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Dettaglio seduta n.24 del 27/11/80 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni

Dibattito sul programma della Giunta regionale per il quinquennio 1980-1985 (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prosegue il dibattito sul programma della Giunta regionale per il quinquennio 1980-1985.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Petrini. Ne ha facoltà.



PETRINI Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, indubbiamente diventa alquanto problematico iniziare la discussione sul programma di un quinquennio in assenza quasi totale della Giunta che vorrebbe un confronto serio, dopo quasi sei mesi dal rinnovo del Consiglio regionale.
Diventa problematico perché il discorso dei tempi risulta assai rilevante nel momento in cui l'intero tema della programmazione regionale ha un senso solo se legato a scadenze temporali ben precise.
Perciò dobbiamo veramente chiederci: che significa oggi discutere un programma? Significa affrontare l'anteprima di un piano di sviluppo che, per una legge che noi stessi ci siamo dati, avrebbe dovuto essere presentato entro quattro mesi dall'elezione della Giunta? Oppure rappresenta l'enunciazione di principi e di buone intenzioni per un nuovo "salto di qualità", che sbandierato cinque anni or sono, è rimasto in larga parte nei propositi? O peggio, questo programma è la vernice, la facciata di un accordo politico, avviato contro l'indicazione degli elettori a luglio e perfezionatosi, sempre contrariamente al responso delle urne? Questa "unione degli sconfitti" - l'eccezione è il P.S.I., progredito lievemente - produce oggi al Consiglio regionale un documento che dovrebbe migliorare lo stato di cose nella nostra Regione alla luce del precedente insuccesso.
Appare ovvio allora dire che si dovrà essere convincenti non solo in Consiglio regionale, dove c'è una maggioranza precostituita, ma anche di fronte alla gente, che nei voti ha già bocciato il primo quinquennio di Giunta di sinistra.
Pur con tale premessa, occorre, utilizzando un criterio di opposizione già seguito nel precedente quinquennio, cercare nel programma esposto gli spunti, i motivi per costruire qualcosa di positivo, sia pure sotto l'angolazione critica.
Avvertiamo infatti nel documento una disponibilità, che speriamo non solo formale, ad un confronto con le opposizioni che arricchisca i contenuti del programma.
Bene, la nostra disponibilità "al meglio" non può mancare così come non è mancata in tutte le fasi salienti della seconda legislatura.
Però vorremmo si andasse al concreto: come realizzare questi contributi migliorativi? Con un confronto serio, approfondito, prolungato, nelle sedi che si riterranno opportune ed innanzitutto in Consiglio regionale: questo è l'unico modo.
Se tutto invece si ridurrà al pur importante dibattito odierno, non illudiamoci che i frutti di questo arricchimento ci possano essere.
A meno che una ricchezza già ci sia, e sia quella delle buone intenzioni, che però lasciano il campo al crudo responso dei numeri allorché la minoranza, in nome di quell'apporto costruttivo che intende dare ed anche per tutelarlo, ha avanzato una richiesta di presenza istituzionale non nuova né avventata né improponibile. Ma il rifiuto sinora opposto sembra esprimere tutt'altro linguaggio. Ed anche questo sarà un banco di prova della bontà delle intenzioni.
In attesa dunque di poter approfondire meglio i contenuti del programma, sarà opportuno affrontarne alcuni aspetti. Infatti con il dibattito sul programma della nuova Giunta entriamo nel vivo della terza legislatura regionale.
La prima legislatura è stata la stagione di un grande entusiasmo e di una diffusa speranza, ricca di tensioni morali e di ideali, perché c'era in tutti il senso che si andava a costruire un nuovo ordinamento, a riformare tutta la nostra vita pubblica, dallo Stato alle autonomie.
La seconda legislatura regionale, generalmente, è stata un lungo periodo di passaggio, quasi di risistemazione dell'istituto regionale.
Per quanto ci riguarda, posta di fronte a precise scelte di contenuto la Giunta della svolta del giugno 1975 ha troppo a lungo indugiato nelle impostazioni; lo stesso piano di sviluppo regionale è venuto solo a metà del 1977, così che i suoi effetti la comunità regionale quasi non li ha avvertiti e la stessa vicenda dei piani comprensoriali, che per il Piemonte poteva essere un momento qualificante, è ancora confinata nei documenti di studio, con sbocchi ancora da precisare.
Siamo alla terza legislatura e con tutta franchezza dobbiamo dire che essa sarà decisiva per la credibilità dell'Ente Regione che qui tutti rappresentiamo. Saranno le nostre scelte e i nostri comportamenti in questa legislatura a qualificare l'Ente nei termini voluti dalla Costituzione, a farci compiere un vero salto di qualità che renda l'Ente effettivo ed autorevole coordinatore di tutta la vita pubblica regionale, legislatore e non burocratico amministratore della gestione quotidiana, in altre parole programmatore, insieme agli altri soggetti della vita regionale, del domani del nostro Piemonte.
Il dibattito sul programma della nuova Giunta poteva essere una prima importante occasione per dimostrare che si vuole imboccare questa nuova strada di rilancio dell'Ente. Ma lo stesso modo con cui si è giunti al dibattito comincia a sollevare in noi qualche non secondaria riserva. E qui riprendo un motivo di perplessità perché, se si voleva veramente il contributo del Consiglio e delle forze tutte del Consiglio, non si sono impegnate, con dibattiti di settore, le Commissioni? Eppure proprio questa procedura era stata richiesta in diverse Commissioni.
Forse si cercherà di rispondere, ricordandoci le riunioni che la Giunta ha organizzato nelle diverse province. Si è scritto, con riferimento a queste "passerelle" di personaggi regionali e locali, che "la Regione per programmare deve conoscere il Piemonte".
Giusto, anche se sono ormai anni e anni che si spendono nel conoscere quando sarebbe tempo di deliberare. Ad ogni buon conto, quale legame c'è tra le "audizioni" fatte in provincia e i contenuti del documento programmatico della Giunta? Quali risposte concrete si danno ai problemi sollevati, ad esempio, a Vercelli dai rappresentanti degli Enti locali del Biellese? I giornali hanno scritto che la Regione ha sentito il lamento di Novara. Ma quali risposte ci sono in concreto sui problemi industriali dell'Alto Novarese? Mi auguro che il dibattito e le risposte degli Assessori possano chiarire anche questi particolari punti, al di là delle generali indicazioni del documento programmatico.
Si può comunque partire dal documento, per dibattere nel dettaglio e magari per ricercare e rinvenire quei "fattori unificanti" di impegno, che Carlo Casalegno in un lucido articolo sulla "Stampa" del gennaio 1975 (si intitolava "Polemiche sul Piemonte") si era sforzato di indicare e di suggerirci, tra l'altro bene centrando tre temi veramente basilari, come il riassetto del territorio nei rapporti area metropolitana - Regione, il rilancio di un'agricoltura aggiornata, il risanamento della montagna, in parte sotto l'aspetto agricolo - pastorale - artigianale, in parte nell'attività turistica.
Per noi, questi avvertimenti, di un grande giornalista stroncato da una barbara mano terrorista giusto tre anni fa, devono essere come un prezioso testamento. Ma la commozione del ricordo non ci impedisce di tornare alla critica. Nel documento della Giunta c'è un costante, pedissequo richiamo ad una continuità con il quinquennio passato, con le precedenti impostazioni programmatiche.
Più opportuno, per diventare credibili su questo punto, sarebbe stato un preciso capitolo del documento di programma, dove, senza annegarci in un mare di cifre minute, ci venisse detto, dei grandi obiettivi del piano regionale del 1977, quanto era stato realizzato, quale è il preciso stato di attuazione dei programmi e dei progetti del programma pluriennale magari quali programmi vanno abbandonati o sostanzialmente rettificati. Ma forse un tale sforzo avrebbe evidenziato troppi ritardi e mancate attuazioni. Ed allora si è preferito un generico richiamo ad una continuità di maniera, evitando anche di sfogliare, in questa occasione, le chiare pagine del "quaderno della programmazione", dedicato ad una puntuale "analisi della spesa regionale per settori di intervento dal 1972 al 1979".
Troppi sono i comparti dove la capacità di spesa è ridotta a modeste dimensioni (pure attraverso i progressi degli anni più recenti).
I ritardi sono anche conseguenza del burocratizzarsi dell'Ente Regione del suo rinchiudersi in Ente ancora largamente di gestione, senza alcuna pratica della delega e senza, finora, alcun rapporto nuovo con le Province che cerchi di anticipare l'organica collaborazione che ci sarà presto allorché saremo giunti, con legge di riforma nazionale, all'Ente intermedio.
Gli incontri in provincia ai quali già mi sono riferito, hanno spesso toccato il tema della riforma del governo locale e, in qualche particolare realtà (in provincia di Vercelli, ad esempio), si è entrati decisamente nel merito delle nuove Province da realizzare nella nostra Regione.
Anche in questa sede va rivolto al Governo e al Parlamento un deciso monito a fare bene e presto per quanto concerne una riforma (finanziaria e istituzionale allo stesso tempo) che non si può proprio più rinviare. Ci sono dei nodi da sciogliere che non possono più attendere, pena la stessa perdita di incisività dell'azione dell'Ente Regione.
Nella miriade di piccoli Comuni che caratterizzano il nostro Piemonte c'è il rischio che il senso di impotenza finanziaria ed operativa di tante situazioni diventi sfiducia generalizzata.
La Provincia, com'è attualmente, non si può poi tenere più a lungo in frigorifero e con ulteriore perdita di competenze (si veda, per oggi, il settore sanitario), mentre il quasi loro contraltare costituito dai Comprensori resta nel vago e nel velleitario, quando si vuol andare oltre la funzione di longa manus della Regione.
Il Vicepresidente Sanlorenzo parlando sul programma dell'ultima Giunta di centro-sinistra nel gennaio 1974 (sei anni fa) aveva occasione di dire: "Scegliamo coraggiosamente la strada di operare il decentramento e la delega agli Enti locali dando ad essi tutti gli strumenti necessari, ma dicendo chiaramente e concretamente ciò che vogliamo fare o delegare".
Siamo perfettamente d'accordo. Ed è ciò - dopo tante parole - che desideriamo si realizzi al più presto.
Non basta quindi richiedere l'intervento al Governo nazionale - come richiedeva il Presidente Enrietti - bisogna dire con chiarezza ciò che noi intendiamo concretamente fare.
Le premesse di approfondimento per procedere celermente ci sono. A livello nazionale c'è una bozza di nuova legge delle autonomie locali che deve andare presto in porto. E con la nuova Provincia, Ente particolarmente di programmazione e con funzioni connesse direttamente alla programmazione potremo superare la fase di stallo in cui Province e Comprensori da noi si trovano.
Parallelamente si dovrà affrontare il problema delle nuove Province non molte, che la nostra Regione dovrà avere. Ma qui una lunga serie di studi lungo l'arco di due decenni ormai, lo stesso emergere localmente di nuove "autonomie" di fatto, dovrebbe soccorrerci, in un compito che quasi certamente toccherà a noi e non a Roma, come è anche corretto.
Con questo dibattito dovrebbe aprirsi per il Piemonte il terzo decennio della programmazione. Il primo fu caratterizzato dalle iniziative delle Province piemontesi di un primo abbozzo di piano di sviluppo, dagli studi dell'Ires, dallo schema del CRPE, il secondo decennio fu segnato dall'avvio dell'esperienza programmatoria della nostra Regione e dal piano di sviluppo del 1977. Però è stato anche detto, bene secondo me, che abbiamo alle spalle soprattutto venti anni di studi e di impostazioni, senza che la programmazione sia diventata un vissuto e creduto metodo di governo. Questa volta, entrando nel terzo decennio della programmazione, non basterà redigere un documento di piano, ma bisognerà veramente avviare dei sistematici e coerenti comportamenti atti a concretare una programmazione come processo, come quotidiana prassi dell'operare di tutta l'organizzazione regionale, compresi i nostri cosiddetti enti strumentali.
Ed allora dalle scelte di piano regionale dovranno discendere i bilanci regionali, dei coerenti comportamenti urbanistici, la capacità di coordinare e quindi anche di guidare l'azione degli altri enti che con noi costituiscono una grande comunità regionale come è il Piemonte.
Avviamo i nostri lavori di piano proprio mentre il Governo sta entrando nei dettagli del piano nazionale a medio termine 1981-1983.
Anche dalla lettura dell'indice di questo piano ci sembra necessario trovare subito degli stretti raccordi tanto con il piano nei suoi termini globali quanto, più ancora, con i diversi piani di settore che compongono il piano stesso. E' di certo anche questa una via per diventare, come Regioni, dei soggetti primari del piano nazionale.
Un cenno vorrei dedicare anche all'apertura europea del documento programmatico della nuova Giunta regionale. La posizione nodale del Piemonte a scala europea rendeva inevitabile tale posizione, in passato rimasta in ombra forse per il timore di accuse di antimeridionalismo.
Ma la realtà è che se il Piemonte gioca ruoli più attivi di cerniera tra Italia e Francia, tra l'arco portuale ligure e il Mediterraneo e il centro Europa, gioca questi ruoli per tutto il Paese e quindi anche per il nostro Mezzogiorno. Prendiamo dunque atto con piacere della correzione di rotta, ma ne attendiamo gli atti conseguenti, come, ad esempio, interventi nuovi per quanto riguarda i collegamenti con i porti, la viabilità di accesso al Frejus, una nuova linea che unisca la provincia di Cuneo e la Francia.
Obiettivo fondamentale della politica di programmazione regionale è il riequilibrio in senso più pieno, cioè nel senso di tendere ad offrire a tutti i piemontesi, ovunque si trovino sul territorio, eguali possibilità di lavoro e di vivere civile. Ma se questo è un obiettivo tendenziale vanno pure avviati processi che correggano distorsioni, rilancino zone periferiche o in abbandono, mettano ordine nell'area metropolitana torinese.
Abbiamo detto mettere in ordine l'area e non, come si diceva in passato, ridurre il peso dell'area, perché la crisi colpisce anche Torino e cintura. Piuttosto si tratta di qualificare quest'area metropolitana, nel terziario avanzato, nel dare a Torino un ruolo europeo. Ma detto ciò, il discorso del riequilibrio deve guardare subito alla periferia del Piemonte e, naturalmente, non a senso unico, come sembra essere il caso delle aree attrezzate artigiane, guarda caso, tutte o quasi concentrate in provincia di Alessandria. D'accordo, ciò è forse in parte avvenuto perché a livello locale alessandrino ci si è mossi attivamente prima. Ma, se si vuole riequilibrare con obiettività, occorre anche promuovere e accelerare le procedure pure in altre zone, tutte quelle indicate, ad esempio, nel testo (non nella tabella) della relazione della Giunta illustrativa della legge regionale 14 novembre 1979, n. 64.
