'esigenza di risposte di alto respiro, culturale e ideale ai problemi della pace e dello sviluppo del mondo, possiamo costruire le condizioni per una unità europea vera, una unità dei popoli in alternativa alla falsa unità che in questi anni si è vanamente tentato di costruire.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Concordo con moltissime delle cose che sono state dette fino ad ora.
Alla Giunta regionale, che condivide tutte le osservazioni e le proposte formulate, spetta ora il compito di verificare quanto è già stato attuato e di favorire, per quanto le è possibile, la realizzazione di ciò che è stato proposto.
Certo, l'affermazione, che già emerse nella lontana riunione di Parigi del 1976, che vide presenti tutte le Regioni d'Europa dall'Irlanda alla lontana Sicilia, e che è recentemente emersa durante il corso degli Stati Generali, di vedere cioè un'Europa più ampia non è unanime. Esistono ancora, infatti, delle forti resistenze ad immaginare una Europa che non sia solo centrale, ma che abbia caratteristiche mediterranee. Si tratta ora di vedere che cosa possiamo fare noi di concreto per favorire la realizzazione di questo progetto; diversamente tutte queste riunioni questi dibattiti, che ultimamente si sono sviluppati in modo così ampio rischierebbero da una parte, di restare lettera morta, dall'altra di non essere capiti a fondo.
In primo luogo è necessario considerare che non esiste una grossa cultura europea. Il cittadino, forse per carenza da parte degli organi di informazione, ha un concetto vago, non riesce ancora a capire esattamente che cosa sia necessario per realizzare questa Europa, che noi chiamiamo delle Regioni, dei poteri locali, caratterizzata da forme di governo a livello locale così differenti. Si pensi, ad esempio, alle contee in Inghilterra o in Irlanda ai lander tedeschi, forma costituzionale diversa ma che rispecchia, pur sempre, un modello regionale, oppure ancora alle Regioni o ai Consigli regionali francesi.
E' certo che questa Europa non è più l'Europa forte dei gruppi, dei cannoni, che si scontrò sulla Marnas e Dau provocando danni enormi e tante vittime. E' già un grosso risultato se pensiamo che quelle stesse nazioni al centro dell'Europa che fino a ieri si sono scannate oggi, se pur con difficoltà, hanno ritrovato un terreno comune.
Che cosa dobbiamo quindi fare noi ora per favorire il raggiungimento di questa integrazione sostanziale, politica, sociale ed economica a livello europeo? Certo il compito non è facile. Quando si va a discutere di queste questioni alla Comunità si incontrano non poche difficoltà. Si pensi ad esempio alle resistenze enormi derivanti dal forte concetto nazionalista ancora presente che si riscontrano quando si parla di unità monetaria intendendosi con questa espressione economia comune, moneta comune, oppure di una integrazione monetaria.
Se poi osserviamo il problema dal punto di vista economico è facile notare come in Europa siano presenti i vari tipi di economia, basti osservare infatti l'impianto industriale esistente in Germania, quello delle materie prime della Francia o della Germania ed infine gli impianti siderurgici o anche tecnici di altri paesi cui si contrappongono economie più deboli che, pur cercandolo, non ricevono il necessario aiuto da quelle più forti. Se è vero infatti che il taglio sulla siderurgia è stato generale, non bisogna dimenticare che a pagarlo sono stati principalmente quei popoli, come il nostro, che alla siderurgia si erano rivolti da poco.
Non bisogna poi, sottovalutare che contemporaneamente all'Europa sono sorti sotto l'aspetto commerciale e della produzione altri due poli: il Giappone e gli Stati Uniti. Cosa significa ciò? Essenzialmente vuol dire che attualmente le Nazioni che appartengono alla Comunità europea caratterizzata da diverse identità si trovano a dialogare singolarmente senza riuscire a formulare un programma comune, con Stati Uniti e Giappone.
E' sintomatico osservare come gli accordi di cooperazione che vengono attualmente fatti su quelle che si suole considerare le proiezioni future ossia sulla telematica l'informativa, le scienze nuove dell'informazione sia da gruppi operanti nel settore pubblico che da privati, abbiano una portata extraeuropea.
In questo contesto, allora, se vogliamo che si esprima quella che diciamo è l'Europa dei popoli, bisogna che le singole unità istituzionali che vi sono ricondotte, cioè i Comuni, i poteri locali, le Regioni, le Province, abbiano questo concetto di spinta e di unità e per quanto mi compete rispetto alla Giunta, parlo ora come Consigliere, ma evidentemente qualche proposta la posso formulare, noi saremo presenti in ogni istanza e in ogni momento in cui si rifletta questa opinione che voi oggi comunemente avete espresso, e che abbiamo ritrovato anche nelle giornate dei comuni d'Europa da Berlino a Parigi, dove gli stessi inglesi, lo stesso sindaco di Manchester hanno voluto esprimere un concetto superante la politica che il primo Ministro del loro Paese a volte nega. Vuol dire che i Comuni, le Province e le Regioni sono in grado di esprimere tutto questo. Occorre che diamo però una prospettiva. Occorre che il Consiglio e la Giunta si facciano parte all'interno della Comunità regionale, per avviare questo processo di informazione, perché i quasi 5 milioni di piemontesi nel momento in cui si parla dell'Europa, si parla di questi problemi, si identificano le varie istituzioni europee, sappiano e conoscano tutto questo.
Se non riusciremo ad evitare che si arrivi alle elezioni del 17 giugno con una disinformazione ed un'apatia generale rischieremo che ciascuno esprima ancora un voto non nel senso di premiare quei movimenti che più hanno fatto per l'Europa, perché le elezioni sono europee, ma nell'ambito di una propria identità politica.
Con questo non avremmo fatto nessun movimento, avremmo ricondotto sempre a quello che è il concetto dei partiti che esistono e della filiazione che ciascuno ha o per ideologia o per militanza senza superare queste barriere. Andremo in quella direzione informando quanto più è possibile e facendo il nostro dovere.



PRESIDENTE

La seduta è sospesa. Riprenderà alle ore 15.
La VI Commissione è convocata alle ore 14.30 per gli adempimenti necessari.
I Consiglieri iscritti a parlare nella seduta pomeridiana sono i Consiglieri Marchini e Picco.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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