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Dettaglio seduta n.215 del 17/11/83 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO


Argomento: Artigianato

Dibattito sull'artigianato


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Iniziamo i lavori con il punto quinto all'ordine del giorno che reca: "Dibattito sull'artigianato".
La parola all'Assessore Bruciamacchie per la relazione introduttiva.



BRUCIAMACCHIE Mario, Assessore all'artigianato

L'odierno dibattito che il Consiglio regionale si appresta a svolgere si inserisce armonicamente in quello più generale già avviato con le consultazioni sul piano regionale di sviluppo e che vedrà tra poco il Consiglio stesso impegnato alla sua definizione.
Si tratta cioè di un approfondimento settoriale di cui si sentiva da tempo la necessità. Due sono state le conferenze regionali sull'artigianato, svoltesi rispettivamente nel 1980 e nel 1981.
Esse hanno rappresentato momenti importanti di confronto tra gli orientamenti della maggioranza che con continuità governa la nostra Regione, le forze di opposizione presenti in Consiglio regionale, le organizzazioni artigiane, gli enti locali.
Da quei dibattiti sono scaturiti orientamenti e decisioni che via via si sono materializzati in atti di Governo a favore del settore artigiano.
Si sentiva però la necessità di trovare un momento specifico interno all'istituzione per approfondire e precisare in un confronto politico aperto le politiche necessarie a questo settore, anche alla luce delle novità in esso verificatesi in questi anni di crisi economica e produttiva.
Molti sono stati i dibattiti sulla situazione economica regionale e nazionale svoltisi in Consiglio regionale.
La vicenda Fiat, con la crisi direzionale, organizzativa e produttiva di questo gruppo, i suoi riflessi sull'apparato produttivo piemontese che hanno coinvolto centinaia di imprese medie e piccole, i suoi effetti occupazionali con migliaia di lavoratori messi in cassa integrazione guadagni per i quali lo spettro della disoccupazione diventa ogni giorno più vicino.
Così come la crisi di importanti settori produttivi con gravi conseguenze sull'economia della nostra Regione, ultimo in ordine di tempo la siderurgia, o il precipitare di situazioni come quelle che hanno investito l'Alto Novarese ed il Basso Alessandrino.
Di volta in volta si è cercato di precisare obiettivi e strumenti tesi a contenere gli effetti devastanti della crisi, non adagiandosi però ad essa, anzi operando per rimettere in moto un motore che si è inceppato e che richiede, per ripartire, profonde innovazioni. Ad una stasi del reddito nazionale degli anni scorsi è seguita quest'anno una vera e propria caduta segnando un dato negativo complessivo con accentuazioni estremamente gravi nel settore industriale. Tutti gli indici economici, da quelli produttivi agli investimenti, agli occupati, evidenziano il perdurare di una situazione economica complessiva del Paese che non lascia spazio a facili speranze di ripresa per i mesi a venire.
Il lieve incremento delle esportazioni, verificatosi in quest'ultimo periodo, è un indice troppo debole per farci sperare in una ripresa economica generale.
D'altra parte si nutrono seri dubbi sulla capacità del nostro sistema economico di agganciarsi alla ripresa che si manifesta in America ed in Germania. L'aggancio sarà possibile solo promuovendo una politica economica finalizzata ad un allargamento del mercato interno e ad un sostegno consistente alle esportazioni. La recessione in atto a livello regionale si evidenzia con le circa 1.000 aziende che ricorrono alla cassa integrazione guadagni, di cui 350 in cassa integrazione speciale, con una preoccupante flessione nell'occupazione industriale, che nel biennio 1981-1982 ha significato la perdita di oltre 57.000 unità rispetto ad un totale di 830.000 posti di lavoro a tutto il 1982.
Nel corso del biennio la disoccupazione complessiva si è più che raddoppiata, superando le 175.000 unità e facendo segnare un tasso di disoccupazione pari all'8,3% in Piemonte e pari al 10,5% nella provincia di Torino. Se teniamo conto anche dei lavoratori in cassa integrazione guadagni a zero ore, posti-lavoro per metà da considerarsi perduti, i tassi di disoccupazione salgono rispettivamente al 10,3% per la Regione e al 12,8% per la provincia di Torino.
Si evidenzia così, in sintesi, il processo di deindustrializzazione andato avanti a livello regionale con forme più accentuate rispetto al dato complessivo nazionale.
A ciò non ha corrisposto una pari crescita di altri settori economici (l'incremento di occupati nel terziario, quasi 30.000, non compensa la perdita dell'industria), così che il saldo complessivo è negativo sia in termini di ricchezza prodotta, sia in termini occupazionali. La crisi che ha investito i settori che per anni sono stati trainanti per l'economia nazionale, e che ha visto e vede gli stessi sottoposti a profondi processi di riorganizzazione e ristrutturazione produttiva ed anche di innovazione tecnologica, ha progressivamente coinvolto tutto quel tessuto produttivo rappresentato da piccole e medie industrie, nonché dall'artigianato ad essi collegati e si estende anche ad attività produttive autonome.
Purtroppo si è in presenza di un processo di restringimento dell'apparato produttivo nazionale che fa retrocedere il nostro Paese nella scala dei Paesi industrializzati e crea le condizioni per una progressiva marginalizzazione della nostra economia nel contesto europeo.
Contro queste tendenze occorre agire con una politica economica nazionale programmata che punti sulla ripresa e lo sviluppo, capace di finalizzare le risorse disponibili verso quei settori di ricerca e di innovazione tecnologica in grado di produrre un innalzamento delle possibilità produttive e della qualità dei prodotti e nuove occasioni di lavoro. Le politiche che abbiamo teso mettere in campo come Regione in questi anni, tutte finalizzate a creare condizioni di ripresa produttiva verranno ancora meglio precisate nel piano regionale di sviluppo così come uscirà dopo l'arricchimento prodotto dal dibattito in corso.
Esse si calano nella realtà nazionale e regionale, puntando sulle forze dinamiche per il potenziamento di nuovi settori produttivi, per il recupero di nuova competitività rispetto ai settori tradizionali, per il riequilibrio regionale, avendo particolare attenzione all'Europa e al sud del Paese.
Una politica così fatta non può che essere una politica programmatica che definisce un quadro di riferimento e di convenienze sociali entro il quale impegnare le risorse pubbliche e private.
In questo ambito si colloca il programma di interventi operativi mirato alla scadenza del 1985, predisposto dalla Giunta, all'interno del quale si evidenzia il settore artigiano che presentiamo ed intendiamo già oggi discutere.
E' naturale che in una Regione come la nostra, dove la presenza della grande industria è stata il fattore dominante per tutta l'economia regionale ed anche nazionale, si sia finito di dedicare ad essa gran parte dell'attenzione da parte delle forze politiche, sindacali e di governo.
Se questo atteggiamento è comprensibile, in quanto gli orientamenti e le decisioni della grande impresa erano e sono condizionanti per un imponente complesso di attività produttive e segnano il destino di migliaia di operai, impiegati e tecnici, ciò ha comportato anche sottovalutazioni negative.
La nostra Regione ha un sistema diffuso di attività produttive di medie e piccole dimensioni, in parte legate ai cicli produttivi della grande industria, ma anche autonome e a livelli tecnologici molto elevati.
Fatta eccezione per la provincia di Torino, le altre province piemontesi si caratterizzano con una struttura industriale dove prevalenti sono la piccola e media industria e l'artigianato.
Anche in termini di addetti, la fascia delle aziende medie assorbe un'alta percentuale di lavoratori.
Questa realtà, in parte evidenziata in alcuni studi sulle strutture industriali del Piemonte, si è imposta all'attenzione delle forze sociali e politiche, solo dopo la crisi dei grandi complessi.
Allora qualcuno è caduto nell'opposta tendenza e ha cominciato a teorizzare "piccolo è bello" e a riporre in esso tutte le speranze di superamento della crisi.
Riorganizzazioni produttive ed innovazioni tecnologiche hanno comportato e comportano anche un dimensionamento aziendale più governabile capace cioè di alta specializzazione del prodotto, con sempre più alto contenuto tecnologico, in un quadro di efficienza crescente.
Ma utopico era e rimane pensare di uscire dalla difficoltà attuale senza una grande industria, non tanto e non solo per il numero degli addetti, ma in termini di produzioni avanzate, frutto di ricerca applicata.
Di certo è che in questi anni chi meglio ha resistito alla crisi dimostrando grandi capacità di riconversione, innovazione, efficienza, sono state le piccole e medie aziende e l'impresa artigiana.
E sono proprio quelle realtà, dove il tessuto industriale era così strutturato, che hanno avvertito più tardi gli effetti della crisi. E' naturale che in un processo di crisi così lungo, anch'esse ne abbiano risentito in modo pesante, ma rimane il dato che quelle Regioni italiane con un più diffuso ed uniforme sviluppo industriale sul territorio caratterizzato dalla media e piccola imprenditorialità, resistono meglio di fronte alla recessione attuale.
Compiono, quindi, un grave errore quelle forze sociali e politiche che considerano marginale e sussidiario l'artigianato e la piccola imprenditoria. Forse giova ricordare che l'artigianato è composto di un milione e 400 mila imprese, con 4 milioni di addetti che produce il 10% del reddito nazionale, che concorre per il 20% alle esportazioni. E' bene ancora ricordare che nel decennio '70-'80, mentre si è ridotta la manodopera nelle grandi imprese, si stima che gli addetti all'artigianato siano aumentati di 500 mila unità, al ritmo di 50 mila all'anno e il ritmo di incremento si è di poco ridotto anche nel 1981 e 1982.
Se a ciò si aggiunge che in Italia circa il 70% della manodopera dell'industria è occupata in imprese, fino a 100 dipendenti, si ha la sensazione precisa dei danni che provoca una concezione politica e culturale, tuttora presente, che considera marginale tutto ciò che non sia rappresentato dalla grande impresa e dal lavoro dipendente.
La scelta di politica economica compiuta in questi anni a livello nazionale, caratterizzata da un taglio eminentemente congiunturale e monetario, ha creato difficoltà crescenti al settore della piccola impresa e dell'artigianato.
Occorre invece una politica delle risorse e della loro utilizzazione che non sia penalizzante per le attività produttive piccole e medie. E' necessario giungere al più presto ad una serie di riforme che riguardano il prelievo tributario, gli oneri sociali, le pensioni, il credito, atti finalizzati non a creare nuove forme di assistenza o di privilegio, ma a mettere il settore nelle condizioni di contribuire ad una politica di ripresa e di sviluppo. Occorrono risorse da destinare agli investimenti politiche per favorire l'esportazione, contributi per l'innovazione tecnologica, estensione dell'equo canone ai laboratori artigiani onde impedire sfratti e speculazioni che sono strumenti decisivi per mantenere ed accrescere la vitalità del settore.
La piccola imprenditorialità artigiana in questi anni è aumentata a livello nazionale in termini di numero di aziende iscritte all'Albo. Ma anche nella nostra Regione si è passati da 127.919 aziende nel 1980 a 130.799 aziende alla fine del 1982.
Questi dati vanno però correttamente interpretati. Se da una parte dimostrano la vitalità e lo spazio che vi è per questa imprenditorialità dall'altra è indubbio che l'aumento di aziende è dovuto agli effetti della crisi. Numerosi sono i lavoratori che licenziati, o cassaintegrati, hanno avviato il piccolo laboratorio o si sono inseriti nell'attività di servizio. Il dato che comunque rimane è che l'artigianato in Piemonte è una grande e significativa realtà in termini di aziende, di addetti (circa 350 mila), di qualità di prodotti e di servizi.
Quando ci addentriamo nella piccola imprenditorialità artigiana riusciamo a fotografare solo una parte di questo mondo.
Conosciamo il numero delle imprese iscritte all'Albo, ma ci sfuggono moltissime attività non registrate.
Sappiamo in quali settori produttivi e di servizio esse operano, ma non conosciamo con precisione il numero degli addetti.
Ciò evidenzia un complesso di deficienze di analisi del settore che riguarda prima di tutto gli Istituti di ricerca nazionale (ISTAT) e che va superato rapidamente, anche con strumenti autonomi.
E' evidente che una conoscenza piena, articolata settorialmente e territorialmente, è la condizione indispensabile per elaborare una politica attiva per il settore, capace di cogliere le sue effettive esigenze.
Solo così sarà possibile finalizzare in modo preciso le risorse nazionali e regionali ed ottenere risultati significativi.
Di questa conoscenza approfondita sentiamo fortemente il bisogno a fronte di mutamenti avvenuti in questi anni.
Il processo di riorganizzazione, ristrutturazione e qualificazione produttivo che ha investito parte della grande industria, ha comportato anche per l'artigianato significative novità.
Un elemento abbastanza diffuso che si coglie è rappresentato dal passaggio dall'artigianato che produceva per l'industria più grande sulla base di commesse che lo esentavano da certe responsabilità tecnico qualitative, all'artigianato cui è richiesta una responsabilizzazione sulla scelta di materiali da usare, della loro lavorazione, del collaudo finale.
Non solo, ma sempre più una parte di esse assolve ad una funzione importante di progettazione autonoma e di miglioramento delle qualità intrinseche del prodotto. Ciò ha comportato per questi imprenditori un elevamento notevole delle loro capacità tecniche ed operative con conseguenti investimenti in macchinari ad alto contenuto tecnologico.
Assistiamo cioè, in alcuni casi, ad imprenditori artigiani che in forma singola o associata diventano propositori di prodotti qualificati ed innovativi alla grande industria. Ciò si evidenzia maggiormente nella trasformazione del grande complesso, da produttivo a centro di assemblaggio.
Lo stato di salute dell'artigianato piemontese nell'attuale fase recessiva è alquanto precario.
Esso ovviamente risente della crisi generale anche se ha dimostrato grandi capacità di adattamento, di riconversione produttiva, di capacità di operare negli interstizi di un'economia in crisi ed in profonda trasformazione. Il fenomeno del doppio lavoro, del lavoro autonomo non registrato, è tuttora molto diffuso e causa di progressiva riduzione di spazio per gli imprenditori artigiani. Maggiormente interessato a questo fenomeno è il campo dell'artigianato dei servizi. A ciò va aggiunto che il committente paga a 90 o 120 giorni, mentre per l'approvvigionamento di materie prime fornitore emette tratte a 30 giorni.
Avviene cioè che la pratica dei pagamenti ritardati costringe gli artigiani a funzionare da "banca" per la grande industria o, per dirla con l'ironia di un artigiano toscano. "costringono la chiesa di campagna a fare l'elemosina al Duomo" Questo crea una grave situazione di liquidità e la necessità per l'artigiano di ricorrere al sistema bancario per il credito di esercizio esponendolo gravemente.
In generale emerge un volume di ordini e commesse che danno garanzie di lavoro variante tra i 15 e i 30 giorni, il che crea una situazione di incertezza profonda.
Ne consegue un effetto negativo anche sui livelli occupazionali.
Rileviamo casi di riduzioni di unità lavorative per effetto di acquisto macchine e di mancanza di ordini.
Il numero di apprendisti occupato si sta riducendo considerevolmente tant'è che dall'agosto 1982 all'agosto 1983 nella provincia di Torino il saldo negativo è stato di 3.835 unità e in quella di Cuneo di 1.185.
Anche sul fronte degli investimenti si registra una flessione che nell'82 è stata del 70% rispetto all'81. Per il 1983 si spera di riuscire a bloccare e possibilmente invertire tale tendenza. Nonostante queste preoccupazioni, l'artigianato piemontese continua a rappresentare una componente importante per l'economia regionale.
Esso si caratterizza come attività con alta produttività, con notevole potenzialità, privo di qualsiasi elemento parassitario.
Consideriamo perciò questo settore come parte importante per una politica regionale di sviluppo, con specificità che richiedono interventi mirati, protagonista di un ruolo economico e sociale di grande portata cerniera per ogni politica di progresso e sviluppo della democrazia. A tal proposito riteniamo che l'insieme di progetti di opere pubbliche da realizzarsi in Piemonte da parte di soggetti statuali centrali e periferici, costituiscano un'occasione di lavoro per l'artigianato. Occorre creare le condizioni perché esso, in forma singola o associata, possa concorrere alla loro realizzazione.
Non risponde a verità la tesi che solo ora si riscopre il ruolo dell'artigianato nell'economia regionale. Dell'importanza ad esso attribuita, sono testimonianza le leggi e le risorse destinate in questi anni: atti di governo nella maggior parte decisi all'unanimità dal Consiglio regionale, preceduti da un confronto e in generale con l'assenso delle associazioni di categoria.
Da alcuni parti si è fatto notare che la proposta, per il secondo piano regionale di sviluppo, risulta carente di riferimenti verso l'artigianato cercandosi di dimostrare con ciò l'assenza di una linea politica e di indirizzo della Regione riferita al settore. Pur riconoscendo in qualche modo fondati i rilievi circa l'assenza di riferimenti al settore, mitigata peraltro dagli impliciti rinvii che possono essere colti in tutte le considerazioni avanzate tanto in ordine alla politica industriale e a quella per il terziario quanto relativamente ai vari campi di intervento, è da respingere decisamente l'accusa di non avere un progetto per l'artigianato. Ciò si può evincere dalle specifiche integrazioni che l'Assessorato ha proposto al secondo piano regionale di sviluppo fin dal mese di marzo scorso e, soprattutto, dai documenti integrativi del piano stesso - quali il programma pluriennale di attività e di spesa ad esempio che offrono, secondo noi, una più esauriente considerazione della politica settoriale.
Senza attardarci molto in questa analisi riconosciamo comunque che la proposta per il secondo piano di sviluppo regionale andrà rivista ed aggiornata, sulla base delle osservazioni emerse in fase di consultazione delle forze economiche e sociali, cercando di valorizzare alcune politiche settoriali come quella per l'artigianato di cui possono essere già colte prime interessanti anticipazioni nel programma di interventi operativi mirato alla scadenza del 1985. Riconosciamo altresì, anche autocriticamente, che occorre fare uno sforzo per registrare meglio le metodologie e le procedure della programmazione economica regionale partendo da più approfondite analisi della situazione socio-economica regionale fino ad estenderne il raggio d'azione verso le attività artigiane. La necessità di mantenere e possibilmente di migliorare il rapporto con la categoria è da noi considerato un impegno permanente.
Esso passa attraverso un confronto con le sue organizzazioni su tutti i provvedimenti riguardanti il settore, nel rispetto della rispettiva autonomia, senza pregiudiziali politiche ed ideologiche, al solo fine di meglio determinare le capacità progettuali per gli anni '80. Riconosciamo ovviamente un grande ruolo dell'associazionismo e ne auspichiamo un ulteriore sviluppo al fine di una maggiore sindacalizzazione della categoria. Esso rimane, per noi, punto di riferimento per la determinazione delle scelte di governo. Si avverte però, contemporaneamente, la necessità di stabilire un rapporto, non mediato, dell'istituzione regionale con tutti gli imprenditori, al fine di cogliere novità e spunti dalla categoria e fornire una tempestiva informazione sulle politiche che la Regione segue e sugli atti che essa compie.
A ciò occorrerà provvedere con un apposito strumento già nel corso del 1984.
UNA NUOVA "NORMATIVA DI PRINCIPI" PER L'ARTIGIANATO A determinare la necessità di una legge quadro (o di "principi") per l'artigianato, che trasformi in modo profondo l'assetto legislativo attuale (basato sulla legge 25/7/1956, n.860), concorrono fondamentalmente due esigenze: la prima, di ridefinire il concetto di impresa artigiana, per adeguarne ruolo e prospettive alle mutate condizioni dell'economia moderna la seconda, di un corretto riordino istituzionale alla luce delle competenze primarie attribuite in materia alle Regioni.
I ritardi nel varo di questa riforma sono ormai tali da farne sentire gli effetti non soltanto a livello di politica legislativa in generale, ma anche sul piano più strettamente amministrativo. Pur non attribuendo alle leggi quadro alcun carattere pregiudiziale all'esplicitazione di una diretta attività legislativa da parte delle Regioni (che ovviamente si pu sempre far valere sulla base delle funzioni trasferite e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico e della legislazione vigente come la stessa Corte costituzionale ha anche affermato), bisogna riconoscere che la nebulosità del contesto da cui ricavare i principi fondamentali limita oggettivamente l'iniziativa regionale, ostacolando la costruzione di una politica per l'artigianato organica e di ampio respiro.
Sul piano amministrativo, invece, basterebbe citare, per tutte, la vicenda delle proroghe sulla durata in carica delle Commissioni provinciali e regionale per l'artigianato che - a distanza di diversi anni dai primi impegni assunti per rinnovarle sulla base di una nuova disciplina del settore - vedono ormai compromessa persino la loro attività di ordinaria amministrazione.
Una fondamentale questione da porre all'attenzione del Governo è quindi la riforma generale dell'attuale legge 860 o l'emanazione di una "legge di principi", fatti giuridicamente non equivalenti ma che rappresentano la risposta ad un'identica esigenza: predisporre, cioè, un assetto dell'impresa artigiana (e delle sue istanze rappresentative) più moderno e più rispondente all'evoluzione segnata dal nostro sistema economico e politico - istituzionale.
APPRENDISTATO La legge n. 25 del 1955 che regola il rapporto di lavoro per gli apprendisti è unanimemente considerata ampiamente superata sia dalle innovazioni tecnologiche introdotte nel processo produttivo sia dalle condizioni soggettive dei giovani di oggi (livelli culturali e professionali più elevati).
La necessità di una nuova legislazione nazionale del lavoro che regoli alla luce dell'odierna realtà economica e produttiva il collocamento, la mobilità, l'apprendistato si pone con urgenza. Essa va intesa come una politica attiva per l'avviamento al lavoro per i giovani in un legame stretto tra formazione tecnica da realizzarsi in momenti esterni al processo produttivo e apprendimento diretto nel luogo di lavoro.
L'Amministrazione regionale, cogliendo gli orientamenti e le proposte contenute nell'ordine del giorno sul problema dell'apprendistato votato dal Consiglio regionale il 26 febbraio 1983, ha proposto alle forze imprenditoriali, sindacali, politiche, sociali e alle organizzazioni giovanili l'avvio di corsi sperimentali rivolti ai giovani da inserire in attività produttive qualificate. La sperimentazione, da articolarsi territorialmente a livello regionale e sulla base di ben individuati settori tecnologico - produttivi, può essere fatta se emergeranno, e noi operiamo in questa direzione, precise richieste sufficientemente apprezzabili sul piano quantitativo, da parte delle associazioni imprenditoriali e le loro associazioni di categoria, sempre che siano accertati i requisiti formativi delle aziende.
I giovani dovrebbero essere avviati ai Centri di formazione professionale dal collocamento in un numero concordato e programmato per l'anno formativo introduttivo alle tecnologie di settore di 1.200 ore previo accordo formale da raggiungere tra Regione, Ufficio del Lavoro Imprenditori, che garantisca agli apprendisti ritenuti idonei, rispetto agli obiettivi fissati, al termine di questo anno formativo (quattordicesimo), l'assunzione o con un contratto di apprendistato e con un contratto di formazione-lavoro. Successivamente l'attività formativa dovrebbe continuare in alternanza con 400 ore di formazione per due anni e con l'esame regionale unificato di qualifica e riconoscimento della qualifica acquisita da parte del datore di lavoro.
Con questa proposta, fatta in modo aperto e flessibile, si ritiene che l'Amministrazione regionale si dimostri intenzionata a dare una risposta concreta ai problemi posti dall'ordine del giorno approvato dal Consiglio regionale e dalle forze sociali e produttive, in quanto essa consente sul versante dei giovani di fornire strumenti concreti per una qualificazione professionale mirata all'inserimento produttivo.
Sul versante imprenditoriale si mettono a disposizione da parte dell'ente pubblico strumenti e risorse che riducono di fatto i costi della formazione della forza lavoro, che oggi sono a carico delle aziende ed in particolare di quelle artigiane.
Questi elementi introducono aspetti innovativi e di riforma degli istituti di avviamento dei giovani al lavoro qualificato, che la Regione intende, in collaborazione con le forze interessate, raccogliere in un'apposita proposta legislativa da presentare al Parlamento.
IL QUADRO DELLE RISORSE Sono emersi in questi ultimi tempi alcuni rilievi critici sulla politica artigiana regionale, che tendono ad evidenziare una presunta limitatezza delle risorse stanziate per il settore, accampando percentuali del tutto arbitrarie a questo proposito, senza che si faccia alcun serio sforzo di impostazione corretta del problema.
Pensiamo infatti che in primo luogo non sia metodologicamente corretto porre a raffronto la somma degli interventi affidati alle cure dell'Assessorato all'artigianato, che costituiscono soltanto una parte delle risorse investite dalla Regione per lo sviluppo economico, con il totale complessivo del bilancio regionale che risulta in notevolissima misura a destinazione vincolata. Il raffronto, se raffronto deve essere effettuato, va colto rispetto alle risorse libere sulle quali la Regione può impostare un'autonoma politica di intervento; non solo, nella spesa rivolta al settore artigiano occorre considerare, accanto agli interventi che discendono direttamente dal programma di sviluppo e qualificazione del settore, anche quelli pertinenti con i programmi di formazione professionale e di promozione fieristica, quantificabili nella loro espressione finanziaria mirata all'artigianato, per non parlare di tutti quegli altri programmi di intervento che indirettamente (industria, lavori pubblici, ecc.) esercitano pure essi effetti moltiplicativi sull'attivazione delle risorse che alimentano il sistema economico regionale. Non riteniamo coretto, in altri termini, esprimere giudizi politici e come tali quindi aventi valore generale sul bilancio della Regione, partendo da singoli pezzi del bilancio, che sono nient'altro che il risvolto tecnico-contabile di una programmazione per progetti e dimenticando quasi che l'unitarietà delle politiche può essere colta soltanto da un esame complessivo del bilancio stesso. Se operiamo in questo modo troviamo che la percentuale di risorse libere destinate al settore artigiano nel bilancio 1983 supera l'8 % del totale, sempre beninteso sorvolando per ovvie difficoltà di calcolo sulla spesa indiretta, vale a dire sulla spesa che, pur indirizzata ad altri fini, svolge un'utilità anche verso le imprese artigiane. Anche così facendo tuttavia parlare di percentuali ha un significato soltanto relativo; quale senso dovremmo dare altrimenti alle assegnazioni statali della Cassa per il credito alle imprese artigiane, anch'esse utilizzabili nella Regione a favore dell'artigianato e secondo indirizzi determinati dagli organi regionali? In certi esercizi, come è per l'attuale, queste risorse raggiungono livelli ragguardevoli, almeno se confrontate con le risorse disponibili da parte della Regione per i suoi interventi autonomi e non sono ancora le sole; a queste occorrerebbe aggiungere quelle delle Camere di Commercio degli Enti locali subregionali, ecc.
Veniamo dunque alla seconda considerazione che ci fa capire come parlare soltanto di cifre è anche fuorviante e vanamente polemico. Ha interesse invece la discussione, essendo la Regione un Ente di governo esponenziale nella materia dell'artigianato, con funzioni di coordinamento indirizzo e programmazione, se si affronta il tema di quali devono essere le politiche, quali gli obiettivi, quali i programmi e quindi anche quali gli strumenti e quali le risorse, non dimenticando mai la pluralità di soggetti istituzionali chiamata ad intervenire, ognuno con precise responsabilità. Diversamente, rischiamo di scatenare una concorrenza tra diversi centri di spesa, senza alcuna valutazione della qualità e quantità dei bisogni da soddisfare, finendo così per mantenere l'artigianato in una condizione assistita che non aiuta alcuna seria prospettiva di sviluppo.
INTERVENTI CREDITIZI (LEGGE REGIONALE 47/1978) Gli interventi che maggiormente hanno caratterizzato l'iniziativa della Regione a favore del settore artigiano sono riconducibili alle politiche di sostegno finanziario e di agevolazione creditizia. La legge regionale 28/7/1978, n. 47, rappresenta a questo riguardo il principale strumento di intervento adottato; con tale legge è stato possibile garantire al nostro artigianato, soprattutto nel periodo tra il 1978 ed il 1981, finanziamenti bancari di importo unitario di gran lunga superiore a quello previsto attraverso il canale dell' Artigiancassa; n. 1.266 sono state le operazioni di finanziamento ammesse a contributo per un importo di L. 73.979.754.000.
Un altro importante risultato ottenuto con la legge n. 47 è stato quello di aver introdotto e sperimentato, per la prima volta in campo nazionale, una forma concreta di leasing agevolato in favore delle imprese artigiane attraverso questa formula di finanziamento sono stati agevolati 1.268 contratti di locazione per un importo di L. 59.563.969.000. Non meno efficaci si possono considerare i risultati nel campo dei fondi rischi di garanzia, costituiti attraverso apposite cooperative, le agevolazioni in conto interessi per i prestiti di esercizio e la nascita di consorzi di secondo grado tra le cooperative stesse che in alcuni casi, come è per l'Artigianfidi, hanno consentito di sviluppare l'assistenza finanziaria alle imprese con soluzioni particolarmente finalizzate di crediti bancari.



