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Dettaglio seduta n.171 del 09/12/82 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Rapporti Regione - Parlamento - Enti Locali - Forme associative - Deleghe: argomenti non sopra specificati

Dibattito sulla riforma delle autonomie (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prosegue il dibattito sulla riforma delle autonomie di cui al punto quarto all'o.d.g.
La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la crisi economica scarica oggi sugli apparati pubblici una domanda molto più estesa di quanto le risorse disponibili consentano di appagare. E' realtà notoria. Questo però, esige che si operino scelte di priorità estremamente rigorose, che si eliminino sprechi e sovrapposizioni; e comporta una serie di rinunce e di sacrifici riguardo alle attese del Paese.
In questa condizione non vi è più spazio per mantenere aperto un contenzioso tra i poteri pubblici, sui mezzi da assegnarsi ai vari livelli di governo. Insistervi, significherebbe continuare su una strada vecchia che rischia di diventare anche pericolosa.
Il nuovo, va quindi costruito attraverso una programmazione che veda gli Enti decentrati partecipi nell'elaborazione delle scelte di fondo della vita nazionale; e la soluzione del tema in discussione, è dunque quella di una riforma delle autonomie che sappia realizzare un coordinato operare delle diverse espressioni dello Stato-ordinamento, e abbracci in modo organico i vari profili della vita degli Enti locali: da quello istituzionale a quello relativo ai bilanci, alle entrate e, non ultimi e non meno importanti, gli strumenti operativi per l'assunzione e la gestione dei servizi pubblici. Anche perché la crisi di rappresentatività che investe le istituzioni, va risolta iniziando a operare dal sistema periferico, dal momento che, proprio in quel sistema, più diretto è il rapporto tra amministratori e amministrati; e maggiore è dunque la percezione delle aspettative che le strutture pubbliche devono soddisfare più immediato il riscontro delle loro carenze. Riconoscere, quindi il problema della definizione di un nuovo assetto delle autonomie come prioritario, rispetto ad ogni ipotesi di altra più o meno grande riforma non significa impostare i temi istituzionali in chiave riduttiva, ma compiere una scelta strategicamente corretta e coerente con i principi sanciti dalla nostra Costituzione.
Occorre, intanto, riconoscere al Governo Spadolini, dopo anni di colpevoli ritardi, di altri Governi, di aver presentato un disegno di legge che ha avviato la discussione alla prima Commissione del Senato; una discussione che si era arenata sul precedente testo, quello elaborato dal Comitato ristretto presieduta dal senatore Mancini, il quale, essendo la sommatoria di esigenze e di spinte contrastanti, senza approfondimenti sulle coerenze del disegno globale, era stato definito "un pasticciaccio brutto".
La presentazione di questo disegno di legge del Governo Spadolini, non è stato tuttavia un atto isolato, nel momento in cui il Governo decise di affrontare il problema istituzionale; ma vi era stata contemporaneamente, o quasi, la presentazione del disegno di legge che si riferisce alla riforma della Presidenza del Consiglio. Questi due atti si collocano, secondo noi come pilastri di un programma della riforma delle istituzioni; e lo sforzo che concordemente deve essere condotto per superare la boa delle nostre difficoltà, comporta un profondo rinnovamento, e quindi una più moderna organizzazione delle strutture portanti dello Stato, in primo luogo, delle sue unità fondamentali.
Dopo un decennio di meditate elaborazioni e di accese discussioni politiche, dopo il susseguirsi frammentario di disposizioni che hanno esteso competenze e tentato, senza mai riuscirci, di ricomporre a un più omogeneo quadro di riferimento i meccanismi della finanza locale, abbiamo oggi di fronte un testo di legge che, dai Repubblicani, è considerato una base di discussione; anche perché in questo tema, pur essendo portatori di una nostra posizione peculiare (non sono d'accordo con il rilievo di Bastianini, riferito a contraddizioni e incertezze, in tutti i Partiti riguardo a questo tema), noi abbiamo espresso idee sempre molto chiare. Tra l'altro, siamo stati presentatori di un disegno di legge che, in sei articoli, in sei righe, chiedeva la soppressione della Provincia; e, in 194 articoli e in duemila righe, formulava un nuovo ordinamento delle autonomie locali, della finanza locale e dei servizi pubblici. Devo rilevare che, pur con questo studio di parte, noi non ci siamo posti, né ci porremmo su questi temi, in atteggiamenti chiusi o dogmatici. Sappiamo che su temi nei quali si tratta della vita dello Stato, e non di un momento politico particolare e contingente, sia necessaria la responsabilità generale; di conseguenza, ci siamo sempre dichiarati disposti a sacrificare qualcosa delle nostre specifiche impostazioni, purché non a scapito della logica e della coerenza.
Il disegno di legge presentato dal Governo e approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta dell'8/7/82 non accoglie tutte le richieste repubblicane, mantenendo in vita, ad esempio, la Provincia come Ente elettivo di primo grado a rilevanza costituzionale; ma realizza un sistema di poteri locali che giudichiamo equilibrato e abbastanza soddisfacente.
Sulla definizione della Provincia, non sono d'accordo con l'Assessore agli Enti locali là dove, nella sua introduzione, dice che nel disegno di legge la Regione non è protagonista; intanto, la Regione ha tutta una serie di sue leggi istitutive e di affidamento di compiti che le erano già propri negli anni passati. Può apparire non protagonista perché, in questo disegno di legge, la Regione ha il ruolo di co-protagonista, con la riaffermazione dei diversi Enti che compongono il sistema delle autonomie; in quella pari dignità che tutti abbiamo rivendicato in questi anni, formulando richieste per il rinnovamento dell'ordinamento delle autonomie locali.
Ciò che è evidente rispetto alla Regione, è che la legge è generica nell'indicazione delle procedure dei poteri della programmazione regionale rispetto agli ambiti di competenza degli altri Enti territoriali. E questo dovrà sicuramente essere rivisto; anche perché i primi ad aver fatto constatare questa genericità, sono stati proprio quegli Enti che non vedono ben definiti i loro rapporti con la Regione.
In questo disegno di legge, viene invece ribadito il ruolo primario del Comune quale Ente primario di base; e su questo noi siamo perfettamente d'accordo; così come siamo d'accordo e abbiamo esaminato con molto interesse, la particolare disciplina per le aree metropolitane, che viene configurata con una diversa organizzazione del governo del territorio prefigurando queste aree suscettibili di meglio corrispondere alle esigenze di un'articolata gestione dei pubblici servizi.
Il problema delle forme di governo delle aree metropolitane si presenta con caratteristiche del tutto specifiche; tanto è vero che anche in altri Paesi occidentali, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, alla Germania Federale ed alla Francia (come è già stato da altri accennato), si sono studiati degli istituti particolari. Anche da noi sembra possibile prevedere, per questa realtà, delle forme differenziate di governo istituendo Comuni metropolitani che realizzino quella grande unità primaria in grado di svolgere funzioni programmatorie e compiti di gestione.
Del resto, il rifiuto di un ordinamento unico, con uno stesso modello che vada bene a Torino come al mio Comune di Pino Torinese, è un'antica impostazione del pensiero autonomistico repubblicano (nel 1944, Zuccarini definiva l'amministrazione unica "una mostruosità tale da non richiedere illustrazione"). Nel nostro progetto, poi, si parla addirittura dell'elezione diretta del sindaco-metropolitano che, nella nostra concezione, non si presentava come un'ipotesi di laboratorio, ma trovava particolare giustificazione rispondendo all'esigenza di garantire un'autorità capace di resistere alle spinte, particolarmente contrastanti che inevitabilmente si manifesterebbero in un Consiglio rappresentativo di diverse preesistenti realtà locali. Ma questo non è stato evidentemente previsto; i tempi non sono maturi per un'idea così avanzata e spregiudicata come poteva essere questa del sindaco-metropolitano. Pazienza. Maturerà nel tempo! Ma, piuttosto, vi è un altro aspetto che noi consideriamo estremamente interessante, ed è l'incentivo che viene dato all'associazionismo in vista dell'accorpamento dei Comuni minori.
L'Assessore Ferrero ha detto questa mattina che non gli sembra corretto prevedere incentivi per questo associazionismo; io posso essere abbastanza d'accordo che non debba essere l'incentivo finanziario la molla che debba guidare i Comuni nell'esprimere il loro associazionismo; devo però anche precisare che la Regione Piemonte, ad esempio, questo strumento dell'incentivo l'ha sempre adottato. Ricordo quando ero Sindaco, che una delle iniziative che presi con impegno fu quella di fare in modo che il Comune di Pino Torinese si consociasse a Baldissero e Pecetto per avere il rimborso del 70 % delle spese per la formulazione di un piano regolatore intercomunale. Ci sarà da discutere sull'affermazione dell'Assessore Ferrero, su questo tema, ma in ogni caso l'associazionismo rimane; è previsto dalla nuova regolamentazione indipendentemente dall'incentivo o dal non incentivo. Almeno per noi, questo dell'associazionismo è indubbiamente un punto qualificante. Riguardo i Comuni metropolitani e l'associazionismo dei Comuni, a parte i ritocchi che saranno necessari nel testo di legge, il nostro consenso e il nostro apprezzamento c'è sicuramente.
Così come i Repubblicani sono, tutto sommato, soddisfatti che la Provincia venga configurata come Ente intermedio, con competenze dirette o di concorso programmatorie nel territorio, anche se l'individuazione, delle funzioni relative lascia ancora alcune perplessità, poiché è possibile che nell'estensione dei compiti di programmazione, si possano configurare sovrapposizioni e conflitti di competenza con gli altri Enti di governo locale, in particolare con la Regione.
Sono perfettamente cosciente che, rispetto alla nostra tesi, secondo la quale l'organo intermedio dovrebbe avere solo ambiti di programmazione esiste la scontata obiezione dell'esigenza di gestire alcuni servizi che superano le attuali dimensioni comunali; e che, a questo proposito, in altri Paesi (ad esempio in Francia) vi è stata la realizzazione o l'istituzione di grandi organismi i quali concentrano le attribuzioni attualmente suddivise tra molti Enti e organi regionali e locali, proprio per consentire una partecipazione di queste grandi unità primarie alle attività programmatorie e assicurate, nel contempo, una migliore gestione dei servizi.
Nella realtà italiana, a parte quella dei Comuni metropolitani, dove questo è possibile, appare difficile statuire un accorpamento generalizzato delle diverse strutture amministrative, al punto da costituire Enti locali primari, di dimensioni sufficienti per fornire tutti i servizi che devono essere svolti a livello sub-regionale, date le inevitabili reazioni che comporterebbe un provvedimento del genere, coinvolgendo le autonomie storiche.
D'altra parte, però, la previsione nel disegno di legge, di costituire aziende speciali provinciali, di per sé condivisibili proprio nell'ottica del superamento dell'impossibilità di cui parlavo prima, viene indicata senza individuare gli ambiti ed i settore d'intervento delle stesse, negli indirizzi relativi alle condizioni e modalità per la loro costituzione e gestione.
Per quanto riguarda la costituzione e la funzione delle aree metropolitane, dobbiamo prospettare la necessità di procedere a un approfondimento della volontà e dello spirito che ha animato il legislatore. Perché non ci pare adeguato né soddisfacente il rinvio ad apposito decreto legge per la definizione delle funzioni in materia di assetto ed utilizzazione del territorio, e per l'organizzazione e prestazioni di servizi. Né ci sembrano su sufficienti le indicazioni circa le modalità organizzative e di funzionamento riferite alle Province. Per la definizione della dimensione territoriale, ci pare invece auspicabile la scelta di un'area vasta che produca il moltiplicarsi delle strutture periferiche dello Stato e, pertanto, dei costi relativi che, altrimenti verrebbero ulteriormente a pesare sulla già dissestata finanza pubblica.
Questo concetto di area vasta secondo noi, dovrebbe guidare il processo di costituzione dell'Ente intermedio; perché, sul piano della funzionalità e dell'attitudine a partecipare ai procedimenti di programmazione che rappresenta una visione moderna degli Enti locali (questione di fondamentale importanza), ciò di cui vi è bisogno non è un Ente locale intermedio a fini generali, ma un organismo di raccordo fra la programmazione a grandi maglie regionali e l'attività di gestione dei Comuni i quali, spesso, per la loro dimensione, non riescono a impostare una programmazione nemmeno attuativa.
E se è vero che il problema è quello di creare strumenti di amministrazione locale, a mezzo dei quali venga privilegiato il momento della programmazione, strumenti che oggi mancano (in Piemonte li abbiamo creati attraverso i Comprensori, e molte esperienze comprensoriali sono state anche di successo); se è vero che esiste la necessità di un Ente intermedio, pensare di attribuirgli funzioni di gestione degli interessi generali della popolazione, significherebbe snaturarlo. Le contingenti preoccupazioni gestionali finirebbero infatti con l'assorbire totalmente l'attenzione e l'impegno degli amministratori, per cui la funzione programmatoria passerebbe inevitabilmente in second'ordine. Non è per caso che la stessa esperienza regionale abbia incontrato i, suoi elementi di maggiore debolezza e difficoltà proprio nel fatto che la preferenza per i dati gestionali ha portato a sacrificare i compiti di programmazione e di legislazione che la Regione avrebbe dovuto svolgere, prima di ogni altra cosa.
Vorrei riferirmi, a questo punto, al problema dei controlli. Anche il sistema previsto per i controlli sugli atti amministrativi e sugli organi degli Enti locali, lascia profonde perplessità (queste, devo dire soprattutto di tipo politico). Si tratta, questo dei controlli, di un tema che le forze autonomistiche continuano a considerare con profonda diffidenza, ricordando come gli interventi degli organi di tutela nei vari settori dell'attività locale, abbiano rappresentato, per anni, il momento attraverso il quale lo Stato centralista ha limitato lo sviluppo e ha cercato di comprimere lo slancio degli Enti locali.
Questa diffidenza può anche essere compresa (dato che siamo in Consiglio regionale e parliamo soprattutto dei fatti nostri), qualora si consideri che delle 6500 leggi approvate dalle Regioni negli ultimi cinque anni, ben 358 sono finite davanti alla Corte Costituzionale, la quale, a sua volta, ne ha potute esaminare soltanto 47. Eppure un corretto sistema di controlli è fondamentale garanzia per verificare la legittimità dell'operato degli amministratori, la sua coerenza con gli obiettivi della programmazione, la rispondenza delle diverse scelte alle volontà dei cittadini.
Certo, i controlli di legittimità vanno snelliti: su questo esiste una sostanziale concordanza fra tutti i Partiti. Ma ciò non basta: occorre anche prevedere che i controlli siano affidati a organi neutrali, non dimenticando troppo in fretta l'attuale esperienza degli organi regionali di controllo, lottizzati tra i Partiti, che hanno creato un assurdo regime di confusione nel quale, la legittimità dell'atto diventa oggetto di trattativa fra i rappresentanti, nel Comitato regionale di controllo, di quelle stesse forze politiche che amministrano i diversi Enti, oppure un'occasione di potere occulto o di ripicca dell'opposizione.
Non sappiamo se l'art. 56 del disegno di legge che abbiamo davanti sulla composizione del Comitato, soddisfi il problema che abbiamo posto trattandosi di materia che, più che ad attenere alla codificazione in rete di rigide norme di legge, dovrebbe attenere al rigore amministrativo e al buon costume.
Quello che ci preoccupa maggiormente, però, è che non pare ancora superata, nemmeno in questo aggiornato capitolo dei controlli, la logica del controllo burocratico come traspare nelle norme del titolo 5), proprio a partire dalla composizione del Comitato, alla quale mi riferivo poco fa composizione che privilegia l'appartenenza alla pubblica amministrazione e prevede ancora tempi troppo lunghi, poco o addirittura nulla innovando rispetto all'attuale regime. Si tratta quindi di rimediare questa parte essenziale della normativa, rendendola più adeguata alle esigenze di snellezza e di elasticità dell'attività amministrativa, senza concedere nulla, tuttavia, all'eccesso di discrezionalità. In tal senso, i Repubblicani ripropongono, a fronte di un sistema assai più agile di controllo (certamente assai più agile di quello del disegno governativo) l'istituzione, da parte di ogni Ente locale, di un proprio Collegio dei revisori, formato da qualificati professionisti, per la verifica della regolarità contabile, degli atti amministrativi e la certificazione dei conti consuntivi.
Preferiamo anche consentire, cosa che non cita il disegno di legge, ma che esprimevamo nella nostra originaria proposta, su un ampio ricorso all'istituto del "referendum", forma essenziale di democrazia diretta attraverso cui il cittadino diventa protagonista delle opzioni fondamentali che interessano le comunità locali. L'istituto del referendum purtroppo dato l'uso distorto fatto dai radicali, è diventato uno strumento al quale i cittadini guardano più con spavento che con fiducia; ma sarebbe bene farla rinascere, questa fiducia, nei riguardi di questo autentico strumento di libertà e di democrazia.
Inoltre, dobbiamo rilevare che, in merito ai controlli, permane, nel disegno di legge che abbiamo davanti, un'attribuzione di troppo rilievo riguardo all'organo prefettizio. E mi sembra che già stamane alcuni rilievi analoghi siano stati espressi.
Vorremmo ribadire che non dovrebbero essere demandate all'emanazione successiva (è un difetto che ha sovente la legge nel suo svolgersi, di demandare all'emanazione successiva di appositi decreti-legge), la definizione delle funzioni attribuite ai Comuni ed alle Province, né la specificazione delle competenze delle Province metropolitane, poiché si tratta di materia che più ampiamente dev'essere inserita nella presente legge. Appare evidente che una tale impostazione non può che procrastinare l'entrata in funzione del nuovo sistema.
Oltre alle considerazioni fin qui formulate, bisogna poi sottolineare che la riforma istituzionale delle autonomie, benché indispensabile, non sarà sufficiente a garantire l'indispensabile recupero di efficacia e di efficienza dell'intervento pubblico, se ad essa non si accompagna la riforma del sistema della finanza locale regionale, strumento essenziale per dare attuazione all'attività di programmazione.
Queste, le indicazioni, il contributo del Gruppo Repubblicano sulla proposta di ordinamento delle autonomie presentate dal Governo: ma alcune osservazioni desidero ancora esprimere in conclusione.
Il problema fin qui trattato non è solo istituzionale, ma anche squisitamente politico. L'anno '83 sarà comunque un anno di transizione poiché si ritiene che il nuovo ordinamento potrà effettivamente essere applicato solo a partire dal 1984. Ma, nel frattempo, noi dovremo cimentarci con le difficoltà immani della crisi, della quale ho accennato prima e dell'incertezza ormai satura nella quale vivacchiano Comprensori e Province.
In questa prospettiva immediata, va presa in considerazione un'ipotesi ordinamentale che, se anche non riflette integralmente le nostre impostazioni, rappresenta un ragionevole compromesso il quale, con i necessari ritocchi, può garantire la funzionalità dell'istituzione. Il compito che oggi abbiamo di fronte è quello di migliorarne alcuni aspetti ma soprattutto, per quanto ci riguarda, di evitare arretramenti o confusioni sui punti qualificanti del disegno.
Del pari è nostro atteggiamento per quanto riguarda la finanza locale la legge finanziaria del 1983. La scelta di dare vita, dopo anni di discussioni e di polemiche, a un'area impositiva propria dei Comuni nel settore immobiliare, cogliendo questa occasione per un generale riordino dei tributi che gravano sul patrimonio edilizio, ci sembra estremamente importante e risponde a un'indicazione che è anche nostra.
