Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.23 del 26/11/80 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni

Prosecuzione dibattito sul programma della Giunta regionale per il quinquennio 1980/1985


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Proseguiamo il dibattito sul programma della Giunta regionale per il quinquennio 1980/1985.
E' iscritto a parlare il Consigliere Genovese. Ne ha facoltà.



GENOVESE Piero Arturo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, inizierò questo intervento richiamandomi brevemente al problema che il signor Presidente della Giunta ha affrontato questa mattina ultimando l'illustrazione del programma della nuova Giunta; cioè alla "questione" morale.
Il Presidente della Giunta ha ricordato un recente articolo di Norberto Bobbio; se ben ricordo, nella conclusione dell'articolo Norberto Bobbio afferma che quando in un Paese democratico il potere visibile del Governo controllato dal Parlamento e dall'opinione pubblica, non è in grado di controllare il potere invisibile dello Stato, cioè i servizi segreti, e questo ha avuto collusioni con il potere invisibile dell'anti-Stato, viene a cessare il rapporto diretto tra il potere visibile dello Stato ed i cittadini e avanza un processo che rende opaca la democrazia e crea problemi gravi di tenuta del sistema democratico.
Credo di poter dire che in questo articolo, rivolto a cogliere non solo comportamenti che più attengono alla definizione che di solito si dà della questione morale, ma che affronta anche il nodo politico dei rapporti tra potere visibile ed invisibile dello Stato, vi sia l'affermazione di preoccupazioni che condividiamo e che gravano sulla nostra Repubblica.
Non crediamo di dover entrare in questo momento e in modo approfondito nel merito del problema che ci è stato proposto al termine dell'intervento da parte del Presidente della Giunta. Non ho peraltro neppure il prestigio personale e politico per soffermarmi su questo scottante problema come invece il Presidente della Giunta, ritenendo ovviamente di possederli, ha fatto richiamando la lezione del Presidente della Repubblica.
Non ho nessuna difficoltà invece, a nome del Gruppo della D.C.
nell'affermare che la lezione del Presidente della Repubblica l'accettiamo perché scaturisce da comportamenti e da un'esistenza dedicata all'affermazione di valori in cui crediamo e perché essa è segnata dal sacrificio personale di Sandro Pertini e di tanti altri uomini che hanno costruito la democrazia e la libertà nel nostro Paese. Ma se accettiamo questa lezione, diciamo anche, riservandoci di ritornare .su questo tema che se il richiamo alla questione morale tende a colpire in modo generalizzato la Democrazia Cristiana, in noi rimane e cresce il sospetto di un'utilizzazione non corretta di fenomeni negativi e di deviazioni che in modo fermo condanniamo e rispetto ai quali chiediamo che si faccia completa chiarezza.
Come esponenti di un partito che in questi 35 anni ha avuto responsabilità preminenti nel governo nazionale del Paese, non ci lasceremo però mettere in una condizione che tenda ad emarginarci nel giudizio della gente e delle forze politiche.
Non subiremo cioè il tentativo, qui come altrove, di condannare tutto un partito e una classe dirigente che ha profonde motivazioni storiche e radicamento nella nostra società; che chiede più di tutti, perché più di tutto oggi ne è interessato, che si faccia completa chiarezza rispetto ai fenomeni di deviazione che anche attorno agli ultimi scandali stanno emergendo e avvelenano ancora una volta la possibilità di un corretto svolgimento del confronto politico e della vita democratica nel nostro Paese.
Ciò detto, credo di non potermi esimere, a nome del Gruppo D.C., di riprendere alcuni temi del dibattito sviluppatosi in occasione della formazione della Giunta e che ha visto, per una situazione particolare dello svolgimento dello stesso, il nostro Gruppo impedito a replicare adeguatamente alle osservazioni e alle valutazioni che nella parte finale del dibattito vennero avanzate attorno al presunto isolamento e al venir meno della capacità di aggregazione della D.C. e ancor più agli inviti che con durezza e con forza a noi vennero rivolti dal Vicepresidente Sanlorenzo circa la necessità di interrogarci sulle motivazioni di un declino e dell'angoscia di molti democratici cristiani; quasi rivolgendoci un'accusa di insensibilità e quindi di isolamento voluto all'interno della vicenda politica del nostro Paese e della nostra Regione. E noi questo cercheremo di farlo partendo dalla considerazione della vicenda politica del nostro Paese.
Riteniamo infatti che possa essere corretto sotto molti punti di vista ed anche interessante cercare in questo dibattito, come lei signor Presidente oggi ha fatto, di riferirsi al quadro politico europeo ed internazionale, non solo per rintracciare collegamenti di carattere programmatorio ma anche per trovare giustificazioni storiche e culturali alla formazione delle alleanze nella nostra Regione; però crediamo non si possa dimenticare né sul piano politico né, come vedremo dopo, sul piano programmatico, per quanto attiene alla vita sociale ed economica della Regione, che siamo comunque radicati nella storia rovente ed oggi certamente difficile del nostro Paese; e che quindi le motivazioni delle alleanze sono più correttamente da ricercare nelle scelte e nelle volontà delle forze politiche, nella loro tradizione, nella loro storia in questo Paese poiché volere oggi affermare in modo netto e tranciante, almeno così come appare dalle dichiarazioni, che c'è una logica politica che viene da lontano e c'è una logica sovranazionale di collegamento delle forze della sinistra democratica europea che è alla base e giustifica le scelte di alleanza nella Regione Piemonte, ci sembra veramente che costituisca una fuga in avanti. O, più precisamente, che rappresenti un'evasione rispetto alle proprie responsabilità e la volontà di sottrarsi ad un giudizio e ad un confronto che in misura più pregnante e più decisa deve riferirsi allo svolgersi della vicenda politica nazionale e regionale e quindi ai comportamenti che le forze politiche hanno assunto ai diversi livelli del Paese.
Noi diciamo che non siamo sorpresi per questa conclusione politica in Piemonte e che non abbiamo mai creduto - alcuni di noi in modo più preciso altri forse meno - alla prospettiva che pur ci veniva indicata di una Giunta laica, che avrebbe dovuto realizzare un momento transitorio di riflessione politica in vista di scelte che allora non apparivano mature.
Abbiamo però dovuto tener conto delle volontà e delle indicazioni che ci venivano espresse, nella fase post-elettorale, dalle forze politiche con cui avevamo avviato una collaborazione di governo a livello nazionale, pur non avendo mai troppo creduto, in particolare, alle affermazioni che nella tenerezza degli incontri personali venivano espresse da quanti tendevano a far credere che vi era un momento di passaggio difficile e che la D.C.
avrebbe dovuto rendersi conto che i passaggi per una revisione delle alleanze di governo in Regione dovevano essere vissuti con pazienza cercando di non anticipare i tempi e senza porsi su un piano di confronto e di proposta programmatica che avrebbero potuto allontanare o pregiudicare una positiva ripresa di rapporti.
Tuttavia, pur avendo condiviso le scelte operate dal nostro partito a livello nazionale, ci rendevamo conto e ci rendiamo conto che nella realtà dove negli ultimi anni le forze politiche dell'area socialista ed il P.S.I.
in particolare si sono mosse e si sono espresse dando un significato preciso di prospettiva alle scelte di alleanza di sinistra, era estremamente difficile potersi attendere un processo immediato di ripresa di rapporti con la D.C. ed un cambiamento di alleanze e di equilibri politici.
Ma noi avevamo il dovere, lo ripeto e lo ricordo in particolare ai colleghi del P.S.I. e del P.S.D.I., di vivere questa fase politica e di reggere il confronto nei termini e nei modi che ci venivano proposti perché solo partendo dall'accettazione di queste indicazioni avremmo potuto poi registrare sino in fondo, come oggi facciamo, l'espressione reale delle volontà dei socialisti e dei socialdemocratici piemontesi.
Non regge certamente la giustificazione del collegamento culturale e storico con la vicenda della sinistra democratica europea. Nè ci sono dal luglio ad oggi fatti nuovi di rilevanza politica che spieghino l'ingresso del P.S.D.I. in Giunta poiché, semmai, la costituzione del Governo Forlani il mutamento di strategia generale e di proposta del P.C.I. ed ancor più per quanto riguarda il Piemonte, i comportamenti concreti del P.C.I. nel corso della vicenda Fiat, avrebbero dovuto spingere il P.S.D.I. a scelte radicalmente diverse. C'è invece, a nostro modo di vedere, una realtà molto semplice: e cioè che noi oggi assistiamo all'ultimo atto di un accordo che è stato a lungo in gestazione, ma che già era finalizzato attraverso passaggi successivi, compreso quello dell'elezione della Presidenza socialdemocratica del Consiglio regionale, ad addivenire alla soluzione che oggi sembra definire stabilmente il quadro di maggioranza in Regione, ma che noi ci auguriamo possa trovare i motivi politici reali per essere rimesso in discussione nel corso di questa terza legislatura.
L'accordo per una Giunta di sinistra quindi già da tempo esisteva e doveva solo conoscere i tempi e le modalità più opportune di svolgimento come troppe cose stavano a significare.
Di fronte a questa realtà - lo dico soprattutto ricordando gli interventi dei colleghi Bontempi e Sanlorenzo nella seduta dell'elezione della Giunta - non ci sentiamo né isolati né politicamente emarginati.
Svolgiamo semplicemente come è doveroso la nostra iniziativa politica ed affermiamo, anche per rispondere al nominalismo di certe formule con cui si cerca di definire i comportamenti e le scelte della D.C. a livello regionale e ancor prima a livello nazionale, che ci siamo mossi in coerenza con le scelte politiche che il nostro partito ha operato, tenendo conto del contesto e dell'evoluzione del quadro politico nazionale all'indomani dell'elezione del 1979 e ancor più e prima in coerenza con le scelte espresse dal nostro ultimo congresso; che non sono le scelte di un gruppo o di una corrente bensì rappresentano, nella misura in cui sono state operate e pur con tutti i margini di dubbio che sempre possono accompagnarle in passaggi delicati della vita politica, le scelte del nostro partito.
Ed è quindi con queste decisioni - e non con divagazioni sul preambolo o sul 42% - che le altre forze politiche democratiche si devono confrontare: ci si consenta questo richiamo alla correttezza ed alla chiarezza dei rapporti politici e del confronto che nelle assemblee e nella società civile le forze politiche devono animare, promuovere e reggere.
Il motivo delle decisioni della D.C. è molto semplice: abbiamo preso atto del venir meno delle condizioni che avevano consentito la formazione del Governo di solidarietà nazionale e del manifestarsi, in un momento di transizione e di modificazione degli equilibri politici e dei rapporti politici a livello nazionale, di una nuova disponibilità che il P.S.I.
affermava e dimostrava alla ripresa di collaborazione di governo, operando quindi una scelta in positivo e non già in senso discriminatorio; ben sapendo, peraltro, che nella realtà politica del Paese esiste un problema di più generale collaborazione e di confronto sui grandi problemi della nostra società che non può, per la realizzazione di formule di governo e di maggioranza, essere dimenticato ed accantonato e che c'è un processo di evoluzione presente nelle forze politiche che deve essere favorito e rispetto al quale ci si deve comunque porre in termini positivi, non dando mai per scontato che non siano possibili ulteriori evoluzioni e possibilità di incontri, di confronto e di collaborazioni positive, pur nella diversità dei ruoli che contingentemente o storicamente ci si trova ad esercitare ai diversi livelli di governo del Paese. In questa direzione, di governo e di ricerca di una più vasta coesione nazionale, si è mossa l'iniziativa della D.C.; sapevamo, ed i colleghi socialisti debbono averlo chiaro, che con le decisioni a livello nazionale, a cui abbiamo partecipato, contribuivamo a rafforzare il ruolo del P.S.I. nel Paese e davamo un riconoscimento positivo alle scelte ed alle indicazioni di prospettiva che questo partito aveva maturato e veniva indicando, in una condizione difficile, sovente stretto nella vita politica nazionale dalla presenza di due grandi forze politiche di massa e cioè dal P.C.I. e dalla D.C.
Scelte, dunque, non facili per il nostro partito, ma operate con coraggio, in buona fede e in coerenza con una valutazione complessiva degli interessi generali del Paese, avvertendo che comunque può essere legittimo è legittimo, che dopo 35 anni sia presente nell'opinione pubblica un'attesa di novità e di cambiamento e possa essere diverso il ruolo della D.C.
Nel momento in cui abbiamo imboccato questa strada noi abbiamo per scelto di essere servitori di un ruolo del P.S.I. che, bruciando tempi e condizioni, tenda a farsi in modo illusorio ruolo "egemonico" e non già centrale rispetto al complesso delle forze politiche sociali, economiche e culturali del Paese, in una proiezione internazionale ed europea che forse crea delle illusioni; che non fa meditare a sufficienza sulla diversità dell'evoluzione del nostro e di altri sistemi politici, culturali ed economici; che dimentica le battute d'arresto conosciute in altri Paesi europei sulla strada dell'unità delle sinistre democratiche e del loro collegamento con i comunisti; che dimentica la necessaria riflessione attorno ad un dovere, morale anche questo, di coerenza politica che in ogni caso deve esistere tra le grandi scelte che si operano a livello nazionale e le scelte che si operano ad altri e diversi livelli di governo, in un disegno che non vuole essere di trasposizione meccanica delle formule e delle alleanze di governo, e dei ruoli ché le forze politiche esercitano ma che comunque non può essere dimenticato e che non deve consentire dissociazioni di responsabilità o fughe in avanti ai partiti che sono alleati in un momento difficile, pur con prospettive diverse che conosciamo e di cui eravamo e siamo consapevoli.
La ripresa di collaborazione di governo, in posizione di pari dignità e responsabilità, con il P.S.I., con il P.S.D.I. e con il P.R.I. è un fatto positivo. Ci auguravamo che potesse essere estesa al P.L.I.; è dal P.S.I.
che sono sorte nuovamente oggi, come un anno fa nei confronti del P.S.D.I.
posizioni di chiusura che ci si ripromette forse di rimuovere in momenti successivi di crescita di quel ruolo centrale che si vuole forzare nella sua reale formazione, bruciando i tempi e rischiando di creare gravi difficoltà nei rapporti tra le forze democratiche e costituzionali del Paese.
A nostro avviso, in definitiva, la formazione del Governo Forlani e la ripresa di collaborazione politica non possono così palesemente essere sottaciute, dimenticate, liquidate con riferimenti universali ed europei come ha fatto il Presidente della Giunta, nel momento in cui si deve dare giustificazione programmatica e politica alle scelte che in questa Regione con scarsa coerenza, dalle forze dell'area socialista sono state operate.
Il ruolo che spetta alla D.C. è quindi oggi in Piemonte quello dell'opposizione; un ruolo importante, in un sistema democratico all'interno delle assemblee e della società civile. Non ci faremo travolgere, come qualcuno ha affacciato in precedenti dibattiti, dall'ira o dalla rabbia; non è certamente per il modificarsi della condizione politica generale o per le novità che pur caratterizzano perlomeno nella sua articolazione e nella sua problematicità la Giunta che oggi si è formata nella nostra Regione, che noi possiamo dimenticare o stravolgere gli obiettivi e gli intenti con cui il nostro Gruppo ha svolto ed intende svolgere il ruolo dell'opposizione in Piemonte.
Noi sappiamo che è un ruolo istituzionale importante e ci apprestiamo a svolgerlo con serenità, ma con maggior rigore nel controllo della gestione amministrativa della Regione ed in presenza dell'evoluzione politica che ho richiamato e delle scelte che in questa Regione sono state compiute.
Attenti a cogliere e favorire più che nel passato tutti gli elementi di novità che ci consentano, al di fuori di ogni tentazione di creare strumentali difficoltà, di inserirci correttamente nel dibattito politico per modificare il quadro di alleanze che, a nostro avviso, non si chiude con la formazione di questa maggioranza a cui partecipano anche i socialdemocratici.
Cercheremo, poi, di svolgere il nostro ruolo in raccordo corretto preciso e puntuale, con le altre forze democratiche di opposizione presenti nella nostra assemblea regionale, consapevoli della reciproca autonomia della diversità di valori, e di proposta di cui siamo portatori, ma anche convinti che esiste una necessità politica di raccordo di azione delle opposizioni nei confronti dell'esecutivo e della maggioranza che si è andata realizzando.