Nel documento programmatico della Giunta regionale, sempre in termini di riequilibrio, si possono ricordare i programmi e progetti di rilievo comunitario europeo che riguardano il Verbano - Cusio - Ossola, la provincia di Cuneo, la provincia di Alessandria, l'area torinese stessa oltre al piano autobus. L'approccio è interessante, ma bisogna allargare il campo di applicazione di questi interventi, interessando, ad esempio, in forma massiccia e determinante, certe aree montane e pedemontane, bacini critici come quello del Sesia, aree che necessitano di qualificazioni produttive, aree che alla loro autonoma vitalità chiedono che si aggiunga la considerazione del sostegno pubblico per stabilizzare positivamente lo spontaneismo. Occorre precisare, dunque, un disegno di riequilibrio articolato, che interessi le diverse aree della regione, specie quelle oggi più deboli. E a questo disegno si deve arrivare guardando alle indicazioni dei piani comprensoriali, selezionando e verificando le proposte nate dal dibattito dal basso. I Comprensori non avranno fatto un lavoro inutile solo se vedranno che le loro proposte, i loro programmi saranno diventati anche una scelta della Regione e del nuovo piano regionale.
Al riequilibrio occorrono le azioni di stimolo economico (essenziali sono così le aree industriali ed artigiane attrezzate, la formazione l'assistenza tecnica alle imprese medio-piccole e la diffusione dell'innovazione, ecc.) come pure un disegno di assetto territoriale che tenda a realizzare un coerente sistema di vie di comunicazione e di trasporti. Ho già avuto modo di trattare questo tema in maniera diffusa tra l'altro rispondendo ad un'indagine su "Trasporti e sviluppo - Regione Piemonte, un piano per gli anni '80", raccolta di recente in volume. Non è qui il caso quindi di tornare sulla programmazione dei trasporti "per convegni" o sui ritardi, causati o tollerati, che ci fanno oggi ritrovare con un traforo di primaria importanza, come il Frejus, gravemente limitato dalle vie di accesso proprio per quel traffico merci che dovrebbe essere alla base di future più ampie integrazioni del Piemonte con la Francia e con l'Europa.
Ma stiamo alle indicazioni e ai propositi del documento programmatico della Giunta regionale. Le enunciazioni in materia restano alquanto nel generico, sulle scelte di grandi assi (quello sud-nord dai porti liguri all'Alto Novarese e al Sempione, la pedemontana, l'asse da Cuneo ad Asti, a Casale e quindi in direzione di Milano, la Torino-Savona) intorno ai quali dopo anni di comuni richieste e di sollecitazioni, è difficile dissentire.
E noi non dissentiamo, anzi dichiariamo che sono obiettivi per i quali ci batteremo anche noi, qui, in periferia ed anche presso il Governo nazionale. Tuttavia diciamo che sarebbe opportuno essere più precisi e dettagliati e riprendere magari le cinque priorità indicate nell'ordine del giorno sulla viabilità piemontese approvato dal Consiglio regionale nell'ottobre dello scorso anno a conclusione del dibattito sul "piano regionale dei trasporti".
Qui mi limito solo a sottolineare l'urgenza di decisioni operative per quanto riguarda la prosecuzione dell'autostrada dei trafori oltre Vercelli e il completamento del tracciato da Gravellona al Sempione all'interno del piano Anas e a chiedere che cosa in concreto si è fatto circa l'intenzione di "definire i progetti per la realizzazione e il potenziamento del collegamento pedemontano (per ora articolato, per il Piemonte nord dall'autostrada Ivrea Aosta alla progettata Voltri - Sempione attraverso Biella - Cossato - Ghemme)".
Nel necessario ed urgente passaggio dal piano regionale dei trasporti alle scelte attuative, vorrei comunque qui porre l'accento, anche se solo per memoria, sul trasporto su gomma (per sollecitare un più rapido e snello decentramento di funzioni ai consorzi di delega), sul piano autobus (sia per migliorare la qualità del trasporto su gomma sia a fini di utilizzo della capacità produttiva del ramo costruzione mezzi di trasporto dell'industria), sui servizi di trasporto che sono rivolti alla movimentazione delle merci e quindi a fini di sviluppo o rilancio economico, sulla rete aeroportuale (che ha sì in Caselle l'aeroporto per eccellenza della regione, ma che deve in qualche modo rilanciare gli scali "minori" individuati dal piano regionale).
E' parte del discorso dell'assetto territoriale anche il tema della tutela dell'ambiente nel senso più ampio, che va dal corretto uso dei beni ambientali alla lotta contro gli inquinamenti, al problema delle acque alla sistemazione idrogeologica e forestale. Sono tutti campi in cui i due quinquenni passati hanno messo tanta carne al fuoco. E il documento programmatico della Giunta regionale tiene ovviamente conto di tutto ci forse perché si è, anche sui banchi della maggioranza, chiaramente convinti che i libri (anche quelli fantomatici, come il "piano delle risorse idriche in Piemonte") non bastano più. Non basta nemmeno più fare delle leggi regionali che recano il nome "piano" come titolo, se poi si accumulano ritardi, come per quanto riguarda i progettati consorzi per lo smaltimento dei rifiuti solidi e i vari piani di bacino previsti in tutte le aree critiche della regione.
Vorrei qui limitarmi a sollecitare un intervento organico e programmato in due particolari campi connessi al settore industriale. Il primo riguarda il piano di risanamento delle acque e gli impianti di depurazione dei quali le industrie devono dotarsi in tempi brevi.
I finanziamenti in materia devono fluire alle imprese con la celerità richiesta dall'urgenza di fronteggiare una scadenza che non può più scorrere nel tempo. L'altro campo riguarda lo smaltimento dei rifiuti solidi industriali. L'individuazione delle aree per discariche non pu trovare gli ostacoli e le lentezze già sperimentate quando il problema è stato affrontato relativamente ai rifiuti solidi urbani.
Mi sono qui limitato a due aspetti che toccano le imprese e quindi lo sviluppo economico della nostra regione.
Vorrei affrontare ancora il tema dell'energia che, nel nostro caso comporta anche il problema delle centrali termonucleari.
Il problema energetico è uno dei più grandi problemi che la nostra società ha di fronte già oggi, non domani. La sua soluzione condizionerà non solo il nostro sistema produttivo, ma tutto il nostro sistema di vita.
E' quindi bene affrontare questo problema senza demagogia, ma con grande senso di responsabilità. Almeno per quanto riguarda il dibattito regionale sulle centrali termonucleari e l'individuazione dei siti dove collocarle l'attuale maggioranza non si è proprio comportata in questi termini. Cito solo gli ondeggiamenti precedenti dei partiti della Giunta della seconda legislatura, filonucleari fino ad un paio d'anni fa, poi molto incerti se non contrari. Ed oggi la dichiarazione programmatica della nuova Giunta torna a più corrette impostazioni spero non solo a causa di una condizione ultimativa posta da una componente della nuova maggioranza ai fini del prossimo ingresso in Giunta.
Ma veniamo più direttamente al tema energetico. Nel giro di pochi anni saremo di fronte a gravi problemi di scarsità di energia, se non a periodi di black-out. Anche il Piemonte è una regione con un bilancio energetico in deficit, nonostante ci circondi una catena alpina che offre forti produzioni idroelettriche. Questa possibile penuria, se non adeguatamente affrontata, finirà per penalizzare lo stesso nostro sistema produttivo industriale.
Ma la risposta, pur non dovendo avere paura di dire sì anche al nucleare, deve essere articolata e aperta ad una gamma di interventi (e di comportamenti) alquanto diversificata. Diciamo allora che, andando nella direzione di taluni impostazioni del documento programmatico della Giunta in questo campo, si possono formulare le seguenti linee di azione per una politica dell'energia regionale: valorizzazione dello sfruttamento delle fonti alternative al petrolio (non solo carbone e acqua, ma anche energia solare ed energia biotermica) con conseguente incentivo alla ricerca applicata ulteriore sensibilizzazione sull'opportunità di contenimento dei consumi energetici inevitabilità di una scelta nucleare (coerente al piano energetico nazionale), adottando in proposito ogni precauzione atta ad inserire le costruende centrali in maniera non traumatica nel contesto sociale ed economico della nostra regione collegamento con le iniziative nazionali ed internazionali (soprattutto di marca CEE) intraprese allo scopo di risolvere globalmente il problema energetico necessità di individuare un momento, istituzionale o non, di coordinamento delle varie componenti interessate al problema predisposizione degli strumenti giuridici e legislativi che, nel quadro delle competenze assegnate alle Regioni, consentano una forma di programmazione di tutte le iniziative atte a fronteggiare i rischi di una nuova (imminente) crisi energetica ed a predisporre l'avvio del progetto nucleare.
E' il caso di aggiungere a questo quadro un cenno ad un'esigenza molto avvertita dal mondo della produzione. L'esigenza in questione in campo energetico è quella di ottenere che il sistema di distribuzione di gas naturale penetri più capillarmente in parecchie aree della nostra regione che oggi non sono ancora toccate da questa importante fonte energetica. E' stato tempo fa ricordato che il Piemonte è, con il Trentino, la regione che ha la minore disponibilità di gas naturale per addetto. Anche di recente nuove zone hanno fatto richiesta di avere questa fonte energetica a disposizione. La Regione può utilmente agevolarle, anche con interventi diretti, come già fatto in provincia di Cuneo.
La nostra Regione deve riprendere il lavoro con una politica di programmazione che dia unità e sintesi operativa alle diverse impostazioni formulate dai Comprensori nei loro piani socio-economici e territoriali, ma che veda anche tutta l'organizzazione regionale impegnata, in forme di stretto coordinamento forse fino ad oggi sconosciute, rispetto agli obiettivi programmatici che qui ci si propone. E' auspicabile che ci avvenga, come abbiamo già accennato, in stretto e continuo raccordo con il piano a medio termine che il Governo sta varando e coinvolgendo tutte le autonomie locali piemontesi intorno a comuni obiettivi.
Uno sforzo del genere è richiesto dall'urgenza e dalla gravità dei problemi, dalla crisi che tocca la nostra economia e ne minaccia le basi dalla stessa perdita di ruolo e di peso che il Piemonte rischia di accusare in forme piuttosto pesanti nei prossimi anni. E' comunque opportuno ricordare sempre che i nostri obiettivi di fondo troveranno un supporto strumentale e finanziario se diventeranno anche degli obiettivi del piano nazionale (la crisi Fiat non è solo un fatto piemontese e il suo superamento, con il piano auto, deve essere un obiettivo di politica nazionale di settore), così come, più immediatamente, gli obiettivi di diversi piani comprensoriali diventano perseguibili in concreto solo se diventano obiettivi di piano regionale.
Sul difficile momento economico e sociale attraversato dalla nostra Regione (e dal Paese nel complesso), questo Consiglio ha già avuto occasione di dibattere di recente e si è anche avuta una conclusione nell'ordine del giorno approvato (a maggioranza e con l'astensione anche del nostro Gruppo) il 9 ottobre scorso.
Non ritorno più sul tema. Ma solo mi limito ad affermare che dobbiamo affrontare la congiuntura in termini strutturali, se così si può dire, cioè non con aggiustamenti tampone, ma con una previsione di interventi che ci portino fuori dalla crisi in forma stabile, con più solidi equilibri, ma anche con il mantenimento di una società nella quale operi ancora il pluralismo e con esso il rispetto e l'utilizzo del ruolo delle diverse componenti e parti della nostra comunità regionale.
Avviandomi alla conclusione non posso comunque rinunciare ad un riferimento, sia pur breve, al quadro politico che fa da presupposto al dato di programma o leggi in esame. C'è infatti un rilievo che mi pare degno di nota, ed attiene al contributo, al peso, all'incidenza che il P.S.D.I. può aver avuto nei confronti dei due alleati, per così dire, più tradizionali, di questa maggioranza.
Lo dico, sia bene inteso, con il massimo rispetto per una forza politica che è assai più coerente a livello nazionale ed in taluni momenti politici locali di quanto non lo sia per la Regione Piemonte. Tuttavia come non ricordare il tono ed i contenuti della campagna elettorale del P.S.D.I.? Come non ricordare talune professioni ad uso di elettori il cui voto viene oggi utilizzato per scopi diametralmente opposti a quelli per cui era stato richiesto? Certo, sulla strada di Damasco possono esserci conversioni meno nobili di quella di Paolo di Tarso. Alcune cose vorremmo tuttavia ce le chiarissero i colleghi socialdemocratici su questioni di diretta, specifica rilevanza regionale.
Vale ancora - Presidente Benzi - la sua proposta del luglio 1979, di un baratto tra l'intera Giunta regionale più la Promark in cambio del Mammouth delle autorità sovietiche? Siamo certi, peraltro, che una diversa presenza del P.S.D.I. frenerà la valanga di leggi inutili denunciata nel febbraio 1980 e le raffiche di delibere e leggine lamentate nel maggio 1980 e che sicuramente quelli che tre mesi or sono erano "obiettivi mancati" d'ora in avanti diventeranno linee politiche di progresso democratico.
E' comunque sempre sorprendente assistere ad un siffatto scempio della coerenza politica. "Siamo sicuri che il 'no' alla Giunta di sinistra sarà netto: si vuole cambiare e si cambierà": così concludeva l'editoriale P.S.D.I. nello "Speciale elezioni".
Credo davvero che, per quanto la politica sia la scienza del possibile certe metamorfosi violino il limite del buon gusto, prima ancora di quello della coerenza dei comportamenti politici verso i principi cui ogni forza politica ispira la propria azione. Intendiamoci, al di là di questo stigmatizzare, visto che si è posta una questione morale, non è mia intenzione andare oltre nel giudizio di certe forze politiche che costituiscono la maggioranza ma che certamente operano scelte incoerenti attivando una politica "bifronte" a seconda della situazione politico geografica.
Attenderemo comunque i fatti concreti per emettere valutazioni precise incalzeremo con forza la Giunta laddove la riterremo carente, non lasceremo spazi alle omissioni e alla demagogia. Tutto senza deflettere da un principio che è animatore del nostro far politica e prescinde dalla posizione di maggioranza e minoranza in cui ci troviamo ad esprimerci: intendiamo infatti contribuire a creare per i cittadini, in Piemonte come in tutto il territorio nazionale, le condizioni per una migliore qualità di vita, non solo economica, ma civile e morale.
In questa direzione il nostro impegno non verrà mai a mancare. Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerutti.