COOPERATIVE ARTIGIANE DI GARANZIA

1974: n, cooperative 5 - n, soci 1.260 1982: n, cooperative 32 - n, soci 17.949



PRESTITI DI ESERCIZIO

1974: n. 90 - importo 173.000.000 1982: n. 2.328 - importo 10.773.000.000 Da oltre un anno a questa parte la legge regionale n. 47/1978 accusa però crescenti difficoltà di ordine amministrativo e gestionale; dapprima con l'estendersi dell'intervento statale in tema di agevolazioni creditizie e finanziarie, che ha cercato di codificare entro limiti illegittimi la stessa attività di intervento della Regione in questo campo - tentativo bloccato dalla sentenza n. 150 del 1982 della Corte Costituzionale successivamente con i problemi legati al reperimento di risorse autonome con cui far fronte al pagamento degli interessi e ai conseguenti aspetti di irrigidimento dei bilanci regionali, derivanti dal pagamento delle annualità dei contributi, infine con l'accumularsi di adempimenti gestionali difficilmente ottimizzabili in sede regionale, si sono determinate condizioni che suggeriscono il ricorso ad una profonda revisione dell'attuale normativa. Questo aggiornamento legislativo costituisce un impegno della Giunta regionale, impegno che trova riscontro nel programma di interventi operativi di recente predisposto e per il quale si conta, entro due mesi al massimo e comunque prima della fine dell'anno di presentare al Consiglio regionale un apposito disegno di riforma al riguardo.
Circa le linee della riforma auspicata si può dare qualche indicazione di merito tenuto conto che un apposito gruppo di studio costituito in seno alla Consulta per l'artigianato ha già esaurito i propri lavori formulando specifiche indicazioni unitarie.
Gli elementi portanti della riforma dovrebbero essere costituiti da un ampliamento degli interventi, tale da favorire una più articolata disponibilità di risorse finanziarie per il sostegno dei programmi aziendali dell'artigianato e da più razionali soluzioni dei problemi gestionali. Per il raggiungimento di questi obiettivi sono ipotizzate alcune indicazioni operative alle quali si accenna soltanto: potenziamento degli interventi tradizionali, tanto per i fabbisogni finanziari necessari agli investimenti quanto per le esigenze connesse al normale esercizio delle aziende, ulteriore sviluppo del sistema di garanzie mutualistiche e dei fondi rischi, favorendo migliori assetti organizzativi delle cooperative artigiane di garanzia e delle strutture di coordinamento di queste, estensione dell'esperienza Artigianfidi ad altri settori di intervento oltre quello dei crediti derivanti da commesse, forniture ed ordini. Questi settori potrebbero essere ad esempio la fattorizzazione dei crediti "pro soluto", il finanziamento dell'innovazione tecnologica, della partecipazione a gare d'appalto, della sperimentazione tecnica, di programmi di penetrazione commerciale, ecc.
ARTIGIANCASSA Nell'ambito della revisione della legge 47/1978 si porrà inoltre il problema del principale strumento di incentivazione degli investimenti artigiani, vale a dire la Cassa per il Credito alle Imprese Artigiane.
Rispetto a questo strumento si porrà in altri termini il problema di ridefinire il ruolo che deve essere assegnato all'Artigiancassa e conseguentemente, i rapporti che potranno essere realizzati con questo Ente. La questione di fondo che a questo specifico riguardo si pone è quella di stabilire se può esservi utilità e convenienza in un eventuale conferimento di fondi regionali alla Cassa Artigiana perché vengano utilizzati in aggiunta ai normali limiti di finanziamento a carico dei fondi statali e secondo le finalità e le direttive stabilite dalla Regione.
Questa soluzione operativa sollecitata da più parti ha risentito fino ad oggi delle risposte mancate al problema della riforma dell'Artigiancassa, Non è soltanto da oggi che la Regione, rispetto a questo importante strumento di incentivazione avanza legittime rivendicazioni, basta ricordare soltanto il Convegno di Venezia dell'11 e 12 marzo scorso, in cui le Regioni, in un qualificato dibattito nazionale hanno focalizzato tutti gli aspetti di una moderna politica creditizia a favore delle imprese artigiane e, soprattutto, i requisiti a cui deve essere informata la riforma del principale istituto erogatore di credito agevolato alle imprese artigiane. Non ci nascondiamo che dei passi avanti sono stati fatti in questi anni: rappresentanti regionali ormai siedono negli organi principali di direzione di questo istituto; la Regione peraltro è stata chiamata ad esercitare alcuni poteri di indirizzo sulle risorse statali assegnate alla Cassa Artigiana. Proprio in questi giorni abbiamo concluso - con dodici incontri provinciali con banche, associazioni di categoria, enti locali - gli sforzi tesi a far conoscere le disponibilità finanziarie ed operative della Cassa Artigiana in Piemonte che, come sapete, ammontano a circa 100 miliardi di lire di contributi con cui è possibile - agli attuali tassi agevolati - attivare finanziamenti per oltre 400 miliardi di lire. Ai provvedimenti adottati dalla Regione dovranno ora affiancarsi altre misure che, come abbiamo avuto modo di riscontrare nel corso di tutti gli incontri tenuti a livello provinciale non possono più essere eluse. Queste sono date dalla certezza di poter disporre di risorse programmate per almeno due o tre anni, dall'elevamento del fido limite attualmente fissato in 60 milioni di lire per impresa e dall'avvio concreto delle operazioni di leasing agevolato per il quale è inammissibile ormai che a distanza di quasi tre anni dall'emanazione della legge che ne autorizza l'operatività, non siano ancora seguiti i provvedimenti applicativi. Per quanto riguarda il fido limite riteniamo che debba essere elevato ad almeno 150 milioni di lire e che ancora meglio sarebbe se fosse del tutto eliminato questo anacronistico tetto alle possibilità creditizie e si ragionasse in termini di quote di investimento da finanziare. Se non saranno introdotte queste innovazioni riteniamo che gli stessi poteri della Regione di determinare limiti e modalità di concessione del contributo in conto interessi non basteranno a definire un sistema più compiuto di incentivazione e sostegno degli investimenti artigiani; alla lunga potrebbero quindi essere più penalizzate proprio le imprese maggiormente impegnate in programmi di rinnovamento tecnologico e perciò più bisognose di attingere a crediti in misura superiore agli attuali limiti e di utilizzare le forme nuove di finanziamento quali il leasing. Se queste misure verranno adottate con tempestività sarà ancora più credibile il progetto di un'Artigiancassa riformata in cui siano garantiti i necessari raccordi tra gli organi regionali responsabili della politica settoriale per l'artigianato e lo strumento tecnico attraverso cui passa il volume maggiore di risorse destinate al settore.



AREE ATTREZZATE

Un altro campo di interventi che ha segnato profondamente la politica regionale per l'artigianato è quello della costituzione di aree attrezzate per gli insediamenti. In appena quattro anni dall'emanazione della legge regionale n. 64/1979 risultano infatti realizzate ben dieci aree attrezzate in nove Comuni della Regione. Questo intervento ha richiesto, fino ad oggi un impegno di risorse per il finanziamento delle opere di urbanizzazione pari a L. 7.704.146.919 di cui il 65% già erogate. Valutando l'effetto moltiplicativo dei contributi regionali, attraverso il dato concernente i Comuni già finanziati, si ricava che ogni lira erogata mobilita 3 lire di investimenti di infrastrutturazione primaria e secondaria ed oltre 11 lire se si considerano anche gli investimenti aziendali. A fronte dell'impegno di risorse attuato dalla Regione per la costituzione di aree attrezzate per insediamenti artigiani si possono stimare pertanto in oltre 23 miliardi di lire di investimenti di sola infrastrutturazione prima e secondaria e in 88,5 miliardi di lire quelli comprensivi anche degli investimenti aziendali. Nel corso di quest'anno altri sei Comuni (Nichelino - secondo lotto, Acqui Terme, Alba, Casalbeltrame, Moncalieri, Sagliano Micca) tra quelli che hanno avanzato domanda, risultano dalla preistruttoria effettuata potenzialmente dotati di tutti i requisiti richiesti dalla legge. Se ciò verrà confermato anche ad istruttoria ultimata potranno essere così avviate, già a partire dal prossimo anno, altre sei nuove iniziative con una spesa per i contributi necessari all'urbanizzazione primaria, stimata in circa 7 miliardi di lire.
Noi crediamo che si debba dare una valutazione sostanzialmente positiva sui risultati ottenuti con l'applicazione della legge regionale n. 64/1979 si sono create condizioni favorevoli per l'ammodernamento aziendale e sono stati sviluppati investimenti, sia diretti che indotti, che hanno permesso un reale potenziamento delle strutture produttive locali. Nel corso di quest'anno è stata tentata un'analisi dettagliata, area per area, degli effetti sortiti dai singoli interventi. Pur scontando diverse lacune costituite dai Comuni che non hanno risposto ai questionari o da quelli che hanno sottovalutato l'indagine avviata, abbiamo rilevato - laddove l'Ente locale si è impegnato a fondo nella rilevazione dei dati - uno sviluppo sensibile dell'occupazione riferita alle aziende che si sono rilocalizzate.
Per una valutazione esauriente dal punto di vista economico e produttivo pensiamo che dovrà essere messa in campo tra qualche anno, quando gli effetti di una politica che si realizza su un arco di tempo pluriennale si saranno consolidati, una struttura specializzata di ricerca che collabori con i Comuni interessati per una rilevazione accurata e rigorosa di tutte le variabili chiamate in causa da questo tipo di interventi.
Alcune questioni legate alla politica regionale per la costituzione di aree attrezzate per insediamenti artigiani si pongono e vogliamo porle pensiamo alla proposta di unificazione della normativa sulle aree attrezzate industriali con quella sulle aree artigianali, alla questione del piano di settore prevista dalla legge regionale n. 64/1979. Per quanto riguarda la proposta di unificazione crediamo che esistano problemi comuni la cui soluzione può essere impostata unitariamente, ma pensiamo anche che i problemi di insediamento delle imprese artigiane vadano considerati in tutte le loro peculiarità, che sono in parte analoghe ed in parte difformi da quelle riferite al settore più propriamente industriale. Pensiamo, in altri termini, che sia da evitare nel modo più assoluto il ritorno al modello di intervento della legge n. 21 del 1975, la quale ad un'affermazione di principio sulle finalità della legge, riguardanti la realizzazione di insediamenti sia industriali che artigianali, faceva corrispondere meccanismi di intervento ispirati unicamente dalle logiche di rilocalizzazione industriale in un'ottica di riequilibrio territoriale. La legge regionale n. 9/1980 risulta già molto diversa dalla legge 21 tant'è che consistenti processi di rilocalizzazione rivolti verso la legge n. 9 sono alimentati prevalentemente dal settore artigiano piuttosto che da quello dell'industria. Se ciò ci rende consapevoli della vitalità che esprime il settore dell'artigianato pur in situazioni di crisi come quella che stiamo attraversando, ci deve anche rendere accorti sulle risposte migliori da dare per allargare sempre di più le potenzialità economiche e produttive di cui è portatrice l'imprenditoria minore ed artigiana in particolare. Per ciò che concerne il piano di settore delle aree attrezzate artigiane diciamo che questo atto di programmazione non contraddice con la riflessione che tende a dare un assetto legislativo unitario al problema degli insediamenti produttivi, siano essi di tipo industriale che artigiano. Il piano di settore può aiutarci notevolmente semmai a definire meglio la base conoscitiva dei fabbisogni di insediamento delle imprese artigiane, a finalizzare maggiormente i vari progetti di area attrezzata e ad introdurre ulteriori elementi di razionalizzazione della spesa regionale in questo campo. Per questi motivi pensiamo di andare avanti su questo tema e di poterci impegnare come Giunta a presentare, entro la prima metà del 1984, una proposta al riguardo. In particolare, riteniamo che in tema di aree attrezzate per insediamenti artigiani si debbano intensificare gli sforzi tesi a qualificare ogni iniziativa non soltanto in termini puramente urbanistici, ma anche sul terreno dei servizi di uso collettivo che un'area attrezzata deve poter indurre. In questo sforzo un ruolo non secondario spetta ai Comuni sede di aree attrezzate, che hanno la possibilità di integrare maggiormente la politica locale di sviluppo dell'artigianato attraverso un'intelligente finalizzazione dei contributi regionali erogati.