In questo spirito va letta e richiamata la nostra richiesta della Presidenza del Consiglio. Non tardiva, perché l'evoluzione del quadro politico e delle alleanze in questa Regione non ha consentito di porre correttamente in tempi precedenti la richiesta della Presidenza del Consiglio. E neppure strumentale, poiché tesa a cogliere le novità rispetto alla legislatura passata e quindi il formarsi, oggi, di una maggioranza più vasta che vede inserite le forze politiche che in modo organico collaborano con la D.C. a livello nazionale, in un quadro che non diamo per definitivo e certo dei rapporti politici all'interno della Regione Piemonte. La nostra richiesta non è, come si è detto, in funzione di garanzia, ma di esercizio di responsabilità a cui le opposizioni richiedevano di essere associate all'interno di questa come di molte altre assemblee regionali del Paese, e di un equilibrio tra maggioranza ed opposizione nel contesto politico che prima ho richiamato; poteva essere più correttamente vista ed accolta come espressione, mi si consenta di dirlo in un momento in cui la maggioranza appare più chiusa rispetto alla scorsa legislatura, di una maggiore coesione istituzionale che dovrebbe essere al servizio di tutte le forze politiche e della società piemontese e come una precisa richiesta politica rivolta in particolare ai partiti che con pari dignità e responsabilità unitamente alla D.C. reggono il governo del Paese. Per questo insieme di motivi abbiamo avanzato la richiesta della Presidenza del Consiglio, non accolta probabilmente perché cozzava con la faticosa lottizzazione del potere tra le forze di maggioranza.
Non per questo verrà meno il nostro modo di essere all'opposizione; un esercizio dell'opposizione che i colleghi presenti nella passata legislatura hanno conosciuto e dal quale non intendiamo discostarci se non per la maggior attenzione che riserveremo agli aspetti della gestione amministrativa della Regione e all'attività della Giunta in particolare e sempreché vi sia il rispetto delle nostre posizioni politiche da parte della maggioranza.
Avendo così espresso il nostro giudizio politico sulla formazione della Giunta, spetta ancora a me entrare, a nome del Gruppo D.C., nel merito di alcuni aspetti generali del documento programmatico.
Il programma della Giunta si presenta ad un primo esame come un documento di intenti a carattere onnicomprensivo, volto più ad evidenziare una serie di problemi e ad indicare condizioni di ordine politico e generale, più che non a definire, almeno nelle grandi priorità, azioni programmatiche ed iniziative da attivare per portare la gestione regionale a regime in termini coerenti rispetto ad un insieme di obiettivi chiaramente individuati. Se questo è un limite di impostazione, forse e almeno in parte di tipo oggettivo per la natura stessa del documento programmatico, il Gruppo D.C. non può non richiamare e riservare a successivi momenti - in particolare al piano di sviluppo, al progetto di piano territoriale ed al bilancio pluriennale - una più puntuale precisazione delle proprie osservazioni e delle proprie proposte per quanto attiene agli obiettivi, ai metodi, alle azioni programmatiche ed alla strumentazione operativa della programmazione.
Attraverso una serie di interventi in questo dibattito cercheremo comunque di entrare nel merito del documento e di esprimere una prima valutazione, dando peraltro come conosciuti e quindi acquisiti i con tributi che recentemente sono stati forniti in occasione di dibattiti consiliari su alcuni temi di rilievo; in particolare sulla situazione di crisi nel settore industriale e sulla vicenda Fiat; sul caro-vita sull'assistenza sociale e sanitaria è in materia di diritto allo studio anche se singolarmente non troviamo in questo documento nessun riferimento all'esigenza di disciplinare in senso generale e per tutti gli ordini di istruzione l'esercizio del diritto allo studio nella nostra regione. E richiamando, infine, in modo particolare, per l'importanza ed il rilievo che giustamente ha avuto, il recente intervento del nostro Capogruppo in materia di bilancio e di gestione della spesa regionale.
Non ci soffermeremo in particolare su un tema di rilievo, approfondito nel documento programmatico, e cioè sul "progetto informazione", perché su questo tema svilupperemo le nostre osservazioni in occasione della discussione dell'interpellanza che è stata presentata dal nostro Gruppo e dagli altri Gruppi di opposizione.
Siccome nessun altro collega ritornerà su questo problema nel corso del dibattito, mi limiterò tuttavia ad un'osservazione generale.
La Regione ha tutte le possibilità ed i mezzi per realizzare un corretto processo di informazione della comunità regionale; ma ci pare di poter cogliere e di poter dire che la stessa dimensione "faraonica" degli interventi previsti dal progetto, nei confronti di tutto e di tutti, lascia sospettosi sulle reali intenzioni e sulle finalità che attraverso il progetto informazione si intendono perseguire; infatti esso appare come una sorta di "baliatico" che dovrebbe tenere "a balia" tutto e tutti all'interno della comunità regionale e quindi crea il sospetto di un disegno di propaganda che siamo pronti a ritirare solo nella misura in cui il "progetto" si trasformi e contenga indicazioni più precise, meglio valutabili e da tutti controllabili.
Ma veniamo agli aspetti principali del documento programmatico.
Il punto centrale è certamente quello delle proposte che riguardano i problemi economici della nostra Regione e la definizione della strategia che la Regione, con riferimento ai poteri diretti ed indiretti di intervento all'interno dei processi economici e produttivi, dovrebbe attivare per superare una fase negativa e certamente preoccupante dell'evoluzione economica della Regione e del Paese.
Pur in assenza di dati aggiornati di contabilità regionale il quadro economico ed occupazionale è sufficientemente conosciuto, grazie a recenti studi riguardanti in particolare l'industria e la popolazione ed in presenza di documenti informativi e di aggiornamento prodotti dalla stessa Giunta regionale e dalla Federpiemonte.
Per valutare correttamente la strategia proposta, credo ci si debba soffermare sulle caratteristiche essenziali della più recente evoluzione del sistema economico-produttivo della Regione, che certamente non possono essere travolti dalla vicenda, pur importante, che ha interessato il settore automobilistico e la Fiat.
La nostra è una regione che mantiene caratteri di singolarità all'interno della realtà economica nazionale. Il settore industriale mantiene un forte peso, non comparabile con quello medio nazionale e di altre regioni, sull'intera economia, mentre il tasso di attività complessiva si mantiene su livelli elevati, superiori a quelli medi nazionali, nonostante la diminuzione degli occupati nel settore industriale ed i fenomeni di deterioramento della situazione produttiva che tutti abbiamo presente.
L'andamento dell'economia piemontese sino al 1979 è stato di moderato sviluppo, in linea con la dInamica e con la tendenza media nazionale e delle regioni nord-occidentali in particolare, mentre la flessione occupazionale nell'industria è risultata di entità limitata (2-3%) e ugualmente allineata alla tendenza media nazionale.
L'incremento del valore aggiunto, e ciò è particolarmente significativo stando ai dati che si posseggono di contabilità regionale, è derivato negli anni 1970-1978 da un positivo andamento del terziario e da una crescita inferiore alla media nel secondario, a fronte della flessione del prodotto agricolo. In termini di valore aggiunto, la struttura economica regionale si è di poco modificata nel 1979 rispetto al 1970. In presenza di un'inversione di tendenza e di una prospettiva di restrizione della base produttiva e di sensibile flessione occupazionale, il massimo di interesse e di attenzione deve quindi meritare l'evoluzione dell'industria manifatturiera piemontese. Questa ha conosciuto un andamento complesso: una flessione produttiva sino al 1972, un forte aumento negli anni 1973-1974 un lieve declino sino al 1977 seguito, poi, da leggeri segni di ripresa pur in presenza di punti di crisi, sino alla fine del 1979. In corrispondenza nel periodo 1972-1974 alla forte crescita produttiva ha fatto riscontro una crescita significativa dell'occupazione, mentre nel triennio 1977-1979, quindi nell'epoca più recente, ciò non si è ripetuto.
Da ciò si dovrebbe desumere, a fronte della più recente ripresa produttiva non accompagnata nel settore dell'industria manifatturiera da una parallela e confrontabile ripresa dei livelli occupazionali, che nel settore manifatturiero della nostra regione la "ristrutturazione" c'è stata, anche intensa, e che l'industria si è attrezzata a fronteggiare aumenti produttivi di una certa importanza (tra il 1977 ed il 1979 si sfiora l'ordine del 10%) senza rifletterli in termini di espansione occupazionale; e che, quindi, in "proiezione" solo da una fase espansiva sostenuta e molto prolungata è possibile e lecito attendersi apprezzabili incrementi degli addetti ed uno sviluppo dell'occupazione nel settore. Al contrario, l'industria dell'automobile sino al 1979 ha mantenuto intatto il suo peso occupazionale (il 20% sull'intero settore manifatturiero) dimostrando quindi una sensibilità dell'andamento dell'occupazione rispetto a quello della produzione che non riscontriamo in altri comparti del settore manifatturiero: ancora nel 1979 ad un incremento produttivo del 2 3% è corrisposto un aumento più che proporzionale dell'occupazione. Questi dati sono ovviamente da prendere con estrema cautela poiché sovente non provengono da fonti omogenee per rilevazione statistica e per confronto e valutazione di carattere economico, ma sembrano accettabili almeno come indicatori di una linea di tendenza e da tenere presenti della definizione di strategie e nell'indicazione precisa di azioni programmatiche, dirette od indirette, a sostegno dei settori produttivi della Regione. In questi dati si può leggere anche il ritardo nell'avviare i necessari processi di ristrutturazione dell'impresa motrice della nostra regione; da tempo forse, erano già presenti ed in maturazione tutti i presupposti che hanno portato alla "vicenda" Fiat, come d'altra parte è stato sottolineato in modo documentato dal collega Guasso nel dibattito sull'impresa automobilistica torinese.
Perché ho richiamato queste cose? Non per allungare troppo il mio intervento, non essendo infatti conosciuto dai colleghi che già erano presenti nella scorsa legislatura per la frequenza degli interventi in aula, ma perché credo che queste siano le basi di partenza attorno a cui ci si deve confrontare e muovere per dare una valutazione sulle principali indicazioni strategiche contenute nel documento programmatico della Giunta.
Ed allora è bene aggiungere subito che nel quadro economico-produttivo regionale, certamente negativo e preoccupante, vanno però inserite alcune previsioni che sono di segno opposto e ,che in modo pressoché unanime vengono indicate come linee di tendenza positiva che devono essere al massimo valorizzate e seguite. Intanto le tendenze registrate nell'ultimo decennio ed i programmi attivati ed attivabili, fanno ritenere da parte di tutti gli osservatori e da parte della stessa Regione, come è stato ripetuto in più occasioni nei dibattiti e nei documenti più recenti, come ormai vicina una svolta ed un sensibile aumento occupazionale nel settore delle costruzioni. Cosa che d'altra parte si è già manifestata, con intensità sovente anche tumultuosa, da alcuni mesi nella regione Lombardia.
C'è poi una previsione di sviluppo occupazionale nel settore terziario "avanzato" e nel terziario "sociale" (che può a certe condizioni essere considerato un terziario produttivo), unanimemente indicata, non solo nella nostra, ma anche in altre regioni e particolarmente in quelle sviluppate del centro-nord, come opportunità concreta di assorbimento di manodopera sino a realizzare valori occupazionali che siano omogenei a quelli dei paesi ad industrializzazione moderna ed avanzata, all'interno dei quali le realtà del secondario e del terziario superiore sono fortemente compenetrate.
In un quadro che rimane pur tuttavia nel suo complesso preoccupante anche a fronte dei processi inflazionistici e della nuova stretta creditizia, noi crediamo però che non possa essere dato per scontato un giudizio di prospettiva tutto negativo o comunque possa far pensare ad un declino inarrestabile o, peggio ancora, ad un collasso del sistema economico e produttivo della nostra Regione. Grava certamente e graverà a lungo l'incertezza e l'incognita sul problema del riassestamento produttivo ed occupazionale della Fiat; si verificheranno indubbie ed ulteriori restrizioni della base produttiva nella nostra Regione; vi è la situazione preoccupante della non corrispondenza dei profili professionali sui versanti della domanda e dell'offerta del lavoro. Pur tuttavia, lo ripeto noi non crediamo che il sistema regionale sia divenuto "ingovernabile" o sia vicino al collasso. Invece dalle indicazioni programmatiche della Giunta lo "scenario" appare radicalmente, se non irrimediabilmente, mutato.
Molte indicazioni e spunti di riflessione appaiono condivisibili seppur da inquadrare, però, in precise e definite azioni programmatiche o progetti integrati, ma sono sommersi in un contesto generale che non denuncia apertamente - come in altri documenti recenti - uno "scenario" dell'inaccettabile, ma che, essendone pervaso, in definitiva delinea e definisce: a) in primo luogo una filosofia particolare, quella della recessione anche se invece dall'intervento svolto questa mattina pare che il Presidente della Giunta abbia affermato cose completamente rovesciate b) in secondo luogo, una concezione particolare della programmazione che mi pare risulti di tipo ideologico, in senso tecnico, pur lasciando intravvedere spunti che invece sono propri di una più condivisibile impostazione di programmazione strategica, che avendo presenti i limiti di competenza costituzionale delle Regioni e le esperienze passate meglio dovrebbe garantire capacità reali di intervento all'Amministrazione regionale.
Dallo "scenario" dello sviluppo, voltando repentInamente pagina, si passa quindi allo "scenario" della "recessione" da cui si dovrebbe partire per realizzare un "nuovo" modello di società e di sviluppo. E questo produce immediate conseguenze. Sotto la "paura" della recessione si recuperano, enfatizzandoli, il ruolo di Torino (la Regione rischia di rimanere "senza testa"!) e dell'Europa, confinando invece ai margini dell'attenzione il problema del riequilibrio interno del Piemonte. E ci merita attenzione e approfondimento adeguati perché in fondo si delineano sullo scenario le precondizioni a cui riferire le strategie e le azioni programmatiche, il recupero di un Piemonte area-forte in funzione del Mezzogiorno, integrato economicamente nell'Europa e concorrenziale alle aree forti del Rodano e di Marsiglia-Lione, la riscoperta - evidente nell'intervento del Presidente della Giunta - dell'area forte mediterranea ripropongono riflessioni mai cadute completamente dalla nostra considerazione e ci riportano storicamente e concettualmente ai tempi ed alle proposte del Comitato regionale per la programmazione presieduto dall'arch. Renacco.
Questa "proiezione" del Piemonte, richiamata dal documento programmatico della Giunta, venne disegnata nel passato in relazione al processo di crescita economica ed industriale del Paese e delle Regioni nord-occidentali ed era strettamente collegata al disegno di "armatura" territoriale proposto da studi più lontani nel tempo: basti ricordare quelli dell'Istituto Nazionale di Urbanistica e la proposta "lombarda" della "Padania" volti a configurare e costruire una vasta regione economica integrata per infrastrutture e servizi, in primis un sistema organico dei porti liguri, capace di organizzare il processo di sviluppo industriale e produttivo delle regioni a sviluppo avanzato del nord Italia, per consentire l'integrazione fisica ed economica con le aree forti dell'Europa ed in particolare con il bacino del Rodano e con l'area del sud della Francia, centrata sul polo Marsiglia-Lione e sul "sistema" portuale che in Francia è stato realizzato.
Oggi certamente il disegno di un Piemonte strettamente integrato nell'Europa può essere riproposto come grande condizione strategica di sviluppo della Regione all'interno di una visione complessiva dei problemi del Paese e del Mezzogiorno, come correttamente viene richiamato, ma solo dicendo con chiarezza quali sono le iniziative e le proposte di carattere programmatico nei confronti del governo dell'economia del nostro Paese che si intende avanzare in un quadro che non può più essere solo o principalmente di organizzazione infrastrutturale e di controllo territoriale dei processi di sviluppo come in passato era stato pensato. Ed allora io credo, ma su questo ritornerò anche dopo, che ci sia un momento di contraddizione nel documento programmatico poiché, in questo contesto che si ricollega all'obiettivo, affermato più che sostenuto dall'indicazione di azioni programmatiche, di fare del Piemonte un'area forte capace di competere e di integrarsi con le aree forti dell'Europa in funzione del Paese, del Mediterraneo e delle aree sottosviluppate, sparisce dalla considerazione della maggioranza il ruolo della grande impresa. Si ritorna ad una condizione, che traspare da tutto il documento, secondo cui la grande dimensione, la grande impresa, essendo state responsabili di fenomeni di disequilibrio, di diseconomie di scala, di congestione urbana nel passato, rappresentano il male e solo un "nuovo" modello di sviluppo basato essenzialmente sulla micro-economia e su processi di coordInamento e di sostegno della piccola dimensione può essere in grado di realizzare la prospettiva di ripresa del Piemonte come area forte integrata nell'Europa in funzione di un diverso e più equilibrato sviluppo del nostro Paese.
Certamente forzo la lettura e l'interpretazione del documento, che non è molto "cartesiano", se mi si consente questa espressione, e che va letto e riletto andando a rimettere a posto le indicazioni che si ritrovano qua e là per cogliere le proposte, le priorità e le necessarie coerenze.