CERUTTI Giuseppe

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, mi limiterò nel mio intervento ad evidenziare alcuni aspetti importanti che costituiscono il supporto essenziale del programma elaborato tra le forze politiche e la Giunta, con il contributo concreto che il nostro partito ha dato come forza attiva nella gestione dei problemi della Regione Piemonte.
Non tratterò in modo dettagliato la serie di proposte che la bozza di programma della Giunta contiene, perché ritengo che mancherei di rispetto all'intelligenza dei colleghi Consiglieri che hanno avuto in questi giorni la possibilità di leggersi tutto il documento. Ma ritengo che, siccome questo dibattito politico porterà ad una grossa presa di posizione che ci interessa da vicino, che è stata oggetto di attenzione da parte di altre forze politiche, sia mio dovere almeno sottolineare l'importanza che questo aspetto politico comporta nel quadro della nostra scelta e nella prospettiva amministrativa che la Regione Piemonte si appresta ad operare nei prossimi cinque anni.
Abbiamo letto sui giornali le diverse dichiarazioni politiche dei vari partiti; ci siamo sentiti dire: "tradimento di elettorato"; abbiamo sentito parlare di "squallidi episodi politici"; abbiamo sentito stamattina Petrini aggiungere altre considerazioni di questo tipo; consentitemi, invece, di esaminare in termini di corretta dialettica politica quello che è un evento che interessa la nostra Regione.
Il limitarsi a dire e vedere questi aspetti con un'ottica di altri tempi mi sembra anche vanificare un grosso sforzo di carattere politico in atto nel nostro Paese, che ha preso l'avvio da un'unità di intenti tra il nostro partito ed il Partito Socialista, a partire dal Governo nazionale ed ha ridato forza al Governo stesso consentendo una ripresa operativa di tutto il sistema politico italiano. Non sono io a dover precisare la situazione che da lunghi anni interessa il nostro Paese nella sua forma di "bipartitismo imperfetto" e che ha reso difficile qualsiasi rapporto istituzionale nel nostro Paese. Abbiamo letto autorevoli testate di giornali, e per la penna di autorevoli scrittori, che cosa significa tutto questo in un momento oltretutto particolarmente difficile delle istituzioni democratiche del nostro Paese, continuamente soggetto a tutta una problematica di scandali, di difficoltà di gestione, di impossibilità di dare un'autentica alternativa democratica alla guida del Paese.
Noi abbiamo sottolineato l'impossibilità di una collaborazione con il Partito Comunista nell'area di Governo; abbiamo più volte sottolineato gli aspetti che una collaborazione di questo genere può significare per i rapporti che l'Italia ha con la politica internazionale che il nostro Paese persegue. Così come abbiamo avuto anche il coraggio di sottolineare e precisare una nostra disponibilità, quando esistono particolari condizioni di collaborare con il Partito Comunista negli Enti locali.
Abbiamo voluto fare queste sottolineature durante una campagna elettorale che in Piemonte ha avuto dei toni di accesa polemica (Petrini ha rilevato alcuni aspetti) che aveva visto il P.S.D.I. all'opposizione con assoluta dignità, ritengo, durante cinque anni: non esisteva alcuna condizione di collaborazione in quel momento, non esisteva neanche una presenza politica determinante per giustificare un apporto concreto del P.S.D.I. a quell'Amministrazione.
Ma, dire tutto questo, ignorare i fatti concreti che si sono verificati (che sono stati oggetto di estrema attenzione da parte delle forze politiche che hanno visto i due partiti socialisti, seppure nella difficoltà di unione e di indirizzo unitario delle due anime), leggere sui giornali come certe forze politiche con apprensione hanno preso atto di questo grosso sforzo di proposta politica, fa pensare che in Italia è più viva la preoccupazione di conservare a tutti i costi un potere, che non quella di ricercare un'alternanza democratica che consenta a qualsiasi forza politica di "rigenerarsi nel proprio interno", di evitare certi condizionamenti che inevitabilmente una lunga gestione del potere pu portare.
Il fatto che non si vuol considerare la dichiarazione comune che i due partiti socialisti hanno dato con quest'azione, ed il grosso valore politico che hanno portato nel nostro Paese e la funzione che questa azione porta come iniziativa nella sinistra del Paese verso il mondo cattolico significa restare fermi di fronte ad un movimento politico che continuamente è in evoluzione e non può essere riportato a degli atti statici che nel passato hanno visto un'assoluta coerenza - oserei dire anche sudditanza - del nostro partito verso altre forze politiche.
Lo vediamo nel rapporto che si sta sviluppando fra il Partito Repubblicano ed il Partito Liberale, per una particolare condizione di tipo europeo che vede questi due partiti far parte della stessa area liberale europea; questo significa che azioni di questo genere non possono che essere valutate positivamente dalle forze politiche del nostro Paese proprio per quello che potrà rappresentare come componente di queste due forze nella fase di equilibrio fra i due blocchi P.C.I. e D.C. che tentano di egemonizzare l'intera politica italiana. Quando si è parlato di compromesso storico, le parti più a sinistra della D.C., per bocca di autorevoli personaggi, hanno parlato più volte nella dialettica interna di quel partito della necessità di poter aprire una possibilità di collaborazione con il P.C.I. Noi diciamo che questo sarebbe un grave pericolo perché non sarebbe un'alternanza amministrativa negli Enti locali ma si arriverebbe all'annullamento di una corretta gestione democratica del potere. Tutto questo noi lo leggiamo continuamente e crea scandalo il fatto che in Piemonte, con un grosso sforzo, i due partiti socialisti hanno dato ed intendono dare un loro contributo concreto alle Amministrazioni che in questo difficile momento, anche di tipo economico, sono chiamate a dare responsabilmente risposte concrete al Paese.
Ora, tutto questo era una premessa importante e determinante per una collaborazione socialdemocratica; qualcuno ha chiamato tatticismo il fatto che noi abbiamo votato un Presidente socialista nella Giunta, il quale in questo momento guida la Regione Piemonte. Noi abbiamo precisato che allora era un gesto doveroso da parte nostra nei confronti di una forza con la quale intendevamo iniziare un nuovo rapporto di proposizione politica. Non abbiamo votato la Giunta perché essa si presentava con un suo documento autonomo al quale noi non avevamo partecipato, né avevamo avuto la possibilità di esaminarlo: abbiamo detto che la condizione essenziale per noi era un attento esame ed una verifica delle condizioni politico programmatiche che dovevano essere alla base di, un discorso e di una possibilità operativa. Ci siamo anche chiesti se dovevamo dare un semplice appoggio esterno a questa maggioranza che andava a realizzare un programma comune (è un problema che ci siamo posti nel nostro partito).
La nostra scelta è stata quella di entrare direttamente ad assumersi responsabilità, perché le condizioni del paese non consentono tatticismi dall'esterno, dove la critica è facile, dove diventa facile anche scaricare su altri la responsabilità. Si tratta di una valutazione che il partito ha fatto, assumendosi in proprio le responsabilità che questa scelta comporta.
Noi ci auguriamo soltanto che le premesse programmatiche che la proposta della Giunta ha sottoposto oggi all'esame del Consiglio regionale, trovino effettiva realizzazione nei prossimi cinque anni di legislatura della Regione Piemonte.
E' fondamentale tutto questo, perché in caso contrario la presenza socialdemocratica diventa una presenza esclusivamente di tipo numerico, e noi a questo non siamo disposti a dare un contributo puramente aggregato nello sforzo che ciascuna forza politica riteniamo debba fare nella gestione della cosa pubblica. E' per questo che noi non abbiamo gridato "allo scandalo" se in Giunte tipo Forlì, Ravenna, Piacenza, altre forze intermedie hanno scelto, come noi ci siamo posti di scegliere nella Regione Piemonte, una collaborazione diretta con il Partito Comunista. Non abbiamo gridato "allo scandalo" perché le giustificazioni che quei partiti hanno addotto in quelle occasioni sono state di carattere programmatico ed allora noi ci chiediamo se questo discorso vale solo per certe forze e non ha un significato politico reale anche quando altre forze si impegnano direttamente alla gestione.
Noi abbiamo impostato, in stretta collaborazione con il Partito Socialista (e ringraziamo il Presidente di aver dato atto nella sua esposizione al nostro sforzo) un tentativo di centralità socialista che ha portato alle soluzioni ed alla predisposizione di questo programma.
Il contenuto non è solo formale: c'è un motivo di fondo che non pu sfuggire - ed ho visto che è stato anche sottolineato da rappresentanti della D.C. precedentemente intervenuti - la scelta di fondo che significa l'Europa. Ma, allora, signori Consiglieri, l'Europa significa una semplice enunciazione per poter dire: "la Regione Piemonte deve collaborare con l'Europa, deve essere integrata con le altre forze di mercato europee"? Qual è il ruolo che la Regione Piemonte si impegna a svolgere con questo programma nei confronti dell'Europa? Significa voler realizzare un nuovo modello di sviluppo, che consenta una profonda trasformazione di carattere economico e sociale, culturale che le grandi socialdemocrazie europee hanno già realizzato nei loro Paesi.
Ma, di fronte a questi temi, perché una forza socialdemocratica come la nostra non può aderire e partecipare a quest'obiettivo? Significa creare un'azione riformatrice, non disgiunta da principi di democrazia e di libertà che sono fondamentali del socialismo. Ora, di fronte a queste proposte concrete, si sviluppa di conseguenza tutta una scelta di indirizzi programmatici che non devono essere disgiunti da queste proposte di fondo che noi riteniamo fondamentali.
Avvicinarsi all'Europa significa creare le condizioni strutturali e politiche per poter avere un rapporto diretto con la Comunità Europea portando la voce del Piemonte e al fine di realizzare quelle caratteristiche di tipo europeo, a cui noi aspiriamo. Pertanto, i due aspetti fondamentali sottolineati nelle scelte della viabilità, quelli del Frejus e della Voltri-Sempione, hanno un preciso significato che può anche essere quello di un grosso riequilibrio territoriale per quanto riguarda una certa realizzazione di infrastruttura stradale, ma che sicuramente sono le condizioni essenziali per rendere più possibile un dialogo ed un rapporto con le genti dell'Europa.
Il giornalista Garbarino scriveva su "Piemonte" un articolo in cui definiva il Frejus il traforo dell'amicizia e della collaborazione tra i popoli: ritengo che questo sia un grosso significato al quale deve dare riscontro concreto e fattivo tutta un'azione che il Piemonte deve svolgere.
Ci sono anche degli impegni di carattere internazionale che abbiamo assunto come Governo e che dobbiamo assolutamente realizzare; la realtà del Frejus crea problemi anche drammatici a tutta la Valle di Susa; la Voltri Sempione, al di là di impegni che esistono nei confronti del Governo svizzero per realizzare un collegamento reciproco attraverso il Sempione rappresenta un'altra grossa realtà per la Regione Piemonte: non possiamo dimenticare che il 5 settembre si è aperto il traforo del Gottardo che non viene ad interessare direttamente il nostro territorio, ma assume un'importanza vitale se ad esso daremo delle risposte per quanto riguarda l'area piemontese.
Esso ci collega direttamente con il centro-Europa, ci permette di avere direttamente a disposizione, sotto l'aspetto turistico e commerciale, tutta una possibilità immediata di raccordo, che in questo momento avviene esclusivamente attraverso il Brennero, con un lungo percorso e difficoltà il Gottardo significa dare concreta attuazione alla Voltri-Sempione consentire quel minimo di aggancio alla Svizzera per offrire un'alternativa alla ormai intasata ed al limite del collasso, situazione che la viabilità del Varesotto e del Comasco presentano con l'apertura di questo traforo.
Sono condizioni che indubbiamente da sola la Regione Piemonte non pu realizzare, e qui si pone un discorso di stretto collegamento con il Governo centrale. E' in discussione da parecchi anni la proposta del Ministro Nicolazzi (che aveva formulato al suo primo ingresso al Ministero dei Lavori Pubblici) perché la modifica del 18 bis ha immediatamente creato nelle stesse forze politiche una serie di richieste che non riteniamo siano giustificate o, perlomeno, pari all'importanza che la Voltri-Sempione riveste. Noi abbiamo voluto sottolineare l'aspetto internazionale che questa strada ha, oltre all'aspetto esclusivamente regionale che pu ricoprire come sviluppo di carattere industriale ed economico.
E' successo che nella Commissione Industria alla Camera si sono immediatamente riversate una serie di richieste di autostrade dimenticate oppure accantonate provvisoriamente, cercando di barattare una realizzazione di strutture di questo genere con una serie di autostrade che noi riteniamo senz'altro utili per il Paese (come la Palermo - Messina o la Livorno - Civitavecchia) ma che non hanno un senso di assoluta priorità.
C'è il piano Anas (che prevedeva 1.000 miliardi, la Commissione ha chiesto di integrarlo a 1.500 miliardi) che coinvolge nel discorso l'intera nostra regione; in questo quadro, ovviamente, quando si va a parlare di collegamenti di tipo internazionale, il riferimento lo si fa soprattutto per portare il Mediterraneo più vicino all'Europa e, di conseguenza, viene il discorso dei porti liguri che giustifica indubbiamente una serie di richieste sulla grande viabilità Anas. Di qui, una quantità di proposte che verranno elaborate nel contesto della programmazione regionale: noi riteniamo assolutamente importanti queste cose, ma dobbiamo anche porci la domanda se è necessario il raddoppio della Torino-Savona, quale significato dobbiamo dare a questa struttura, se varrà la pena declassificarla per renderla come struttura di grande comunicazione, al di là dell'infrastruttura autostradale, compensandola con interventi di rilievo sulle altre strutture. Sono opere che richiedono 100 e più miliardi; quindi ritengo che siano superflui determinati interventi minori che modificano alcune strutture; tutto va finalizzato a delle scelte di carattere politico, precise, che la Regione si deve dare. Così come non possiamo, in una tematica che riguarda viabilità e trasporti, dimenticare per esempio la possibilità di creare un consorzio che consenta di gestire le autostrade piemontesi. Per quanto potrebbero essere utilizzate queste strutture al fine di evitare una dispersione ulteriore di denaro: infatti, strutture come la tangenziale di Torino, come quella di Casale, come quella di Ivrea e di Alessandria, possono costituire grossi svincoli alternativi alle grosse circonvallazioni, le quali richiederebbero un grosso impiego di denaro distogliendoci da altre scelte prioritarie.
Quando si parla di viabilità e di trasporti non si può dimenticare il problema delle ferrovie. I 12 mila miliardi che il piano delle ferrovie prevede nella ristrutturazione del settore, rischiano di diventare enormemente svalutati se non riusciamo a dare una concreta attuazione di proposta a quello che doveva rappresentare l'intervento. Si pone seriamente un problema di modificare la struttura delle FF.SS., se vogliamo che anche nei confronti dell'estero essa rappresenti qualcosa di valido.
Sappiamo che in tutti gli Stati europei la ferrovia costituisce la spina portante di tutto il sistema di traffico, soprattutto di merci: quelle merci, quando arrivano nel territorio italiano, non si sa più dove vanno, né con quali ritardi vengono consegnate. Riguardo alla politica dei porti liguri, quali garanzie riusciamo a dare ai Paesi dell'Europa con una struttura così fatiscente? Qui si pone il discorso del centro intermodale di Orbassano, del centro merci e dell'interporto di Novara; un altro discorso, oltre all'ammodernamento di queste infrastrutture, si porrà quanto prima per la scelta che lo Stato svizzero sta per fare.
Si parla della realizzazione di un secondo traforo del Gottardo, il che significa dover incanalare una parte del traffico su rotaia o verso la Lombardia o verso possibilità alternative che il Piemonte può dare utilizzando appieno le ferrovie nord che richiedono ammodernamento, ma che avrebbero un significato di carattere politico se tutto questo potesse essere visto in un contesto molto più ampio.
Certamente, in questo discorso sarà importante il rapporto che la Regione Piemonte riuscirà a realizzare con il Governo centrale, così come nell'impegno che ci poniamo e che i colleghi hanno più volte sottolineato un rapporto diverso che la Regione intende avere con gli Enti locali.
Non è una semplice enunciazione, se si vuole realizzare quel riequilibrio territoriale per dare avvio al problema economico che investe la Regione Piemonte. Quando parliamo per la prima volta di un rapporto diverso fra Comprensori e Provincia, vogliamo evidenziare la volontà di creare in anticipo - rispetto ad una legge che stenta da anni a dare un'indicazione precisa di questo ente intermedio fra Regione e Comune - la possibilità di una risposta concreta alla necessità assoluta di trasferire una serie di deleghe che la Regione deve dare per utilizzare tutto il processo produttivo che i Comuni, la Provincia, i Comprensori possono offrire come contributo allo sforzo che la Regione si impegna a dare con questa indicazione.
Il poter unire questi sforzi di programmazione comprensoriale con quelli della Provincia, significa trasferire concretamente le indicazioni che i Comuni vanno predisponendo nell'elaborazione dei loro piani e soprattutto, da parte della Regione, l'impegno di creare condizioni di realizzazione di tempi tecnici immediati per dare consistenza a quelle proposte che riguardano opere e strutture essenziali per i nostri Comuni.
Non si tratta di mantenere una "lunga mano" da parte della Regione sui Comuni o sui Comprensori: è inevitabile, ritengo sia anche corretto, poter confrontare, guidare, dare indicazioni, altrimenti si creerebbe il caos se lasciassimo, a tutti gli enti, la possibilità di proporre, nel loro interno, un loro metodo di sviluppo, senza che questo rientri nell'indicazione generale che la Regione intende perseguire con il discorso del riequilibrio territoriale. Da qui inizia il discorso concreto di attuazione della legge 56, modificata con la legge 50, consegnando alla periferia e non più accentrando in Regione, l'approvazione degli strumenti urbanistici relativi a Comuni fino ad una certa soglia, dando così loro la possibilità di abbreviare i tempi che, invece, trascinerebbero per anni la predisposizione di strumenti urbanistici, indispensabili per una corretta gestione del territorio e per una corretta salvaguardia di beni agricoli e naturali. In questo sforzo di riequilibrio territoriale va vista la proposta che viene fatta nel settore dell'industria, dell'energia dell'agricoltura, qualificando maggiormente tutte queste vocazioni che le nostre singole Province hanno nei vari settori.
Certamente, non si è parlato del tema della grossa industria, ma voi mi insegnate che non è neanche competenza regionale affrontare temi che riguardano la grossa industria, mentre spetta alla Regione un ruolo di indirizzo e di guida verso la piccola industria, l'artigianato, la riqualificazione, l'alternativa alla monocultura, che si sono dimostrate durante le crisi che si sono succedute, al di là dell'indotto Fiat strutture altamente valide nell'economia del nostro Paese.
Erano questi i temi che desideravo sottolineare, perché l'aspetto puramente politico verrà trattato dal mio Capogruppo.
Ritenevo dare, con ciò, un contributo alla proposta operativa nei confronti di un indirizzo che per scelta politica si è voluto dare. Quella del Piemonte, può e deve essere una crescita in grado di dare un contributo a tutto il nostro Paese e non limitato ad un egoistico sviluppo solo della nostra regione. Sappiamo, però, che per poter utilizzare delle risorse occorre produrle, in caso contrario si rischia di cavalcare la tigre della svalutazione, dell'indebitamento; si rischia di portare il Paese alle soglie del Terzo Mondo, dei Paesi sottosviluppati.
Questo, ritengo, sia doveroso sottolineare. Mi sono domandato, se per gli impegni che vengono richiesti, di stretta collaborazione al governo questa prospettiva programmatica ha ancora una sua validità, di fronte alla sciagura immane che ha colpito il nostro Paese.
Se gli obiettivi e gli indirizzi sono quelli che ci siamo posti ritengo che ci sia la validità soprattutto per certe scelte, se vogliamo che il Piemonte dia un suo contributo, non alla ricostruzione del Mezzogiorno, ma alla costruzione del Mezzogiorno: mi auguro che il Governo non faccia una politica di tipo assistenziale, ma che da quelle macerie possa far sorgere un Paese ed una Nazione veramente degna di essere tale.