PROMOZIONE COMMERCIALE

Nel campo della promozione commerciale la Regione è impegnata a predisporre occasioni e strumenti utili all'allargamento del mercato delle produzioni artigiane nonché alla migliore valorizzazione degli stessi prodotti. Numerose aziende del settore beneficiano annualmente di sussidi finanziari per l'attività diretta alla ricerca di nuovi sbocchi commerciali o al consolidamento di quelli esistenti; progetti di promozione settoriale sia sul mercato nazionale che estero, per importanti comparti di artigianato, sono stati avviati attraverso la collaborazione e l'impegno dei vari enti che hanno compiti promozionali, l'ICE e la Promark. A questo proposito merita ricordare l'adesione della Regione Piemonte al progetto nazionale per la promozione della gioielleria e dell'oreficeria italiana attuato dall'ICE nell'area di Los Angeles.
Tale progetto, che ha visto anche l'adesione del Veneto, della Toscana e della Campania, ha comportato un investimento complessivo di 2 miliardi di lire nell'arco del triennio '80-'82, con una quota regionale di 200 milioni.
Parallelamente, la Soc. Promark ha organizzato la partecipazione delle aziende artigiane alle più importanti manifestazioni internazionali specializzate (subfornitura, pelletteria, abbigliamento, elettronica ecc.).
Una particolare attenzione inoltre è stata posta nella politica fieristica a livello locale, stimolando la riqualificazione delle numerose mostre-mercato che si tengono un po' dappertutto nella Regione verso le esigenze dei settori più direttamente produttivi; sono ormai trentuno le rassegne locali in cui si attua una promozione dei prodotti dell'artigianato.
Lungo queste direttrici di intervento si ritiene di dover confermare l'impegno della Regione anche nei prossimi anni.
Di rilevante interesse dovrà essere inoltre un'azione promozionale specifica verso l'artigianato artistico e verso i mestieri tradizionali per gli aspetti economici e culturali che questi incorporano. Al riguardo oltre agli interventi di valorizzazione e diffusione della conoscenza dei prodotti, che sarà possibile di volta in volta attivare, pensiamo possa essere utile l'organizzazione di una rassegna periodica, o di un'altra struttura similare, che valga a presentare e promuovere la produzione dell'artigianato artistico e tipico della Regione.
DELEGHE Con l'ampliarsi dell'intervento regionale nel settore dell'artigianato i problemi di governo della politica settoriale suscitano legittime aspettative per quanto attiene il decentramento delle funzioni amministrative ed il migliore assetto dei rapporti delle imprese con i poteri locali. La Giunta regionale ha dimostrato di farsi carico di questo problema approvando nel luglio del 1981 il disegno di legge n. 118 relativo appunto alle deleghe in materia di artigianato; come ha mostrato la successiva discussione in merito al disegno di legge il progetto di deleghe ha risentito della discussione generale in corso sul tema delle deleghe e dell'ancora irrisolta questione dell'ente intermedio, incontrando ostacoli ad una rapida approvazione del progetto stesso.
Occorre ribadire a questo riguardo che l'esigenza di riprendere il discorso sulle deleghe in materia di artigianato per arrivare al più presto ad una sua soddisfacente soluzione è quanto mai pressante. Pensiamo che nei prossimi anni, soprattutto se verrà approvata la legge quadro per l'artigianato che porterà un deciso aumento della consistenza di imprese si incontreranno grandi difficoltà per quanto riguarda la possibilità di corrispondere efficacemente alle esigenze di tutela e di sviluppo di un'imprenditoria diffusa sul territorio come quella artigiana, se non verrà risolto adeguatamente il problema delle deleghe.
Ci sono due questioni che si presentano relativamente a questo problema, sulle quali merita riflettere separatamente perché questo ci pu consentire di cogliere meglio l'importanza del progetto e di una sua realizzazione, almeno parziale, se per ipotesi dovessimo riscontrare che non ci sono ancora le condizioni per realizzare nella sua interessa il progetto di deleghe.
La prima questione è quella degli organi di autogoverno dell'artigianato, Commissioni provinciali e Commissione regionale, che il D.P.R. 616/1977 ha trasferito alla Regione; tutte le funzioni connesse con le attuali attribuzioni di questi organi sono già decentrate sul territorio senza che a ciò corrisponda ancora un sistema organizzativo che colleghi l'attività delle Commissioni ai programmi di intervento della Regione nella materia. Ora, sono a tutti note le disfunzioni arrecate al funzionamento di questi organi dal ritardo nell'emanazione della legge di principi, talch le Commissioni vivono in regime di proroga, tacita ormai, da lunghi anni, e le insufficienze delle Commissioni stesse nell'esercitare tutte le funzioni ad esse attribuite per legge che non sono soltanto di tenuta degli Albi artigiani ma si estendono anche agli interventi promozionale per le Commissioni provinciali e di conoscenza e studio del settore artigiano per la Commissione regionale.
Rispetto a tutti questi organi e particolarmente con riferimento alle Commissioni provinciali, essendo stata la Commissione regionale già portata nell'ambito degli uffici regionali con l'emanazione della legge regionale 14/3/1980, n. 14, occorre predisporre tutte le condizioni organizzative che consentano una piena capacità operativa sia come organi di autogoverno della categoria che come articolazioni periferiche della Regione in grado di essere partecipi e protagoniste dello sforzo di governo e di programmazione del settore artigiano. Vanno in questo senso le scelte compiute di recente dalla Giunta di istituire un collegamento informatico degli uffici regionali con tutti gli Albi artigiani e la proposta, che ci auguriamo il Consiglio ratificherà in tempi brevi, di inviare un funzionario regionale presso ciascuna Commissione per l'artigianato in sostituzione del rappresentante ex ENAPI, previsto dalla legge ma di fatto assente in seguito allo scioglimento di tale ente. A tali scelte dovranno pertanto seguire atti più incisivi, possibili sia attraverso il progetto di deleghe che mediante convenzioni con le Camere di Commercio che attualmente apprestano i mezzi necessari al funzionamento delle Commissioni provinciali, che permettano di conseguire le condizioni per il miglior espletamento dei compiti richiesti e di ricondurre questi organi-uffici all'interno dei poteri di indirizzo e vigilanza della Regione.
La seconda questione che si pone con riferimento al progetto di delega concerne l'individuazione dei soggetti della delega stessa. Il disegno di legge n. 118 individua tali soggetti nelle Province e riconosce inoltre alcune attribuzioni di carattere promozionale in capo alle Comunità montane. Riteniamo che la Provincia abbia interessi reali al recepimento di deleghe in materia di artigianato laddove queste si possono saldare con le attribuzioni delle Commissioni provinciali in un ambito territoriale che non viene modificato dai vari progetti di legge quadro per l'artigianato riteniamo anche che siano da salvaguardare alcune attribuzioni alle Comunità montane, soprattutto per ciò che concerne le iniziative dirette a far conoscere e valorizzare l'artigianato delle Valli. Ma siamo altresì convinti che occorrerà guardare ai Comuni per tutte le funzioni legate alla realizzazione di programmi di intervento a scala di singola impresa. Questo vale soprattutto per gli eventuali interventi finanziari a favore di singole aziende, potendosi realizzare in questo modo efficaci raccordi tra i poteri che già allo stato attuale i Comuni detengono in materia di artigianato (politica urbanistica, atti di istruttoria per il riconoscimento della qualifica artigiana, apprestamento di aree attrezzate) e gli strumenti più selettivi di intervento predisposti dalla Regione allo scopo di realizzare una politica di sviluppo dell'artigianato sul territorio.
Probabilmente se scinderemo le due questioni prima ricordate e le valuteremo nella loro specificità, cercando nel contempo di garantire un assetto organizzativo più moderno e più rispondente alle esigenze di un'imprenditoria di massa particolarmente legata alle istanze del potere locale come quella artigiana, riusciremo a definire un buon progetto di delega in materia di artigianato. Di pari passo con tale progetto dovrà essere rivista e potenziata la struttura organizzativa del servizio regionale chiamato ad operare in materia di artigianato, secondo linee che ne rivalutino la capacità di programmazione, indirizzo e coordinamento.



STRUMENTI PER UNA POLITICA DI SERVIZI REALI ALLE IMPRESE

La tensione che accompagna il dibattito intorno agli strumenti più efficaci per una moderna politica rivolta allo sviluppo delle imprese artigiane fa di tanto in tanto riemergere l'ipotesi, da parte di alcuni rappresentanti di categoria, di un ente di sviluppo per l'artigianato o come si preferisce chiamarlo negli ultimi tempi, di un'agenzia regionale di sviluppo per l'artigianato. Abbiamo detto di non essere pregiudizialmente contrari a valutare qualsiasi ipotesi, compresa quella dell'ente di sviluppo, suscettibile di contribuire alla soluzione dei problemi del settore artigiano. Con riguardo a questa ipotesi abbiamo anche valutato l'esperienza realizzata nelle Regioni che allo stato attuale (sono quattro! ) hanno istituito un apposito ente e abbiamo visto che i risultati raggiunti non sono poi né più interessanti né più originali di quanto comunemente non si riesca a realizzare nelle restanti Regioni. Siamo comunque disponibili ad aprire un confronto su questo tema purché si parta da una discussione sugli obiettivi e sulle politiche di sviluppo del settore artigiano, per confrontarsi poi sugli strumenti più adeguati per realizzare obiettivi e politiche di settore.
Prima di maturare qualsiasi decisione definitiva al riguardo sarà opportuno tuttavia vedere quale ruolo deve essere riconosciuto agli organi di autogoverno della categoria. La stessa Consulta per l'artigianato, che abbiamo istituito per un coinvolgimento delle istanze più rappresentative dell'artigianato piemontese nelle scelte più significative di governo regionale, potrà vedere ridefinito il proprio ruolo in relazione agli sviluppi che potrà segnare tutto il sistema rappresentativo e di autogoverno del settore. Già oggi comunque siamo in grado di poter affermare che esistono tutte le condizioni per dare risposta, sia direttamente attraverso gli organi regionali, che attraverso gli enti strumentali della Regione, alle varie esigenze del comparto purché ogni iniziativa abbia elementi di progettualità sufficientemente definiti che consentano di valutare con chiarezza i risultati di ciascuna iniziativa e le forze imprenditoriali chiamate a partecipare alla realizzazione dei programmi. Con questo spirito e con questa metodologia abbiamo avviato programmi in tutti i campi, dalla promozione commerciale in Italia e all'estero alla ricerca applicata, dalla sperimentazione di rapporti rivolti alla valorizzazione dell'apprendistato alla formazione per l'aggiornamento imprenditoriale e manageriale; in ognuno di questi programmi l'artigianato regionale è presente con la forza che gli deriva dalla propria capacità di essere propositivo e di riuscire a canalizzare i bisogni della categoria, soprattutto per quanto riguarda i servizi reali alle imprese, campo in cui la Regione può più efficacemente esprimere i propri mezzi e le proprie risorse.
Per meglio rispondere ai problemi che derivano alle imprese artigiane dal progresso tecnologico pensiamo che possa essere utile approfondire, già a partire dalle prossime settimane, l'ipotesi di costituire presso la Finanziaria regionale un apposito fondo-strumento che abbia come scopo quello di favorire la diffusione dell'innovazione nonché le prestazioni di assistenza organizzativa, tecnica, manageriale e di mercato connessa al rinnovamento tecnologico delle aziende artigiane. Tale fondo dovrebbe essere utilizzato sulla base di analisi accurate di ogni singola iniziativa, condotte dalla Finpiemonte, ed attraverso l'impegno di un apposito Comitato di garanti in cui oltre all'istituto finanziario regionale siano presenti le associazioni di categoria, la Regione ed altri enti interessati. Qualora l'esperienza riscuotesse il successo sperato si potrebbe estendere ad altri programmi di interesse definiti di volta in volta tra tutti gli operatori interessati.



GLI STRUMENTI CONOSCITIVI

La carenza di dati che consentano di costruire un quadro aggiornato del settore artigiano e di seguirne l'evoluzione nel tempo sollecita un grande impegno verso la predisposizione di adeguati strumenti conoscitivi. Non valgono a questo scopo indagini conoscitive di carattere generale dispendiose dal punto di vista dei costi e inevitabilmente di lenta realizzazione, ma strumenti capaci di fornire - almeno in prima approssimazione - risposte tempestive con sufficiente attendibilità.
Si tratta in buona sostanza di realizzare un sistema informativo permanente ed un osservatorio congiunturale che consentano di conoscere le imprese artigiane sia nella loro realtà interna ed esterna, sia nei rapporti con le altre imprese artigiane e con il territorio, nonché di disporre di informazioni utili alla stesura di periodici rapporti sull'andamento del settore.
Una prima base da cui partire per la messa a punto del sistema informativo è costituita dall'autorizzazione, di recente ottenuta, al collegamento informatico con la rete CERVED, che consentirà di accedere ai dati contenuti negli archivi delle Camere di Commercio relativamente agli Albi artigiani ed al registro ditte. Tale collegamento è imprescindibile per una rifondazione degli Albi delle imprese artigiane che non devono essere soltanto strumenti burocratici come è attualmente, ma strumenti capaci di rilevare tempestivamente le trasformazioni e le esigenze che si manifestano nel settore, garantendo così alle organizzazioni di categoria ed al sistema dei poteri locali tutte le conoscenze necessarie per un governo democratico dell'artigianato.
A questo sforzo di rifondazione degli Albi, che dovrà vedere impegnate le CPA e la CRA accanto alle strutture centrali della Regione, occorrerà accompagnare con l'ausilio del CSI iniziative atte a collegare organicamente i dati relativi al settore artigiano con le altre fonti statistiche (ISTAT, INPS, Artigiancassa, ecc.) e banche dati, per cogliere tutte le interrelazioni esistenti tra dinamica settoriale e dinamiche economiche più generali. Non si tratterà tuttavia soltanto di predisporre adeguati strumenti di rilevazione costante dei dati di settore ma anche di promuovere, soprattutto a livello scientifico, una maggiore "cultura" verso i problemi dell'artigianato.
Riteniamo a questo proposito che debbano essere anche avviati studi specifici, per singoli comparti o per problemi particolari; ciò potrà avvenire tanto in occasione delle periodiche revisioni degli Albi artigiani quanto a seguito di specifici accordi con le Camere di Commercio laddove ciò può consentire di integrare utilmente le varie fonti statistiche disponibili presso gli uffici camerali. Su un piano diverso dovranno inoltre essere instaurati rapporti organici e continui del mondo della ricerca universitaria con il settore artigiano.
Dalle cose finora dette tanto sul piano generale quanto su quello specifico della politica per il settore artigiano, prende forma l'idea attorno alla quale le forze di governo regionale si stanno muovendo.
Essa considera la realtà nelle sue molteplici espressioni produttive dall'imprenditoria singola, alle forme imprenditoriali associate cooperative e pubbliche.
Ognuna di esse può assolvere ad una positiva azione operando all'interno di linee programmatiche democraticamente determinate dal potere pubblico, dove le esigenze collettive prevalgono su quelle di ceto o di gruppo, in uno sforzo teso a superare squilibri sociali e territoriali, in un'ottica di sviluppo economico sociale di valorizzazione e di riconoscimento delle qualità di ogni cittadino. Siamo cioè propensi a credere che l'avvenire del Piemonte si reggerà su un sistema di imprenditorialità diffuso in termini territoriali e settoriali ed avvertiamo la domanda che da esso proviene, di avere un quadro programmatico di riferimento all'interno del quale poter compiere con certezza le proprie scelte.
Di ciò hanno estremo bisogno il movimento operaio e le sue organizzazioni, sempre più chiamate a farsi carico di problematiche di portata nazionale che si possono affrontare compiutamente solo se si avvierà una politica attiva di ripresa e sviluppo dell'economia, capace di creare nuove occasioni di lavoro qualificato.
Ciò comporta una politica nazionale molto determinata, capace di un uso rigoroso e finalizzato delle risorse, efficiente e democratica, produttrice di riforme strutturali ed innovazioni legislative, coerente con un disegno rinnovatore e di progresso per una società democratica avanzata.
Per questo chiediamo al Governo di agire affinché la nuova legge di principi per l'artigianato venga finalmente varata, perché si attui una politica di riforma del mercato del lavoro, si dia vita ad una nuova normativa sull'apprendistato, si proceda a riformare l'Artigiancassa, si avvii una politica del credito non penalizzante per gli artigiani e per gli investimenti produttivi, si produca una svolta nella politica per il commercio estero ed un rinnovamento dell'Istituto per il Commercio con l'Estero.
Questi atti sono necessari per gli imprenditori artigiani e per l'economia nazionale e permetterebbero alle Regioni di operare con maggiore efficacia.
Su questi temi è nostra ferma intenzione riprendere un'iniziativa politica a livello interregionale, per far sì che Governo e Parlamento sentano per intero la volontà delle Regioni e della categoria artigiana.
Per quanto ci compete opereremo affinché i vari livelli statuali territoriali e settoriali agiscano in modo sempre più coordinato, come condizione per realizzare una politica di programmazione che moltiplichi e finalizzi le risorse.
Sentiamo la necessità di sviluppare i sistemi conoscitivi per affinare la nostra politica verso il settore, procederemo alla revisione della legge regionale n. 47 del 1978, proporremo al Consiglio regionale il piano regionale per le aree attrezzate, la legge di delega in materia di artigianato e per la valorizzazione ed il rilancio delle Commissioni provinciali e regionale per l'artigianato, le iniziative per l'apprendistato, per la creazione di servizi reali alle imprese avvalendosi della Finpiemonte e lo sviluppo di una politica della promozionalità capace di valorizzare la produzione artigiana e farle conquistare nuovi spazi di mercato a livello nazionale ed estero.
Su queste linee ci muoveremo, pronti a cogliere tutti quei contributi che anche l'odierno dibattito vorrà fornirci.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI



PRESIDENTE

La discussione è aperta. La parola al Consigliere Sartoris.