Però diciamo che non riusciamo ad intravvedere strategie coerenti con l'obiettivo proposto: il ruolo della grande impresa privata e a partecipazione statale e quello della Fiat in particolare emergono dalla realtà regionale e noti possono essere passati in sott'ordine in una proposta di programma che intende avere un grande respiro e che invita la comunità regionale ed il Consiglio regionale a pensare in grande e a guardare all'Europa ed al ruolo che abbiamo da giocare, in termini positivi, per l'economia nazionale.
Lo si voglia o no, l'impresa motrice, la Fiat che ha condizionato lo sviluppo della nostra regione, rimane comunque condizionante anche della ripresa, rispetto agli obiettivi che intendiamo perseguire ed al ruolo che assegniamo al Piemonte nel contesto economico nazionale ed internazionale.
Credo che ciò sia presente anche ai colleghi della maggioranza e alla Giunta, ma non lo si ritrova all'interno del documento programmatico.
Come non si accenna minimamente al ruolo ancora trainante che in "proiezione" si assegna al settore dell'auto nelle economie industrialmente avanzate.
Questa sottovalutazione "programmatica" della grande impresa e del settore auto produce, come già ho ricordato, delle conseguenze. La più vistosa è la "paura" del collasso di Torino e la conseguente modificazione degli obiettivi.
C'è una pagina molto significativa del documento programmatico della Giunta; in essa si afferma che bisogna prendere realisticamente atto del cambiamento e delle novità e si precisa "che si doveva, si poteva e si pu ancora perseguire un diverso modello di sviluppo", ma che in questa nuova realtà caratterizzata da un andamento negativo, occorre in sostanza riconsiderare criticamente l'obiettivo che invece anche questa mattina con tanto calore il Presidente Enrietti ha ricordato; cioè, l'obiettivo del riequilibrio interno della nostra Regione. In questa pagina del documento si precisa infatti che dovendo tenere conto dei pericoli che ci sono rispetto all'evoluzione economica recente, della non tenuta del sistema produttivo torinese, si deve operare, rispetto al vecchio obiettivo del riequilibrio della nostra Regione, recuperando "quanto di valido ancora oggi vi è in questa strategia".
La prima conseguenza che deriva da questa impostazione è quella dell'enfatizzazione del ruolo di Torino confinando ai margini probabilmente a tempi migliori, nonostante le diverse affermazioni del Presidente, il problema del riequilibrio interno del Piemonte.
Pur comprendendo che la situazione è mutata e che quindi il problema del riequilibrio non si presenta oggi come problema di governo e di organizzazione di processi spontanei e sovente tumultuosi di crescita e che la tenuta in termini occupazionali e produttivi di Torino e della sua area è un problema reale per tutta l'economia del Piemonte, occorre per riaffermare con chiarezza che il problema delle aree marginali e quello del riequilibrio devono rimanere un obiettivo centrale dell'azione e dell'impostazione strategica della nostra Regione.
Il problema non poteva essere ieri correttamente posto come se fosse solo conseguente alla necessità di decongestione dell'area metropolitana e non può essere oggi affrontato solo come variabile "dipendente", in relazione al processo di degradazione o alla paura di un collasso del polo e del Comprensorio di Torino. Anche perché negli anni recenti l'andamento del sistema economico produttivo piemontese ha dimostrato che ogni sia pur minimo cenno di ripresa produttivo nella nostra regione riflette un'immediata risposta positiva in termini occupazionali di Torino e della sua area, confermandone il ruolo perdurante di polarizzazione potenziale dello sviluppo, mentre solo da processi prolungati di espansione si sono avute nel passato, anche recente, risposte positive in termini di occupazione nelle altre aree del Piemonte, con l'eccezione di alcune aree: quella di Cuneo, caratterizzata da uno sviluppo del tutto particolare nel contesto regionale, e quella di Novara. Mentre va inoltre ricordato che le stesse politiche delineate dal documento programmatico per il terziario avanzato, per favorire i processi di innovazione nell'industria e per avviare attività promozionali, per attivare la formazione di economie esterne e per avviare la sperimentazione di politiche di mobilità e di governo del mercato del lavoro e di professionalizzazione, e quindi di realizzazione di un minor distacco dei livelli professionali sul fronte dell'offerta e della domanda del mercato del lavoro, sembrano destinate se perseguite e realizzate - ad incidere in prospettiva e particolarmente nel breve e nel medio termine, molto di più e principalmente nell'area metropolitana, non fosse altro che per le quantità economiche che sono in gioco.
L'esame critico degli obiettivi centrali non può certamente esaurire una considerazione generale del documento programmatico e cercherò, sia pur brevemente, di soffermarmi sulle altre principali linee strategiche proposte e che mi paiono essere: a) il rilancio del settore primario, ed in particolare del piano agro alimentare e del terziario collegato, per le evidenti interconnessioni che esistono, e le iniziative per fronteggiare la situazione di crisi di alcuni comparti del settore primario (vitivinicolo e del latte); problemi su cui non mi soffermo poiché saranno oggetto di specifici interventi del nostro Gruppo b) la politica a sostegno dell'artigianato e della piccola-media impresa e gli interventi capaci di realizzare un sistema di convenienze e di servizi atti a favorire la ripresa industriale, l'innovazione e la ricerca, su cui di massima possiamo concordare; avendo chiari però i limiti di competenza della Regione e purché la creazione di questi servizi e l'espressione concreta di queste linee strategiche non si muovano sul terreno dell'aggiramento dei limiti di competenza stessi, per realizzare forme di intervento che spettano principalmente al settore privato c) la diversificazione produttiva, che viene soprattutto collegata senza una dimostrazione credibile, alla realtà delle piccole imprese e dell'artigianato, quando occorre avere ben presente, particolarmente per la singolarità del contesto economico piemontese, che le piccole imprese sovente non realizzano fenomeni di diversificazione produttiva bensì una realtà di decentramento del processo produttivo legato alle industrie motrici, non solo del settore auto, il problema della diversificazione produttiva è reale, ma è certamente più complessivo e non può essere ristretto e correlato soprattutto alle iniziative ed alle attività di sostegno e di rilancio della piccola impresa d) c'è poi l'indicazione del ruolo del terziario avanzato e dei servizi all'industria in particolare. Facendo un riferimento al passato, si dice che, rispetto agli anni in cui c'era una diversa situazione di alleanze politiche nella nostra Regione, non si pensa oggi allo sviluppo del terziario in conseguenza di processi tumultuosi di sviluppo e di carattere spontaneo del settore industriale, ma che invece si guarda al terziario ed ai servizi per l'industria e per la ricerca che possono essere attivati come ad un momento capace di innescare e favorire processi di innovazione tecnologica e produttiva che a loro volta dovrebbero avviare la ripresa produttiva all'interno di un modello diverso e più diversificato dello sviluppo economico della nostra regione. Credo che a questo discorso vada rivolta particolare attenzione. Se è vero che l'attivazione, da parte del potere pubblico, di iniziative di carattere promozionale può favorire uno sviluppo del terziario avanzato, credo che debba comunque essere un terziario "privato", altrimenti saremmo fuori dai limiti di competenza della Regione e potremmo cadere in facili illusioni. La crescita del terziario "avanzato" è tracciata dai processi di riorganizzazione nel settore industriale ed è destinata ad essere compromessa se non va avanti un processo di innovazione tecnologica e produttiva orientato e sostenuto da una politica economica nazionale a cui la programmazione regionale deve concorrere in fase di definizione e di coerente applicazione.
L'obiettivo della ripresa economica della nostra regione è assegnato all'insieme di queste linee strategiche richiamate e principalmente al compenetrarsi di due indicazioni: l'attivazione di servizi a sostegno dell'innovazione e della ricerca per il rilancio della ripresa produttiva della piccola e media impresa e lo sviluppo del terziario avanzato e del terziario sociale, capace di concorrere, quest'ultimo, attraverso le iniziative programmatiche della Regione, alla realizzazione di una serie di economie esterne internizzabili dal sistema produttivo.
Noi poniamo due interrogativi. Il primo è quello di chiedersi se, nella situazione economica della nostra regione e per l'andamento demografico che la caratterizza, è possibile immaginare che l'evoluzione e l'espansione occupazionale del terziario avanzato e del terziario di tipo sociale siano in grado di per sé di assicurare principalmente, come sembra emergere da alcuni passi del documento, il mantenimento di livelli di occupazione che siano compatibili con la tenuta complessiva del sistema economico, che ha le singolarità ricordate ed in cui il peso dell'industria in termini di valore aggiunto, di occupazione e di produzione è superiore alla media nazionale e a quello delle altre regioni nord-occidentali. Il secondo è se in presenza di una previsione di restrizione della base produttiva, di espansione dell'offerta di lavoro e di una divaricazione, pur sempre esistente e non facilmente superabile in termini brevi, tra i profili professionali dell'offerta e della domanda di lavoro, sia possibile assegnare principalmente a queste strategie il riassorbimento dei gravi problemi e delle tensioni che - più intensamente sul mercato del lavoro di Torino - si sono manifestate e potrebbero ancora manifestarsi nel prossimo futuro.
A noi sembra che una delle condizioni, non eludibile, per sostenere il sistema produttivo piemontese sia quella di governare il processo di riassestamento produttivo ed occupazionale nel settore automobilistico chiedendo al Governo centrale che vengano prese le misure necessarie a realizzare diverse condizioni di gestione del mercato del lavoro e di mobilità della manodopera, mentre la Regione dovrebbe avviare una politica della formazione professionale finalizzata a fronteggiare le nuove situazioni e collegata alle azioni strategiche di programmazione operativa da definire attraverso il piano di sviluppo ed il bilancio pluriennale della Regione e che dovranno essere rivolte a mobilitare le risorse complessive verso precisi obiettivi che, contemporaneamente, affrontino i nodi della tenuta complessiva della Regione e del riequilibrio interno, che deve, comunque, rimanere obiettivo centrale dell'attività di programmazione.
E ci sembra anche che prima nel proporre e poi nel programmare devono essere ben presenti i limiti finanziari e i limiti costituzionali di competenza delle Regioni.
Ed allora il riferimento, prima dell'Europa, è lo Stato, il rapporto Stato-Regioni è un nodo fondamentale che va sciolto per avviarsi verso una programmazione nazionale nella cui predisposizione ed attuazione alle Regioni deve essere riconosciuto un ruolo importante ed insostituibile.
Questa terza legislatura deve essere segnata da una crescita del ruolo costituzionale delle Regioni ed in questa prospettiva appare pienamente giustificata la richiesta di partecipazione alla definizione del piano a medio termine e dei piani di settore per la riconversione industriale e di una sollecita definizione, da parte del Parlamento, della nuova disciplina in materia di collocamento, di apprendistato e di governo del mercato del lavoro.
Per parte propria il Consiglio regionale dovrebbe addentrarsi con maggiore incisività sul terreno della programmazione di tipo strategico con una precisa definizione di azioni programmatiche integrate e di politiche infrastrutturali coerenti con gli obiettivi prioritari che sono stati enunciati: il riequilibrio interno e l'integrazione interregionale con la Liguria e la Lombardia; la realizzazione delle condizioni economico produttive ed infrastrutturali generali di concorrenzialità con le aree forti dell'Europa.
Ugualmente indilazionabile appare l'approvazione del primo progetto di piano territoriale, avendo presente la necessità che esso sia vincolante e preciso per il controllo e la salvaguardia dei caratteri fisici e naturali e le previsioni di infrastrutture, che devono trovare una traduzione puntuale, per la parte di competenza regionale, in previsioni vincolanti del bilancio pluriennale; mentre dovrebbe affidare essenzialmente alla normativa la disciplina e l'organizzazione territoriale dei fenomeni produttivi e realizzare una semplificazione di procedure (revisione legge regionale n. 56) onde consentire le economie di spesa legate ai tempi di realizzazione ed una puntuale attuazione dei progetti di investimento.
A conclusione riserverò qualche osservazione ai rapporti istituzionali.
Già mi sono riferito, per alcuni aspetti, al rapporto che a nostro modo di vedere deve essere stabilito con il Governo ed il Parlamento per riconoscere alla Regione il ruolo importante che istituzionalmente le compete; alcuni altri aspetti sono stati precisati, in occasione della presentazione del consuntivo e dell'assestamento di bilancio, sia dal nostro Capogruppo Paganelli, sia dall'Assessore Testa, soprattutto per quanto riguarda i finanziamenti vincolati e la riforma della finanza regionale. Ma ci pare importante richiamare alcuni punti. Innanzitutto il rapporto che deve essere stabilito tra Regione e Parlamento, per un'azione di semplificazione della legislazione nazionale, in coerenza con il dettato del D.P.R. 616; a tale proposito appare opportuno esercitare un'azione di stimolo e di iniziativa per accelerare i tempi di rinnovamento della legislazione nazionale mediante l'emanazione delle leggi quadro, necessario ed indispensabile completamento del processo legislativo di attuazione della riforma regionale. In un rinnovato clima di rapporti tra Regione e Stato centrale, si deve poi dare corretta attuazione all'art. 11 del D.P.R.
616, con un reale concorso delle Regioni alla definizione della programmazione nazionale e dei piani di settore, con una valorizzazione piena degli apporti che le Regioni sono in grado di dare sulla base dei rispettivi documenti di piano che sono stati in questi anni predisposti e che si stanno predisponendo per la seconda legislatura. Appare poi opportuno che da parte del nostro Consiglio regionale si esprima, in alcuni casi, l'iniziativa legislativa ex art. 121 della Costituzione, anche d'intesa con le altre Regioni.
Si tratta di usare non in modo dispersivo questo strumento importante di cui le Regioni dispongono, ma di limitano a poche e qualificanti iniziative, con un'adeguata preparazione politica, istituzionale e tecnica in alcuni importanti settori: il primo è quello della riforma imminente della finanza regionale; il secondo, quello della riforma delle autonomie locali e dei controlli sugli atti degli Enti locali; il terzo, quello della riforma della finanza locale; il quarto, quello dell'energia, per arrivare ad una definizione di competenze nei settori di intervento della Regione finalizzati al risparmio energetico, alla diversificazione delle fonti di energia, all'aumento di produzione di energia nella nostra Regione. In particolare, l'iniziativa legislativa per il riordino dei poteri locali e dei controlli, dovrà essere preceduta da un ampio dibattito e dal coinvolgimento di tutte le forze interessate, compreso il complesso delle autonomie locali della nostra Regione, per dare un contributo al superamento delle difficoltà nelle quali il Parlamento si dibatte e per addivenire alle necessarie decisioni; ciò perché si ha presente che la mancata approvazione della riforma delle autonomie locali e della finanza locale è destinata a gravare pesantemente su questa seconda legislatura regionale, in quanto renderà sempre più precaria la situazione della programmazione e della pianificazione subregionale ed il rapporto istituzionale tra la Regione e gli Enti locali e non consentirà, se non con gravi difficoltà, di dispiegare appieno il consolidamento istituzionale ed i processi di delega e di decentramento che rimangono uno degli obiettivi centrali del funzionamento della Regione, ma che richiedono, per essere attuati correttamente, una pronta definizione di momenti di riforma; questi devono contribuire, in questa terza legislatura, in modo particolare a dare nuovo slancio e possibilità di corretta operatività alle Regioni.
Noi li proponiamo dunque all'attenzione del Consiglio regionale con particolare rigore, in considerazione dell'opportunità di espressione dell'iniziativa legislativa regionale che prima ho richiamato e attorno alla quale può essere avviato un grande processo li confronto, di approfondimento culturale politico che può caratterizzare e dare un senso all'avvio dei lavori della nostra assemblea; che non è contraddittorio certamente con la valutazione e l'indicazione politica che all'inizio, a nome del Gruppo della Democrazia Cristiana, ho dato, e che dobbiamo richiamare alla fine di questo intervento generale perché intendiamo collocarci correttamente sul piano istituzionale ed assegnare alla nostra presenza in Consiglio questo significato, pur nelle difficoltà della nostra condizione di opposizione che è certamente superiore a quella della legislatura passata, ma nella prospettiva di tipo politico che manteniamo e per la quale lavoreremo, affinché in coerenza con le linee politiche di mutamento del quadro politico generale, che sono andate avanti, possano nel corso della legislatura, in modo motivato e non strumentale, realizzarsi mutamenti e novità anche nella nostra Regione.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Biazzi.