PRESIDENTE

La parola alla signora Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questo primo intervento dei repubblicani sul programma di legislatura presentato dalla Giunta, non pu prescindere da alcune considerazioni sulla situazione dello scenario politico - istituzionale del nostro Paese. Credo che non possa nemmeno prescindere dal dramma che ha colpito il nostro Paese con il terremoto e c'è, anzi, da chiedersi se le nostre linee programmatiche non debbano essere influenzate, proprio dalle decisioni che lo Stato, nella sua intierezza, dovrà prendere per ricostruire quella parte di Italia che è andata distrutta e di cui, poco fa, parlava molto opportunamente, il collega Cerutti.
Lo scandalismo indiscriminato che sta intaccando tutte le istituzioni e tutti i suoi rappresentanti, se da un lato impone chiarezza come risposta all'ansia di moralità che cresce nel Paese, dall'altro contribuisce, nel suo polverone, ad aumentare quel discredito che già tanti danni ha provocato nel rapporto di fiducia Stato - cittadini che dovrebbe essere invece, alla base della convivenza e della democrazia di un Paese civile.
In una situazione tanto confusa e tanto aggravata la classe politica nella sua totalità deve saper dare prova di esemplare chiarezza e deve trarre conseguenze severe oltre che i necessari ammonimenti.
Va recuperato da parte di tutti quel rigore morale che deve essere soprattutto di coloro che avvicinano la cosa pubblica e che su di essa intessono le decisioni politiche ed amministrative che influenzeranno la vita dei cittadini.
E questo rigore morale deve essere, oggi più che mai, il filo conduttore sul quale si informa anche la predisposizione di un programma di legislatura e questo stesso rigore morale è quello che noi repubblicani abbiamo usato nel porci di fronte alle analisi ed ai problemi che la Giunta regionale, oggi, ha presentato.
Noi crediamo, infatti, che non sia sufficiente sollevare una propagandata campagna sulla questione morale, come ha fatto il P.S.I. in competizione con la D.C., oppure difendere o attribuire, come fa il P.L.I.
traumaturgiche risoluzioni al comitato di difesa del cittadino.
Occorre ben altro perché la classe politica possa alzare la testa alla luce del sole, senza insabbiamenti e soprattutto fugare i pesanti sospetti sulla purezza morale dei suoi rappresentanti.
Come repubblicani non abbiamo atteso l'ultima ora per denunciare i danni ed i pericoli dell'intreccio oscuro fra politica e finanza. Già al tempo dell'affare. Caltagirone ci eravamo battuti contro il finanziamento surrettizio ai partiti ed alle correnti, fino a bloccare la seconda rata del contributo statale. Chiedemmo, allora, nuove norme per un rigoroso controllo circa l'uso del denaro pubblico destinato alle formazioni politiche. Sollevammo dubbi ed interrogativi che oggi ritornano di angosciante attualità. Ma oggi, colleghi Consiglieri, occorre anche di più.
Dobbiamo fare in modo che quel recupero morale del Paese avvenga attraverso l'evidenziazione di quell'onestà che, forse la periferia della nostra organizzazione istituzionale, ancora pub lasciare intravedere.
Le autonomie locali, al di là del loro obiettivo di decentramento e di partecipazione, sono nate anche perché la gestione amministrativa trasferita su un terreno vergine, non lasciasse crescere la corruzione, il lassismo, il parassitismo, il clientelismo, cioè quei mali endemici sui quali il nostro Paese, o meglio la sua credibilità, è andata dissolvendosi.
Ci chiediamo: le Regioni, la nostra Regione ha saputo cogliere l'importanza di questo suo contributo al rinnovamento o già essa non è immischiata nel giro deleterio di quei mali endemici che dal centro hanno trovato terreno fertile anche nelle periferie dello Stato? Ci chiediamo se, sostanzialmente, il nostro terreno sia ancora un terreno sano, oppure se, inevitabilmente, qualche, erba grama si sia già diffusa o lo stia intaccando.
Ci chiediamo ancora: è stato ed è quello della Regione Piemonte quel modo trasparente di amministrare che i cittadini chiedono ai politici? E' una domanda che noi poniamo sul tappeto anche di questo dibattito perché, pur se la risposta è positiva, come noi auspichiamo, la Regione Piemonte o meglio le Giunte che l'hanno rappresentata, non possono sottrarsi al controllo che sui suoi atti debbono portare, non soltanto gli organi tutori, ma la comunità tutta.
Purtroppo, finora, le richieste dei repubblicani per verifiche su situazioni che non apparivano troppo chiare non hanno ricevuto soddisfazione.
Mi riferisco ad interpellanze ed interrogazioni presentate nella passata legislatura dal nostro Gruppo riguardanti atti gestionali specifici che meritavano approfondimento da parte del Consiglio ma che tale approfondimento non hanno ottenuto.
Ecco quindi la portata anche morale di un programma di legislatura: esso deve essere in grado di consentire una gestione efficace ed efficiente, politicamente coerente, amministrativamente accettabile, ma anche moralmente rigorosa.
E un programma è moralmente rigoroso se viene tracciato su degli indirizzi politici chiari, con delle risorse reali tali da consentirgli di approdare, e il suo approdo deve soddisfare i bisogni non soltanto più urgenti ma socialmente necessari ed economicamente compatibili.
L'onnicomprensività del documento che ci è stato presentato, se da un lato fa onore agli estensori di aver saputo cogliere tutte le esigenze dall'altro, non indicando le priorità e soprattutto le compatibilità appare, ancora una volta, il programma del tutto a tutti che va a creare aspettative, in un momento in cui (e da tanto ormai) il periodo della floridezza è finito e non accenna a riprendere .
Quando il Presidente Enrietti dice che non è intenzione della Giunta gestire la recessione, noi apprezziamo l'ottimismo della sua volontà ma ci chiediamo se sia intellettualmente morale e politicamente onesto non rappresentare a noi, ma soprattutto ai cittadini piemontesi, le difficoltà che si incontreranno per non gestire una recessione o se comunque occorrerà gestire una recessione. Sorge anche il dubbio che la carenza di scelte del programma, la cui caratteristica è l'incoerenza tra la parte d'impostazione politica generale e quella di settore, nasca dall'impossibilità di conciliare differenti posizioni dei Gruppi di maggioranza in un compromesso inevitabile. Può darsi che, se questo programma non si presenta organico perché riesce perfino a far convivere fossili marxisti con assiomi neoliberisti, non sia colpa delle tre espressioni politiche che l'hanno concertato.
E' probabile che questo programma risenta anche della crisi che non è soltanto della politica, ma di tutte le sedi delle scienze, dell'istanza unitaria e che la dispersione (e in questo programma c'è dispersione) sia un dato ormai acquisito: i modelli sono andati in crisi? Partito Comunista e Partito Socialista hanno governato insieme fino a ieri questa Regione sempre sottraendosi, peraltro, alla verifica politica degli interventi che portavano il loro duplice segno. Certo non disponendo del quadro delle realizzazioni che dopo il primo piano di sviluppo si sono realizzate o non si sono realizzate, appare difficile reimpostare politiche e programmi in situazioni nuove e a volte anche mutate. Ecco quindi che ci riesce difficile comprendere anche la continuità che viene enunciata come caratteristica di fondo del programma. Continuità rispetto a che cosa? Rispetto al contrasto P.C.I. - P.S.I. sul ruolo delle autonomie e sulla priorità della programmazione economica sostenuta dal P.S.I. rispetto alla programmazione territoriale sostenuta dal P.C.I.? Noi comprendiamo colleghi della maggioranza, le difficoltà di andare alla definizione di un programma di legislatura di così lungo periodo perché siamo consapevoli dei problemi che avete e che abbiamo sul tappeto.
Non voglio ripetere la storia della crisi economica, perché di questo abbiamo ampiamente parlato in quest'aula, crisi che è segnatamente del nostro Piemonte, mondiale e nazionale; ma sono anche problemi che derivano dal difficile decollo dell'Europa, dall'affermazione del suo ruolo incisivo tra i due blocchi.
Noi condividiamo molte delle osservazioni che la relazione introduce sulla collocazione del Piemonte nell'Europa unita e la dichiarata volontà di cogliere tutte le opportunità di un Piemonte saldamente unito all'Europa industrializzata. Condividiamo l'ansia di vedere il Piemonte acquisire un ruolo strategico in competitività con le aree forti dell'Europa; il che significa, allora, aggiornare le nostre prospettive di sviluppo sull'esperienza di direzione economica, che sono tradizione dei Paesi europei, alla quale come repubblicani non soltanto siamo legati, ma della quale siamo orgogliosi.
Sui rapporti Piemonte - Meridione che noi abbiamo considerato con interesse anche per l'impronta tradizionalmente meridionalistica dell'azione politica dei repubblicani, va detto che, se è vero che le difficoltà dell'economia italiana vanno ad aggiungersi a quelle strutturalmente esistenti per il Mezzogiorno, esso rimane un problema nazionale e la sua soluzione risiede nel contesto della politica governativa.
Mentre ancora qualche anno fa poteva ritenersi che il processo di integrazione in atto nell'area CEE avrebbe prodotto uno spontaneo processo di decentramento industriale verso l'area del Mezzogiorno, emergono oggi nuove tendenze della divisione internazionale del lavoro che, favorendo i Paesi nei quali i livelli salariali sono assai più bassi che nei Paesi industriali, rischiano di escludere il Mezzogiorno dalle correnti di decentramento produttivo.
In questo senso, il Mezzogiorno è problema nazionale e, ripeto, la sua risoluzione risiede nella politica nazionale e in questo senso l'ambizione del primo piano di sviluppo regionale del Piemonte, non solo si ridimensiona ma ripropone la validità di una scelta di programmazione e di qualificazione della spesa e degli investimenti regionali, non tanto in fatto di trasferimento di risorse ma per la capacità di riprodurre effetti locali con riflessi sull'economia nazionale.
Questo discorso ci porta a quella validità di politica di programmazione di cui abbiamo già parlato in quest'aula e che il documento della Giunta intende far proprio in linea teorica ma che poi smentisce nel momento in cui non dimostra il coraggio di scelte strategiche e prioritarie.
Ci sono, per la verità, nel documento, osservazioni ed impostazioni che non solo condividiamo ma che apprezziamo, poiché rappresentano il recepimento di istanze che, nel corso delle passate legislature, abbiamo avanzato al governo regionale.
Sono alcune concessioni a quella politica che ha fatto della programmazione in ogni settore, la sua bandiera, e che oggi consente, per esempio, al Ministero del Bilancio di dichiarare che il piano a medio termine è politicamente varato (e ciò indipendentemente dall'esito che esso avrà nell'aula parlamentare) perché tutti gli interessati, le parti in causa, gli agenti economici sono stati consultati e la concertazione degli obiettivi è un fatto acquisito.
Quando il programma della Giunta parla della necessità di una politica della ricerca della Regione intesa come elaborazione di indagini conoscitive atte alla programmazione regionale, noi diciamo che sono anni che chiediamo queste cose, anche se le indicazioni sono ancora rivolte a ricerche settoriali, avremmo voluto un intento globale anche relativamente alla ricerca. Quando il programma riconosce la necessità di un piano di politica degli enti strumentali, noi rispondiamo che sono anni che lo chiediamo, anche se sono anni che caldeggiamo lo scioglimento o quanto meno una revisione di qualcuno di questi enti.
Quando si sostiene la contestualità della programmazione territoriale di quella società economica siamo d'accordo; non siamo d'accordo quando si subordina la predisposizione del piano territoriale di coordinamento regionale ai piani territoriali, comprensoriali; quando si riconosce l'urgenza di una politica attiva rispetto al terziario, siamo d'accordo. E' semmai discutibile, l'illusione del terziario come compensazione della caduta del settore industriale.
Non crediamo sia un'illusione, malgrado ciò l'argomento ha avuto opportuna evidenza. Quando si evidenzia che l'obiettivo della spesa regionale è quello di qualificare la spesa privilegiando gli investimenti ed evitando gli interventi a pioggia; quando si àncora la spesa regionale alle opere pubbliche, alla determinazione dei piani pluriennali d'attuazione, non solo noi condividiamo questa impostazione di fondo ma verificheremo, la maggioranza, la Giunta nella loro concreta attuazione.
L'attenzione del documento ai rapporti istituzionali Stato - Regioni Comuni - Province - Comprensori, hanno formato oggetto di nostri interventi già in questo scorcio di legislatura ma meritano nuovi approfondimenti alla luce delle nuove deleghe, dei nuovi assetti e soprattutto in preparazione di quella riforma promessa dallo Stato da tanti anni, data certa per la fine del 1979 e non ancora approdata all'aula parlamentare.
L'affermazione dell'Ente regionale sarà tale, infatti, se si sapranno opportunamente svolgere quei rapporti incrociati ed orizzontali degli altri istituti dell'asse portante sul quale si svolge la vita istituzionale del Paese.
Ecco perché, per esempio, il rapporto Stato - Regioni va inquadrato non tanto come rivendicazione, in modo anche ambiguo, di nuove ed ulteriori competenze o come momento conflittuale per reciproche accuse di inadempienze, ma come esaltazione del dialogo e del confronto, in un'ottica di interesse regionale sì, ma che non può prescindere dal fatto che la Regione Piemonte è parte di quel più ampio contesto nazionale e quindi sostenitrice di quel coordinamento indispensabile ad una corretta programmazione nazionale. Questa considerazione, colleghi Consiglieri, in questo momento ci fa pensare se onestamente noi pensiamo di promettere ai nostri amministrati una migliore qualità della vita mentre a qualche centinaia di chilometri la morte e la tragedia hanno assalito dei nostri fratelli e se, oggi, quindi, le nostre istanze per un maggior benessere per più qualificati servizi e per più perfetti interventi non debbano essere rivisti alla luce delle angosce di coloro che hanno perso tutto.
Perdonate questo inciso, ma è difficile differenziare in questo momento le esigenze di cittadini di uno stesso Stato, Stato, tuttavia, profondamente ingiusto: abbiamo dovuto attendere una tragedia per far riaffiorare le profonde differenze delle due Italia, quella dello sviluppo tecnologico e quello della povertà ancestrale.
Queste differenze, peraltro, dovranno essere evidenziate in quei rapporti Stato - Regione in un'ottica di equilibrio e non in termini rivendicativi, ma in termini anche di finanziamenti su progetti definiti, e certi soprattutto che siano evitati gli errori del passato, di richieste fasulle perché fondate su progetti inesistenti. Nel rapporto Stato Regione assume, per noi, particolare importanza l'attività propositiva delle Regioni, sul filone del metodo innovativo recentemente instaurato dal Governo.
Dovrà essere instaurato anche un nuovo rapporto con i Comuni, che - lo ripetiamo - vanno supportati con strumenti e strutture in grado di rappresentare un reale contributo alla soluzione dei problemi che, già ora hanno in fatto di operatività. Questo per impedire quello stato di dipendenza da tutto, ma soprattutto dall'Ente Regione, che ha caratterizzato il loro atteggiamento dopo che le deleghe che dovevano esaltare l'autonomia dei Comuni hanno sovente messo in difficoltà Sindaci ed amministratori rendendoli incapaci di operare.
A questo punto va affrontato con molta chiarezza il nodo dell'ente intermedio e mettiamo subito in evidenza che nutriamo seri dubbi sulla validità delle iniziative già poste in essere dalla Regione relativamente alle Province. La nuova legge di riforma dovrebbe prevedere l'ente intermedio con il compito di assommare e sintetizzare quelle competenze e quelle funzioni che sono state finora dei Comprensori e delle Province.
Leggiamo in un protocollo Regioni - Province, di data recente, che alla Provincia deve essere riconosciuta la funzione di programmazione socio economica e di coordinamento dell'attività dei Comprensori. Ci chiediamo quindi: che ruolo rivestono ancora i Comprensori, i cui organi stiamo per votare il 21 dicembre, che sono una realtà territoriale ormai certa con sedi, personale e strutture? Leggiamo, anche, che sono previste deleghe regionali alle Province per attribuzioni di compiti gestionali in una varia gamma di settori.
Abbiamo l'impressione che questo momento di raccordo, che la Regione ha inteso sviluppare, lungi dall'essere impostato su un metodo rigoroso e con chiarezza di idee circa un'evoluzione della Provincia verso la "nuova Provincia", non abbia fatto che generare confusione, portando a competenze duplicate e frammiste. Tra l'altro, un tale modo di procedere, a nostro avviso, precostituisce assetti istituzionali che la riforma delle autonomie locali sta per definire.
Questa ansia di precostituire situazioni che necessariamente dovranno poi essere rimodificate, non è nuova per la Giunta regionale del Piemonte però la posta in gioco oggi non è da poco e, in questo caso, la spregiudicatezza potrebbe rivelarsi veramente compromissoria di quell'assetto che auspichiamo più snello, ma anche più economico.
Auguriamoci che questo delicato argomento non sia dato per scontato e che di esso il Consiglio regionale debba ancora dibattere in un approfondimento che consenta a tutte le forze politiche d'esprimersi in questa sede, la più idonea, appunto.
Questa sede che noi vorremmo diventasse, nel nostro disegno di esaltazione dell'Ente regionale come interprete, determinatore e risolutore di tutte le istanze della comunità nella sua intierezza, veramente il centro di formazione delle decisioni e degli indirizzi politici e programmatici dell'attività regionale.
Lungi da noi l'intento di un'amministrazione assembleare, ma di un governo che decide autonomamente sì, ma nel rispetto di quegli apporti e di quei contributi che ognuno dei 60 Consiglieri eletti dal suffragio popolare, può e deve portare, in questa assemblea consiliare. Ecco, quindi la nostra convinzione che le stesse Commissioni legislative debbano essere opportunamente rivalutate in termini di organizzazione strutturale per consentire di far pervenire al Consiglio elaborati ineccepibili, sia sotto il profilo concettuale che tecnico e giuridico.
Il rispetto che noi portiamo e che difendiamo, in ogni sede, dei rapporti istituzionali e dei ruoli politici, ci autorizzano a dire che la logica dell'azione politica di ogni Gruppo presente in questo Consiglio è e deve essere quello dell'interesse esclusivo e supremo della collettività.
Non certo quello riduttivo e meschino del Partito o del Gruppo; gli anni che abbiamo di fronte richiedono un'azione unitaria del Consiglio nelle grandi decisioni ed un fondamentale coinvolgimento di tutte le risorse, di tutte le idee e di tutti gli sforzi per pervenire alle soluzioni migliori le più idonee, le più giuste per la comunità piemontese. Pertanto siamo convinti che in un corretto ruolo istituzionale attribuito alla Presidenza del Consiglio, questo Consiglio debba riconoscere un'attenzione anche alle minoranze, non tanto per una questione di tutela che è pure da evidenziarsi, quanto per un riconoscimento del ruolo che in questo caso la maggioranza di sinistra intende manifestare alle minoranze stesse.
Come repubblicani avevamo messo in evidenza questa nostra posizione fin dal mese di luglio, in occasione della votazione della Giunta, quando chiedemmo la Presidenza per un rappresentante della D.C. Con questo spirito, l'incarico che oggi ricopre il Presidente Benzi, al quale va la nostra stima per l'alacrità, il metodo democratico e l'efficienza di questi suoi mesi di Presidenza, andava rivisto, non potendo quell'incarico essere ricondotto ai patteggiamenti dei partiti della maggioranza ma dovendo ad esso attribuirgli il ruolo istituzionale di garante dell'intero Consiglio.
E questo è un modo rigoroso - mi dispiace che sia assente il Presidente Enrietti, questo era segnatamente rivolto a lui - di considerare non solo gli aspetti dell'economia ai quali, pure, siamo sempre molto attenti, ma di tutte le politiche degli enti nei quali siamo rappresentati.
Da questa nostra posizione discende la certezza che la politica del confronto, che in sede nazionale abbiamo sempre sostenuto e continuiamo a sostenere, debba essere un obiettivo da perseguire in loco, come già abbiamo fatto, segnatamente, in occasione della vertenza Fiat, che tanto spazio ha occupato in questa aula, ma che non sempre è approdata a quei risultati da noi tutti auspicati.
L'atteggiamento della Presidenza della Giunta nella direzione politica e nel suo comportamento su tutta la questione Fiat, se da un lato ha assicurato la presenza dell'Ente Regione come interlocutore indispensabile dall'altro ha fatto registrare una caratterizzazione della Regione a favore di una delle parti, rinunciando a quel ruolo di mediazione e di equidistanza, annullando, così, l'occasione di sintesi che il Presidente della Giunta, come rappresentante della comunità piemontese, avrebbe potuto e dovuto esprimere.