Certo, molti problemi rimangono ancora aperti; ma quello che conta al presente è dare avvio, dopo anni di finanza interamente derivata, ad un processo di responsabilizzazione degli amministratori locali; e ciò, pur mantenendosi fedeli ai principi ispiratori della riforma tributaria, è possibile unicamente restituendo loro facoltà decisionali non solo sul versante della spesa, ma anche su quello dell'entrata. Ogni incertezza su questa strada, in qualunque settore politico si manifesti e di qualunque motivazione si ammanti, sarebbe frutto soltanto della volontà di mantenere l'attuale stato di cose, destinato a rendere precari, quando non addirittura conflittuali, i rapporti fra Governo ed Enti locali.
Anche se non siamo ottimisti rispetto ai tempi della riforma (da dieci anni ne sento parlare!), tuttavia non possiamo concludere questo intervento senza ribadire l'urgenza della riforma dell'ordinamento e della finanza degli Enti locali; e l'urgenza nel riconoscere il contributo di indicazione offerta dai Partiti costituzionali i quali, in materia di riforme dell'autonomia, hanno sempre presentato complesse elaborazioni. Questa constatazione non scioglie però i nodi che hanno finora impedito di giungere ad una soluzione positiva.
Invero, al di là dell'aspirazione di cambiamento, che rappresenta un dato comune a tutti i Gruppi intervenuti nel dibattito odierno, sarebbe importantissimo se si riuscisse ad accordare le forze politiche nel definire quali autonomie vogliamo; come adeguare, in Piemonte, gli esistenti ambiti comprensoriali o provinciali al prefigurato Ente intermedio del disegno che abbiamo sott'occhio.
Certo, se le posizioni sono quelle che già il dibattito di questa mattina ha evidenziato: da un lato la Giunta, e quindi la sinistra favorevole a una valorizzazione dell'esperienza comprensoriale e conseguentemente, di un possibile adeguamento del Comprensorio all'Ente intermedio assorbente la Provincia; dall'altro, l'ipotesi liberale di un convogliamento delle funzioni dei Comprensori alle Province; e poi la convinzione democristiana che un Ente intermedio non possa che realizzarsi per fini gestionali; .e ancora l'idea repubblicana, di un Ente intermedio con prevalenza di funzioni programmatorie, occorre ben di più, per dipanare questa matassa, della sede tecnico-politica chiesta da Genovese questa mattina e che, come proposta, ci troverebbe d'accordo.
Molto correttamente le forze politiche hanno quindi chiesto, questa mattina, il dibattito su questo tema, perché è giusto che la consultazione sia l'avvio, in questa sede istituzionale, di un dibattito che sarà lungo e importante ma che dovrà sfociare per forza in un accordo generale. E' importante che da questa riunione si precisino il metodo ed i tempi del dibattito al fine di pervenire, nei limiti del possibile, a delle conclusioni che tengano conto delle singole osservazioni sia pure contradditorie. Un'ultima considerazione: sappiamo tutti che la scelta delle forme, attraverso le quali deve attuarsi il processo di decentramento (un'esigenza imprescindibile negli stati moderni, le cui strutture rischiano costantemente di scoppiare per effetto del gigantismo), è stato e continua ad essere, nel nostro Paese, un tutt'uno con la gestione del potere. Non consideriamo questo un motivo di scandalo; ma, se le preoccupazioni di potere continueranno ad essere l'elemento predominante nell'approccio delle forze politiche ai problemi delle autonomie, ogni ipotesi di riforma è destinata ad allontanarsi o, al massimo, a realizzarsi su un terreno limaccioso, che non consentirà di costruire un nuovo stabile edificio. Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi, questa mattina abbiamo ascoltato con interesse l'introduzione svolta dall'Assessore Ferrero. Introduzione brillante e degna di attenzione che, in ipotesi, se ci fosse stata data per iscritto e per tempo, avrebbe ben meritato che da essa prendessimo spunto per meglio intervenire sull'argomento che oggi è all'ordine del giorno dei nostri lavori.
Non disponendo, invece, del testo scritto, abbiamo preparato il nostro intervento riferendoci ai soli documenti a nostre mani: a quello liberale (che è però limitato a un problema particolare) e, soprattutto, a quello comunista.
Ad essi soli, pertanto, noi faremo riferimento, anche se dobbiamo dare atto, così facendo, che il nostro intervento sarà incompleto, mancando di tutti quei riferimenti - sulle deleghe, ad esempio, o cui controlli - di cui parlava or ora la collega Vetrino. Anzi, la collega Vetrino si è espressa in modo da sorprenderci, in quanto, quando sentiamo denunciare, da parte di un rappresentante repubblicano o di un qualunque rappresentante di un Partito del cosiddetto arco costituzionale, la necessità di abolire la lottizzazione politica per esempio, dei Comitati regionali di controllo assentiamo, pur ritenendo di essere noi i più titolati a sostenere e a portare avanti un simile tipo di denuncia.
Prima ancora di entrare nel merito, noi dobbiamo dire, in contrasto a quanto asseriva questa mattina il collega Bastianini (su altri punti siamo invece d'accordo), che siamo personalmente perplessi sulla validità di questo dibattito il quale, come tante altre discussioni svolte in quest'aula, minaccia di essere, al di là delle buone intenzioni e dei proponimenti, soltanto un'esercitazione verbale ed accademica attorno a un problema, quello della riforma delle autonomie locali, che si trascina ormai da anni e che, purtroppo, tuttora sembra destinato a rimanere irrisolto per molti anni ancora, a riprova della incapacità di questo sistema di esprimere concrete ed organiche soluzioni per le questioni di fondo interessanti una moderna società.
Certo è che, ad esempio, può considerarsi pia illusione il voto contenuto nella mozione comunista, secondo il quale la riforma delle autonomie locali dev'essere un obiettivo politico prioritario di questa legislatura parlamentare; oppure, che la riforma della finanza regionale locale dev'essere affrontata contestualmente e conclusa in breve tempo. Con l'aria che tira, e cioè con la sempre più avvertita esigenza di una anticipata verifica elettorale, cui neppure il nuovo governo Fanfani riuscirà a sottrarsi, noi crediamo che simili istanze siano confinabili nel regno delle pure utopie.
Non ci sottrarremo, comunque, al dibattito, o, come usa dirsi oggi, al confronto. Contestando, innanzi tutto, per subito definire una nostra posizione di principio e di fondo, la fideistica e problematica attuazione dello "Stato delle autonomie", o della "Repubblica delle autonomie", che nelle condizioni attuali, altro non potrebbe essere, secondo noi, che lo "Stato della confusione" o la "Repubblica della confusione".
Infatti, non vi è dubbio che uno dei punti centrali della crisi istituzionale e politica italiana, sta appunto nella confusione e nella disarticolazione, diremmo, dei vari livelli di rappresentatività e di gestione della cosa pubblica. Una confusione e commistione di ruoli tra Enti programmatori e produttori minori, ed Enti di gestione e di erogazione dei mezzi finanziari e dei servizi, che ha fatto crescere e dilatare oltre misura l'area della conflittualità in maniera non compatibile con la stessa sopravvivenza di questo sistema.
Orbene, a nostro avviso, una riforma dell'Ente locale, finalizzata alla realizzazione dello "Stato delle autonomie", altro non farebbe che accentuare tale confusione e scollamento, fino a rendere ingovernabile il Paese, acutizzandone gli squilibri territoriali, sociali, politici ed economici. Ma a prescindere, poi, da questo rilievo, osserviamo che, nei vari progetti insistono due elementi che vanno in direzione opposta alla rigida autonomia rivendicata dai fautori dello "Stato delle autonomie": il mantenimento del sistema di finanziamento derivato dalle autonomie locali e il riaccorpamento in organismi a dimensione sovracomunale, costituiti con forme di democrazia indiretta o di secondo grado.
Rispetto al primo elemento non si vede, infatti, come si possa realizzare l'autonomia degli Enti locali quando, con i tributi centralizzati e il sistema di finanziamento derivato dallo Stato, i Comuni le Province e gli altri organismi costituiti fuori dalla previsione costituzionale e dall'articolazione dello Stato, non soltanto sono dimensionati nella spesa dal limite imposto dal "tetto" centrale, ma viene loro indicato anche il riparto della spesa stessa, da prevedere in via previsionale nei bilanci. Un'autonomia che non sia in grado di programmare le sue spese con il confronto critico degli amministratori circa la qualità e la quantità dei servizi, non solo non è tale neppure nominalisticamente ma finisce per soccombere fatalmente davanti alle contrapposte pressioni dall'alto e dal basso.
Quanto al secondo elemento, vi è da osservare che, priva dell'autonomia finanziaria e privata dagli organismi sovraccomunali dei maggiori compiti di istituto, a caratterizzare l'autonomia (tra virgolette) degli Enti locali, resta, secondo noi, solamente il simbolo municipale.
Ora, noi riteniamo che occorra fare chiarezza e, finalmente, uscire dall'astrattezza di disegni globali non verificati o chiaramente in contrasto con la realtà politica odierna e con le misure che essa, in concreto, impone.
La necessità della riforma delle autonomie locali, da sempre invocata vogliamo darne atto, non può tradursi, per calcolo ideologico o per speculazione politica, in un incentivo alla disgregazione ulteriore del già dilacerato, bistrattato tessuto connettivo dello Stato, attraverso un'anarcoide articolazione pseudoautonomistica; e, analogamente, la riforma non può neppure servire alla burocratizzazione degli Enti locali, facendone tanti strumenti di mera esecutività della volontà politica di vertice, ai fini del controllo e della subordinazione della volontà dei cittadini.
Noi affermiamo di non condividere, e di giudicare anzi deleteria qualunque riforma che non raccolga e interpreti le sempre più avvertite esigenze di libertà nell'ordine e di partecipazione popolare alla conduzione dello Stato unitario e delle sue articolazioni di auto-governo amministrativo del territorio.
Per questo, nel quadro di una auspicata Nuova Repubblica - dove, ci permettiamo ricordarlo alla collega Vetrino - è prevista da molto tempo da noi, prima ancora che dai Repubblicani, l'elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Presidente della Repubblica stessa - ecco nel quadro di questa auspicata Nuova Repubblica, noi abbiamo proposto un diverso ordinamento degli Enti locali, tale da fare, del principio del coinvolgimento, del cointeressamento responsabile delle categorie della tecnica delle scienze, delle arti delle professioni e dei mestieri, non soltanto uno strumento di democrazia organica, ma anche l'antidoto alla incompetenza ed all'incapacità della gestione del potere che caratterizzano la crisi odierna delle istituzioni dello Stato.
Detto questo, a specificazione del nostro orientamento di principio e di fondo, veniamo ora ad esaminare alcuni aspetti più particolari e particolareggiati della mozione comunista.
Per brevità, trascurando altri punti importanti - quale, ad esempio, le funzioni della Provincia metropolitana (qualcuno ne ha accennato e ne potremmo anche noi parlare più a lungo) - vi è prima di tutto il discorso sull'Ente intermedio, introdotto dai Consiglieri comunisti con la scontata difesa d'ufficio dei Comprensori; e accompagnato dal tentativo di protrarre nel tempo le funzioni di questi anomali organismi, quantomeno sino al 1985.
Al riguardo, anche perché saremo i soli, in quest'aula, a dire queste cose noi abbiamo il dovere di essere oltremodo chiari.
Primo: noi prendiamo atto con legittima soddisfazione che il disegno di legge sulle autonomie locali, approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta dell'8 luglio dell'anno scorso, al pari di tutti i progetti di riforma, è finalmente giunto a individuare l'Ente intermedio nella Provincia. E' questa una soddisfazione non di poco conto. Infatti, ha avuto, in questo modo, pieno riconoscimento la fondatezza delle posizioni del MSI che, unico Partito dello schieramento politico nazionale, ha tenacemente difeso, con una lotta caparbia quanto solitaria, anche all'interno di quest'aula, la validità di questa istituzione. Mentre altre forze invece - e, ad esempio, lo ha ammesso onestamente la collega Vetrino il Partito Repubblicano - ne invocano addirittura la soppressione. E tutti comunque, si adoperavano per svuotarla dalle proprie competenze in concreto, sostituendola nelle intenzioni, prima ancora che nei fatti, con gli incostituzionali organismi comprensoriali.
Secondo: le indicazioni provenienti dalla bozza di riforma approvata dal Consiglio dei Ministri, postulano dunque la soppressione dei Comprensori. E, in effetti, quelle Regioni che negli anni passati ebbero a costituirli, già si sono mosse o si stanno muovendo in questa direzione.
Citiamo, quali esempi, il Veneto, l'Emilia-Romagna, la Lombardia. Fa ancora eccezione, invece, il Piemonte. Il Piemonte che non potrà comunque tardare ad avviarsi lungo la strada di un consimile provvedimento. E che, in ogni modo, deve pure prendere atto della realtà diversa che si viene ipotizzando, rinunciando a qualsiasi tentativo destinato a tenere artificialmente in vita i Comprensori stessi. Non è quindi accettabile la tesi che sentivamo enunciare ancora nella seduta precedente dal Vicepresidente della Giunta, secondo la quale, poiché i Comprensori, ci sono, occorre farli funzionare. Questo sarebbe soltanto a nostro avviso, un inutile dispendio di energie e di mezzi. Né sono parimenti accettabili le tesi che stamane abbiamo sentito esprimere da vari oratori di sinistra.
Terzo: le critiche espresse non escludono un corretto riconoscimento che, in Piemonte, l'esperimento dei Comprensori, è stato attuato con più raziocinio e ha prodotto risultati meno deludenti che in altre Regioni.
Certo, noi non diremmo (come si scrive nella mozione) che tutti gli organismi comprensoriali hanno fornito buona prova di sé; ma è innegabile che, in alcuni casi, sono stati all'altezza della situazione, avviando un processo di programmazione all'interno della Regione ed affrontando, in modo positivo, i problemi dell'assetto territoriale e dello sviluppo socio economico in vaste aree del Piemonte.
Il frutto di questa loro attività, allora, non deve andare disperso: e però, ribadiamo, la loro sperimentazione non può essere tenuta oltre in vita, perché è al di fuori, in primis della previsione costituzionale e quindi, è di per sé illegittima; e poi, perché è contrastante con le indicazioni della riforma delle autonomie locali.
Non è che siamo rigidamente dogmatici sul problema. Per esempio, questa mattina abbiamo ascoltanto con interesse la proposta formulata dal Capogruppo liberale, che parlava di un disegno di legge rivolto a riaccorpare nella Provincia le varie competenze di Comprensorio per essere poi, queste competenze, dalla Provincia ridistribuite in varie zone a livello provinciale. E' senza dubbio una via mediana che potrebbe anche rappresentare alcuni aspetti positivi e che, d'altra parte, proprio per quanto detto, noi siamo pronti ad esaminare con la maggiore obiettività possibile. Infine, dobbiamo ancora osservare che, pur prendendo atto della ormai acquisita individuazione dell'Ente intermedio, non definite in maniera organica e funzionale ci sembrano essere lasciate, nel progetto, le funzioni che alla nuova Provincia dovrebbero essere riconosciute; a riprova, questo, di quanto ancora vada meditata e meglio disegnata la futura riforma che, così come è oggi presentata, conserva ancora larghe zone d'ombra.
Passiamo ora al delicatissimo tema delle rivendicazioni di nuove circoscrizioni provinciali. Il documento comunista afferma che queste emergono genericamente in vaste aree del Piemonte; questa mattina l'Assessore Ferrero ribadiva che sono molteplici le richieste di nuove circoscrizioni provinciali che si avvertono qua e là nella Regione e, sul medesimo piano, si è mantenuto il Consigliere Revelli nel suo intervento.
Noi preferiamo invece, a rischio anche di deludere qualche nostro amico di Alba, di Casale o di Ivrea, essere più precisi; sosteniamo cioè che, in ipotesi, possono essere legittimate due sole richieste per due nuove Province: quella di Biella, anzitutto, alla quale dobbiamo riconoscere prioritaria attenzione, prendendo atto della tenacia, della passione ed anche dell'obiettiva fondatezza con le quali questa istanza di riconoscimento viene portata avanti da tutti i Comuni dell'area biellese.
E, accanto a questa, quella del Verbano-Cusio-Ossola che si giustifica non foss'altro (vorremmo sottolinearlo, questo "non foss'altro") per l'intreccio tra crisi istituzionale e crisi economica presente nella zona e che si riflette nella tipicità stessa, originale ed esclusiva, dell'Alto Novarese, concorrente a delineare una identità del tutto, specifica all'interno dell'attuale provincia di Novara e della stessa Regione Piemonte. Ma, ammettiamolo apertamente: al di là di queste due particolari situazioni, altre non ve ne sono, tali da offrire un pur minimo margine di consistenza.
Ora, contro le aspirazioni di Biella e del Verbano-Cusio-Ossola, si frappone l'ostacolo del progetto di riforma delle autonomie locali, con il limite preventivo minimo per le costituende Province. Recita infatti, il capo terzo delle disposizioni transitorie e finali che, in nessun caso potranno essere definite nuove circoscrizioni provinciali che comprendano una popolazione inferiore ai 250.000 abitanti. Noi pensiamo che questo rigido parametro, al quale siamo decisamente contrari, debba andare rivisto, debba venire sostituito con altri che tengano conto piuttosto della continuità territoriale o che tengano conto delle caratteristiche di zone omogenee dal punto di vista economico e sociale. Ma pensiamo anche che, per questo obiettivo, ci si debba impegnare in sede parlamentare a livello nazionale, più ancora e prima ancora che a livello regionale. Nel senso che, o la battaglia per queste due nuove Province la si combatte a Roma, oppure del tutto inutili risulteranno essere le eventuali iniziative che a Torino si vorranno assumere. Per questo noi dichiariamo di restare freddi e perplessi davanti alla richiesta, contenuta sempre nella mozione comunista, di volere impegnare il governo della Regione "a determinare anticipando la riforma nazionale, le proposte di nuove circoscrizioni territoriali".
Certo, la Giunta deve venire allo scoperto; la Giunta deve pronunciarsi; la Giunta deve assumere, con responsabilità, una propria decisione. E noi diciamo che deve trovare il coraggio di abbandonare questa posizione agnostica, così come consentito e anche imposto ad essa dall'art.
133 della Costituzione. E non saremo poi noi, di certo, ad opporci ad eventuali iniziative che in questo senso si indirizzano. Vogliamo per mettere in guardia tutti, e soprattutto i proponenti di anche troppo facili proposte di legge al Parlamento nazionale, del pericolo di alimentare demagogicamente troppo facili illusioni in popolazioni già esasperate da lunghe attese, dando corpo a configurazioni territoriali che poi non troveranno riscontro nella realtà delle cose e attentibilità a speranze che fatalmente dovranno essere deluse.
Evidenziato anche questo tema, siamo ovviamente d'accordo con l'invito alla Giunta ed all'Ufficio di Presidenza, "di promuovere in tempi brevi una riunione del Consiglio regionale sul tema della riforma delle autonomie invitando a parteciparvi il Comitato ristretto della I Commissione del Senato". Siamo d'accordo, pur con tutte le riserve che un invito di questo tipo possa essere accolto. E siamo .anche d'accordo, anche qui però, con delle perplessità, sull'invito "a convocare gli 'Stati generali' delle autonomie piemontesi, al fine di sottoporre al loro giudizio una proposta organica per la circoscrizione degli Enti intermedi del Piemonte della loro funzione" (abbiamo citato testualmente dal documento comunista).
Desideriamo solo aggiungere, in riassunto, che la rifondazione dello Stato non può prescindere da una necessaria rifondazione dei suoi livelli di rappresentatività istituzionale; i quali, altrimenti, nella loro struttura attuale, vanificherebbero ogni sforzo di restituire ordine autorità e funzionalità allo Stato medesimo. Grazie.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Petrini.