BIAZZI Guido

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, con il mio intervento tenter di puntualizzare alcuni aspetti settoriali del programma che la Giunta regionale ha presentato ai Consiglieri e che il Presidente Enrietti ha efficacemente illustrato stamattina. Il programma mi pare abbia, tra gli altri, due elementi di fondo tra di loro strettamente intrecciati: da una parte la volontà di continuare nella costruzione di un rapporto permanente diffuso, con gli Enti locali e il sistema delle autonomie, che è un modo per essere legati alla nostra comunità ed esprimere le esigenze di fondo dall'altra la capacità di tradurre poi questa attenzione in una serie di proposte per interventi puntuali e costanti che convergono negli obiettivi che possiamo, forse un po' schematicamente, ricondurre a quello più complessivo ed unitario del mutamento della qualità della vita per gran parte delle nostre popolazioni.
Non è a caso, forse, che il Presidente Enrietti si è rifatto costantemente questa mattina al patrimonio di elaborazione e di proposte che il movimento operaio italiano ed europeo, nelle sue varie articolazioni, ha accumulato e messo a disposizione del riscatto di tutta l'umanità.
In questo contesto di trasformazione e di riequilibrio assume particolare importanza, a mio avviso, il disegno d'intervento territoriale come variabile strategica di una politica che vuole incidere nella realtà regionale ed influire sulle linee di fondo dello sviluppo.
Con questo dibattito si pone una pietra importante nella costruzione del nostro progetto di sviluppo per gli anni '80. E' necessario, allora guardare in modo congiunto all'Italia e al Mezzogiorno e, in particolare al resto del nostro Piemonte oltreché all'area torinese. Nel programma si va giustamente oltre i confini regionali e si presta attenzione a quanto sta avvenendo in Europa nel campo della politica di intervento verso le zone depresse da parte delle cosiddette aree forti europee, per rendere il più possibile adeguata alle nuove condizioni la politica meridionalistica della Regione.
Per ritornare al nostro Piemonte, vorrei richiamare l'attenzione sui problemi delle zone periferiche, di quelle zone e delle rispettive popolazioni sulle quali in modo pesante si sono riflesse e si riflettono le conseguenze delle errate politiche del passato. Quelle politiche economiche, quegli atteggiamenti concreti hanno prodotto dei guasti e degli effetti politici concreti. Ho presente, in particolare, i problemi del Verbano - Cusio - Ossola, ma mi sembra che siano molti, di questi problemi quelli comuni a tutto l'arco alpino: quelli delle minoranze, che in parte sono stati a suo tempo risolti con le Regioni a Statuto speciale, ma anche quelli non riconducibili alle etnie o alle differenze linguistiche ed i cui aspetti politici non possono essere affrontati e risolti con confini o provvedimenti di carattere amministrativo. E a ben guardare, questi problemi sono l'altra faccia di quell'area più congestionata di Torino, e ad essi dobbiamo guardare differenziando i nostri comportamenti e proposte di intervento, come avviene appunto con le proposte contenute nel programma della Giunta.
Da queste constatazioni scaturisce l'obiettivo del riequilibrio regionale come base del piano di sviluppo che è poi la base su cui costruire la nuova credibilità della Regione, un nuovo rapporto con gli Enti locali, con le popolazioni, con i lavoratori. In altre parole, è su questo che si fondano gran parte delle idee-forza per far camminare la politica di trasformazione. Ora non si parte da zero: esistono tredici piani elaborati a livello di Comprensorio, che costituiscono altrettanti punti di riferimento precisi per la predisposizione del nuovo piano di sviluppo. Mancano, è vero, quelli di Torino e Casale - e sono certamente lacune non di poco conto - che dovrebbero essere coperte entro breve tempo con il rinnovo degli organismi comprensoriali e per i quali esistono comunque già le elaborazioni preliminari. Si tratta ora di completare il perfezionamento degli schemi di piano con l'adozione da parte della Regione dei tredici già approvati e, sulla base di quei documenti, si potranno precisare ancora meglio le linee dell'assetto territoriale regionale.
Ma alcuni dati nuovi ed interessanti emergono da quelle elaborazioni: per esempio, il numero di amministratori, di operatori, di cittadini che sono stati coinvolti in modo attivo nella predisposizione dei piani stessi l'omogeneità dei piani e, soprattutto, il modo unitario con cui si è proceduto alla loro predisposizione ed alla loro approvazione ed adozione da parte dei Comprensori e, più in generale, dell'intera comunità regionale. E' soprattutto la larga convergenza sulle indicazioni programmatiche di fondo l'elemento più significativo, perché apre un terreno di confronto nuovo anche per il futuro piano di sviluppo regionale.
Non siamo cioè in presenza di documenti espressione di maggioranze o minoranze, ma di proposte che scaturiscono dalla volontà unitaria delle comunità in tutte le sue articolazioni e che ha trovato convergenze sui problemi di fondo delle varie zone del Piemonte. E' un'indicazione anche per il Consiglio regionale che, del resto, al di là della dialettica fra maggioranza ed opposizione, mi pare abbia saputo cogliere le necessità di convergenze unitarie per quanto riguarda l'assetto più generale della nostra Regione e delle nostre istituzioni.
Particolare importanza, a mio avviso, per una regione altamente industrializzata come il Piemonte, assumono, ovviamente, i problemi legati più strettamente alla crisi economica che necessariamente pongono al centro del programma le questioni della riqualificazione e dello sviluppo dell'assetto produttivo.
Sappiamo tutti che la nostra crisi è un aspetto di quella più estesa che colpisce l'intero Paese, che investe l'intero mondo industriale capitalistico e non capitalistico. Da qui la coscienza della necessità di una politica di interventi a livello più generale di Governo che rimuova le cause strutturali della crisi e superi le politiche a zig-zag cui abbiamo assistito, le decisioni quasi sempre di carattere anticongiunturale, i provvedimenti tampone come dimostrano le vicende dei vari decretoni.
La crisi dell'industria piemontese presenta aspetti nuovi; la crisi del settore auto e, più in generale, della grande impresa ha aggiunto difficoltà a quelle già presenti soprattutto alla periferia. E' in periferia però che si hanno ancora i punti di maggiore crisi e precarietà perché là si trovano spesso combinati tutti gli effetti negativi dello sviluppo distorto. Vi troviamo infatti le difficoltà della grande impresa (come la Montefibre, la Sisma), la crisi dei settori chimico, metallurgico tessile, là troviamo la somma delle diseconomie per una localizzazione spesso emarginata cui non si è supplito con infrastrutture e collegamenti adeguati.
Ma, quello che rende ancor più nere le prospettive in quelle zone, se non si interviene in modo deciso, è la mancanza di alternative alla struttura industriale in crisi che spesso è proprio crisi della grande impresa. Giustamente nel piano proposto dalla Giunta come programma si pone particolarmente l'accento sulla grande impresa, non dimenticando ovviamente, la necessità di articolare in modo differenziato la struttura produttiva della nostra regione. Spesso anche alla periferia noi troviamo la monocultura industriale. Penso alla Montefibre di Verbania: 4-5 mila operai erano concentrati in quella fabbrica fino a poco tempo fa, ora sono dimezzati; penso all'Ossola, dove su una popolazione di 45-50 mila abitanti ci sono 4300-5.000 posti di lavoro in pericolo: rapportiamo tutto questo a scala torinese o regionale ed abbiamo la dimensione di quanto incida la crisi della grande industria anche nelle zone periferiche dove alla monocultura molto spesso si contrappone una policultura a livello di due o tre settori, ma concentrati in poche fabbriche, quasi tutte in crisi.
Ed è proprio per la coscienza che si ha di questi problemi che con forza viene riproposta nel programma (e l'ha fatto questa mattina il Presidente della Giunta) la strategia del riequilibrio territoriale, pur prestando l'attenzione necessaria ai problemi che pongono i sintomi di recessione che abbiamo visto in questi tempi nell'area metropolitana di Torino.
Occorre allora intervenire con elaborazioni autonome, con una linea di confronto anche con l'Unione Industriale, che ponga però al centro il ruolo autonomo delle istituzioni democratiche in quanto espressione dell'interesse generale e collettivo. La necessità di questo ruolo autonomo, non di attesa passiva, non di spettatori, se già era ben presente nel 1975 mi sembra che esca maggiormente rafforzata dall'esperienza di questi cinque anni.
Alla conferenza regionale dell'ottobre 1975 Carlo Debenedetti, allora Presidente della Federazione regionale degli Industriali, concludeva il suo intervento chiedendoci nella sostanza di non "disturbare il manovratore" di lasciargli il rischio dell'impresa e nell'80, affermava con sicurezza avrebbe potuto offrirci 50 mila nuovi posti di lavoro in più nel settore industriale. La realtà che abbiamo sotto gli occhi indica, purtroppo, come le cose siano andate in modo diverso a Torino e nel Piemonte.
Non è il caso di fare dell'ironia su questa evoluzione delle cose, ma ci rafforza, però, nella convinzione che la posizione di "non disturbare il manovratore" non è in realtà sostenibile, ma va perseguita e rafforzata la politica dei cinque anni precedenti che ha visto l'impegno diretto della Regione e delle istituzioni democratiche nel processo di riequilibrio.
Questi interventi penso saranno rafforzati ed arricchiti dalle nuove intese e convergenze che hanno visto confluire su un programma di rinnovamento per il Piemonte il P.S.D.I. con l'assunzione diretta di responsabilità nel governo della Regione, ed il P.D.U.P., con l'appoggio esterno, seppure critico, su alcuni punti.
Forse non è un caso che queste convergenze e questa intesa su un programma impegnativo ed articolato come quello presentatoci dalla Giunta avvengano all'indomani di una lotta che ha visto lo scontro ravvicinato tra la classe operaia, i lavoratori (non solo di Torino e del Piemonte) ed il più grande gruppo monopolistico del Paese. Avviene cioè all'indomani di uno degli scontri più duri degli ultimi anni, costellato di atteggiamenti di autentica provocazione da parte padronale, fatta spesso a freddo, costruita a tavolino, con un'arroganza di cui da anni si era persa la traccia.
Certo, si è discusso e si discuterà, giustamente, su alcuni limiti che l'azione del movimento operaio ha avuto in certi momenti e sul valore dei risultati raggiunti. Ma è anche certo che quell'arroganza è stata battuta e con essa è stato battuto il disegno che vi era sotteso, quello di colpire a fondo il movimento dei lavoratori; e un aspetto della sconfitta di quel disegno involutivo è anche, a mio avviso, questo accordo programmatico di tutte le forze di sinistra, in cui l'intesa è tanto ampia su come affrontare i problemi dell'industria, del riequilibrio, del riassetto. Più in particolare, nelle proposte formulate dalla Giunta, mi pare sia da rilevare la riaffermazione della politica delle aree industriali attrezzate, per la localizzazione e rilocalizzazione delle attività produttive.
Non ci sfugge, certo, che non sempre sono servite per la rilocalizzazione delle industrie dell'area di Torino e delle aree più forti (per esempio nella stessa area di Vercelli non è che ci sia stato l'afflusso di attività produttive dall'area metropolitana); i problemi e le motivazioni sono diverse ed un bilancio dovrà essere fatto su questa prima esperienza delle aree industriali attrezzate. Esistono però anche altri elementi che indicano come quella sia una strada da percorrere fino in fondo. Infatti, da un'indagine diretta, fatta appunto dalla Regione Piemonte, estesa all'intero universo delle imprese piemontesi - che, data l'elevata adesione ci consente di ritenerla molto valida come indicazione di carattere generale - emergono conferme e smentite: viene smentita un'ipotesi che voleva le piccole imprese poco sensibili ai problemi localizzativi; anzi, l'insoddisfazione per la localizzazione attuale è decrescente con l'aumento della dimensione: indica, pertanto, la validità della politica della rilocalizzazione, da perseguire, ovviamente, con opportuni adattamenti. Dall'indagine emerge che imprese fino a 50 addetti risulterebbero maggiormente coinvolte in processi di mobilità, mentre le altre sembrerebbero più interessate a ristrutturazioni delle attuali sedi.
Fra gli ostacoli maggiori che si incontrano sono indicati in prevalenza quelli di natura finanziaria e quelli di natura urbanistica, mentre tra i fattori di localizzazione più importanti nell'ordine, vengono messi in evidenza: il finanziamento delle strutture produttive, la disponibilità delle aree, la realizzazione delle infrastrutture.