Abbiamo già sottolineato questi aspetti ma ci sembra giusto riconsiderarli nel momento in cui, da parte nostra, si rimette in evidenza quel giudizio "sospeso" che noi avevamo espresso il 28 luglio in sede di votazione del Presidente, sul quale avevamo espresso voto di astensione proprio per il momento transitorio in attesa del programma definitivo giudizio "sospeso" che lo stesso P.S.D.I. si era riservato. Il collega Mignone parlò, allora, di posizione non immutabile del P.S.D.I. e "suscettibile di evoluzione".
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ci premeva, in questo primo intervento, chiarire al Consiglio lo spirito con cui i repubblicani avevano affrontato l'analisi del programma della Giunta regionale. Programma esaminato senza pregiudiziali: programma su cui ritorneremo attraverso puntualizzazioni e proposte sui diversi settori, nel proseguimento di questo dibattito.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il compagno Guasso, nostro Segretario regionale, in un'intervista apparsa su "L'Unità" domenica scorsa, parlava di questa nuova maggioranza: la poneva nell'ambito di alcune considerazioni tradizionali che già sono state fatte da noi in questo Consiglio, citando il caso del Piemonte, dove il retroterra di esperienza unitaria nei rapporti tra il P.C.I. ed il, P.S.I. data lunghi anni.
Cinque anni di sperimentazione, di lavoro comune nella Regione ma (credo non vada perso, questo lavoro, non a giustificazione della scelta del Partito Socialdemocratico, il quale opera in modo autonomo la propria strada e la propria politica) citava Guasso, anche cinque anni di sperimentazione e di lavoro comune in Enti locali importanti, oltre che con il P.S.I. anche con il P.S.D.I.
Aggiungeva, poi, che il confronto sul programma non è stato doloroso per arrivare alle scelte, ma un fatto, in fondo, che ci ha colpiti, per un partito come il nostro che ha una lunga tradizione, non sempre del tutto positiva nei confronti dei colleghi socialdemocratici, tradizione storica ampiamente nota alle forze del Consiglio.
Cioè, questo partito - gliene dobbiamo dare atto - si è sempre presentato agli incontri ed ai dibattiti, sul programma, ed anche prima nel mese di luglio, ponendo delle questioni di contenuto non sempre, forse tutte accoglibili da noi, ma certo di grande interesse. Emerge, allora, da tutta questa situazione, un altro aspetto, una forte domanda di prospettiva: la necessità di uno sforzo per cogliere la portata della sfida aperta nella nostra Regione e la necessità, anche, che questa maggioranza per cogliere la prospettiva che vuole avere innanzi, si confronti attraverso un nuovo tipo di rapporto tra i partiti che la compongono.
Mi spiego; a questa prospettiva deve corrispondere un superamento dei vecchi schemi e dei limiti, nel rapporto tra le forze di sinistra, anche dove questo rapporto è più consolidato ed unitario nel tempo, quale è appunto l'esperienza tra P.C.I. e P.S.I. in Piemonte; non solo perché si è governato assieme in tanti Enti locali, non solo perché non si sono mai persi i contatti quando l'area socialista in genere era collocata negli Enti locali in un'altra posizione rispetto a noi, ma anche per i grandi movimenti di massa, per le questioni del sindacato, per le questioni dei movimenti presenti nella società e per aver sempre rivendicato questi movimenti una loro positiva autonomia.
Tutto questo implica un dibattito, uno spirito di rinnovamento, una forte tensione ideale e politica tra i partiti della sinistra; un compito che noi intendiamo assolvere. Questi compiti impongono chiarezza: sono possibili se sappiamo anche che dobbiamo stabilire degli ampi punti di convergenza, senza ambiguità, con tutte le forze democratiche del Consiglio, coscienti che la diversità di queste forze politiche non ha impedito il cammino unitario su grandi temi in passato.
Altrettanto coscienti del ruolo della maggioranza, che non è tutto in un'assemblea legislativa, del ruolo dell'opposizione, non della minoranza da parte di chi non fa parte del governo regionale ma che ha comunque una funzione di governo importante in un'assemblea legislativa.
Quando parliamo di una nuova maggioranza non possiamo non guardare al passato, all'esperienza compiuta, ai problemi affrontati ed alle grandi questioni rimaste aperte, per definire gli indirizzi ed il metodo di governo.
Non possiamo non tener conto - collega Vetrino Nicola, me ne vorrai dare atto, salvo smentita - del lavoro positivo svolto, del fatto che in fondo si sia inaugurato un nuovo modo di governare nella passata legislatura (ne do atto qui, pubblicamente, al compagno Viglione).
Ma ridefinire un metodo significa anche, per i problemi che vengono affrontati nel programma presentato dalla Giunta, come è già stato detto ieri, un permanente, costante e diffuso collegamento con la comunità regionale, con le masse popolari, con i lavoratori; un intervento continuo sulle esigenze e sui problemi economici sociali e culturali, umani, dei cittadini, per dare corso e corpo a politiche che, seppure gradualmente avviino un processo di mutamento nella qualità dello sviluppo e della vita e concorrano a definire indirizzi e scelte anche nazionali.
Un problema di fondo, questo, per le sinistre. Noi sappiamo, ormai per un'esperienza importante fatta in questi cinque anni e per le vicende nazionali, che non vi è capacità di governo per le sinistre, segnatamente per noi comunisti, senza capacità di avviare, anche solo in modo embrionale, politiche di trasformazione.
Ha fatto bene Enrietti a collocare il confronto ed il dibattito aperto tra le forze della sinistra rispetto ai giudizi con cui queste forze affrontano il passato recente, le esperienze complesse delle politiche di riforma che hanno propugnato negli anni '60 e nell'inizio di questo decennio. Certo, i giudizi non collimano sempre, Enrietti, ma vi è una costante, questa appunto: il ruolo di governo, la funzione di governo delle forze riformatrici della sinistra italiana, un problema che travalica - e me ne scuso - questa stessa assemblea.
L'esaurimento e la caduta del centro-sinistra secondo i caratteri originari avvenne quando quell'idea di riforme, pur avendo conseguito importanti risultati, aprì il contrasto tra il vecchio ed il nuovo e quella formula politica apparve come un limite "politico", appunto, rispetto alle risposte che la società esigeva.
Il sopraggiungere della crisi pose il problema di un più ampio consenso, per porre rimedio ai guasti dello sviluppo, per dare una prospettiva alla ripresa dello sviluppo. Fu un periodo lungo di ricerca, di confronto e di scontro, ed è intorno a questo tema che si è svolta la vicenda dell'ultimo quinquennio, anche qui, in Piemonte, dove pure vi era una Giunta di sinistra.
Fu allora che né la D.C., né i ceti dominanti che essa rappresentava hanno avuto l'intenzione di "passare il guado", di reinterrogarsi a fondo su ciò che era vecchio ed andava abbandonato e ciò che di nuovo andava affrontato e realizzato. Devo anche aggiungere che neanche noi avevamo tutte le carte della verità in tasca e sapevamo tutto ciò che doveva essere fatto. Sono questi recenti, gli anni in cui si è avuto il massimo di espansione, di sviluppo delle istituzioni, della vita delle autonomie locali e, al tempo stesso, quelli in cui più acuto fu l'attacco alle istituzioni con il terrorismo, quasi ad offuscare ogni prospettiva di trasformazione.
Occorre pure considerare che se nei Comuni, nelle Regioni, si è riusciti non senza gravi difficoltà, ad esprimere nel concreto delle politiche, i bisogni di cambiamento, molto più difficile era quest'opera peraltro necessaria ed urgente a livello nazionale, in quell'esperienza di unità nazionale. Non voglio dimenticare, però, che quelle esperienze, quei tentativi anche parziali, quei risultati ottenuti (alcune leggi di riforma di grande portata, pur nella loro imperfezione) sono serviti ad accumulare un'esperienza preziosa per tutte le forze democratiche oltre che per la sinistra, tradizionalmente debole sui provvedimenti immediati congiunturali. Oltre al fatto che in quel periodo sono stati risolti gravi problemi contingenti per il Paese tutto, ma che potevano gettarlo in una prospettiva davvero drammatica e, invece, noi abbiamo mantenuta aperta ed intatta la strada della trasformazione e la forza del movimento operaio.
Anche in quell'esperienza si confermò, come dimostrò l'elettorato negli anni successivi, che alla sinistra, a noi comunisti in particolare, non si rimproverò tanto da parte della gente di aver tentato di governare, ma semmai di non essere riusciti ad incidere come sarebbe stato necessario nel governo con un'operazione di cambiamento dei vecchi assetti, dei vecchi sistemi di potere.
E' stato sperimentato che ad una "sinistra" di governo, ed in particolare a noi comunisti, ed ai compagni socialisti, che governiamo ed abbiamo governato tanta parte degli Enti locali dell'Italia, non si chiedono miracoli, ma si chiedono prove e risultati di una capacità di cambiamento qualitativamente nuova, e lo chiedono ,di più a noi che ad altri partiti.
Il tempo - Enrietti - non è passato anche per questo, invano. Il decennio trascorso non lascia in eredità agli anni '80 un supplemento di "anomalia" del nostro Paese con una "questione comunista" che ha qualche percentuale di voto in più. Questa "questione comunista", non risolta con una nostra caduta (come speravano forze consistenti nella D.C.) dopo la prova difficile del '76-'79 si ripropone assieme alla "centralità socialista" o, se si preferisce, "dell'area socialista", pur nei conflitti aperti e d in corso, come l'emergere di una richiesta matura su contenuti concreti e tangibili di un governo nuovo.
Ecco, dunque, che il problema che ci siamo posti qui in Piemonte, tra forze di sinistra, non è stato quello di una "governabilità astratta", ma si è cercato e si cerca di rispondere partendo dalle cose, ad un altro quesito che fa parte di questa governabilità: quale governo, per fare che cosa? Ecco perché c'è un programma, che può avere limiti, ma ha una sua filosofia; ha dei suoi fini, e questo è già importante, ed è per questo che nel programma ha tanta parte la questione dell'Europa, perché è una questione politica.
E i contenuti: questo è, oggi, il vero livello cui tendere, verso cui indirizzare lo sforzo per costruire una sinistra capace di governare in modo non subalterno. La prospettiva si costruisce da questi fatti, anche perché deve essere fronteggiata ormai un'offensiva nell'insieme del mondo occidentale che vuole il ritorno alle "vecchie buone regole"; un'offensiva che ha teso ad accantonare le politiche riformatrici, sostenendo l'incapacità di questa politica ad affrontare i problemi quando essi si pongono in termini di scarsità e non più di abbondanza. Questa la posta in gioca in Europa.
Il Presidente Enrietti ricordava le iniziative del socialismo occidentale; io vorrei collocare queste sue considerazioni, che apprezzo e condivido pienamente, in questo contesto di offensiva neo conservatrice.
Cito solo un fatto: ricordate tutti quando si sono trovati i governanti dei maggiori Paesi industrializzati a Venezia, ed hanno fatto la scelta di abbandonare le politiche keynesiane ; è iniziato, da allora, un processo di riflessione che era già antecedente, anche all'interno delle socialdemocrazie.
Eppure la svolta neoconservatrice non è tutta consumata; vi sono diverse opinioni all'interno del nostro partito, io scelgo quella del nostro Segretario: il neoliberismo non è trionfante; trova le sue gravi difficoltà e noi non crediamo che sia una tendenza permanente questa e che sia garanzia tale da portare fuori l'Europa, e quindi anche il nostro Paese, dalla crisi. La partita è aperta in questo continente e diventa rilevante la capacità della sinistra di avere una sua iniziativa.
Paradosso e contraddizione: proprio mentre in alcuni Paesi si verifica un'aspra contrapposizione fra comunisti e forze socialiste, stanno maturando nei fatti terreni e condizioni oggettive che esigono, più che mai, un processo unitario. Per quanto ci riguarda - dirò solo per finire su questo argomento - l'eurocomunismo non ha mai voluto essere una proposta ristretta all'ambito dei comunisti, ma una proposta, un'indicazione, un contributo per l'insieme della sinistra europea, e non esclude, quindi polemiche e difficoltà ed anche contrapposizioni, per spiacevoli che siano tra partiti comunisti.
Quando parliamo di "terza via", intendiamo un'ipotesi di lavoro, una proposta per il socialismo che obblighi tutte le componenti del movimento operaio e democratico a rimettere in discussione parte della propria tradizione. Non risalgo certamente a Marx o a Lassalle per dire che la riflessione è lenta; lo so, è lenta, lo impongono anche i tempi della crisi: ma dobbiamo stare attenti, perché per certi aspetti è molto più avanzata di quanto non si creda.
Dall'ormai famoso carteggio Palme - Kreisky - Brandt di alcuni anni or sono, è venuta la proposta di una terza fase della democrazia economica che colpì la stessa Democrazia Cristiana ed alcuni suoi dirigenti che avevano proposto altre scelte anche per il governo dell'Italia e per il governo del sistema delle autonomie; e se andiamo a spulciare - come hai fatto tu, Enrietti, giustamente - i programmi di tanti partiti socialisti pur diversi fra loro, olandese, austriaco, inglese, francese, come ha dimostrato ancora la recente riunione dell'Internazionale Socialista a Madrid, vediamo che questo dibattito è molto più avanti, molto più ricco ed articolato e non certo solo ancorato ad un aggettivo "occidentale" che non è un toccasana, ma che indica, invece, un'area di crisi.
All'interno, quindi, della svolta neoconservatrice, e a lato di questa campagna neoliberista, .vi sono rilevanti novità in così complessa realtà.
Certo, il dibattito può rimanere anche solo ideologico, ma io credo che abbia ragione il Presidente della Giunta quando, citando la centralità socialista, parla, credo, a nome di una più vasta area che fa parte della maggioranza. Il dibattito non è solo ideologico; parte da elementi concreti che abbiamo già discusso in questo Consiglio, da un'esperienza comune: il problema della sicurezza, della pace, della distensione; quello del rapporto nord-sud (questione che mette in causa modelli di sviluppo condizioni di vita, interessi nazionali di aree forti, pone le grandi questioni che abbiamo di fronte per la ripresa di uno sviluppo), infine l'Europa stessa, la sua funzione, il nostro rapporto con essa istituzionale, economico, sociale e politico. E' proprio a partire da questi temi così attuali e connessi alle prospettive del nostro Paese, allo sviluppo di una regione cardine quale il Piemonte. Noi pensiamo che il tema dell'unità a sinistra, in tutte le sue implicazioni, non sia una condizione per restringere una maggioranza, collega Genovese, ma, anzi, può renderla più aperta e più controllabile: è condizione perché le questioni vengano poste senza margini di ambiguità per nessuno, nella chiarezza; senza possibilità di ritrarsi innanzi, a scelte decisive nel vecchio modo di far politica, nel "giorno per giorno", nel tran-tran sperimentato e, peraltro gravemente in crisi per tutto il Paese, del vecchio sistema di potere.
Noi guardiamo all'unità della sinistra ora, in questa situazione, per quello che è, alla collaborazione importante ed organica sino ad oggi inedita nella nostra regione, come ad un contributo più generale e base per un'unità più larga; questo ci pare necessario per isolare le forze conservatrici, per dare stabilità e sicurezza ad un processo di trasformazione ed anche per tener conto - è un problema che fa parte del nostro patrimonio, di cui lo stesso Enrietti ci dava atto nelle sue dichiarazioni di ieri e nei dibattiti che si sono svolti qui, tra le forze politiche - che questo processo di unità più ampia, che parta dal nucleo importante della trasformazione e a sinistra, è valido non solo per il nostro Paese, sui grandi temi, ma per la stessa Europa.
Questa, è la base attraverso la quale riusciamo a capire, nella peculiarità della crisi italiana, la questione cattolica da un lato e la stessa questione democristiana, ed anche a porci interrogativi nuovi, noi che siamo così cambiati dal '48 ad oggi, rispetto alla questione dell'Europa, non certo per aver abbandonato o dismesso degli abiti ideologici, ma perché anche questi, le ideologie e le rappresentazioni crescono in relazione ai problemi, così come sono, dove c'è l'azione degli uomini viva ed organizzata. E poi siamo già frutto noi stessi di un cambiamento che in parte abbiamo provocato: noi rivolgiamo qualche interrogativo non sulla fede europea ed europeista della D.C., che ci è maestra in questo, ma sulla sua realtà concreta, sulle azioni reali che portano il nostro Paese (anche attraverso i Governi in cui la D.C. è perno) a fare una politica europea o se forse, invece, non c'è solo il mito dell'oltre Atlantico.
Ecco perché è importante questa collaborazione nella massima chiarezza: per parte nostra, proprio perché siamo convinti che la base unitaria delle forze capaci della trasformazione è forse più ampia nel nostro Paese che altrove e un'unità ampia è il presupposto di quella grande riforma Presidente Enrietti, di cui parla il Segretario del tuo partito, anche se abbiamo sovente a livello nazionale dei confronti anche aspri.
Un contributo, dunque, che il Piemonte offre ad un processo di dibattito anche culturale, oltre che di realizzazioni politiche: un pragmatismo molto concreto, sapendo quali sono i topi da prendere e con quali gatti, cioè un pragmatismo, ma non senza principi.
Di qui vengo all'argomento che voglio ancora trattare, su cui vi sono state delle convergenze ieri, con delle richieste di precisazioni che, per parte mia, credo di poter dare come forza politica. Tutte domande legittime, non certamente strumentali sulla questione della nostra visione del rapporto Piemonte - Europa - Mezzogiorno.
Noi partiamo dalla convinzione che l'idea di governabilità non è un fatto che si fonda solo su degli schieramenti, ma su dei contenuti, come dicevo prima. C'è una sfida che ci ha rivolto la crisi: come rilanciare e governare una crescita duratura ed equilibrata sul piano economico e sociale allargando la democrazia - valore indivisibile, lo abbiamo già detto più volte - e le libertà di tutti. In effetti, le soluzioni che vengono proposte e che avanzano in modo dubbio (malgrado il piano del Ministro del Bilancio) se dovessero passare credo avrebbero degli esiti gravi sugli indici di vita delle masse popolari (non perché non vogliamo che questi livelli cambino) sulle condizioni di lavoro e sugli stessi livelli di democrazia.
Crediamo nella necessità di cambiamenti strutturali profondi, senza i quali non vi può essere sviluppo: il terreno della programmazione diventa sempre più l'asse portante di un progetto che collochi al centro un diverso uso delle risorse, uno sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno, la crescita equilibrata di tutto il Paese.
Questa è una frase che cito dall'inizio della scorsa legislatura e più ancora dai testi che sono stati alla base della costituente nostra dello Statuto. Da allora che cosa è andato avanti? Credo molte cose: una cultura della programmazione democratica, l'unica possibile in un Paese occidentale, nella fattispecie nel nostro Paese, che corrisponde alle esigenze delle masse da noi, in gran parte, rappresentate. Quella cultura appunto, che in parte si è affermata nello sforzo di questa Regione, sia per la maggioranza che ha governato nella scorsa legislatura, sia per l'apporto dato ampiamente nell'articolazione comprensoriale da forze che si sono convertite ad essere protagoniste e si sono scoperte nella loro ricchezza politica e sociale, forse sconosciuta nel rapporto della precedente legislatura, tra centro e periferia.
Di qui, tendiamo a parlare ancora di una proposta di austerità, una parola molto dubbia, che ci fa perdere dei voti: austerità che cos'è? Non quella di chi fa "tirare la cinghia"; l'austerità è lo sviluppo su basi nuove; non siamo per una decadenza né della nostra Regione né del nostro Paese, ma vogliamo sapere come si cambia e cerchiamo di dirlo in questo programma.
Intanto sappiamo che questa legislatura ci offre la possibilità di andare oltre quella che è stata essenzialmente un'opera di risanamento nella scorsa legislatura; abbiamo privilegiato, infatti, nei cinque anni passati, i temi di risanamento, della ricomposizione, del contenimento degli effetti distorti, magari anche con provvedimenti vincolisti; ma era necessario.
Qualcuno ha voluto far passare questa operazione, come un fatto tipico dei comunisti all'interno di quella maggioranza a due, quasi fossimo i nemici dello sviluppo economico: noi, invece, sosteniamo che senza quell'opera, a cui hanno contribuito tante forze politiche al di là della maggioranza, oggi nessuno sarebbe in grado di proporre un progetto di crescita.