PETRINI Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ritengo che su un argomento di estrema importanza come quello oggi presentato, il dibattito debba essere il più ampio possibile, che i Consiglieri regionali, anche a costo di ripetersi, espongano il loro pensiero sulla riforma, arricchendo la posizione delle singole forze politiche con puntualizzazioni o proposte che diano un quadro completo della situazione piemontese in rapporto alle auspicate innovazioni. Anticipo quindi che farò anch'io una breve analisi del problema delle autonomie locali, condividendo quanto affermato dal collega di Gruppo, Genovese, soffermandomi poi sul tasto controverso delle proposte per un nuovo assetto territoriale piemontese a livello provinciale.
Come hanno sottolineato altri colleghi, rilevanti e profonde sono le ragioni di carattere storico alla base della questione delle autonomie e del decentramento nel nostro Paese. La tematica dell'articolazione autonomistica delle istituzioni s'intreccia con lo sviluppo storico del nostro Stato moderno, in relazione con le dinamiche proprie della società civile. Il decentramento dello Stato, la partecipazione di base l'autonomia municipale, il rinnovamento delle forze politiche in rapporto ai nuovi livelli di potere, sono, tutti insieme, a mio avviso, gli aspetti futuri della democrazia italiana.
Pensare alla riforma delle autonomie locali, oggi, significa quindi sapere trarre alcune scelte e conseguenze da quanto è avvenuto nella realtà, in modo che le responsabilità delle Amministrazioni locali si trasformino in momenti importanti della funzione di guida democratica delle comunità e di dominio di tutti i fattori di sviluppo.
E' ormai venuta meno la funzione di un sistema istituzionale centralistico, sempre più inadatto a corrispondere alle domande di una società esigente ed organizzata, secondo uno schema di consensi sottoposti a continua verifica. Parimenti, è venuto meno il ruolo di un Ente locale isolato e superato nella sua dimensione localistica e municipalistica incapace di stabilire continuamente rapporti di comunicazione e di interrelazione con realtà territoriali più vaste, che ormai rappresentano la condizione indispensabile per l'esercizio di funzioni pubbliche e locali e per un'azione politica e amministrativa che non sia limitata alla sola gestione dei servizi pubblici elementari.
I criteri ispiratori della riforma delle autonomie locali dovrebbero secondo noi, essere i seguenti: modelli differenziati per il governo locale, potenziamento del ruolo del Comune come espressione primaria degli interessi generali della collettività, associazionismo degli Enti locali inserendo in questo quadro la soluzione dei problemi inerenti l'assetto delle unità montane e delle USL. l'individuazione della Provincia quale unico Ente intermedio di raccordo tra Governo e Comune - con precisazione del ruolo e della funzione della Regione, ricomposizione in un quadro organico - per settori di materie del complesso delle funzioni attribuite a ciascun livello di governo, configurazione secondo moduli nuovi e costituzionalmente corretti del rapporto fra Governo centrale e locale. E' necessario ribadire l'opinione a favore del mantenimento di due livelli istituzionali di governo locale: il Comune e la Provincia, sia pure profondamente rinnovati rispetto al preesistente ordinamento amministrativo.
La nuova Provincia, con possibilità di ridefinizione degli ambiti territoriali, al fine di consentire al nuovo Ente di essere effettivamente l'area idonea per la programmazione economico-sociale e territoriale dovrebbe essere basata su assemblee elettive dirette, con competenze di programmazione che non escludono, tuttavia, l'attribuzione di funzioni amministrative gestionali strumentali a quelle della programmazione.
La riforma non potrà non insistere sulla centralità del Comune quale riconoscimento del carattere originario delle Comunità locali, in stretta connessione con i valori della persona, della famiglia e delle istituzioni democratiche. Il Comune diventa così il momento naturale di rappresentanza degli interessi generali della collettività, il punto di riferimento complessivo della coscienza collettiva che la collettività spontaneamente esprime. Il Comune deve essere riconosciuto anche come Ente di programmazione, attribuendogli la facoltà di concorrere alla formazione ed all'attuazione dei programmi regionali e provinciali: a questo scopo, il Comune dovrà dotarsi di criteri di programmazione nell'impostazione delle proprie attività.
Dal varo della riforma delle autonomie locali non si possono per attendere ovviamente soluzioni taumaturgiche, capaci di mutare di colpo la realtà complessa delle autonomie, ma da essa può venire un essenziale tassello dello Stato repubblicano che, con le Regioni, è stato avviato a composizione e che ora va completato con un rafforzamento del governo locale. E' compito delle forze politiche indicare ai cittadini le scelte per, il futuro, i valori su cui dovrà fondarsi una società libera, ricca di valori e perciò più giusta e più rispondente ai reali interessi delle nostre comunità locali.
Altra preoccupazione è quella relativa alla riforma della finanza locale, come è stato ricordato, che non può essere scissa da quella riguardante la riforma delle autonomie. Infatti, non è possibile attribuire posizioni e compiti all'Ente intermedio e ai Comuni senza, nel contempo fornire gli strumenti finanziari adeguati allo svolgimento degli stessi recuperando una potestà impositiva attraverso la quale meglio si eserciti l'auspicato principio di autonomia. I due provvedimenti devono infatti procedere di pari passo se si vuole salvare il ruolo delle autonomie nel nostro Paese.
Il programma del nuovo governo Fanfani, ci auguriamo, contempli una rilevanza della tematica istituzionale; in questa, un posto a sé, ci auguriamo venga assegnato al nuovo ordinamento delle autonomie locali, la cui definizione costituisce impegno non di oggi, né per la DC, né per altre forze politiche. Comunque, ci auguriamo che il Presidente Enrietti, come Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni (come auspicava stamattina il collega Bastianini), si adoperi a fondo per questi fini. Già durante il governo Spadolini, dopo un periodo di attese vane e frustranti la riforma delle autonomie prese corpo con la presentazione, da parte governativa, della legge di riforma, come ricordava poco tempo fa la collega Vetrino, che, in buona parte, ha recepito le istanze più sopra richiamate, ma che non è stata aliena da critiche.
Il progetto dell'on. Rognoni è comunque un contributo importante per avviare a discussione la riforma. Ma questo grande progetto di riordino istituzionale, per i riflessi che avrà sulla vita autonomistica del nostro Paese, richiede, a mio avviso, l'apporto di tutte le forze politiche. La mia sensazione è che oggi, al di là di significative convergenze, non esiste accordo pieno; e il clima generale politico non è di quelli che possano agevolare l'approvazione di una legge di tale importanza, che esige un'ampia intesa, anche al di là delle maggioranze di governo.
In Regione Piemonte, al di fuori della mozione comunista oggi in discussione e di alcune impostazioni generali esposte oggi dall'Assessore Ferrero con una pregevole relazione ricca di spunti e di riflessioni, noi abbiamo la sensazione che la maggioranza che governa questa Regione sia inerte sul tema della riforma istituzionale. Nonostante non ci sia ancora la riforma dell'ordinamento, un processo di delega dalla Regione agli Enti locali potrebbe essere per esempio avviato, almeno come fase di sperimentazione. Noi infatti siamo convinti che le Regioni debbano assolvere un ruolo importante nel coordinamento delle autonomie; e lo devono svolgere sia quando devono veder riconosciute le loro funzioni, sia quando devono riconoscere il ruolo degli altri. Infatti, la Costituzione Italiana non ha disegnato uno Stato regionalistico, ma uno Stato autonomistico; sicché, nell'ambito delle autonomie, non esistono privilegi ma, evidentemente, una parità. Senza quindi trascurare il rilievo che pur riveste la riforma legislativa nazionale, ritorna di tutta attualità il problema del decentramento infra-regionale e della sua funzione di stimolo di arricchimento verso la costruzione delle autonomie locali "reali".
In questo senso si evidenzia l'idea di un processo riformatore della realtà autonomistica, la quale non si identifica e non si esaurisce esclusivamente in un atto normativo, pur fondamentale del Parlamento nazionale, ma che conosce momenti diversi e progressivi; alcuni dei quali come quello delle deleghe delle Regioni, sono già concretamente percorribili.
Perché non pensare, allora, a una Regione riqualificata nei suoi compiti d'indirizzo, di programmazione e di coordinamento, proprio in quanto impegnata nel conferimento, attraverso le deleghe, delle sue funzioni amministrative di nuovi ambiti di poteri decentrati ai Comuni ed alle Province? A questo punto, deve farsi strada anche da noi la convinzione che nonostante non ci sia ancora la riforma dell'ordinamento, sul terreno dei rapporti tra Regioni ed Enti locali bisogna agire, per intanto, sul piano delle deleghe, su quello del coordinamento dei troppi Enti, Consorzi e organismi settoriali esistenti per territorio e per materia.
Così come deve compiersi una verifica dei livelli associativi e del loro funzionamento. Sono funzionali o anacronistiche certe delimitazioni ad esempio, di Comunità montane, Consorzi, Distretti sanitari o scolastici degli stessi bacini dei trasporti? Il sistema viene infatti sottoposto a impulsi e a sollecitazioni spesso in direzioni diverse e comunque sfasate.
Si verificano sovrapposizioni, confusioni amministrative e di competenze troppi sono infatti i governi settoriali su uno stesso territorio, senza alcun coordinamento. Questa proliferazione disorganica e non razionale di livelli moltiplica poi la spesa pubblica coi suoi effetti negativi sull'economia regionale e nazionale. Nello stesso undicesimo progetto del Piano di sviluppo regionale dell'82/85, relativo all'organizzazione, troppo poco si dice in materia di coordinamento e di deleghe. Un minimo di disegno organico nel progetto di delega deve pur essere delineato dal Governo regionale, senza voler attendere la riforma delle autonomie. Così come la Regione Piemonte può iniziare a operare per compiere, ad esempio nel campo delle sue competenze, scelte coerenti di coordinamento tra tutti i numerosi soggetti che operano nel territorio piemontese.
A proposito di comunità locali, desidero poi evidenziare il secondo punto del mio intervento e cioè le ventilate proposte regionali circa l'istituzione di nuove Province in Piemonte, con particolare riferimento in tale contesto, al problema delle richieste avanzate dal Biellese alla Regione (qui ricordate stamane) e delle relative risposte evasive deludenti, espresse già in altra recente occasione dal Presidente della Giunta piemontese.
In una conferenza stampa, a Biella, colleghi del Gruppo comunista hanno affermato che il problema di Biella non può essere disgiunto dalla conclusione della legge di riforma nazionale (e oggi, con più timidezza l'ho sentito ribadire dall'Assessore Ferrero) e che le nuove Province piemontesi dovrebbero essere quelle di Biella, del Verbano- Cusio-Ossola di Casale e di Alba. Non entrerò nel merito delle istituende Province del Verbano, di Casale e di Alba, che devono essere frutto di una precisa scelta locale e di un'organica proposta di questo Consiglio regionale. Ci che mi preme oggi sottolineare sono alcuni interrogativi rimasti finora senza alcuna risposta da parte del Governo regionale.
Come si può dare maggiore rilievo a una legge, per altro ancora in discussione, che non alla Costituzione italiana la quale, senza mezzi termini, sulle nuove Province, richiede l'iniziativa dei Comuni che, nel caso del Biellese, vi è stata, in base all'art. 133 della Costituzione? Non solo, ma nel caso del Biellese c'è stato il parere favorevole del Consorzio degli 83 Comuni, del Comprensorio, del Consiglio provinciale di origine che riconoscono la nuova realtà secondo criteri di omogeneità economiche e sociali previsti dalla legge di riforma.
In Lombardia, con quasi 9 milioni di abitanti, si è richiesta, con legge al Parlamento, l'istituzione di due nuove Province: Lecco e Lodi. In Emilia-Romagna, con 4 milioni di abitanti, si richiederà, se entro l'anno la riforma delle autonomie non sarà legge dello Stato, con proposta di legge al Parlamento, l'istituzione della Provincia di Rimini.
In Piemonte, con 4 milioni e mezzo di abitanti, cosa s'intende fare? Neppure presentare una proposta di legge al Parlamento che gli 83 Comuni del Biellese, seguendo l'iter costituzionale, hanno più volte richiesto? Mi auguro proprio di no! Ma, mancando un disegno organico del Governo regionale, come si possono proporre ulteriori tre Province, senza che queste (che sia chiaro considero di pari dignità di Biella) seguano il previsto iter costituzionale, godano della non opposizione del Consiglio provinciale d'origine, non siano a tutt'oggi sede di Consorzio dei Comuni interessati e non possiedano organismi politici, sociali ed economici di categoria, paralleli e distinti da quelli capoluogo provinciale? Inoltre, se la Lombardia, con il doppio di popolazione, propone solo due Province; l'Emilia-Romagna, con quasi la stessa nostra popolazione, ne propone una soltanto, è consono, nel quadro nazionale, proporre in Piemonte quattro nuove sedi provinciali? Di conseguenza, non vedo perché non possiamo per intanto agire come le Regioni Lombardia ed Emilia, proponendo come nuova Provincia Biella, tenendo in evidenza per il futuro tutte le legittime aspettative di altre zone piemontesi.
Sono quindi fuori luogo le critiche rivoltemi stamane da Revelli, in merito al progetto di legge regionale da me presentato con altri colleghi è ben vero che i Comuni biellesi sollecitano nelle loro delibere sull'argomento la riforma delle autonomie, ma è altrettanto vero che quell'auspicio non è condizione sine qua non rispetto alla riaffermata richiesta dell'istituzione della Provincia di Biella, secondo l'iter previsto dalla Costituzione del nostro Paese. Per questo, in definitiva, la proposta non vuole e non può, collega Revelli, suonare in alcun modo sfiducia alla riforma. Mi auguro, quindi, che il Gruppo comunista riveda questa posizione perché, sostanzialmente, si pone in contrapposizione alla volontà dei Comuni e degli Enti locali interessati e finisce di urtare sensibilmente la partecipazione di base verificatasi su queste importanti decisioni.
Le forze politiche hanno dunque il dovere, al di là di inutili tatticismi, di porre l'opinione pubblica in grado di giudicare sulla loro volontà di risolvere il problema della Provincia di Biella, anche anticipando i tempi del disegno riformatore complessivo, proprio per riconoscere alle aspirazioni biellesi quel carattere di priorità che tutti ormai da tempo proclamano, basandosi sulla storia e su dati omogenei incontrovertibili in campo socio-economico.
Non dobbiamo secondo me fare un mito della riforma delle autonomie bensì impegnarci lucidamente per apportarvi un contributo di fantasia, ma anche di praticità, tenendo ben presenti anche le realtà da tempo esistenti e operanti nel tessuto socio-economico regionale e dando alle medesime i riconoscimenti che meritano.
Mi auguro che il Consiglio regionale riveda con serenità di giudizio l'intera questione, al fine di avanzare al Parlamento richieste compatibili sul piano generale e non mortificanti sul piano delle scelte prioritarie di alcune comunità piemontesi, se vogliamo credere nella partecipazione e soprattutto, nella capacità e nel potere di decisione delle autonomie locali.
Concludendo, sono poi d'accordo con il collega Genovese sull'indispensabilità che la Regione Piemonte individui un'opportuna sede tecnico-politica permanente di confronto e di elaborazione, per ragionare meno astrattamente sul tema della riforma e sulle eventuali iniziative volte a ridefinire il rapporto tra Regione ed Enti locali per l'esercizio delle funzioni nella fase transitoria di avvicinamento alla riforma delle comunità locali.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Valeri.