SARTORIS Riccardo

Signor Presidente, colleghi, sin dal 1981 il Gruppo D.C. ha chiesto che il Consiglio regionale dedicasse un'intera giornata ad un confronto tra le forze politiche, in esso presenti, sull'artigianato.
La ragione fondamentale che ci ha spinti ad insistere e a rinnovare la richiesta è quella legata alla circostanza che la Regione, pur avendo responsabilità dirette attribuite dal D.P.R. 616, ci pare abbia, in questi ultimi anni, riservato poco spazio all'approfondimento, specie all'interno del Consiglio, dello stato di un settore che, per contro, sul piano esterno non ha mancato di manifestare tutta una sua vitalità di presenza propositiva che solo nel corso di quest'ultimo anno ha assunto i toni della rivendicazione e, qualche volta, della contestazione. Se l'ampia relazione caratterizzata da una lunga dichiarazione di intenzioni dell'Assessore, ci fosse stata consegnata prima di stamani il confronto si sarebbe svolto in forma più puntuale.
Forse un atteggiamento meno "sicuro" del governo piemontese, più disponibile ad agire che a difendere provvedimenti o proposte, molto spesso obsolete rispetto ai tempi in cui si è collocato il settore negli anni '80 avrebbe consentito una più diretta ed efficace partecipazione del Consiglio regionale, in ogni caso più idoneo a far emergere e a prospettare, anche rispetto al settore dell'artigianato, i grandi cambiamenti intervenuti alla fine degli anni '70, dei meccanismi sociali nel nostro Paese, ma soprattutto nella nostra Regione.
Un breve passo indietro non può che essere salutare per chi vuole far memoria di immobilismi e disattenzioni del passato al fine di evitarne nel futuro.
Il dato essenziale, intorno al quale si collocano le più diverse argomentazioni, è che, negli ultimi anni '70, si è determinata una crescita quantitativa dei soggetti dello sviluppo economico e sociale.
Si sono moltiplicati gli imprenditori per l'emergere di molta economia sommersa e per l'acquisizione di autonomia di molti di essi che avevano cominciato come appaltatori o terzisti, per l'avanzare dell'artigianato legato all'industria, per l'aumento del terziario che si è affermato attraverso piccole iniziative imprenditoriali; è esplosa la forza soggettuale della famiglia come produttrice di un reddito composito, di consumo, di risparmio, al limite anche di investimento (quante iniziative di impresa piccola, media, o artigiana, hanno visto la famiglia come vero occulto banchiere!).
A questo fenomeno si è accompagnato il moltiplicarsi di soggetti istituzionali a scala locale. Gli anni '70 sono stati quelli della costituzione delle Regioni, della ricerca di enti intermedi, del decentramento ai Comuni, addirittura del rilancio delle Amministrazioni provinciali.
Non vi è stato soltanto un espandersi quantitativo, ma i singoli soggetti hanno acquisito forti spinte di iniziativa, di autonomia, di responsabilizzazione.
A questo aumento dell'imprenditorialità minore, in Piemonte, si è accompagnato un ulteriore fenomeno che, purtroppo, nessuna programmazione aveva previsto: il localizzarsi in altre Regioni, con particolare riferimento a quelle orientali, di un nuovo sviluppo industriale che ha modificato il primato economico e politico delle zone occidentali del Paese (da Torino a Genova, da Roma a Napoli e Palermo).
Il tessuto produttivo piemontese si è quindi andato trasformando in maniera silenziosa e sommessa, ma con enorme intensità che solo i dati dell'ultimo censimento ci hanno rivelato in tutta la sua evidenza.
Il domandarsi, nell'odierna occasione ed ancora una volta, se la Regione abbia realmente operato e, quel che più conta, sia riuscita ad incidere nel dare governabilità e direzione a processi economici così rilevanti, domandarsi questo significa atto di responsabilità non empirico ma doveroso in un dibattito che non vuole, come purtroppo per tanti dibattiti è avvenuto, essere una rappresentazione legata ad una specie di "etica delle intenzioni" attenta più al gesto che alle azioni, più al valore delle cose declamate di quelle modificate.
L'artigianato, per specifica competenza istituzionale, è un terreno che appare adatto, forse più di tanti altri, a misurare l'azione regionale e a valutarne i risultati.
Intanto, senza ipocrisia, occorre prendere atto di alcune circostanze che, oggettivamente, ostacolano l'assimilazione dei problemi del mondo artigiano con quelli più tradizionalmente legati all'attività politica.
L'uomo pubblico acquisisce un bagaglio di conoscenze che difficilmente, comprende quella di un'attività che, per natura e sostanza è attività privata. La civiltà industriale, è stato detto, ha reso più difficile il collegamento tra cervello e manualità.
Non sono tanto lontani i tempi in cui molti ritenevano non vi fosse più posto, per l'artigianato, nell'economia industriale.
Forse troppo presto si era dimenticato che anche l'industria di massa non poteva, e non può, fare a meno della collaborazione agile, più immediatamente creativa, delle aziende artigiane. La bottega artigiana è un'attività produttiva ben caratterizzata di un sistema non solo economico ma anche sociale, che pur automatizzandosi, pur ricercando l'utilizzo delle nuove tecniche dell'informativa ed ogni possibile innovazione, conserva e valorizza nella produzione la sua natura di crogiuolo di fantasia, non dominabile, e soddisfa la sua esigenza di libertà. Nel contesto di un'economia, come quella del Piemonte, destinata ad una terziarizzazione sempre più marcata che si va manifestando in particolare nell'area metropolitana, le opportunità di rivitalizzazione dell'artigianato devono essere colte per agevolare l'inserimento, negli spazi produttivi che si aprono, dell'uomo singolo, con il suo patrimonio di capacità, di volontà e di attitudine al risparmio.
I dati statistici che l'Assessore Bruciamacchie ci ha fatto pervenire e quelli ricavabili da altre indagini regionali evidenziano alcuni aspetti mai troppo ricordati: 1) il tessuto imprenditoriale piemontese registra un'incidenza dell'artigianato pari all'80% delle piccole imprese con meno di 50 addetti 2) sul territorio le imprese artigiane sono distribuite in zone ove è meno presente la grande industria che, anche per l'indotto, si rivolge a piccole imprese 3) nell'artigianato, nel suo complesso, perde peso il ramo manifatturiero 4) il declino dell'artigianato tradizionale non lascia il posto a "nuovi mestieri", ma al sorgere di imprese nei settori degli impianti e dei servizi, anche se noi ci dividiamo da coloro che interpretano lo sviluppo registrato in questi ultimi quindici anni come l'esclusivo risultato di un riflusso verso dimensioni minime di impresa conseguenza della frantumazione della piccola, media e grande industria. Anche se riteniamo che l'artigianato di servizio è collegato alla nascita del terziario nell'economia moderna, le cui funzioni si separano dall'attività industriale 5) sembra profilarsi un netto ridimensionamento dell'artigianato di produzione rispetto al totale delle attività artigiane 6) quanto alla configurazione giuridica dell'artigiano esiste una certa disomogeneità con netta prevalenza del lavoratore singolo o dell'unità artigiana, nel campo dei servizi rispetto all'artigiano ai confini della media impresa 7) la distribuzione settoriale rivela una crescita notevole di comparti, come l'edilizia di riparazione e gli impianti, oggi divenuti di grande instabilità per l'imperversare della crisi.
Tenendo conto di questo quadro, necessariamente indicativo e non dettagliato, che delinea la situazione esistente, il ruolo della Regione assume estrema importanza per il futuro del settore.
Uscire da generiche manifestazioni di volontà, operare subito, con determinazione e chiarezza, diviene imperativo, se non si vuole aggiungere ai già tanti motivi di caduta di credibilità dell'istituto regionale, anche quello del non rispetto dello Statuto che espressamente prevede il potenziamento dell'impresa artigiana favorendone l'ammodernamento.
Due sono le direzioni comportamentali che noi indichiamo.
La prima di promozione di ogni necessaria iniziativa nei confronti del Parlamento affinché la legge quadro, attesa da oltre tredici anni, venga sollecitamente emanata.
Siamo convinti che la piena applicazione degli artt. 63 e 64 del D.P.R.
616, nella specifica materia, si possa realizzare solo con il provvedimento di riforma della vecchia 860. Con tutta franchezza: è difficile riconoscere all'attività della Regione di questi ultimi anni una qualche sorta di intervento in questo senso e ci sentiamo giustificati nel nostro scetticismo rispetto alla pratica attuazione della proposta, contenuta nella relazione dell'Assessore, che condividiamo e per la quale presteremo ogni nostra disponibilità, di far assumere alla Regione un ruolo di promozione di intese interregionali capaci di esprimere le spinte necessarie ad ottenere dal legislatore nazionale il provvedimento pregiudiziale all'eliminazione di uno dei più gravi ostacoli allo sviluppo dell'artigianato.
Anche la generica affermazione che l'iniziativa regionale, non più contenuta nella relazione dell'Assessore ma nei documenti che aveva inviato, rispetto agli altri temi a livello più generale, sarà da assumere a scadenze ed in tempi non impegnativi, lascia perplessi.
Rispetto alla politica del credito, all'apprendistato, al sistema previdenziale, al trattamento fiscale, le Regioni hanno il dovere di far valere subito ed appieno il loro peso, non solo per tutta una serie di specifiche connessioni di questi argomenti con i compiti più strettamente regionali, ma per l'indispensabile armonizzazione dei provvedimenti ai due livelli, nazionale e regionale, anche per attenuare la scarsa adattabilità del settore artigiano di consentire di essere programmato.
Nei giorni scorsi, quasi a dimostrare che i problemi lasciati troppo a lungo a dormire trovano rivoli di espressione estranei alle sedi nelle quali dovrebbero essere esaminati e risolti, un'iniziativa, la pubblicazione di un libro bianco a cura della GIOC (Gioventù Operaia Cristiana), patrocinata da questo Consiglio regionale, ci ha richiamati alla difficile questione dell'apprendistato. Un libro di denuncia per sollecitare proposte di cambiamento, si legge nella sua introduzione. E' stata subito polemica! Noi non riteniamo sia proficuo, se non sul piano dell'opportunità politica, valutare la compatibilità dell'intervento del Consiglio con le funzioni ad esso attribuite, ma esprimiamo la preoccupazione per una vicenda che può allontanare ulteriormente i protagonisti del delicato e complesso rapporto tra il datore ed il prestatore d'opera in un settore nel quale è particolarmente e peculiarmente vivo il quotidiano contatto e scambio nell'operare.
Siamo infatti convinti che il mancato incontro tra questi protagonisti sia da attribuire più alle carenze legislative che alla mancata conoscenza della realtà alla quale sembra voler ovviare, per la parte che la interessa, la pubblicazione della GIOC.
La formazione professionale, non solo nel settore dell'artigianato deve prescindere da un confronto ideologico sbagliato sul mestiere e sulla professionalità, per ispirarsi al coinvolgimento delle responsabilità del titolare della ditta artigiana e del giovane che deve imparare creando per quest'ultimo, sin dalla scuola media, la possibilità di orientamento.
In passato forse si è speso bene fino alla predisposizione del personale addetto alla formazione, ma poi non si è fatta la formazione. La risorsa finanziaria a disposizione doveva e deve investire le aziende, ma esclusivamente finalizzata per i giovani che devono imparare.
Appare innegabile l'esigenza di un coordinamento basato sull'approfondimento che stabilisca organicamente i possibili interventi della Regione per evitare inutilità e dispersioni. L'Assessore Ferrero nell'ormai lontano 1981, ci aveva snocciolata una serie di corsi di formazione ed aggiornamento dei quali, per quanto attiene all'artigianato non siamo stati posti in grado di apprezzare il destino. Trascurando gli altri temi di competenza più esclusivamente nazionali quali il sistema previdenziale ed il trattamento fiscale, che devono trovare comunque la Regione in quella funzione di presenza politica che già abbiamo ricordato resta il problema del credito all'artigianato che riguarda sia il Governo per quanto attiene alla titolarità di programmazione economica generale alla definizione degli indirizzi generali di politica creditizia e al funzionamento dell'Artigiancassa, sia la Regione, per i compiti suoi propri assegnati dall'art. 109 del D.P.R. 616/1977.
L'argomento è complesso perché, in ogni caso, legato alle vicende del sistema finanziario generale. La quantità di risorse complessivamente disponibili ed il tempo in cui questa disponibilità si è resa concreta hanno ampiamente condizionato sia i provvedimenti nazionali che quelli regionali, sconvolgendo permanentemente ogni tipo di programmazione.
L'artigiano, necessitato a ricorrere al credito, agevolato o non, è sempre stato tormentato dall'insufficienza di fondi destinata al settore e dalla lentezza burocratica, ancor più pesante per la modestia di strutture amministrative proprie, nell'istruzione delle pratiche e nell'erogazione dei contributi.
Superando problematiche ancora relativamente recenti, come lo storno in altri impieghi dei fondi previsti per il settore artigiano dalla legge 675/1977 o l'opportunità di regionalizzazione dell'Artigiancassa, nel corso di un confronto Stato-Regioni svoltosi a Venezia nel marzo 1983, da molti riconosciuto importante per il futuro assetto della materia, sono emerse interessanti linee di riforma. Ad evitare il dissolversi di questa relativa chiarezza, le Regioni debbono farsi promotrici di rilevanti innovazioni che incidano sia sulla funzione che sull'organizzazione della Cassa per il credito alle aziende artigiane. Si tratta di uno sforzo diretto a fare dell'Artigiancassa un organismo più operativo, in grado anche di ricercare autonomamente risorse, oltre quelle di normale derivazione dallo Stato, a condizioni che potrebbero consentire un costo del denaro per l'artigiano senza oneri sul bilancio dello Stato, intorno al 13-14%.
Sul piano organizzativo occorre promuovere una stretta interdipendenza tra centro e periferia per consentire alla programmazione regionale di non essere vanificata con interventi privi del riscontro a scala nazionale. Se così fosse stato non si sarebbe verificato che, nella seconda metà del 1983, si può ben dire "improvvisamente", i membri della Consulta regionale per l'artigianato, e i Consiglieri poi, hanno saputo dell'esistenza di fondi disponibili per L. 102 miliardi per i quali esistevano pochissime domande degli artigiani piemontesi, miliardi che rischiavano e, forse, in parte, rischiano ancora di andare perenti rispetto all'utilizzazione nel settore.
Si è rapidamente ricorsi ad un provvedimento regionale per ovviare a tale pericolo. Gli effetti si vedranno! In ogni caso non si può andare avanti in questo modo, senza un minimo di pluriennalità nella conoscenza delle risorse a disposizione. Guardando all'esperienza della nostra Regione in materia di credito agevolato all'impresa artigiana non si può indulgere a soddisfazione.
Il primo e, per ora, unico piano di sviluppo non ha riservato, nella sua pratica attuazione, risorse complessive adeguate allo sviluppo ed alla qualificazione del settore artigiano.
La lentezza nell'istruzione delle pratiche e nell'erogazione dei contributi ha fatto il resto! In pratica, da ormai due anni, tutti riconoscono la necessità di una modifica della legge 28/7/1978, n. 47 quasi inoperante.
Il Gruppo D.C. presenterà, a breve, subito dopo l'odierno dibattito dal quale intende attingere ogni eventuale elemento positivo, un proposta di legge le cui articolazioni essenziali sono costituite da disposizioni per i finanziamenti a medio termine e per agevolare il credito di esercizio, con particolare riferimento alle cooperative artigiane di garanzia e loro consorzi.
La nostra posizione sugli altri principali problemi aperti per l'artigianato è nota: aree attrezzate: occorre prendere atto, con coraggio, che l'indagine della Finpiemonte si è rivelata nei fatti empirica e lontana dalla realtà.
Si sono operate alcune scelte di aree dove nessun artigiano ha interesse ad andarsi a collocare.
La rigidità della legge 64 ne ha, di fatto, bloccato il suo stesso funzionamento.
L'esigenza da tradurre in futuri provvedimenti è di considerare l'area attrezzata nella sua complessiva utilizzazione che comprende la possibilità di accedere al mercato, di superare i problemi gestionali che si creano, di evitare dispersioni sul territorio. Ad ovviare a svuotamenti irrazionali di aree peculiarmente e tradizionalmente artigiane è necessario tenere conto di quelle aziende che devono continuare ad operare nei centri storici urbani.
Deleghe: le vicissitudini del disegno di legge approvato dalla Giunta nel 1981 dimostrano che le riserve del Gruppo D.C. erano e sono fondate. E' difficile avviare un vero e reale processo di decentramento senza un riferimento ad un quadro normativo nazionale, nella fattispecie, e senza la realizzazione di un complessivo disegno che non si manifesti con iniziative più o meno sparse in tempi differenziati, di singoli settori dell'attività regionale.
Artigianato tipico ed artistico: se ne parla ad ogni occasione ma non si è avviato alcun provvedimento in materia. Tutto si fermerà qui se l'Ente Regione non prende coscienza dell'impossibilità di gestire direttamente aspetti specifici perdendo così di vista i suoi doveri di programmazione ed indirizzo. Ricordo, a questo proposito, l'opportunità che la programmazione regionale faccia proprie le indicazioni del Progetto Montagna presentato dalla delegazione regionale dell'UNCEM, che approfondisce ed indica chiaramente e diffusamente, le misure idonee a valorizzare una risorsa tipicamente presente nelle zone montane. In proposito, ancora, sin dal giugno 1981 fu dichiarata dalla Giunta l'esistenza di un progetto integrato con le Comunità montane. Domandarsi che fine ha fatto sembra legittimo dal momento che non è mai stato portato alla conoscenza del Consiglio! Pur considerando, quello di oggi, un confronto sugli indirizzi generali, che esclude l'elencazione ed il dettaglio dei singoli aspetti del mondo dell'impresa artigiana, dobbiamo rilevare l'assenza, nel documento di programma consegnatoci dall'Assessore, di alcun cenno all'ente di sviluppo per l'artigianato. Sin dai primi mesi del 1981, in preparazione della Conferenza di Stresa, la stessa Giunta si era impegnata per un'iniziativa decisiva sulla questione. Valutiamo grave questa omissione perché riteniamo di importanza vitale, per lo sviluppo dell'artigianato piemontese approfondire un'opportunità offerta dall'art. 72 del nostro Statuto: di creare una struttura con compiti di studio e ricerca, con funzioni di supporto e di snodo operativo tra la Regione, il sistema delle imprese artigiane e la pluralità degli enti ed organismi presenti nella società regionale.
Chi ha partecipato alle riunioni della Consulta regionale si è ben reso conto che tale organismo non può surrogare un istituto così concepito.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la Democrazia Cristiana intende utilizzare il dibattito sull'artigianato per un giudizio politico e per un invito costruttivo rivolto all'esecutivo regionale.
Il primo non è positivo. Non solo per l'immobilismo del passato sancito da questa stessa maggioranza che dichiarò transitorio il 1981 prorogando questa transitorietà, di fatto, con continue verifiche e per sopravvenuti eventi, a quasi tutto il 1983, ma per l'insufficienza nel saper tempestivamente cogliere la particolarità di un momento politico ed economico anomalo, caratterizzato da assenza di sviluppo e da una crisi economica senza precedenti. L'errore, a nostro avviso, è stato quello di nascondersi nella transitorietà, inconsapevoli che in questo modo si sarebbe ancor più accentuata la separazione tra quelli che, nel sistema sono iper garantiti e quelli che, nel sistema, non lo sono: tra questi i titolari di imprese artigiane.
Una visione arcaica ha impedito di avvertire che l'artigianato moderno è fenomeno di una larghissima imprenditoria. In Piemonte garantisce il 25 del reddito e con 130.000 aziende occupa 500.000 lavoratori. Le forze politiche che si riconoscono nella maggioranza di questo governo regionale devono dimostrare di respingere, nell'interesse dell'istituto regionale, il postulato che le vorrebbe relativamente indifferenti a questa categoria di lavoratori, folti di numero, ma non massa, refrattari a costituire spazi politici a compensazione di altri parzialmente persi nella grande impresa.
L'invito costruttivo che rivolgiamo alla Giunta è di attivare un comportamento che consenta al Piemonte di agganciarsi alla sperata, che tuttavia tarda a profilarsi, ripresa nazionale ed internazionale, facendo della politica per l'impresa artigiana uno degli strumenti fondamentali occupando il tempo che ancora rimane di questa legislatura nell'operare secondo linee ben precise che si riconducano: 1) ad accogliere nel piano di sviluppo, in fase di discussione, le indicazioni, raramente così chiare e precise, che emergono dall'analisi della situazione in cui il settore si trova 2) a procedere, nella fase attuativa dello stesso piano di sviluppo alla traduzione in provvedimenti legislativi di impegni ripetutamente assunti in ordine ai temi di stretta competenza regionale e più segnatamente: a) alla presentazione di un nuovo disegno di legge sul credito con particolare riferimento a quello di esercizio e contenente norme che utilizzino il sistema delle Cooperative Artigiane di Garanzia b) all'assunzione, dopo i definitivi approfondimenti, di provvedimenti nel campo della formazione professionale, capaci di creare l'indispensabile collegamento tra scuola e laboratorio, favorendo la collaborazione tra strutture scolastiche ed organizzazioni artigiane c) all'avvio di ogni iniziativa necessaria per determinare un salto di qualità nella politica regionale sulle aree attrezzate attraverso una selezione che eviti dispersioni di risorse e che tenga conto del rapporto con i centri urbani d) alla verifica, con i conseguenti comportamenti, dell'utilità e delle possibilità esistenti per la creazione di un ente di sviluppo per l'artigianato piemontese con compiti di ricerca e studio, necessari per una seria e continuamente aggiornata individuazione delle politiche da praticare.
In sostanza, superando l'illusione del perfezionismo, occorre dare forma ai provvedimenti, farli uscire dallo stato di progetto con un grande sforzo di adeguamento ed innovazione. L'obiettivo di fondo è lo sviluppo rinnovato del settore artigiano.
La Regione ha il compito primario di favorire questa prospettiva alla quale il mondo artigiano guarda con apprensione, a volte con rabbia, ma con la volontà precisa di uscire da una subalternità storica, rispetto ad altre realtà produttive, nella quale si è sentito ingabbiato durante la moderna era economica.
Credo che il dibattito di oggi avrà raggiunto un primo importante risultato se il Consiglio, nella sua interezza, mettendo a fuoco queste considerazioni, saprà convincersi davvero che la qualità e la quantità del futuro sviluppo dipendono da ciò che, tutti insieme, facciamo oggi anche per l'artigianato che è un tema complesso perché è il tema dell'uomo in una delle sue più originali espressioni produttive fatta di lavoro, di capacità, di ingegno, di volontà e di orgoglio.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Consulte, commissioni, comitati ed altri organi collegiali