Quando, allora, parliamo del Piemonte e dell'Europa non ci riconvertiamo delle vecchie idee. Il collega Genovese ha citato la questione del rapporto territoriale: è importante; noi non siamo, però, in accordo e neanche riscopriamo l'idea né di Renacco né del conte Calleri riguardo a quella maggioranza, anche se era legittimo e dignitoso quel progetto; lo abbiamo combattuto con tutte le nostre forze perché, in quel momento, significava non portare tutta l'Italia all'Europa, né ribaltare verso il sud lo sviluppo, ma significava nient'altro che immettere, ultimo tra i primi, il Piemonte con quelle aree forti ed era una logica non condivisibile, a tal punto, che ci è stato dato ragione dal ribaltamento dello sviluppo verso il Mediterraneo, dai rapporti con i Paesi del Terzo Mondo che sono cresciuti ed in modo sempre più ampio e coordinato, da parte degli stessi Paesi forti delle aree forti della CEE.
Non c'è solo un problema di saturazione, c'è un problema di riconversione, di cambiamento anche nelle aree trainanti della CEE ed è per questo che esce fuori non solo il polo Lione-Rodano, come un nodo di sviluppo tradizionale e decentrato, ma esce fuori un asse mediterraneo di cui tante volte si è parlato in questi ultimi anni, che è basato non solo sulle politiche di trasporto, ma su settori avanzati, trainanti, rispetto alle vecchie tradizioni industriali.
Lo stesso porto di Fos, di cui si è discusso tanto anche nel Consiglio provinciale di Cuneo, fu un insediamento che andò male per la stessa ragione che vi portarono industrie arretrate; oggi vi sono insediamenti avanzati, vi è stato un mutamento di motivazione di quel ribaltamento dello sviluppo. Cioè, è in gioco un rapporto che l'Europa, soprattutto se vi sono forze riformatrici capaci di portare avanti questa politica, può stabilire in termini ben diversi dalla tradizionale politica di potenza che sino ad oggi ha caratterizzato i rapporti nel mondo.
A questo siamo interessati, anche perché vi sono processi concreti di riconversione industriale. E se è stato fatto il Frejus, bisogna dire che se noi abbiamo osteggiato allora quella scelta, perché semmai vi era un traforo da fare bisognava farlo in modo più equilibrato a sud e per delle motivazioni di risorse non sufficienti, comunque non abbiamo mai negato un rapporto corretto con l'Europa, pur dicendo che prima il Piemonte doveva stabilire un rapporto con tutto il meccanismo di accumulazione nazionale.
Ecco perché, oggi, questi progetti li abbiamo ereditati e li abbiamo in qualche misura rifinalizzati. Quando dimostriamo che l'asse Voltri-Sempione è un asse di sviluppo, non ricordiamo soltanto la questione delle strade o delle autostrade o del piano delle ferrovie: ricordiamo questioni molto più importanti, cioè che sono assi di sviluppo che devono tendere a rendere concorrenziali le aree nord-occidentali con altre aree di sviluppo anche mediterranee, non solo del nord Europa ed in particolare della Francia.
Se non ci sarà questo sviluppo che convoglia tutta l'Italia non verso l'Europa, ma che ribalta l'Europa verso il Mediterraneo (e non è un gioco di parole, ma va intesa profondamente in questo senso), non ci saranno i porti come Genova, Napoli, non ci sarà il Mezzogiorno, e continueremo a piangere su questa realtà, dimostrando che è tutto inutile. Questa mattina ho sentito cose infami sul Mezzogiorno, dalla radio francese, che sono infamanti per lo stesso Presidente di quella Repubblica: "Guardate, sono incapaci di tutto".
Questa è la politica dell'assistenza per il Mezzogiorno, che noi non accetteremo, perché è una politica che tende a renderci subalterni politicamente. Siamo interessati per questo al discorso che ha fatto Enrietti su alleanze più larghe delle sinistre: solo queste forze hanno oggi una legittimità in Europa, non certo quelle del neoliberismo. E' in questo senso che vediamo lo sviluppo di Torino: esso non è contro il decentramento; si tratta, però, di mettere in moto uno sviluppo metropolitano che, lasciato a se stesso, finirebbe per avvenire in modo irrazionale. Lo stesso vale sulla questione dell'indotto: l'indotto perch è qui? E' qui perché c'è la Fiat, ed ecco che arrivo al tema della grande impresa. Se non c'è questo, il decentramento implica spese; dentro la realtà di Torino bisogna spendere, se si vuole decentrare, ingenti somme altrimenti non si garantisce la vita di questo polo e la possibilità del riequilibrio complessivo. Quando parliamo dei rapporti territoriali ricordiamo che si tratta non solo di affrontare il piano delle strade, ma il piano delle ferrovie, i 12 mila miliardi - non c'è terremoto che tenga! nel sud: bisogna approvarlo perché questa è la condizione per creare uno sviluppo nel sud, così come quello dell'economia marittima.
Collega Martinetti, sai quanto ci siamo battuti, anche noi, nel Comprensorio, di fronte a te, sulla questione dei porti liguri: ciò che ambirei sapere è se verrà approvato il piano dell'economia marittima, già pronto al Parlamento; se davvero il piano Voltri-Vado va avanti.
Certo, ci vorrà un'autostrada e la ferrovia andrà migliorata, ma se poniamo il problema per metà, solo riguardo all'autostrada, non soddisfiamo l'esigenza nel suo complesso, ma solo per l'aspetto della sicurezza del traffico, che è importantissimo, ma che è minore.
Dobbiamo, allora, batterci insieme e questa sollecitazione deve uscire dal programma della Giunta come indicazione generale. Non conta nulla il Frejus, né l'asse Voltri-Sempione, se non c'è prima il piano delle ferrovie ed il piano dell'economia marittima; se il sistema integrato dei porti non diventa una specie di nuova Rotterdam del Mediterraneo, non ci sarà lo sviluppo; non attireremo qui, in Italia, nel Mediterraneo, lo sviluppo con il Terzo Mondo.
Ma quando parliamo del rapporto Piemonte - Europa - Mezzogiorno non ci riferiamo solo ad un disegno territoriale, pure indispensabile: guardiamo ai problemi generali presenti e, in primo luogo, ad un dato dominante di questo rapporto: crisi della grande impresa. Ci sono elementi organizzativi di questa crisi ed elementi economici.
Non riprendo tutto quanto è stato detto dal compagno Guasso, nel suo intervento, che mi pare ampio e fa ancora testo per la ricchezza di contenuti.
Vorrei richiamarmi alla conferenza Fiat per associarmi al giudizio espresso sul ruolo della Regione, nella vertenza Fiat.
La Regione non ha sposato la politica del Partito Comunista: si è schierata rispetto ad un problema, lasciando autonomia, come deve avere ogni partito politico e mi pare che le cose che sono state fatte qui, non aggiungo nulla, sono le cose che hanno dimostrato come un obiettivo sia stato conseguito.
Quello del "no" ai licenziamenti; non sottovalutiamo, poi, i prezzi pagati, nella lotta, da noi, prezzi pubblici, in quanto siamo una forza politica ed i problemi della questione sindacale che riguardano tutti anche i colleghi democristiani.
Ma quella lotta e quella vicenda dimostrano un dato inoppugnabile che ci deve vedere protagonisti qui, sulla questione Piemonte - Europa: la crisi della grande impresa è innanzitutto una crisi di potere, di riassetto delle classi dominanti - come ci ricordava Minucci, che in tutti questi anni ha continuato a riproporci, spesso inascoltato in questo Consiglio questo tema - che si presenta come crisi di egemonia. La Fiat, se non fa sempre bene le auto fa sempre politica e non vi è affatto una sottovalutazione, né nostra né nella maggioranza, rispetto a questo problema. Collega Genovese, hai fatto bene a ricordarlo e a richiamarci.
Anzi, siamo di fronte ad un interrogativo a cui troppo spesso il vostro partito, la D.C., ha creduto di avere, legittimamente anche qui, con grande dignità, la risposta pronta, con la lode dell'economia sommersa, anche corredata, a volte, dallo stesso Partito Repubblicano e da altre forze politiche.
Ma alla domanda: "oggi, chi sostituirà la grande impresa nella guida dello sviluppo?", siamo in grado di rispondere? Dice qualcosa questo programma? A me pare di si. Quando ci chiediamo chi sostituirà la grande impresa, il suo ruolo abnorme di deus ex machina di demiurgo incontrastato di uno sviluppo distorto per decenni - perché di questo si tratta in primo luogo - noi rispondiamo che non siamo certo disattenti alle esigenze specifiche della grande impresa.
Neppure possiamo immaginare che senza grandi imprese il nostro Paese tenga il passo dello sviluppo, ma questo è il momento di un forte rilancio della programmazione democratica, proprio perché viva quel "pluralismo" economico che sta a cuore a tanti nella maggioranza e in questo Consiglio pluralismo che non è mai esistito perché la grande impresa ha deciso sempre per tutti.
E' proprio la risposta a questo interrogativo che ci riporta non solo all'esigenza della programmazione, ma al problema della direzione politica del blocco sociale e politico che dovrà guidare la ripresa dello sviluppo.
Noi non abbiamo nessuna intenzione - lo ribadiamo anche come lealtà Presidente Enrietti, nei confronti della maggioranza - di manifestare un atteggiamento punitivo, di rivalsa nei confronti dei problemi oggettivi della grande impresa. Noi affermiamo solo che queste questioni non possono essere risolte senza un mutamento profondo nelle relazioni industriali e nei rapporti sociali e politici.
In questi ultimi anni l'espansione dell'industria si è avuta certamente come ricordava ieri il collega Genovese - fuori dal ruolo delle grandi imprese e delle produzioni primarie: è il caso di una parte importante dell'industria meccanica, dell'abbigliamento, del tessile. Nel crescere del decentramento produttivo c'è stata anche, ma non solo, una risposta alle difficoltà finanziarie ed organizzative della grande impresa. Questo decennio, però, che inizia, e questa legislatura che si apre con il nostro programma, ci lascia un quesito molto semplice e chiaro, un problema di scelta politica - la programmazione - e finanziaria.
Il rapporto della nostra Regione con l'Europa sta qui, sul tema della grande impresa: è il problema della collocazione nella divisione internazionale del lavoro e del bilancio regionale, nord-sud e dell'occupazione. La crisi della grande impresa - che non è solo l'automobile, ma è l' industria di base, la chimica, la metallurgia e le difficoltà delle partecipazioni statali - penalizza al massimo il Mezzogiorno.
Sono queste, oltre ai problemi nuovi dell'auto e dell'elettronica, le penalizzazioni dell'economia italiana complessiva all'interno dell'Europa e della divisione internazionale del lavoro.
In un'economia, poi, a forte integrazione internazionale come quella del nostro Paese - basta guardare la struttura del commercio con l'estero che riproduce bene lo spaccato dell'industria italiana sul piano settoriale, istituzionale, finanziario e territoriale - lo sviluppo è nell'industria manifatturiera propriamente detta, che ha una sua maggiore concentrazione nella Valle Padana; la crisi è nell'industria di base, che è essenzialmente nel Mezzogiorno e nel problema delle partecipazioni statali.
Quali soluzioni? Noi non siamo d'accordo, e mi pare lo dica il programma, con un'impostazione che è andata avanti negli ultimi tempi ossia la tendenza di uno sviluppo "padano" decentrato nelle imprese minori sostenuto con finanziamenti indiretti e riduzioni contributive fiscali abbondanza di credito e servizi, associato ad un disimpegno nel campo delle partecipazioni statali e delle grandi imprese, che vede compensata con forti sostegni assistenziali la conseguente caduta di occupazione nel Mezzogiorno. Il nostro non è un Paese che possa tenere tanta parte dei lavoratori a cassa integrazione: primo, perché non ne ha i mezzi, secondo perché si creano dei disguidi tremendi anche negli indirizzi, nei problemi del lavoro, nella qualità della vita, nella stessa democrazia.
Sarebbe, pertanto, se questa fosse la soluzione, un incrocio fra assistenzialismo cattolico e di vecchio stampo e capitalismo concorrenziale. Noi siamo per un'altra proposta. Siccome ne derivano dei quesiti concreti, se così facessimo ipotizzeremmo una divisione internazionale del lavoro nella quale un Paese come l'Italia, che dispone solo marginalmente di materie prime e di fonti energetiche, non dovrebbe sviluppare in limiti corretti le produzioni e le tecnologie di base facendo così crescere di una quota ancora più grande la parte inevitabilmente passiva di una bilancia commerciale già aggravata delle importazioni primarie, trasferendo all'estero una quota significativa di occupazione e di cultura industriale.
In secondo luogo vi sono dei salti tecnologici in atto che hanno un effetto diretto ed indiretto su tutta l'industria e sulla stessa struttura dei servizi. Il possesso di queste tecnologie è una chiave per lo sviluppo.
Non so se sbaglio, collega Simonelli, ma dimmi tu, quando interverrai se ho capito bene che cosa c'è in sintesi nel nostro programma. Il rapporto Piemonte - Europa nel quadro nazionale che noi proponiamo, significa una politica che si muova da un lato nel confronto tecnologico internazionale impegnando le risorse materiali e culturali accumulate nelle partecipazioni statali e nelle grandi strutture industriali e, dall'altro, mettendo avanti e potenziando le doti della piccola e media impresa, di quella che chiamiamo "cultura industriale padana".
Cosa abbiamo chiesto alla Fiat, che cosa abbiamo chiesto alle partecipazioni, che cosa ha fatto fino a ieri Alasia rispetto al credito per l'indotto? Questa è una mediazione, è la chiave per una soluzione certo complessa del rilancio dello sviluppo, non limitato a quest'area o a quelle nord occidentali, ma che, essendo alternativa alla politica di assistenzialismo e ponendosi all'interno di una politica europea, è un contributo che si dà a livello nazionale.
Emerge, poi, un altro aspetto, proprio qui, nel cuore dello sviluppo industriale e di questa questione, del rapporto Piemonte - Europa Mezzogiorno: l'agricoltura, strategica quanto l'industria. Questo è un problema che non riscopriamo da oggi, anche perché nel campo delle relazioni internazionali vede, al di là delle rivendicazioni specifiche, e dei problemi sociali che crea, dei problemi di reddito, della questione delle colture, pone una questione immediata. In Piemonte, per la sua specificità ci troviamo di fronte ad un complesso, per la stragrande maggioranza, di piccole e medie imprese vitali di coltivatori diretti struttura che si è consolidata nel corso degli anni.
Noi non possiamo pensare di annullare tutto questo a favore di chissà quali concentrazioni o grandi imprese che sarebbero assistite; abbiamo bisogno di rivendicare qui, nel cuore dello sviluppo industriale, l'altra questione motrice che è l'altra grande impresa, l'agricoltura, per le ragioni territoriali, di ricchezze ed anche di competenze, di capacità. Qui c'è una situazione drammatica che travalica la Regione ed impone una politica europea.
Dobbiamo fare la nostra parte anche nei rapporti con l'Europa, con i regolamenti, cercare di forzarli, di dare tutte le soddisfazioni possibili e cercare più investimenti per questo settore. E' importante anche sapere che, se non c'è una forte spinta nostra assieme alle altre Regioni, perch muti un atteggiamento tradizionale, contraddittorio - questa è una delle grandi contraddizioni interne alla D.C. - rischiamo anche che sul piano agricolo-alimentare che presenta la Francia, integrato con altri tre Paesi andranno decine di migliaia di miliardi progressivamente, nei cinque anni prossimi della CEE ed il Consigliere Lombardi continuerà a prendersela con l'Assessore Ferraris, ma non ne potremo niente: sarà una questione, invece che riguarderà tutti, un indirizzo, un punto di incontro, poi ci saranno politiche di gestione specifiche su cui ognuno potrà fare i propri rilievi.
Infine, dico solo due parole sulla questione del terziario, sulla sua funzione per il rilancio dell'industria, proprio perché il settore produttivo, complessivamente anche la stessa agricoltura, tenga il passo con la sfida tecnologica, quindi il problema del ruolo della ricerca dell'università, delle risorse umane, di questo capitale immenso che abbiamo nella nostra regione. Di questo credo discuteremo in occasione dello stesso rapporto dell'Assessore Ferrero in questo Consiglio. Voglio solo notare, su questo punto, che si apre anche qui un terreno più avanzato per il confronto sui temi del pluralismo, del ruolo delle associazioni della vasta trama democratica presente nella società civile della nostra regione.
E' partendo da questa realtà che, forse, occorrerà un'iniziativa della Regione che puntualizzi le realizzazioni ottenute e dei processi formativi e, al tempo stesso, che ridefinisca nel confronto con le forze sociali, la funzione ed i contenuti dei processi formativi, in senso generale, a partire dalla stessa scuola di base. Questo è determinante in una fase complessa di crisi come la nostra, è una delle scelte strategiche.
In tal senso pensiamo ad una nuova tappa - anche da parte di questa Regione che ha posto nello Statuto, come prioritaria la questione del Mezzogiorno - della politica meridionalista, in quanto politica nazionale ed europea. Il Mezzogiorno ha bisogno di interventi speciali e straordinari, non lo neghiamo, e non solo per la questione della catastrofe che si è abbattuta in quelle zone e che ha evidenziato una realtà, forse poco conosciuta, al complesso del Paese. Dicendo quali e quanti guasti ha provocato un certo sistema di potere che continua ad imperare ed un certo modo di concepire la pubblica amministrazione. Ha soprattutto bisogno di una politica nazionale, di una programmazione nazionale; di avere, prima che interventi straordinari, leggi e programmi nazionali che siano elaborati e gestiti con spirito meridionalistico.
Vi sono sistemi di imprese, nuove forme di integrazione, magari disorganiche, magari con gli investimenti localizzati in posti non adatti ma ci sono stati comunque 30 mila posti di lavoro creati da un moto complessivo che, se non è stato sempre strappato da un intervento straordinario, è venuto anche dal movimento operaio, dalle lotte popolari e dall'intervento culturale di altri partiti.
Ma, allora, abbiamo ancora bisogno di un intervento straordinario? Probabilmente per ricostruire sì, ma questa politica rimane giusta perch il Mezzogiorno non ha bisogno di una cassa che ogni tanto eroga qualche cosa o che disperde in mille rivoli; ci vuole una programmazione nazionale e qui dobbiamo dare un contributo con idee-forza, nostre ed anche con tentativi che non siano certo velleitari, di un'impostazione generale della programmazione che sia gestita con uno spirito meridionalistico.
La questione meridionale degli anni '80 vuol dire questo; se non c'è un regime corretto per gli incentivi dell'industria in tutta l'Italia continua ad essere una farsa il dire: "51 % di qualunque cosa al Mezzogiorno". Bisogna sapere come, cosa e perché. Se non siamo in grado di avere un rapporto politico diverso ed una capacità di governo di altro tipo, a partire dalle Regioni per arrivare al Governo nazionale, allora si continui pure con la politica degli incentivi in questo modo e della cassa speciale. Noi siamo contro. Qual è il messaggio che diamo al Mezzogiorno rispetto al nostro Statuto? In Piemonte abbiamo la coscienza di avviare un'esperienza che non vogliamo certo portare come esemplare a tutto il Paese, con questa maggioranza, ma che ha il carattere di alternativa, che ha superato delle barriere anche tra le forze politiche di maggioranza su impostazione di programmi che ci ha fatto crescere tutti.
C'è una volontà di partire dai problemi, dai processi che abbiamo di fronte senza preclusioni. Per questo c'è già la garanzia di lavorare e di offrire alle stesse opposizioni la possibilità di confrontarsi e di dare il loro contributo per questa nuova tappa, nostra, della politica di programmazione verso il Mezzogiorno.
Esiste, poi, una questione ulteriore sul tema della programmazione, il rapporto tra Stato - Regioni, centro - periferia. E' una questione complessa - credo che su questo interverrà il compagno Valeri - ed è connessa proprio allo sviluppo istituzionale ed al consolidamento ed alla revisione di certe esperienze, Voglio solo soffermarmi su una proposta brevissima, quella che riguarda la Provincia. Non credo, collega Vetrino Nicola, che ci si un protocollo di intesa fra Regione e Province: c'è una richiesta proposta dalle Province alla Regione che deve essere esaminata.
Tutti ne hanno parlato - ed io mi riconosco in quegli interventi - del ruolo importante del Comprensorio, che ha creato questa cultura della programmazione. Dico anche che ci sono problemi nuovi, non per anticipare la riforma nazionale, ma certo è che se la nuova Provincia (nuova intesa nel senso che uscirà dalla legge di riforma) dovrà avere questi poteri.
Credo che, sin da oggi, per il miglior funzionamento della macchina nazionale bisognerà assegnarle noi dei poteri di gestione: tutta una serie di questioni che riguardano i piani delle Comunità montane e gran parte dei compiti attribuiti al CUR. I funzionari politici delle Giunte, degli Assessori, delle maggioranze, delle opposizioni, controllino, siano in grado, pur lavorando nel Comprensorio, di alleggerire la stessa opera della Regione. Mi pare che su questo sia necessario andare ad una riflessione come esigenza, che vuol dire utilizzare del personale delle risorse che sono o inutilizzate, competenze che si affievoliscono nella stessa Provincia.