Le indicazioni proposte dal documento della Giunta trovano supporto anche nei risultati di questa ricerca: l'accento posto su una diversa politica finanziaria e del credito - rivendicata con forza, a nome della Giunta, dal Presidente, questa mattina - sulla necessità di rendere operativa la legge 675 per la riconversione industriale e, infine l'urgenza di rivedere i criteri previsti dal D.P.R. 902 per il credito agevolato nel centro-nord, che costituiscono, tra l'altro, così come sono formulati, una beffa ed un insulto continuo al buon senso e all'intelligenza. Sono tutti aspetti questi su cui ci si confronterà e ci si impegnerà per far camminare la politica di riequilibrio e di intervento.
Esistono leggi che richiedono una pronta attuazione, come la legge n. 9 del 1980, sul riequilibrio regionale del sistema industriale, che individua un positivo legame tra la politica per le localizzazioni industriali e la legge per l'uso e la tutela del suolo. Esiste su questo punto un impegno preciso della Giunta. La maggiore possibilità e la maggiore articolazione delle forme di intervento dovrebbero permettere una sensibile incisività ed una maggiore efficacia degli interventi stessi. Certo, il tutto richiederà delle verifiche, per fare periodicamente il punto sui tempi richiesti sullo stato di attuazione, sulle prospettive, sui limiti che si potranno incontrare e, di conseguenza, proporre anche le necessarie correzioni e gli aggiustamenti che si riveleranno utili. Ma tutto questo avverrà, però - e mi sembra importante - nel contesto di una politica coerente che richiede inevitabilmente verifiche al suo impatto con la realtà, ma che esiste, che è viva, che è attiva.
Che cosa ci si trova di fronte, invece, a livello nazionale, dove d'altra parte esistono le vere competenze e la gran parte delle disponibilità finanziarie? A ben vedere mi sembra che si trovi (e già lo ammetteva molto francamente lo stesso rappresentante della D.C.) la mancanza di piani di settore interessanti le grandi industrie; è fatto ancora più grave la carenza di una politica industriale attenta ai problemi della piccola e media industria. C'è anche il pericolo che si adotti una politica economica o interventi da parte del Governo che ostacolino alcune proposte che la Regione avanza. Mi pare opportuno accogliere la proposta fatta dal Consigliere Genovese a nome della D.C., di schieramento delle forze autonomiste perché il Governo faccia fino in fondo la sua parte e perché il sistema delle autonomie abbia finalmente le leggi che sono indispensabili al loro assetto definitivo.
Di rilievo è l'indicazione programmatica della Giunta di agire sul terziario in modo originale, facendone leva per lo sviluppo e non valvola di sfogo o parcheggio dello sviluppo o del ristagno industriale all'interno della nostra Regione.
Questo è un atteggiamento rovesciato rispetto ai primi anni '70, quando si aveva si l'obiettiva della terziarizzazione di Torino e del Piemonte, ma come conseguenza pressoché meccanica e subordinata allo sviluppo industriale. Del resto è proprio di quegli anni il progetto di portare a Torino altri 60 mila immigrati, progetto che indica l'ottica in cui allora ci si muoveva. Progetto assurdo, battuto dal movimento operaio e democratico.
Oggi, invece, in armonia con lo sviluppo tecnico-scientifico, e tenendo conto di quanto avviene nei Paesi tecnologicamente più avanzati, si propone per questo settore la funzione strategica di partecipare alla riqualificazione industriale da una parte, e alla crescita dei settori innovativi dall'altra. E' un rovesciamento di atteggiamento e di linea; è una svolta di 180 gradi rispetto ai primi anni '70.
Non più registrazione passiva di fenomeni ritenuti inevitabili, ma volontà di decidere, di entrare nel merito dei processi per dare un contributo al loro evolversi nell'interesse della collettività.
E' una questione centrale, le cui vie sono in gran parte ancora inesplorate per il nostro Paese e per la nostra Regione. Sono nodi su cui si dovranno misurare le forze politiche e le organizzazioni democratiche sono problemi sui quali ci sarà la possibilità di dispiegare le diverse capacità propositive e di realizzazione.
La volontà di proseguire sulla strada del riequilibrio e della sistemazione del territorio, è ben presente nelle varie parti in cui si articola il documento della Giunta (agricoltura, artigianato, turismo sanità ed assistenza, ecc.). Non sarà impresa facile. Lo sappiamo soprattutto per l'esperienza acquisita in questi anni. Esistono troppo spesso compromissioni che derivano dalle decisioni assunte nel passato e prese al di fuori di qualsiasi visione globale dei problemi.
Rattoppare i guai fatti non facile, in modo particolare nel settore dei trasporti e della viabilità. Sappiamo in quali condizioni pericolose si viaggia verso il Frejus, come risulta dalle proteste delle popolazioni e dai dibattiti in Consiglio regionale. Conosciamo particolarmente le condizioni di viabilità del Verbano - Cusio - Ossola e dei collegamenti con la Svizzera, dove forse c'è .minor pericolo che in Valle di Susa ma non c'è sicuramente minore disagio.
Conosciamo le condizioni delle FF.SS., per investimenti non fatti ed incuria pluridecennale, linee e stazioni, come Porta Nuova, che rischiano di essere bloccate al minimo incidente.
Vedo, con piacere, riaffermate nel programma della Giunta, e sottolineate con decisione dal Presidente, le priorità in precedenza acquisite; in particolare gli impegni per gli assi viari nord-sud (Genova confine Svizzero); l'asse pedemontano che dovrebbe congiungere i fondovalle di tutta la Regione; la trasversale Cuneo - Alba - Asti - Casale. E' serietà riproporre la priorità assoluta della superstrada che deve collegare le tangenziali di Torino al Frejus e il completamento dell'autostrada dei laghi fino a Gravellona Toce. Troppe volte si erano sentiti discorsi diversi a Domodossola, a Verbania, a Cannobio e poi a Torino, a Lombardore, a Roma o a Palermo. La coerenza nelle priorità è ribadita nelle proposte della Giunta e, a mio avviso, sarà ancora più necessaria dopo il cataclisma che ha colpito gran parte dell'Italia meridionale.
Giustamente la priorità assoluta è data dai due interventi di carattere straordinario. Per i collegamenti con il Sempione ed il Frejus è accompagnata dalla richiesta di carattere straordinario allo Stato.
Non si tratta in questo caso di accedere o di cedere a sollecitazioni di carattere localistico, ma si tratta in questi casi di dare contemporaneamente risposta alle legittime necessità delle popolazioni di vaste zone, all'esigenza di riequilibrio territoriale, agli interessi più generali della comunità regionale e nazionale, a esigenze di carattere internazionale.
Sarà difficile riuscire a raggiungere un altro importante obiettivo che dovrebbe essere sempre presente: il recupero massimo della viabilità esistente riducendo al minimo la distruzione del territorio e la sottrazione di aree fertili. Sarà difficile e per certi versi quasi impossibile, ce ne tendiamo conto.
Tuttavia, unire le proposte di intervento sulla viabilità con la proposta di riorganizzazione complessiva del trasporto merci su strada e su rotaia (lo scalo di Beura, i centri intermodali di Orbassano e Susa, la pedemontana, i collegamenti con i porti liguri, in sintesi le proposte del piano dei trasporti) e accompagnare quegli interventi con il riassetto del territorio, significa continuare con un atteggiamento attento verso queste problematiche.
In altre parole si ribadisce in modo organico, partendo dallo specifico della viabilità e delle comunicazioni, un discorso che punta a considerare primarie le necessità delle popolazioni locali sulle quali non possono essere scaricati i guai dei ritardi di uno sviluppo distorto, ma alle quali deve essere assicurato, con questi strumenti, un avvenire diverso e più sicuro.
Gli investimenti in quelle direzioni e con le priorità indicate, non indeboliscono certamente, ma consolidano il tessuto economico fondamentale dell'agricoltura e dell'industria, sono essi stessi fattori di riequilibrio e di sviluppo.
Realizzare quanto indicato nel programma non sarà facile e lo sarà ancor meno dopo le nuove sciagure che ci hanno colpito con il sisma nel sud: esigerà tenacia, continuità ed organizzazione sistematica del lavoro della Regione e delle autonomie locali, coordInamento nell'utilizzo delle risorse.
Molto opportunamente, a mio avviso, è stato dato ampio spazio nel documento alla gestione efficiente delle risorse e della spesa.
Si propone per i primi mesi del 1981 una revisione, o meglio, una verifica della legge sulla contabilità. Alcune modifiche per snellire le procedure sono già state introdotte con la legge che regola la contabilità delle U.S.L., ma forse esiste la possibilità di innovare profondamente, sia in materia di contabilità che di procedure. E' ovvio che andrà verificato attentamente quanto di nuovo e di positivo ha introdotto la legge 12/1978 sulla contabilità regionale.
Sarà interessante approfondire il rapporto esistente tra bilancio di competenza, bilancio di cassa e bilancio di previsione triennale per rendere tutti questi strumenti più funzionati al processo di programmazione. Ma, a mio modo di vedere, la migliore razionalizzazione ed efficienza della spesa passa necessariamente attraverso il decentramento delle decisioni della spesa stessa.
In ordine ai problemi della finanza locale non possiamo dimenticare la mancanza di leggi sulla finanza locale e sulle autonomie locali. Concordo su quanto ha detto il collega della D.C. e ritengo sia opportuno fare pressione sul Governo e sul Parlamento perché operino in tempi brevi per produrre questi strumenti indispensabili.
Rimane la grande incognita su quali disponibilità potrà contare la Regione e quali capacità di investimento avranno Province e Comuni, con i quali potrebbe essere, in prospettiva, concertata la politica della spesa.
E questo non certo per responsabilità nostra. Mancano certezze e punti di riferimento a livello centrale e non solo in materia di finanza locale e di riassetto delle autonomie. La questione morale permane in tutta la sua gravità, accantonata solo in parte dalla tragedia immane che sta vivendo la parte più povera del Mezzogiorno.
Anche da quel dramma viene una lezione, che aggrava il cordoglio di tutta Italia. Alle notizie sullo scandalo dei petroli, sulle complicità sulle efficienze con cui si sono sapute portare avanti per anni truffe colossali, con infiltrazioni in settori importanti e delicati dello Stato fanno da contrappeso i limiti e le incapacità dello Stato nell'opera dei primi soccorsi.
Ebbene, perché noi dovremmo dire che di fronte a questo sfascio si è dispiegata in questi anni una politica regionale che ha dato a Enti locali ad operatori economici, a lavoratori, indirizzi e riferimenti precisi, che poggiano sulla partecipazione, sul controllo, sulla coerenza, sull'onestà intellettuale e morale? Ne sono testimonianza i consensi che si sono tradotti in proposte positive, in piani territoriali adottati dai Comprensori, che sono ormai un patrimonio acquisito per tutta la comunità regionale; le decisioni prese con il consenso della comunità; le ripartizioni di fondi regionali effettuate con i Comprensori sotto il controllo degli enti interessati.
Molti amministratori ricordano telegrammi trovati nelle varie pratiche in cui deputati influenti o ministri in carica informavano da Roma che a Torino era stato concesso un contributo, grazie al loro personale interessamento. Questo periodo è chiuso: e con questa Giunta e con questo programma, non ritornerà. Guai se venisse meno questo metodo, sarebbe minato un cardine nel rapporto di fiducia con le comunità locali. Nemmeno tentazioni efficientiste possono farci scavalcare il passaggio obbligato del rapporto con i Comprensori e con gli organismi decentrati.
Ricordo come si è agito per la ricostruzione dell'Ossola. L'allora Presidente della Giunta, Viglione, e il Vicepresidente Bajardi con la loro assidua presenza hanno radicato nella coscienza degli amministratori, degli operatori, delle popolazioni l'idea dell'Ente Regione come di un Ente che decide insieme agli altri. La partecipazione e il controllo hanno permesso di avviare speditamente la ricostruzione e di portarla in gran parte a termine in meno di due anni. Questo risultato dimostra che la democrazia e la partecipazione sono anche un modo per favorire l'efficienza.
La politica della Regione, sempre più ha bisogno dell'intreccio tra partecipazione, decentramento, delega, politica di piano, politica di programmazione e politica di strumentazione; un complesso di atti che possono trasformare la partecipazione spontanea in azione organizzata, che entra nel costume, che non è soggetta a crisi periodiche e che diventa momento importante della riorganizzazione dell'assetto istituzionale del Paese. La Regione Piemonte su questa strada sarà in grado di dare un contributo sostanziale per la difesa ed il rinnovamento della Repubblica.
Il programma presentato è un impegno preciso della Giunta democratica di sinistra ed un punto di riferimento prezioso per la nostra comunità che vuole operare in quella direzione.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Martinetti.