VALERI Gilberto

Signor Presidente, colleghi: dalla relazione di Ferrero e dal dibattito che ne è seguito, con idee e proposte specifiche, mi pare sia emersa e vada rilevata una comune consapevolezza: la necessità di un rilancio dell'iniziativa regionale in stretto rapporto con le autonomie locali, da un lato, e verso il Governo e il Parlamento dall'altro.
Concentrerò il mio intervento proprio su alcun i aspetti di questa nostra possibile iniziativa.
Ritengo che la presentazione del progetto di legge governativo, lungi dal consigliare attesa, solleciti in questo campo uno sviluppo intenso della nostra iniziativa, volta a fare avanzare, in concreto, le condizioni per modificare parti non trascurabili dello stesso progetto di legge facendo avanzare contemporaneamente, in Piemonte, condizioni di assetto istituzionale più adeguato.
E' stato rilevato come il progetto di legge governativo non trascuri più totalmente le Regioni come si era verificato nel precedente progetto di legge. Credo che questo sia vero: però, mi pare che da una lettura dello stesso (anche il prof. Potocshing lo ha sottolineato, pur se un po' più velatamente di quanto farò io), emerge che la filosofia che lo guida, pur non trascurando alcune novità rimane quella di una marginalizzazione delle Regioni rispetto ai poteri locali.
Il disegno cui si punta è, in fondo, ancora quello del rapporto diretto tra Stato e Comuni. Ciò, del resto, non emerge solo dal progetto di legge ma da tutta una serie di elementi che già la relazione di Ferrero ha evidenziato e che alcuni interventi hanno ripreso. Non si parla più di riformare i Ministeri; si va profilando un modello di amministrazione definito a volte integrativo e altre volte cooperativo e consociativo, dal quale emerge l'immagine di una Regione vista quale agenzia di spesa e quale braccio operativo dei poteri centrali, rispetto ai quali, per altro, i Consigli regionali vengono notevolmente emarginati.
Direi che si situano nella sostanza di questa filosofia, gli indirizzi economici che si vorrebbero far prevalere, volti a penalizzare i servizi sociali e pubblici, quasi si trattasse di una palla al piede del sistema economico. E' del tutto evidente che se passasse tale impostazione, ci costituirebbe una riduzione di ruolo, oltre che dei poteri locali, delle Regioni.
In questa stessa direzione, è da intendersi l'avvenuto accantonamento del complesso di leggi di riforma previste dal DPR 616. Le ricordo soltanto e sommariamente: la riforma delle autonomie locali; la riforma della finanza locale; la nuova disciplina dei prezzi; i nuovi assetti per il turismo; la riforma dell'assistenza; la riforma in materia di beni culturali; il riordino in materia di lavori pubblici e di assetto idrogeologico.
A quest'ultimo proposito, le dispute col Magistrato per il Po e con il Ministero dei lavori pubblici circa le competenze sui fiumi, sono note.
Questa ampia e complessa manovra legislativa era ed è assolutamente indispensabile per dare completezza al trasferimento dei poteri alle Regioni, per questo e non a caso, essa è stata bloccata.
Non è dunque irrealistico ritenere che vi sia chi, lucidamente, sta operando per uno svuotamento delle Regioni e per una loro riduzione ai limiti dell'inutilità e del superfluo. Personalmente ritengo che, al di là delle alterne vicende, l'esperienza regionale sia irreversibile; ma l'esito di tale esperienza, ne dobbiamo convenire, non è assolutamente scontato; e sarà fortemente condizionato in primo luogo dai caratteri che assumerà la riforma del sistema delle autonomie.
Peraltro è evidente che qualora la riforma delle autonomie nascesse sotto questi segni negativi, non sarebbero solo le Regioni a pagarne le conseguenze, ma l'intero sistema dei poteri locali. Perché non possiamo dimenticare che, pur con limiti ed errori, il decennio delle Regioni ha coinciso con la più forte crescita avuta nel nostro Paese dalle autonomie locali. Direi che ciò vale in modo particolare in Piemonte, in ragione delle esperienze che, sia nella prima, sia nella seconda legislatura, sono state avviate, nella direzione del superamento, almeno parziale, delle angustie municipalistiche e della crescita, mediante la programmazione e la partecipazione, di un ruolo di governo reale dei Comuni.
Però, è anche vero che nel dibattito politico cui abbiamo assistito e assistiamo, questi elementi positivi cedono il passo all'emergenza dei problemi aperti nel rapporto Regione-Enti locali, per cui, nei confronti dei poteri centrali, il fronte delle autonomie tende a muoversi separatamente, addirittura, a volte, con una contrapposizione tra i diversi livelli.
Credo che occorra avere consapevolezza che le Regioni sono prese anche in questa morsa, sui cui effetti fanno conto le forze che hanno resistito e resistono al decentramento dello Stato, e che si ripromettono di sfruttare contraddizioni e difficoltà nei rapporti tra Regioni ed Enti locali, per cercare non solo di contrastare, ma addirittura di rioccupare, gli spazi di potere che gli apparati e le strutture centrali dello Stato hanno dovuto abbandonare in questi anni. Credo occorra avere coscienza che ci troviamo in questa strettoia da cui occorre uscire con intelligenza politica e capacità di iniziativa, trasformando una causa di debolezza in una ragione di forza. Ciò è possibile oltre che necessario. I temi del nostro dibattito, nel quale sono spesso presenti i rapporti con gli Enti locali scaturiscono proprio da queste considerazioni, intese a dare un significato strategico, non puramente funzionale all'efficienza della Regione, alle scelte operative che dobbiamo compiere in materia di deleghe e di riassetto dei ruoli e dei rapporti all'interno del sistema autonomistico piemontese fino a configurare un vero e proprio progetto, il dodicesimo, del secondo Piano regionale di sviluppo.
Per intanto, una proposta che emerge dalla nostra mozione, mi pare sia quella di rendere i rapporti con gli Enti locali, ancor più esplicitamente e intimamente coerenti con i principi di uno stato-ordinamento, quindi non gerarchicamente sovraordinati, all'interno di un assetto giuridico e di rapporti che sia tale da esaltare le reciproche autonomie da un lato e dall'altro, di realizzare quel raccordo programmatico tra i diversi soggetti, necessario per dare più efficacia all'azione di governo e maggiore democraticità al processo decisionale.
In termini concreti, mi pare che queste esigenze si riconnettano in particolare ai temi delle deleghe e all'attribuzione di competenze in materia di programmazione.
Rimangono gli interrogativi: a chi delegare e cosa delegare coinvolgere o non coinvolgere, e in quali termini, eventualmente, le Amministrazioni provinciali nei processi di programmazione. Occorre evitare il rischio di soluzioni improvvisate e contraddittorie, e sciogliere alcuni nodi di indirizzo.
Crediamo, in particolare, che un riassetto dei pubblici poteri su basi razionali e organiche, non possa essere ricercato in una sorta di spartizione di competenze amministrative tra i diversi livelli istituzionali; spartizione le cui negative conseguenze di sovrapposizione di settorializzazione degli interventi, è già stata a lungo sperimentata in particolare dalle Province, ma anche dalla Regione in ordine ai suoi rapporti con lo Stato.
Il riassetto di cui c'é bisogno, può essere individuato soltanto in una distinzione orizzontale di ruoli e di funzioni in cui, a ciascun livello sia consentito di intervenire, in una visione complessiva dello sviluppo in tutti i suoi vari aspetti economici e sociali, configurando per questa via un nuovo ordinamento dello Stato e dei poteri locali, fondato su Enti a competenza generale, distinti tra loro non dai settori di competenza, ma dalla diversa qualità delle funzioni da svolgere.
A ciò si aggiunga la considerazione che l'esigenza di far fronte alla sempre più estesa domanda sociale ed al peso di un intervento pubblico diventato ormai rilevante in tutti i campi, presuppone una sempre più ampia capacità pubblica di dare risposte che poggino su un più ampio rapporto democratico con le popolazioni, quale il Comune, soprattutto, è in grado di assicurare.
Ne consegue che i ruoli della Regione, di cui si è detto, e della Provincia come futuro Ente intermedio, con funzioni essenzialmente programmatorie e di raccordo tra Regioni e Comuni, non debbono interferire con un ruolo del Comune, singolo e associato, incentrato sull'esercizio complessivo delle funzioni amministrative inerenti gli interessi non solo sociali, ma anche economici, che si esprimono e si risolvono al suo livello.
Ogni confusione a tale riguardo, non farebbe che aggravare l'attuale condizione critica della Regione e comprometterebbe l'inserimento della nuova Provincia in un disegno di riassetto fondato sulla programmazione sulla integrazione dei diversi livelli del potere locale, su un permanente rapporto tra i soggetti pubblici e privati dello sviluppo.
Ora, se non si sciolgono questi nodi di indirizzo, si rischiano proprio quelle contradditorietà che prima richiamavo; e l'esperienza della discussione in atto in materia di deleghe nei settori dell'artigianato e dell'agricoltura lo sta a dimostrare.
Dove questo ruolo del Comune appare oggettivamente difficoltoso da realizzare è nel superamento degli effetti derivanti dal grado di polverizzazione del tessuto comunale della nostra Regione. E' difficile individuare in tutti gli attuali 1209 Comuni, alcuni dei quali con 60, 70 100 abitanti, sedi in grado di esercitare le funzioni di delega amministrativa a livello di efficienza e di efficacia. Se però questo è l'ostacolo (cioè l'insufficiente dimensione territoriale e demografica dei Comuni) allora occorre andare oltre la semplice e ormai annosa constatazione del problema ed operare concretamente per superarlo. In caso contrario rischiamo di contraddire tanto il ruolo che ai Comuni stessi vogliamo assegnare, che i caratteri che intendiamo prefigurare per la Provincia futuro Ente intermedio. Di qui l'urgenza di provvedere a completare il processo di delega, attuando lo Statuto e superando i rischi di asfissia amministrativa della Regione.
A fronte degli ostacoli materiali che si frappongono oggi alla delega generalizzata di Comuni, credo si possa anche andare - e parlo delle leggi che sono all'esame delle commissioni in materia di artigianato e di agricoltura - a soluzioni di carattere transitorio; stabilendo, cioè, che le deleghe da attribuire ai Comuni per la gestione delle quali mancano oggi le strutture associative intercomunali, vengano transitoriamente ed a termine attribuite alle Province: questa soluzione potrebbe favorire la conclusione dell'esame dei disegni di legge di delega in questione.
Sarebbe a mio avviso negativo se dall'odierno dibattito, traessimo soltanto motivo per rinviare ogni decisione sulle leggi già all'esame delle Commissioni. Una soluzione quale quella ora ipotizzata potrebbe costituire una base per sbloccare, anche rapidamente, quanto è contenuto e proposto nei progetti di legge della Giunta, senza pregiudicare il futuro assetto istituzionale, anzi introducendo stimoli concreti per accelerarne il passo.
Ne consegue l'urgenza di impegnare le Province a partecipare alla costruzione di un simile processo, mentre, contestualmente, è urgente un'iniziativa per l'istituzione delle associazioni intercomunali poli funzionali sull'intero territorio regionale; superando la frammentarietà la settorialità e la polverizzazione delle esperienze consortili compiute nel passato, delle quali non si può dare un giudizio negativo tout-court ma che oggi appaiono impari alle esigenze, in quanto, se per ogni delega pensassimo a forme consortili, andremmo ad una proliferazione assolutamente ingovernabile.
Le associazioni polifunzionali, come sottolineava Revelli, noi pensiamo non debbano in nessun caso essere considerate Enti, bensì la forma organizzativa di un modo d'essere diverso dei Comuni: Comuni che debbono essere i destinatari della titolarità delle funzioni delegate, i quali volontariamente si associano per poterle gestire adeguatamente. Crediamo perciò urgente pervenire alla predisposizione di un progetto di legge che definisca gli ambiti territoriali e la connotazione giuridica e amministrativa delle costituende associazioni polifunzionali.
Il progetto di legge governativo non prevede le associazioni polifunzionali. Su questo concordo, anzi accentuerei le considerazioni di Genovese riguardo al fatto che il progetto di legge governativo prevede soltanto le associazioni in funzione della fusione dei Comuni più piccoli e contigui fra di loro.
Questo silenzio è addirittura incredibile se si considera che già esiste una legge nazionale, la 833, che istituisce in forma addirittura obbligatoria, le associazioni dei Comuni per la gestione delle competenze sanitarie e sociali. Ma, al di là di questa incoerenza, sono chiare le ragioni che ci spingono a sostenere l'esigenza dell'associazionismo dei Comuni, senza il quale non si metteranno i Comuni in grado di esercitare pienamente il loro ruolo. Inoltre, la creazione delle associazioni polifunzionali, è la condizione per corre:nere l'attuale processo di progressiva espropriazione dei Comuni da parte delle USL; è il modo, cioè per agire autonomamente come Regione, con atto legislativo proprio e sulla base delle esperienze compiute da altre Regioni, per tendere a superare la contraddittorietà esistente nella 833, tra la titolarità delle funzioni attribuite ai Comuni e il loro esercizio attribuito invece ad altri.
L'associazionismo polifunzionale, in questo caso, creerebbe le condizioni anche per evitare i pericoli di una gestione della sanità alla stregua di un'azienda municipalizzata, della quale già si intravedono i primi sintomi.
Con quali ambiti territoriali le associazioni polifunzionali? Per individuarli, è stato detto, che occorre muoverci con duttilità e con l'ausilio della più ampia partecipazione dei Comuni. Condivido queste considerazioni e ritengo che occorra la consapevolezza di operare con un sufficiente grado di sperimentalità e che, nel breve termine, è possibile partire dagli ambiti territoriali già individuati per le USL. i quali, tra l'altro, coincidono anche con i livelli dei distretti scolastici.
Sono prime aggregazioni che mi sembra contengano un alto grado di ottimalità, anche se non la perfezione. Peraltro le leggi regionali istitutive delle USL. rendono possibile un processo di adeguamento degli ambiti territoriali. Al fine di accelerare i tempi e passare alla sperimentazione concreta mi pare che sarebbe anche possibile, con misure transitorie in sede di prima attuazione, assumere le attuali assemblee delle USL. con assemblee delle istituende associazioni polifunzionali riconoscendo nel contempo alle Comunità montane il ruolo di associazioni polifunzionali di fatto. Nel medesimo tempo, però, si pone per le Comunità montane un problema di revisione degli ambiti territoriali e dei criteri di elezione degli organi. Riguardo agli ambiti territoriali si è registrata nei mesi scorsi una disponibilità dell'UNCEM a intervenire per correggere l'attuale polverizzazione in 45 Comunità montane, alcune delle quali di 2.500 abitanti. Contemporaneamente, come proposto nella mozione presentata dal nostro Gruppo, riteniamo che si debba procedere con esperienze che coinvolgono, non solo consultivamente, le Province, nel processo di programmazione, ma non in alternativa ai Comprensori. Al riguardo crediamo che due considerazioni, particolarmente, ostino alle considerazioni che facevano i colleghi Bastianini e Carazzoni circa la soppressione dei Comprensori già in questa fase: in primo luogo non è accettabile bloccare il processo di programmazione, cosa che invece accadrebbe per il fatto che le attuali Province, né oggi, né nei prossimi mesi, sarebbero in grado di sostituirsi soddisfacentemente ai Comprensori. In secondo luogo non è pensabile disperdere un patrimonio di esperienze accumulate nel campo della partecipazione dei Comuni e delle forze sociali. Sarebbe inoltre tanto più deleterio accantonare i Comprensori nel momento in cui, a fronte della crisi che incalza, occorre procedere rapidamente alla formazione definitiva dei piani comprensoriali, così come la I e II Commissione hanno concordemente insistito in occasione di un'apposita e recente riunione congiunta.
Riteniamo però che tutto ciò debba sollecitamente intrecciarsi con un maggiore impegno delle Province e delle loro strutture, non limitato ad atti consultivi, bensì mediante l'individuazione di precisi atti deliberativi. Poniamo l'interrogativo, ad esempio, se non sia pensabile integrando la legge regionale n. 43, prevedere un atto deliberativo dei Consigli provinciali in materia di verifica delle coerenze e compatibilità tra i piani comprensoriali esistenti su una medesima area provinciale.
Analogamente ci si deve chiedere se non sia da considerare concretamente l'ipotesi di una deliberazione dei Consigli provinciali anche sulle stesse proposte di piano comprensoriale ed i relativi elaborati.
Le province, oggi, partecipano attraverso le delegazioni elette nei Comitati comprensoriali; ma nuocerebbe ai Comprensori e ne ridurrebbe il ruolo, o non piuttosto costituirebbe ulteriore validazione degli atti di programmazione che si andranno a compiere, se ad essi e al processo che li deve sostanziare partecipassero, in forma democraticamente completa, anche le Province? Un secondo campo di intervento potrebbe attenere alcuni campi d'intervento attribuiti dalla legge istitutiva ai Comprensori e rimasti inattuati, per ragioni che non sto ad esaminare (in particolare insufficienza delle strutture), e sui quali potrebbe validamente esprimersi l'impegno delle Province.
La legge che abbiamo votato pochi giorni fa, ad esempio, in materia di osservatorio del lavoro, prevede, per la prima volta, forme di convenzionamento che impegnano direttamente le Province. Mi domando se, in materia di idrogeologia, di bilanci consolidati e in alcuni altri campi non sia pensabile - visto che le attuali strutture comprensoriali così come sono, non sarebbero in grado di farvi fronte - avviare il processo di transizione verso il futuro Ente intermedio, attribuendo alle Province queste competenze, se del caso anche modificando la legge istitutiva dei Comprensori.
Questo sarebbe anche un modo per evitare che le ingenti risorse politiche e tecniche, esistenti all'interno delle Amministrazioni provinciali, restino per la gran parte inutilizzate e frustrate, e neppure si esauriscano in sterili ricerche di deleghe e competenze purchessia anche di gestione minuta, antitetiche con i caratteri che dovrà avere il futuro Ente intermedio.
L'iniziativa regionale può far sì, invece, che tali risorse si applichino all'avvio di un processo, anche interno, di autotrasformazione e di riqualificazione delle attuali Province, in direzione della prefigurazione concreta di quei compiti di programmazione, di partecipazione e di raccordo fra Comuni e Regione, che la riforma affiderà loro.
Mi pare che su queste basi si possano ritrovare le ragioni di un'ampia e coordinata iniziativa della Regione, dei Comuni, delle Province e dei Comprensori, per una nuova tappa del riassetto istituzionale, capace di produrre esperienze valide - così come è stato per i Comprensori - in grado anche di incidere tangibilmente nel dibattito politico sulla futura riforma, aperto in Parlamento e tra le forze politiche.