Sotto questo aspetto è altrettanto vero che c'è un problema del Comprensorio di Torino di fase costituente e di gestione. Abbiamo idee diverse come forze politiche, ma si tratta di vedere ciò che è più utile e ciò che lo è meno. Anche qui credo si misurerà la stessa capacità della Giunta e della maggioranza di confrontarsi con il Consiglio.
Il Piemonte è una Regione che ha un'attività legislativa quindi alcuni strumenti che sono a disposizione della Giunta dovrebbero essere al servizio dell'attività legislativa dello stesso Consiglio.
Detto questo, il problema della programmazione pone per noi il quesito: "con che forze facciamo il discorso sull'unità della sinistra?".
Non ci sono solo le forze politiche, io credo ci siano anche delle forze sociali. Il problema della programmazione ha anche una proposta politica in questa fase, su questi contenuti, sulla filosofia di questo programma, per aggregare forze politiche che sperano ancora in una trasformazione.
E' anche da questa politica di aggregazione che parte la questione morale, su cui tu, Enrietti, hai detto cose che io condivido pienamente che non voglio riprendere se non per un aspetto politico e strutturale. La generalizzazione della corruzione e del malgoverno non dipendono da una personale disposizione negativa degli amministratori alla disonestà dipendono da tante questioni, anche dal modello di funzionamento dello Stato, dell'Amministrazione pubblica che si è venuto creando, non solo in Italia, ma che da noi è avvenuto con modalità un po' particolari.
Quando la centralità socialista, la questione socialista, parla di una grande riforma (se è su questo che si intende andare ad una discussione) su questioni di riforma istituzionale profonda, che dia non il risanamento, ma che permetta ai partiti di svolgere il loro ruolo; alle istituzioni un altro tipo di riferimento, di governo e di interesse generale; ai sindacati di avere la loro autonomia, di non essere assorbiti gli uni negli altri noi siamo pienamente d'accordo.
Allora crediamo che la questione della moralità è così politica che siamo convinti che la trasparenza, la professionalità, il controllo democratico delle assemblee siano determinanti per sconfiggere la corruzione. Ma debbono sapere gli onesti, di cui ha parlato Enrietti, che la corretta amministrazione come obiettivo tutt'interno all'attuale modo di gestire il potere, è irrealizzabile, perché in questa "corretta amministrazione" vi sono già gli elementi di eversione rispetto a quel sistema di potere; se si amministra correttamente si cambia, si riforma lo Stato.
Tutto questo si riflette anche sulle esperienze di partecipazione e sulle forme nuove di democrazia che sono fiorite nell'ultimo decennio. Io credo che c'è stato troppo assemblearismo, perché non si può governare sempre in un'assemblea permanente, perché vi sono dei problemi di mutamento. Lo verifichiamo nello stesso sindacato e nei consigli di fabbrica - per dire una delle conquiste più complesse e più alte del movimento democratico ed operaio -, ma pesa anche il voto di una prospettiva. Pesa anche una questione più profonda: a me sembra che l'esperienza di questi dieci anni dimostri che non è possibile concepire nuove forme di democrazia e di partecipazione se non come base di un potere democratico effettivamente innovatore, in cui il controllo non sia qualcosa strappato dal basso, ma sia partecipazione e concorso alle decisioni.
E' il tema vecchio di chi decide, di chi conta, e di come si decide e per converso, dell'altra realtà, ossia chi resta "cliente" non partecipa non decide, non conta.
Scaturisce, quindi, come punto cruciale di questa legislatura il metodo di governo, il grande rigore, il maggiore possibile. L'efficienza più difficile non è certo solo questa della pubblica amministrazione, ma, per noi Regione, è la legislazione. E' l'attenta riflessione su fatti oggettivi che portano la Regione ad essere costretta sempre più, anche dal Governo nazionale, per una complessità di fatti, a divenire un'agenzia di spesa di qualche Ministero.
Qui è in gioco il disegno complessivo della rappresentanza e dell'autogoverno: dobbiamo saper rispondere, su questo terreno, come compito primario della maggioranza; certo, con il concorso e la collaborazione di tutti. Questo programma non è tutto, ha una sua filosofia che può essere limitata od errata; non abbiamo forse saputo produrre di più in questa fase.
Io credo che bisogna tener conto di tutti i contributi e suggerimenti che vengono, però c'è un nodo sostanziale del programma che al nostro partito piace, anche se andrà meglio riordinato, in cui ci ritroviamo pienamente: noi, come sempre, non rifiutiamo il confronto, come giustamente ha detto Enrietti, con nessuno, anzi, lo ricerchiamo con tutte le forze su specifici problemi.
Questo è l'atteggiamento che abbiamo nei confronti del Partito Repubblicano, a cui probabilmente ci unisce, al di là delle polemiche della collega Vetrino Nicola; ci unisce, attraverso una lunga tradizione di dibattito e di confronto, con il P.L.I., che dà sostanzialmente un suo contributo e si colloca all'opposizione anche perché non condivide una visione generale delle prospettive più ampie che ci sono nel Paese, anche se a livello locale non rifiuta di avere un confronto e di far parte anche in qualche caso, di qualche maggioranza di sinistra, il che è positivo.
La D.C. ha in Piemonte delle radici popolari di massa assai vasta nessuno lo deve dimenticare; siamo convinti che all'interno della D.C.
nell'area di influenza di questo partito, nelle organizzazioni che direttamente o indirettamente ad essa fanno riferimento, vi siano forze consistenti che sentono come proprio un obiettivo di trasformazione, di cambiamento: crediamo che questo obiettivo non corrisponda solo ad una nostra logica di partito di maggioranza, ma agli interessi profondi di tutta la comunità regionale, in una regione chiave, come questa, del Paese.
Io capisco la questione posta dalla Presidenza del Consiglio e non è per ripicca che, a nome del mio partito, insieme ad altri partiti, ho sottoscritto quel documento con cui vi è stato risposto, credo in modo non settario, ma intelligente, su cui ognuno dovrà riflettere.
C'è una cosa che io non devo rimproverare agli altri perché dobbiamo guardare noi stessi e star bene attenti ognuno di noi a ciò che fa, e di corrispondere all'elettorato: mi posso sbagliare, ma qui è mai venuta avanti una proposta di maggioranza alternativa? Io ho l'impressione - e lo dico proprio con il cuore aperto, collega Paganelli che tutta la tendenza della D.C. dopo le elezioni dello scorso giugno sia stata quella: "fate qualunque Giunta, purché non con il P. C. I.".
Questa è una discriminazione che non corrisponde più ai tempi; è una questione, quella comunista, che va ben più in là dei problemi che ci pongono i compagni socialisti quando qualche volta vogliono farci diventare laburisti, sapendo che è difficile per tutti essere laburisti oggi. Quindi è per questo che noi vogliamo verificare più a fondo e più a lungo, e il dibattito continuerà in questi anni.
So comunque che se vogliamo battere la sfiducia che serpeggia fra vasti strati dei cittadini nei confronti della politica dei partiti e delle istituzioni, non è più tempo di piccole meditazioni e di facili ammiccamenti.
La politica deve tornare ad essere la leva fondamentale, i cittadini la devono vedere come tale, per governare e per cambiare la nostra Regione e dare un contributo al Paese.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Nella divisione del lavoro, nel nostro Gruppo, a me compete trattare alcuni argomenti di particolare interesse per il nostro partito. Ho colto dagli interventi di ieri lo spunto per alcune considerazioni politiche.
Ci troviamo a leggere le cartelle del programma della Giunta, mentre giungono sul tavolo del Consiglio alcune problematiche di tipo più generale: la polemica sulla Presidenza; la polemica sull'entrata dei socialdemocratici in Giunta; le considerazioni che forze politiche fanno su altre forze politiche, in questo consesso.
Sul problema della Presidenza un passo significativo in avanti l'ha fatto ieri la D.C., nell'intervento del collega Genovese quando giustamente ha detto che la Presidenza da parte di un partito non di maggioranza non è una garanzia delle minoranze. Noi stessi sosteniamo che la garanzia delle minoranze è nello Statuto, nel Regolamento, in noi stessi, soprattutto nel rispetto reciproco, perché sono convinto che, da Montefalchesi all'estrema destra, chiunque fosse chiamato ad assumere la poltrona presidenziale, la gestirebbe nel modo migliore.
In questo senso, dobbiamo esprimere il più ampio apprezzamento al Presidente Benzi che ha gestito la carica in questi mesi difficili assumendo posizioni coraggiose ed innovative in tono molto modesto, senza assumere posizioni pretoriane, ma risolvendo alcuni problemi che altre persone più pretoriane non hanno mai affrontato. Anche in ordine all'immagine delle istituzioni, il problema della Presidenza del Consiglio dovrà essere affrontato con un'iniziativa politica.
E' stato richiamato anche il problema di carattere nazionale. L'amico Genovese, che stimo molto, ha anche richiamato la questione in termini impropri, in ordine al nostro rapporto con i sindacati. Si è voluto riproporre il trito argomento che noi saremmo stati esclusi dalla coalizione governativa dal P.S.I., mentre vi eravamo chiamati a pieni titoli e a piena voce dalla D.C.
A me pare che così non sia. La proposta politica lib-lab che il collega Zanone ha maturato probabilmente su questi banchi, a noi sembra che sia una direttrice di tipo culturale e politico a lunghissimi termini e a lunghissimi tempi. E' soltanto dalla maturazione delle forze laico-liberali e socialiste nel Paese, dalla loro crescita, dalla loro comprensione, ma non dalla loro identificazione in formule di potere e di governo, che probabilmente emergerà la chiave per uscire dalla stortura storica del Paese che non è ancora riuscito ad esprimere delle democrazie e dei suoi momenti effettivi.
Ricordiamoci che democrazia nell'accezione moderna non è soltanto voto e governo di popolo, ma è soprattutto alternanza. Nella specialissima democrazia italiana, l'alternanza non sarà ancora l'alternanza di un gruppo rispetto ad un altro, ma sarà l'alternanza all'interno di un gruppo. Allora ci sembra che l'alternanza lib-lab nell'ambito delle forze che si riconoscono in questo sistema di società, probabilmente sarà il momento di maturazione dell'intuizione culturale di Zanone.
Se così è vista la prospettiva di lungo termine di maturazione reciproca di tipo culturale, a me pare che se qualcuno ha cercato nella crisi governativa di fermarne il processo, è stata proprio la D.C., perch ha voluto, da sinistra rigettare indietro questo fenomeno e ha voluto stigmatizzare come da un rapporto privilegiato (P.S.I. - P.S.D.I.) dovesse nascere necessariamente un nuovo rapporto privilegiato D.C. - P.L.I.
A noi sembra che questo modo improprio di porre il problema da parte della D.C., abbia giustificato la reazione del P.S.I.
Questa mia interpretazione è personale e non deve assolvere qualche personaggio socialista da atteggiamenti che ci ricordano la tendenza a diventare qualcosa tra un micado bianco o un ayatollah laico. Non siamo mai stati subalterni del partito democristiano e non saremo subalterni del P.S.I.
Non facciamo del nostro rapporto con il P.S.I. un problema di collocazione in maggioranza e in governo, ma un problema complessivo di maturazione della società laico - liberale - democratica.
Sul problema del P.S.D.I. che entra in Giunta, mi tocca personalmente chiudere una premessa assunta con i socialdemocratici nei mesi estivi quando si intravedevano le ipotesi di una maggioranza laica. In quell'occasione ebbi a dire, a nome del mio partito, e lo riconfermo, che ringraziavamo il P.S.D.I. degli sforzi che aveva fatto per far maturare un'ipotesi politica nuova, che avremmo pubblicamente dato atto di questi suoi sforzi e di questa sua volontà e che non avremmo sollevato steccati qualora le contingenze politiche, la realtà delle cose e degli uomini avessero portato a soluzioni di tipo diverso. La soluzione di tipo diverso è avvenuta; c'è una Giunta ed una maggioranza, che ci trovano all'opposizione, quindi costruttivamente critici. Quanto meno la maggioranza, questa volta, si è costituita forse un po' sulle spalle degli elettori, ma in termini politicamente più corretti di quanto non sia avvenuto nel passato. Questo fenomeno non può che essere considerato positivamente.
Farò alcune considerazioni rapide su notazioni curiose che compaiono nel programma. Vorrei soltanto chiosare per un momento l'intervento del neo Assessore Cerutti. Sarebbe opportuno che ci avvicinassimo tutti con molta modestia alle questioni del programma. L'accettazione nel programma della linea europea, della linea energetica e della linea delle grandi infrastrutture non può essere soltanto la conseguenza dell'entrata del P.S.D.I. in Giunta. Probabilmente c'è sotto qualcosa di più profondo che deve essere analizzato in termini più compiuti. Non è certamente il P.S.D.I. che entrando in Giunta ha determinato il P.C.I. a fare un certo tipo di scelte e di acconciamenti.
Si rassicuri la collega Vetrino Nicola che né io né Bastianini non abbiamo né il fisico né la voglia di diventare i Torchemada (ricordiamo che Torchemada era un personaggio dell'Inquisizione che è diventato famoso per le invettive che La Malfa ebbe nei suoi confronti). Non ce ne voglia se il nostro Segretario ha ritenuto di chiamare i cittadini a farsi protagonisti di questa campagna moralizzatrice. Abbiamo ascoltato la lezione con molta umiltà, noi e i socialdemocratici abbiamo avuto il privilegio della sua attenzione quindi promettiamo di essere più buoni in futuro.
Nel programma esistono delle "licenze verbali". Una di queste è quella in cui si dà atto che il programma è della maggioranza e non della Giunta (il problema istituzionalmente è delicato perché il programma è stato scritto dalla maggioranza e viene presentato dalla Giunta). E leggiamo che il programma è la conseguenza della consultazione della maggioranza o della Giunta con alcune centinaia di rappresentanti dei Comuni e degli Enti locali.
Mi chiedo: dove va a finire la centralità del Consiglio se nei rapporti con la periferia e con gli Enti locali avviene questa divaricazione di funzioni tra la Giunta ed il Consiglio regionale? Se la collettività ha la necessità di esprimere le proprie esigenze, a mio avviso, deve trovare come interlocutore l'istituzione regionale.
La consultazione privilegiata e settoriale della Giunta e della collettività, istituzionalmente non è corretta, soprattutto contrasta con la dichiarazione della centralità del Consiglio che qui viene ripetuta ogni giorno.
In qualche espressione si richiama la funzione della Regione come baluardo della democrazia. Il baluardo è una cosa chiusa verso l'esterno la Regione non deve essere chiusa, ma deve essere un veicolo di democrazia aperto all'esterno.
Peraltro, nella pagina dove ho colto queste espressioni, comincia ad emergere il nodo politico del programma. Sembrerebbe che questa maggioranza riconosca i limiti dell'esperienza dei cinque anni precedenti.
Tanto varrebbe riconoscerlo in termini espliciti. Esistono altri messaggi cifrati in questo programma che ritengo di sottolineare. Sono, per esempio, quello preoccupante dove si dice che bisogna rilanciare la cultura esistente nei ceti produttivi del Paese. Secondo me, la cultura esiste dappertutto, non solo nei ceti produttivi (tra l'altro è difficile trovare dei ceti non produttivi). Sottolineo questo fatto perché lo utilizzerò come argomento di valutazione complessiva del comportamento del P.C.I. Si dice che la cultura dei ceti produttivi sarebbe stata "soffocata ed impedita dal dominio di uno sviluppo economico accentratore e distorto": anche questo linguaggio non è occasionale. E' significativo e va soppesato.
La contrapposizione tra la vecchia società distorcente e compromettente e quella nuova che vede la più grande partecipazione dei cittadini al governo deve essere letta più a fondo e vedremo di farlo a conclusione dell'intervento.
Mi pare debba essere respinto, perché non completo, il giudizio che si dà sulle ragioni che hanno determinato (augurandoci che lo abbiano effettivamente determinato) il contenimento del fenomeno terroristico. Un documento che ignori l'apporto della Magistratura ed evidenzi soltanto quello delle forze dell'ordine e la saldezza delle forze morali rivela una carenza che attribuisco ad errori del proto o a leggerezza di scrittura certamente non alla volontà di chi ha elaborato il documento.
Ritengo che le forze politiche regionali dovrebbero riflettere sulla riforma degli Enti locali che attribuisce alle Province funzioni di programmazione. Non vorrei che per pressappochismo si finisca per cavalcare un cavallo che probabilmente sfuggirà di mano. Quando ci sono le vedove in casa si dice che bisogna che facciano qualcosa, che trovino un'occupazione un amico o qualcuno da allevare: il problema della Provincia mi pare venga visto con quest'ottica.
Suggerirei ai colleghi di riflettere su come si possa conciliare il fatto che la Regione programmi nell'ambito delle proprie competenze, per nello scafandro di una legge nazionale che attribuisce alla Provincia compiti programmatori.
Esprimiamo un giudizio positivo su quanto hanno fatto i Comprensori anche se ci rendiamo conto che nel "de profundis" pronunciato dal P.C.I.
con la legge che ha presentato in Emilia Romagna, si parla di abolizione dei Comprensori.
Indubbiamente questo indica un ripensamento.
Al paragrafo 18 viene sottolineata (mi spiace che l'opposizione democristiana non l'abbia rilevato così come puntualmente ha "centrato" la delibera sull'informazione) la necessità della capacità dell'organo di governo di informare sulla propria azione la collettività regionale. Questo è uno degli argomenti su cui la Giunta ci troverà estremamente critici fermi e rigorosi. Pensiamo che dietro a questa logica ci sia una non sufficiente maturazione. Il giornalismo si fa con le notizie, non con le veline, con la censura. Ci sembra difficile far maturare in questo modo un maggiore apprezzamento presso l'opinione pubblica di quello che viene attraverso la libera stampa e il libero dibattito. Non lasceremo passare questa impostazione che sa tanto di Minculpop di non dimenticata memoria.
Il collega Genovese mi solleva dal richiamo su una grossa contraddizione, quando si dice di voler rilanciare il Piemonte come area forte. I comunisti, la Giunta e la maggioranza non avrebbero dovuto illustrarci il perché di questa scelta. Questa scelta l'hanno abbandonata anche loro per cinque anni. Se questo è stato il patrimonio della cultura politica piemontese italiana e, in una certa misura, anche europea, come mai si è abbandonato questo disegno? Su questo, in chiusura di intervento farò una considerazione a titolo personale.
Veniamo ai capitoli del bilancio, scritti dai diversi Assessori e che avete assemblato senza un coordinamento finale.
La sanità e l'assistenza sono argomenti che abbiamo trattato nei dibattiti relativi, quindi ci sarà facile ricordare quanto abbiamo detto in quel momento. Abbiamo apprezzato il rapporto sullo stato della sanità in Piemonte fatto dall'Assessore Bajardi. Siamo impegnati in questo grosso lavoro legislativo, organizzativo e programmatorio, dopo di che la Regione lascerà alla collettività un'eredità purtroppo irreversibile poiché il potere delle U.S.L. sarà totale e quindi è, ora, nostra responsabilità individuare protagonisti attrezzati giuridicamente, finanziariamente e tecnicamente.
Giudicheremo quanto verrà fatto dall'Assessorato e sarà nostro impegno affinché i presupposti, tipicamente liberali, che abbiamo cercato di rilanciare nella polemica sulla riforma sanitaria, non vengano disattesi oltre misura. Il rilancio della professionalità degli operatori sanitari e la valorizzazione della scelta del medico che dovrà essere sempre più libera come quella delle strutture all'interno ed all'esterno della Regione: ecco i presupposti per un pronto rilancio della riforma.
Ho apprezzato la consapevolezza da parte dell'Assessore, che la classe medica non è una corporazione, come era stata descritta all'inizio del documento dello stesso Assessorato, ma una classe che ha più capacità di adeguarsi al nuovo sistema che non la volontà di resistere su posizioni ormai superate.
Richiamo le critiche non tanto dettate dalla valutazione di quanto ha detto e scritto, quanto dalle domande che vengono dalla collettività e dalle risposte della Giunta, che sono sempre inadeguate. Il problema degli handicappati è visto con un linguaggio ed una terminologia leggermente di ritorno. Mi dispiace che la collega non sia presente.