Sostituzione membri dimissionari nella Giunta delle Elezioni


PRESIDENTE

Sospendo momentaneamente il dibattito per comunicare che, nell'odierna seduta, la Giunta delle Elezioni ha provveduto alla sostituzione dei membri dimissionari (Revelli, Sanlorenzo, Viglione) con i Consiglieri Avondo Ferro e Calsolaro. Nella stessa riunione è stato nominato Presidente il Consigliere Moretti.
La composizione della Giunta delle Elezioni è pertanto la seguente: PCI: Avondo - Bontempi (Vicepresidente) - Ferro DC: Brizio - Cerchio (Vicepresidente) - Picco PSI: Calsolaro - Moretti (Presidente) PLI: MARCHINI (Segretario) PSDI: Mignone PRI: Vetrino MSI-DN: Carazzoni


Argomento: Artigianato

Dibattito sull'artigianato (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo ora il dibattito sull'artigianato.
La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, nella documentazione distribuita in preparazione di questo dibattito, l'Assessore ci ha fornito tra le altre relazioni, il "Programma degli interventi prioritari per l'artigianato piemontese", fascicoletto nel quale testualmente può leggersi che "la Regione ha già sviluppato iniziative di forte impegno a favore del settore". Di fronte ad un'affermazione così perentoria, nostra istintiva reazione è stata quella di domandarci se, per caso, le bordate di fischi le urla di dissenso, le dimostrazioni di protesta dalle quali - sabato 22 ottobre, nella manifestazione degli artigiani piemontesi svoltasi al Teatro Alfieri di Torino - era stato accolto l'intervento dell'Assessore non ce le fossimo sognate noi.
Fischi, urla, dimostrazioni che, non ne dubitiamo, sicuramente non erano indirizzati alla persona del collega Bruciamacchie, d'altronde così fresco di responsabilità esecutive da non poter essere incolpato di alcunché. Ma che riassumevano, piuttosto, la tensione e l'esasperazione del mondo artigiano nei confronti di tutta una politica - regionale, oltrech nazionale - giudicata insoddisfacente a risolvere i sempre più acuti problemi del settore, per troppi anni sotto considerato quando non addirittura ignorato, nonostante costituisca il "fiore all'occhiello" della nostra Regione in termini di "cultura" e di "immagine" del buon gusto piemontese e rappresenti, in termini economici, un insostituibile serbatoio di ricchezza con migliaia di imprese artigiane e con oltre 350.000 addetti.
Qui sta il punto: perché, per lungo tempo, l'artigianato è stato fatto oggetto di attenzioni e di interessi - per quanto ci riguarda ne è palese dimostrazione anche questo dibattito, che segue a tanti altri in passato già sostenuti, a conferma che non per la prima volta il tema è portato all'ordine del giorno del Consiglio regionale - ma alla fine, tirando le somme, ha dovuto amaramente constatare come l'attenzione e l'interesse fossero solo di maniera e come i riconoscimenti formali non siano stati tradotti in una concreta politica a sostegno e per lo sviluppo del settore.
Citiamo, a titolo d'esempio ed a prova di questa nostra affermazione la scarsa o nulla considerazione che è stata riservata all'artigianato nella bozza del secondo piano di sviluppo regionale, sostanzialmente priva di un preciso indirizzo programmatico e di un'esatta definizione di politica nel comparto. E' ora auspicabile che - dopo le aspre critiche ricevute nel corso delle consultazioni - l'edizione definitiva del progetto sappia rimediare anche a questa grave lacuna: la quale, se non fosse sanata, verrebbe a confermare nei fatti un'imperdonabile disattenzione, e potremmo dire disaffezione, nei confronti di una categoria, quella artigiana, che - resistendo alla bufera e conservando il gusto di rischiare in proprio - ancora può offrire notevoli apporti all'economia piemontese in crisi.
Questa discussione dunque, è facile prevederlo, sarà ricca di attestati di stima, rilasciati pensiamo da tutte le forze politiche, al mondo artigiano occorre però che - al di là delle tante parole che potranno essere dette in questa sede - un più incisivo impegno venga poi dispiegato a favore del variegato universo dell'artigianato piemontese.
Ora, che cosa la Regione è chiamata a fare per gli artigiani? E che cosa ci si attende che faccia? I problemi sono noti e note sono anche le possibilità di intervento.
Volendo distinguere tra sfera nazionale e sfera regionale, diciamo - con riferimento alla prima - che compito della Regione è quello di esercitare a livello parlamentare, ogni possibile forma di stimolo, di sollecitazione di pressione, affinché alcune "vertenze" (ci si passi il termine), oggi ancora aperte oppure meritevoli di revisione, siano al più presto affrontate e risolte.
Citiamo, tra queste, anzitutto l'approvazione della legge quadro per l'artigianato che, dopo anni di vana attesa, non soltanto non è stata ancora varata, ma, nel testo votato dal Senato, è risultata stravolta nei suoi contenuti più qualificanti. E' importante - e in questa direzione auspichiamo l'intervento propositivo della Regione - che nella legge vengano reintrodotti due punti fondamentali: il riconoscimento di un'idonea professionalità per gli imprenditori artigiani ai fini della loro iscrizione nell'apposito Albo professionale e la definizione normativa del "maestro artigiano" unita alla descrizione funzionale della "bottega scuola". Vi è poi - sempre restando a livello nazionale e riservandoci di parlare dopo della legge regionale 47/1978 - il problema del credito, dalla cui soluzione dipende, per l'artigianato, la possibilità di effettuare investimenti e di creare nuova occupazione. Qui, a nostro avviso, la Regione deve battersi perché sia realizzata una politica creditizia più agibile e più efficiente che, anche attraverso opportune modifiche alla vigente legge bancaria, non penalizzi l'imprenditoria minore; e perché sia reperita una massa di mezzi finanziari ad un costo sopportabile destinato alle necessità di mantenimento e di sviluppo del settore artigiano.
Quanto alla Cassa per il Credito alle Imprese Artigiane è auspicabile che gradualmente si possa pervenire ad una riforma dell'istituto stesso che consenta direttamente all'Artigiancassa di trovare risorse sul mercato finanziario e, quindi, di trasformarsi da semplice erogatore di fondi pubblici qual è oggi, in organismo funzionante, almeno in parte, con autonomo sostentamento.
Infine - trascurando, per la necessità di essere ragionevolmente contenuti in questo nostro intervento, di accennare ad altre questioni, che pure hanno vitale importanza per il mondo artigiano e che, sempre in sede nazionale, meritano e necessitano, pertanto, d'essere appoggiate da una vigorosa azione di sostegno da parte della Regione, quali ad esempio sono quelle del costo del lavoro, che deve essere stabilito a livello compatibili con il risanamento e lo sviluppo dell'economia italiana; del fisco e della politica tributaria, sempre più vessatoria nei confronti dell'artigiano; del trattamento previdenziale che, com'è oggi, penalizza ingiustamente l'imprenditore e il lavoratore dipendente; della sanità, dove si sono volute sopprimere le Casse Mutue Artigiane per istituire al loro posto un servizio sanitario costoso ed inefficace -; trascurando tutto questo, dicevamo, vogliamo ancora soffermarci su di un terzo grande problema: quello dell'apprendistato e del collocamento.
Sul primo punto, noi auspichiamo - ed ancora una volta chiediamo che la Regione voglia fattivamente impegnarsi in questo senso - una razionale riforma legislativa della disciplina dell'apprendistato unitamente ad una sua diversa regolamentazione contrattuale, che a nostro avviso dovrebbe prevedere - volendosi ridurre il problema ai suoi minimi e brutali termini incentivi ed aiuti alle imprese disposte ad assumere giovani apprendisti.
Ugualmente, ci sembra necessaria una riforma del collocamento riconoscendosi un'area di libertà di incontro fra domanda ed offerta sulla base di parametri di professionalità e prevedendosi l'assunzione con richiesta nominativa per tutte le imprese artigiane. A grandi linee questi ci sembrano essere i problemi di fondo della categoria, sui quali, come già detto, la Regione non ha possibilità di incidere direttamente poiché tutti sono al di fuori della sua competenza; ma per la soluzione dei quali, ci non di meno, può e deve impegnare il suo peso politico e la sua forza contrattuale, con interventi di appoggio e di sostegno alle legittime rivendicazioni del mondo artigiano. Passando, poi, dalla sfera italiana a quella piemontese, dai problemi di ordine nazionale a quelli più squisitamente regionali, non poche sono le cose che si possono o si potrebbero fare a tempi brevi, solo che si fosse sorretti da una precisa volontà di farle. La riforma della legge 47/1978, anzitutto, sulla gestione della quale l'Assessorato ha distribuito un fascicolo ricco di dati statistici nel quale può leggersi, purtroppo, il pesante consuntivo attuale che, per il 1984, presenta un carico di domande arretrate relative al biennio 1982/1983 così quantificabile: 294 di finanziamenti a medio termine, per un importo di 16 miliardi e mezzo; 781 di operazioni di leasing per un importo di 39 miliardi. A fronte di queste domande corrispondono, nel bilancio 1984, stanziamenti dall'ammontare rispettivamente di 843 milioni e di 2 miliardi e 340 milioni. La situazione registrata non ha bisogno di commenti esplicativi. Occorre definire al più presto le domande già in corso; ma, soprattutto, ci sembra sia venuto il momento di rivedere tutta la normativa regionale relativa al credito, anche attraverso una dotazione più consistente di fondi che, nonostante i tagli alla finanza locale, dovranno essere reperiti sfrondando altri capitoli di spese non direttamente produttive.
Per le modifiche alla legge 47/1978, dalla categoria sono venute indicazioni che, poiché le condividiamo appieno, vogliamo qui ricordare per memoria: sviluppare il ruolo delle cooperative artigiane di garanzia innalzando a 10 milioni il plafond massimo coperto da agevolazioni e modificando i meccanismi di calcolo dei contributi regionali; rendere ancora possibile l'utilizzo del leasing; diffondere la conoscenza del factoring tra gli artigiani. Degna di attenzione ci sembra anche essere la proposta di ampliamento di operatività dell'Artigianfidi, che si vorrebbe trasformare in un "Consorzio regionale per il credito all'artigianato" capace di attuare anche interventi di garanzia fidejussoria sul medio termine, avvalendosi operativamente delle Cooperative Artigiane di Garanzia.
Vi è poi il problema di grossa portata della formazione dei giovani apprendisti a proposito del quale è ancora fresca l'eco delle polemiche suscitate dal libro bianco edito dalla GIOC con il patrocinio dell'Ufficio di Presidenza di questo Consiglio: peraltro contestato, e giustamente anche dalla nostra forza politica, in quanto tendente a presentare, con faziosità e con superficialità, l'artigianato come un'area di sfruttamento intensivo della manodopera giovanile, senza considerare minimamente che, in mancanza di soggetti economici quali le imprese artigiane, il problema della disoccupazione giovanile, con le conseguenti piaghe della droga, del terrorismo, dell'emarginazione, potrebbe essere anche più drammatico. Nel merito della questione richiamata è nostra schietta opinione che, come lo studente che va a scuola non soltanto non è retribuito, ma deve anzi sopportare sacrifici e spese per conseguire il diploma o la laurea, così il giovane che vuole apprendere un mestiere deve avviarsi alla sua carriera con il medesimo spirito di sacrificio. In altre parole, non diciamo che il suo lavoro di apprendista non debba venir pagato, ma riteniamo che il suo guadagno vada invece contenuto. E neppure ci sembra giusto che siano lo Stato, la Regione, la Provincia o il Comune ad integrare la retribuzione del giovane: perché è ora di mettere fine allo stato assistenziale e di impiegare in modo controproducente le risorse pubbliche in nome di un malinteso spirito di uguaglianza.
Sotto questo profilo, vorremmo avere maggiori chiarimenti in ordine al progetto che sarebbe stato annunciato domenica scorsa ad Ovada dall'Assessore che abbiamo appreso dalla stampa e che solo questa mattina abbiamo potuto leggere nella relazione che ci è stata distribuita - è fatale che le iniziative della Giunta debbano venir conosciute dai Consiglieri solo attraverso le notizie di stampa! -; progetto, dicevamo che prevedrebbe l'utilizzo dei giovani dal quattordicesimo anno di età per un corso a spese della Regione di 1.200 ore, da continuarsi, dopo l'assunzione come apprendisti, per due anni e per un totale di 400 ore all'anno. Chiediamo che ce ne siano rese più chiare le esatte connotazioni.
Da ultimo - ma non certo per sottovalutazione della sua importanza l'Agenzia di Sviluppo per l'Artigianato Piemontese, che la categoria richiede da oltre dieci anni, ma sulla quale, a parte alcuni pronunciamenti (ecco qui ritornare le affermazioni di maniera, di cui parlavamo nella premessa del nostro intervento!), la Regione è sempre stata evasiva continuando tuttora a restare inadempiente, mentre in altre Regioni (Friuli Venezia Giulia, Emilia - Romagna, Toscana, Sardegna) gli "Enti di sviluppo" per l'artigianato sono entrati in funzione ormai da anni.
Nel Convegno di Vercelli del settembre di quest'anno, l'Assessore ha voluto assicurare la massima attenzione e disponibilità al dialogo ed alla verifica, sottolineando come non vi siano aspetti pregiudiziali alla creazione di strutture capaci di meglio orientare la politica regionale di sviluppo dell'imprenditoria artigiana.
Ma uguali promesse erano già state fatte, prima di lui, dall'allora Assessore Marchesotti che - intervenendo nel 1980 ai lavori della prima Conferenza sull'Artigianato Piemontese, tenutasi ad Alessandria - aveva affermato una non diversa disponibilità della Regione ad accogliere le richieste dell'Agenzia di sviluppo.
E, prima ancora di Marchesotti, l'allora Assessore Libertini, nel settembre del 1975, aveva convenuto sulla necessità di dare vita a questo organismo, naturalmente promettendo un intervento regionale a tempi ravvicinati. Se poi volessimo risalire ancora più indietro in questa catena di impegni non mantenuti (visto che noi siamo dichiaratamente contro questa maggioranza, ma lo siamo stati anche nei confronti della precedente) dovremo infine dichiarare che nell'ottobre 1972 la Giunta Calleri di allora ebbe addirittura ad approvare uno specifico disegno di legge sulla costituzione dell'Ente di Sviluppo dell'Artigianato Piemontese: ma quel progetto rimase insabbiato e non fu mai tramutato in legge regionale. Noi vogliamo credere ed auspicare che l'Assessore Bruciamacchie, ultimo anello di questa sconcertante catena, saprà adesso, e vorrà soprattutto, mantener fede alle assicurazioni fatte, riaprendo sull'argomento un dialogo costruttivo, che sollecitamente possa portare al varo di un'Agenzia o Ente di sviluppo, cioè di una struttura realmente operativa con compiti di ricerca e studio, che sia di supporto alle organizzazioni artigiane ed alla Regione nella definizione delle politiche riferite al comparto. Una struttura, insomma, che sia l'espressione dell'autogoverno della categoria non meramente consultiva, bensì di formulazione di pareri che possano trovare giusta considerazione nelle scelte dell'Amministrazione regionale.
Una struttura, quindi, che validamente si sostituisca alla "Consulta regionale per l'artigianato", la cui operatività è risultata assolutamente insufficiente (in quasi quattro anni si è riunita soltanto dieci volte: tre nel 1980, tre nel 1981, tre nel 1982 ed una nel 1983) e che di fatto è stata tramutata in una cassa di risonanza delle decisioni assunte dalla Regione, senza alcuna possibilità di incidere in tema di programmazione regionale, di bilanci regionali di competenza, di predisposizione di leggi regionali per l'artigianato.
E' fuor di dubbio, signor Presidente e colleghi Consiglieri, che non pretendiamo d'aver messo a fuoco con questo nostro intervento tutte le problematiche, varie e multiformi, interessanti il mondo artigiano.
Crediamo tuttavia, e speriamo, d'aver contribuito ad indicare alcune direttrici di marcia lungo le quali è necessario che la Regione si incammini se veramente si vuole, così come la Destra Nazionale vuole, che questo mondo, così ricco di valori e di energie, non soltanto sia fatto uscire dalle condizioni di subalternità economica e di indirizzo in cui per troppo tempo lo si è abbandonato, ma anche continui ad essere l'espressione più valida della libertà di iniziativa privata, della libertà di intraprendere, della libertà di rischiare: cioè a dire di una società non appiattita, non proletarizzata, non collettivistica, ma di una società libera.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, indipendentemente dalle osservazioni e dalle critiche che porterò alla relazione dell'Assessore Bruciamacchie, desidero ringraziarlo, e per esso la Giunta, per la copiosa documentazione fornitaci prima dello svolgimento del dibattito.
Per la verità, questa mattina anch'io, in sintonia con quanto detto dal Consigliere Sartoris, sono rimasta sorpresa dal fatto che ci venisse consegnata una relazione di 43 pagine poco prima dell'inizio del dibattito.
Devo dire, però, che nell'intervallo l'abbiamo letta ed abbiamo derivato che altro non è che la sintesi della documentazione già in nostre mani. E' vero che si accenna alla nuova iniziativa dell'Ente di Sviluppo dell'Artigianato, ma di questo se ne era già a conoscenza a grandi linee.
Non ritengo questa relazione un colpo di mano dell'Assessore: è una relazione che non riserva "purtroppo" delle sorprese.
Vorrei introdurre il dibattito sull'artigianato con una citazione che mi sembra molto attuale ed opportuna di un famoso architetto tedesco: "Un deliberato ritorno all'antico sistema artigianale sarebbe un errore di tradizionalismo atavico. Oggi artigiano e industria tendono sempre più ad avvicinarsi: devono anzi gradualmente fondersi in una nuova dimensione produttiva, che renda ad ogni individuo il senso della sua collaborazione con il tutto".
Credo che in un dibattito sui problemi dell'artigianato, che si svolge nell'anno dedicato all'artigiano e alla piccola e media impresa, sia necessario non indulgere in facili riferimenti speculativi di luoghi comuni sulla necessità della rivalutazione del lavoro artigianale o sulla suggestione del "piccolo è bello" o del fascino della bottega che profuma di legno.
Quando si parla di artigiani ancora oggi si è generalmente più indotti a pensare agli esecutori di stupendi manufatti eseguiti con tecniche antiche, quando non arcaiche e, per la verità, a stretto rigore, soltanto quei manufatti dovrebbero essere considerati artigianali.
Ma gli artigiani di oggi sono assai più vicini all'artigiano descritto e voluto dal teorico tedesco Walter Gropius, anche se ho personalmente qualche dubbio che le circa 130.000 aziende artigiane del Piemonte rispondano tutte alle esigenze espresse da Gropius. Se così fosse, esse avrebbero risolto buona parte dei loro problemi e il dibattito odierno potrebbe anche essere considerato inutile.
Noi sappiamo invece che i problemi degli artigiani esistono e negli ultimi tempi abbiamo assistito a più di una protesta rispetto ad una presunta insensibilità delle forze politiche, generalmente intese, ai loro problemi. Gli artigiani hanno anche recentemente protestato per il patrocinio che il Consiglio regionale dette ad un'iniziativa, presa nell'ambito dei problemi dell'apprendistato, consistente nella stesura di un volumetto nel quale si evidenziano situazioni di disagio dell'apprendista artigiano. Noi non ci scandalizziamo mai dei libri bianchi, pensiamo anzi che una società democratica dovrebbe produrli con costanza. Non escludiamo che in qualche dichiarazione ci possa essere stata qualche forzatura, sta di fatto che se quanto dichiarato dal Ministro De Michelis nella sua visita di lunedì a Torino e cioè che dai dati a sue mani in Piemonte il lavoro nero è valutato nell'ordine del 10-15%, è probabile che anche nel settore artigianale si annidi questa percentuale e che essa vada necessariamente ad incidere soprattutto nel settore giovanile.
Nella documentazione fornitaci dall'Assessore Bruciamacchie c'è una sintesi del Convegno "Formazione professionale - apprendistato artigianato" svoltosi pochi giorni fa a Orvieto, che ho trovato molto interessante soprattutto nella conclusione del secondo gruppo di lavoro. A me sembra che i criteri che sono stati evidenziati come propedeutici ad un piano di sviluppo artigianale dovrebbero guidare anche noi nella stesura di quel progetto artigianato, che un piano di sviluppo per gli anni a venire non può non corrispondere.
In un incontro tra le forze politiche e gli artigiani avvenuto qualche giorno fa, un rappresentante di categoria ha rilevato che nel piano di sviluppo 1983-1985, attualmente in consultazione e che la Commissione competente si appresta a discutere nei prossimi giorni, non compare né un progetto sull'artigianato né dell'artigianato si parla in nessuno dei progetti prioritari.
La relazione Bruciamacchie appare consapevole di questa carenza di fondo e propone di aggiornare il piano di sviluppo con una proposta integrativa. Ci pare importante che, proprio in sintonia con la nostra premessa iniziale di avvicinamento dell'artigiano all'industria e dell'affermarsi del profilo nuovo dell'imprenditore artigiano che sostituisce il "maestro artigiano", un aggiornamento o una fusione delle leggi regionali che trattano la materia dell'industria e dell'artigianato sotto il profilo della rilocalizzazione, possa, anzi, debba trovare momenti attuativi analoghi o consoni.
Non è la prima volta che in quest'aula si parla di artigiani; in altre occasioni noi evidenziammo la necessità di questo aggiornamento anche in termini programmatori dell'intervento regionale in questo settore, avendo sempre ben presente che potenziare l'impresa artigiana e favorirne l'ammodernamento è un dettato del nostro Statuto regionale. Anche se questo dettato ha dovuto fare i conti su dati di incertezza istituzionale e legislativa, è noto a tutti che gli artigiani aspettano l'aggiornamento della legge 860 del 1956.
E' una legge quadro che non pesa in termini finanziari.
Dopo dieci anni di discussione è passata al Senato e stava ormai per tagliare il traguardo quando l'anticipata conclusione della legislatura l'ha bloccata. Questo è assai grave in quanto gli artigiani continuano a non disporre dell'indispensabile punto di riferimento, sia per le politiche di intervento statale che per quelle a carattere regionale. Se dunque la Regione deve fare tela con il filo che ha, occorre riconoscere la chiarezza dell'Assessorato nell'autodenunciare una situazione di gravi difficoltà di applicazione della legge regionale n. 47 del 1978 per il denunciato arretrato di domande da esaminare, il che, in termini politici, significa aver illuso centinaia, se non migliaia, di artigiani e di imprese che a tutt'oggi non sanno né se le loro domande verranno accolte né quando verranno accolte. Non ricordo l'atteggiamento del Partito Repubblicano durante la votazione della legge 47, in quanto non ero presente, ma il fatto che quella legge abbia determinato soltanto quindici o sedici richieste di intervento ne dimostra la complessità e la difficile gestibilità. Occorrerà una revisione. D'altra parte ogni forza politica ha raccolto in questi anni le varie denunce delle associazioni di categoria in ordine alle difficoltà di gestibilità della spesa. L'Assessore Rivalta, al Ministro De Michelis che sollevava eccezioni rispetto ai fondi FIO 1982 ribadiva che la Regione aveva puntualmente utilizzato quei finanziamenti rivendicando al Piemonte un'efficienza nella spesa che non è di tutte le Regioni. Questo vale però per i finanziamenti FIO 1982 e per i finanziamenti relativi al piano decennale della casa, che noi abbiamo sempre riconosciuto e che la Regione ha puntualmente utilizzato avviando le iniziative conseguenti, ma non vale certamente per l'efficienza della spesa nel settore dell'artigianato.
Giudizio non meno negativo va dato all'attività promozionale commerciale in particolare sul mercato estero delle imprese artigiane. Non neghiamo che l'interpretazione delle competenze regionali data dal Governo che le vedrebbe confinate al settore artistico, sia restrittiva. Diciamo però che, a ben sfruttare questo settore, un programma finalizzato e coordinato potrebbe già essere un grande programma. Vorrei denunciare per la pochezza di questo programma per l'estero che si è ridotto al progetto orafo-argentiero (non discutiamo, avrà avuto la sua dignità ed avrà dato dei risultati) e ad un accordo di cooperazione economica con la Repubblica Popolare Cinese per l'apertura di cave di granito in Cina. Il tutto per ora si è risolto con il ricevimento di una delegazione cinese in Ossola. Non discutiamo che il cedere dei macchinari e delle tecnologie italiane alla Cina possa essere motivo d'orgoglio per i piemontesi.
Di fatto, l'assenza di programmi risente di una più generale carenza della Regione nel creare e far conoscere all'estero un'immagine della Regione Piemonte, delle sue città, delle sue peculiarità, dei suoi prodotti, anche di quelli artigianali. E' noto che nel 1984 si svolgeranno a Torino le Conferenze sugli Stati Generali dell'Associazione dei Comuni d'Europa. Mi risulta però che ci sono delle difficoltà a far recepire dagli amministratori europei quale occasione di meta turistica italiana, la città di Torino, proprio perché Torino non è conosciuta. In queste condizioni appare assai difficile prevedere un progetto promozionale per gli artigiani se la Regione, per esempio, attraverso la Promark, non determina le condizioni generali di affermazione dell'immagine della Regione attraverso un grande progetto a livello istituzionale, una vera campagna promozionale a medio e lungo termine. Se si continua a lasciare che ogni Assessorato un giorno vada in Cina e l'altro a Glasgow, il tutto si risolverà in un inutile spreco di risorse e con risultati contingenti, quando ci sono.
Partendo da un diverso humus anche un progetto promozionale artigianale può avere un diverso avvio ed un diverso sbocco, perché sarà più facile creare quegli strumenti che possano in via continuativa essere in grado di coordinare a livello di consorzio, di cooperativa, di associazione, entità economiche che individualmente mai potrebbero affrontare programmi di esportazione impegnativi. Se non ci si pone su questo piano, anche quelle iniziative che possono essere giudicate interessanti, come la convenzione Regione - CERVED per l'accesso ai sottosistemi informativi più rilevanti per l'attività di programmazione e di intervento in materia di artigianato e commercio (iniziativa questa attribuita all'Assessore Bontempi) finiscono per apparire non inutili, ma sterili, nel senso che anziché rispondere alle esigenze di una politica di programmazione e di sviluppo nei comparti economici dell'artigianato e del commercio, rispondono ad esigenze burocratiche di raccolta dati, che certo è utile conoscere, ma che se non raccolti in forma dinamica non danno utilità.
Ecco, dunque, che cosa occorre: 1) la consapevolezza che nel sistema produttivo piemontese italiano e nel mercato internazionale la posizione del comparto artigianale è essenziale ed insieme competitiva 2) che questa posizione non è venuta meno nella situazione di crisi e ciò grazie alla flessibilità che caratterizza le piccole imprese: si avverte, è vero, una flessione nell'offerta di nuovi posti, ma i dati recentemente forniti dall'Artigiancassa indicavano che i finanziamenti agevolati accolti nel 1982 avrebbero dovuto fornire 95.000 posti di lavoro in Italia, anche se - va detto - nessun repubblicano ha mai pensato che il ruolo della grande impresa, soprattutto nei settori tecnologicamente avanzati, possa essere surrogato dallo sviluppo impetuoso dei piccoli e medi servizi, né ha mai creduto che lo sviluppo dell'artigianato dipendesse esclusivamente dalla fase di crescita fisiologica indotta dell'evoluzione della nostra realtà industriale. Non si possono trascurare, se l'analisi vuole essere completa, le peculiarità di ordine storico, sociale e non meno culturale che fanno dell'Italia un Paese che offre un humus particolarmente fertile per il crescere del lavoro artigianale e se la compresenza di tutti questi motivi è una spiegazione di quanto è avvenuto fino ad ora, essa costituisce in misura altrettanto decisiva un'indicazione precisa per le forze produttive economiche e sociali a far sì che l'enorme patrimonio storico-economico connesso all'attività del settore non solo non si riduca ma sfrutti tutte le occasioni di crescita all'interno di un quadro di equilibrio complessivo delle diverse dimensioni e tipologie d'impresa del tessuto produttivo 3) risolvere i problemi di carattere generale che derivano dalla questione del costo del lavoro e dal governo della dinamica salariale della mancanza della legge quadro, da quello del finanziamento degli investimenti e delle scorte, del sostegno delle esportazioni, da una politica fiscale adeguata, dalla riforma dei meccanismi retributivi per l'apprendistato che è il tipico istituto per inserire i giovani nell'artigianato 4) nonostante queste carenze, la Regione deve e può, pur nei limiti delle sue competenze, operare concretamente in questo settore attraverso le correzioni di rotta che ho indicato e soprattutto in tre settori: a) in quello legato alla programmazione del territorio, perché non è più possibile recuperare quelle forme di vita sociale, di produzione e di commercializzazione che caratterizzavano i centri storici ed urbani occorrono delle politiche di localizzazione e rilocalizzazione di aree attrezzate che consentano prospettive di sviluppo adeguate alle attività b) nel settore promozionale, nel quale l'Ente Regione può svolgere un'azione di stimolo e di raccordo nel campo della formazione professionale. A questo proposito non mi dilungo essendomi già a lungo soffermata nel momento in cui in questo Consiglio si affrontò la tematica dell'apprendistato. Ribadisco che una formazione professionale qualificata ed aggiornata che offra ai giovani uno sbocco non solo come lavoratore dipendente, ma come protagonista, e in questo campo imprenditore del suo mestiere, sarebbe la migliore risposta anche alla richiesta di lavoro autonomo che i giovani stanno riscoprendo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cernetti.