MARTINETTI Bartolomeo

Signor Presidente, signori Consiglieri, il programma che la Giunta regionale propone per il quinquennio 1980-1985 è ispirato - per dichiarazione della stessa Giunta - agli obiettivi del piano regionale di sviluppo tenuto conto, naturalmente, degli aggiornamenti resi necessari dalla mutata situazione economica.
Appare, dunque, pienamente legittimo ricordare che l'obiettivo fondamentale del piano di sviluppo 1975-1980 era individuato nella necessità di promuovere un diverso e maggiore equilibrio tra le varie aree della Regione e considerare come questo obiettivo sia stato perseguito negli anni passati, quali risultati siano stati concretamente conseguiti come - infine - il programma della nuova legislatura si ponga di fronte a tale specifico problema.
Le affermazioni di volontà, di scelta strategica, contenute nel piano 1975-1980 rispetto all'obiettivo del riequilibrio, erano certamente precise ed univoche. La politica di "diffusione" equilibrata dello sviluppo su tutto il territorio regionale rappresentava - come scriveva l'Assessore Simonelli - "il cuore e la giustificazione finale del piano". Pertanto, si trattava di "ridurre il divario fra l'area torinese ed il resto della Regione" in quanto "il problema del riequilibrio territoriale" era considerato "condizione essenziale per cambiare profondamente il tessuto produttivo, le condizioni di vita, la cultura della regione". Al di là della volontà espressa, non è difficile rilevare che nelle sue determinazioni concrete il piano di sviluppo non mostrava altrettanta linearità nella direzione enunciata; infatti, all'infuori della politica per le aree industriali attrezzate, già avviata, peraltro, in base alla legge approvata nella prima legislatura, non si riscontrano nel piano specifici progetti rivolti ad intervenire selettivamente sulle aree marginali della Regione, offrendo alle stesse le occasioni e gli incentivi per un reale rilancio socio-economico.
La strategia delineata per il superamento dello squilibrio territoriale si fondava "sul controllo del processo di crescita dell'area di Torino, per la riammissione, nel processo di sviluppo, delle città importanti della Regione e per l'integrazione delle stesse con i terreni circostanti". I limiti di questa politica rispetto all'obiettivo primario del riequilibrio regionale erano avvertiti dallo stesso estensore del piano, laddove, dopo aver ribadito la necessità di una politica "in tal senso selettiva" (cioè indirizzata a rafforzare le aree già di per sé dotate di una forte capacità di integrazione) osservava che si sarebbe dovuto, comunque, "tenere conto" del vincolo di non abbandonare le aree più marginali della Regione e "per quanto possibile" cercare di "contenere i processi di marginalizzazione" che tale politica di per sé non solo non avrebbe eliminato, ma che avrebbe anzi potuto accentuare.
Con tali presupposti di piano, se si aggiunge che nelle scelte operative di programmi e di gestione il governo regionale ha certamente risentito della pressione derivante dal maggior peso politico, dalla più forte iniziativa e vitalità socio-economica del capoluogo regionale e delle aree regionali più forti, non è da meravigliarsi se la situazione al termine dell'operatività del primo piano quinquennale è pressoché uguale se non peggiore, a quella di partenza. Nelle aree marginali e più depresse della Regione, nonostante qualche intervento positivo per lo più conseguente all'insistente pressione delle forze locali, non si è avviata alcuna vera e propria inversione di tendenza, né sotto l'aspetto demografico, né sotto l'aspetto produttivo ed economico. Ora, nel suo nuovo programma, la Giunta propone una diversa strategia resa necessaria dalla mutata situazione del polo torinese. Strategia che sembra voler ribaltare quella del piano di sviluppo, elaborata quando il polo torinese era in piena espansione ed i processi di concentrazione spaziali, la dInamica demografica ed economica erano elevati.
Questa impostazione, che effettivamente si basa su una realtà di fatto nei termini radicali con cui è posta rischia di giustificare la sensazione di chi teme che, ancora una volta, il nucleo centrale e motivante della programmazione regionale sia costituito dai problemi dell'area metropolitana.
Sia chiaro, non è nostra intenzione negare né la complessità dei problemi connessi con l'obiettivo dell'equilibrio socio-economico, né la loro globalità, né , affatto il ruolo essenziale e primario di Torino nel sistema economico regionale. Siamo perfettamente consapevoli che lo sviluppo delle aree deboli non può derivare soltanto da interventi specifici e puntuali sulle stesse, ma che ha bisogno, in primo luogo, della tenuta complessiva e dello sviluppo del sistema economico-industriale piemontese nella sua globalità, ed in primo luogo del suo polo centrale che è Torino.
Siamo d'accordo, quindi, sulla necessità di "aggiustare" il tiro adeguando la strategia del piano 1975-1980 alle nuove esigenze emergenti dalla fase recessiva dell'area metropolitana; ma nel contempo affermiamo che la scelta strategica del riequilibrio non è semplicemente una conseguenza delle scelte necessarie per il polo torinese, ma emerge soprattutto dal dovere della comunità regionale di non consentire, nel suo territorio, condizioni di vita, di cultura, di lavoro troppo diversificate tra loro.
Non deve quindi essere rinnegata, anzi, deve essere continuata, se mai fu concretamente avviata, la politica di decentramento industriale e di diffusione delle attività economiche sul territorio regionale. Una delle cause che hanno reso difficile l'attuazione di tale obiettivo nel passato deve essere ricercata nel fatto che le zone marginali soggette a depauperamento demografico e, anzi, proprio per questo, non riescono ad offrire la sufficiente disponibilità di manodopera; creandosi perciò il classico giro vizioso: le industrie non si installano perché manca la popolazione attiva; la popolazione attiva se ne va perché non vi sono industrie. Nel contempo da queste aree, anche periferiche, e non soltanto dai Comprensori collocati a corona attorno a quello di Torino, ogni giorno affluiscono all'area metropolitana schiere di lavoratori, molti dei quali pur avendo dovuto infine decidersi alla residenza torinese - conservano stretti legami affettivi ed economici alla loro terra d'origine. Un completo studio sul pendolarismo, accompagnato da una seria ricerca sulle disponibilità di rientro dei lavoratori ai luoghi d'origine, non risulta ancora effettuato dalla Regione. Tale studio dovrebbe approfondire anche le ragioni, di carattere economico e contrattuale, che ostacolano l'avviarsi spontaneo di questa particolare forma di mobilità "di ritorno" anche quando sorgono nei territori d'origine nuove possibilità di occupazione; e sarebbe augurabile che gli stessi sindacati si facessero carico del problema di individuare, nelle sedi giuridiche e contrattuali adeguate, opportune forme di incentivo e di garanzia per i lavoratori che intendono rientrare nelle zone di provenienza.
Quanto alla politica delle aree attrezzate, sia industriali che artigianali, a cui principalmente la Regione ha affidato nel passato il compito di favorire la localizzazione di attività produttive nei Comprensori periferici, positivo appare il proposito della Giunta di ricercare e porre in atto interventi che attuino "economie più facilmente internizzabili" (il neologismo è della Giunta), ma soprattutto quello di prevedere straordinari snellimenti , delle procedure (vogliamo pensare si tratti soprattutto delle procedure urbanistiche) e nell'acquisizione dei suoli.
Il proposito va accettato in tutto il suo valore, anche in quello di riconoscimento postumo di ritardi e complicazioni che, nei pochi casi in cui la politica delle aree industriali è stata posta in essere, hanno in passato inciso negativamente.
Ci auguriamo che questo impegno, poiché anche il Presidente Enrietti lo ha ribadito ripetendo la precisa espressione che va sottolineata "straordinari snellimenti", abbia in futuro puntuale riscontro con la realtà.
Con la legge regionale n. 9 del 1980 gli adempimenti- e le procedure ci sembrano piuttosto appesantiti che non snelliti, anche se ciò era probabilmente inevitabile, dato che da una legge, la 21, che bene o male aveva già operato al suo interno una scelta programmatoria di localizzazione, si passava ad una legge che definisce un sistema di provvedimenti successivi per giungere ad una programmazione degli interventi. Tuttavia, il rischio di una normativa quale quella che emerge dalla legge 9 (come, del resto, di quella della legge n. 64 sulle aree artigianali) è che in definitiva sia difficile attuare una concreta e seria programmazione che destini le non eccessive risorse alle aree che più necessitano di incentivi e di sostegno, e sia invece più facile premiare indiscriminatamente chi è primo a farsi avanti ed ha condizioni urbanistiche più appropriate, oppure, addirittura, giungere ad una sorta di giustizia distributiva, dando a tutti qualcosa, indipendentemente da un vero disegno di riequilibrio. E' l'impressione che emerge dalla lettura della relazione della Giunta sull'attuazione della legge regionale 14 novembre 1979 n. 64, consegnata al Consiglio il 12 novembre scorso, salvo quanto attiene al concetto di giustizia distributiva, dal momento che delle aree finanziate quattro su cinque appartengono ad un solo Comprensorio, non certamente incluso, fino ad ora, tra quelli richiedenti obiettivamente strategie speciali di riequilibrio.
Se il riequilibrio socio-economico delle zone più deboli della Regione costituisce il nucleo centrale della programmazione regionale, è chiaro che ad esso devono tendere anche tutte le politiche di settore, con i relativi piani, tra cui soprattutto quello della viabilità e dei trasporti, in questo campo, con più evidenza che in altri, si può osservare come scelte programmatorie oculate possono conseguire due risultati, il cui perseguimento non può essere separato: da un lato quello di rafforzare mediante adeguati collegamenti tra il Mediterraneo ed il nord Europa e tra il Piemonte e le regioni vicine, l'intero sistema economico piemontese dall'altro quello di rompere particolari condizioni di isolamento che sono la causa non ultima della depressione di certe aree marginali.
Di questa seconda finalità, che non è mai disgiunta dalla prima, è mia personale impressione che non si sia tenuto sufficientemente conto nell'elaborazione dei piani regionali dei trasporti e nel programma che ora ci è proposto dalla Giunta e ciò, nonostante nella relazione programmatica la Giunta sottolinei la coerenza tra le scelte in materia di trasporti e viabilità ed il complessivo piano di sviluppo socio-economico del Piemonte con al centro l'obiettivo dell'equilibrio regionale.
I colleghi Consiglieri vorranno scusarmi se per dare concretezza alle mie affermazioni mi riferirò ad un esempio che riguarda da vicino la mia esperienza. Sono certo che si tratta di una realtà concreta che presenta aspetti probabilmente riscontrabili anche in altre situazioni.
Tutti gli indicatori econometrici dimostrano come il Piemonte sud occidentale sia la parte più depressa della Regione, nella quale maggiormente sono presenti quei fenomeni di degradazione demografica e socio-economica che il piano di sviluppo, severamente punta al riequilibrio, deve sconfiggere e superare.
Se così è, non è più un problema locale, ma diventa un caso esemplare la cartina di tornasole per verificare l'effettiva volontà di riequilibrio non solo per la Giunta, ma mi sia consentito dirlo, per l'intero Consiglio.
La Riviera di ponente, con i suoi porti di Savona e di Imperia rappresenta per par te sua l'area debole della Regione Liguria, che aspira a risentire gli effetti positivi della politica di riequilibrio, che anche la Regione Liguria esalta come finalità prioritaria della sua programmazione.
Pure in tale contesto, non abbiamo difficoltà a riconoscere la gravità dei problemi che stanno alla base della scelta di priorità assoluta che il programma della Giunta regionale assegna alla superstrada Torino-Frejus e al completamento dell'autostrada A26.