VALERI Gilberto

PRESIDENTE.



VALERI Gilberto

La parola al Consigliere Beltrami.



BELTRAMI Vittorio

Signori Consiglieri, due brevi annotazioni per un intervento che dà per scontate e richiamate le grandi linee politiche sul tema delle autonomie brillantemente illustrate da altri colleghi.
La prima annotazione è di carattere professionale, professionalità intesa nel ruolo svolto nell'area della cosiddetta sicurezza sociale entro la Regione.
Le USSLL. se non possono configurarsi come autonomie locali nel senso tradizionale, sono di certo una loro espressione.
Svolgono, le USSLL. un ruolo talvolta dimensionalmente superiore a quello degli Enti locali; sono investite, attraverso lo Stato, da flussi finanziari che, in Regione, occupano più della metà del nostro bilancio e perifericamente, superano i bilanci dei Comuni e delle Province. Sono decisamente politicizzate e, da qualche parte, recentemente, è stata ipotizzata una elezione diretta delle assemblee da parte della popolazione.
La seconda annotazione (pur mai dimenticando che ognuno di noi è Consigliere dell'intero Piemonte e non di una sola parte di esso), vuole riproporre per memoria il sentire di un Consigliere che vive una esperienza di territorio, di aree definite in arricchimento a quella più ampia del suo mandato, che deve (diciamo pena la decapitazione politica, ma non è solo per questo), rendersi portavoce delle istanze della parte di quella popolazione e di quel territorio dove vive.
Sulla prima annotazione, quantomeno utile è conveniente che due anni di rodaggio hanno evidenziato non poche difficoltà e l'esigenza di intervenire con dei correttivi sul quadro legislativo. Infatti, il dinamismo e l'impegno amministrativo non possono supplire al disimpegno programmatico e legislativo. E, alla luce delle esperienze, in questo settore incandescente, occorre dinamizzare i rapporti progettazione - esecuzione delle norme, imponendo al legislatore di accertare prospettive tecniche proposte, informazioni, che salgono all'utenza, dalle professionalità anche burocratiche, dalle scienze economiche, pronte a favorire il trapasso da un diritto puramente prescrittivo a una legislazione orientata verso un risultato.
Né si può ricadere nell'errore contrario: che identifico con quanto è avvenuto con la 833 di riforma sanitaria, allorquando il legislatore preoccupato di superare la settorialità dell'organizzazione dei servizi con un'articolata, omogenea e unitaria gestione territorializzata, ha ritenuto più conveniente sottrarsi a una definizione delle nuove strutture periferiche, ponendo in secondo piano il profilo istituzionale rispetto a quello organizzatorio.
Taluni hanno definito la 833 di riforma sanitaria, anticipatrice della riforma delle amministrazioni locali e, come tale, stessa dovrebbe costituire una rottura dell'attuale ordinamento comunale e provinciale.
Viene avvertito, tra l'altro, che talune sue norme possono essere per intese solo se lette con riferimento al disegno complessivo della riforma delle autonomie.
Riforma delle autonomie locali più volte richiamata dalla 833; lo stesso art. 12, che riguarda le Province, dice "sino all'entrata in vigore della legge delle riforme delle autonomie locali", ecc.
L'USL. vi è precisato "è il complesso dei presidi, dei servizi, degli uffici dei Comuni singoli od associati e delle Comunità montane". E ancora l'art. 15 della stessa legge precisa che l'USL è "una struttura dei Comuni singoli e associati e delle Comunità montane". Alcuni, l'ha detto poco fa Valeri, hanno ricercato analogie tra le UU.SS.LL. e le aziende statali autonome; altri, che seguono questa corrente, ritengono che siano più accostabili delle aziende municipalizzate; altri ancora, avvertono che l'organizzazione consortile, quale ad esempio avevamo in Piemonte con la l.r. n. 39, ben diversa dalle associazioni dei Comuni, qual è L'USL.
offriva più spazi di certezza giuridica e, non ultimo, elemento non trascurabile, consentiva a tutti i Comuni di essere rappresentati quanto meno nell'assemblea consortile.
Le riflessioni che sto esprimendo non possono essere ritenute estranee al discorso delle autonomie per le dimensioni di queste nuove realtà, per quanto gestiscono competenze, territorio, abitanti, personale e danaro.
Vi sono non pochi contrasti nella 833 e nella stessa emergente giurisprudenza; e se da un lato si nega la personalità giuridica alle UU.SS.LL., dall'altro si riconosce la loro legittimazione in una loro presenza come "contradditori" necessari nelle controversie riguardanti la sanità e oggi, con la nostra legge regionale n. 20, anche l'assistenza materie nelle quali le UU.SS.LL. agiscono, ponendo in essere atti e rapporti giuridici.
Per non dire che le contraddizioni intervengono poi, piuttosto robuste nelle legislazioni regionali; accettate, tollerate, subite, dallo Stato.
Non ripropongono il caso della nostra legge regionale n. 20 di riordino dei servizi socio-assistenziali, sulla quale si sta aprendo tutta una serie di contradditori e di confronti sul territorio e sulla quale cominciano a riversarsi le lacrime dei nostri Comuni e delle nostre USL.
Ma richiamo la l.r. n. 35, dell'aprile '80, della contigua Lombardia che corrisponde, di fatto, alla nostra l.r. n. 3, dell'80, della Regione Piemonte, istitutiva delle USL. Al titolo II, dell'art. 13: "Ordinamento dell'associazione dei Comuni", dice "l'associazione dei Comuni, di cui al precedente art. 6, costituita ai sensi dell'art. 25 del DPR 616, ha personalità giuridica di diritto pubblico" e, in altra parte stabilisce che in sede di liquidazione degli Enti ospedalieri questi riverseranno beni personale e patrimonio, in carico effettivo alle UU.SS.LL., alle quali una legge della Lombardia, vistata dal Governo centrale, riconosce, contro la stessa 833, la personalità giuridica di diritto pubblico.
Non c'è quindi da giurare sulla legittimità di questa norma; ma, per demolirla, occorrerà un pronunciamento della Corte Costituzionale, con quanto interviene tra l'uno e l'altro pronunciamento.
Non mi consta che tale "liberalità" nel controllo da parte dello Stato su leggi regionali sia stata estesa ad altre Regioni. Certo che la Lombardia, oggi, non ha i problemi che abbiamo noi in Piemonte, nei molti campi di vita delle USL. non ultimo, quello sui patrimoni, sulle capacità ad operare attorno agli stessi, in superamento di un complesso rapporto burocratico amministrativo coi Comuni titolari dei beni e dei patrimoni.
In un dibattito qual è l'odierno, con dei messaggi che dal Consiglio regionale del Piemonte vengono rivolti allo Stato, riterrei che un invito a rivedere la configurazione giuridica delle USL. un'armonizzazione delle linee di raccordo tra le stesse e gli Enti locali e delle Province, non sia vanificante o dispersivo nel più complesso discorso delle autonomie, anzi lo reputo decisamente necessario.
La seconda annotazione, l'ho già detto in premessa, attiene più che ad aspetti patriottici e di campanile, alla delega che ognuno di noi riceve dalla popolazione con la quale vive: pur non dimenticando, lo ripeto, che nel Consiglio regionale, ognuno di noi è espressione dell'intero Piemonte e non solo del Verbano-Cusio-Ossola, o del Novarese, dove io mi trovo a vivere.
Quindi trascuro, perché magistralmente trattata da altri, quella parte che richiama i principi e definisce e ipotizza le linee delle riforme. Mi innesto, anzi in concreto sulle conclusioni dei colleghi.
La discussione di oggi non può chiudersi con un richiamo generico ai principi, o con un voto o auspicio rivolto in questo caso al Parlamento.
Il Consiglio regionale, con ricchezza di documentazione della quale è stata investita la Giunta regionale non può che prendere atto delle precise istanze che sono nel Piemonte e avviarle verso sbocchi risolutivi, a partire da quelle, e lo sottolineo a tutte lettere, per le quali da tempo sono avviate e completate le procedure previste dall'art. 133 della Carta costituzionale, sollecitando altresì l'avvio delle procedure, laddove esistono altre istanze, altre animazioni e dove sono sorte delle attese.
Non possiamo ignorare che certi problemi esistono e sono maturi. Da noi lo stesso Partito comunista aveva proposto una raccolta di 50.000 firme per la Provincia del Nord Novarese, la cosiddetta "Provincia azzurra", a supporto autorevole delle intervenute deliberazioni dei Consigli comunali inoltre, aveva presentato al Parlamento una mozione in tal senso con ampi richiami alla situazione politico-economica del Verbano-Cusio-Ossola.
Sono state presentate proposte per Biella Provincia. Non fanno una grinza. Durante la prima legislatura regionale, ho avuto occasione di partecipare a Biella alla costituzione del primo circondario del Piemonte.
C'erano Oberto, Raschio, il Presidente Viglione ed altri colleghi; c'era ovviamente, Petrini e gli ottanta e più Sindaci che conferirono a Oberto le deliberazioni dei loro Comuni. Fu una seduta patriottica, che ricorder sempre; con una regia perfetta, per la verità non era solo regia, in quanto c'era anche molta spontaneità. Sono qui a ridire che Biella ha titolo visto da ogni angolazione critica, per essere Provincia, ha maturato diversi passaggi, diverse istanze: direi che ormai è un atto dovuto. Lo dico per convinzione ma anche per fugare ogni addebito di calcolo che viene rivolto al Novarese che, dalla nascita della nuova Provincia, sarà messo obbligatoriamente nella condizione di accogliere la naturale aggregazione della Val Sesia, in quanto la stessa rimarrebbe isolata dalle residue sopravvissute porzioni della Provincia di Vercelli. Guarda strano .., da secoli, la consolidata struttura dell'organizzazione ecclesiale vede legata la Valsesia al Novarese.
Penso che queste valutazioni, o almeno anche queste valutazioni abbiano sospinto l'Assessore valsesiano Testa a sottoscrivere la legge per la nuova Provincia di Biella.
Bisognerà pur ancor dire che il cosiddetto plafond (ricordato, mi sembra da Carazzoni e da Petrini), dei 250.000 abitanti, ipotizzato dal cosiddetto disegno di legge sulle autonomie e che non trova riscontro nelle precedenti bozze licenziate dal Senato, non deve sopravvivere nel testo definitivo; e su questo dovremo, come assemblea, sensibilizzare i parlamentari di tutte le parti politiche.
E' qui dove il legislatore batte la capoccia, contro il muro della generalità e della genericità, fatto di "standards" che non possono essere adattati meccanicamente a tutto il territorio nazionale, non tenendo conto dell'andamento geomorfologico, della distribuzione e della concentrazione della popolazione. Altrimenti, dovremo considerare uno dei più grossi errori storico-politici quello di aver promosso l'erezione in Regione del Molise distaccato dall'Abruzzo, con due Province, Isernia e Campobasso che, messe assieme, non raggiungono la dimensione di popolazione pari a quella di una nostra grossa provincia del Piemonte.
Perché non ricordare che la legge 833, del '78, quindi recente istitutiva del servizio sanitario nazionale, suggerisce le dimensioni delle popolazioni ricadenti nelle UU.SS.LL. (lo dico tra virgolette) di regola comprese fra i 50 mila ed i 200 mila abitanti, tenuto conto delle caratteristiche geomorfologiche e socio-economiche delle zone, consentendo limiti più elevati o, in casi particolari, più ristretti.
Nell'incontro, che l'Alto Novarese ha avuto il 12/3/82 con il Presidente Enrietti, noi scoprimmo un incoraggiamento aperto, il senso e il gusto di rivivere un problema, quasi che venisse consentito di gustare alle nostre terre, entro le quali i movimenti autonomistici o le spinte locali promuovono iniziative di autonomia, ma anche di sconfinamento verso la vicina Lombardia, il senso di una nuova paternità (o maternità che dir si voglia) visto che talvolta dicono da noi che la Regione è matrigna.
Ora, il nostro sentire è diverso.
Direi che c'é stato un processo di sterilizzazione nella Giunta regionale. La nostra gente è preoccupata, anche se talvolta la nostra voce per riproporre i problemi, per rivendicarne le soluzioni, appare più fioca più labile del solito; ed è perché, per la verità, la preoccupazione della sopravvivenza fisica (mai abbiamo conosciute nel Verbano-Cusio-Ossola ore così buie per l'occupazione) prevale su quella del cosiddetto assetto strutturale politico.
Il nostro del Verbano-Cusio-Ossola è un territorio vastissimo (quasi 4.000 km quadrati; a fronte di un asse stradale dell'attuale Provincia di circa 200 km dalla Svizzera alla Provincia di Pavia); ma non è questo il momento di illustrare meriti, titoli, reclamizzare il prodotto, riferirci ai 3 valichi alpini, alle attività, alla scienza, alle arti e ai mestieri.
Non intendiamo fare i primi della classe, in quanto sarebbe poco simpatico, oltretutto, nei riguardi dell'assemblea.
Comunque, sia chiaro, siamo almeno alla pari con gli altri: abbiamo quantomeno le stesse connotazioni, le stesse situazioni. Possiamo anche noi richiamarci a citazioni essenziali; anche noi, Presidente Viglione, siamo un popolo di guerrieri, di santi, di navigatori e se non navighiamo noi con i nostri tre laghi, non naviga più nessuno in Piemonte! Anche da noi, attraverso il Sempione, è calata in Italia la milizia di Napoleone, guidata dal fido Generale Bhetancourt. Doveva passarci anche Annibale con i suoi pachidermi, ma all'ultimo momento, le difficoltà del tracciato gli hanno suggerito di cambiare percorso (si sa che in Piemonte non avevano ancora visto la luce Nicolazzi e Cerutti, esperti in tracciati stradali).
E' precipitato il peruviano Chavez, nella prima trasvolata dalle Alpi.
C'è stato Garibaldi - e dove non è stato Garibaldi? - Rosmini e Manzoni erano di casa sul Lago Maggiore.
Quindi, pagine di storia, senso della storia. Abbiamo fatto della storia con la Repubblica dell'Ossola; questo lo dico con tanta serietà.
Repubblica precorritrice emblematica di un assetto organico per una ordinata gestione del territorio, un'isola di libertà, responsabile; quella responsabilità che consentì di stabilire un raccordo, subito dopo la guerra, e una collaborazione del Governo centrale. Venne a quei tempi, a Domodossola, il Ministro della Guerra Iacini, inviato straordinario di Roma, in condizionamento delle spinte autonomistiche che richiedevano sulla scia dell'entusiasmo creato dalla repubblica partigiana, la cosiddetta "zona franca".
C'é il senso di una dignitosa autonomia, che non può essere plafonato solo nella cifra dei 250 mila abitanti.
Signor Presidente, signori Consiglieri, queste cose io le dovevo dire guai se non le avessi dette, non per timore politico, ma per precisa presa di coscienza. Non turbano e non spiazzano altre istanze, almeno me lo auguro.
Se ciò fosse, chiedo venia. Le ritengo, però, per altri aspetti rafforzative di altre istanze; e lo saranno maggiormente se accompagnate da concrete proposte del Consiglio regionale e da precise scelte (anche se capisco che non è sempre facile compierle; talvolta si rischia l'impopolarità, si accontentano delle zone, scontentandone altre).
Colleghi della maggioranza, non vi dico con una frase cara a Carazzoni che: "non bisogna avere paura di aver coraggio". Stavolta, però dovete arrischiare, dovete scegliere.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Biazzi.