PAGANELLI Ettore

Sono pochi i colleghi di Giunta presenti. Questo è grave. Questa è la centralità del Consiglio!



MARCHINI Sergio

Ringrazio i colleghi che l'hanno voluto sottolineare. Comunque rimarrà agli atti la nostra preoccupazione per un certo linguaggio arcaico che di fatto cela una non sufficiente attenzione al problema.
Si parla, in questo documento, che l'handicap ha termine quando cessano le condizioni sociali. Questo non è vero. L'handicap, che io continuo a chiamare invalidità, non cessa ma continuerà ad esistere. La società deve fare in modo che l'invalidità liberi tutte le potenzialità che l'individuo ha nella società per se stesso, nella cultura e nel lavoro, e non deve ritenerlo uno "status".
Altrettanto avviene sulle tossicodipendenze. Il considerare la tossicodipendenza come un fatto che trova la sua ragion d'essere in certe storture sociali, che determinano fenomeni di intolleranza, vuol dire isolare al di là di un muro questi nostri infelici concittadini.
Turismo. L'Assessore Moretti sa con quanta attenzione la nostra forza politica abbia seguito il suo lavoro e come fin dall'inizio abbia apprezzato il riconoscimento che il turismo nella nostra Regione ha due problematiche precise: che è un'industria e, come tale, va considerata la sua capacità di imprenditorialità e che ha la necessità di configurarsi quale spazio del tempo libero. Spazio che in una società industriale avanzata, oltretutto localizzata in una grande metropoli come Torino, deve avere il suo sbocco e la sua realizzazione.
Su questo l'Assessorato al turismo, molto ha già fatto, dotandosi di strumenti conoscitivi che la vecchia struttura governativa non aveva. Mi aspetto qualche cosa di più puntuale e di più pregnante soprattutto cercando di ridare al Piemonte, che - ricordiamo - ha il più grande "domaine skiable" delle Alpi, la sua importanza.
Il Piemonte è simile all'Austria come dimensione e come potenzialità.
Considerate che il budget turistico dell'Austria, che ha soltanto la stagione invernale, è superiore al budget italiano delle stagioni estive ed invernali. Quindi le prospettive dal punto di vista imprenditoriali non si riducono soltanto al turismo invernale.
Sui problemi della cultura è stimolante l'intuizione che ha avuto l'Assessore Ferrero che, da un lato, vuole rivalutare le singolarità e le originalità dell'espressione di cultura nella nostra Regione e, dall'altro si rende conto della necessità di portarle ad un minimo di unitarietà per collocarle in un quadro programmatorio.
Lo invito a camminare con molta prudenza perché quando si riconoscono due esigenze, in una certa misura così contraddittorie, si rischia da una parte di finire nella parcellizzazione degli interventi, che debbono dare ragione a tutto e a tutti, e dall'altra parte si rischia di arrivare ad un'eccessiva omogeneizzazione di questi fenomeni. Ricordo Astengo che nell'intervento di fine dibattito generale sull'urbanistica diceva che la caratteristica e la singolarità della Regione è la sua diversità e la sua varietà che si legge non solo nel tessuto urbanistico ma anche nel tessuto estetico.
Dietro la diversità del tessuto estetico ed urbanistico della Regione c'è una diversità culturale, che può creare qualche problema sul piano delle rilocalizzazioni industriali e dell'elaborazione di una legge urbanistica, ma che nella politica della cultura va salvaguardata con la dotazione di strumenti adeguati e non "polverizzati" come nel passato.
A questo punto farò una digressione più scolastica sul problema della formazione professionale, che riteniamo di seguire con particolare interesse. Ci sembra doveroso integrare con suggerimenti costruttivi quelle indicazioni del programma che ci sembrano insufficienti e lacunose.
In effetti, il documento, per quanto attiene alla formazione professionale, stupisce, soprattutto nella particolare congiuntura in cui si trova il Piemonte, per l'inadeguatezza delle affermazioni contenute rispetto ai problemi reali.
Si è fatto riferimento preciso alla disoccupazione giovanile, che esiste, ma non esiste come nel resto del Paese; soprattutto non è un problema esaustivo della problematica generale della formazione professionale e dell'occupazione. Quindi, in un documento di tale importanza, limitare il discorso della formazione professionale ad affermazioni generiche è una dimostrazione di non sufficiente approfondimento del problema stesso. Manca, quindi, un documento organico di programma; non c'è neanche il richiamo alla legge rinviata dal Governo e non riusciamo ad intravedere su quali linee la Regione intenderà muoversi.
Sull'aspetto gestionale di questa Giunta, sulle sue incertezze nasce un giudizio estremamente critico. Ricordiamo che a questa maggioranza e a questa Giunta comporterà predisporre gli ordinamenti didattici, gli schemi di convenzione da utilizzare con enti ed imprese, la disciplina per l'accesso al fondo europeo, la costituzione della Commissione per la formazione professionale. Ci aspettavamo che la Giunta ci illustrasse le modalità e i tempi di intervento su questi titoli. Questa incertezza d'altra parte, è venuta fuori dalla indeterminatezza con cui è stato affrontato l'accesso al fondo europeo, in ordine alla formazione professionale sulla problematica Fiat.
Il mancato approfondimento della tematica ci è sembrato un'ennesima dimostrazione come da parte di certe forze politiche, se non di qualche personaggio, si tenti di portare a casa prima il risultato di immagine esterna e poi di approfondire le ragioni dell'immagine esterna.
Fatte queste considerazioni di carattere generale, suggeriamo alla maggioranza alcuni punti operativi che dovrebbero guidare il lavoro dell'Assessore (quando ci sarà e quando verrà in aula).
In primo luogo andrà completato il quadro di riferimento normativo regionale e definito un disegno strategico di comportamenti, nell'arco della legislatura, per dare certezza soprattutto ai soggetti esterni gestori di questa complessa materia. C'è la necessità della riorganizzazione del complesso formativo regionale e di una ricerca sull'orientamento professionale in genere, che riconosciamo essere lo strumento preliminare per un'efficace azione della Giunta.
L'attuale relativa carenza di risorse non giustifica fughe in avanti o indietro rispetto alla problematica. E' esemplare l'indicazione che un grosso sforzo va fatto nei confronti della formazione professionale in agricoltura, ma questo obiettivo va considerato con un minimo di esame critico, paragonandolo ad altri settori che nella formazione professionale hanno uguali esigenze. Soprattutto non emerge dal documento della Giunta se per formazione professionale si intenda una riedizione della politica fin qui seguita, ossia una scuola parallela per non diplomati e per non laureati, oppure se per formazione professionale si intenda un contributo della cultura, della ricerca, degli Atenei regionali su una maggiore qualificazione professionale di tutti gli operatori della Regione e non soltanto dei disoccupati perché, se la formazione professionale tende a rimediare alle insufficienze dei profili professionali per l'accesso al lavoro, evidentemente non può essere un argomento unificante e omogeneizzante di tutte le iniziative.
Se così fosse rischieremmo di abbassare notevolmente il grado medio di professionalità che nella società moderna non si conquista "una tantum", ma si vive, si perfeziona di giorno in giorno.
Venendo al P.S.D.I., rileviamo che una delle motivazioni che porta alla sua adesione alla maggioranza e alla Giunta è la pretesa riconversione del P.C.I. e del P.S.I. sui problemi dell'energia e delle centrali nucleari.
Per memoria storica ricordo che non c'è mai stata la non adesione del P.C.I. e del P.S.I. all'ipotesi nucleare, c'è sempre stata invece la disponibilità a verificare certe condizioni e certi atteggiamenti. Non siamo ancora al nodo politico centrale di tutta la vicenda.
Non è corretto, non onesto e colpevole in una certa misura, dichiarare che questa maggioranza è orientata ad affrontare definitivamente il problema della centrale nucleare e dell'energia per tutto quello che comporta nell'indotto, a monte, a valle, se nulla si dice sui nodi e sugli scogli che hanno fatto arenare nella passata legislatura un preciso adempimento di legge.
Ci aspettiamo tuttora di sapere se la maggioranza ritiene che i relativi adempimenti della legge attengano al Consiglio o alla Giunta perché il nodo fondamentale della vicenda nucleare consiste in un problema istituzionale. Se vogliamo una contrapposizione Consiglio e forze politiche da un lato e Giunta dall'altro, andiamo a rileggere quanto ha fatto la passata maggioranza.
La precedente Giunta ha nominato una Commissione di esperti e, dopo aver ricevuto la relazione degli esperti, ha scoperto che il problema atteneva al Consiglio; quindi, ha trasferito ad esso il lavoro con la conclusione, senza l'assunzione della responsabilità conseguente; ha fatto poi ricadere sul Consiglio e sulle Commissioni il nodo cruciale di fondo del consenso dei Comuni per deliberare "d'intesa" come stabilisce la legge.
Che cosa hanno ottenuto di diverso dalla maggioranza i socialdemocratici in termini istituzionali e procedurali rispetto ai comportamenti del passato? Ci faremo promotori di un'iniziativa che porti una preliminare decisione sulle aree da parte della Regione nel suo complesso. Dopo una pronuncia ed un'assunzione di responsabilità in tal senso, sarà corretto avviare una consultazione con i Comuni interessati. Suggerisco che i Commissari della Commissione competente, quando andremo alle consultazioni dopo che la Regione avrà deliberato, siano dotati di divisa e di berretto con la sigla politica.
Porteremo in una borsa altrettanti berretti con altrettante sigle politiche e faremo sedere i rappresentanti delle diverse forze politiche al tavolo della consultazione con i berretti in testa, in modo che certe grossolane distorsioni di comportamenti verificatesi nel passato siano evidenti di fronte agli occhi di tutti. Se nella passata Amministrazione non abbiamo individuata l'area, è stata colpa dei radicali che ci hanno messo tra i piedi un referendum che ha fatto temere a molti di noi di perdere il seggio, ed allora su questo evidentemente ognuno si è comportato come meglio ha ritenuto.
Certamente i tempi lunghissimi della Commissione sono da attribuire unicamente, alle resistenze corporative rappresentate, nella specie, da alcune forze politiche e da alcuni Consiglieri.
Chi rallenta i tempi di una decisione e la rimette in discussione con valutazioni estremamente opziose e non coerenti deve avere ben chiaro, di fronte alla gente, che è il rappresentante di un certo partito e non il dipendente dell'Enel o il sindaco di un paese.
Ho preparato una memoria che illustra, in termini quantitativi, la problematica e che riassumo in un dato estremamente semplice: se non affrontiamo rigorosamente il problema in tempi stretti, rischiamo di arrivare agli anni '90 con un costo dell'energia esattamente doppio di quello dell'energia prodotta dalle potenze industriali del resto d'Europa è un dato sufficiente per far comprendere tutte le implicazioni socio economiche che il nostro ritardo finirebbe per avere.
Per la nostra forza politica la scelta nucleare è, per una serie di motivi, una scelta residuale, quindi, dobbiamo, per non essere farisei dimostrare di fare tutto il possibile per recuperare l'esistente. In questo senso, anticipo ai colleghi che, per non creare problemi alla Giunta, la mia forza politica riproporrà la legge rinviata dal Governo emendandola di quegli aspetti che avevano autorizzato il rinvio, proprio perché si dia alla collettività l'impressione precisa che la Regione si occupa della globalità del problema energetico e non soltanto dello specifico argomento della centrale nucleare.
Esistono momenti di riconversione industriale nella nostra Regione che rendono possibile e pensabile a tempi stretti forme di cogestione e di coproduzione estremamente interessanti.
Questo programma può essere visto come programma di Giunta, ma maliziosamente com'è nel mio temperamento, può anche essere visto, per una certa parte, come il comportamento del P.C.I. nell'ambito del programma di Giunta.
Siccome non credo che quanto attiene alle grandi vie di comunicazione all'Europa, all'energia sia il risultato dell'entrata dei socialdemocratici in Giunta, cerco di capirne il significato. Questa è una dimostrazione ulteriore della capacità del P.C.I. a non farsi travolgere dagli eventi e soprattutto di non lacrimare dopo le sconfitte.
Con l'accettazione di questo programma il P.C.I. non si è che adeguato alla realtà civile, dimostrando di essere un partito estremamente attento ai fenomeni e alla realtà. Così come nel '75 il P.C.I. si era presentato come il partito del riequilibrio, della riorganizzazione, del governo della fabbrica, del governo della città e ha giocato questa carta; peraltro perdendo, in questo momento in cui la società civile del Piemonte gioca la carta del rilancio del Piemonte come area forte ed area di produttività; il P.C.I. si adegua a questa scelta della società, la fa propria e cavalca per l'ennesima volta la tigre.
In contraddizione con quanto ha detto la D.C., noi non lavoreremo per far cadere la Giunta, ma lavoreremo per superare questa Giunta. Molte scelte del programma sono condivisibili, però questa maggioranza ha al suo interno una grossa contraddizione rappresentata dal P.C.I., che un articolo di Gambino sulla "Repubblica" chiarisce: "un partito che dichiara di venire da lontano e di voler andare lontano, nel tempo e nello spazio, scavalcando la nostra realtà".
Ecco la contraddizione che lo rende estraneo e contraddittorio e fa si che non possa essere forza coerente di governo. E' un partito che non si riconosce negli atti di nascita di questa società, nella vita di questa società, nelle prospettive di questa società, ma si riconosce in una realtà diversa, che è quella della rivoluzione di ottobre, si riconosce sulla sponda parallela di quella percorsa da questa società civile.
Questa società esiste, forse nasce ancora più lontano del P.C.I., ha degli sbocchi e dei risultati a cui deve pervenire e pone le sue forche caudine, il P.C.I. sfugge e una delle forche caudine che la realtà pone: la centrale nucleare. Su questo la contraddizione del P.C.I. è stata grossolana e sulla vicenda Fiat il P.C.I. invece di fare una scelta di sinistra moderna, ha fatto la scelta dell' "operaismo". Queste forche caudine che la società pone alle forze politiche evidenziano le contraddizioni del P.C.I. e lo mettono nell'impossibilità materiale di concorrere alle decisioni ed alle scelte che, in una certa misura, sembra condividere.
La maggioranza e il suo programma troveranno i loro limiti nelle contraddizioni che sono tipiche di un partito che deve ancora trovare la sua collocazione in una società europea, pluralistica e industrialmente avanzata com'è quella della Regione Piemonte. Noi saremmo i primi ad augurarci che il P.C.I. diventasse quello che i socialisti chiamano "laburismo" perché a un democratico interessa che la democrazia si perfezioni; la democrazia è sì voto di popolo, ma è soprattutto alternanza al governo. Tutti i meccanismi di corruzione, di non efficienza economica nascono dal mancato ricambio della classe dirigente. Si faccia maturare questo programma, si facciano avanzare le iniziative del programma che condividiamo. Se fossi democristiano mi preoccuperei di capire perché i socialisti non hanno voluto andare con la D.C. e non perché siano andati con il P.C.I.
Dal canto nostro daremo un contributo costruttivo per far crescere la realizzazione di questo programma, consapevoli, e ci auguriamo in una certa misura di sbagliare per il bene della democrazia, che non potrà andare a compimento per le contraddizioni dette.
Il Presidente Enrietti ha chiamato le forze politiche ad uno sforzo solidale per costruire e per lavorare insieme. A questo appello rispondiamo in termini positivi come abbiamo fatto nel passato, facciamo nel presente e faremo nel futuro.



PRESIDENTE

Chiede la parola il Consigliere Bontempi, per una mozione d'ordine.



BONTEMPI Rinaldo

Il dibattito che si sta svolgendo è importante e ricco di spunti interessanti. Mentre va riconosciuto che molti Consiglieri lo hanno seguito dall'inizio anche con interventi diretti, è opportuno sollecitare la presenza completa della Giunta. Invito il Presidente della Giunta ad adoperarsi perché, salvo inderogabili necessità, gli Assessori siano presenti oggi pomeriggio. Pertanto gli eventuali postulanti che vengono qui per incontrare gli Assessori siano in qualche modo regolamentati.



PRESIDENTE

L'Ufficio di Presidenza ha già inviato una lettera agli Assessori in ordine a questo problema. Vedremo di essere più coercitivi.
La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

La parte centrale della lettera dice che per gli Assessori sono disponibili le sale adiacenti all'aula. Questo è un incoraggiamento a far venire a Palazzo Lascaris il pubblico per incontrare gli Assessori, non è un incoraggiamento ad essere presenti in aula.
Di questo parleremo trattando della centralità del Consiglio.



PRESIDENTE

I lavori riprenderanno alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,10)



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