Ma riteniamo che, se veramente si vuole operare per il riequilibrio territoriale, cominciando a fare qualcosa per le aree più e marginate occorre mostrare maggiore impegno nel ricercare soluzioni più sollecite a problemi che mentre non sono indifferenti allo sviluppo complessivo dell'economia piemontese, sono addirittura vitali per ampie zone della Regione. Catalogare come si fa nel piano trasporti gli interventi sulla statale 28 - arteria fondamentale del Cebano e dall'Alta Valle Tanaro, cioè della zona più degradata del Comprensorio più depresso - fra quelli "non particolarmente coerenti con le opzioni di piano regionale" significa rinnegare la scelta del riequilibrio come centro e cuore del piano.
Collegare il completamento dell'autostrada Torino - Savona, che per la verità il programma della Giunta considera eventuale, cioè in modo più problematico di quanto non abbia fatto stamane il Presidente Enrietti collegare questa opera in modo generico al piano di sviluppo dei porti liguri, significa semplicemente rimandare la questione, se non si assume il problema dei porti liguri, in particolare dei porti di Savona, Vado e Imperia, come elemento essenziale anche della programmazione piemontese.
Operare alle scelte in materia di viabilità soltanto in base ai livelli attuali del traffico e alle proiezioni degli stessi nel prossimo futuro significa non tener conto dell'effetto incentivante che proprio l'infrastruttura determina rispetto all'economia locale e di conseguenza sulla stessa quantità del traffico considerato. E significa soprattutto programmare in base alle esigenze che emergono dall'esistente, invece che per promuovere, uno sviluppo diverso; significa rinunciare ad avvalersi della programmazione in funzione del riequilibrio come si sostiene di voler fare.
Le considerazioni che sempre nel capitolo sulla viabilità e trasporti si leggono nel programma della Giunta circa la necessità della modifica dei criteri di interventi della Regione sulla viabilità comunale e provinciale offrono lo spunto per alcune riflessioni in merito alle altre possibilità e agli altri mezzi che la Regione ha, per promuovere lo sviluppo e il riequilibrio delle aree più deboli.
Queste aree economicamente e socialmente disagiate sono soprattutto caratterizzate orograficamente dalla prevalenza di territori montani e collinari, dove la popolazione ha scarsissima densità e gli agglomerati sono radi e spesso isolati.
La permanenza delle popolazioni su tali territori è messa in pericolo non soltanto dalle condizioni precarie dell'economia agricola (che deve essere pertanto integrata dalla presenza di attività piccolo-industriali ed artigianali di fondovalle e dallo sviluppo dell'attività turistica) ma anche dal basso livello dei servizi di cui la popolazione stessa pu godere.
Ritengo, colleghi Consiglieri, che noi, ai quali spetta certamente di esprimere giudizi e di formulare programmi che abbiano riferimento alla Regione nel suo complesso e nelle sue varie articolazioni, non avremo mai abbastanza sottolineato che una parte notevole dei nostri concittadini è tuttora costretta a vivere in condizioni fisiche, sociali, culturali troppo inferiori a quelle che questa società, pur certamente carente e disordinata, assicura alla media della gente.
Ci sono, nel nostro Piemonte, migliaia di alunni che per adempiere all'obbligo scolastico devono giornalmente sottoporsi a viaggi scomodi ed estenuanti; vi sono migliaia di persone che non dispongono di un accesso adeguato ai servizi socio-sanitari; ci sono imprenditori che operano in condizioni impossibili per la difficoltà di raggiungere i collegamenti stradali e ferroviari, le aree di mercato e di commercializzazione dei prodotti; ci sono lavoratori costretti ad abbandonare i loro Paesi perch la mancanza di strade di comunicazione adeguate li obbliga ad un pendolarismo defaticante ed insostenibile.
Ecco perché, a nostro avviso, è giusto pensare ad una modifica dei criteri di intervento della Regione per la viabilità minore, ma tale modifica deve partire dal concetto che gli interventi in tale settore devono essere aumentati e che la loro quantità deve essere commisurata non a teorici indicatori di traffico e neppure a formule di produttività valide in altre situazioni, bensì, alla volontà di un reale e concreto riequilibrio sociale, prima ancora che economico.
Sotto questo profilo, sono da considerarsi, a mio avviso, con molta attenzione e cautela, anche i propositi di per sé legittimi, di favorire alle opere di carattere intercomunale, fino a raccomandare i Comprensori di accorpare i finanziamenti a loro assegnati, per destinarli ad interventi che per la loro ampiezza e consistenza hanno il carattere di opere di interesse comprensoriale o comunque subregionale.
In questo modo si tende a privare i singoli Comuni dell'unica fonte che la legislazione regionale loro offre per la realizzazione delle strutture interne al Comune stesso, indispensabile per garantire alle popolazioni un minimo di vita civile.
Ciò non significa, certo, che i Comuni non debbano essere sollecitati ad affrontare i problemi in forma consorziata, ma senza punire quelli che per la loro posizione geografica di isolamento, devono risolvere i loro problemi da soli.
Sappiamo che la realizzazione di infrastrutture, come acquedotti fognature, strade, così come la dotazione dei necessari servizi scolastici sanitari, sociali, o, almeno, delle condizioni per un facile accesso agli stessi, comporta, nel caso di piccoli paesi specialmente montani e collinari, costi maggiori che non in presenza di agglomerati consistenti.
Ma non c'è altro modo di operare, se vogliamo che le già diradate popolazioni di quelle zone rimangano a presidiare i loro territori svolgendo una funzione di cui gli organismi rappresentativi delle Comunità montane hanno abbondantemente dimostrato l'interesse pubblico generale.
Non posso concludere questa serie di osservazioni tendenti a richiamare la Giunta ed il Consiglio ad un'attenzione sempre più concreta attorno ai problemi di un effettivo sforzo di recupero delle aree più deboli della Regione nel quadro dell'enunciata volontà di riequilibrio socio-economico del Piemonte, senza un cenno al metodo con cui si intende perseguire gli obiettivi del piano, che è il metodo della programmazione.
Programmazione che, si afferma da tutti, non deve essere impostata dall'alto, ma deve emergere dalla partecipazione degli Enti locali, delle categorie produttive, delle forze socio-economiche operanti nella Regione.
A prova della coerenza con questo principio, la Giunta esalta l'esperienza dei Comprensori e scrive parole molto impegnative sulla necessità di non cadere nella tentazione di accentrare nella Regione funzioni che debbono essere lasciate all'autonomia locale.
Certo, nel passato i Comprensori sono stati definiti nelle enunciazioni ufficiali e nelle elaborazioni giuridiche, come i centri aggreganti della programmazione , locale, in coerenza con le funzioni loro affidate dalla legge istitutiva degli stessi, emanata nella prima legislatura.
Tuttavia, anche la Giunta regionale, nella sua relazione programmatica sembra rendersi conto delle difficoltà e dei limiti che vi sono stati nell'effettiva partecipazione dei Comprensori al processo di programmazione socio-economica e territoriale. Non altrettanto chiare appaiono invece le cause di tali difficoltà, cause che hanno gravemente limitato i risultati pure non trascurabili che si sono raggiunti a tale riguardo.
A mio avviso (e qui entra in gioco nuovamente un'esperienza personale che è su questo punto difforme da quella del Consigliere che mi ha preceduto, modesta e circoscritta finché si vuole, ma profondamente radicata con una realtà vissuta senza preconcetti e riserve mentali), sono due le ragioni che hanno compromesso una più perfetta funzionalità dei Comprensori quali strumenti di programmazione: la prima va ricercata nella carenza di strutture tecniche comprensoriali e nella lentezza con cui la Giunta regionale ha provveduto, secondo il mio modesto avviso, non in maniera corretta, alla dotazione sia pure parziale di tali strutture.
Non si fanno ricerche serie ed analisi adeguate, né si impostano linee programmatiche e progettuali di intervento nei vari settori, se non si pu disporre del personale adeguato e che sia alle dirette dipendenze degli organi locali, non in qualche modo una "longa manus" degli uffici regionali. Sotto questo aspetto sarà opportuno riflettere attentamente anche sul proposito di costituire presso i Comprensori, organismi di istruttoria e di controllo urbanistico, qualora si pensi di farne degli uffici decentrati dell'Assessorato competente al quale - come avviene ora per l'istruttore urbanistico già assegnato - sarebbero incardinati organizzativamente e disciplinarmente.
Se il Comprensorio costituisce un livello autonomo di programmazione se la legge, come quella urbanistica, riserva a tale livello particolari funzioni, come l'espressione di pareri talvolta vincolanti, talvolta puramente istruttori nei confronti del livello superiore, allora il Comprensorio deve disporre di strutture tecniche che dipendano sotto ogni riguardo (salvo ovviamente l'inquadramento organico regionale) dagli organi responsabili locali, ai quali soltanto devono rispondere del loro operato.
Nè ha senso, a mio avviso, che se la procedura prevede due distinti livelli di giudizio, come in molti adempimenti urbanistici, questi debbano fondarsi su un'istruttoria tecnica unica, e per di più, disciplinarmente e tecnicamente pilotata dal livello superiore, a cui l'autonomo parere dell'organismo inferiore è diretto.
La seconda causa della non adeguata funzionalità dei Comprensori è dipesa, e potrebbe continuare a dipendere, da un atteggiamento politico di fondo che consiste nel non attribuire nei fatti a tali organismi tutta quell'importanza e quella validità che a parole si enuncia.
C'è un punto nella relazione della Giunta in cui si definisce il metodo della programmazione come capacità di trovare il consenso intorno ad una scala di priorità. Ora, questa capacità i Comprensori hanno dimostrato di possederla; ma solo chi ha operato all'interno di essi, conosce quali ostacoli si sono dovuti superare per vincere le resistenze di campanilismi ancora perduranti, per convincere gli amministratori locali, sulla cui pelle bruciano le esigenze immediate delle singole comunità, per lo più del tutto legittime, anche se non tutte compatibili con la quantità delle risorse disponibili.
Ma questo sforzo, oserei dire titanico, per portare le Amministrazioni e le popolazioni (perché a queste in ultimo bisogna arrivare) alla capacità di una visione più ampia, che consideri i propri bisogni insieme a quelli degli altri e sappia scegliere anche quando ciò può voler dire rinunciare a qualche cosa di necessario, questo sforzo può essere continuato e pu recare frutti sempre più apprezzabili soltanto se da parte della Regione vi è, a questo proposito, un comportamento univoco e corretto. Non ci possono essere Assessori che credono e Assessori che non credono nella capacità dei livelli locali di autodefinire le scelte programmatorie che li riguardano non ci possono essere Assessori che ci credono di più ed Assessori che ci credono di meno.
E non ci possono essere - come pure è avvenuto - occasioni in cui la volontà e la rigidità fin o ad un certo momento dimostrata, nel garantire e nel pretendere la più scrupolosa osservanza delle scelte programmatorie subiscono sfilacciamenti improvvisi, mediante l'indiscriminata assegnazione di finanziamenti al di sopra delle teste dei programmatori comprensoriali.
Ciò in molti casi significa violare precise norme di legge, come quell'art. 33 della legge regionale 56, che stabilisce che la ripartizione dei finanziamenti e dei contributi regionali relativi alle opere pubbliche deve avvenire a mezzo dei Comitati comprensoriali, ma sempre significa infierire un colpo grave alla credibilità della Regione e alla capacità crescente, ma non ancora consolidata, degli Enti locali di accettare senza riserve il metodo della programmazione.
Che tutto ciò sia avvenuto, specialmente ed in maniera vistosa sulla dirittura d'arrivo della precedente legislatura, e che ciò ancora avvenga vogliamo pensare per la non ancora perfetta funzionalità della nuova Giunta, è a tutti noto.
Ma vorremmo la garanzia che in futuro non avverrà più che alle chiare e persino convincenti parole che la Giunta scrive nella sua relazione programmatica a proposito dei livelli locali di programmazione ed a proposito del rispetto dell'autonomia locale, anzi, della volontà di incrementarla ed esaltarla come elemento fondamentale della partecipazione dei cittadini, non seguano i fatti concreti, che sono sempre più convincenti, anche se più difficili, delle parole.