BIAZZI Guido

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, a me sembra che l'introduzione fatta dall'Assessore Ferrero a nome della Giunta, abbia offerto riferimenti e spunti importanti ad un dibattito, molto interessante ed articolato.
Ciò ci serve per fare il punto, una riflessione approfondita come usa dirsi, sulle autonomie e sull'esperienza peculiare che ha avuto il Piemonte in materia di assetti istituzionali e di rapporti tra Regione ed Enti locali negli ultimi anni.
Per il mio Gruppo sono già intervenuti in modo ampio ed esauriente i compagni Revelli e Valeri. Per quanto mi riguarda, farò solo alcune considerazioni limitate.
A me pare che, giustamente, il dibattito abbia posto l'accento su che cosa fare almeno fino al 1985, partendo dalla nostra esperienza, dalla realtà istituzionale cui abbiamo dato vita nella nostra Regione e che ha dimostrato di possedere una sua razionalità e validità.
Tutti siamo convinti che uno dei problemi che abbiamo di fronte è che cosa fare in attesa della riforma, che tarda ormai da decenni.
Dalla Giunta sono state fornite indicazioni importanti su come gestire questo passaggio dal vecchio al nuovo: un vecchio che vive ancora e un nuovo che non si sa quando prenderà corpo, ma di cui, comunque, già si incominciano ad intravvedere alcune strutture fondamentali, ad esempio per quanto riguarda il futuro Ente intermedio.
Il merito delle proposte fatte dalla Giunta, questa mattina, sta anche e soprattutto nell'indicare come si può cominciare a dare una risposta a un problema reale, dare cioè uno sbocco all'esigenza di un nuovo assetto del sistema delle autonomie piemontesi, problema con il quale dobbiamo fare i conti ogni giorno per le conseguenze anche operative ed organizzative che ne discendono.
Una proposta originale è quella, ad esempio, che riguarda l'assegnazione delle deleghe delle funzioni regionali, sforzandosi di renderla coerente ed aderente all'esercizio della delega stessa. E cioè la distinzione tra deleghe per funzioni che possono esserlo solo a livello sovracomunale.
Per queste ultime è interessante l'aver indicato un riferimento diverso da quello della sola Provincia, così com'è configurata nell'attuale quadro istituzionale, ma di recuperare anche altri ambiti, gli ambiti circondariali ad esempio, che possono avere un certo rilievo e svolgere un positivo ruolo nella situazione piemontese.
E' questa una chiara manifestazione di volontà, di non voler tornare indietro, di non ripescare sic et simpliciter la vecchia Provincia come se in questi anni non fosse successo nulla, non fossero invece state introdotte in Piemonte modifiche di rilievo con l'avvio dei Comprensori o dei Consorzi, tanto per fare solo alcuni esempi.
Le proposte costituiscono un'innovazione di non poco conto rispetto alla situazione attuale, spesso dominata da dispute un po' astratte e da una stasi sostanziale nell'opera di decentramento. Costituiscono un'innovazione anche rispetto alle stesse proposte di riforma giacenti in Parlamento, ed hanno il merito di indicare una strada, forse difficile ma certamente praticabile, che mi pare possa cominciare a dare risposte concrete a problemi ormai maturi.
Su questa via ci possiamo collegare alla nostra originale elaborazione che ci ha portato ad individuare autonomamente ambiti territoriali, le cosiddette aree ecologiche, ritenute valide per la gestione programmata dell'economia e delle varie funzioni burocratiche e amministrative rovesciando la tendenza spesso predominante nel nostro Paese, di fissare prima il numero e la collocazione degli Enti (del resto presente anche nel progetto governativo laddove si prevede il parametro dei 250 mila abitanti per l'individuazione delle nuove Province) e poi di adattare a questa individuazione astratta gli ambiti territoriali in cui gli Enti stessi sono poi chiamati ad operare.
Concretamente si comincia, inoltre, a dare una risposta, anche se parziale a una delle questioni di fondo per il futuro del sistema delle autonomie, presente in tutte le proposte di riforma e che concerne la configurazione del nuovo Ente intermedio, fondamentale per l'attività della Regione.
Pur nella diversità di posizioni, mi sembra esista un denominatore comune tra le varie proposte in materia: tutte concordano nel configurare questo Ente intermedio o Nuova Provincia, come Ente essenzialmente di programmazione, con limitate attività gestionali di funzioni che non possono essere gestite a livello comunale o infra-provinciale. E queste indicazioni di fondo non contrastano con le scelte operative che noi possiamo fare, delineando con la pratica le funzioni del futuro Ente partendo, dalle necessità della programmazione nei nostri territori.
Scegliere quindi ambiti circondariali ai fini dell'attribuzione delle deleghe di funzioni amministrative, già ritenuti i più adeguati ai fini di un intervento programmatorio sul territorio, difficilmente sarà in contrasto con la configurazione che avrà il futuro Ente intermedio, e ci consente già ora di ricominciare ad agire sul terreno della riforma fornendo al tempo stesso un contributo originale al complessivo disegno di rinnovamento.
Per quanto riguarda più nello specifico l'individuazione dei futuri Enti intermedi nella nostra Regione, sappiamo che sono diverse le realtà che potranno in futuro assurgere al ruolo di Provincia, anche se nessuno è attualmente in grado di prevedere esattamente quante. Del resto gli stessi progetti di legge, quello governativo o quello già esaminato dalla competente Commissione del Senato, variano notevolmente su questo punto.
Basti ricordare il limite minimo di popolazione per costituire una nuova provincia: 200 mila abitanti nel testo licenziato dalla Commissione senatoriale; 250 mila nel successivo disegno di legge governativo. C'è solo da osservare che entrambi i parametri sono astratti e probabilmente sottendono una sostanziale sfiducia nel senso di responsabilità delle popolazioni e degli Enti locali.
E' fuori dubbio che esiste la necessità di contenere la proliferazione delle nuove Province, ma va messo in evidenza il fatto che siamo, forse, la Regione che ha il numero minore di Province in relazione sia al territorio che alla popolazione. A fronte delle sei Province piemontesi ce ne sono otto in Emilia, nove in Toscana e Lombardia o Sicilia, per fare alcuni esempi con realtà confrontabili con la. nostra.
Da qui la necessità di articolare il sistema delle autonomie piemontesi su un numero di Enti intermedi sufficienti a dare risposte adeguate alle esigenze della società moderna e del governo dell'economia.
All'interno della problematica generale emergono, però, alcune realtà in cui l'esigenza di avere una nuova Provincia si è già tradotta in atti specifici.
Il dibattito ne ha già enucleato alcune, il Verbano-Cusio-Ossola, il Biellese, il Casalese e la zona di Alba-Bra, in Provincia di Cuneo; e questi sono già dei punti fermi. Inoltre a me sembra che, sia dal punto di vista formale che da quello sostanziale, tra queste quattro zone occorre fare un'ulteriore distinzione. Se è vero che le quattro zone indicate hanno motivazioni proprie per rivendicare l'istituzione della Provincia, è anche vero che Biella ed il Verbano-Cusio-Ossola si staccano dalle altre sia per le ampie ragioni di carattere geografico, economico-sociale che per lo stato cui è giunto l'iter per l'istituzione della Provincia.
E' stata qui ricordata dal Consigliere Beltrami l'iniziativa portata avanti dal Partito comunista nel Verbano-Cusio-Ossola, con la raccolta, tra l'altro, di migliaia di firme, che ha portato poi al pronunciamento dei Consigli comunali dell'intera zona, che hanno approvato le delibere di cui si rivendica l'Ente intermedio nel quadro della riforma delle autonomie.
Esiste inoltre una mozione in Parlamento, presentata dal nostro Gruppo della Camera, primo firmatario il compagno Gian Carlo Pajetta, in cui tra i provvedimenti che si chiedono per affrontare la grave crisi del Verbano Cusio-Ossola figura anche l'istituzione della nuova Provincia quale strumento di governo dell'economia.
Iniziative analoghe sono state esperite nel Biellese, cui si è aggiunta una proposta di legge in Consiglio regionale per proporre al Parlamento l'istituzione della Provincia di Biella. A me sembra che, sostanzialmente le due realtà abbiano proceduto e debbano procedere di pari passo.
Questo anche tenendo conto del dettato costituzionale che prevede all'art. 133, l'iniziativa per l'istituzione di nuove circoscrizioni provinciali in capo ai Comuni, sentito il parere della Regione.
Sia nel Verbano-Cusio-Ossola che nel Biellese la volontà dei Comuni (e delle popolazioni) si è chiaramente espressa attraverso delibere consiliari. C'é da aggiungere che è opportuno che la Regione esprima ora il proprio parere.
Il tenere in particolare considerazione le due zone non penso possa essere configurato come una discriminazione verso le altre realtà. Per il Verbano-Cusio-Ossola e per il Biellese un iter è stato già avviato. Dopo le decisioni dei Consigli comunali le loro rappresentanze hanno avuto incontri con gli organi istituzionali della nostra Regione. Esse sono state ricevute dalla Giunta regionale, con la presenza dei Gruppi consiliari sottolineando e riconoscendo indirettamente la peculiarità della loro situazione.
Prendere in considerazione le esigenze del Verbano-Cusio-Ossola e di Biella non significa certo misconoscere quelle del Casalese o di Alba-Bra che se stanno maturando, tuttavia non hanno ancora trovato un'espressione precisa da parte degli organismi che rappresentano quelle popolazioni.
Vi è infine da rilevare, e sarebbe ipocrita non farlo, che difficilmente ci saranno riforma e nuove Province entro il 1983 o il 1984 con o senza le elezioni anticipate.
Ciononostante il discutere di questi problemi, l'avanzare proposte e fornire indicazioni è in ogni caso un modo per contribuire a quella riforma che tutti noi vorremmo cominciasse a prendere corpo.
Le proposte della Giunta e gli interventi dei vari Gruppi sono contributi significativi ed inviti per marciare con speditezza in quella direzione. Dopo il dibattito si dovrà cominciare a mettere dei punti fermi indicare le tappe che permettano di ottenere risultati concreti entro breve tempo.
E' stato proposto l'incontro del nostro Consiglio con la Commissione parlamentare che sta esaminando le proposte di riforma. Certamente quella è la sede naturale dove fornire il nostro contributo alla formulazione della riforma e sollecitare nel medesimo tempo l'attuazione della riforma stessa.
E' utile però, che il Consiglio si doti di uno strumento tecnico politico, nel senso indicato dal collega Genovese, che faciliti l'elaborazione organica delle proposte da formulare in quell'incontro e che si incarichi di raccordare le indicazioni e le proposte emerse nel dibattito.
Su questi temi è ancora scarsa la sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Arrivare a coinvolgere sui problemi delle autonomie tutti gli Enti locali della nostra Regione per sfociare, come proposto nella nostra mozione e ripreso dal collega Revelli, in un'assemblea generale delle autonomie piemontesi quale momento conclusivo del dibattito e dell'elaborazione mi sembra che sia un obiettivo che esce confermato dalla nostra discussione.
In questo modo, partendo da una verifica collettiva della nostra esperienza, adattando ed innovando, ove necessario, i nostri istituti potremo dare il nostro contributo alla riforma delle autonomie sulla base di una elaborazione che ha ancora qualcosa da dire, mi sembra, e da proporre in modo originale al dibattito in corso nel Parlamento e nel Paese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, signor Presidente, non intendo esprimermi in lunghissime dissertazioni in quanto già altri hanno trattato il problema delle autonomie locali in modo diffuso, dando anche tono al dibattito.
Vorrei soltanto esprimere alcune osservazioni e puntualizzazioni che nascono soprattutto da una lunga battaglia dei nostro Partito, per le autonomie locali e dallo sforzo che si è compiuto fino ad ora, anche perch la parentesi del periodo fascista aveva impedito ogni sviluppo delle autonomie locali.
Se la domanda del Paese fosse rimasta ferma ai primi del secolo, o anche nel periodo dagli anni '20 ai '40, se avessimo avuto una situazione delle autonomie locali impostata e in crescita come oggi, questa domanda sarebbe già stata soddisfatta. Cioè: noi, come hanno detto anche Genovese ed altri, partiamo però in una situazione diversa, di una domanda sempre più crescente da parte della comunità e quindi, gli strumenti che noi chiediamo, devono essere adeguati a questa nuova domanda, cogliere l'aspetto, come diceva anche Revelli, di una soluzione sempre più moderna del processo delle autonomie locali.
Non si può rimanere impassibili di fronte a una domanda che cresce inserita in una situazione generale del Paese che è in movimento. Tuttavia noi non partiamo da zero; non possiamo dire che le autonomie locali non hanno mai avuto nulla, negli ultimi 35 anni, che nulla si è creato e che vi è soltanto una generale insoddisfazione. L'avvento delle Regioni nel 1970 ed alcuni momenti di nuove legislazioni in ordine alle autonomie locali danno già un quadro, se non del tutto positivo, di avvio generale della riforma delle autonomie nel nostro Paese.
Ma vedete, al di là dei sogni che a volte possono trasparire da qualche intervento, occorre che noi ci muoviamo dalla realtà, che è l'unica che noi conosciamo e che è quella costituzionale. Se non si prende come base la realtà costituzionale, è molto probabile commettere degli errori; come ad esempio vagheggiare situazioni in contrasto con le istituzioni che il costituente ci ha dato. Noi ipotizziamo, (e forse sotto questo aspetto siamo ambiziosi sognatori di nuove istituzioni che meglio rispondano ai bisogni del Paese), non tenendo presente che, o si cambia la Costituzione oppure le cose rimangono esattamente come sono.
Il tentativo della formazione dei Comprensori da parte delle Regioni, è parzialmente fallito, non tanto perché i Comprensori non fossero adeguati a una realtà emergente, ma perché i Comprensori non ebbero alle spalle alcun ordinamento giuridico a dar loro forza; per cui furono ricondotti, in Lombardia in un certo modo, in altro modo in Emilia Romagna, e in altro modo ancora in Piemonte.
Proprio perché, senza un ordinamento base, costituzionale, dettato da una legge-quadro che traesse fondamento dalla Costituzione, i Comprensori evidentemente, non potevano avere e non potevano coltivare questo disegno e questo loro disegno andava perduto. Ma non perché i Comprensori non fossero una realtà evidente e necessaria nel nostro Paese. Di conseguenza non vorrei pormi al di fuori di quelli che sono i momenti costituzionali, i quali precisano che la Repubblica si riparte in Regioni, in Province e in Comuni.
Detto questo, bisognerà che noi ci si ponga nell'ambito della Regione della Provincia e del Comune. A meno che ci si voglia riferire a sedicenti esperti che vengano a dirci che questo è costituzionale e quest'altro non lo é; e poi, in altro convegno, diranno il contrario.
Come quando, tra il 1975 ed il '76, tutti insieme ritenemmo che la Provincia doveva essere soppressa; e in Parlamento, non trovammo una forza disponibile a dare il proprio appoggio alla modificazione della Provincia alla sostituzione con altro Ente. E quali sono le forze che avrebbero dato questo appoggio? Andiamole a cercare: perché le forze che oggi hanno espresso le loro opinioni, ci devono dire che hanno fatto nel '75/76 allorché si prospettava questa soluzione. Diciamolo con tutta franchezza amici democristiani, voi siete stati contro la soppressione della Provincia, avete dichiarato che la Provincia non sarebbe stata toccata. E come poteva essere riformata con il piccolo bigliettino che scrisse allora durante il Governo di solidarietà nazionale l'on. Andreotti, per cui l'Ente intermedio sarebbe stato uno e uno solo? In seguito non ci fu più nessuna volontà, né della DC, né di altri Partiti, a modificare l'ordinamento costituzionale che avrebbe permesso all'Ente intermedio di essere uno solo ma tradotto nell'attuale realtà di Provincia-Comprensorio.
Le Province non hanno alcuna capacità di essere organi di programmazione o di pianificazione territoriale o, comunque, di intervento sul territorio; il Comprensorio non ha un ordinamento alle spalle tale da dargli forza o da poterlo fare operare in un quadro giuridico che sia corretto; e noi ci troviamo in questa situazione a vagheggiare modelli puramente di sogno.
Rendiamoci conto che noi parliamo di "Province-Comprensorio" non potendo dire "Provincia". Lo stesso disegno di legge Rognoni dà alle Province momenti di programmazione, di pianificazione, certo; ma non parla di Provincia-Comprensorio; quindi, le ignora, e non vi è un disegno di legge che oggi, in Parlamento, porti avanti l'ipotesi comprensoriale, e così viene avanti tutta un'altra serie di interventi territoriali che noi non possiamo ignorare: ecco Beltrami che ha lanciato, anche riferendosi a momenti di storia importante, l'ipotesi del Cusio- Ossola - Verbano; ecco Petrini che ha fatto la sua ipotesi per Biella. D'altronde, anch'io ho aderito alla costituzione della provincia di Biella, perché qui, non c'è dubbio, esiste una realtà socio-economica. Come esiste una realtà socio economica per Alba. Ma dovrebbero essere realtà non tanto da Provincia cioè per avere un Prefetto o un Questore; dovrebbero essere realtà da avere un Governo, da essere cioè decentrate in un'ipotesi di Governo che una realtà socio-economica omogenea dovrebbe esprimere partendo dal basso; dal meglio delle capacità che le popolazioni hanno espresso durante i decenni che sanno alle loro spalle e che possono portare avanti ancora domani. Per queste ragioni quelle istanze sono assolutamente giuste. Ma allora, per queste istanze bisognerà pure che noi modifichiamo qualche cosa, se vogliamo dar loro una base di realtà.
La creazione di nuove Province prevede oggi, seconde, la legge esistete, Unta un'impalcatura particolare. Isernia fu creata Provincia perché a quella città ed a quella Regione si voleva dare un'iniezione di fiducia, di momento economico, di sviluppo. Ebbene, Isernia ebbe l'unico vantaggio di passare da 10 a 20 mila abitanti; di avere dieci uffici statali; di avere 100 carabinieri se ben ricordo, oltre a 270 agenti circa in Questura; di avere L'INPS e L'INAIL.
A Catanzaro mi dicevano che di uffici pubblici non ne manca nemmeno uno. Ma se lo scopo di creare una Provincia in zone depresse, è quello di dargli mille funzionari, o quello di far passare Isernia dai 10 mila abitanti, a 20 mila creando un palazzo della Prefettura e della Questura, e dando il senso dello Stato attraverso un edificio o un funzionario pubblico che sia di raccordo con l'autorità centrale, questa non è l'autonomia che noi intendiamo venga portata avanti nel nostro Paese. Su tutta questa faccenda, sono sostanzialmente molto pessimista. In definitiva, vorrei piuttosto procedere con la politica dei piccoli passi, piuttosto che formulare quei grandi disegni che poi non lasciano mai un risultato.
Io sono, come tutti sanno, per la politica dei piccoli passi. E i piccoli passi bisogna farli nell'ordinamento che la Costituzione, oggi, ci offre; e l'ordinamento è solo quello - delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Tutto il resto sarà bellissimo, sarà un desiderio che noi tutti portiamo avanti nella speranza di un'azione riformatrice penetrante, ma non avrà mai nessun risultato positivo, visto che non vi è, nel Parlamento italiano, una forza disponibile ad allearsi ad un'altra e formare una maggioranza che sia qualificata per modificare anche un solo articolo della Costituzione italiana. Possiamo al massimo discutere se, in effetti possiamo riuscire a salvaguardare quel patrimonio che abbiamo costituito in Piemonte con i Comprensori: un patrimonio importante. Nei decenni che verranno, capiremo quanto sia stato importante il momento comprensoriale. E possiamo dire che si sono create delle realtà indistruttibili, come quelle dei Comprensori, perché hanno agito da raccordo generale in una società ed hanno creato un momento di programmazione e di pianificazione territoriale di conoscenza del territorio, che altrimenti non si sarebbe mai avuto.
Chiunque abbia conosciuto i Comprensori, con le loro carenze, le loro manchevolezze, dovrà pur riconoscere che, quanto meno, hanno portato avanti degli schemi dei piani socio-economici comprensoriali e hanno evidenziato realtà che erano prima sconosciute; i Comuni si sono già consorziati e pertanto, evidentemente, vi è stato un grosso passo avanti anche di livello culturale. Ma ciò che è oggi soprattutto importante discutere è la sorte dei piccoli Comuni, sotto una duplice visione; una di stampo francese, dice che non bisogna assolutamente raggrupparli; neanche un Comune di 50 abitanti (Mitterand è Sindaco di un Paese di 50 abitanti). Ogni Comune, per quanto piccolo, ha una propria storia, una tradizione: un momento significativo di raccordo per le popolazioni.
L'atra realtà, di stampo tedesco, è il modello della riunificazione dei Comuni, passando per esempio (mi diceva un Presidente di Land) da 1.450 Comuni a 600 Comuni; quindi un terzo però, sollevando problemi che non sono di piccola portata.
Il disegno di legge Rognoni, si muove su quest'ultimo modello: prevede la possibilità di un'associazione fra i Comuni e naturalmente, che questa sia riportata negli anni e nel tempo.
Ma in fondo non è di questo che si tratta; perché l'associazione o il Consorzio (come è già stato detto) è previsto anche da altre leggi; leggi che prevedono la riforma sanitaria, leggi che prevedono il consorziamento dei Comuni in modo obbligatorio. Si tratta piuttosto di vedere se noi salvaguardiamo quella che è l'impostazione comunale, cioè l'Italia come Paese dei Comuni. Oppure, se noi raggruppiamo i Comuni per formare una media di 3.000 abitanti, che sarebbe un livello sostenibile anche da un punto di vista di intervento tecnico, di sostegno associativo. E' questo un discorso che noi oggi possiamo affrontare.
L'altro discorso da affrontare, che è stato già trattato un po' da tutti, da Genovese in particolare, riguarda le aree metropolitane. Quale è il significato ultimo del movimento all'interno del nostro Paese? E' la costituzione di poli e aree metropolitane; polo di Milano prima, polo di Torino subito dopo, poi polo di Napoli, di Bari e tutti gli altri poli che si sono costituiti nel nostro Paese e che hanno una realtà certamente diversa da quella che può essere l'impostazione anche soltanto di 30 o di 40 anni fa: umana, territoriale, sociale. Sotto questo aspetto, noi diciamo che è difficile pervenire alla Provincia metropolitana; il disegno di legge, sotto questo aspetto, a mio giudizio, è criticabile.
Perché costituire una Provincia metropolitana per poi frazionarla in tanti Comuni; significa non superare il modello di un frazionamento di un territorio che si è venuto componendo attraverso l'agglomerato urbano, e che oggi si vorrebbe soltanto fittiziamente come Provincia metropolitana lasciando poi intatta tutta la realtà, che attualmente esiste, e che è poi la realtà del frazionamento dell'area urbana.
Concordo piuttosto con una delle ipotesi che ha formulato Genovese, che sarebbe esattamente quella inversa: cioè, invece di formare la Provincia metropolitana, il Comune metropolitano, un modello ripartito piuttosto per circoscrizioni, cosa possibile, giuridicamente superabile, e garantire una identità formatasi con il tempo e attraverso le circoscrizioni avere dei risultati anche maggiori dal punto di vista democratico.
Vi fu il tentativo di Milano, il primo tentativo, attraverso il piano intercomunale. Il piano intercomunale milanese, di decenni addietro, fu il primo tentativo di raggiungere un risultato in una politica di gestione del territorio sotto l'intervento di quello che venne chiamato il piano intercomunale dell'area milanese. Da questa esperienza, noi dobbiamo ricavare il fatto dell'unità della gestione, del territorio metropolitano piuttosto che dello spezzettamento fittizio dell'area metropolitana quindi, su questa fattispecie, concorderei con Genovese. Questi due problemi, unitamente a quello dell'Ente intermedio, che io però non posso pensare possa essere superabile diversamente se non tenendo conto che la Provincia esiste e quindi va comunque utilizzata in questa direzione,atteso che oggi di competenze vere e proprie non ne ha quasi più: gestisce ormai qualche strada: la sanità le ha portato via la psichiatria, l'assistenza è passata ai Comuni; e non parlo dell'agricoltura e dell'artigianato! Sostanzialmente, la Provincia è una scatola vuota; ma costituzionalmente esiste, ha un patrimonio umano costituito attraverso lunghissimi decenni di grande valore e di grande importanza; e potrebbe quindi essere utilizzata in un'ipotesi comprensoriale che tenesse conto dei risultati da noi raggiunti, in Piemonte, negli ultimi cinque o sei anni di attività dei Comprensori.
Queste potrebbero essere non più ipotesi da sogno, ma di realtà; non si tratta più di ipotesi non verificabili costituzionalmente, per cui non vorremmo determinare situazioni territoriali ed istituzionali non previste dai nostri ordinamenti costituzionali. Le ipotesi che noi formuliamo, sono invece dentro la Costituzione, non rischiano di finire davanti alla Corte Costituzionale, che dovrebbe indagare e giudicare se sono o non sono costituzionali. E questa è anche la politica dei piccoli passi.
In ultimo, vi è il problema del rapporto finanziario, cioè della riforma veramente finanziaria per gli Enti locali.
Se non si restituisce all'Ente locale la capacità impositiva, cioè di imporre, di determinare sul proprio territorio, momenti di - percezione, di imposta o di tassa, evidentemente tutto è derivato, tutto è finalizzato non si potrà in alcun modo procedere a determinazioni dal basso, ma solo attraverso la finalizzazione della spesa; e sarà sempre il Governo o il Parlamento che determineranno, senza aver consultato la periferia, gli Enti locali; e tutto ricadrà sugli Enti locali come tutto sta cadendo sulla Regione: sulla Regione cade la sanità, sulla Regione cadono i momenti edilizi, sulla Regione cadono tutti gli altri momenti d'intervento assegnati con leggi statali; mentre la riserva di autonomia, sia delle Regioni che delle Province e dei Comuni, diventa sempre più ristretta.
In quella direzione, il nostro Gruppo è disponibile a formulare delle proposte. Ma vorrei ancora che queste proposte fossero dei piccoli passi sempre riferendomi ad un dirigente cinese che affermò conchiusa la rivoluzione culturale che aveva distrutto il Paese e che era l'ora dei piccoli passi.
Così è anche da noi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrero, per la replica.