CERNETTI Elettra

Signor Presidente, signori Consiglieri, oggi si verifica, da parte di tutte le forze politiche, una riconsiderazione dell'artigianato anche perché la crisi della grande impresa è tale per cui il piccolo diventa auspicabile; e assistiamo al fatto che il tessuto più moderno di un'economia è spesso costituito da imprese minori. Se si guarda all'economia giapponese che è portata da tutti come la più moderna, si scopre che il 40 % degli addetti, compresa l'industria automobilistica, è di imprese piccolissime, che sono a monte e a valle, nei servizi, nelle manutenzioni, nei montaggi. Spesso le difficoltà di certe cattedrali nel deserto presenti nel Sud nascono appunto dal fatto che non esiste un retroterra di piccole imprese su cui contare. Oggi infatti la crisi della grande azienda procede parallelamente ad un allargamento della rete di piccole imprese che riescono a superare la rigidità del grande stabilimento. La grande fabbrica si riserva l'assemblaggio, sempre più robotizzato, alla piccola invece va la produzione specializzata e qualificata. Con questo non cediamo alla tentazione di dire "piccolo è bello": sappiamo che la grande industria è insostituibile, ma prendiamo atto dell'effettiva realtà esistente. Con lo sviluppo dell'informatica della robotica, dell'informazione rapida, sarà possibile per l'artigianato svolgere attività estremamente moderne e di produzione di beni e di servizi. Questo anche se la crisi economica coinvolge oggi l'artigianato e principalmente quello legato all'industria (vedi indotto settore auto).
Non spetta alla Regione legiferare in materia di riforma delle politiche del lavoro. Urge infatti, da parte del Governo, una legge quadro che, fra l'altro, potrebbe contribuire a ridurre il lavoro nero ed il doppio lavoro che operano una concorrenza sleale che rischia di diventare insostenibile nei confronti della piccola impresa per il continuo aumento dei cassaintegrati.
Ho apprezzato la relazione dell'Assessore, completa ed esaustiva, per devo dire che sempre meno credo all'attuazione di un completo piano di sviluppo e molto di più a piccoli passi concreti da realizzarsi in tempi brevissimi.
Il Ministro De Michelis lunedì scorso ha detto: "Credo sia possibile spostare un bicchiere da qui a lì e mi riesce difficile - proprio per le difficoltà oggettive presenti, indipendentemente dalla volontà politica capire quelli che sono i grandi progetti e le possibilità di poterli attuare".
La Regione può essere stimolo e pressione sullo Stato e può anticiparlo con esperienze pilota. Una di queste è quella già ricordata nel campo dell'apprendistato che è uno dei grossi nodi del settore.
Si tratta di utilizzare l'anno che intercorre tra la licenza della scuola media e l'età legale per iniziare un lavoro, per dare ai futuri apprendisti una formazione polivalente. Certo, urge la modifica, da parte del Governo, della legge sull'apprendistato: infatti motivi economici e normativi fanno sì che le imprese artigiane assumono pochi o nessun apprendista, visto che la loro retribuzione è di poco inferiore a quella di un operaio specializzato. Nella passata legislatura il Ministro Forte stabilì una norma che dava una detrazione ILOR aggiuntiva per gli apprendisti: era l'inizio di un'impostazione che tende a sgravare l'impiego dell'apprendista dal carico tributario.
La Regione, oltre alla modifica della legge n. 47, può operare per lo snellimento delle procedure per ottenere i finanziamenti da parte delle imprese artigiane, siano essi di gestione che di investimenti.
Il problema della liquidità si fa sempre più grave per le imprese artigiane, che devono pagare i fornitori a 30-60 giorni, ma riscuotono dalla committenza a 120-150 giorni: così se ne va in gran parte l'utile previsto per l'impresa. Per quanto poi riguarda i finanziamenti assistiti da contributo Artigiancassa (che certamente deve essere riformata, ma con una valenza politica per realizzare una più stretta collaborazione tra la Regione e l'Artigiancassa perché non rimanga quell'ente burocratico che è) la domanda da qualche anno continua a decrescere, anche perché le procedure frapposte sono tali che esigono una preparazione che in gran parte manca a piccole o piccolissime imprese, spesso a conduzione familiare. Sempre il Ministro Forte aveva proposto un sistema di concessione automatica del contributo statale, gestito in sede periferica, in base al fatto che se si è comprato un bene strumentale che rientra nella categoria indicata, si deve avere di diritto il contributo. E a proposito della gestione periferica dei contributi bisogna affrettare come Regione l'approvazione del disegno di legge sulle deleghe alle Province e alle Comunità montane ed attivare convenzioni con le Camere di Commercio.
La Regione deve inoltre dare alle imprese artigiane un supporto concreto per la diffusione di innovazioni tecnologiche prima ancora che come contributi, come informazione continua perché l'aggiornamento è quasi impossibile per imprese di entità ridotta. Così com'è necessario un supporto tecnico per la commercializzazione del prodotto, soprattutto ora che molte imprese prima legate alla grande industria, per la crisi della stessa si sono trasformate da terziste in conto proprio. Sempre in quest'ottica la Regione deve favorire forme consortili tra le imprese per aumentare la contrattualità delle stesse e per quanto riguarda gli approvvigionamenti del materiale e per quanto riguarda la proposizione sul mercato.
Bisogna inoltre intervenire in modo più massiccio con attività promozionali sui mercati esteri, attività che non abbiano finalità generiche ma mirate ad un unico prodotto: penso, riferendomi alla mia provincia che per necessità di cose è quella che conosco meglio, ai magnifici prodotti di rubinetteria e di utensili da cucina nel Cusio, ai tipici oggetti in legno della Val Soana, ai graniti e ai marmi dell'Ossola e del Verbano; ai prodotti di un artigianato tessile e di abbigliamento che ancora prosperano nel Basso Novarese, nonostante il drastico ridimensionamento che lo stesso settore ha avuto nell'industria.
E se in una zona come quella dell'Alto Novarese, unica pare ad essere inserita nella legge sui bacini di crisi per la Regione Piemonte, venisse meno anche l'artigianato, veramente non ci sarebbe più possibilità di vita.
Ed infine lo strumento più efficace con il quale la Regione può dare un contributo determinante: la formazione professionale. Oggi le imprese lamentano una scarsa professionalità sul mercato, una costante diminuzione di qualificazione e specializzazione della manodopera.
La formazione professionale però, modernamente intesa, deve favorire anche una migliore strumentazione all'interno dell'impresa, deve rivolgersi anche all'imprenditore, visto che non basta più saper fare dei begli oggetti per mandare avanti bene un'impresa.
Tutto questo per intervenire non solo sul moribondo con il rischio spesse volte, di far da becchini, ma per intervenire su un settore che pur partecipando della crisi che oggi investe il nostro Paese - e non solo il nostro - ha in sé ancora elementi vivi e vitali che devono essere mantenuti e migliorati.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Turbiglio.