PRESIDENTE

Data l'ora tarda, sospenderei il dibattito sul programma della Giunta e proporrei di passare ad un successivo punto all'ordine del giorno.


Argomento:

Prosecuzione dibattito sul programma della Giunta regionale per il quinquennio 1980/1985

Argomento:

Nomine


PRESIDENTE

Il punto successivo all'ordine del giorno reca: "Nomine".
Iniziamo con le seguenti nomine:


Argomento: Nomine

"Accordo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie: costituzione delle Commissioni tecniche e di vigilanza provinciali e regionale. Nomina dei componenti (arti. 15 e 16 dell'accordo)".


PRESIDENTE

Si distribuiscano le schede per la votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 44 Consiglieri non hanno partecipato alla votazione 8 Consiglieri.
Proclamo eletti, con 36 voti favorevoli, espressi nelle forme di legge i signori: Provincia di Torino dr.ssa Anna Giuffrida Farmacista Inam dr. Walter Genta Farmacista Ospedale Martini Nuovo dr. Daniele Rosenkrantz Direttore di farmacia ospedaliera dr.ssa Anna Dana Borga Farmacista Inam (ex Uansf) Provincia di Alessandria dr. Severino Micheloni Farmacista Inam dr. Adolfo Liprandi Farmacista Inam (ex Uansf) dr. Francesco Gilardenghi Farmacista Ospedale Civile Alessandria rag. Mario Grattarola Dipendente Inam Provincia di Asti dr. Domenico Gandini Farmacista Inam dr. Mario Anfosso Farmacista Inam (ex Uansf) dr.ssa Clementina Marchesi Farmacista Ospedale Civile Asti dr.ssa Liliana Negro Dipendente Inadel Provincia di Cuneo dr. Salvatore Morasca Farmacista Inam dr.ssa Teresa Clementi Farmacista Inam (ex Uansf) dr. Giuseppe Rosano Farmacista Ospedale S. Croce Cuneo sig. Dario Prato Dipendente Coldiretti Provincia di Novara dr. Paolo Rizzo Farmacista Inam dr. Giuseppe Rufino Farmacista Inam (ex Uansf) dr. Filippo Lavetelli Farmacista Ospedale Maggiore della Carità dr. Domenico Sconza Dipendente Inam Provincia di Vercelli dr.ssa Milena Veneroni Farmacista Inam dr. Pierangelo Paracchini Farmacista Inam (ex Uansf) dr.ssa Luisa Collimedaglia Farmacista Inam rag. Giorgio Guala Dipendente Inam Commissione regionale dr.ssa Giuseppina Gramaglia Farmacista Inam dr. Luigi Rossi Sebastiano Direttore farmacia ospedaliera dr. Giuseppe Nicola Farmacia Ospedale Maggiore della Carità Novara Vi è ora da effettuare la sostituzione del signor Salvatore Fiandaca (deceduto) nel Comitato regionale di coordInamento degli Enti mutualistici di cui all'art. 2 della legge regionale n. 39 del 30/12/1974.
Si distribuiscano le schede per la votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti n. 44 ha riportato voti: ROSSO Camillo n. 42 schede bianche n. 2 Proclamo eletto il signor Camillo Rosso nel Comitato regionale di coordInamento degli Enti mutualistici di cui all'art. 2 della legge regionale n. 39 del 30/12/1974.
Le nomine sono così terminate.


Argomento: Trattamento economico dei Consiglieri

Modificazioni alla legge regionale approvata dal Consiglio regionale il 31/10/1980 "Modificazioni alle leggi regionali 13/10/1972 n. 10, 10/11/1972 n. 12, 20/6/1977 n. 33, 12/6/1978 n. 32"


PRESIDENTE

Viene richiesta l'iscrizione del seguente punto all'ordine del giorno: "Modificazioni alle legge regionale approvata dal Consiglio regionale il 31/10/1980 'Modificazioni alle leggi regionali 13/10/1972 n. 10, 10/11/1972 n. 12, 20/6/1977 n. 33, 12/6/1978 n. 32'" che pongo in votazione.
Articolo 1 - "Alla legge regionale approvata dal Consiglio regionale il 30/10/1980 'Modifiche alle leggi regionali 13/10/1972 n. 10, 10/11/1972 n.
12, 20/6/1977 n. 33, 12/6/1978 n. 32' sono apportate le seguenti modifiche: l'articolo 2 è sostituito dal seguente: 'Il contributo di cui alla lettera a) dell'art. 3 della legge regionale 10/11/1972, modificato dall'art. 4 della legge regionale 20/6/1977 n. 33, è fissato in L. 1.000.000 a far tempo dal 1 ottobre 1980. Dalla stessa data il contributo di cui alla lettera b) dello stesso articolo è fissato in L.
250.000'.
L'articolo 5 è sostituito dal seguente: 'La tabella riportata al primo comma dell'art. 12 della legge regionale 12/6/1978 n. 32, è sostituita dalla seguente: anni di contribuzione percentuale sull'indennità versati mensile lorda 5 25 6 30 7 35 8 40 9 45 10 50 11 53 12 56 13 59 14 62 15 65 16 67 17 69 18 71 19 73 20 (ed oltre) 75 La frazione di anno di effettivo servizio in carica non inferiore ai sei mesi ed un giorno viene computata come anno intero, quella minore non è considerata'.
L'articolo 7 è sostituito dal seguente: 'Agli oneri derivanti dall'attuazione degli artt. 1 e 2 della presente legge si provvede con le disponibilità esistenti ai capitoli n. 10 e n. 50 dello stato di previsione della spesa per l'anno finanziario 1980 e per ciascuno degli anni finanziari successivi'".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 37 hanno risposto SI 37 Consiglieri L'articolo 1 è approvato.
Articolo 2 - "La presente legge è dichiarata urgente ai sensi dell'art.
45 dello Statuto ed entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 37 hanno risposto SI 37 Consiglieri L'articolo 2 è approvato.
Passiamo ora alla votazione sull'intero testo della legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 37 hanno risposto SI 37 Consiglieri L'intero testo della legge è approvato.


Argomento: USSL: Elezioni

Deliberazione del Consiglio regionale 16/10/1980 n. 21/6559: parere del Consiglio regionale in ordine al D.P.G.R. relativo al Regolamento per le elezioni delle U.S.L. - Rettifiche"


PRESIDENTE

Infine passiamo all'esame della seguente deliberazione: "Deliberazione del Consiglio regionale 16/10/1980 n. 21/6559: parere del Consiglio regionale in ordine al D.P.G.R. relativo al Regolamento per le elezioni delle U.S.L. - Rettifiche".
La parola all'Assessore Ferrero.



FERRERO Giovanni, Assessore agli Enti locali e decentramento

Il documento a mano dei Consiglieri riguarda una deliberazione da approvare oggi pomeriggio, per permettere al Presidente della Giunta di apportare, con decreto, una modificazione regolamentare in materia di elezioni di Unità Sanitarie Locali. Questa deliberazione, che esprime il parere del Consiglio in merito al decreto successivo, riguarda due punti: la correzione di un errore materiale in merito ai termini delle elezioni e la possibilità di costituire i collegi elettorali anche ove l'elettorato attivo e l'elettorato passivo, coincidendo in tutto, o lasciando margini troppo ristretti, non permetterebbero di procedere alla formazione, in questo caso saranno funzionari designati dal Sindaco o alcuni funzionari regionali ad essere designati, lo so che della cosa si è fatto cenno abbastanza analitico con i Capigruppo del Consiglio, quindi mi pare che non siano sorte obiezioni o suggerimenti che non siano già stati accolti nel testo che è a mano dei Consiglieri.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Si è trattato di un mero errore materiale. Allora la delibera fu assunta dopo lunga discussione nella Commissione competente, con tutti i Commissari presenti e nel Consiglio; l'errore materiale, purtroppo, è sempre presente anche nell'attuazione della delibera e del relativo decreto che ne consegue. Sotto questo aspetto l'errore materiale va corretto con una errata corrige. Il Gruppo socialista accoglie la soluzione offerta dalla Giunta e voterà conseguentemente.



PRESIDENTE

Prima passare alla votazione vi propongo il testo modificato della deliberazione: "Il Consiglio regionale, vista la legge regionale 21/1/1980 n. 3, ed in particolare l'art. 7, quinto comma, nel quale è previsto che il Presidente della Giunta regionale stabilisca con proprio decreto, previo parere favorevole del Consiglio regionale e d'intesa con i Presidenti dei Comitati comprensoriali, il Regolamento per le elezioni delle assemblee delle U.S.
L.
vista la deliberazione del Consiglio regionale n. 21/6559 del 16/10/1980 con la quale a Consiglio stesso ha espresso il proprio preventivo parere in ordine al Regolamento di cui trattasi stabilendo fra l'altro che la data di svolgimento delle elezioni fosse fissata per la domenica 21/12/1980 e che a periodo di presentazione delle liste fosse stabilito tra le ore 9 del giorno 5 novembre e le ore 12 del 20 novembre 1980 dato atto che il termine ultimo del 20 novembre contrasta con quanto esplicitamente previsto dall'art. 7, quinto comma, della suindicata legge regionale n. 3/1980, là ove recita che le operazioni di voto debbono comunque effettuarsi entro 30 giorni dalla presentazione delle liste accertato che la volontà del Consiglio regionale è quella di mantenere ferma la data per lo svolgimento delle elezioni nella domenica 21/12/1980 sia per ragioni di uniformità con le contemporanee elezioni per i Comitati comprensoriali, sia per le ragioni pratiche legate alla maggiore disponibilità dei Consiglieri comunali di partecipare alle operazioni di voto in un giorno festivo; per cui è da intendersi che per mero errore materiale la data ultima di presentazione delle liste è stata fissata al 20 novembre anziché al 21 novembre 1980.
Vista la citata deliberazione del Consiglio regionale n. 21/6559 con la quale il Consiglio stesso sempre in ordine al parere espresso sul Regolamento su richiamato è stato fra l'altro stabilito che il seggio elettorale è costituito dal Sindaco o da un Assessore da lui delegato e da almeno due Consiglieri atteso che tale normativa regolamentare esclude che i candidati per le assemblee delle U.S.L. possano far parte del seggio elettorale verificato che l'applicazione delle predette disposizioni pu comportare difficoltà oggettive in alcuni Comuni in ordine alla costituzione del seggio elettorale atteso le modalità qualitative e quantitative in ordine alla composizione di questi ultimi rilevata pertanto l'opportunità di apportare integrazioni alle disposizioni normative che disciplinano la costituzione elettorale prevedendo che laddove si palesi l'impossibilità a procedere all'attivazione del seggio elettorale, determinata da carenza relativa od assoluta di membri non candidati e/o carenza relativa od assoluta connessa a gravi impedimenti dei membri rispetto ai quali non sussistono le incompatibilità sopra indicate, il Sindaco del Comune presso il quale il seggio elettorale è costituito, ovvero chi ne fa le veci, allorché si vengano a configurare fattispecie quali quelle sopra rappresentate provvede a nominare, con propria ordinanza, un numero di membri pari al numero dei componenti il seggio elettorale da sostituire, scegliendoli fra i dipendenti comunali oppure, in carenza dei medesimi, fra dipendenti regionali individuati in un apposito elenco approvato con decreto del Presidente della Regione.
Ritenendosi quindi necessario rettificare il proprio parere espresso con la deliberazione n. 21/6559 del 16/10/1980 nel senso sopra indicato il Consiglio regionale approva l'allegata bozza di decreto del Presidente della Giunta regionale recante rettifiche delle disposizioni concernenti la procedura elettorale per la designazione dei componenti delle assemblee generali delle associazioni dei Comuni (U.S.L.) nel senso che il termine ultimo di scadenza per la presentazione delle liste viene fissato per le ore 12 del giorno 21 novembre 1980, e recante inoltre disposizioni integrative in ordine alla costituzione dei seggi elettorali.
Il presente provvedimento è dichiarato immediatamente esecutivo ai sensi dell'art. 49 della legge 10/2/1953 n. 62".
Pongo in votazione la deliberazione.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 37 Consiglieri presenti in aula.
Ricordo ai signori Consiglieri che il Consiglio proseguirà i lavori domani alle ore 9,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,20)



< torna indietro