FERRERO Giovanni, Assessore agli Enti locali e decentramento

Brevi precisazioni da parte della Giunta sono opportune alla luce del contributo, molto ricco ed approfondito, apportato dagli interventi nel dibattito odierno. Dibattito che, al di là dell'iniziativa della Giunta regionale, dovrà risolversi nella definizione, in sede di Consiglio, di ordini del giorno e di proposte che si può presumere saranno presentati nelle prossime sedute.
Questi brevi spunti non intendono costituire in nessun modo una conclusione, perché alla conclusione del dibattito solo il Consiglio potrà pervenire. E, doverosamente, mi scuso anche per il fatto che non potrò qui citare tutti gli interventi e, soprattutto, le considerazioni molto ricche che sono state svolte.
Forse è opportuno che quando il dibattito e le votazioni saranno concluse, si proceda a una pubblicazione del verbale con la necessaria ripulitura anche formale degli interventi, perché mi sembra che una riflessione, più attenta di quella che si può fare a caldo, sul complesso degli interventi, sia di interesse non soltanto per i Consiglieri, ma per il complesso della comunità regionale.
Certo è che gli interventi a nome dei Gruppi: di Revelli, di Genovese e della signora Vetrino, di Bastianini, di Beltrami, di Viglione, di Valeri di Biazzi, di Petrini, di Carazzoni e mi scuso di non elencarli tutti, per difetto di memoria; questo complesso di interventi, costituisce una base di riflessione di grande interesse perché non parte da una operazione chiusa interna, o di ingegneria istituzionale o dalla autodifesa del ruolo di un Ente, ma nasce da un tentativo di interpretare le aspirazioni generali della società e di riflettere, sulla tematica degli Enti locali, in un modo necessariamente complesso e anche tecnicamente strumentato; ma certamente non tecnicistico e non fine a sé stesso.
Certamente, ci troviamo in una situazione complessa. Complessa anche perché forse, non si sono introdotte per tempo quelle semplificazioni istituzionali (ma questo non compete a noi, se mai è una riflessione sugli anni passati) che, quando non vengono introdotte con mano sufficientemente accorta ed intelligente e nei tempi opportuni, possono poi determinare fenomeni incontrollati di collasso, semplificazioni necessarie per la società che tende a liberarsi dagli impacci in cui viene costretta. Mi pare, quindi, che il punto fondamentale che il dibattito riconferma, sia la serena disponibilità ad affrontare un paio di anni di transizione; dico questo riprendendo i temi del mio intervento e di tutti gli altri, senza dare al termine "transizione" nessuna caratterizzazione riduttiva; anzi sapendo che in questa transizione, stante, anche la situazione di difficoltà economica e l'intrecciarsi di fatti economico-sociali con quelli istituzionali, non può che essere una transizione contenente contemporaneamente un'ipotesi di grande proposta per l'economia, per il rilancio economico e, nel contempo, per la riforma istituzionale.
Si può dunque parlare di anni di transizione senza dare all'espressione alcun significato di traumatica rottura con il passato. In questo senso ho apprezzato l'impostazione e l'eleganza, non solo formale, ma anche sostanziale, del discorso del Consigliere Bastianini. Ho qualche dubbio che si possa cancellare, con un atto amministrativo o legislativo, quello che è un concreto muoversi delle nostre Amministrazioni; mi sembra, per contro che questi due anni di transizione comportino la piena consapevolezza di ribadire l'importanza ed il significato dell'esperienza comprensoriale, che si debba lavorare per programmi che abbiano obiettivi e sbocchi definiti e che questo sia il modo corretto per affrontare e valorizzare, come diceva anche Viglione, una parte della nostra storia che non può essere eliminata.
Mi sembra opportuna anche una particolare attenzione per individuare meglio tutte quelle convergenze reali emerse dai diversi interventi nel dibattito; su vari temi, su certe ipotesi di soluzioni. Vi è stata sovrapposizione di contenuti più che convergenza e questa è la garanzia migliore per giungere a delle soluzioni. In questi casi, il momento di maggior difficoltà è quello della ricerca dei nodi da sciogliere: e quando questi siano individuati, come è già accaduto in passato, anche in questa occasione troveremo corrette e concrete soluzioni.
Ovviamente, l'intento della Giunta regionale dovrà essere rivolto a definire una generalizzazione delle prime proposte di legge presentate, e questo ritengo possa avvenire nel primo scorcio del 1983. In Commissione potranno quindi procedere la discussione e l'esame delle materie fin qui sottoposte a quel consenso ed anche delle questioni, apparentemente più minute rispetto ai grandi disegni che abbiamo oggi avanzato, ma non per questo, meno importanti. E' sulle cose più minute, infatti, che si misurerà la coerenza dell'impianto generale. Voglio solo citare, a titolo di esempio, giacché non ne ho parlato prima (e mi pare che altri Consiglieri non lo abbiano rilevato) che bisognerà esaminare i regolamenti dei Comitati comprensoriali e formulare proposte di revisione degli stessi, non sul presupposto dell'inutilità della revisione legata alla soppressione dei Comprensori, ma con attenzione rispetto a quell'attività più complessa di rapporto con le Amministrazioni provinciali, e di delega, per risolvere le questioni di supporto, anche finanziario, al funzionamento dei diversi istituti e dei diversi ordini di soggetti. Penso anche, ad esempio, alle trasferte e alle indennità degli Amministratori comprensoriali da tempo inevase.
Sembra anche a me opportuna e da incoraggiarsi la proposta, da tempo avanzata, di un incontro tra la Regione, le Province ed i Comuni. Non possiamo sfuggire ad un incontro e ad un confronto diretto con le singole Amministrazioni comunali, provinciali, delle Comunità montane; non possiamo ritenere che la complessità del processo che abbiamo di fronte, sia riassumibile all'interno delle componenti, per quanto autorevoli e rappresentative, di questo Consiglio.
Molti altri punti andrebbero affrontati, ma mi limiterò solo ad esprimere una sollecitazione intorno ai problemi della legge finanziaria.
Certo, a termine; certo, con i problemi fondamentali della capacità di imposizione autonoma; certo, connessa a tutte le questioni dei controlli ma non c'é dubbio che la questione delle partite finanziarie all'interno del bilancio dello Stato, e delle autonomie locali, è un tema forse troppo sovente considerato quasi distinto dalla discussione istituzionale. Invece ritengo non lo sia, perché i flussi finanziari sono sovente il reale indicatore delle scelte, delle priorità e delle volontà. Non lo sono compiutamente perché non indicative della qualità dell'intervento, che non può essere riassunta solo nell'ammontare dei flussi finanziari, ma costituire una delle funzioni prioritarie della politica. Ma nel rapporto tra le diverse fonti di entrata e di uscita all'interno della pubblica amministrazione, come in qualunque azienda organizzata in modo moderno, si rinviene certamente un riscontro fondamentale.
Credo che noi non potremo avere mai una programmazione efficace se alle relazioni programmatiche, agli indirizzi ed ai piani, non siamo in grado di fare corrispondere, con sufficiente trasparenza e con sufficiente leggibilità, quali siano le risorse che verranno impegnate per realizzare e strumentare i piani stessi.
Molte altre cose andrebbero dette. Ma sono certo che ci saranno sedi e momenti in cui continuare, con lo stesso spirito e nello stesso sforzo anche originale e creativo di oggi, il dibattito che, non incomincia oggi in quanto già in altri momenti si è svolto, ma che ha avuto sicuramente un momento particolarmente alto e significativo.



PRESIDENTE

Colleghi, abbiamo concluso un dibattito che segna un momento importante nella vita dell'assemblea regionale: per la ricchezza dei contributi che sono venuti dalla Giunta e dai Consiglieri, per le proposte formulate, i problemi posti, per le grandi linee che sono state tracciate e l'approfondimento su aspetti particolari e di non semplice soluzione.
Vorrei sottolineare brevemente il valore complessivo del contributo che viene dall'assemblea, tanto più significativo in un momento difficile della vita delle autonomie locali, una fase di stanza - è stato detto - forse non tanto sotto il profilo dell'elaborazione teorica, quanto come elemento politico generale di confronto e di tensione riformatrice. Una fase, anche di oscuramento del ruolo delle Regioni: è quindi importante che in un momento come questo, in tema di riforma dell'ordinamento, le Regioni esprimano le loro posizioni. L'intero sistema delle autonomie vive una stagione profondamente incerta, in attesa, di un.ridisegno riformatore e sembra sempre più forzato a ricercare un proprio potenziamento, come del resto ha sottolineato il Consigliere Bastianini, più in forza di una logica di amministrazione che di governo.
Altra questione indicata come elemento caratterizzante di questa fase di difficoltà, è il quadro estremamente critico della finanza locale.
Dunque credo che dovremo, dopo un momento di riflessione così lucido assumere degli adempimenti. E' stato detto dal Consigliere Biazzi: cerchiamo punti fermi: e il Consigliere Viglione ha ammonito: piccoli passi, ma passi concreti.
Accogliendo i vari suggerimenti, posso intanto dire che l'Ufficio di Presidenza si assumerà il compito di pubblicare gli atti del dibattito: per una diffusione ampia nella comunità a livello delle Amministrazioni locali e quale contributo per il proseguimento del dibattito, anche in altre sedi e in altre Regioni. E' stato detto che è necessario formulare richieste al Parlamento non in termini rivendicativi - antagonistici, ma in termini costruttivi; mi pare ci siano le condizioni per predisporre un documento che sia di base ad un incontro, non solo opportuno ma necessario, con la Commissione parlamentare competente.
Altra cosa che va ripresa come ipotesi di lavoro è la proposta del Consigliere Genovese di una sede tecnico-politica permanente, nel Consiglio, per un confronto concreto, che assuma le istanze della comunità regionale.
Infine, va sottolineato ancora un elemento che proviene dalla mozione presentata dal Gruppo comunista, e ripresa in vari interventi, di un ampio confronto generale, una sorta di "Stati generali delle autonomie" che consenta di delineare un solido, concreto e realizzabile profilo di riforma.
Tutti questi temi, dopo un dibattito così franco, aperto, con molti punti di contatto, saranno espressi nel documento che verrà preparato dalla conferenza dei Capigruppo e che dovrà essere votato in una prossima seduta.
Da qui prenderanno l'avvio altre iniziative che consentiranno all'Assemblea regionale di approfondire il proprio contributo al tema della riforma delle autonomie locali. Ma intanto, colleghi, non credo possiamo finire qui i nostri lavori: ci sono due o tre punti all'o.d.g. che non richiederanno molto tempo e che si possono senz'altro risolvere.