TURBIGLIO Antonio

Signor Presidente, signori Consiglieri, nel leggere attentamente i documenti che l'Assessorato ci ha fatto pervenire ho sottolineato i punti che mi fanno nascere alcune perplessità. Intanto leggo, a pagina 8, che "compiono un grave errore quelle forze sociali e politiche che considerano marginale e sussidiario l'artigianato e la piccola imprenditoria". Mi chiedo a cosa voglia alludere l'Assessore o chi ha steso il documento. Non ritengo che noi siamo da annoverare tra queste forze sociali perché abbiamo da sempre dato l'importanza che spetta a questo campo di attività.
Ritengo piuttosto che le Giunta di sinistra abbiano eluso il campo dell'artigianato, della piccola industria e in genere tutto il campo delle attività imprenditoriali e professionali singole.
Nelle pagine introduttive del rapporto del quale mi complimento è dato un quadro generale della situazione economica nazionale e regionale. Il documento definisce ingiuste o quanto meno provocatorie certe dichiarazioni rilasciate dalle associazioni artigiane che - è scritto - forse vogliono essere più che altro polemiche.
Con i colleghi di Gruppo ci siamo chiesti se sono da considerare pura polemica le richieste fatte dalle associazioni artigianali quando si sono viste pubblicare con l'aiuto della Regione il libro della GIOC dove le loro attività vengono definite "boite" e dove i giovani che collaborano alle attività artigianali si ritengono dietro alle sbarre come in prigione.
Questa è una forzatura, la polemica viene dall'altra parte.
Noi liberali, ritenendo che questo dibattito si inserisca nella situazione generale dell'economia piemontese, pensavamo di verificare i modi in cui l'artigianato vive in questo momento e le sue prospettive future.
Vorremmo anche verificare se l'artigianato è un soggetto o un oggetto della crisi in corso ed individuare, senza pretese di certezza, le aree dell'artigianato in cui può collocarsi. Dai documenti che l'Assessorato ci ha fatto pervenire, debbo rilevare, come d'altra parte è detto nella premessa di uno di essi, l'insufficiente sicurezza dei dati ricavati dagli Albi tenuti dalle Commissioni provinciali, quindi l'improrogabile necessità di realizzare un osservatorio regionale che rispecchi la realtà e la consistenza della presenza artigiana in Piemonte superando le iscrizioni attuali che sono incomplete, come ha riconosciuto anche l'Assessorato e non in grado di compiere un'analisi completa e delineare proposte utili.
Se vogliamo parlare di polemica dobbiamo dire che qualche cosa attorno all'artigianato non funziona e nessuno in questi anni ha cercato di farlo funzionare. Questo è l'anno dell'artigianato.
Nelle varie riunioni della categoria a cui ho partecipato, gli artigiani hanno richiesto chiarimenti sulla legge quadro e sulla politica del credito, sui meccanismi dell'Artigiancassa, sull'apprendistato, sul collocamento, sulla previdenza, sull'assistenza, tutte richieste che ci trovano d'accordo e che penso trovino allineate tutte le forze politiche presenti in Consiglio regionale. La Regione dovrebbe rispondere più concretamente alle attese del settore per quanto riguarda gli investimenti il credito, il sistema fiscale, il leasing, il factoring, le aree attrezzate, l'associazionismo, la formazione professionale l'apprendistato, normative a cui la relazione dell'Assessore ha fatto riferimento e che se non restano semplici dichiarazioni ed enunciazioni di principio, approviamo.
Purtroppo però nei convegni e nelle riunioni si manifestano le migliori intenzioni, ma poi tutto si ferma alle parole.
Io non mi sentirei di dar torto agli artigiani. Qualcosa deve aver provocato la categoria se ha emesso delle dichiarazioni così dure quasi con ira. Probabilmente non si sentono sufficientemente tranquillizzati dalle promesse che in questi anni abbiamo fatto e dalle realtà che sono state realizzate.
Per esempio, nelle consultazioni, hanno lamentato il fatto che il piano di sviluppo considera la gravità della crisi industriale, della crisi agricola, valuta le possibilità di sviluppo del terziario, ma non affronta le questioni di fondo che interessano gli artigiani, accennando appena alla categoria. Direi che non hanno tutti i torti perché in realtà il piano di sviluppo non ha individuato una specifica politica di settore, ma ha ampliato le osservazioni che sulle loro problematiche gli artigiani avevano evidenziato. In sostanza manca un piano sull'artigianato. Nella categoria c'è l'impressione, o peggio ancora la convinzione, che la Regione non voglia riconoscere il valore, il peso e l'importanza che l'artigianato attualmente, ma soprattutto in futuro, potrà avere nell'economia del Piemonte.
Risulta dai documenti che gli artigiani sono presenti nell'edilizia per il 30%, nella meccanica per il 30%, nei trasporti per il 10%, nei servizi per il 30%, nel turismo per il 45%. Queste presenze danno la portata e l'importanza dell'artigianato.
Ho sentito parlare di un traguardo possibile di 20.000 assunzioni a medio termine dovuto anche al fatto che il costo di un posto di lavoro in artigianato è infinitamente inferiore rispetto a quello nell'industria o in altri settori. Le normative sull'apprendistato sono la base per dare vitalità e continuità al settore. Le pubblicazioni come quella della GIOC non possono dare un aiuto per risolvere i problemi. C'è poi la questione relativa al fisco. Dai dati in possesso dell'Assessorato risulta che l'84,73% delle imprese artigiane è a conduzione individuale e familiare.
Pensiamo allora a questo artigiano che lavora con la moglie o con un figlio costretto a districarsi dalle bardature fiscali oggi in essere.
Pare che un terzo dell'attività del povero artigiano sia preso dalla scrittura di bolle, bollette, denunce, registrazioni e via di seguito. Vi è poi tutta la parte che riguarda la commercializzazione, l'esportazione, la pubblicità, tutti aspetti dell'attività che dovrebbero entrare nei progetti regionali e - secondo il mio giudizio - dovrebbero far parte dei piani di sviluppo.
Se la crisi del Piemonte la leggiamo come una malattia di crescita nella quale si evidenziano tangibili sintomi di cambiamento nel modo di produrre e nella qualità del prodotto, se prevediamo la deindustrializzazione di Torino e del Piemonte come possibilità di produrre sempre maggiore occupazione, come è avvenuto dagli anni del dopoguerra fino ad oggi, se pensiamo che gli anni '80 saranno gli anni della nuova divisione del lavoro, se siamo convinti che l'emorragia di manodopera dalle grandi strutture continui, anzi, aumenti con ritmi tali da non poter essere né contenuta né coperta da artifici quali quello della cassa integrazione dobbiamo essere politicamente previdenti e così lucidi da programmare gli interventi assecondando il cambiamento, anzi, cavalcandolo, come usa dire oggi.
Le nostre attenzioni, le giuste precauzioni per ammorbidire sul piano sociale i difficili e dolorosi cambiamenti dovranno necessariamente rivolgersi all'eterogeneità del tessuto produttivo piemontese, dovranno ridefinire i compiti nel riguardo del terziario, della piccola, della media impresa, dell'artigianato e degli autonomi.
I cambiamenti, le innovazioni, i fenomeni internazionali ed europei, le risorse, l'energia, la vita stessa ci lanciano delle sfide e ci precorrono ma la sopravvivenza del sistema dipende dal modo in cui sapremo rispondere alle sfide e dalle politiche che sapremo attuare come incoraggiamento, come promozione, come innovazione, come collaborazione verso ogni iniziativa privata, singola ed associata.
L'artigiano è un lavoratore per istinto, ma è anche imprenditore e portatore di valori e di risorse, che ha sempre pesato poco sulla collettività dando in cambio servizi insostituibili. Fino a ieri quando era malato si curava con una sua cassa mutua, si procurava la pensione con i suoi risparmi e i suoi reimpieghi. Trasmetteva ai figli la sua cultura e il suo modo di vivere indipendente e socialmente primario. Gli abbiamo tolto la cassa mutua dandogli le USSL gli abbiamo tolto la possibilità di crearsi la pensione e l'abbiamo affidato alle braccia dell'INPS, lo abbiamo ritenuto un datore di lavoro perché ha l'apprendista a cui può chiedere poco e deve dare tanto.
Dovremmo avere il coraggio di dire che avevamo buone intenzioni, ma che i risultati sono cattivi. Se interpretiamo come errori quelli che abbiamo commesso in questi ultimi anni, oggi dobbiamo pensare a nuove leggi che diano la possibilità a questo settore di potersi esprimere come merita a sicuro vantaggio di tutto il corpo sociale piemontese. Quando il libro dell'Assessore verrà discusso faremo le nostre osservazioni. Per il momento posso dire che sulle deleghe ho qualche preoccupazione e qualche incertezza perché l'attività artigianale attualmente è coordinata, anche se in modo insufficiente ed incompleto dalle Camere di Commercio.
Il trasferimento di questa attività alle Province, ai Comuni, alle Comunità montane, potrà avere degli aspetti positivi, ma facciamo attenzione a non demolire un sistema più o meno funzionante per inventare delle altre sovrastrutture, altre bardature che hanno l'attività e l'esperienza pluriennale delle Camere di Commercio.
La relazione elenca il tipo di impegno profuso nelle aree attrezzate e l'entità dei miliardi spesi. Dobbiamo tenere presente che le aree attrezzate non sono la sola soluzione possibile per la collocazione artigiana.
Certi tipi di attività devono avere sede in luoghi in cui sono nate e la Regione non può agire né con violenza né con autorità. Il discorso sulla formazione professionale mi pare esuli dal campo specifico degli artigiani.
Ne abbiamo già parlato e ne parleremo ancora nelle prossime riunioni di Consiglio. Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Barisione.



BARISIONE Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la ricca documentazione fornita dall' Assessore meriterebbe molti approfondimenti, ma poiché la relazione introduttiva dello stesso è stata ampia non toccherò i diversi aspetti che riguardano il mondo dell'artigianato. Desidero unicamente sottolineare due questioni: una di metodo ed una di merito. Questione di metodo: mi pare che il Consiglio regionale dovrebbe fare un consuntivo sull'efficacia delle leggi e sull'iniziativa della Regione in questo settore, verificando il volume e la qualità degli investimenti l'occupazione determinata dagli stessi, il livello tecnologico raggiunto la produttività settoriale in rapporto alla produttività regionale aggiornando le metodologie, i programmi, quindi le leggi e, se è il caso modificando gli strumenti che la Regione si è data, favorendo inoltre un controllo sociale sulla programmazione e il coinvolgimento pieno delle parti interessate. Non dimentichiamo che i fischi qualche volta sono pedagogici e finiscono di essere strumenti di intervento sociale per farci più attenti ai problemi di alcune categorie.
Questione di merito: anche l'artigianato soffre la crisi che attraversa il Paese e il Piemonte, proprio per le connessioni e i rapporti che ha con la grande industria, ma anche per le modifiche che ha subito al suo interno per lo spostamento quantitativo che si è verificato dall'artigianato di produzione all'artigianato di servizio.
L'artigianato in passato era considerato nel sistema produttivo come serbatoio di manodopera, oggi si sta determinando il processo inverso poiché l'artigianato può diventare un ammortizzatore sociale della crisi della grande industria. In questa situazione di crisi è necessario consolidare l'autonomia ed il valore dell'artigianato.
I riflessi della crisi sull'artigianato hanno diversi aspetti, uno dei quali - come ho detto - è determinato dal rapporto con la grande impresa e quindi dalla sua trasformazione. Siamo passati dalla fase selvaggia del decentramento produttivo della grande impresa e dal sorgere di aziende artigiane in rapporto singolo con esse alla fase che seleziona, attraverso il meccanismo, per esempio, del capo commessa le imprese artigiane. Gli artigiani devono quindi attrezzarsi per rispondere alla nuova situazione.
Vi sono poi i riflessi della crisi in rapporto alla disoccupazione.
E' stata già avviata una riflessione sulla massiccia messa in cassa integrazione a zero ore dei lavoratori del settore e sugli aspetti morali di tale situazione.
Si sta inoltre compiendo una riflessione sul lavoro nero che è sottostimato e sottopagato e sulla crisi che usa come ammortizzatore sociale il settore artigiano in cui peraltro si registra anche un'instabilità delle imprese artigiane.
Sarebbe interessante conoscere la portata del turn over artigiano. Pare che il numero delle imprese che cessano l'attività dopo un anno sia alto e questo rafforza l'esigenza di dare autonomia e stabilità al settore. Queste mie brevi premesse fanno dire che gli interventi nel settore dell'artigianato devono seguire di pari passo la politica economica generale del Paese; sarebbe infatti un errore considerare il settore dell'artigianato disgiunto dalla politica economica nazionale generale o regionale degli altri settori economici.
Quindi le iniziative regionali devono raccordarsi ad iniziative più ampie.
Non è più rinviabile ormai la legge quadro sull'artigianato come punto di riferimento per la legislazione regionale e la riforma dell'apprendistato.
Sono queste due leggi che spettano al Governo centrale e al Parlamento e credo sia opportuna un'iniziativa di sollecitazione perché vadano in porto quanto prima.
C'è poi un livello programmatorio e gestionale regionale nel campo della formazione professionale, degli interventi creditizi, delle aree attrezzate, della promozione commerciale, dei servizi alle imprese.
C'è poi il livello istituzionale che riguarda le deleghe. Non tocco questi punti ma concentro la mia attenzione su alcuni di essi, in particolare sulla formazione professionale che è legata alla riforma dell'apprendistato ma che ha margini autonomi di iniziativa. Nella relazione c'è un'iniziativa interessante che riguarda la formazione degli imprenditori di fronte alle innovazioni tecnologiche. La legge sull'apprendistato è ormai superata. E' nata nel momento dello sviluppo del nostro Paese, ma oggi non corrisponde più alle esigenze e soprattutto non può rispondere alla situazione di crisi. Credo che i problemi che ha sollevato la GIOC nel convegno patrocinato dal Consiglio regionale siano reali al di là delle forzature e noi non dobbiamo nasconderceli.
La vecchia legge sull'apprendistato conteneva normative estremamente rigide che oggi non possono più essere rispettate. Per esempio, alcune norme non permettevano all'apprendista di accedere a macchine e strutture particolari.
Il costo dell'apprendistato è reale, ma può diventare secondario se proponiamo all'artigiano di fornirgli giovani preparati realizzando un legame tra studio e lavoro.
Moltissimi giovani in cerca di lavoro studiano contemporaneamente: occorre prendere atto di questa situazione e dare delle risposte propositive.
La Regione - come è detto nella relazione - deve avviare fasi di sperimentazione di formazione professionale. Credo che la proposta di attivare attraverso l'Ufficio di Collocamento corsi di formazione professionale possa anche superare la chiamata nominativa. Sui costi non siamo così rigidi da ritenere che debbano essere mantenuti gli stipendi attuali agli apprendisti.
Credo che anche il discorso dello stipendio possa essere inserito nel quadro della formazione professionale in un progetto che prima garantisca un mestiere e poi uno sbocco reale al lavoro. Sappiamo che in certi settori il 50% degli apprendisti dopo un certo numero di anni vengono licenziati e devono ricominciare da capo.
Anche per quanto riguarda il credito è necessario programmare gli interventi. Se la programmazione annuale non regge, si faccia una programmazione biennale o meglio ancora triennale. Interventi creditizi sono indispensabili per correggere il meccanismo perverso del costo del denaro esistente in questo settore.
Le grandi imprese pagano le materie prime a 120 giorni, mentre l'artigiano le deve pagare a 30 giorni; la finanza pubblica poi deve intervenire a sostegno dell'artigianato.
E' necessaria una differenziale sul costo del denaro delle aziende artigiane data la loro caratteristica, ma soprattutto è necessaria una riduzione globale del costo del denaro.
Concordo inoltre sull'esigenza di elevare il volume dei crediti alle aziende artigiane.
Credo sia anche necessario effettuare, con la dovuta gradualità, uno spostamento di risorse dal singolo artigiano alle associazioni e ai consorzi di artigiani al fine di favorire strutture interaziendali. Aree attrezzate. L'esperienza ci ha dimostrato che nelle aree attrezzate è opportuno siano compresenti piccole e medie imprese ed imprese artigiane costruendo le aree attrezzate con quegli operatori che le utilizzeranno e creando servizi che siano utili all'artigianato ma anche alla media e piccola impresa. In questo quadro, al di là di quanto potrà emergere dalla discussione sulla necessità o meno dell'Ente per lo sviluppo dell'artigianato, ritengo debbano essere sfruttati al massimo gli Enti esistenti a livello regionale: la Finpiemonte, la Promark, il CSI.
Ritengo sia opportuno individuare tali iniziative in un'articolazione comprensoriale tenendo conto delle richieste che già emergono dai piani comprensoriali. Si tratta di coordinarle e di programmarle.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Da una discussione che investe un settore così importante per l'economia piemontese, sia per il numero delle imprese artigiane, sia per il numero degli addetti, si attendono risposte per uscire dalla grave crisi che colpisce anche il settore dell'artigianato.
La difficoltà che attraversa il settore è testimoniata dallo stato di malessere espresso dagli artigiani in recenti manifestazioni. La spia della grave situazione è dimostrata dalla caduta delle richieste di contributo negli ultimi anni da parte delle imprese artigiane, ovvero come si suol dire "il cavallo non beve".
I motivi vanno ricercati nella caduta verticale di alcuni settori produttivi, nella crisi generale del nostro Paese, nelle incertezze sulle prospettive, nella scarsa disponibilità finanziaria; in queste condizioni un'azienda, soprattutto se piccola, difficilmente fa degli investimenti piuttosto tira avanti tentando di cogliere segnali più chiari sulle prospettive.
Ma le difficoltà derivano anche da altri aspetti, per esempio dal cambiamento della domanda rispetto ad alcuni prodotti. Credo sia possibile rispondere a queste difficoltà se le aziende artigiane fanno un salto qualitativo per quanto riguarda le capacità professionali, l'innovazione ed il rapporto con il mercato che possa orientare il loro sviluppo vero nuovi settori.
Tenendo conto che in questo settore le competenze sono state delegate alle Regioni, io credo che il ruolo della Regione deve essere usato per fornire dei servizi alle imprese in grado di stimolare questo salto di qualità. Le organizzazioni artigiane, malgrado le difficoltà, dicono di essere in grado di assorbire manodopera purché si concretizzino interventi a sostegno del settore.
Proprio di qui la Regione deve partire per dare un segnale ed avanzare proposte. E' opportuno aprire la discussione con la categoria, proporre un piano di interventi straordinario a spese dell'ente pubblico per la formazione dei giovani, con l'impegno della loro assunzione da parte delle imprese. Mi rendo conto che questo pone un problema di risorse finanziarie per la Regione, però il Ministro De Michelis nell'incontro di lunedì scorso ha assicurato che il Governo è disponibile a fornire, a fronte di precisi progetti, ulteriori finanziamenti per la formazione professionale.
Tento di delineare brevemente alcuni interventi di sostegno della categoria: 1) adeguatezza e certezza di finanziamenti, con la richiesta al Governo di finanziamenti adeguati e sicuri attraverso la riforma dell'Artigiancassa 2) l'approntamento di servizi che favoriscano l'ammodernamento delle aziende, per favorire la ricerca, l'innovazione tecnologica, per supportare la commercializzazione, intesa sia come promozione commerciale, ma soprattutto come strumento capace di percepire e di adeguarsi ai mutamenti del mercato.
Disponiamo già di alcuni strumenti che possono essere operativi, al più presto; la legge 240 sui consorzi che si rivolge anche alle imprese artigiane per favorire lo sviluppo, la razionalizzazione, la commercializzazione, la ricerca.
Per questo, come PDUP, abbiamo chiesto formalmente alla I Commissione di esaminare il disegno di legge regionale per l'applicazione della legge 240 e quindi renderla operativa.
Va detto però che i previsti finanziamenti sono inadeguati. Sono stati assegnati dal Governo alla Regione 600 milioni in tre anni, quindi è necessario anche chiedere al Governo un adeguato rifinanziamento della legge 240. Anche la revisione della legge 47 deve essere fatta in funzione della prestazione di servizi alle imprese, tenendo conto di una certa estensione dell'intervento statale in tema di agevolazioni creditizie.
E' anche necessario raccordare gli interventi possibili della legge sui consorzi con la revisione della legge 47.
3) Un altro intervento importante riguarda la formazione professionale sia come aggiornamento degli artigiani, sia come formazione del personale dipendente, in particolare degli apprendisti.
Su questo argomento ci sono state molte polemiche recentemente. E' un problema di grande importanza. Nel 1981 su 711.000 apprendisti a livello nazionale, 463.000 dipendevano da imprese artigiane (62%), un problema di queste dimensioni non lo si può affrontare schierandosi in modo acritico con gli apprendisti o con le imprese. Va detto che esiste un artigianato nel settore dei servizi ed in quello artistico che ha un ruolo formativo e questo ruolo va tangibilmente riconosciuto, ma esiste anche un tipo di artigianato che non svolge alcun ruolo formativo e questo va detto senza voler fare delle generalizzazioni indistinte.
Così come va detto che vi sono fasce di inadempienza legislativa e di inadempienza contrattuale, con lavoro precario, con salari non corrispondenti alle norme contrattuali. Di questi aspetti non si possono accusare indiscriminatamente tutti gli artigiani, ma non si può nemmeno tacere su tali realtà.
Al fine di valutare il tipo di intervento da effettuare, non si pu dimenticare che gli apprendisti hanno generalmente una bassa scolarizzazione, molti infatti non hanno conseguito la scuola dell'obbligo inoltre i corsi complementari previsti dalla legge statale non si tengono più, quindi la formazione teorica non esiste. Queste carenze sono un male non solo per l'apprendista ma anche per l'azienda, in quanto senza una scolarizzazione di base adeguata la formazione professionale si realizza a tempi lunghi e con scarso profitto.
In questo senso è importante il progetto formativo per 200 apprendisti proposto dalla Regione, in quanto tende a fornire alle imprese dei giovani con una formazione di base, sulla quale innestare la formazione professionale in alternanza scuola lavoro accollandosi da parte dell'ente pubblico gli oneri della formazione teorica. La filosofia di tale progetto può pesare positivamente sul dibattito relativo alla riforma della legge 25 del 1955 e questa filosofia ha già pesato positivamente nella posizione assunta dalle Regioni nel Convegno di Orvieto e nei documenti che ne sono scaturiti.
Poiché la GIOC è stata oggetto di polemiche per la presentazione del libro bianco sugli apprendisti, debbo sottolineare, e non per fare l'avvocato difensore, che la GIOC ha dato un grosso contributo alla predisposizione del progetto di sperimentazione della Regione.
Così come è importante sottolineare come tale organizzazione giovanile è l'unica con tale ampiezza di rapporti che affronta i problemi dei giovani a partire dalle tematiche del lavoro. E sappiamo tutti quanto è importante il lavoro per evitare l'emarginazione dei giovani.
4) Un altro intervento importante per la qualificazione del settore artigiano è quello relativo alla politica delle aree attrezzate. Condivido la politica di sviluppo delle aree proposta dalla Giunta, naturalmente collegandola alla legge 9 sulle aree industriali attrezzate.
E' opportuno però tenere conto della situazione nuova che si sta determinando relativamente a quegli stabilimenti industriali che sono dismessi, i quali possono essere attrezzati per rilocalizzare imprese artigiane.
Leggo sugli organi di stampa che un'esperienza del genere è stata realizzata con il concorso degli Enti locali e con risultati positivi a Beinasco.
Un altro aspetto importante che il Consiglio regionale deve valutare per fare dei passi avanti è quello delle deleghe. E' necessario approvare con le necessarie modificazioni, il disegno di legge 118 per la valorizzazione degli organi di partecipazione della categoria, al fine di spogliare la Regione del ruolo gestionale e permetterle un concreto ruolo programmatorio.
In conclusione io credo che la Regione possa operare più proficuamente a condizione che venga emanato un quadro legislativo nazionale adeguato e mi riferisco alla riforma dell' Artigiancassa, alla riforma della legge sull'artigianato, alla riforma della legge sull'apprendistato.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Cerchio. Ne ha facoltà.



CERCHIO Giuseppe

Rinuncio data l'ora tarda.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Bruciamacchie, per la replica.



MARCHINI Sergio

Chiedo scusa se mi inserisco.
Quello che ci dirà l'Assessore sarà interessante e servirà a chiarire alcuni aspetti della tematica, ritengo però sia opportuno poter capire quando si aprono i dibattiti, da chi parte l'iniziativa.
Con questo non sollevo obiezioni sul fatto che l'Assessore intervenga.



PRESIDENTE

Mi pare che la logica di moltissimi interventi fosse anche quella di aspettare dal governo regionale una risposta.



MONTEFALCHESI Corrado

Visto che il collega Marchini ha introdotto un argomento sullo stesso voglio esprimere le mie opinioni.



PRESIDENTE

Non è possibile Consigliere Montefalchesi perché il collega Marchini non ha fatto una mozione, ma solo un'osservazione.



MONTEFALCHESI Corrado

Intendo fare un'osservazione anch'io.



PRESIDENTE

La conferenza dei Capigruppo è la sede per queste discussioni. Tocca alla Presidenza dirimere la questione. Il dibattito è stato aperto dalla relazione dell'Assessore, molti interventi erano orientati a porre al governo regionale dei quesiti a cui lo stesso si appresta a rispondere.
Le questioni di tipo procedurale che il Consigliere Marchini richiamandosi alla vicenda di questa mattina durante il dibattito sulla siderurgia pone, le dirimeremo nella sede della conferenza dei Capigruppo.
Consigliere Montefalchesi, in questo momento non posso darle la parola.



MONTEFALCHESI Corrado

Le chiedo scusa, Lei ha facoltà di non darmi la parola, però vorrei esprimere in dieci secondi le mie osservazioni su questo argomento.



PRESIDENTE

Mi pare di essere stata chiara. In sede di discussione non possiamo fare questioni di questo genere.
La parola all'Assessore Bruciamacchie.



BRUCIAMACCHIE Mario, Assessore all'artigianato

E' la prima volta che il Consiglio regionale affronta una discussione sui problemi dell'artigianato.
L'unica occasione di discutere in parte fu quando il Consiglio approv la legge regionale 47. Perciò il dibattito odierno riveste una grande importanza e si inserisce a pieno titolo nel dibattito generale che stiamo sviluppando sul piano regionale di sviluppo. Non abbiamo difficoltà a riconoscere e non solo da oggi, che all'interno del piano regionale di sviluppo approvato dalla Giunta e proposto alla discussione sin dal febbraio scorso, vi siano indubbie carenze in riferimento alla problematica dell'artigianato, che vanno superate.
Avevamo coscienza di questo fatto, infatti sin dal mese di marzo scorso l'Assessorato aveva integrato il documento base cercando di sopperire alle manchevolezze registrate. Riconosciamo i nostri limiti proponendo una serie di atti per superarli.
Tutti gli interventi hanno sottolineato l'importanza del settore artigiano nell'economia regionale piemontese e credo che chi voglia operare non riconoscendo questa importanza commetta un grave errore politico in termini di proposta di sviluppo economico. E' un settore efficiente che apporta un contributo notevole all'economia generale della Regione senza del quale non è pensabile prefigurare una politica di ripresa e di sviluppo del sistema economico.
Quindi dobbiamo stare attenti ai suoi problemi e a tutto ciò che si produce al suo interno. La crisi ha introdotto novità profonde, che non conosciamo ancora a fondo, ma che avvertiamo.
Respingiamo l'accusa che ci viene rivolta di aver presentato al Consiglio regionale unicamente un rapporto con auspici e dichiarazioni generiche.
Credo invece che la relazione contenga indicazioni precise, addirittura scadenzate in termini di mesi, sulle quali si può discutere anche dissentendo. L'indicazione di tali propositi significa costruzione di un disegno organico di intervento, della politica complessiva che questa maggioranza si è data e non solo da oggi.
Non siamo perciò in presenza di interventi settoriali, disorganici, ma di un complesso di interventi che abbraccia complessivamente l'esigenza del settore produttivo regionale. Le associazioni di categoria chiedono che, a livello nazionale, si proceda con estrema rapidità alla formazione della nuova legge quadro o leggi di principi.
Su questi temi si sta discutendo da tredici anni da parte delle varie forze politiche. Alla vigilia delle elezioni è caduto l'ultimo tentativo di concordare un testo di legge. Le categorie ma anche gli Enti locali, le Regioni impegnano il Parlamento ed il Governo perché il testo ripresentato al Senato proceda con celerità.
E' urgente una legge nazionale di principi che raccolga le novità che in questi anni si sono prodotte e che ponga questo tipo di imprenditorialità nelle condizioni di operare concretamente.
Credo che dal Consiglio regionale del Piemonte vada assunta un'azione di coordinamento con le altre Regioni.
Artigiancassa. Dobbiamo sollecitare con decisione il Governo e i Ministeri interessati ad assumere provvedimenti importanti, il primo dei quali è l'elemento del fido che attualmente è fissato in 60 milioni ma che è assolutamente insufficiente.
La costruzione di un capannone nelle aree attrezzate e l'acquisto anche minimo di strumenti e di macchine comporta investimenti consistenti iniziali di 100, 150, 200 milioni. E' bene ricordare che proprio a causa di questi limiti è nata la legge regionale 47 che porta a 200 milioni favorendo quegli investimenti produttivi che possono creare occupazione.
L'altro provvedimento importante riguarda l'attivazione del leasing nazionale. Da tre anni si è presa una decisione in questo senso, ma ancora non si è attivato niente. Le forze politiche devono pronunciarsi in queste due direzioni. L'Artigiancassa è orientata in questa direzione.
Questa operazione sarebbe decisiva anche al fine di utilizzare le risorse regionali (100 miliardi circa) per abbattere gli interessi sui mutui contratti che sono decisivi ai fini della ripresa degli investimenti e della ripresa economica della Regione.
Nel mese di giugno di quest'anno dal riparto nazionale ci sono stati assegnati dall'Artigiancassa 51 miliardi.
La Regione Piemonte ha sempre utilizzato le risorse dell'Artigiancassa anzi, per un paio d'anni, tali risorse sono mancate determinando il ripiegamento sulla legge regionale 47 e quindi l'impossibilità a fare fronte all'aumento delle domande.
L'assegnazione degli ulteriori 51 miliardi circa deriva dal ritorno alle casse nazionali di risorse non utilizzate da parte delle Regioni meridionali.
Anche in questo campo la Regione Piemonte ha saputo spendere bene le sue risorse ma lo sforzo compiuto è stato grande. Siamo andati nelle province, ci siamo incontrati con i responsabili degli istituti bancari con la categoria, abbiamo inviato agli artigiani del Piemonte un opuscoletto illustrativo contenente le condizioni nelle quali la Regione operava e le possibilità di accesso al credito.
C'è stata una grande opera di informazione che ha prodotto qualche risultato, anche se ancora timido, perché a fronte della caduta verticale delle domande di credito del 1983, oggi registriamo un aumento di domande tale da far ben sperare che il ritmo aumenti fino all'esaurimento delle risorse. Il discorso non si esaurisce con il 31 dicembre 1983, si protrae al 1984, quindi, per la prima volta, ci troviamo di fronte ad un arco di tempo di quasi due anni.
Quello delle assegnazioni almeno biennali o triennali è un elemento che andiamo rivendicando all'interno dell'Artigiancassa. Dirò qualcosa sull'apprendistato. E' un problema grave per l'artigianato. Il progetto regionale al quale lavoriamo risale ad alcuni mesi addietro ed è già stato oggetto di diverse riunioni in sede di Commissione anche con le categorie.
Non siamo quindi in presenza di una proposta strana, astrusa, nuova ed onestamente credevo che quel progetto fosse a conoscenza di tutto il Consiglio.
Mi pare sia significativo il fatto che non intendiamo lavorare all'interno della formazione professionale in linea generale, ma sulla base di precisi progetti che prevedevano momenti formativi esterni e momenti di apprendimento all'interno legati all'occupazione, alla stipulazione del contratto di lavoro tra l'apprendista e l'imprenditore. Promozione commerciale. Sollecitazioni in questo senso ne sono venute. Il decreto del mese di giugno-luglio 1980 restringe notevolmente il campo di iniziativa regionale.
Il Ministero si è arrogato il diritto di autorizzare o meno certe iniziative regionali tant'è vero che diverse di esse sono state bocciate.
Ci siamo mossi con un programma di iniziative e con una serie di proposte verso l'ICE tentando di concordare con quell'istituto le possibili iniziative a livello internazionale. Abbiamo proposto una convenzione che siamo in attesa di discutere a livello nazionale. Le ultime considerazioni si riferiscono alle risorse regionali destinate al settore artigiano.
Esse vanno rapportate alle disponibilità libere della Regione, quindi la percentuale non è dello 0,6, ma si attesta attorno all'8%. Probabilmente presenteremo alla Giunta il provvedimento di modifica della legge 47 ancora prima di Natale. L'articolato è già elaborato e in sede di Consulta abbiamo definito gli orientamenti.
Ci rendiamo conto che i tempi sono stretti, ma gli impegni non sono generici, ma molto concreti e molto finalizzati da qui al 1985. Aree attrezzate. Dieci sono già realizzate. Abbiamo quantificato il volume degli investimenti ed ipotizzato il numero degli occupati sin dal 1984.
Ma non sarà tutto qui. Il settore artigiano è indubbiamente uno strumento importante e se per una parte può continuare a vivere nel vecchio centro storico (e faremo in modo che vi possa rimanere) per un'altra parte ha bisogno di nuove strutture, di nuovi ambienti, di un'area attrezzata per accoglierlo. Ecco perché abbiamo promosso questa politica che fortunatamente, trova forze vive pronte a recepirla.
L'abbiamo presentata da un anno e mezzo e siamo pronti a discuterla.
Questo vale anche per l'agenzia regionale sull'artigianato. Abbiamo esaminato le esperienze delle altre Regioni che non sono migliori rispetto alla nostra, perché anch'esse stanno rivedendo le loro esperienze. Il nostro intento è di coinvolgere la Finpiemonte, creando un apposito fondo e dando avvio ad una sperimentazione che permetta di creare le condizioni di intervenire nel campo dell'innovazione, dell'assistenza tecnica e manageriale. Su questo progetto la bozza è pronta e la porteremo in Commissione prima e poi in Consiglio in tempi abbastanza rapidi.
La problematica che abbiamo introdotto oggi con questo dibattito è ampia. I problemi da qui al 1985 sono molti.
Siamo disponibili a discutere, a comportarci e a riflettere attentamente, convinti di essere portatori di una proposta favorevole per la categoria, alla quale riconosciamo un ruolo importante.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

Sono stati presentati due ordini del giorno: il primo è firmato dai Consigliere Gerini, Marchini e Turbiglio, mentre il secondo è firmato dai Consiglieri Bontempi, Moretti, Montefalchesi e Cerutti.
Chiede di parlare il Consigliere Brizio. Ne ha facoltà.



BRIZIO Gian Paolo

Propongo di verificare se c'è la possibilità di formulare un ordine del giorno unitario che possa essere votato giovedì 24 p.v.
Siamo disponibili a riesaminare gli ordini del giorno anche in sede di Commissione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Il Gruppo liberale non pone difficoltà a che la votazione dell'ordine del giorno avvenga in altra seduta; ritiene però non opportuno il ritorno in Commissione degli ordini del giorno presentati.
Abbiamo presentato il nostro ordine del giorno per porre in evidenza il suo contenuto che riteniamo debba diventare patrimonio e volontà politica del Consiglio regionale, ma anche per una questione di metodo.
Questa Giunta ha di fatto gestito i rapporti tra Giunta e Consiglio su molti temi complessi, quindi diventa difficile capire il limite della proposta, il limite della critica, il limite della maggioranza ed il limite dell'opposizione.
Alla chiusura di dibattiti di questa importanza dovrebbero emergere i giudizi del Consiglio sul governo regionale: il giudizio sui contenuti è uno, il giudizio politico sull'operato della Giunta è un altro.
Il nostro documento vuole esprimere un giudizio sull'operato della Giunta, quindi il ritorno in Commissione non farebbe mutare il nostro giudizio sull'operato della Giunta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Non ho difficoltà ad accedere alla richiesta del Consigliere Brizio di rinviare gli ordini del giorno all'esame dei Capigruppo per concordare un ordine del giorno unitario.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Moretti.



MORETTI Michele

La conclusione del dibattito sull'artigianato deve essere formalizzato con un impegno della Giunta sui problemi discussi; questo dibattito coinvolge tutte le forze politiche del Consiglio regionale. Sono emerse delle critiche da parte di molti Consiglieri non tanto rivolte all'indirizzo politico, ma ad alcune situazioni di questi giorni; ritengo di accettare la richiesta formulata dal Consigliere Bontempi per la presentazione di un ordine del giorno unificato rinviandone l'approvazione alla prossima seduta del Consiglio regionale.



PRESIDENTE

Il Consiglio concorda di discutere la questione nella prossima riunione dei Capigruppo.


Argomento: Organizzazione turistica

Ordine del giorno sull'agricoltura


PRESIDENTE

Infine, è stato presentato un ordine del giorno sull'agricoltura firmato dai Consiglieri Lombardi, Ferro, Moretti, Gastaldi, Montefalchesi Gerini e Benzi. Prima di porlo in votazione ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale del Piemonte preso atto della difficile trattativa in corso presso gli organi della CEE sulla politica agricola comunitaria e della vertenza che è nata su iniziativa dei produttori agricoli italiani, nei confronti della proposta CEE richiamate le manifestazioni, già avvenute o in programma, promosse dalle organizzazioni professionali agricole italiane ricordato che specialmente attraverso la riforma ed il rilancio della politica agricola comunitaria è possibile prevedere il più generale rilancio dell'integrazione europea per non provocare la fine di ogni impegno sovranazionale ed un ritorno del prevalere degli interessi particolari di ogni singolo Paese invita il Governo italiano a perseguire, nell'interesse dell'agricoltura italiana, nelle sedi competenti, ed in particolare al vertice di Atene, del 4-5 dicembre prossimo, i seguenti obiettivi: 1) conseguimento dell'aumento delle risorse proprie della CEE, sia per un effettivo rilancio delle istituzioni comunitarie sia per impedire tagli indiscriminati alla politica agricola comunitaria, che a tutt'oggi rappresenta l'unica sostanziale politica integrata a livello europeo.
2) Riequilibrio negli interventi fra le produzioni continentali e le produzioni mediterranee attualmente penalizzate.
3) Urgente abolizione degli importi compensativi comunitari (I.C.M.) che sostanzialmente si traducono in aiuti finanziari a favore dei Paesi a moneta forte e a scapito di quelli, come l'Italia, ad elevato tasso di inflazione e adozione di regolamenti che uniformino la disciplina nella fase produttiva.
4) Adozione, a livello comunitario, di misure di controllo sulle importazioni intracomunitarie e revisione contestuale del regime di interscambio con i Paesi terzi con i quali la ragione di scambio è oggi fortemente punitiva per la CEE.
5) Modifica e rilancio della politica strutturale per l'ammodernamento del settore agricolo al fine di renderlo flessibile e capace di soddisfare le diversificate esigenze produttive dei Paesi partners, nonché continuità nell'impegno a realizzare i programmi integrati mediterranei".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano. L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 41 Consiglieri presenti in aula.
Prima di concludere i nostri lavori, comunico infine che il Consiglio verrà convocato per il giorno 24 novembre prossimo.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19)



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