Argomento: Comunita' montane

Esame p.d.l. n. 274: "Modifica all'art. 1 l.r. 11/8/73, n. 17: Delimitazione delle zone montane omogenee. Costituzione e funzionamento delle Comunità montane"


PRESIDENTE

Passiamo al punto quinto all'o.d.g. che reca: Esame p.d.l. n. 274: "Modifica all'art. 1 l.r. 11/8/73, n. 17: 'Delimitazione delle zone montane omogenee. Costituzione e funzionamento delle Comunità montane'".
Relatore è il Consigliere Valeri. Il testo è stato approvato all'unanimità in I Commissione.
Credo si possa dare per letta la relazione, che consiste poi in sette righe. Se lo ritenete possibile, passiamo alla votazione del relativo articolato, sempre che non vi siano interventi su questo disegno di legge.
Art. unico "L'art. 1, primo comma, punto 2) della l.r. 11/8/73, n. 17, è modificato come segue: la dizione '2) Comuni della Valle Borbera' è sostituita dalla dizione '2) Comuni della Valle Borbera e Valle Spinti".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 37 hanno risposto SI 37 Consiglieri L'articolo unico è approvato.


Argomento: Parchi e riserve

Esame deliberazione Giunta regionale: "Acquisto di terreno nella riserva naturale della Garzaia di Valenza. Area classificata Riserva naturale integrale. Spesa di L. 68.265.000"


PRESIDENTE

Il punto sesto all'o.d.g. reca: esame deliberazione Giunta regionale: "Acquisto di terreno nella riserva naturale della Garzaia di Valenza. Area classificata Riserva naturale integrale. Spesa di L. 68.265.000" Il testo è stato approvato all'unanimità dalla II Commissione, e recita: "Il Consiglio regionale vista la 1.r. 28/8/79 n. 51 'Istituzione della riserva naturale della Carraia di Valenza' visto in particolare l'art. 2, secondo comma, della legge sopra citata che stabilisce che l'area classificata quale 'Riserva naturale integrale in ragione, dell'eccezionale presenza di nidificazioni di ardeidi e della tutela integrale dell'ambiente palustre, è preordinata all'espropriazione o all'acquisizione od all'affitto vista la l.r. 17/8/77 n. 42 'Interventi per la tabellazione, la conservazione, la valorizzazione, l'acquisizione e l'affitto delle aree incluse nel piano regionale dei parchi e delle riserve naturali, ed in particolare l'art. 1 della legge medesima visto altresì l'art. 15 della citata legge regionale 51/79, che stabilisce che agli oneri per l'espropriazione, l'acquisizione o l'affitto di cui sopra si provvede con lo stanziamento previsto dalla legge 17/8/77 n. 42 visto il piano naturalistico della riserva naturale della Garzaia di Valenza, redatto secondo i disposti di cui agli artt. 7 e 8 della l.r.
419/79 n. 57, ed approvato dal Consiglio regionale con deliberazione n. 313 C.R. 5991 del 1/7/82 visto l'ultimo comma dell'art. 2 della 1.r. 28/8/79 n. 51, che prevede che il piano naturalistico di cui sopra può apportare modifiche ai confini della riserva naturale integrale preso atto dei confini stabiliti dal piano naturalistico considerato che i sigg. Baldi Pietro, Baldi Albino e Baldi Ferruccio proprietari di parte dei terreni ricadenti nell'area classificata riserva naturale integrale, terreni confinanti con un'area già di proprietà della Regione Piemonte, per una superficie complessiva di ha 3.57.93, si sono dichiarati disposti alla cessione della loro proprietà al prezzo complessivo di L. 68.265.000 considerata l'opportunità di addivenire, all'acquisizione bonaria dei terreni di cui sopra al fine di consentire l'attuazione di quanto previsto dal piano naturalistico della riserva naturale considerata altresì l'urgenza di provvedere all'acquisizione in argomento che garantisce una migliore salvaguardia delle nidificazioni di uccelli ivi presenti e pertanto di dare attuazione alle finalità di cui all'art. 4 della Lr. 51/79 ritenuto opportuno procedere all'acquisto di cui sopra, ritenendo congrue e convenienti, in considerazione di quanto espresso, le condizioni richieste per la vendita considerato che alla spesa complessiva di L.68.265.000 per l'acquisto di cui trattasi si potrà far fronte con lo stanziamento di cui al cap. 7930 del bilancio 1982 vista la deliberazione della Giunta regionale n. 146-20139 del 26/10/82 sentita la Commissione consiliare delibera di autorizzare la Giunta regionale ad acquistare i terreni descritti in premessa, di proprietà dei sigg. Baldi Pietro, Baldi Albino e Baldi Ferruccio, ricadenti nella riserva naturale integrale, al prezzo complessivo di L. 68.265.000, can ampia delega alla Giunta stessa per le formalità necessarie al perfezionamento dell'acquisto.
La presente deliberazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione ai sensi dell'art. 65 dello Statuto" Chi approva è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 37 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Comuni

Esame deliberazione Giunta regionale: "L.r. 11/8/82 n. 17 art. 2 Individuazione dei Comuni obbligati alla formazione del programma pluriennale di attuazione"


PRESIDENTE

Punto settimo all'o.d.g.: esame deliberazione Giunta regionale: "L.r.
11/8/82 n. 17 art. 2 - Individuazione dei Comuni obbligati alla formazione del programma pluriennale di attuazione".
La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Al punto 7), alla deliberazione della Giunta regionale presento un emendamento, in quanto ritengo vi sia stato un errore segnalatomi soltanto questa mattina e che riguarda il comma di Sanfront. In quanto in Sanfront vennero determinate, nel modello dal 1971 al 1981, numero 1659 camere costruite, nel senso che si è collegata l'obbligatorietà della formazione del PPA al numero delle stanze costruite e ai rischi idrogeologici. Ora Sanfront non ha mai avuto un rischio idrogeologico e ha costruito, in tutto e per tutto, 650 camere, e non 1650. Così devo soltanto fare correggere un errore. Solo che il Comune di Sanfront ne è venuto a conoscenza e, per conoscenza dei colleghi Consiglieri, siccome c'é evidentemente un errore da 650 camere con un numero di tante che il Comune determina, a 1650 evidentemente, vi è un errore di trascrizione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Faccio presente all'Ufficio di Presidenza che l'Assessore Simonelli aveva chiesto esplicitamente che l'argomento non fosse trattato oggi perch era impedito ad assistere alla riunione del Consiglio. Comunque, a latere di questa richiesta dell'Assessore, ce n'è un'altra, del nostro Gruppo, che richiederebbe un esame in Commissione, ad evitare interventi, come questo del Consigliere Viglione; una serie di chiarimenti di merito sulla deliberazione, sarebbero ancora necessari in Commissione, per evitare il prolungarsi di giustificazioni e valutazioni che, in Consiglio, non possono essere sufficientemente affrontate. Quindi, o si fa questo nella giornata di domani, oppure non so se nemmeno domani sia possibile approvare questa deliberazione.
In verità, ci eravamo lasciati con l'intesa che questo esame in Commissione sarebbe stato fatto; però a noi, membri della seconda Commissione, questa occasione e questa opportunità non è stata più concessa.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Convengo sull'opportunità, di rimandarci a domani, perché, tra l'altro si era deciso che questa delibera sarebbe stata fatta il giorno 10. Giusto perché al giorno 10 sarebbe stato presente l'Assessore che avrebbe avuto modo di svilupparla. Sulla questione richiesta da Picco vi era stato un ulteriore incontro in Commissione. Rimandiamolo a domani.



PRESIDENTE

Il Consiglio è d'accordo.


Argomento: Comunita' montane

Esame modifica allo Statuto della Comunità montana Val Borbera


PRESIDENTE

Il punto ottavo all'o.d.g., verrà rinviato a domani perché l'Assessore Bajardi è assente; questa mattina ha avuto un incontro con la categoria interessata a questa deliberazione.
Esaminiamo pertanto il punto nono relativo a: "Esame modifica allo Statuto della Comunità montana Val Borbera". E' una deliberazione che non ha una presentazione da parte della Commissione, quindi, non so se il testo è stato approvato all'unanimità da parte della Commissione.
Tale deliberazione recita: "Il Consiglio regionale visto l'art. 10 della l.r. 11/8/73 n. 17, relativo alle modifiche ed alle integrazioni degli Statuti delle Comunità montane viste le deliberazioni n. 48 in data 30/5/81 e n. 64 in data 27/6/82 adottate dal Consiglio della Comunità montana Val Borbera vista la legge 23/3/81, n. 93 visto l'art. 31 dello Statuto della Comunità montana Val Borbera relativo alle modifiche ed integrazioni dello Statuto stesso visto il parere favorevole espresso dalla I Commissione permanente nel Consiglio regionale delibera di approvare la richiesta della Comunità montana Val Borbera riguardante le modifiche al proprio Statuto, secondo quanto di seguito riportato.
L'art. 1 è modificato come segue: Tra i Comuni di (omissis) è costituita ai sensi dell'art. 2 di detta legge regionale la Comunità montana della Val Borbera e Valle Spinti (omissis)'.
All'art. 29 è aggiunto il terzo comma seguente: 'Il Consiglio della Comunità potrà disporre per l'attribuzione di una indennità di carica al Vicepresidente nei limiti fissati dalla legislazione vigente'.
La presente deliberazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione ai sensi dell'art. 65 dello Statuto".
Chi approva tale deliberazione è pregato di alzare la mano.
E' approvata all'unanimità dei 37 Consiglieri presenti.


Argomento: Comunita' montane

Esame modifica allo Statuto della Comunità montana Val Sangone


PRESIDENTE

Il punto nono b) dell'o.d.g. reca: "Esame modifica allo Statuto della Comunità montana Val Sangone".
Il testo recita: "Il Consiglio regionale visto l'art. 10 della l.r. 11/8/73 n. 17 relativo alle modifiche ed alle integrazioni degli Statuti delle Comunità montane viste le deliberazioni n. 171 in data 1/3/80 e n. 100 in data 7/6/82 adattate dal Consiglio della Comunità montana Val Sangone visto l'art. 28 dello Statuto della Comunità Val Sangone relativo alle modifiche ed integrazioni dello Statuto stesso visto il parere favorevole espresso dalla I Commissione permanente del Consiglio regionale delibera di approvare la richiesta della Comunità montana Val Sangone riguardante le modifiche al proprio Statuto, secondo quanto di seguito riportato.
L'art. 1, primo comma, è modificato come segue: 'Tra i Comuni di Coazze, Giaveno, Piossasco, Reano, Sangano, Trana e Valgioie (omissis) è costituita ai sensi dell'art. 2 della suddetta legge regionale la Comunità montana Val Sangone, ente di diritto pubblico'.
L'art. 2 è sostituito dal seguente: La Comunità montana è regolata dalla legge nazionale 3/12/71, n. 1102 integrata da quella successiva 23/3/81, n. 93, dalla l.r. 11/8/73, n. 17 e da quelle successive 28/8/79 n. 50 e 30/3/82 n. 9, e da tutte le altre norme legislative nazionali e regionali in quanto applicabili e dagli articoli del presente Statuto e sue eventuali modificazioni ed integrazioni'.
L'art. 6, secondo comma, è sostituito dal seguente: 'Ad ogni Comune spettano tre rappresentanti, due di maggioranza ed uno di minoranza, eletti nel proprio seno, da ciascun Consiglio Comunale secondo i criteri stabiliti nell'art. 10 della legge nazionale 23/3/81, n.
93'.
E' inserito, tra l'art. 6 e l'art. 7, un nuovo articolo che viene pertanto ad assumere il n. 7, recitante: 'Il nuovo Consiglio della Comunità è comunque validamente insediato con l'avvenuta designazione dei due terzi dei suoi componenti da parte degli aventi diritto.
In ogni caso, per la sua prima convocazione, si osservano le norme stabilite nell'articolo unico della l.r. 30/3/82, n. 9'.
All'art. 14 (ex art. 13) viene dato l'ordine alfabetico dalla lettera a) alla lettera ah); la lettera f) è sostituita dalla seguente: 'f) provvede all'appalto di opere e prestazioni di servizi, acquisti ecc, sino al valore della spesa di L. 5.00 0.00 0 (cinque milioni) osservate le procedure previste per i Comuni'.
Prima del punto 'd) - il Presidente è inserito un nuovo articolo contraddistinto con il n. 17 recitante: 'Permessi ed indennità agli Amministratori.
Al Presidente, ai membri della Giunta ed ai Consiglieri dell'Ente si applicano le disposizioni contenute nell'art. 6 della legge nazionale 23/3/81, n. 93'.
All'art. 18 viene dato l'ordine alfabetico dalla lettera a) alla lettera g).
L'art. 26 recitante: "Nessuna carica in seno alla Comunità è retribuita con l'eccezione di cui all'art. 16, salvo rimborso delle spese forzose contenute per l'espletamento di speciali incarichi inerenti all'esercizio delle proprie funzioni, come stabilito dagli artt, n. 11 del T. U. 3/3/34, n. 383 e n.
285 del T.U. 4/2/1915, n. 148' è revocato.
La presente deliberazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione ai sensi dell'art. 65 dello Statuto".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 37 Consiglieri presenti.


Argomento: Comunita' montane

Esame modifica allo Statuto delta Comunità montana Prealpi Biellesi


PRESIDENTE

Esaminiamo la deliberazione di modifica allo Statuto della Comunità montana Prealpi Biellesi, al punto nono c) dell'o.d.g.
Il testo recita: "Il Consiglio regionale visto l'art. 10 della l.r. 11/8/73 n. 17, relativo alle modifiche ed integrazioni degli Statuti delle Comunità montane vista la legge regionale n. 1 del 15/1/82 vista la deliberazione n. 67 in data 29/7/82 adottata dal Consiglio della Comunità montana delle Prealpi Biellesi visto l'art. 31 dello Statuto della Comunità montana delle Prealpi Biellesi relativo alle modifiche ed integrazioni dello Statuto stesso visto il parere favorevole espresso dalla I Commissione permanente del Consiglio regionale delibera di approvare la richiesta della Comunità montana delle Prealpi Biellesi riguardante le modifiche al proprio Statuto, secondo quanto di seguito riportato.
Il punto 2) del secondo comma dell'art. 7 è sostituito dal seguente: '2) l'elezione del Presidente, del Vicepresidente e della Giunta'.
Il secondo comma dell'art. 12 è sostituito dal seguente: 'Essa è formata: dal Presidente dal Vicepresidente da cinque membri tutti eletti dal Consiglio della Comunità nel proprio seno ai sensi degli artt. 4 e 5 della 1.r. n. 17 dell'11 /8/73 e successive modificazioni'.
L'ultimo comma dell'art. 16 è sostituito dal seguente: 'Il Vicepresidente coadiuva il Presidente e lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento ed inoltre può essere titolare di deleghe amministrative'.
La presente deliberazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione ai sensi dell'art. 65 dello Statuto" Chi approva è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 37 Consiglieri presenti.


Argomento: Informazione

O.d.g. in merito alla relazione sul progetto di informazione televisiva del Consiglio regionale


PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Domando ai colleghi se non ritengano di dover anche svolgere quel punto, non iscritto all'o.d.g., ma che avevamo deciso nella riunione dei Capigruppo di inserire, e cioè la Commissione informazione sul progetto televisivo, una relazione che è stata già consegnata ai Consiglieri. Poich è stata passata in Commissione, se fossimo d'ac cordo potremo darla per letta e quindi approvarla, salvo obiezioni.



PRESIDENTE

Il Consiglio approva l'inserimento all'o.d.g.
Nella relazione che i Consiglieri hanno ricevuto, nell'ultima pagina c'è la proposta di ordine del giorno che è l'adempimento che noi oggi dovremo fare e, nelle pagine precedenti, vi è la relazione illustrativa.
"Il Consiglio regionale del Piemonte visto il proprio ordine del giorno in data 11/11/82 udita la relazione presentata in data odierna dalla Commissione consiliare per l'informazione la approva e invita l'Ufficio di Presidenza, nell'ambito dei poteri riconosciutigli dallo Statuto e dalla legge sull'autonomia funzionale e contabile del Consiglio regionale, ad adottare le conseguenti deliberazioni di propria competenza nello spirito delle proposte intervenute nella predetta Commissione durante la seduta del 9/11/82 e nell'ambito della spesa indicata in L. 150.000.000".
Chi approva tale ordine del giorno è pregato di alzare la mano.
E' approvato all'unanimità dei 37 Consiglieri presenti.
I lavori terminano qui.
Il Consiglio è convocato per domani mattina alle ore 9,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,20)



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